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Ve­nerdì, 16 aprile 2021

Avvertenza.

La Nota che se­gue è de­di­cata al di­pinto di Lo­renzo Lotto, espo­sto a Lecco dal 5 di­cem­bre 2020 al 6 giu­gno 2021 nel qua­dro della mo­stra «Lotto. L’inquietudine della realtà. Lo sguardo di Gio­vanni Frangi».

È strut­tu­rata su DUE parti.

La PRIMA è de­di­cata a evi­den­ziare le pro­ble­ma­ti­che re­la­tive alla fi­sio­no­mia cri­tica del di­pinto.
Que­sto è dato una­ni­me­mente come pub­bli­cato per la prima volta da Ber­n­hard Be­ren­son nella sua mo­no­gra­fia de­di­cata a Lotto del 1895: ma in quel suo scritto, in realtà, Be­ren­son de­scrisse un ALTRO dipinto.

Que­sta evi­denza non im­plica ne­ces­sa­ria­mente una messa in di­scus­sione della au­ten­ti­cità della au­to­gra­fia lot­tiana del di­pinto stesso.
Ne im­pone però in primo luogo una ap­pro­fon­dita ana­lisi stru­men­tale che aiuti ad al­lon­ta­nare ogni pos­si­bile dub­bio; in se­condo luogo una re­vi­sione ra­di­cale di quanto da ol­tre un se­colo si ela­bora in sede cri­tica at­torno a que­sta opera.

Nella SECONDA PARTE della Nota (che il di­pinto sia au­to­grafo di Lotto o meno) en­triamo nel me­rito dei con­te­nuti cul­tu­rali dell’opera in mo­stra a Lecco in que­sti mesi, mo­strando la man­canza di basi do­cu­men­ta­rie delle ar­go­men­ta­zioni pro­po­ste da­gli or­ga­niz­za­tori se­condo cui in essa sa­rebbe rap­pre­sen­tata sim­bo­li­ca­mente la Pas­sione di Cri­sto.

Quanto qui trat­tiamo esula dal qua­dro della ri­cerca sto­rica su cui il no­stro Cen­tro Studi Abate Stop­pani è usual­mente im­pe­gnato.
Cio­no­no­stante, af­fin­ché sulle ini­zia­tive che ven­gono po­ste al cen­tro della vita cul­tu­rale della città di Lecco ri­manga sem­pre viva l’attenzione cri­tica, ab­biamo co­mun­que ri­te­nuto op­por­tuno dare il no­stro con­tri­buto, de­di­can­dolo in par­ti­co­lare agli ol­tre 300 stu­denti delle scuole me­die su­pe­riori della città di Lecco che of­frono la loro as­si­stenza ai vi­si­ta­tori della mo­stra che si tiene a Pa­lazzo delle Paure.

La Nota si com­pone di circa 36.000 pa­role (233.000 bat­tute); è leg­gi­bile in poco più di due ore.

Ve­nerdì, 16 aprile 2021

Avvertenza.

La Nota che se­gue è de­di­cata al di­pinto di Lo­renzo Lotto, espo­sto a Lecco dal 5 di­cem­bre 2020 al 6 giu­gno 2021 nel qua­dro della mo­stra «Lotto. L’inquietudine della realtà. Lo sguardo di Gio­vanni Frangi».

È strut­tu­rata su DUE parti.

La PRIMA è de­di­cata a evi­den­ziare le pro­ble­ma­ti­che re­la­tive alla fi­sio­no­mia cri­tica del di­pinto.
Que­sto è dato una­ni­me­mente come pub­bli­cato per la prima volta da Ber­n­hard Be­ren­son nella sua mo­no­gra­fia de­di­cata a Lotto del 1895: ma in quel suo scritto, in realtà, Be­ren­son de­scrisse un ALTRO dipinto.

Que­sta evi­denza non im­plica ne­ces­sa­ria­mente una messa in di­scus­sione della au­ten­ti­cità della au­to­gra­fia lot­tiana del di­pinto stesso.
Ne im­pone però in primo luogo una ap­pro­fon­dita ana­lisi stru­men­tale che aiuti ad al­lon­ta­nare ogni pos­si­bile dub­bio; in se­condo luogo una re­vi­sione ra­di­cale di quanto da ol­tre un se­colo si ela­bora in sede cri­tica at­torno a que­sta opera.

Nella SECONDA PARTE della Nota (che il di­pinto sia au­to­grafo di Lotto o meno) en­triamo nel me­rito dei con­te­nuti cul­tu­rali dell’opera in mo­stra a Lecco in que­sti mesi, mo­strando la man­canza di basi do­cu­men­ta­rie delle ar­go­men­ta­zioni pro­po­ste da­gli or­ga­niz­za­tori se­condo cui in essa sa­rebbe rap­pre­sen­tata sim­bo­li­ca­mente la Pas­sione di Cri­sto.

Quanto qui trat­tiamo esce dal qua­dro della ri­cerca sto­rica su cui il no­stro Cen­tro Studi Abate Stop­pani è usual­mente im­pe­gnato.
Per­ché sulle ini­zia­tive che ven­gono po­ste al cen­tro della vita cul­tu­rale della città di Lecco ri­manga sem­pre viva l’attenzione cri­tica ab­biamo co­mun­que ri­te­nuto op­por­tuno dare il no­stro con­tri­buto, de­di­can­dolo in par­ti­co­lare agli ol­tre 300 stu­denti delle scuole me­die su­pe­riori della città di Lecco che of­frono la loro as­si­stenza ai vi­si­ta­tori della mo­stra che si tiene a Pa­lazzo delle Paure.

La Nota si com­pone di circa 36.000 pa­role (233.000 bat­tute); è leg­gi­bile in poco più di due ore.

Lorenzo Lotto sguardato da Giovanni Frangi.

Lorenzo
Lotto
sguardato da Giovanni Frangi.

Per Lecco un “capolavoro” tutto da verificare.

A proposito della Mostra d’arte promossa e organizzata dalla Curia di Lecco:

«Capolavoro per Lecco:
Lotto. L’inquietudine della realtà. Lo sguardo di Giovanni Frangi.»
Lecco, Palazzo delle Paure / 5 dicembre 2020 – 6 giugno 2021.

La interessante iniziativa della Curia lecchese si inserisce meritoriamente (seppure con le peculiarità che evidenzieremo) nel preoccupante vuoto della programmazione culturale di qualità per la città di Lecco.
Ben venga quindi questa mostra su Lorenzo Lotto.
La quale, al contempo, impone però alcune riflessioni.
A proposito della Mostra d’arte promossa e organizzata dalla Curia di Lecco:

«Capolavoro per Lecco:
Lotto.
L’inquietudine della realtà.
Lo sguardo di Giovanni Frangi.»
Lecco, Palazzo delle Paure
5 dicembre 2020
6 giugno 2021.

La interessante iniziativa della Curia lecchese si inserisce meritoriamente (seppure con le peculiarità che evidenzieremo) nel preoccupante vuoto della programmazione culturale di qualità per la città di Lecco.
Ben venga quindi questa mostra su Lorenzo Lotto.
La quale, al contempo, impone però alcune riflessioni.

LA PRIMA, relativa al patrimonio culturale della città.

È opportuno riflettere sul come il Comune di Lecco abbia scelto di genuflettersi passivamente a questa iniziativa e di ritenersi così libero da ogni proprio impegno nei confronti dell’esperienza storica della città in campo culturale.
Accodandosi alla iniziativa della Curia, e senza proprie proposte autonome, la nuova Amministrazione mette di fatto la sordina a quel filone esperienziale (esemplificato dalle figure di Alessandro Manzoni e dell’Abate Stoppani) che costituisce da oltre un secolo la specificità culturale di Lecco nel nostro Paese e che proprio ora dovrebbe costituire un elemento forte di riferimento per la comunità.
In questa fase critica per la collettività, il Comune di Lecco, espressione di tutti i cittadini, avrebbe infatti potuto / dovuto attingere al formidabile patrimonio di idee e di riflessioni lasciatoci da Manzoni e Stoppani sui due temi da oltre un anno di maggiore attualità a livello mondiale:

— La crisi pandemica e la risposta della società.

La analizzò sul piano letterario Manzoni in modo ancora insuperato nella nostra epoca (nell’antichità il grande narratore ne fu Tucidide).

— La incontrollata e suicida antropizzazione del pianeta.

L’Abate Stoppani la evidenziò già 150 anni fa (fu il primo, a livello mondiale, a darne una precisa definizione) come la grande questione della nostra epoca, caratterizzata dalla cieca violenza sulla natura da parte dell’uomo.
Puntando su questi due straordinari figli della nuova Italia risorgimentale, a un tempo maestri di pensiero ed entrambi organicamente legati a Lecco, l’Amministrazione cittadina avrebbe potuto / dovuto conseguire il doppio risultato di evidenziare idee di grande attualità e insieme di mantenerne accesa la memoria, fondante per l’identità della città e dell’intera collettività lariana.
La miopia e l’impotenza progettuale della nuova Amministrazione hanno reso purtroppo finanche improponibile un progetto del genere.

LA SECONDA, sulla qualità della proposta incentrata su Lotto.

Quando la Curia di Lecco, per voce del Prevosto Milani, ha proposto l’iniziativa “Lotto: capolavoro per Lecco 2020”, è stato spontaneo pensare: e va bene! a fronte del nulla della Amministrazione concentriamoci pure su questa alternativa espositiva, nonostante la sua oggettiva scarsa incisività nel momento attuale!
Ma ci siamo anche detti: che questa alternativa sia però di alto livello!
Ossia che, almeno nel metodo, la proposta culturale centrata su Lotto fosse nel solco della qualità di Manzoni e Stoppani, campioni (ognuno nel proprio campo) di serietà e di onesta fedeltà al vero.
Abbiamo quindi ritenuto nostro dovere verificare quale fosse la “qualità” della proposta “Lorenzo Lotto a Lecco”.
In questa ottica ci siamo resi conto di una serie di criticità che il dipinto di Lotto esposto a Palazzo delle Paure presenta sotto almeno due profili:

— è tutta da riscrivere la sua storia proprietaria e critica;

— è solo frutto di fantasia l’interpretazione che se ne è voluto dare, in dispregio di qualsiasi base documentale.

Due negatività di cui non è necessariamente responsabile la Curia ma sulle quali la stessa potrebbe spendersi per contribuire a una più matura consapevolezza collettiva.
La Nota che segue è incentrata su questi due elementi critici, dando al lettore, in via preliminare, l’opportuno inquadramento sulla mostra.

1. In breve sulla mostra di Lecco.

La mo­stra è de­no­mi­nata «Ca­po­la­voro per Lecco: “Lotto. L’inquietudine della realtà. Lo sguardo di Gio­vanni Frangi”».

È stata inau­gu­rata il 5 di­cem­bre 2020 in Lecco, a Pa­lazzo delle Paure (solo vir­tual­mente, causa l’emergenza sa­ni­ta­ria); è stata aperta al pub­blico il 6 feb­braio 2021; era pre­vi­sta du­rare fino al 6 aprile 2021 ma è stata re­cen­te­mente pro­ro­gata fino al 6 giugno.

La mo­stra pre­senta af­fian­cati un di­pinto at­tri­buito al pit­tore ri­na­sci­men­tale Lo­renzo Lotto (1480-1557) e sette opere gra­fi­che del pit­tore con­tem­po­ra­neo Gio­vanni Frangi (1959), rea­liz­zate come “eser­cizi di let­tura” (l’espressione è di Frangi) del di­pinto di Lotto.

L’esposizione è ar­ti­co­lata su tre am­bienti in cui il vi­si­ta­tore (non solo per ra­gioni le­gate alla si­tua­zione sa­ni­ta­ria ma per scelta cul­tu­rale) è pre­vi­sto so­sti per un non bre­vis­simo tempo pre­de­fi­nito, po­tendo go­dere dell’assistenza cri­tica di stu­denti delle me­die su­pe­riori del ter­ri­to­rio di Lecco, istruiti (sono circa 300) al ruolo di “ci­ce­roni” at­tra­verso un ap­po­sito corso te­nuto a cura della Cu­ria di Lecco nel qua­dro delle pro­po­ste per l’alternanza scuola-lavoro.

Ab­biamo chie­sto agli or­ga­niz­za­tori se per la for­ma­zione di que­sti stu­denti è stato pre­di­spo­sto uno spe­ci­fico stru­mento co­no­sci­tivo: ci è stato ri­spo­sto che i gio­vani si sono ri­fatti ai con­te­nuti pro­po­sti an­che nel sito Web de­di­cato alla mo­stra e nel Catalogo.

1.1 / Cosa è esposto e come è visionabile.

Prima di po­tere vi­si­tare di per­sona la mo­stra, ave­vamo tro­vato in­te­res­sante la pre­sen­ta­zione che ne ha fatto il 15 di­cem­bre 2020 Laura Polo D’Ambrosio (“re­spon­sa­bile pro­getto”) agli ope­ra­tori della stampa e dell’informazione.

La pro­po­niamo al let­tore per la chia­rezza con cui D’Ambrosio ha espo­sto le fi­na­lità della mo­stra e i cri­teri della sua frui­bi­lità, riu­scendo a evi­den­ziarne gli ele­menti più significativi.

SALA 1 — 15 mi­nuti di pre­sen­ta­zione del cri­te­rio in­for­ma­tore della mo­stra: al vi­si­ta­tore il di­pinto di Lotto è mo­strato alla fine di un per­corso at­tra­verso cui lo si vor­rebbe col­lo­care nella no­stra con­tem­po­ra­neità.
A trac­ciare que­sto per­corso è Frangi che con i suoi “eser­cizi di let­tura” ci do­vrebbe por­tare a co­gliere nel di­pinto di Lotto par­ti­co­lari che — in­da­gati in pro­fon­dità — con­sen­ti­reb­bero una let­tura nuova della realtà; per “co­no­scere Lotto” Frangi ha in­di­vi­duato nello sco­iat­tolo un “par­ti­co­lare” stimolante.

SALA 2 — 15 mi­nuti, 8 dei quali de­di­cati alla vi­sione di un docu-film di Fran­ce­sco In­ver­nizzi sul come Gio­vanni Frangi è ar­ri­vato a rea­liz­zare le sette opere che egli espone a fianco di quella di Lotto.
At­tra­verso in­ter­vi­ste a Frangi e ge­ne­rose car­rel­late sulle sue com­po­si­zioni, il re­gi­sta In­ver­nizzi ci mo­stra passo passo come un ar­ti­sta del no­stro tempo può dia­lo­gare con un col­lega di cin­que se­coli fa.
Tra i tanti pos­si­bili piani di sin­to­nia con Lotto, Frangi ha scelto il colore.

SALA 3 — 15 mi­nuti de­di­cati alla vi­sione (sem­pre con il com­mento de­gli studenti-cicerone):

• delle 7 opere rea­liz­zate da Gio­vanni Frangi; con tec­ni­che di­verse; con for­mati ­­an­che grandi, per una su­per­fi­cie di 10,5 mq (venti volte la tela di Lotto); di­spo­ste su tre lati della Sala;
.
• del di­pinto di Lo­renzo Lotto; del 1522; su tela e a olio; qui de­no­mi­nato “Ma­donna con il Bam­bino tra i Santi Gio­vanni Bat­ti­sta e Ca­te­rina d’Alessandria”; f.to cm 76×68 (0,5 me­tri qua­dri); po­si­zio­nato sul lato di uscita della Sala.

Qui sotto pre­sen­tiamo le 8 opere espo­ste nei loro reali rap­porti dimensionali.

Se­condo le aspet­ta­tive pro­spet­tate da D’Ambrosio, al ter­mine dei 45 mi­nuti di per­ma­nenza in mo­stra lo spet­ta­tore do­vrebbe avere ma­tu­rato un pro­prio modo di “ve­dere” e “sen­tire” Lotto.

A dire il vero, vi­sto il rap­porto di 20 a 1 a fa­vore di Frangi non solo nei me­tri qua­dri espo­sti ma an­che nel mi­nu­tag­gio della mo­stra (quasi in­te­ra­mente oc­cu­pato da Frangi e dal suo per­corso ar­ti­stico) ci pare che il vi­si­ta­tore sarà forse più fa­ci­li­tato ad avere qual­che idea su Frangi piut­to­sto che su Lotto — ma que­sta è solo una no­stra impressione.

1.2 / Chi promuove, organizza e detta la linea culturale.

La mo­stra è pro­mossa e or­ga­niz­zata so­stan­zial­mente dalla Cu­ria lec­chese con un ro­bu­sto con­tri­buto fi­nan­zia­rio di Fon­da­zione Ca­ri­plo, pari a 50.000 Euro, a in­te­gra­zione dei 50.000 rac­colti at­tra­verso do­na­zioni (per la com­po­si­zione delle do­na­zioni vedi Ap­pen­dice 1, dop­pio click) e la an­cil­lare col­la­bo­ra­zione del Co­mune di Lecco che:

ha for­nito gra­tui­ta­mente gli spazi espo­si­tivi (e re­la­tivi ser­vizi di bi­gliet­te­ria) di Pa­lazzo delle Paure, per un va­lore sti­mato di Euro 14.000;

ha ospi­tato sui me­dia Web del Mu­ni­ci­pio gli an­nunci pro­mo­zio­nali della mostra;

ha dato un con­tri­buto di­retto di Euro 20.000, 15.000 dei quali in­di­cati dall’organizzatore come re­mu­ne­ra­zione a Gio­vanni Frangi per il suo sguardo a Lotto.
(Per la do­cu­men­ta­zione sul rap­porto tra la Cu­ria e il Co­mune di Lecco vedi  Ap­pen­dice 2, dop­pio click);

nulla ha in­vece detto sul con­te­nuto cul­tu­rale della ini­zia­tiva, la­sciato alla esclu­siva di­scre­zione e ge­stione della Curia.

Va da sé che que­sto ul­timo aspetto non è marginale.

Tra gli ele­menti della molto ci­tata “in­quie­tu­dine” di Lo­renzo Lotto, la do­cu­men­ta­zione pre­di­spo­sta per la mo­stra ignora infatti:

la sco­perta del con­ti­nente ame­ri­cano con il con­se­guente scon­vol­gi­mento de­gli as­setti eco­no­mici e so­ciali eu­ro­pei che ne è se­guito a par­tire dai primi de­cenni del me­de­simo secolo;

la pro­gres­siva af­fer­ma­zione della con­ce­zione elio­cen­trica co­per­ni­cana, resa pub­blica nel 1543, un­dici anni prima che Lotto si fa­cesse Oblato della Santa Casa di Loreto.

Non es­sen­dovi trac­cia di que­sti ar­go­menti né sul sito Web de­di­cato alla mo­stra, né sul Ca­ta­logo uf­fi­ciale dell’iniziativa, si deve pre­su­mere che la for­ma­zione dei 300 stu­denti / ci­ce­rone non ne ab­bia te­nuto conto.

Non è af­fatto scon­tato che una ini­zia­tiva cul­tu­rale fi­nan­ziata e, sep­pure no­mi­nal­mente, par­te­ci­pata in toto dal Co­mune, ignori nella sua do­cu­men­ta­zione pub­blica (lo ab­biamo vi­sto, la me­de­sima con cui sono stati for­mati i 300 stu­denti delle me­die su­pe­riori del ter­ri­to­rio) eventi di por­tata epo­cale, im­por­tan­tis­simi per la na­scita della mo­derna ci­viltà europea.

2 / Utili informazioni preliminari.

Prima di en­trare nel me­rito della sto­ria pro­prie­ta­ria del di­pinto e della sua vi­cenda cri­tica è op­por­tuno ri­cor­darne al­cuni ele­menti di una certa si­gni­fi­canza, non detti o solo ac­cen­nati da­gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra di Lecco.

2.1 / Dipinto uno e trino.

È di pro­prietà pri­vata; è parte della Col­le­zione Palma Ca­mozzi-Ver­tova ed è cu­sto­dito presso il Ca­stello Ca­mozzi di Co­sta di Mez­zate, a sei chi­lo­me­tri da Ber­gamo (da qui in poi, per co­mo­dità espo­si­tiva, lo chia­me­remo quindi “Co­sta-Mez­zate”).

Il di­pinto ha inol­tre la ca­rat­te­ri­stica di es­sere stato pro­po­sto da Lotto in un’altra ver­sione, sdop­piata in due esem­plari quasi uguali.

Del di­pinto in mo­stra a Lecco ab­biamo quindi tre re­pli­che: ol­tre al Co­sta-Mez­zate, ve ne è un’altra a Bo­ston, presso il Mu­seum of Fine Arts; e un’altra an­cora a Lon­dra, presso la Na­tio­nal Gallery.

Que­sti ul­timi due “cu­gini” del no­stro di­pinto Co­sta-Mez­zate, sono tra loro “ge­melli” ma — ci sia con­sen­tita la li­bertà — “ete­ro­zi­goti”: all’interno di una ge­ne­rale so­mi­glianza pre­sen­tano in­fatti ri­le­vanti dif­fe­renze an­che strutturali.

Il Ca­ta­logo della mo­stra di Lecco fa op­por­tuna men­zione di que­sti “cu­gini” e ne mo­stra le im­ma­gini; non svi­luppa però al­cun con­fronto né tra di loro né con il no­stro di­pinto Co­sta-Mez­zate (dei “cu­gini“ non ri­porta nep­pure le misure).

In oc­ca­sione del We­bi­nar del 23 feb­braio 2021 (ne par­le­remo più avanti) An­to­nio Maz­zotta (l’altro cri­tico d’arte che si af­fianca a Va­la­gussa a so­ste­gno della mo­stra di Lecco) si è li­mi­tato a de­fi­nirli “quasi iden­tici” e a ri­le­varne una dif­fe­renza nel pig­mento usato per il man­tello della Ma­donna (in Bo­ston è il la­pi­slaz­zulo, in Lon­dra l’azzurrite) — tor­ne­remo noi, più sotto, a un più pun­tuale no­stro raf­fronto tra i due dipinti.

Il man­cato con­fronto tra i due “cu­gini” da parte di Va­la­gussa e Maz­zotta è un pec­cato: an­che la in­di­vi­dua­zione del “si­gni­fi­cato” del di­pinto non po­trebbe in­fatti che av­van­tag­giarsi della co­no­scenza delle re­pli­che che sul me­de­simo tema Lotto for­mulò at­torno al 1520.

Co­mun­que sia, per il mo­mento in­vi­tiamo il let­tore a me­mo­riz­zare le tre re­pli­che così come sono nei loro ef­fet­tivi rap­porti di­men­sio­nali (Co­sta-Mez­zate, cm h 74×68 / Bo­ston, cm h 94,03×77,8 / Lon­dra, cm h 89,5×74,3) e a me­mo­riz­zare che i tre di­pinti hanno di de­ci­sa­mente simile:

— il nu­cleo cen­trale co­sti­tuito da “Ma­donna + Bam­bino + cas­sa­panca + cas­setta di le­gno + cu­scino”;
.

— l’ap­pa­ri­scente ma­nica rossa della Ma­donna, una “tro­vata” pit­to­rica at­torno a cui Lotto in que­gli anni rea­liz­zerà al­tre com­po­si­zioni, raf­fi­gu­ranti Ver­gini, Sante o co­muni mortali.

2.2 / Le mostre in cui è stato esposto.

Nei suoi 500 anni di vita, prima della mo­stra di Lecco, il di­pinto è stato espo­sto al pub­blico solo in tre mo­stre, tutte monografiche:

— «Mo­stra di Lo­renzo Lotto», or­ga­niz­zata da Pie­tro Zam­petti (Ve­ne­zia, Pa­lazzo Du­cale, 14-06 / 18-10 1953);

— «Lo­renzo Lotto. Il ge­nio in­quieto del Ri­na­sci­mento», or­ga­niz­zata dalla Na­tio­nal Gal­lery di Wa­shing­ton, in col­la­bo­ra­zione con l’Accademia Car­rara di Ber­gamo e iti­ne­rante tra Wa­shing­ton (2 nov. 1997 / 1 mar. 1998) – Ber­gamo (2 apr. / 28 giug. 1998) – Pa­rigi (12 ott.1998 / 11 nov. 1999);

— «Lo­renzo Lotto», Roma, Scu­de­rie del Qui­ri­nale (2-03 / 12-06 2011), pro­mossa da Roma Capitale.

Il di­pinto fu inol­tre pre­sen­tato a Ber­gamo nel giu­gno 2016 in una bre­vis­sima ap­pa­ri­zione “spe­ciale” che ci sem­bra ab­bia la­sciato tracce solo giornalistiche.

3 / L’identità del dipinto, la sua vicenda proprietaria.

Sulla base della do­cu­men­ta­zione di­spo­ni­bile al pub­blico, il di­pinto, at­tri­buito a Lo­renzo Lotto ed espo­sto dal 5 di­cem­bre 2020 a Lecco, ha una sto­ria pro­prie­ta­ria e cri­tica de­ci­sa­mente opaca.

Tale co­mun­que da sol­le­vare più che le­git­timi in­ter­ro­ga­tivi in chiun­que de­si­deri che su pro­dotti della cul­tura, pro­po­sti al pub­blico an­che a spese delle Isti­tu­zioni pub­bli­che, vi sia la mas­sima trasparenza.

3.1 / Reticenza sulla proprietà.

No­no­stante sia di­ve­nuto in que­sti mesi una delle icone mag­gior­mente im­pie­gate dalla Cu­ria di Lecco in molti dei suoi mes­saggi ai fe­deli, al pub­blico è stato co­mu­ni­cato ve­ra­mente poco sul dove il di­pinto di Lotto sia con­ser­vato, su chi ne siano gli at­tuali pro­prie­tari e sulla sua sto­ria critica.

Nel Ca­ta­logo della mo­stra di Lecco (p. 22) Maz­zotta si è li­mi­tato a dire che
— «è pro­ba­bile che già nel 1797 fosse parte delle rac­colte di Gio­van Bat­ti­sta Ver­tova nel ca­stello di Co­sta di Mez­zate»; che
— «an­cora oggi l’opera è con­ser­vata nelle col­le­zioni dei suoi di­scen­denti»; che
— «Il primo a di­scu­tere cri­ti­ca­mente il di­pinto è Ber­nard Be­ren­son nella sua ce­le­bre mo­no­gra­fia lot­te­sca del 1895.»

Ma quali sono que­ste “col­le­zioni” e chi sono que­sti “di­scen­denti”?

Na­tu­ral­mente la legge (molto la­cu­nosa in que­sta ma­te­ria) non im­pone che que­sti ele­menti ap­pa­iono nei ca­ta­lo­ghi delle mo­stre pub­bli­che: spesso in­fatti per i di­pinti di pri­vati la pro­prietà è te­nuta anonima.

Ciò può es­sere en­tro certi li­miti com­pren­si­bile — ma là dove è so­lida e bene ac­cer­tata la ge­nui­nità dell’opera e la sua autografia.

3.2 / Debolezze e ambiguità della critica.

Là dove cioè la cri­tica d’arte in­di­pen­dente ha ve­ri­fi­cato in modo plau­si­bile, tra­spa­rente e con­di­vi­si­bile che quella tale opera è ef­fet­ti­va­mente di quel tale ar­ti­sta e non — per esem­pio — una co­pia o coeva all’artista cui è at­tri­buita o a lui suc­ces­siva, ma­gari an­che di secoli.

Per dirlo in chiaro: non quando gli ele­menti co­no­sci­tivi sono tra­smessi da ex­per­tise di co­modo, spesso ba­sate solo sulla no­to­rietà del cri­tico fir­ma­ta­rio e sul fumo, come prassi di al­cuni proprietari.

Siamo certi che que­sto non sia il caso del Co­sta-Mez­zate: non sa­rebbe male, pro­prio sulla base di que­sta cer­tezza, che pro­prietà e/o or­ga­niz­za­tori ren­des­sero pub­blica, tra l’altro, l’expertise del di­pinto in mo­stra a Lecco, cer­ta­mente esi­stente.

Cre­diamo che il let­tore ab­bia ab­ba­stanza espe­rienza e fan­ta­sia per po­tere be­nis­simo con­si­de­rare l’ipotesi — astratta si in­tende ma non così in­ve­ro­si­mile — che sul di­pinto espo­sto a Lecco come di au­to­gra­fia lot­tiana ab­biano messo le mani al­tri ar­ti­sti col­le­gati o meno a Lotto op­pure sia co­pia di una sua opera, il cui ori­gi­nale si è perso o ri­posa in qual­che col­le­zione in qual­che parte del mondo, in at­tesa che ma­turi come investimento.

Sono an­che re­centi casi cla­mo­rosi di di­pinti spac­ciati come di ar­ti­sti molto quo­tati — e quindi anch’essi molto quo­tati da un punto di vi­sta eco­no­mico — che sono poi ri­sul­tati di al­tri ar­ti­sti meno noti, pre­ci­pi­tando di valore.

La cosa non è se­con­da­ria dal mo­mento che an­che nel no­stro tempo — e an­cor più che per il pas­sato — le opere d’arte hanno un mer­cato stret­ta­mente con­ti­guo a quello fi­nan­zia­rio, col­lo­can­dosi in as­so­luto ai primi po­sti tra gli in­ve­sti­menti di mag­giore red­di­ti­vità: se ac­qui­sto su una ban­ca­rella per 300 Euro un di­pinto che sem­bra una cro­sta ma che ri­sulta poi es­sere di Pi­casso, posso ri­ven­derlo ma­gari a 50 mi­lioni di Euro, con un tasso di pro­fitto inim­ma­gi­na­bile per qua­lun­que at­ti­vità pro­dut­tiva o professionale.

Come il let­tore po­trà com­pren­dere da quanto an­dremo a dire nel pro­sie­guo di que­sta Nota, le do­mande che ab­biamo po­sto
chi sono i pro­prie­tari?;
quanto è so­lida la te­sti­mo­nianza della cri­tica?
non ub­bi­di­scono sem­pli­ce­mente a una ge­ne­rica ri­chie­sta di trasparenza.

Sono al con­tra­rio ele­menti in­di­spen­sa­bili per avere chia­rezza su un’opera d’arte che nel suo mezzo mil­len­nio di vita non ha mai avuto un mo­mento di pub­bli­cità ed è emersa dalle om­bre del pas­sato solo a par­tire dal 1953 — ma an­che al­lora con il la­scia­pas­sare di un ap­pa­rato cri­tico de­ci­sa­mente inconsistente.

In modo del tutto in­com­pren­si­bile, gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra di Lecco, pur avendo messo più volte in ri­lievo la ec­ce­zio­na­lità dell’occasione per vi­sio­nare dal vivo que­sto di­pinto di Lotto, ci sem­bra ab­biano al con­tempo fatto tutto tranne che fa­vo­rirne la reale co­no­scenza collettiva.

Anzi ci sem­bra si siano ado­pe­rati per ve­lare quel poco che le pre­ce­denti espo­si­zioni al pub­blico ave­vano bene o male messo in luce.

Gli or­ga­niz­za­tori e i loro cri­tici di ri­fe­ri­mento (per esem­pio) non hanno par­lato MAIINNESSUNA OCCASIONE delle tre mo­stre che più so­pra ab­biamo ri­chia­mato e in cui il di­pinto in que­stione è stato espo­sto al pub­blico a par­tire dal 1953.

Con ri­guardo alla pro­prietà del di­pinto (è un al­tro esem­pio) gli or­ga­niz­za­tori sono de­ci­sa­mente si­lenti.
Il cu­ra­tore ar­ti­stico della mo­stra, Gio­vanni Va­la­gussa, è anzi giunto al punto di af­fer­mare pub­bli­ca­mente (We­bi­nar del 23 feb­braio 2021) che della iden­tità dei pro­prie­tari del di­pinto “è pre­fe­ri­bile non dire nulla” men­tre il mo­de­ra­tore del me­de­simo We­bi­nar, Gior­gio Cor­tella gli ha fatto eco par­lando di una “pro­messa di ri­ser­va­tezza” fatta ai proprietari.

È cu­rioso come que­sta mo­stra di Lecco ab­bia fatto emer­gere evi­denti di­sto­nie su que­stioni rilevanti.

La iden­tità della pro­prietà del di­pinto è in­fatti resa per­fet­ta­mente pub­blica dalla Ac­ca­de­mia Car­rara di Ber­gamo in una pa­gina del suo sito Web (vedi qui), de­di­cata al di­pinto ora espo­sto a Lecco:

«Ma­donna col Bam­bino e i santi Gio­vanni Bat­ti­sta e Ca­te­rina d’Alessandria è il primo ca­po­la­voro ospite pro­ve­niente da una straor­di­na­ria col­le­zione pri­vata, Palma Ca­mozzi Ver­tova, che vuole così inau­gu­rare un per­corso di pre­stiti volto a ren­dere ac­ces­si­bile opere d’arte ra­ra­mente vi­si­bili al pubblico.»

La mo­stra di Lecco ha quindi messo in luce un vero e pro­prio corto cir­cuito in­for­ma­tivo: il cri­tico d’arte Va­la­gussa, che chiede la ri­ser­va­tezza sulla pro­prietà del di­pinto, è in­fatti Con­ser­va­tore presso la me­de­sima Ac­ca­de­mia Car­rara che ne dà in­vece aperta pub­bli­cità: che suc­cede? per­ché que­sta di­sto­nia tra il Con­ser­va­tore Va­la­gussa e la sua strut­tura di riferimento?

Da parte de­gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra di Lecco è co­mun­que una presa di po­si­zione piut­to­sto cu­riosa: do­vrebbe es­sere in­fatti scon­tata per tutti la con­sa­pe­vo­lezza che la co­no­scenza della sto­ria pro­prie­ta­ria di un di­pinto è uno de­gli ele­menti chiave per com­pren­derne an­che il si­gni­fi­cato cul­tu­rale, tanto più a fronte di una sto­ria cri­tica de­ci­sa­mente la­cu­nosa e densa di am­bi­guità, come poco più sotto mostreremo.

3.3 / Nel sito ca​po​la​vo​ro​per​lecco​.it solo un vago accenno alla critica di Berenson 1895.

Il 2 di­cem­bre 2020 è stato reso di­spo­ni­bile al pub­blico il sito Web de­di­cato alla mo­stra.
In que­sto im­por­tante stru­mento di co­mu­ni­ca­zione, al di­pinto sono de­di­cate 419 pa­role che ri­pren­dono quanto già trac­ciato da Va­la­gussa in in­ter­venti orali, con­dotti su uno schema dallo stesso enun­ciato già nel 2016 per la breve espo­si­zione del di­pinto a Ber­gamo: pre­di­zione del dramma della cro­ci­fis­sione; pre­senza in­so­lita ma par­ti­co­lar­mente si­gni­fi­ca­tiva dello sco­iat­tolo; ir­re­quie­tezza; an­sia; tur­ba­mento; in­quie­tu­dine (la pa­rola mul­tiuso di que­sta mostra).

Ri­spetto alla sto­ria cri­tica del di­pinto, sep­pure de­bol­mente, nel sito Web sono ac­cen­nati due ele­menti integrativi.

Il primo è fi­nal­mente un ac­cenno alla sto­ria cri­tica del di­pinto, at­tra­verso un ri­chiamo a Be­ren­son (evi­den­zia­zioni nostre):

«È un’opera an­cora oggi poco nota a causa della sua lo­ca­liz­za­zione in una col­le­zione pri­vata, ben­ché Ber­nard Be­ren­son la pub­blicò nella sua mo­no­gra­fia de­di­cata a Lo­renzo Lotto già nel 1895

Come già an­ti­ci­pato, que­sto ri­fe­ri­mento a Be­ren­son 1895 pog­gia su basi del tutto in­con­si­stenti: il di­pinto che Be­ren­son de­scrisse nel suo “Lo­renzo Lotto” del 1895 non ha in­fatti nulla a che ve­dere con quello espo­sto in que­sti mesi a Lecco (lo di­mo­striamo poco più avanti).

3.4 / Nel Catalogo qualche notizia in più.
Ma con incomprensibili omissioni.

Le in­for­ma­zioni sto­rico-cri­ti­che sul di­pinto ri­por­tate a Ca­ta­logo sono con­te­nute nel con­tri­buto di Maz­zotta «Lo­renzo Lotto: va­ria­zioni sul tema» in cui l’argomento è così pre­sen­tato (p. 24, evi­den­ziamo noi i pas­saggi di no­stro in­te­resse, le qua­dre di so­spen­sione sono di Mazzotta):

«La prima no­ti­zia sull’opera ri­sale al 1720 circa, quando forse era già in casa Pez­zoli a Ber­gamo, dove in­vece si trova si­cu­ra­mente nel 1793, anno delle Vite di Fran­ce­sco Ma­ria Tassi che la de­fi­ni­sce “pre­gia­tis­sima […] e tanto ben con­ser­vata, che non pare di­pinta sin dall’anno 1522 ma sem­bra che ora uscita sia dal pen­nello”. Poco dopo forse passa di pro­prietà, per­ché è pro­ba­bile che già nel 1797 fosse parte delle rac­colte di Gio­van Bat­ti­sta Ver­tova nel ca­stello di Co­sta di Mez­zate. L’unica erede di Gio­van Bat­ti­sta, Eli­sa­betta, sposa in­torno al 1806 An­drea Ca­mozzi de Ghe­rardi: tra i loro fi­gli emerge la fi­gura di Gio­vanni Bat­ti­sta Ca­mozzi Ver­tova, primo sin­daco di Ber­gamo: an­cora oggi l’opera è con­ser­vata nelle col­le­zioni dei suoi di­scen­denti.
.
Il primo a di­scu­tere cri­ti­ca­mente il di­pinto è Ber­nard Be­ren­son nella sua ce­le­bre mo­no­gra­fia lot­te­sca del 1895. Lo stu­dioso ame­ri­cano di ori­gine li­tuana ha inol­tre il me­rito di col­le­garlo a una si­mile com­po­si­zione al­lora nelle rac­colte lon­di­nesi di Mar­tin Col­na­ghi, e oggi alla Na­tio­nal Gal­lery di Londra.»

Più sotto ana­liz­ze­remo in det­ta­glio que­ste brevi note di Maz­zotta; per il mo­mento se­gna­liamo la cau­tela di quel “forse” e di quel “pro­ba­bile“, one­sta am­mis­sione di come sulla sto­ria del di­pinto non si sap­pia pra­ti­ca­mente nulla.

Meno de­ci­fra­bili in­vece i ri­fe­ri­menti alla più re­cente vi­cenda cri­tica del di­pinto.
Maz­zotta nulla dice — per esem­pio — delle mo­stre mo­no­gra­fi­che su Lotto in cui il di­pinto è stato espo­sto, in que­sto per­fet­ta­mente in li­nea con Va­la­gussa e il sito Web.

O me­glio, ne ac­cenna qual­che cosa ma solo nei ri­fe­ri­menti bi­blio­gra­fici, in modo in­com­pleto e pur­troppo in­com­pren­si­bile al nor­male pub­blico che non è te­nuto a sa­per de­ci­frare i se­gnali di fumo (Ca­ta­logo, p. 32):

«M. Lucco, in “Lo­renzo Lotto. Il ge­nio in­quieto del Ri­na­sci­mento”, ca­ta­logo della mo­stra, a cura di D.A. Brown, P. Hum­frey, M. Lucco, Mi­lano 1998, pp. 125-127. 145-147, nn. 18,24».
.
«F. Fra­cassi, in “Lo­renzo Lotto”, ca­ta­logo della mo­stra, a cura di G.C.F. Villa, Ci­ni­sello Bal­samo 2011, pp. 176-177, n. 26».

Sfi­diamo chiun­que a ri­ca­varne dove e quando si siano svolte que­ste mo­stre (a Mi­lano? a Ci­ni­sello Bal­samo?) — fran­ca­mente que­sto di Maz­zotta non è un gran con­tri­buto alla co­no­scenza partecipata.

Di più: sulla prima mo­stra de­di­cata in Ita­lia in­te­ra­mente a Lotto, la ca­po­sti­pite della ri­va­lu­ta­zione di Lotto nel se­colo scorso (Ve­ne­zia, 1953) da parte di Maz­zotta — in­vece — si­len­zio tom­bale.

Così come si­len­zio tom­bale tro­viamo in que­sto Ca­ta­logo di Lecco 2020 sulla te­sti­mo­nianza (1867) di Pa­sino Lo­ca­telli e di Gio­vanni Bat­ti­sta Ca­val­ca­selle (1870) su un di­pinto che par­rebbe pro­prio quello espo­sto a Lecco — ma di que­sto per esteso poco più sotto.

4. Ignorati Locatelli e Cavalcaselle.

Fatta que­sta do­ve­rosa se­gna­la­zione di ele­menti da avere pre­senti in via pre­li­mi­nare, pen­siamo che il let­tore possa se­guirci nello svi­luppo delle no­stre con­si­de­ra­zioni, che sin­te­tiz­ziamo su­bito per comodità:

È cor­retto il ri­fe­ri­mento a Be­ren­son 1895 come primo as­ser­tore dell’autografia lot­tiana del di­pinto Co­sta-Mez­zate in mo­stra a Lecco?

Detto in al­tri ter­mini: Be­ren­son nel 1895 scrisse ef­fet­ti­va­mente di quel di­pinto o que­sta è una fan­ta­sia tra­sfor­mata in realtà da ge­ne­ra­zioni di cri­tici d’arte con il tar­divo ma espli­cito e de­viante con­senso dello stesso Berenson?

Per ri­spon­dere può es­sere utile ri­pren­dere il per­corso espo­si­tivo di Maz­zotta (lo ab­biamo più so­pra ri­por­tato per esteso) in­te­gran­dolo nelle zone da lui la­sciate in om­bra e com­ple­tan­dolo con al­tri dati do­cu­men­tari da lui per­fet­ta­mente ignorati.

4.1 / «La prima notizia dell’opera risale al 1720»

Da Maz­zotta il ri­fe­ri­mento al 1720 è dato senza fonte o con­te­sto — fac­ciamo quindi noi da supplenti.

Si tratta di:
G.B. An­ge­lini, “De­scri­zione di Ber­gamo in terza rima (Ber­gamo de­scritto nel 1720)”; ma­no­scritto au­to­grafo (pub­bli­ca­zione a stampa: Ber­gamo, Edi­zioni dell’Ateneo, 2002).

In que­sto suo te­sto in terza rima lo sto­rico e let­te­rato Gio­vanni Bat­ti­sta An­ge­lini (1679-1767) par­lando delle opere d’arte di pro­prietà di fa­col­tose fa­mi­glie ber­ga­ma­sche, così ver­seg­gia (p. 38 dell’edizione a stampa 2002):

«Casa Pez­zoli pur ne tien due pezzi,
Un di Lo­renzo Lotti, uno di Titiano».

Tutto qui.
At­ten­zione: An­ge­lini non ci dice — in rima o meno — “cosa” fosse raf­fi­gu­rato nel di­pinto in­di­cato come in Casa Pez­zoli: pos­siamo solo pre­su­mere che lo sto­rico ber­ga­ma­sco si ri­fe­risse al di­pinto ora in mo­stra a Lecco.

In pro­po­sito può però es­sere utile ri­cor­dare che ar­ti­sti di li­vello come era Lo­renzo Lotto ne­gli anni della sua per­ma­nenza a Ber­gamo (1513-1526), ol­tre ai la­vori di am­pia con­ce­zione (rap­pre­sen­tati ge­ne­ral­mente da com­messe di strut­ture pub­bli­che o della Chiesa) era nor­male svol­ges­sero an­che at­ti­vità di mi­nore im­pe­gno per la com­mit­tenza pri­vata (ri­tratti, per ri­cor­dare ma­tri­moni, ecc. – i co­sid­detti “la­vori da ca­val­letto”).
È do­cu­men­tato che un pit­tore esperto come Lotto po­tesse age­vol­mente ogni anno pro­durre an­che die­cine di di­pinti di quel tipo.

È quindi del tutto ve­ro­si­mile sup­porre che nei tre­dici anni pas­sati nel ber­ga­ma­sco egli ab­bia pro­dotto al­cune cen­ti­naia di la­vori “mi­nori”, come è, per esem­pio, il Co­sta-Mez­zate su cui stiamo ragionando.

Nulla di strano, quindi, che in una me­de­sima di­mora pa­tri­zia o alto bor­ghese della zona po­tes­sero all’epoca sua e nei se­coli suc­ces­sivi es­sere ospi­tati più di un suo di­pinto.
Il ri­fe­ri­mento ad An­ge­lini è quindi da an­no­tare ma fran­ca­mente poco significativo.

4.2 / «In casa Pezzoli a Bergamo …».

Non com­pren­diamo per­ché Maz­zotta ab­bia pur­gato il te­sto di Tassi pro­prio sul più bello, dove que­sti de­scrive il dipinto.

Co­mun­que, an­che qui fac­ciamo da sup­plenti e ri­por­tiamo il Tassi per esteso, pren­den­dolo dall’originale (“Vite de’ Pit­tori, Scul­tori e Ar­chi­tetti Ber­ga­ma­schi” — Ber­gamo, 1797, p. 125, evi­den­zia­zione nostra):

«In casa Pez­zoli sul mer­cato delle scarpe ve­desi una pre­gia­tis­sima opera, e tanto ben con­ser­vata, che non pare di­pinta sin dall’anno 1522, ma sem­bra che ora uscita sia dal pen­nello; in que­sta è espressa la Ver­gine col Bam­bino in seno tra Santa Cat­ta­rina, e San Giam­bat­ti­sta [ecc.]».

Come si vede, Tassi è più det­ta­gliato di An­ge­lini nel de­scri­vere le sa­cre fi­gure rap­pre­sen­tate nel di­pinto: pur non di­cen­doci il con­te­sto che le uni­sce, po­tremmo co­mun­que ra­gio­ne­vol­mente pen­sare che il Tassi ab­bia de­scritto pro­prio il di­pinto Co­sta-Mez­zate di no­stro interesse.

È però da ri­le­vare che Tassi non no­mina lo sco­iat­tolo, una pre­senza certo non fre­quen­tis­sima nella pit­tura dell’epoca, so­prat­tutto con quella in­va­denza da Lotto ben ri­mar­cata nel di­pinto espo­sto a Lecco, an­che se non così rara come più volte ac­cen­nato da Va­la­gussa nei suoi in­ter­venti orali.

4.3 / Bibliografia censurata: ignorato Pasino Locatelli e il suo “scojatto”.

Come an­ti­ci­pato, Maz­zotta (così come Va­la­gussa e il sito Web della mo­stra di Lecco) tace su un noto stu­dioso ber­ga­ma­sco, in­se­gnante, pub­bli­ci­sta, sto­rico dell’arte e cri­tico, che in un suo te­sto pub­bli­cato nel 1867 (quindi trent’anni prima di Be­ren­son) de­scrisse in modo molto det­ta­gliato (pp. 91-92) un di­pinto che è certo il Co­sta-Mez­zate in que­sti mesi espo­sto a Lecco:

«La tela qua­dran­go­lare di casa Ca­mozzi, con mezze fi­gure un terzo al vero, se pure si può bene ri­le­vare l’ultimo nu­mero dell’anno, che v’è se­gnato, do­vrebbe es­sere del 1522.
.
No­vità e biz­zar­ria spic­cano in que­sto qua­dro. La Ma­donna tiene il fi­glio in piedi so­pra un co­fano di le­gno con ma­nico d’acciajo: a de­stra ha S. Gio­vanni, a si­ni­stra S. Ca­te­rina. Quest’ultima porta de’ vezzi nelle chiome e stringe fra le brac­cia uno sco­jatto.»

Il brano è tratto da “Il­lu­stri ber­ga­ma­schi / Studi cri­tico-bio­gra­fici”, Ber­gamo, 1867, in tre vo­lumi, il terzo dei quali è de­di­cato ai “Pit­tori” e con­sta di 475 pagine.

L’autore è Pa­sino Lo­ca­telli, pa­triota e de­mo­cra­tico, com­bat­tente alle 5 Gior­nate di Mi­lano, amico, so­dale e com­pa­gno in armi del più noto Ga­briele Ca­mozzi, il co­man­dante della ga­ri­bal­dina fa­mosa “Co­lonna Ca­mozzi”; pro­prie­ta­rio (o quanto meno com­pro­prie­ta­rio) del di­pinto di cui trat­tiamo (in­spie­ga­bil­mente Maz­zotta ne tace, ci­tando solo il fra­tello Gio­vanni Battista).

At­tivo nella cul­tura cit­ta­dina, Lo­ca­telli fu sem­pre molto at­tento alle vi­cende ar­ti­sti­che e nel 1883 di­venne di­ret­tore della “So­cietà di In­co­rag­gia­mento alle Arti Belle” di Ber­gamo.
Nell’immagine sa­ti­rica so­pra ri­por­tata (sca­tu­rita da una sua po­le­mica con l’Accademia Car­rara) Lo­ca­telli im­pu­gna una penna “all’ultimo san­gue” e uno scudo “Pro­gresso e No­vità”, a ri­prova del suo im­pe­gno pub­blico a fa­vore di un’arte in­no­va­tiva e at­tenta alle esi­genze sociali.

Tra i molti suoi scritti re­la­tivi alla pit­tura, nel 1891 pub­blicò l’utile e in­for­mato vo­lu­metto “I di­pinti di Lo­renzo Lotto nell’Oratorio Suardi in Tre­score Bal­nea­rio”.

Que­sta fi­gura di in­tel­let­tuale, ben noto, certo non me­dio­cre e buon co­no­sci­tore di Lotto, ha avuto, a pro­po­sito del di­pinto di cui trat­tiamo, un ben cu­rioso trat­ta­mento da parte della cri­tica d’arte:

— è l’unico che ab­bia de­scritto in un la­voro spe­ci­fico sui pit­tori ope­ranti in am­bito ber­ga­ma­sco un di­pinto con con­te­nuti de­ci­sa­mente coe­renti a quello espo­sto a Lecco;

— ed è an­che l’unico che — per la sto­ria di que­sto di­pinto — sia stato osten­ta­ta­mente igno­rato dalla cri­tica d’arte, a co­min­ciare da Be­ren­son, Banti/Boschetto, Zam­petti per con­ti­nuare con Lucco, Fra­cassi e fi­nire con Maz­zottaVa­la­gussa.

La cosa cu­riosa è che — a fronte del si­len­zio stu­pe­fa­cente di Maz­zotta e Va­la­gussa sulla sua de­scri­zione det­ta­glia­tis­sima del di­pinto Co­sta-Mez­zate — la sua opera sui pit­tori ber­ga­ma­schi (per un certo pe­riodo Lo­ca­telli, come molti al­tri, ri­tenne Lotto di ori­gini ber­ga­ma­sche), è stata ed è tut­tora molto ci­tata dalla cri­tica d’arte, a co­min­ciare dallo stesso Be­ren­son 1895 che an­che ne lodò espli­ci­ta­mente la qua­lità, pur non fa­cendo a sua volta al­cuna men­zione al con­tri­buto di Lo­ca­telli sul di­pinto con lo scoiattolo.

Tor­ne­remo più avanti su Lo­ca­telli e sulle ra­gioni del si­len­zio di Berenson.

4.4 / Ancora sulle censure bibliografiche: ignorato Giovan Battista Cavalcaselle.

Ci pare op­por­tuno ri­cor­dare an­che le in­te­res­santi e molto do­cu­men­tate note che a pro­po­sito del di­pinto Co­sta-Mez­zate ha ab­ba­stanza re­cen­te­mente pub­bli­cato una molto bril­lante cri­tica d’arte di Ber­gamo (Olga Pic­colo «Le opere di Lo­renzo Lotto a Ber­gamo. Que­stioni di cri­tica e mer­cato nei ma­no­scritti di Ca­val­ca­selle.», Saggi e Me­mo­rie di sto­ria dell’arte, n. 41, 2017, p. 179 e succ.).

Da parte no­stra ci li­mi­tiamo a farne una cer­nita, in­vi­tando il let­tore a leg­gere in­te­gral­mente i due te­sti di Pic­colo in cui si tratta del dipinto.

«Un caso par­ti­co­lar­mente si­gni­fi­ca­tivo […] è rap­pre­sen­tato dalla Ma­donna Ca­mozzi-Ver­tova. L’opera era stata vi­sta nella col­le­zione Ca­mozzi a Ber­gamo da Mündler nel 1857 che la aveva ri­te­nuta “af­fa­sci­nante”, se­gna­lando che già all’epoca era “pro­ba­bil­mente ot­te­ni­bile”.
Una de­cina di anni dopo, [Ca­val­ca­selle] la ri­cor­dava nei ma­no­scritti come in casa Giu­lini a Mi­lano (61) e nella Hi­story pre­ci­sava che non era stato pos­si­bile vi­sio­narla dal vivo [ndr: si tratta della “Hi­story of pain­ting in North Italy”, scritta a quat­tro mani da Ca­val­ca­selle con Jo­seph Ar­cher Crowe, Lon­dra, 1871].»
._______
Nota 61):
«Un qua­dro di pro­prietà di Ga­briele Ca­mozzi di Ber­gamo de­po­si­tato in casa del conte Giu­lini in Mi­lano pit­tura che non ab­biamo po­tuto ve­dere nelle di­verse volte pre­sen­tato alla casa Giu­lini quindi diamo que­ste re­la­zioni avute dal pro­prie­ta­rio.
“Il qua­dro è della di­men­sione in al­tezza di me­tri 0,74 pro­fon­dità 0,69. Porta il nome scritto in la­tino, ca­rat­tere cor­sivo, e la data 1532, scritto sull’orlo di un ta­volo che sop­porta la Ma­donna ed una cas­set­tina, che serve a so­ste­nere un guan­ciale, su cui tro­vasi il tim­bro [sic!]. Le fi­gure sono in nu­mero di quat­tro San Gio­vanni Bat­ti­sta – la Ma­donna il putto e S. Cat­te­rina. Il qua­dro tro­vasi nella sua re­la­tiva con­ser­va­zione, di­fetta forse di troppa ver­ni­cie, ma que­sta si po­trà to­gliere colla mas­sima fa­ci­lità, es­sendo di non troppa vec­chia data e che pol­ve­rizza fa­cil­mente».
Da que­sta re­la­zione voi pren­dete ciò che vi piace – Lo­ca­telli dice a pag. 91 che ha la data 1522 – il pro­prie­ta­rio mi manda in­vece l’anno 1532 – noi non pos­siamo giu­di­care senza ve­dere l’opera. […]”».

Olga Pic­colo così continua:

«Do­nata Levi ha reso noto un par­ti­co­lare in­te­res­sante con­te­nuto in uno dei diari di Bo­xall che at­tuò tre viaggi in Ita­lia tra il 1866 e il 1869 per pren­dere vi­sione di opere da ac­qui­sire per il mu­seo lon­di­nese. Alla data del 26 no­vem­bre 1869 Fe­de­rico Sac­chi, il se­gre­ta­rio pri­vato (e uf­fi­cio­sa­mente ad­vi­sor) del di­ret­tore in­glese, re­gi­strava sul dia­rio: Sac­chi andò a fare un ap­pun­ta­mento [a Fi­renze] col Ca­val­ca­selle per la sera […].“Il Ca­val­ca­selle poi parlò anzi pro­pose un di­pinto ad olio su tela di Lo­renzo Lotto da­tato e fir­mato (del 1522) di pro­prietà del Ca­va­lier Ca­mozzi [Ga­briele, NdR] di Ber­gamo da lui de­po­si­tato in casa del conte Giu­lini a Mi­lano.
Il Ca­mozzi poco tempo fa venne a Fi­renze e si rac­co­mandò a Ca­val­ca­selle per ve­dere se c’era un mezzo da ven­der bene il qua­dro — que­sti pro­mise di par­larne, ma poi udì che il Ca­mozzi in tre giorni morì di feb­bre ti­foi­dea a Ber­gamo — per cui non sa­peva a chi ri­vol­gersi per avere in­for­ma­zioni circa il qua­dro.
Sei giorni or sono però un […] amico di Ca­val­ca­selle, gli disse che il qua­dro era sem­pre a Mi­lano in casa Giu­lini, che la fa­mi­glia ver­sava in con­di­zioni eco­no­mi­che as­sai tri­sti, e che sa­rebbe di­spo­sta a ven­derlo an­che su­bito per quanto gli era stato detto, il che si sa­rebbe po­tuto ve­ri­fi­care da un ni­pote del conte Giu­lini qui a Fi­renze (63).
[…] Ca­val­ca­selle nei giorni suc­ces­sivi for­nirà al­tre in­di­ca­zioni per age­vo­lare la ven­dita del qua­dro, senza però es­serne di fatto di­ret­ta­mente coin­volto. Alla fine la trat­ta­tiva fal­lirà, […] (64).
_______
Nota 64) — Ca­val­ca­selle for­ni­sce a Bo­xall la de­scri­zione del qua­dro con­te­nuta ne­gli “Il­lu­stri Ber­ga­ma­schi” di Pa­sino Lo­ca­telli (1867), fa co­no­scere a Sac­chi il dot­tor Facco; que­sti co­mu­nica che in realtà il di­pinto era a Ber­gamo, ma era stato dato in pe­gno al conte Giu­lini per de­nari da lui pre­stati a Ga­briele Ca­mozzi. I Giu­lini non in­ten­de­vano però ce­dere il di­pinto se non die­tro l’esborso della stessa ci­fra pre­stata. Alla fine i Ca­mozzi ri­fe­ri­ranno a Bo­xall che pre­fe­ri­vano so­spen­dere la trattativa […].

Come si vede, sulla sto­ria del di­pinto espo­sto a Lecco c’era da dire ve­ra­mente molto ma gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra e i loro cri­tici di ri­fe­ri­mento hanno pre­fe­rito non dirne quasi nulla, igno­rando il con­tri­buto di il­lu­stri cri­tici d’arte del pas­sato ma an­che dei loro bril­lanti col­le­ghi di oggi.

Diamo un sug­ge­ri­mento: in uno dei We­bi­nar de­di­cati al di­pinto dalla Cu­ria lec­chese e da­gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra, sa­rebbe bello in­ter­ve­nisse un rap­pre­sen­tante della pro­prietà a nar­rarci le in­te­res­santi vi­cende — an­che vi­cine alla vita della gio­vane Ita­lia ri­sor­gi­men­tale — at­tra­verso cui il di­pinto di cui ci oc­cu­piamo è riu­scito a giun­gere a noi a quasi cin­que se­coli della sua crea­zione nello splen­dido stato de­scritto da­gli or­ga­niz­za­tori e dallo stesso Gio­vanni Frangi, in­can­tato dalla fre­schezza in­con­ta­mi­nata del suo colore.

5. Assolutamente infondato il richiamo a Berenson ma da tutti acriticamente fatto proprio.

5.1 / Mazzotta: «Il primo a discutere criticamente il dipinto è Bernard Berenson, 1895.»

Come ab­biamo già più volte an­ti­ci­pato, il ri­fe­ri­mento a Be­ren­son da parte di Maz­zotta (e del sito Web dell’evento) è pur­troppo del tutto in­fon­dato an­cor­ché nel solco di una con­so­li­data vul­gata cui la crème de la crème della cri­tica in­ter­na­zio­nale si è al­li­neata, pro­prio come le pe­core di Dante (o di Man­zoni, se pre­fe­rite).
Ve­diamo ora di il­lu­strare il perché.

Per co­mo­dità del let­tore, ri­pe­tiamo il già ci­tato brano di Maz­zotta sul Ca­ta­logo della mo­stra (p. 22, evi­den­zia­zioni nostre):

«Il primo a di­scu­tere cri­ti­ca­mente il di­pinto è Ber­nard Be­ren­son nella sua ce­le­bre mo­no­gra­fìa lot­te­sca del 1895. Lo stu­dioso ame­ri­cano di ori­gine li­tuana ha inol­tre il me­rito di col­le­garlo a una si­mile com­po­si­zione al­lora nelle rac­colte lon­di­nesi di Mar­tin Col­na­ghi, e oggi alla Na­tio­nal Gal­lery di Londra.»

Data la plu­ri­de­cen­nale se­di­men­ta­zione di una scon­cer­tante in­ca­pa­cità di let­tura (nel senso pro­prio del ter­mine), che ve­dremo co­mune an­che agli or­ga­niz­za­tori di que­sta mo­stra di Lecco, è op­por­tuno pro­ce­dere in modo si­ste­ma­tico, per­cor­rendo quat­tro tappe: Be­ren­son 1895; Be­ren­son 1932-36; Banti / Bo­schetto / Zam­petti 1953; Be­ren­son 1955.

5.2 / Berenson, 1895.
Monografia “Lorenzo Lotto”.

Nel 1895, dopo ol­tre tre anni di com­plessa e più volte ri­vi­sta scrit­tura, Ber­n­hard Be­ren­son pub­blicò la mo­no­gra­fia “Lo­renzo Lotto. An es­say in con­struc­tive art cri­ti­cism” (New York-Lon­don, 1895).

È op­por­tuno sot­to­li­neare che per il tren­tenne Be­ren­son si trat­tava al­lora del suo la­voro più im­pe­gna­tivo.
Di esso egli tenne a sot­to­li­neare l’affidabilità af­fer­mando di «avere vi­sto di per­sona tutte le opere di Lotto da lui de­scritte» (vedi sia la Pre­fa­zione della mo­no­gra­fia stessa, sia, in modo an­cora più espli­cito, la “Pre­fa­zione” dell’altro suo te­sto “The Ve­ne­tian pain­ters of the re­nais­sance” ap­parso anch’esso nel 1895).

Sua in­ten­zione era in­fatti di of­frire alla cri­tica in­ter­na­zio­nale uno stru­mento che con­sen­tisse di at­tri­buire a Lotto le opere ef­fet­ti­va­mente da lui pro­dotte — e ciò senza al­cuna incertezza.

La mo­no­gra­fia, edita solo in lin­gua in­glese (non verrà mai tra­dotta in ita­liano), ne con­fermò la ap­pro­fon­dita co­no­scenza della pit­tura ita­liana ri­na­sci­men­tale e gli as­si­curò un po­sto di ri­lievo nel mondo della cri­tica d’arte.
Pro­pe­deu­tico an­che all’ingresso nel lu­croso e pe­ri­glioso mondo della in­ter­me­dia­zione com­mer­ciale d’arte (al me­dia­tore an­dava dal 5 al 10% del va­lore dell’opera in­ter­me­diata) do­mi­nata ai primi del ’900 dai mi­liar­dari sta­tu­ni­tensi.
Be­ren­son po­teva con­tare sulla ben for­nita borsa di Isa­bella Stewart Gard­ner con la quale co­min­ciò a con­clu­dere i suoi primi ri­le­vanti af­fari di intermediazione.

Porsi come co­no­sci­tore di­retto e pre­ciso delle opere d’arte era per il gio­vane cri­tico una con­di­zione in­di­spen­sa­bile non solo per af­fer­marsi come stu­dioso ma an­che per po­tere par­te­ci­pare al ban­chetto della espor­ta­zione lu­crosa (an­cor­ché in molti casi il­le­gale) delle opere d’arte dal no­stro Paese verso gli USA in quel fine ’800 inizi ’900.

È op­por­tuno an­che avere chiaro che Be­ren­son rea­lizzò tutti i suoi la­vori di quel pe­riodo con la si­ste­ma­tica e de­ci­siva col­la­bo­ra­zione di Mary Whi­tall Smith.
Que­sta bril­lante cit­ta­dina sta­tu­ni­tense, com­pa­gna di vita, di la­voro e di stu­dio di Be­ren­son deve es­sere con­si­de­rata a tutti gli ef­fetti co-au­trice dei suoi li­bri, so­prat­tutto in quei primi anni di at­ti­vità, no­no­stante il suo nome non com­paia mai sulle co­per­tine delle opere di Be­ren­son, e ciò esclu­si­va­mente per un ri­spetto alle con­ve­nienze sociali.

Mary era in­fatti spo­sata dal 1885 a B.F.C. “Frank” Co­stel­loe con cui ebbe due fi­glie e che morì nel 1899. Con Be­ren­son col­tivò quindi per anni una re­la­zione nota a tutti ma te­nuta su un re­gi­stro di uf­fi­ciale clandestinità.

Quando par­le­remo di Be­ren­son fino al 1945 (in quell’anno morì Mary), in­ten­diamo quindi par­lare sem­pre della cop­pia Ber­n­hard / Mary: due te­ste molto bene al­le­nate e quat­tro oc­chi, per­fet­ta­mente funzionanti.

5.3 / Madonne e Sante avvenenti e benissimo vestite.

Nella mo­no­gra­fia lot­te­sca del 1895, nel con­si­de­rare la pro­du­zione di Lotto nel 1522 (pp. 186-187), Be­ren­son espose in modo chiaro una sua idea de­ci­sa­mente ori­gi­nale e niente af­fatto banale.

Se­condo il cri­tico sta­tu­ni­tense, in quell’anno 1522 Lotto avrebbe spe­ri­men­tato un ge­nere par­ti­co­lar­mente raf­fi­nato, ca­rat­te­riz­zato dalla fi­gura della Ma­donna e di Sante, molto av­ve­nenti e ve­stite con ri­cer­ca­tezza, pre­sen­tate con uno stile al­ta­mente so­fi­sti­cato.
[«The year 1522 is re­pre­sen­ted by th­ree da­ted works, all of the same pe­cu­liarly dainty type, in which the Ma­donna or fe­male saints are beau­ti­fully dres­sed, lo­vely wo­men, trea­ted in a way bor­de­ring on hi­ghly re­fi­ned genre»].

In­vi­tiamo il let­tore a fis­sare nella me­mo­ria que­sto ori­gi­nale ap­proc­cio di Berenson:

nel 1522, a Ber­gamo, Lotto pro­dusse al­meno tre di­pinti il cui ele­mento più evi­dente non è un qual­si­vo­glia ri­chiamo alla re­li­gio­sità ma l’avvenenza e la ele­ganza nell’abbigliamento della Ma­donna e di Santa Caterina.

5.4 / Tre le opere del filone “avvenenza e ricercatezza” citate da Berenson.

A il­lu­stra­zione della sua idea sull’esperimento di rap­pre­sen­ta­zioni mon­dane di Sante Fi­gure che avrebbe svi­lup­pato Lotto nel 1522, Be­ren­son (senza ri­por­tarne la raf­fi­gu­ra­zione) ri­chiama tre di­pinti, a co­min­ciare da quello che ri­tiene il più “af­fa­sci­nante” (usa l’espressione “the most char­ming”) e che la cri­tica d’arte da ol­tre cento anni con­si­dera la prima ci­ta­zione con­tem­po­ra­nea del Costa-Mezzate.

5.5 / Primo dipinto – Costa di Mezzate
MARRIAGE OF STCATHERINE.

Be­ren­son (p. 186-187, evi­den­zia­zioni nostre):

«Ca­stello di Co­sta di Mez­zate (near Gor­lago Sta­tion). Mar­riage of St. Ca­the­rine.
In­scri­bed, in script: Lau­ren­tius Lo­tus, 1522. Fi­gu­res half life-size and ra­ther more than half length. Men­tio­ned by Tassi (Vite, vol. 1., p. 125) as being in Casa Pez­zoli, at Ber­gamo.
The Ma­donna leans back as if she were a lit­tle ti­red, and wat­ches the play bet­ween the Child and the beau­ti­ful St. Ca­the­rine.
The Ma­donna her­self is more beau­ti­ful still. She has gol­den-brown hair and soft brown eyes, and in type is half way bet­ween the Ma­donna of 1521, and the one in the Mar­riage of St. Ca­the­rine of 1523, to which we shall come pre­sen­tly.
St. Ca­the­rine wears pearls and jewels in her am­ber-brown hair, and is wrea­thed with lau­rel and pe­ri­win­kle. The co­lou­ring is bright and clear.».

Diamo la no­stra traduzione:

«Ca­stello di Co­sta di Mez­zate (vi­cino alla sta­zione di Gor­lago). Spo­sa­li­zio di Santa Ca­te­rina.
In­scritta la di­ci­tura: Lau­ren­tius Lo­tus, 1522. Fi­gure a metà del na­tu­rale per poco più di metà al­tezza.
Men­zio­nato da Tassi (Vite, vol. 1, p. 125) come pre­sente in Casa Pez­zoli, a Ber­gamo.
La Ma­donna si ap­pog­gia in­die­tro come se fosse un poco stanca, e guarda il gioco che si svolge tra il Bam­bino e la bel­lis­sima Santa Ca­te­rina.
La Ma­donna è essa stessa an­cora più bella. Ha i ca­pelli ca­stano-do­rati e dolci oc­chi bruni; come tipo è esat­ta­mente a mezza via tra la Ma­donna del 1521 e la Ma­donna delle Nozze di Santa Ca­te­rina del 1523, che ve­dremo tra breve.
Santa Ca­te­rina porta perle e gio­ielli nella sua ca­pi­glia­tura ca­stano-am­brata, ed è in­ghir­lan­data di al­loro e per­vinca. I co­lori sono chiari e puri.»

Qui mo­striamo i di­pinti di Lotto cui si ri­fe­ri­sce Be­ren­son con le espres­sioni “Ma­donna del 1521” e “Ma­donna delle Nozze di Santa Ca­te­rina del 1523”: si tratta della “Ma­donna con Bam­bino e i Santi Rocco e Se­ba­stiano”, 1521 (Ot­tawa, Ca­nada) e delle “Nozze mi­sti­che di Santa Ca­te­rina con il do­na­tore Nic­colò Bor­ghi”, 1523 (Ac­ca­de­mia Car­rara, Ber­gamo): se­condo Be­ren­son la Ma­donna di Co­sta di Mez­zate da lui de­scritta stava “a mezza via” tra le due Ma­donne rap­pre­sen­tate in quei due dipinti.

Prima di pas­sare agli aspetti de­scrit­tivi di que­sta scheda di Be­ren­son del 1895, ne sot­to­li­neiamo una solo ap­pa­rente incongruenza.

Come unica fonte bi­blio­gra­fica Be­ren­son cita il Tassi (per co­mo­dità ne ri­por­tiamo il brano: «una pre­gia­tis­sima opera [dell’anno 1522, in cui] è espressa la Ver­gine col Bam­bino in seno tra Santa Cat­ta­rina, e San Giambattista»).

Come è evi­dente, Tassi è ge­ne­rico e la sua de­scri­zione po­trebbe adat­tarsi a più di­pinti; è co­mun­que nor­male che Be­ren­son ne fac­cia menzione.

La ap­pa­rente in­con­gruenza è in­vece che Be­ren­son ignori Lo­ca­telli il quale, a dif­fe­renza di Tassi, non è af­fatto ge­ne­rico ma anzi molto det­ta­gliato sulla com­po­si­zione del di­pinto, come ab­biamo già ri­cor­dato sopra:

«La tela qua­dran­go­lare di casa Ca­mozzi, con mezze fi­gure un terzo al vero, se pure si può bene ri­le­vare l’ultimo nu­mero dell’anno, che v’è se­gnato, do­vrebbe es­sere del 1522.
La Ma­donna tiene il fi­glio in piedi so­pra un co­fano di le­gno con ma­nico d’acciajo: a de­stra ha S. Gio­vanni, a si­ni­stra S. Ca­te­rina. Quest’ultima porta de’ vezzi nelle chiome e stringe fra le brac­cia uno sco­jatto.»

An­ti­ci­piamo che que­sto si­len­zio di Be­ren­son non è af­fatto fuori luogo: Tassi e Lo­ca­telli par­lano in­fatti di due di­pinti di­versi — ma di que­sto ve­dremo me­glio più sotto.

Pas­sando alla de­scri­zione di Be­ren­son, chie­diamo al let­tore di fis­sare i ter­mini ine­qui­vo­ca­bili da lui usati nel 1895 per de­scri­vere la Ma­donna e Santa Caterina.

La Ma­donna:
— “si ap­pog­gia in­die­tro”, e
— “guarda il gioco che si svolge” tra il Bam­bino e Caterina.

Dal canto suo, Santa Ca­te­rina:
— porta “perle e gio­ielli”, ed è
— in­ghir­lan­data di “al­loro e per­vinca”.

5.6 / Seconda opera – Londra
Madonna e Santi.

Ri­cor­dando che in que­ste tre pa­gine della sua opera, Be­ren­son ri­porta esempi di un “ge­nere” di pit­tura da lui de­fi­nito “raf­fi­nato” (non è alla ri­cerca di re­pli­che, co­pie, o al­tro), pas­siamo al se­condo esem­pio di Ma­donna bella ed ele­gante da lui pro­po­sto (p. 187, ne diamo solo la no­stra tra­du­zione, il te­sto in­glese è già stato ri­por­tato sopra):

«La stessa Ma­donna ap­pare in un di­pinto che ha molto sof­ferto ed è stato re­stau­rato con ac­qua­rello ma ri­mane co­mun­que pia­ce­vole:
Lon­dra, Mrs. Mar­tin Col­na­ghi. Ma­donna e Santi.
La Ma­donna è se­duta da­vanti a un ten­dag­gio verde, aperto su un se­reno pae­sag­gio che ap­pare a si­ni­stra [ndr: del ri­guar­dante] tra San Ge­ro­lamo e Sant’Antonio da Pa­dova [ndr: San Ni­cola da To­len­tino], in abito gri­gio, che tiene nella mano un lungo stelo di gi­glio bianco.
Fi­gure al gi­noc­chio, metà del reale.»

Il let­tore ri­corda certo che quella “stessa Ma­donna”, ci­tata da Be­ren­son, è quella del “cu­gino” che ab­biamo già mo­strato e che ri­pro­po­niamo per co­mo­dità (ai tempi di Be­ren­son nella col­le­zione Col­na­ghi di Lon­dra, oggi alla Na­tio­nal Gal­lery della ca­pi­tale inglese).

Dalle pa­role di Be­ren­son ap­pare chiaro che egli non era in­te­res­sato a co­gliere una qual­che vi­ci­nanza strut­tu­rale tra i due di­pinti (quello da lui vi­sto a Co­sta di Mez­zate e quello della col­le­zione Col­na­ghi di Lon­dra).
Ri­le­vava solo la forte so­mi­glianza di un ele­mento co­mune ai due — egli ad­di­rit­tura scri­veva “la stessa Madonna”.

Del re­sto è ov­vio: Be­ren­son diede al di­pinto da lui de­scritto il ti­tolo “Spo­sa­li­zio di Santa Ca­te­rina” per­ché — evi­den­te­mente — que­sto rap­pre­sen­tava ine­qui­vo­ca­bil­mente il mo­mento della mi­stica unione tra la Santa e il Bambino.

Ma nel di­pinto di Lon­dra, in cui egli rav­vi­sava “la stessa Ma­donna” di quello che lui de­scri­veva, non c’è al­cuna trac­cia né di ma­tri­mo­nio né della stessa Santa Ca­te­rina.
Ai lati della Ma­donna e del Bam­bino ci sono in­fatti il vec­chio San Gi­ro­lamo e il gio­vane San Ni­cola da To­len­tino, di cui Be­ren­son non fece menzione.

Così come ignorò la ine­dita co­stru­zione “cas­sa­panca / cas­setta / cu­scino” su cui in Lon­dra si ar­ti­cola il blocco cen­trale “Ma­donna / Bam­bino” e che da qua­ranta anni oggi co­sti­tui­sce il cen­tro dell’attenzione della critica.

5.7 / Terza opera – San Pietroburgo.
Santa Caterina.

Be­ren­son ci de­scrive poi il terzo tipo di donna “bella ed ele­gante” che egli rav­visa nel di­pinto da lui vi­sto al Ca­stello di Co­sta di Mezzate.

Que­sta volta non si tratta della Ma­donna ma di Santa Ca­te­rina.
Di que­sta al­tra espres­sione di un “tipo”, Be­ren­son ci dice di non avere po­tuto ve­dere l’originale ma solo una sua in­ci­sione (p. 187, tra­du­zione nostra):

«Ma an­che più de­li­cata e raf­fi­nata, un Si­mone Mar­tini o un Cri­velli am­bien­tati nel Cin­que­cento, deve es­sere una Santa Ca­te­rina, a me nota solo at­tra­verso un’incisione:
San Pie­tro­burgo, Col­le­zione Leu­ch­ten­berg. Santa Ca­te­rina.
La santa reca una co­rona in­gio­iel­lata e perle tra i ca­pelli; ha il capo leg­ger­mente in­cli­nato a de­stra men­tre la fi­gura lo è un po’ a si­ni­stra; in­cro­cia le mani sulla ruota [188] che a ma­la­pena la­scia scor­gere il pa­ra­petto die­tro il quale la santa è in piedi. Nella mano de­stra tiene un ramo di palma, sot­tile e ag­gra­ziato come nella S. Giu­stina di Al­vise.
In­scritta è la di­ci­tura: Lau­ren­tius Lo­tus, 1522. Mezza al­tezza.
In­ciso da N. Mu­xel nel sua opera sulla Gal­le­ria Leu­ch­ten­berg. Jo­seph Baer, Fran­co­forte, 1852.»

Qui ri­por­tiamo sia l’incisione cui fa­ceva ri­fe­ri­mento Be­ren­son (ma senza che egli ne mo­strasse l’immagine) sia il di­pinto ori­gi­nale su cui fu ri­presa l’incisione stessa.

Da no­tare che Santa Ca­te­rina in­dossa esat­ta­mente la me­de­sima ve­ste rossa già in­dos­sata dalle Ma­donne nelle tre va­rianti Bo­ston, Lon­dra, Co­sta-Mez­zate, a ri­prova di come Be­ren­son fosse gui­dato nella sua ana­lisi da mo­tivi pu­ra­mente este­tici e sti­li­stici, con nes­suna at­ten­zione sia alla com­po­si­zione strut­tu­rale dei di­pinti da lui de­scritti sia ai loro sup­po­sti con­te­nuti spi­ri­tuali o culturali.

5.8 / Indispensabile una onesta riflessione.

Fac­ciamo un pic­colo passo in­die­tro, verso la prima Ma­donna de­scritta da Be­ren­son, quella dello “Spo­sa­li­zio di Santa Ca­te­rina” del Ca­stello di Co­sta di Mez­zate — di cui ri­por­tiamo i passi di im­me­diato interesse:

«The Ma­donna leans back as if she were a lit­tle ti­red, and wat­ches the play bet­ween the Child and the beau­ti­ful St. Ca­the­rine. [ecc.]».
(La Ma­donna si ap­pog­gia in­die­tro come se fosse un poco stanca, e guarda ciò che ac­cade tra il Bam­bino e la bel­lis­sima Santa Caterina.»).

Chie­diamo al let­tore di con­fron­tare que­sta de­scri­zione con il di­pinto in mo­stra a Lecco e di ri­spon­dere tra sé e sé a cin­que sem­plici domande.

5.9 / Primo: qual è il tono generale del dipinto?

Il let­tore, guar­dando il di­pinto Co­sta-Mez­zate, in que­sti mesi espo­sto a Lecco, vi trova al­cun­ché di “ma­tri­mo­niale” tra il Bam­bino e Santa Ca­te­rina, come è sot­tin­teso nel ti­tolo da­to­gli da Be­ren­son (Mar­riage of St. Ca­the­rine), op­pure vi trova altro?

Solo a ti­tolo di esem­pio, Va­la­gussa e Maz­zotta (ma molti al­tri già 40 anni prima di loro) ci ve­dono una forte pre­di­zione della morte tra­gica del Bam­bino; sono quindi piut­to­sto lon­tani dal ve­dervi se­gni di un qual­che con­te­sto “ma­tri­mo­niale”.

E in­fatti, il ti­tolo con cui il di­pinto è pre­sen­tato al pub­blico da quasi 100 anni non è quello usato da Be­ren­son — “Spo­sa­li­zio di Santa Ca­te­rina” — ma “Ma­donna con Bam­bino tra i Santi Gio­vanni Bat­ti­sta e Ca­te­rina”: nel tempo qual­siasi trac­cia del “ma­tri­mo­nio” ri­cor­dato da Be­ren­son è stato quindi can­cel­lato.
Per­ché?
E per­ché Be­ren­son avrebbe do­vuto in­di­care come “Spo­sa­li­zio” una scena in cui Santa Ca­te­rina com­pare ma senza al­cun ri­fe­ri­mento al suo par­ti­co­lare le­game con il Bambino?

Non di­men­ti­chiamo che in mol­tis­simi di­pinti coevi a Lotto — e an­che dello stesso Lotto — Santa Ca­te­rina com­pare as­sieme ad al­tri Santi at­torno alla Ma­donna e al Bam­bino ma senza che mai a nes­suno sia ve­nuto in mente di in­di­carli come “spo­sa­lizi” (qui mo­striamo tre opere di Lotto in cui S. Ca­te­rina è pre­sen­tata a lato di Ma­donna e Bam­bino ma non nel qua­dro di un rap­porto “mi­stico-ma­tri­mo­niale” con quest’ultimo).

5.9 / Primo: qual è il tono generale del dipinto?

Il let­tore, guar­dando il di­pinto Co­sta-Mez­zate, in que­sti mesi espo­sto a Lecco, vi trova al­cun­ché di “ma­tri­mo­niale” tra il Bam­bino e Santa Ca­te­rina, come è sot­tin­teso nel ti­tolo da­to­gli da Be­ren­son (Mar­riage of St. Ca­the­rine), op­pure vi trova altro?

Solo a ti­tolo di esem­pio, Va­la­gussa e Maz­zotta (ma molti al­tri già 40 anni prima di loro) ci ve­dono una forte pre­di­zione della morte tra­gica del Bam­bino; sono quindi piut­to­sto lon­tani dal ve­dervi se­gni di un qual­che con­te­sto “ma­tri­mo­niale”.

E in­fatti, il ti­tolo con cui il di­pinto è pre­sen­tato al pub­blico da quasi 100 anni non è quello usato da Be­ren­son — “Spo­sa­li­zio di Santa Ca­te­rina” — ma “Ma­donna con Bam­bino tra i Santi Gio­vanni Bat­ti­sta e Ca­te­rina”: nel tempo qual­siasi trac­cia del “ma­tri­mo­nio” ri­cor­dato da Be­ren­son è stato quindi can­cel­lato.
Per­ché?
E per­ché Be­ren­son avrebbe do­vuto in­di­care come “Spo­sa­li­zio” una scena in cui Santa Ca­te­rina com­pare ma senza al­cun ri­fe­ri­mento al suo par­ti­co­lare le­game con il Bambino?

Non di­men­ti­chiamo che in mol­tis­simi di­pinti coevi a Lotto — e an­che dello stesso Lotto — Santa Ca­te­rina com­pare as­sieme ad al­tri Santi at­torno alla Ma­donna e al Bam­bino ma senza che mai a nes­suno sia ve­nuto in mente di in­di­carli come “spo­sa­lizi” (o “mar­riage”).

Qui mo­striamo tre opere di Lotto in cui S. Ca­te­rina è pre­sen­tata a lato di Ma­donna e Bam­bino ma — in modo espli­cito — as­so­lu­ta­mente NON nel qua­dro di un rap­porto “mi­stico-ma­tri­mo­niale” con quest’ultimo).

O si pensa che Lotto non fosse in grado di raffigurare in modo appropriato un vero “Sposalizio Mistico”?

Se qual­cuno ha dubbi in pro­po­sito, ri­cor­diamo tre esempi il­lu­stri della ca­pa­cità di rap­pre­sen­ta­zione “ma­tri­mo­niale”’ di Lotto.

Oppure qualcuno pensa che Berenson non fosse in grado di distinguere tra queste due situazioni così diverse?
Oppure che “si tratta solo di un errore veniale”, come dice Mazzotta, con audace sprezzo del ridicolo?

5.10 / Secondo: qual è la postura della Madonna?

È “ap­pog­giata all’indietro“, come scritto da Be­ren­son, [“The Ma­donna leans back”] op­pure è se­duta di sghembo e in­cli­nata verso l’avanti con una tor­sione del bu­sto verso la pro­pria si­ni­stra, come può con­sta­tare fa­cil­mente an­che un ine­sperto osservatore?

In in­glese “to lean back” non ha mille si­gni­fi­cati: in­dica esat­ta­mente il no­stro “ap­pog­giarsi in­die­tro”.

Ma nel Co­sta-Mez­zate — pro­prio al con­tra­rio — la Ma­donna è in­cli­nata verso l’avanti — o c’è qual­cuno che la vede “ap­pog­giata all’indietro”?

Più avanti ve­dremo come nel 1955 (60 anni dopo quindi), nella terza edi­zione della mo­no­gra­fia su Lotto (la tra­du­zione ita­liana è di Luisa Ver­tova e uscì un anno prima della ver­sione in­glese), a fronte di que­sta evi­dente con­trad­di­zione Be­ren­son scelse di dare un colpo al cer­chio e uno alla botte:
— nella ver­sione ita­liana (zitto zitto) cam­biò la de­scri­zione della po­stura e scrisse: «La Ver­gine siede ap­pog­gian­dosi di lato»;
— nella ver­sione in­glese in­vece la­sciò l’originale “leans back”.
Ge­niale!

5.10 / Secondo: qual è la postura della Madonna?

È “ap­pog­giata all’indietro“, come scritto da Be­ren­son, [“The Ma­donna leans back”] op­pure è se­duta di sghembo e in­cli­nata verso l’avanti con una tor­sione del bu­sto verso la pro­pria si­ni­stra, come può con­sta­tare fa­cil­mente an­che un ine­sperto osservatore?

In in­glese “to lean back” non ha mille si­gni­fi­cati: in­dica esat­ta­mente il no­stro “ap­pog­giarsi in­die­tro”.

Ma nel Co­sta-Mez­zate — pro­prio al con­tra­rio — la Ma­donna è in­cli­nata verso l’avanti — o c’è qual­cuno che la vede “ap­pog­giata all’indietro”?

Più avanti ve­dremo come nel 1955 (60 anni dopo quindi), nella terza edi­zione della mo­no­gra­fia su Lotto (la tra­du­zione ita­liana è di Luisa Ver­tova e uscì un anno prima della ver­sione in­glese), a fronte di que­sta evi­dente con­trad­di­zione Be­ren­son scelse di dare un colpo al cer­chio e uno alla botte:
— nella ver­sione ita­liana (zitto zitto) cam­biò la de­scri­zione della po­stura e scrisse: «La Ver­gine siede ap­pog­gian­dosi di lato»;
— nella ver­sione in­glese in­vece la­sciò l’originale “leans back”.
Ge­niale!

An­che qui qual­cuno po­trebbe pen­sare che Be­ren­son con l’età (nel 1955 aveva 85 anni) si fosse un po’ rin­ci­trul­lito.
A parte il non senso dell’espressione “è se­duta ap­pog­gian­dosi di lato” (un modo forse ri­te­nuto ele­gante per dire “se­duta di sbieco su una chiappa”), c’è una bella dif­fe­renza tra “ap­pog­gian­dosi di lato” e “ap­pog­giata in­die­tro”.
O no?

Per la ve­rità noi pre­fe­riamo pen­sare a un Be­ren­son un po­chino op­por­tu­ni­sta che a un Be­ren­son rim­be­cil­lito — ma di que­sto me­glio più avanti.

5.11 / Terzo: dove è rivolto lo sguardo della Madonna?

Chie­diamo al let­tore: la Ma­donna guarda ciò che si svolge tra il Bam­bino e la bella Santa Ca­te­rina, come scrive Be­ren­son [“wat­ches the play bet­ween”] op­pure guarda verso di noi, come è del tutto evidente?

An­che qui, c’è qual­cuno che in­vece la vede guar­dare Bam­bino e Ca­te­rina?
.

O dobbiamo pensare che i Berenson soffrissero di allucinazioni?
O che non sapessero esprimersi in inglese?

5.12 / Quarto: da cosa è inghirlandata Santa Caterina?

Per ri­spon­dere a que­sta do­manda è op­por­tuno guar­dare con un mag­gior det­ta­glio il capo della Santa di Ales­san­dria nel Co­sta-Mez­zate e ri­cor­dare i ter­mini uti­liz­zati da Be­ren­son per de­scri­vere nel 1895 la Santa nel suo “Mar­riage of St. Ca­the­rine”:

«St. Ca­the­rine wears pearls and jewels in her am­ber-brown hair, and is wrea­thed with lau­rel and pe­ri­win­kle
[Santa Ca­te­rina porta perle e gio­ielli nella ca­pi­glia­tura ca­stano-am­brata, ed è in­ghir­lan­data di al­loro e per­vinca.]

Chie­diamo al let­tore: la ghir­landa è di ALLOROPERVINCA, come scrisse Be­ren­son nel 1895, op­pure è di SOLA PERVINCA, come è chia­ra­mente vi­si­bile nel Costa-Mezzate?

La ri­spo­sta è nei no­stri oc­chi: Lotto ha rap­pre­sen­tato solo la pervinca!

Se non ci fi­diamo dei no­stri oc­chi, ab­biamo la for­tuna di po­tere go­dere an­che del pa­rere au­to­re­vole di un pro­met­tente gio­vane stu­dioso e cri­tico dell’arte: par­liamo del già più volte ci­tato An­to­nio Mazzotta.

Nel suo con­tri­buto al Ca­ta­logo della mo­stra di Lecco, Maz­zotta così scrive (p. 25, evi­den­zia­zioni nostre):

«La Santa Ca­te­rina d’Alessandria ha la te­sta cinta da un ramo fio­rito di per­vinca (fig. 5), una pianta che sim­bo­leg­giava la fe­deltà. Dal ramo pende un pre­zio­sis­simo gio­iello con un ru­bino e una perla. […] Lotto ha cinto di per­vin­che – con la stessa va­lenza sim­bo­lica – le te­ste di al­tre sante martiri […]»

Maz­zotta è molto pre­ciso nel cir­co­stan­ziare le scelte bo­ta­ni­che di Lotto: nel di­pinto espo­sto a Lecco Lotto usa solo per­vin­che, nel suo di­pinto dell’alloro non vi è nep­pure il pro­fumo.

Ma nel “Mar­riage of St. Ca­the­rine” Be­ren­son in­dicò con pre­ci­sione la pre­senza an­che dell’alloro («is wrea­thed with lau­rel and pe­ri­win­kle») che al­le­go­ri­ca­mente è sim­bolo del mar­ti­rio, o della vit­to­ria eterna della Chiesa, se preferite.

5.13 / Quinto: da cosa è adornata Santa Caterina?

An­che per que­sta do­manda è op­por­tuno ri­guar­dare l’immagine del volto di Ca­te­rina, ap­pena più so­pra riportata.

Chie­diamo al let­tore: la Santa è ador­nata da “pearls and jewels” [perle e gio­ielli, in in­glese il plu­rale fun­ziona come per l’italiano] come scrisse Be­ren­son nel 1895, op­pure da un solo gio­iello for­mato da UNA pie­tra pre­ziosa e una perla, come è ben vi­si­bile nel Costa-Mezzate?

D’altra parte è d’accordo con noi an­che Maz­zotta che in­fatti ha scritto: «Dal ramo pende un pre­zio­sis­simo gio­iello con un ru­bino e una perla.»

È chiaro che quando Lotto vo­leva sfog­giare la sua abi­lità nel rap­pre­sen­tare gio­ielli e perle (al plu­rale) sa­peva be­nis­simo come fare.

An­che per que­sta do­manda è op­por­tuno ri­guar­dare l’immagine del volto di Ca­te­rina, ap­pena più so­pra riportata.

Chie­diamo al let­tore: la Santa è ador­nata da “pearls and jewels” [perle e gio­ielli, in in­glese il plu­rale fun­ziona come per l’italiano] come scrisse Be­ren­son nel 1895, op­pure da un solo gio­iello for­mato da UNA pie­tra pre­ziosa e una perla, come è ben vi­si­bile nel Costa-Mezzate?

D’altra parte è d’accordo con noi an­che Maz­zotta che in­fatti ha scritto: «Dal ramo pende un pre­zio­sis­simo gio­iello con un ru­bino e una perla.»

È chiaro che quando Lotto vo­leva sfog­giare la sua abi­lità nel rap­pre­sen­tare gio­ielli e perle (al plu­rale) sa­peva be­nis­simo come fare.

5.14 / Ben cinque gli elementi oggettivi di differenziazione: che si vuole di più?

Ab­biamo quindi in­di­vi­duato ben CINQUE ele­menti in base ai quali pos­siamo tran­quil­la­mente af­fer­mare che il di­pinto de­scritto da Be­ren­son nella sua mo­no­gra­fia su Lotto del 1895 NON è iden­ti­fi­ca­bile con il Co­sta-Mez­zate in que­sti mesi espo­sto a Lecco.

Ri­ca­pi­to­liamo i 5 ele­menti, per­fet­ta­mente og­get­tivi, che chiun­que, an­che ine­sperto d’arte, può ve­ri­fi­care con i pro­pri occhi.

Nel di­pinto de­scritto da Be­ren­son ab­biamo una Ma­donna che:

1. è ap­pog­giata all’indietro (men­tre nel Co­sta-Mez­zate è in­cli­nata in avanti);
.
2. guarda ciò che av­viene tra il Bam­bino e Santa Ca­te­rina (nel Co­sta-Mez­zate in­vece guarda noi);
.
3. è in un con­te­sto che Be­ren­son giu­di­cava “ma­tri­mo­niale”, tanto da in­ti­to­larlo “Mar­riage of St. Ca­the­rine” (nel Co­sta-Mez­zate non c’è pro­prio nulla di matrimoniale).

La Santa Ca­te­rina dal canto suo:

4. ha un serto di per­vin­che e al­loro (nel Co­sta-Mez­zate, solo di per­vin­che);
.
5. porta — at­tenti al plu­rale — gio­ielli e perle (nel Co­sta-Mez­zate solo un gio­iello for­mato da un ru­bino e una perla).

5.15 / Evidente almeno un’altra anomalia.

An­che il let­tore più di­stratto, al­ler­tato forse dalle no­stre os­ser­va­zioni, si sarà reso conto di al­tra evi­dente ano­ma­lia ri­scon­tra­bile nella de­scri­zione di Berenson.

Que­sti in­fatti non fa al­cun ri­fe­ri­mento né al blocco “cas­sa­panca-cas­setta-cu­scino” (ca­rat­te­ri­stico sia del Co­sta-Mez­zate sia di Bo­ston e di Lon­dra) né allo sco­iat­tolo, en­trambi (evi­den­te­mente per ra­gioni di­verse) pre­senze molto si­gni­fi­ca­tive nell’economia com­ples­siva del Co­sta-Mez­zate.
Ve­ra­mente strano!

Più so­pra ab­biamo se­gna­lato come Be­ren­son, nella bi­blio­gra­fia del di­pinto da lui de­scritto, non cita Pa­sino Lo­ca­telli che nel 1867 de­scrisse in det­ta­glio un di­pinto che è in­dub­bia­mente il Co­sta-Mez­zate espo­sto a Lecco (o una sua replica):

«No­vità e biz­zar­ria spic­cano in que­sto qua­dro. […] La Ma­donna tiene il fi­glio in piedi so­pra un co­fano di le­gno con ma­nico d’acciajo: a de­stra ha S. Gio­vanni, a si­ni­stra S. Ca­te­rina. Quest’ultima porta de’ vezzi nelle chiome e stringe fra le brac­cia uno sco­jatto

Il let­tore si chie­derà per quale ra­gione Be­ren­son nella sua im­pe­gna­tiva mo­no­gra­fia su Lotto, nel suo più im­por­tante la­voro di que­gli anni, ab­bia tra­scu­rato di ci­tare un de­scri­zione così pre­cisa nei suoi ri­chiami bi­blio­gra­fici al “Mar­riage of St. Ca­the­rine” da lui descritto.

Cosa po­teva de­si­de­rare di me­glio il bril­lante cri­tico sta­tu­ni­tense?
Si tro­vava con una de­scri­zione per­fetta del di­pinto, pro­po­sta po­chi anni prima da un cri­tico ben noto e ap­prez­zato e pro­prio della città in cui aveva la­vo­rato per tanti anni Lotto.
E che fa Be­ren­son? non solo ne tra­la­scia ele­menti im­por­tan­tis­simi (la pre­senza dello sco­iat­tolo, il mai vi­sto prima “co­fano di le­gno con ma­nico d’acciajo”) ma nep­pure lo cita nella bi­blio­gra­fia spe­ci­fica del dipinto!

Chi so­stiene che Be­ren­son nel 1895 ab­bia de­scritto il Co­sta-Mez­zate in que­sti mesi espo­sto a Lecco do­vrebbe in­sieme chie­dersi: ma che razza di cri­tico e sto­rico dell’arte era que­sto Be­ren­son? sem­bra che non ne az­zec­chi una e che della stessa pa­sta fosse fatta l’acuta e at­ten­tis­sima Mary.

Il let­tore po­trebbe pen­sare che, per qual­che mi­ste­riosa ra­gione, Be­ren­son non co­no­scesse Lo­ca­telli e il suo li­bro del 1867.
Niente af­fatto: Be­ren­son co­no­sceva be­nis­simo il cri­tico ber­ga­ma­sco!

E in­fatti nella mo­no­gra­fia su Lotto cita più volte (p. 136, 148, 176, 193, 197, 200) Lo­ca­telli e i suoi li­bri “Il­lu­stri Ber­ga­ma­schi, Ber­gamo 1867” e “I Di­pinti di Lo­renzo Lotto nell’Oratorio Suardi, Ber­gamo, 1891”, quest’ultimo ri­cor­dato an­che come “splen­di­da­mente illustrato”.

Be­ren­son cita Lo­ca­telli in ri­fe­ri­mento a una se­rie di di­pinti da lui ana­liz­zati nella sua mo­no­gra­fia lot­te­sca.
Ep­pure, quando parla del Co­sta-Mez­zate se ne di­men­tica!
Per­ché?

5.16 / Abbiamo già dato la risposta: SI TRATTA DI DIPINTI DIVERSI.

Da parte no­stra la spie­ga­zione è molto sem­plice: Be­ren­son, in quel 1895 in as­so­luta buona fede e senza al­cuna in­ten­zione frau­do­lenta, de­scrisse un ALTRO di­pinto, di­verso dal Co­sta-Mez­zate ora espo­sto a Lecco.

È alla luce di que­sto dato di fatto che il suo si­len­zio su Lo­ca­telli è del tutto motivato.

Nelle sue pre­messe alla mo­no­gra­fia su Lotto del 1895 (ma il me­de­simo cri­te­rio egli adottò per gli al­tri suoi la­vori di quel pe­riodo, fa­cen­done anzi un ele­mento pro­gram­ma­tico) Be­ren­son scrisse chiaro e tondo che avrebbe di­scusso solo di quelle opere che egli aveva po­tuto ve­dere di­ret­ta­mente (è ov­vio: solo così il gio­vane cri­tico sta­tu­ni­tense avrebbe po­tuto po­si­zio­narsi con un so­lido ar­go­mento sul mer­cato in­ter­na­zio­nale de­gli in­ten­di­tori d’arte).

Lo­ca­telli nel 1867 scrisse di un di­pinto “biz­zarro” da lui vi­sto in “casa Ca­mozzi a Ber­gamo” con ca­rat­te­ri­sti­che tali da po­terlo noi iden­ti­fi­care quasi con as­so­luta cer­tezza con quello espo­sto a Lecco (Ma­donna, Bam­bino, San Gio­vanni Bat­ti­sta, Santa Ca­te­rina, cas­setta, scoiattolo).

Ma sic­come Be­ren­son de­scri­veva uno “Spo­sa­li­zio di Santa Ca­te­rina”, da lui vi­sto al “Ca­stello di Co­sta Mez­zate”, per­ché avrebbe do­vuto ci­tare Locatelli?

Il cri­tico ber­ga­ma­sco aveva in­fatti de­scritto un di­pinto in cui la scena “nuova e biz­zarra” era oc­cu­pata da co­fani con ma­ni­glie d’acciaio e sco­iat­toli, con nes­sun ri­chiamo a “mi­sti­che nozze”.
Si trat­tava di un ALTRO di­pinto che è cer­ta­mente il Co­sta-Mez­zate espo­sto a Lecco e che evi­den­te­mente Be­ren­son non aveva mai vi­sto.

È pro­prio per que­ste evi­denti di­sto­nie che in­si­stiamo per una chia­rezza sui pas­saggi pro­prie­tari del di­pinto espo­sto a Lecco, che in­vece Va­la­gussa e gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra di Lecco vo­gliono te­nere nell’ombra!

Non bi­so­gna es­sere grandi menti per pen­sare che i pro­prie­tari del di­pinto sap­piano esat­ta­mente cosa suc­cesse sia del di­pinto espo­sto a Lecco sia di quello de­scritto da Be­ren­son.

5.17 / Che successe del dipinto descritto da Locatelli, già in mano del conte Giulini e oggi esposto a Lecco?

Ca­val­ca­selle an­notò di avere do­vuto la­sciare per­dere l’idea di farne og­getto di com­mer­cio per­ché c’era di mezzo un pre­stito (il conte Giu­lini vo­leva i quat­trini prima di dare il via li­bera a una even­tuale ven­dita).
E poi, che successe?

I Ca­mozzi re­sti­tui­rono il pre­stito ero­gato dal conte Giu­lini e si ri­por­ta­rono il di­pinto a casa?
.
Quando? E dove lo de­po­si­ta­rono?
.
Ci sono do­cu­menti su que­ste vi­cende?
.
Se sì — e cer­ta­mente ci sono — al­lora sa­rebbe pro­prio bello fos­sero resi pubblici!

Nel suo con­tri­buto al Ca­ta­logo della Mo­stra di Lecco, par­lando della vi­cenda pro­prie­ta­ria del di­pinto, Maz­zotta così si esprime (p. 22):

«Poco dopo [il 1793] forse passa di pro­prietà, per­ché è pro­ba­bile che già nel 1797 fosse parte delle rac­colte di Gio­van Bat­ti­sta Ver­tova nel ca­stello di Co­sta di Mez­zate. L’unica erede di Gio­van Bat­ti­sta, Eli­sa­betta, sposa in­torno al 1806 An­drea Ca­mozzi de Ghe­rardi: tra i loro fi­gli emerge la fi­gura di Gio­vanni Bat­ti­sta Ca­mozzi Ver­tova, primo sin­daco di Ber­gamo: an­cora oggi l’opera è con­ser­vata nelle col­le­zioni dei suoi discendenti.»

Tutto qui.
Maz­zotta, cioè, si ferma al 1806:
Ignora — vo­lu­ta­mente di certo, qual­che co­sina la avrà pur letta an­che lui — tutto ciò che sul di­pinto è stato scritto e ri­por­tato da chiun­que si sia oc­cu­pato del Co­sta-Mez­zate ne­gli ul­timi 100 anni — e in que­sto con il pieno e con­vinto as­senso del suo più ma­turo col­lega Va­la­gussa.
Per­ché?

A di­stanza di un se­colo e mezzo la vi­cenda di quel di­pinto non è più un fatto pri­vato dei Ca­mozzi e dei loro eredi: è un fatto pub­blico, utile alla cul­tura pub­blica e alla con­sa­pe­vo­lezza della sto­ria di noi tutti.

Tanto più in quanto quel di­pinto è oggi espo­sto a Lecco, in un Mu­seo pub­blico, gra­zie alla col­la­bo­ra­zione del Co­mune della città (en­tità non pri­vata, fino a prova con­tra­ria) e an­che con la sov­ven­zione dello stesso — cioè dei cittadini.

In­somma: i cit­ta­dini pa­gano, danno lu­stro al di­pinto, lo fanno cre­scere di va­lore (que­sto è ciò che ac­cade ai di­pinti espo­sti in mo­stre pub­bli­che).
In cam­bio, non sa­rebbe op­por­tuno che que­gli stessi cit­ta­dini sa­pes­sero per cosa real­mente ti­rano fuori i quat­trini, con­tri­buendo al con­tempo alla sua va­lo­riz­za­zione sul mer­cato delle opere d’arte?

5.18 / Condividere le conoscenze. Un bel sogno …

Sa­rebbe pro­prio bello se si po­tes­sero con­di­vi­dere con i pro­prie­tari que­ste con­si­de­ra­zioni, ma­gari in un bel We­bi­nar, ge­stito da­gli or­ga­niz­za­tori e da Va­la­gussa e Maz­zotta, i cu­ra­tori ar­ti­stici della mo­stra di Lecco.

Sa­rebbe bello, ma ab­biamo i no­stri dubbi.
An­che per­ché — pur­troppo — gli at­tori in campo sono pro­prio debolini.

5.19 / È preoccupante la superficialità dei critici d’arte cui ci si vorrebbe affidare per saperne di più.

Le evi­denze che ab­biamo più so­pra mo­strato, non ap­pa­iono af­fatto tali ai due cri­tici d’arte Va­la­gussa e Maz­zotta, cui è af­fi­dato da­gli or­ga­niz­za­tori (tra que­sti, non di­men­ti­chia­molo vi è an­che il Co­mune di Lecco) il com­pito di spie­gare e il­lu­strare ai vi­si­ta­tori della mo­stra, ai let­tori del sito Web, agli spet­ta­tori dei vari We­bi­nar di ap­pro­fon­di­mento, la sto­ria e il senso del di­pinto di Lotto che viene in que­sti mesi pro­po­sto pub­bli­ca­mente a Lecco.

Nel corso del We­bi­nar del 23 feb­braio 2021, te­nuto dai Pro­fes­sori Maz­zotta e Va­la­gussa e mo­de­rato da Gior­gio Cor­tella, ab­biamo sol­le­vato molto sin­te­ti­ca­mente il tema / pro­blema so­pra esposto.

È emerso che i due esperti (per pro­fes­sione de­diti a tempo pieno alla cri­tica e alla sto­ria dell’arte) non si erano mai ac­corti delle ano­ma­lie da noi so­pra evidenziate.

Detto un poco ica­sti­ca­mente: fino a che non lo hanno ap­preso da noi, par­la­vano della mo­no­gra­fia di Be­ren­son del 1895 aven­dola evi­den­te­mente letta con una in­cre­di­bile su­per­fi­cia­lità od aven­done di­men­ti­cato il con­te­nuto.

Alla no­stra se­gna­la­zione Va­la­gussa e Maz­zotta hanno in­fatti so­ste­nuto, in di­retta Web e con in­ge­nui sor­ri­sini che noi ci sba­glia­vamo di grosso: che, per esem­pio, nella sua mo­no­gra­fia su Lotto del 1895, de­scri­vendo il di­pinto in que­stione, Be­ren­son ci­tava per­sino lo scoiattolo!!

E che co­mun­que even­tuali di­scre­panze nella de­scri­zione di Be­ren­son nel 1895 erano da con­si­de­rare “pec­cato ve­niale” (sono pa­role del pro­fes­sor Maz­zotta — non vor­remmo es­sere nei panni del suo even­tuale confessore).

5.20 / Il nostro richiamo a una più corretta gestione dello scambio culturale.

A chi po­tesse pen­sare a una no­stra ma­le­vola pre­sen­ta­zione di que­sto de­pri­mente de­fi­cit di co­no­scenza dei due cri­tici d’arte at­torno all’opera di Be­ren­son (e at­torno a Lotto, di con­se­guenza), sug­ge­riamo di leg­gere la let­tera che il 1 marzo ap­pena pas­sato ab­biamo scritto ai pro­mo­tori e or­ga­niz­za­tori della mo­stra di Lecco, ti­to­lata «Ri­chie­sta di ri­pri­stino della ve­rità per il We­bi­nar 23 feb­braio 2021» di cui ri­por­tiamo QUI IL PDF.

In essa ab­biamo ri­por­tato la tra­scri­zione esatta di quanto av­ve­nuto in po­chi mi­nuti di scam­bio tra la no­stra re­da­zione e i due re­la­tori Maz­zotta e Va­la­gussa nel corso del We­bi­nar del 23 feb­braio 2021, de­di­cato al tema “Si­gni­fi­cati na­sco­sti nel Ca­po­la­voro di Lo­renzo Lotto”.

In­vi­tiamo a leg­gerla per co­no­scere lo stato del di­bat­tito e an­che per avere le idee chiare sul poco lo­de­vole com­por­ta­mento de­gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra di Lecco nei con­fronti di chi — come il no­stro Cen­tro Studi — sul di­pinto da essi pro­po­sto al pub­blico come “ca­po­la­voro” ha sol­le­vato con ar­go­menti do­cu­men­tati un se­rio pro­blema cri­tico, ver­go­gno­sa­mente CENSURATO da­gli organizzatori.

Nel pub­bli­care il fil­mato del We­bi­nar del 23 feb­braio, gli or­ga­niz­za­tori ne hanno in­fatti di­sin­vol­ta­mente TAGLIATO 5 mi­nuti, col mi­ra­bile ri­sul­tato di fare ap­pa­rire come non in­for­mato pro­prio il no­stro Cen­tro Studi che ha in­vece po­sto cor­ret­ta­mente e a ra­gion ve­duta il pro­blema.

Ri­cor­diamo che nei We­bi­nar gli in­ter­lo­cu­tori esterni hanno la pos­si­bi­lità di in­ter­ve­nire ma solo per iscritto e che i fil­mati messi in li­nea non ri­por­tano que­sti in­ter­venti scritti: non per nulla — e ov­via­mente — i con­dut­tori ri­pe­tono sem­pre a voce le do­mande o le os­ser­va­zioni scritte in­viate dai par­te­ci­panti esterni.

Nel no­stro caso, il con­dut­tore Cor­tella ha ri­pe­tuto solo la prima delle no­stre os­ser­va­zioni ma, fat­tasi pren­dere la mano dai re­la­tori in­ner­vo­siti e bran­co­lanti nella loro in­cer­tezza, ha igno­rato le altre.

Nel fil­mato reso pub­blico, Va­la­gussa e Maz­zotta hanno così espo­sto le loro opi­nioni ma senza che ve­nis­sero ri­por­tare le no­stre: una vera e con­sa­pe­vole ma­ni­po­la­zione.
Che ver­go­gna si­gnori pro­mo­tori e organizzatori!

È que­sto il mes­sag­gio che vo­lete tra­smet­tere ai 300 gio­vani “ci­ce­roni” che ac­col­gono il pub­blico al Pa­lazzo delle Paure? 

5.21 / Gli sgradevoli sviluppi successivi.

Se­gna­liamo che a fronte della no­stra più che fon­data ri­chie­sta di ri­spetto del reale an­da­mento del di­bat­tito, gli or­ga­niz­za­tori hanno ap­pa­ren­te­mente ac­cet­tato la cri­tica e si sono im­pe­gnati a ren­dere pub­blica la ver­sione in­te­grale del Webinar.

Ap­prez­zando que­sto at­teg­gia­mento, ab­biamo ri­cor­dato loro che — na­tu­ral­mente — “ver­sione in­te­grale” si­gni­fi­cava met­tere in so­vraim­pres­sione al fil­mato le po­che pa­role da noi scritte nel corso del di­bat­tito (sul piano tec­nico un’operazione sem­pli­cis­sima e alla por­tata di qual­siasi redazione).

Pur­troppo i no­stri in­ter­lo­cu­tori non hanno te­nuto conto di que­sta no­stra ov­via ri­chie­sta, ri­spet­tosa prima di tutto del pub­blico: hanno ca­ri­cato su You­Tube (VEDI QUI) la ver­sione in­te­grale del vi­deo ma senza ri­por­tare i no­stri pur bre­vis­simi in­ter­venti, ren­dendo così pres­so­ché in­com­pren­si­bile il di­bat­tito svoltosi.

Non con­tenti, nella se­zione del loro sito “Sco­priamo in­sieme > sco­priamo il con­te­sto”, hanno man­te­nuto il link alla ver­sione del vi­deo da loro cen­su­rata, con quel bel ta­glio di 5 mi­nuti (VEDI QUI), all’origine della no­stra ri­mo­stranza.
Evi­den­te­mente la no­stra se­gna­la­zione di una vo­lontà cen­so­ria non era cam­pata per aria.

La cosa più de­pri­mente di que­sta vi­cenda è che la re­da­zione del no­stro Cen­tro Studi, in un vi­ci­nis­simo pas­sato, si era com­por­tata con gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra di Lecco in modo ben più ami­che­vole e leale di quanto que­sti non si siano mo­strati ora con noi.

Quando ai primi di di­cem­bre 2020 è stato messo in li­nea il sito Web ca​po​la​vo​ro​per​lecco​.it, a una pri­mis­sima let­tura ne ab­biamo ri­le­vato nu­me­rosi er­rori, al­cuni dei quali ve­ra­mente gravi an­che sul piano dei rap­porti for­mali con il Co­mune di Lecco (non ne sa­rebbe stata con­tenta in par­ti­co­lare l’Assessore alla Cul­tura Si­mona Piazza).

Per sem­plice buon senso ab­biamo se­gna­lato gli er­rori agli or­ga­niz­za­tori che sono corsi su­bito al ri­paro; ne ave­vamo reso par­te­cipe an­che Mon­si­gnor Da­vide Mi­lani (Pre­vo­sto di Lecco e pro­mo­tore dell’iniziativa) che ci ha rin­gra­ziato per la col­la­bo­ra­zione; nel me­de­simo spi­rito ami­che­vole, la re­da­zione del sito Web della mo­stra ci ha dato ac­cesso a una im­ma­gine ad alta ri­so­lu­zione del di­pinto, uti­lis­sima per le no­stre ri­fles­sioni.
In­somma, il nor­male rap­porto tra per­sone e strut­ture im­pe­gnate, forse con di­verse pro­spet­tive, in un co­mune sforzo di ri­fles­sione su aspetti im­por­tanti della cultura.

Pec­cato che, nel giro di un paio di mesi, i no­stri in­ter­lo­cu­tori (colti in fla­grante igno­ranza) si sono fatti tra­viare da una nuova fat­ti­spe­cie di su­scet­ti­bi­lità (che pos­siamo solo de­fi­nire “in­fan­til-pro­fes­so­rale”) e av­ven­ta­ta­mente hanno im­boc­cato tutt’altra strada.
Pec­cato, ma poco male!
Ba­sta saperlo.

6. Berenson: col passare dei decenni una curiosa metamorfosi.

Ab­biamo po­tuto com­pi­lare il ca­pi­tolo che se­gue an­che gra­zie alla cor­tese col­la­bo­ra­zione dell’Archivio e della Fo­to­teca Be­ren­son, cu­sto­diti a Villa I Tatti (al con­fine tra Fi­renze, Fie­sole e Set­ti­gnano) per de­cenni abi­ta­zione e va­sto stu­dio / bi­blio­teca / fo­to­teca / mu­seo di Ber­nard Be­ren­son e della mo­glie Mary Whi­tall Smith; dal 1961 sede della Har­vard Uni­ver­sity Cen­ter for Ita­lian Re­nais­sance Stu­dies (Mary Be­ren­son morì nel 1945, Ber­nard nel 1959).

Va da sé che ogni con­si­de­ra­zione qui espressa è solo no­stra e alla Har­vard Uni­ver­sity si deve esclu­si­va­mente il ri­co­no­sci­mento della li­be­ra­lità con cui ci ha for­nito al­cuni do­cu­menti nella sua di­spo­ni­bi­lità, pur a fronte di un no­stro og­get­tivo ri­lievo cri­tico ai due Be­ren­son, le fi­gure di cui an­che cu­sto­di­scono la me­mo­ria e la im­ma­gine.
Que­sto dell’Università di Har­vard è un esem­pio per tutti di cosa si­gni­fica avere a cuore la ri­cerca scientifica!

Ab­biamo vi­sto nel ca­pi­tolo pre­ce­dente come la de­scri­zione di Be­ren­son del di­pinto da lui in­di­cato nel 1895 come ospi­tato al Ca­stello Ca­mozzi ri­guar­dasse non il Co­sta-Mez­zate oggi in mo­stra a Lecco ma un ALTRO di­pinto, da identificare.

Dob­biamo ora dire bre­ve­mente come circa tren­ta­cin­que anni dopo (ri­te­niamo nel 1929) la cop­pia nella vita e nel la­voro Ber­trand / Mary Be­ren­son co­min­ciasse a mo­di­fi­care quella de­scri­zione per­ché si adat­tasse al di­pinto con lo sco­iat­tolo che oggi am­mi­riamo a Lecco.

6.1 / Gli scritti di Berenson successivi al 1895.

All’edizione del 1895 della mo­no­gra­fia de­di­cata a Lotto, Be­ren­son ne fece se­guire una se­conda nel 1901, con l’aggiornamento di al­cune schede: la parte re­la­tiva al di­pinto di Co­sta di Mez­zate ri­mase però in­va­riata.

Ne uscì una ri­stampa nel 1905, per la parte di no­stro in­te­resse iden­tica alla prima e se­conda edi­zione.

La mo­no­gra­fia di Be­ren­son fu molto ap­prez­zata e per de­cenni fu l’unica opera di grande re­spiro cui fare ri­fe­ri­mento a li­vello mon­diale per la co­no­scenza di Lotto.

È certo ve­ro­si­mile che venne letta an­che dai Ca­mozzi Ver­tova di Co­sta di Mez­zate, pro­prie­tari del di­pinto de­scritto da Berenson.

6.2 / E che ne dissero o pensarono i Camozzi-Vertova?

In pro­po­sito non ab­biamo al­cuna do­cu­men­ta­zione pub­blica.
Pos­siamo però ra­gio­ne­vol­mente pen­sare che se il di­pinto in loro pos­sesso al Ca­stello di Co­sta Mez­zate fosse stato così de­ci­sa­mente di­verso da quello de­scritto da Be­ren­son, avreb­bero certo sol­le­vato il problema.

Avreb­bero detto al cri­tico sta­tu­ni­tense: caro Ber­n­hard, hai pro­prio sba­gliato; il no­stro di­pinto non c’entra nulla con quello che hai de­scritto; è tutto di­verso:
— la no­stra Ma­donna NON è ap­pog­giata in­die­tro, come hai scritto nella tua mo­no­gra­fia;
NON guarda il gioco tra il Bam­bino e Santa Ca­te­rina! guarda noi;
— la Santa Ca­te­rina NON è ca­rica di perle e gio­ielli! ne ha uno solo;
— la sua ghir­landa NON è fatta di al­loro e per­vin­che! ha solo per­vin­che;
— il tono del di­pinto, NON c’entra niente con il mi­stico ma­tri­mo­nio (forse pensi troppo al quando po­trai spo­sare la tua bella Mary);
— e poi ti sei di­men­ti­cato del Bat­ti­sta;
— e non hai detto nulla dello sco­iat­tolo: è così evi­dente e invadente!

Vedi di cor­reg­gere la cosa alla prima ristampa.

I pro­prie­tari lo avreb­bero fatto di certo, così come lo avrebbe fatto chiun­que di noi.
E in­vece no!

Be­ren­son con­ti­nuò a dif­fon­dere senza al­cun pro­blema e in tutto il mondo la sua mo­no­gra­fia del 1895.
Nella se­conda edi­zione del 1901 (in sei anni c’era tutto il tempo per una ret­ti­fica) non cam­biò una vir­gola di quanto aveva scritto nel 1895.
Così come nulla cam­biò nella ri­stampa del 1905.

Bi­so­gnerà at­ten­dere al­tri 30 anni per­ché Be­ren­son in­se­risse una no­vità nella de­scri­zione del 1895 re­la­tiva al di­pinto di no­stro in­te­resse.
Ma in­tanto al­tri cri­tici erano al lavoro.

6.3 / Venturi e la sua “Storia della Pittura Italiana”.

Nel 1929, a cura di Adolfo Ven­turi, venne pub­bli­cato il IX vo­lume — La Pit­tura del Cin­que­cento / Parte IV, della mo­nu­men­tale “Sto­ria della pit­tura ita­liana” (av­viata da Hoe­pli nel 1901).

Ci sem­bra sia qui che, per la prima volta, del Co­sta-Mez­zate venne pub­bli­cata una fo­to­gra­fia (mo­no­cro­ma­tica, si intende).

Ven­turi così pre­senta il di­pinto, ti­to­lan­dolo “Sa­cra Con­ver­sa­zione” (p. 42):

«Bril­lante di co­lore, adorna di tutte le gra­zie di Lo­renzo Lotto, la Sa­cra Con­ver­sa­zione del Ca­stello Ca­mozzi a Co­sta di Mez­zate (fig. 35), pur ac­co­stan­dosi alle sfu­ma­ture lom­barde nel mo­del­lato delle forme, e so­prat­tutto nel volto del bimbo, am­mac­cato d’ombre come quelli del Cor­reg­gio e di Giam­pie­trino, e pur stac­can­dosi nel ritmo li­neare da ogni schema ve­ne­ziano di com­po­si­zione, si av­vi­cina al Ve­cel­lio e ai gior­gio­ne­schi per lo spes­sore dei drappi, l’ampiezza delle fi­gure, la bion­dezza del tono.»

In­fra­mez­zata al te­sto (p. 43) Ven­turi pre­senta la fo­to­gra­fia dell’opera con que­sta di­da­sca­lia:
«Fig. 35 — Ca­stello Ca­mozzi, a Co­sta di Mez­zate. / Lo­renzo Lotto: Sa­cra Con­ver­sa­zione. / (Fot. dell’Istituto Ita­liano d’Arti Gra­fi­che, a Bergamo).»

Rias­su­mendo su que­sta prima pre­sen­ta­zione al pub­blico del 1929:

— con col­lo­ca­zione al Ca­stello Ca­mozzi di Co­sta-Mez­zate, Ven­turi pro­pone per la prima volta la fo­to­gra­fia di un di­pinto (è evi­den­te­mente il Co­sta-Mez­zate espo­sto in que­sti mesi a Lecco) rap­pre­sen­tante una scena che non ha al­cun ri­fe­ri­mento con la de­scri­zione fat­tane da Be­ren­son nella mo­no­gra­fia lot­te­sca del 1895 (più so­pra ne ab­biamo det­ta­gliato le ra­gioni: po­stura della Ma­donna; di­re­zione del suo sguardo; con­te­nuto “mi­stico-ma­tri­mo­niale”; per la Santa Ca­te­rina, ghir­landa, gio­ielli);
.
— Ven­turi non fa al­cun ri­fe­ri­mento spe­ci­fico a Be­ren­son 1895;
.
— al di­pinto pre­sen­tato in fo­to­gra­fia, Ven­turi dà due ti­toli: nel te­sto vi si ri­fe­ri­sce come a una “Sa­cra Con­ver­sa­zione”; nella di­da­sca­lia in­vece come a “La Ver­gine con il Bam­bino fra S. Gio­vanni Bat­ti­sta e Santa Ca­te­rina” (nes­sun ri­fe­ri­mento quindi al ti­tolo di Be­ren­son “Mar­riage of. S. Catherine”).

In­for­miamo il let­tore che di que­sta im­por­tante pre­sen­ta­zione di Ven­turi del 1929 (la prima in una edi­zione pub­blica), né Va­la­gussa, né Maz­zotta, né il sito de­di­cato alla mo­stra fanno al­cun cenno (com­pli­menti ai Professori).

Pos­siamo chiu­dere que­sto ca­pi­to­letto af­fer­mando che per la prima volta, dopo la de­scri­zione di Lo­ca­telli (e quella im­me­dia­ta­mente suc­ces­siva di Ca­val­ca­selle), è con Ven­turi che ap­pare in pub­blico il Co­sta-Mez­zate: si pon­gono così le pre­messe di un pro­cesso me­ta­mor­fico cui Be­ren­son co­min­cia a dare corpo nel 1932.

6.4 / La interlocuzione con la Harvard University.

Alla Har­vard Uni­ver­sity (Villa I Tatti, Fi­renze) ab­biamo pro­spet­tato le cri­ti­cità della de­scri­zione svolta da Be­ren­son nel 1895 ri­spetto alla realtà del di­pinto pro­po­sto al pub­blico dal 1929 e oggi espo­sto a Lecco.

I ri­cer­ca­tori della Fo­to­teca Be­ren­son di “Villa I Tatti” ne hanno preso atto con­cor­dando che ciò po­trebbe giu­sti­fi­care qual­che dub­bio circa la cor­ret­tezza cri­tica dei Berenson.

Hanno quindi com­pul­sato con at­ten­zione la do­cu­men­ta­zione nella loro di­spo­ni­bi­lità per ve­ri­fi­care se era pos­si­bile darne una spie­ga­zione razionale.

Nei di­versi diari (te­nuti so­prat­tutto da Mary Be­ren­son) dai primi del ’900 al 1945, anno della sua morte, non hanno in­di­vi­duato al­cun ri­fe­ri­mento alla que­stione di cui ci oc­cu­piamo.
Hanno in­vece in­di­vi­duata una scheda bi­blio­gra­fica che ha con essa cer­ta­mente un le­game.
Si tratta della stampa ti­po­gra­fica su carta di una foto di certo stam­pata dall’Istituto Ita­liano di Arti Gra­fi­che di Ber­gamo, cui venne dato il ti­tolo «Ma­donna col Bam­bino, S. Ca­te­rina e S. Gio­vanni Bat­ti­sta».

La fo­to­gra­fia è esat­ta­mente quella uti­liz­zata da Ven­turi, di cui ab­biamo ap­pena par­lato (la Fo­to­teca Zeri di Bo­lo­gna ha co­pia di que­sta fo­to­gra­fia, dan­dola rea­liz­zata tra il 1920 e il 1940, ora po­trà re­strin­gere l’arco temporale).

In una data non nota, que­sta stampa, se­ria­liz­zata con il n. 63, venne in­ven­ta­riata di pro­prio pu­gno da Mary Be­ren­son con la se­guente di­ci­tura ap­po­sta sul re­tro dell’immagine (tra [ ] la no­stra traduzione):

«Lotto
Co­sta di Mez­zate, Ca­stello Ca­mozzi
(nr. Gor­lago Stn. Ber­ga­mask)
[Vi­cino alla sta­zione di Gor­lago “Ber­ga­ma­sco”]
.
Mar. St. Cath. | s. d. 1522
[Ma­tri­mo­nio di Santa Caterina]»

Pos­siamo ra­gio­ne­vol­mente sup­porre:
— che i Be­ren­son ab­biano con­sul­tato il vo­lume di Ven­turi ap­pena que­sto venne pub­bli­cato nel 1929;
— che quella nota au­to­grafa di Mary Be­ren­son sia stata ap­po­sta in un mo­mento non molto suc­ces­sivo, in vi­sta di un suo uti­lizzo nella nuova opera che Be­ren­son si ap­pre­stava a pub­bli­care e che prese la luce nel 1932.

6.5 / Berenson 1932.

Nel 1932 Be­ren­son pub­blicò in lin­gua in­glese il te­sto “Ita­lian Pic­tu­res of the Re­nais­sance” (Ox­ford, Cla­re­don Press) nel quale così viene ri­presa la sua nota del 1895 (p. 308, com­po­si­zione ti­po­gra­fica come nell’originale):

«Co­sta di Mez­zate (near Gor­lago Sta­tion, Ber­ga­mask). Ca­stello. Mar­riage of Ca­the­rine, and Bap­tist. 1522.»

Come si vede, la di­zione uti­liz­zata nel li­bro è esat­ta­mente quella ap­po­sta da Mary Be­ren­son nel suo ap­punto sulla fo­to­gra­fia dell’Istituto di Arti Gra­fi­che di Bergamo.

Pos­siamo da­tare a que­sto nuovo la­voro del 1932, l’avvio da parte di Be­ren­son del pro­cesso di me­ta­mor­fosi del di­pinto da lui de­scritto nel 1895 nel Co­sta-Mez­zate che co­no­sciamo e che è espo­sto a Lecco in que­sti mesi:

a/ con­ti­nuò a ti­to­larlo “Mar­riage of Ca­the­rine” ma ag­giun­gen­dovi “and Bap­tist”;

b/ non fece al­cun com­mento alla fo­to­gra­fia pub­bli­cata da Venturi;

c/ nes­sun com­mento alla pre­senza in quella fo­to­gra­fia, ol­tre che del “Bap­tist” an­che dello “squir­rel” (sco­iat­tolo);

d/ alla pa­lese in­con­gruenza tra ciò che chiun­que po­teva ve­dere bene nella fo­to­gra­fia pub­bli­cata da Ven­turi e la sua de­scri­zione del 1895.

6.6 / Berenson 1936.

L’ “Ita­lian Pic­tu­res of the Re­nais­sance” del 1932, di cui ab­biamo ap­pena par­lato, venne tra­dotto in ita­liano da Emi­lio Cec­chi e pub­bli­cato da Hoe­pli nel 1936.

An­che nella ver­sione ita­liana il ti­tolo del di­pinto di Co­sta Mez­zate si ar­ric­chi­sce di una con­giun­zione, un ar­ti­colo de­ter­mi­na­tivo e un nome pro­prio, di­ven­tando «Spo­sa­li­zio di S. Ca­te­rina, e il Bat­ti­sta» (p. 265, evi­den­zia­zioni come nell’originale):

«Co­sta di Mez­zate (vi­cino alla sta­zione di Gor­lago, Ber­ga­ma­sco).
CASTELLO. Spo­sa­li­zio di S. Ca­te­rina, e il Bat­ti­sta. 1522».

Non ci ri­sulta che que­sta mo­di­fica nel ti­tolo dell’opera sia stata nel 1936 ri­le­vata da al­cuno, no­no­stante con­flig­gesse con i due ti­toli as­se­gnati da Venturi.

Ci sem­bra però di po­tere molto plau­si­bil­mente af­fer­mare che con que­sta edi­zione ita­liana del 1936, Be­ren­son ag­giunge un tas­sello alla me­ta­mor­fosi del “Mar­riage” da lui de­scritto nel “Co­sta-Mez­zate”, ora in mo­stra a Lecco.

Me­ta­mor­fosi av­viata con quella scarna no­ta­zione di Mary Be­ren­son — una evi­dente au­to­scon­fes­sione, tanto più cu­riosa in quanto non mo­ti­vata e che, an­che senza vo­lere es­sere par­ti­co­lar­mente ma­li­ziosi, può es­sere letta an­che in al­tri modi.

Non sap­piamo se e come la cop­pia Be­ren­son ab­bia con­di­viso con al­tri que­sto gioco di trasformazione.

Sta di fatto che, nel 1953, quella stessa fo­to­gra­fia
— pub­bli­cata da Ven­turi nel 1929 (ma senza un ri­fe­ri­mento spe­ci­fico alla mo­no­gra­fia lot­te­sca del 1895) e
— in­ven­ta­riata da Mary Be­ren­son per l’archivio di “Villa I Tatti”,

venne nuo­va­mente pre­sen­tata al pub­blico da Anna Banti e An­to­nio Bo­schetto in un loro stu­dio su Lotto, ma que­sta volta creando un le­game espli­cito con la mo­no­gra­fia lot­te­sca del 1895: con­ti­nuiamo quindi il no­stro per­corso par­lando di que­sti due studiosi.

6.7 / Banti-Boschetto: monografia “Lorenzo Lotto”, 1953.

Verso la fine del 1951, sull’onda di un cre­scente in­te­resse per Lo­renzo Lotto, venne lan­ciato il pro­getto per una grande mo­stra mo­no­gra­fica a lui de­di­cata, da te­nersi a Ve­ne­zia per la metà del 1953: gli spe­cia­li­sti del ramo se ne sen­ti­rono an­cor più sti­mo­lati a dare nuovi con­tri­buti di conoscenza.

Per esem­pio, sol­le­ci­tato dalla casa edi­trice Skira, Be­ren­son si im­pe­gnò a pre­pa­rare (con la col­la­bo­ra­zione di Luisa Ver­tova) una rie­di­zione molto am­pliata di quella del 1895, da pub­bli­care a ri­dosso della mo­stra.
La mole del la­voro lo co­strin­gerà a pub­bli­carla solo nel 1955 ma il pro­getto della re­vi­sione era de­fi­nito nelle sue grandi li­nee già alla fine del 1951.

Anna Banti (ol­tre che pre­pa­rata cri­tica d’arte an­che mo­glie di Ro­berto Lon­ghi, già en­tu­sia­sta di­sce­polo di Be­ren­son ma poi di­ve­nuto suo te­nace “av­ver­sa­rio”) e An­to­nio Bo­schetto pun­ta­rono in­vece su una mo­no­gra­fia lot­tiana di mi­nor mole.

Ai primi del 1953 pub­bli­ca­rono così un loro la­voro, ti­to­lato “Lo­renzo Lotto”, edito da San­soni per la Bi­blio­teca di “Pro­por­zioni” (col­lana edi­to­riale di­retta dal già ri­cor­dato Ro­berto Lon­ghi, che sarà uno dei Com­mis­sari per l’Italia della mo­stra di Venezia).

Nel loro li­bro, Banti-Bo­schetto pre­sen­ta­vano il di­pinto già pub­bli­cato con foto nel 1929 da Ven­turi (con il ti­tolo “Sa­cra Con­ver­sa­zione — La Ver­gine con il Bam­bino fra S. Gio­vanni Bat­ti­sta e Santa Caterina”):

    • uti­liz­zando la me­de­sima fo­to­gra­fia dell’Istituto d’Arti Gra­fi­che di Bergamo;
    • creando un loro pro­prio ti­tolo: «Ma­donna col Bam­bino fra i Santi Ca­te­rina e Gio. Bat­ti­sta».

Ve­diamo la cosa con mag­giore det­ta­glio (a lato ri­por­tiamo la pa­gina del vo­lume di Banti/Boschetto cui fac­ciamo riferimento).

[Pa­gina 75, no­stre evidenziazioni]:

«52. — Co­sta di Mez­zate, Ca­stello: Ma­donna col Bam­bino fra i Santi Ca­te­rina e Gio. Bat­ti­sta (f.ta e da­tata 1522). — fi­gura 98.
Espli­ci­ta­mente ri­cor­data da Tassi in casa Pez­zoli a Ber­gamo, con la data re­la­tiva. Il Ca­val­ca­selle cita a Mi­lano, presso il Conte Giu­lini, un ana­logo sog­getto, ma con la data 1532 (cfr. an­che n. 48).
Bibl.: Tassi, 11 [ndr: “Vite de’ pit­tori, scul­tori e ar­chi­tetti ber­ga­ma­schi”, 1793; Be­ren­son, 63 [ndr: “Lo­renzo Lotto”, 1905, 2a ed. ri­ve­duta]; Ca­val­ca­selle, 81 [ndr: “Hi­story”, 1912 – ma 1871 in 1a ed.]; Ven­turi, 147 [ndr: “La Pit­tura del Cin­que­cento”, 1929]».

At­ten­zione! Per­ché il let­tore non si con­fonda, se­gna­liamo che il ri­fe­ri­mento a Ca­val­ca­selle e al suo “ana­logo sog­getto, ma con la data 1532”, ri­porta quanto pub­bli­cato da Ca­val­ca­selle e Crowe nella “Hi­story”.

Nel 1953 non erano in­fatti an­cora noti gli ap­punti di Ca­val­ca­selle ri­por­tati nel ci­tato ar­ti­colo di Ot­ta­via Pic­colo (tra­scritti solo re­cen­te­mente) da cui emerge chia­ra­mente che Ca­val­ca­selle, pur avendo ben pre­sente la data in­di­cata da Lo­ca­telli — 1522 — nel te­sto stam­pato della sua “Hi­story” aveva ri­te­nuto di ri­fe­rire la data 1532 che gli era stata co­mu­ni­cata dal “pro­prie­ta­rio” del dipinto.

Da no­tare co­mun­que che nella me­de­sima pa­gina 75 ap­pena ci­tata, Banti Bo­schetto ri­por­tano un’altra scheda, stret­ta­mente in­trec­ciata con il no­stro tema (no­stre evidenziazioni):

«48. — Lon­dra, Na­tio­nal Gal­lery: “Ma­donna col Bam­bino fra i Santi Ge­ro­lamo e An­to­nio da Pa­dova (f.ta e da­tata 1521). — fi­gura 87. / Ta­vola m. 0,88×0,71.
Già nella Coll. Col­na­ghi, le­gata alla Gal­le­ria nel 1908.
Il gruppo cen­trale della Ma­donna col Bam­bino sarà ri­pe­tuto un anno dopo nello “Spo­sa­li­zio di Santa Ca­te­rina” di Co­sta di Mez­zate.
Bibl.: Be­ren­son (63 [ndr: Lo­renzo Lotto, 1905] e 169 [ndr: Ita­lian Pic­tu­res of the Re­nais­sance, Ox­ford 1932 / trad. it. di E. Cec­chi, Mi­lano, 1936]; Cat. della Nat. Gall. (151).»

Si tratta ov­via­mente del “cu­gino” di Lon­dra, già da noi am­pia­mente discusso.

6.8 / Come si vede Banti / Boschetto avevano le idee un po’ confuse.

Nella scheda 48), se­guendo la ti­to­la­zione data nel 1895 da Be­ren­son, fanno ri­fe­ri­mento al di­pinto di Co­sta di Mez­zate come allo “Spo­sa­li­zio di Santa Ca­te­rina”;

in­vece, nella stessa pa­gina e po­che ri­ghe sotto:

nella scheda 52), a quello che a loro dire do­veva es­sere il me­de­simo di­pinto, danno in­vece il ti­tolo che ap­pare nella fo­to­gra­fia dell’Istituto Ita­liano di Arti Gra­fi­che (la me­de­sima an­no­tata da Mary Be­ren­son), os­sia “Ma­donna col Bam­bino fra i Santi Ca­te­rina e Gio. Battista”.

Non sap­piamo se per la ste­sura del loro li­bro Banti / Bo­schetto si fos­sero con­fron­tati di­ret­ta­mente con Be­ren­son, nel 1953 già 83enne e da otto anni senza la com­pa­gnia / col­la­bo­ra­zione della mo­glie Mary.

Sta di fatto che Banti / Bo­schetto, nella stessa pa­gina del loro stu­dio su Lotto:

sono stati i primi a in­di­care in Be­ren­son il primo cri­tico a pub­bli­care il Co­sta-Mez­zate, e que­sto nella sua mo­no­gra­fia lot­te­sca del 1895 (loro fanno ri­fe­ri­mento all’edizione del 1905, in que­sto per­fet­ta­mente uguale);

— sono stati i primi a can­cel­lare il ri­fe­ri­mento al “ma­tri­mo­nio” tra il Bam­bino e Santa Ca­te­rina, che dal 1895, in quella stessa mo­no­gra­fia, aveva ca­rat­te­riz­zato il di­pinto di Co­sta di Mez­zate, ri­pren­dendo però quel me­de­simo ti­tolo in un’altra scheda po­sta nella stessa pa­gina a po­che ri­ghe di distanza.

È ve­ra­mente in­cre­di­bile che re­vi­sioni di con­so­li­date ac­qui­si­zioni cul­tu­rali e do­cu­men­tali siano state pro­po­ste in modo così su­per­fi­ciale e siano state ac­cet­tate senza bat­ter ci­glio da parte della cri­tica d’arte di al­lora e di adesso: ci sem­bra in­fatti di es­sere i primi a ri­le­vare que­sti pa­sticci pseudo-cri­tici.

Da no­tare co­mun­que che an­che Banti / Bo­schetto, pur in­se­ren­dolo nella Bi­blio­gra­fia Ge­ne­rale del loro vo­lume, per il di­pinto in que­stione non ci­tano in al­cun modo Pa­sino Lo­ca­telli.
Una cen­sura ve­ra­mente in­cre­di­bile cui — prima di Va­la­gussa e Maz­zotta — si ade­guò an­che Pie­tro Zam­petti nella or­ga­niz­za­zione della mo­stra di Ve­ne­zia del 1953.

6.9 / A Venezia la prima monografica dedicata a Lotto: nessun rilievo al nuovo arrivato nella galleria lottesca.

Nel giu­gno 1953 (Di­ret­tore Pie­tro Zam­petti) venne inau­gu­rata a Ve­ne­zia la prima mo­stra mo­no­gra­fica su Lotto, con­si­de­rata an­cora oggi di grande im­por­tanza per la riaf­fer­ma­zione in epoca mo­derna di Lotto come espo­nente di primo piano della pit­tura ri­na­sci­men­tale ita­liana (se­gna­liamo che que­sta mo­stra è in­spie­ga­bil­mente igno­rata da­gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra di Lecco).

Il di­pinto venne espo­sto al pub­blico per la prima volta in 431 anni, con l’accettazione nel Ca­ta­logo Uf­fi­ciale del per­corso cri­tico Banti-Bo­schetto (an­che qui senza al­cuna men­zione né dello sco­iat­tolo né di Lo­ca­telli) dando così un im­pri­ma­tur uf­fi­ciale alla fa­vola se­condo cui ne avrebbe scritto Be­ren­son nella sua mo­no­gra­fia lot­te­sca del 1895.

Ri­por­tiamo in­te­gral­mente la pre­sen­ta­zione del di­pinto nel Ca­ta­logo Uf­fi­ciale della mo­stra (p. 79):

«47 – MADONNA COL BAMBINO, SAN GIOVANNI BATTISTASANTA CATERINA D’ALESSANDRIA.

Tela, cm. 74 x 68
Co­sta di Mez­zate, Ca­stello, col­le­zione Con­tesse Giu­sep­pina e Ma­ria Ed­vige Ca­mozzi.
Opera fir­mata e da­tata: “Lau­ren­tius Lo­tus 1522”.
.
Si tratta della va­ria­zione di un tema che il pit­tore pre­di­lige, as­sai si­mile (come nota il Bo­schetto, p. 75 [ndr: la stessa da noi ri­por­tata poco so­pra]) alla ta­vola della Na­tio­nal Gal­lery di Lon­dra, dal Lotto di­pinta un anno prima. An­che in quest’opera il Ven­turi vede un ac­co­sta­mento al Ti­ziano ed ai Gior­gio­ne­schi, “per lo spes­sore dei drappi, l’ampiezza delle fi­gure, la bion­dezza del tono”.

Certo la pit­tura ve­ne­ziana era pre­sente e viva nell’anima del Lotto: ma nel ritmo sem­pre agi­tato delle sue com­po­si­zioni c’è una nota per­so­nale, che lo col­loca in una po­si­zione di in­di­pen­denza di fronte a qual­siasi al­tra cor­rente, com­presa quella emi­liana, spesso in­di­cata per il no­stro ar­ti­sta, e senza plau­si­bile ra­gione, come fonte d’ispirazione, di cui non aveva evi­den­te­mente bi­so­gno, pur ri­co­no­scendo ch’egli era molto at­tento ai fatti ar­ti­stici con­tem­po­ra­nei.
.
Al­tra bi­blio­gra­fia: Tassi, 1793; Be­ren­son, 1895; Id. 1936, p. 265 [;] Banti, 1953.»

Il com­mento cri­tico ci pare pro­prio poco si­gni­fi­ca­tivo: da ri­le­vare co­mun­que l’assenza di una qual­siasi ri­fles­sione sulle in­con­gruenze da noi più so­pra evi­den­ziate; l’assenza di Lo­ca­telli nella Bi­blio­gra­fia; l’assenza di un qual­siasi ri­fe­ri­mento al con­te­nuto del dipinto.

L’impressione è che que­sto ine­dito as­so­luto di Lotto in una pub­blica espo­si­zione non ab­bia in quel 1953 su­sci­tato nulla in nessuno.

6.10 / A 60 anni da quella del 1895, nella nuova monografia del 1955 Berenson porta a conclusione la metamorfosi, estraendo dal cappello lo scoiattolo.

Nuova mo­no­gra­fia su Lotto nel 1955, si com­pie la metamorfosi
Nuova mo­no­gra­fia su Lotto nel 1955, si com­pie la metamorfosi

Be­ren­son, seb­bene pren­desse un poco le di­stanze dalla mo­stra di Ve­ne­zia, con­ti­nuò a ta­cere su quel di­pinto con lo sco­iat­tolo lì pre­sen­tato per la prima volta al pub­blico, per non dire della or­mai uf­fi­cil­mente af­fer­mata sua sup­po­sta pri­ma­zia nel darne l’autografia a Lotto nel 1895.

Nel 1955 (a quat­tro mani con Luisa Ver­tova) pub­blicò la nuova edi­zione della sua mo­no­gra­fia del 1895, cui la­vo­rava dal 1951.
In fron­te­spi­zio l’opera è in­di­cata es­sere “Ver­sione ita­liana / dalla terza edi­zione ine­dita / di Luisa Ver­tova”.
È op­por­tuno sia dire qual­che cosa su Luisa Ver­tova sia fare luce su que­sta di­ci­tura un poco scon­clu­sio­nata (il let­tore può pen­sare che Ver­tova fosse l’autrice dell’inedita terza edizione).

Be­ren­son era po­li­glotta: par­lava cor­ren­te­mente li­tuano, in­glese, te­de­sco, fran­cese e — pare, in modo colto — la no­stra lin­gua che scri­veva an­che di­scre­ta­mente.
Per i suoi te­sti cri­tici scri­veva però in in­glese, lin­gua della sua for­ma­zione culturale.

Il te­sto della terza edi­zione 1955 fu da lui quindi steso in in­glese e tra­dotto in ita­liano da Luisa Ver­tova; l’originale di pu­gno di Be­ren­son venne uti­liz­zato per l’edizione in­glese di que­sta terza edi­zione, pub­bli­cata nel 1956 da Phai­don (lo ve­diamo fra po­chi capoversi).

Luisa Ver­tova (nata a Fi­renze nel 1921 e tut­tora in di­screta sa­lute — com­pli­menti!) venne ar­ruo­lata gio­va­nis­sima da Be­ren­son nel 1945 come bi­blio­te­ca­ria, ri­cer­ca­trice, tra­dut­trice, su­per se­gre­ta­ria, front wo­man, col­la­bo­ra­trice a tutto tondo, af­fian­can­dolo per 14 anni, fino alla scom­parsa del cri­tico (1959).
Fece poi una bril­lante car­riera nella cri­tica d’arte in­ter­na­zio­nale la­vo­rando come con­su­lente an­che per Christie’s, la più grande casa d’aste del mondo con un fat­tu­rato nel 2015 di 7,4 mi­liardi di dol­lari USA.

Ab­biamo cer­cato di sa­pere se fosse in rap­porti di pa­ren­tela con i Ca­mozzi Ver­tova pro­prie­tari del di­pinto Co­sta-Mez­zate, ma alle no­stre do­mande non sono se­guite ri­spo­ste — suc­cede, nes­sun problema!

La cosa po­teva avere un certo in­te­resse: il di­pinto con lo sco­iat­tolo è bal­zato all’attenzione del pub­blico non molto dopo l’inserimento di Ver­tova nello staff di Be­ren­son: forse tra le due cir­co­stanze vi era un qual­che col­le­ga­mento o forse no (dalle parti di Ber­gamo, all’Accademia Car­rara di cui è Con­ser­va­tore Va­la­gussa, di certo ne sanno di più).

Co­mun­que sia, nella nuova mo­no­gra­fia su Lotto, Be­ren­son — con una in­cre­di­bile di­sin­vol­tura — fece pub­bli­ca­mente sua la at­te­sta­zione at­tri­bui­ta­gli due anni prima da Banti / Bo­schetto / Zam­petti.
In ciò, del re­sto, por­tando alle sue con­clu­sioni l’orientamento già de­li­neato dopo il 1929, con quella no­ta­zione sul re­tro della già ci­tata fo­to­gra­fia dell’Istituto Ita­liano d’Arti Gra­fi­che di Ber­gamo, scritta di pu­gno dalla mo­glie Mary Whi­tall Smith.

Que­sta la nuova de­scri­zione pro­po­sta da Berenson:

«II Lotto ne di­pinse l’anno dopo una va­riante, che è LA MADONNA FRA SANTA CATERINASAN GIOVANNI BATTISTA nel Ca­stello Ca­mozzi a Co­sta di Mez­zate (Ber­gamo)

(Tela cen­ti­me­tri 74 x 68) iscritto sul bordo della ta­vola: «Lau­ren­tius Lo­tus 1522». Il Tassi (Vite, I, p. 125) la cita in casa Pez­zoli a Bergamo.

La Ver­gine siede APPOGGIANDOSI DI LATO, quasi fosse un po’ stanca, e NON SI CURA del giuoco che si svolge fra Gesù, lo SCOIATTOLO e la bella Santa.
An­cora più bella di que­sta, con i suoi ca­pelli ca­stani do­rati e i dolci oc­chi bruni, Ella sta esat­ta­mente a mezza via fra la Ma­donna del 1521 e la Ma­donna delle Nozze di Santa Ca­te­rina del 1523, che ve­dremo fra breve.

La Santa porta sulle trec­cie [sic] am­brate una co­ron­cina di PERVINCA dalla quale pende UN GIOIELLO.

I co­lori sono chiari e puri.»

Come il­lu­stra­zione (Tav. 126), Be­ren­son ri­portò quella dell’Istituto Ita­liano d’Arti Gra­fi­che di Ber­gamo (nelle Re­fe­renze fo­to­gra­fi­che sbri­ga­ti­va­mente ri­chia­mate come “Arti Gra­fi­che”), già uti­liz­zata da Ven­turi nel 1929 e da Banti-Bo­schetto nel 1953.
A lato di que­sta pose la fo­to­gra­fia del Lon­dra (Tav. 125).

6.11 / Compiutamente differenti il testo del 1895 e quello del 1955: sia nei dettagli sia nella struttura espositiva.

Per avere chiaro quanto pro­fonda fosse la me­ta­mor­fosi ope­rata da Be­ren­son, è op­por­tuno con­fron­tare il te­sto del 1895 e quello della nuova mo­no­gra­fia del 1955.

Giova prima di tutto no­tare che nella mo­no­gra­fia del 1955 Be­ren­son can­cellò la pre­messa con­cet­tuale che era stata alla base della sua de­scri­zione del 1895.
Il let­tore ri­corda certo che nel 1895 Be­ren­son volle evi­den­ziare un “ge­nere raf­fi­nato”, ca­rat­te­riz­zato da Ma­donne e Sante par­ti­co­lar­mente av­ve­nenti ed ele­gan­te­mente ve­stite, spe­ri­men­tato da Lotto at­torno al 1520 e rap­pre­sen­tato dallo “Spo­sa­li­zio di Santa Ca­te­rina”, dalla “Ma­donna e Santi” di Lon­dra, dalla “Santa Ca­te­rina” di Leuchtemberg.

Nel 1955 Be­ren­son non fece in­vece al­cun ri­fe­ri­mento a quel “ge­nere raf­fi­nato” e mutò l’ordine di pre­sen­ta­zione: al primo po­sto mise la “Ma­donna e Santi” di Lon­dra; poi il ri­de­no­mi­nato “Ma­donna fra Santa Ca­te­rina e San Gio­vanni Bat­ti­sta” (l’ex “Spo­sa­li­zio di Santa Ca­te­rina”); poi il “Santa Ca­te­rina” di Leuchtemberg.

Ma ve­diamo ora come Be­ren­son mutò ra­di­cal­mente la de­scri­zione di quello che nel 1895 aveva de­no­mi­nato “Spo­sa­li­zio di Santa Ca­te­rina” (evi­den­zia­zioni nostre).

Berenson, 1895.

«Ca­stello di Co­sta di Mez­zate (vi­cino alla sta­zione di Gor­lago). SPOSALIZIO DI SANTA CATERINA.
In­scritta la di­ci­tura: Lau­ren­tius Lo­tus, 1522. Fi­gure a metà del na­tu­rale per poco più di metà al­tezza. Men­zio­nato da Tassi (Vite, vol. 1, p. 125) come pre­sente in Casa Pez­zoli, a Bergamo.

La Ma­donna SI APPOGGIA INDIETRO  come se fosse un poco stanca, e GUARDA il giuoco che si svolge tra il Bam­bino e la bel­lis­sima Santa Ca­te­rina.
La Ma­donna è essa stessa an­cora più bella. Ha i ca­pelli ca­stano-do­rati e dolci oc­chi bruni; come tipo è esat­ta­mente a mezza via tra la Ma­donna del 1521 e la Ma­donna delle Nozze di Santa Ca­te­rina del 1523, che ve­dremo tra breve.
Santa Ca­te­rina porta PERLEGIOIELLI nella sua ca­pi­glia­tura ca­stano-am­brata, ed è in­ghir­lan­data di ALLOROPERVINCA.
I co­lori sono chiari e puri.»

Berenson, 1955.

«II Lotto ne di­pinse l’anno dopo una va­riante, che è LA MADONNA FRA SANTA CATERINASAN GIOVANNI BATTISTA nel Ca­stello Ca­mozzi a Co­sta di Mez­zate (Ber­gamo)

(Tela cen­ti­me­tri 74 x 68) iscritto sul bordo della ta­vola : «Lau­ren­tius Lo­tus 1522». Il Tassi (Vite, I, p. 125) la cita in casa Pez­zoli a Bergamo.

La Ver­gine siede APPOGGIANDOSI DI LATO, quasi fosse un po’ stanca, e NON SI CURA del giuoco che si svolge fra Gesù, lo SCOIATTOLO e la bella Santa.
An­cora più bella di que­sta, con i suoi ca­pelli ca­stani do­rati e i dolci oc­chi bruni, Ella sta esat­ta­mente a mezza via fra la Ma­donna del 1521 e la Ma­donna delle Nozze di Santa Ca­te­rina del 1523, che ve­dremo fra breve.

La Santa porta sulle trec­cie [sic] am­brate una co­ron­cina di PERVINCA dalla quale pende UN GIOIELLO.

I co­lori sono chiari e puri.»

Come il let­tore ha con­sta­tato, nelle due de­scri­zioni 1895 / 1955 dei tre di­pinti ese­guiti da Lotto tra il 1521 e il 1522 ci sono dif­fe­renze strut­tu­rali: come ab­biamo già di­mo­strato so­pra, di tutta evi­denza sono de­scritti DUE DIPINTI DIVERSI.

Po­tremmo an­che fer­marci qui, con que­sta inop­pu­gna­bile constatazione.

È però forse op­por­tuno an­dare un poco più in là e mo­strare an­che come Be­ren­son non sia in­cap­pato in un ba­nale “er­rore“, come so­ste­nuto da­gli in­ge­nuotti, ma ab­bia per­se­guito la me­ta­mor­fosi (o scam­bio delle tele, se pre­fe­rite) in piena con­sa­pe­vo­lezza, met­tendo in atto di­verse azioni per sviare l’attenzione de­gli os­ser­va­tori da que­sta sua operazione.

6.13 / Cancellata l’ipotesi concettuale “avvenenza e ricercatezza”.

Ri­tor­niamo sul di­scorso del ge­nere “av­ve­nenza e ricercatezza”.

Si trat­tava da parte di Be­ren­son di una in­te­res­sante ipo­tesi cri­tica che por­tava a li­vello di si­ste­ma­tiz­za­zione con­cet­tuale os­ser­va­zioni che al­cuni cri­tici dell’epoca ave­vano svolto in modo oc­ca­sio­nale ed estemporaneo.

Per esem­pio, il già ci­tato Lo­ca­telli, nel par­lare dello “Spo­sa­li­zio di Santa Ca­te­rina” del 1523 (il di­pinto oggi con­ser­vato presso l’Accademia Car­rara di Ber­gamo) os­ser­vava il ca­rat­tere par­ti­co­lare dell’espressione della Ma­donna e in ge­ne­rale il ta­glio leg­gero e mon­dano della rap­pre­sen­ta­zione (Il­lu­stri Ber­ga­ma­schi, 1867, Vol. I, p. 92):

«Que­sto di­pinto è sin­go­lar­mente am­mi­ra­bile per va­ghezza di co­lore. A si­ni­stra di chi guarda sta la Ver­gine con un viso cer­ta­mente più bi­ric­chino che santo

Sulla me­de­sima lun­ghezza d’onda si espri­meva Gu­stavo Friz­zoni: com­men­tando la mo­no­gra­fia lot­te­sca del 1895 di Be­ren­son, no­tava (“Lo­renzo Lotto – A pro­po­sito di una nuova pub­bli­ca­zione”, Ar­chi­vio sto­rico dell’arte, 2. Ser. 2. 1896, p. 200, evi­den­zia­zioni nostre):

«Una im­pres­sione ana­loga del re­sto sono de­sti­nate a pro­durla al­tre opere di que­sto pe­riodo, mercé lo sfarzo e l’espressione af­fatto mon­dana con cui l’autore evi­den­te­mente mirò a creare opere da im­porre ai buoni Ber­ga­ma­schi piut­to­sto per l’apparato esterno che per l’intimo loro si­gni­fi­cato ideale, quale lo avrebbe ri­chie­sto il sog­getto di na­tura re­li­giosa.
.
In pro­po­sito vuol es­sere ram­men­tato in­nanzi a tutti quello che ve­desi espresso in una tela che deve aver col­pito quanti hanno vi­si­tato a Ber­gamo la Pi­na­co­teca dell’Accademia Car­rara, dove sta ap­pesa in quella grande sala cen­trale.
Quivi si vede ima­gi­nata una Ma­donna dallo sguardo pe­ne­trante, ma dall’espressione af­fatto in­dif­fe­rente, in isplen­dida ve­ste, se­duta in un seg­gio­lone, quali si usa­vano nelle case dei pri­vati; essa regge fra le brac­cia il fi­gliuo­lino ignudo, il quale alla sua volta si china verso una Santa Ca­te­rina in­gi­noc­chiata in atto di de­vo­zione molto ac­cen­tuata, men­tre ne ri­ceve il mi­stico anello di sposa, atto che non ostante non si sa­prebbe te­nere per sin­cero o per lo meno pro­fon­da­mente sen­tito, se si tiene conto dell’acconciatura ri­cer­cata, af­fatto pro­fana, onde il pit­tore volle or­nare que­sta sua fi­gura, dall’aspetto vano, me­glio cor­ri­spon­dente ad una dama di mondo che ad un abi­tante del pa­ra­diso cri­stiano.»

All’interno quindi di una opi­nione che pos­siamo ri­te­nere non mi­no­ri­ta­ria, Be­ren­son fa­ceva un passo in là in­di­vi­duando ad­di­rit­tura un “ge­nere” spe­ri­men­tato in più di­pinti da Lotto at­torno a quel pe­riodo della sua per­ma­nenza a Bergamo.

Be­ren­son con­cen­trava cioè l’attenzione del suo let­tore su un ca­rat­tere tutto “mon­dano” della pro­du­zione di Lotto di quel pe­riodo: l’artista avrebbe uti­liz­zato im­ma­gini “sa­cre” per sod­di­sfare forse istanze di edi­fi­ca­zione mo­rale ma certo con­dite con una bella dose di va­nità dei com­mit­tenti, de­si­de­rosi di rap­pre­sen­tare le donne del pro­prio am­biente fa­mi­gliare e so­ciale nella dop­pia ve­ste di “sante” e in­sieme di av­ve­nenti ed ele­ganti com­pa­gne di vita e di relazioni.

Come ab­biamo vi­sto, nel 1955 Be­ren­son eli­mina dalla sua mo­no­gra­fia qual­siasi ri­fe­ri­mento a que­sta sua ipo­tesi cri­tico-cul­tu­rale del 1895: non la af­ferma e non la nega — sem­pli­ce­mente ne tace.

Senza pec­care di ma­li­zia, ci sem­bra di po­tere ipo­tiz­zare che que­sto si­len­zio su una im­por­tante e im­pe­gna­tiva ipo­tesi cri­tico-cul­tu­rale del tren­tenne Be­ren­son, allo stesso, sessant’anni dopo (1955), ri­sul­tasse fun­zio­nale al pro­cesso di me­ta­mor­fosi del di­pinto da lui de­scritto nel 1895 come “Spo­sa­li­zio di Santa Ca­te­rina” o — per par­lare in ter­mini di pre­sti­di­gi­ta­zione — all’applicazione di una delle ben note tec­ni­che per at­tuare sotto gli oc­chi de­gli spet­ta­tori un vero e pro­prio “scam­bio di dipinto”.

6.14 / Cancellato il clima matrimoniale anche attraverso un diverso ordine di presentazione.

Ci sem­bra sem­pre in fun­zione di que­sto “scam­bio di di­pinto”, Be­ren­son muta an­che l’ordine di pre­sen­ta­zione delle tre opere da lui citate.

Nel 1895:
— aveva messo al n. 1 il di­pinto da lui ti­to­lato “Mar­riage of St. Ca­the­rine” da lui detto “the most char­ming / il più af­fa­sci­nante”;
al n. 2, il “Ma­donna con Santi” di Lon­dra, in quanto lì era raf­fi­gu­rata “la stessa Ma­donna” (at­ten­zione: non il blocco com­po­si­tivo Ma­donna-Bam­bino-cas­sa­panca-cas­setta-cu­scino);
al n. 3 il “Santa Ca­te­rina” – Leu­ch­tem­berg, ca­rat­te­riz­zata da una av­ve­nenza da co­per­tina della Santa e dalla me­de­sima ve­ste rossa con le ma­ni­che super-attenzionali.

Nel 1955, Be­ren­son cam­bia l’ordine di pre­sen­ta­zione per­ché, trat­tan­dosi di un di­pinto ALTRO da quello de­scritto nel 1895, deve cam­biarne an­che la con­no­ta­zione principale:

al n. 1 pro­pone quindi il “Ma­donna con Santi” di Lon­dra;
al n. 2 in­se­ri­sce il “Ma­donna fra Santa Ca­te­rina e San Gio­vanni Bat­ti­sta”, ma in­di­can­dolo come “va­riante” del primo;
al n. 3 ri­porta sem­pre la me­de­sima “Santa Ca­te­rina” – Leuchtemberg.

È del tutto chiaro che il ter­mine “va­riante”, uti­liz­zato da Be­ren­son vuole dire al let­tore, in­di­ret­ta­mente ma in modo espli­cito, che, pur con di­versi Santi e uno sco­iat­tolo in più, vi è il me­de­simo blocco por­tante “Ma­donna-Bam­bino-cas­sa­panca-cas­setta-cu­scino” della “Ma­donna con Santi” di Lon­dra, can­cel­lando così un qual­si­vo­glia ri­fe­ri­mento alla si­tua­zione “ma­tri­mo­niale” evi­den­ziata da Be­ren­son nel 1895.

6.15 / Fumo inglese per uno “scambio” più sicuro.

Ci spiace di do­vere in­si­stere su que­sto aspetto certo non com­men­de­vole dell’intera vicenda.

Dob­biamo però ri­le­vare che l’operazione “scam­bio di di­pinto” è stata svolta da Be­ren­son con una ap­pa­ren­te­mente fu­mosa — ma in realtà molto at­tenta — ge­stione della de­scri­zione nella nuova edi­zione, in ita­liano e in in­glese (edi­tore Phai­don) uscite ri­spet­ti­va­mente nel 1955 e nel 1956.

Dei due te­sti ri­pren­diamo solo la parte pret­ta­mente de­scrit­tiva, ri­por­tando an­che il già più volte ci­tato te­sto della prima edi­zione (pub­bli­cato solo in lin­gua in­glese) del 1895.

Berenson, 1895.

«The Ma­donna leans back as if she were a lit­tle ti­red, and wat­ches the play bet­ween the Child and the beau­ti­ful St. Catherine.

St. Ca­the­rine wears pearls and jewels in her am­ber-brown hair, and is wrea­thed with lau­rel and pe­ri­win­kle

Berenson, 1956.

«The Ma­donna leans back as if she were a lit­tle ti­red, while the play goes on bet­ween the Child, a squir­rel and the beau­ti­ful St Catherine.

She wears pearls and other jewels in her am­ber-brown hair, and is wrea­thed with pe­ri­win­kle.»

Berenson, 1955.

«La Ver­gine siede ap­pog­gian­dosi di lato, quasi fosse un po’ stanca, e non si cura del giuoco che si svolge fra Gesù, lo sco­iat­tolo e la bella Santa.
La Santa porta sulle trec­cie [sic] am­brate una co­ron­cina di per­vinca dalla quale pende un gio­iello.»

Se con­si­de­rate con at­ten­zione que­ste po­che pa­role, an­che senza es­sere esper­tis­simi della lin­gua in­glese, vi ac­cor­gete che il te­sto ita­liano dif­fe­ri­sce in modo so­stan­ziale da quello in­glese, così come i due te­sti in­glesi dif­fe­ri­scono tra di loro ma non come do­vreb­bero — Be­ren­son ha in­fatti dato un colpo al cer­chio e uno alla botte, sol­le­vando, certo con­sa­pe­vol­mente, una cor­tina fu­mo­gena, fun­zio­nale allo “scam­bio dei dipinti”:

nella po­si­zione della Ma­donna: in in­glese (in 1895 e in 1956) è “ap­pog­giata in­die­tro”, in ita­liano è “ap­pog­giata di lato” (espres­sione co­mun­que senza senso, la di­zione cor­retta sa­rebbe “se­duta di sghembo, in­cli­nata in avanti”);

nella di­re­zione del suo sguardo: in 1895 guarda il giuoco tra Bam­bino e Ca­te­rina; in 1956 si glissa sul suo at­teg­gia­mento ; in 1955 “non si cura del giuoco”;

per l’estetica di Santa Ca­te­rina: in 1895 e in 1956 la Santa porta più perle e gio­ielli; in 1955 UN gio­iello;

nella ghir­landa della stessa: in 1895 vi sono al­loro e per­vin­che; in 1956 e 1955 solo per­vin­che.

Po­trebbe sem­brare solo un in­vo­lon­ta­rio mi­ne­strone, cu­ci­nato da di­let­tanti allo sba­ra­glio.
Trat­tan­dosi però non di di­let­tanti ma di na­vi­gati pro­fes­sio­ni­sti della co­mu­ni­ca­zione, a noi sem­bra qual­cosa di meno simpatico.

Se con­si­de­rate le cose alla luce dell’esperienza sto­rica, vi ren­dete conto che con que­sto guaz­za­bu­glio de­scrit­tivo, a prima vi­sta solo ri­di­colo, Be­ren­son è riu­scito a fare pas­sare ciò che evi­den­te­mente gli in­te­res­sava: un vero e pro­prio scam­bio di di­pinti, pro­prio come fa un abile gio­ca­tore di strada che con le tre carte si­mula er­rori pac­chiani per ac­ca­lap­piare lo spet­ta­tore / scom­met­ti­tore, con la ov­via as­si­stenza dei compari.

Be­ren­son, se­condo ogni re­gola della se­rietà pro­fes­sio­nale, o an­che della sem­plice buona edu­ca­zione, avrebbe do­vuto:

— av­ver­tire il let­tore che egli, nel 1895 aveva scritto cose op­po­ste da quanto an­dava pro­po­nendo nel 1955-56;

— spie­gare le ra­gioni di que­ste vi­stose distonie;

— fare al­meno com­ba­ciare i te­sti delle due edi­zioni ita­liana e in­glese del 1955-56.

Que­sto avrebbe do­vuto fare: ma in quel 1955 non lo fece.

E per giunta, nella ver­sione in­glese, per la quale egli sa­peva che sa­rebbe stato più fa­cil­mente con­trol­lato da chi po­teva avere sot­to­mano la sua prima mo­no­gra­fia del 1895, fu an­cora meno trasparente.

Egli man­tenne cioè la prima parte della prima riga della vec­chia de­scri­zione, re­la­tiva alla “po­si­zione” della Ma­donna (an­che se que­sta non ri­flet­teva la realtà della fo­to­gra­fia che egli stesso pro­po­neva) per fare pas­sare più fa­cil­mente il cam­bia­mento ra­di­cale nella se­conda parte della me­de­sima riga, re­la­tiva alla di­re­zione dello “sguardo” della Ma­donna, ele­mento più fa­cil­mente ve­ri­fi­ca­bile da chiunque.

Po­teva cor­rere que­sto ri­schio per­ché la fo­to­gra­fia si tro­vava molte pa­gine più in là del te­sto ed egli po­teva ra­gio­ne­vol­mente pen­sare che nel pas­sag­gio tra il te­sto e la fo­to­gra­fia, il let­tore co­mune non avrebbe fatto caso alle incongruenze.

6.16 / E la critica professionale?

Se pos­siamo pen­sare che il let­tore me­dio po­tesse non ac­cor­gersi dello scher­zetto di Be­ren­son ap­pare in­vece stu­pe­fa­cente che in quasi un se­colo non se ne siano ac­corti i cri­tici d’arte di pro­fes­sione.

Ab­biamo vi­sto in­fatti che fin dal 1929, quando Ven­turi pub­blicò per la prima volta la fo­to­gra­fia del Co­sta-Mez­zate (quello che oggi è espo­sto a Lecco), qua­lun­que let­tore un poco at­tento avrebbe po­tuto ac­cor­gersi al­meno delle in­con­gruenze ma­cro­sco­pi­che tra fo­to­gra­fia e de­scri­zione di Be­ren­son: la po­si­zione della Ma­donna; la di­re­zione del suo sguardo; la quan­tità di gio­ielli della Santa Ca­te­rina — tutti ele­menti vi­si­bili an­che in una me­dio­cre fo­to­gra­fia mo­no­cro­ma­tica (più dif­fi­cile va­lu­tare al­lora se le fo­glie della ghir­landa fos­sero di al­loro e per­vinca o solo per­vinca, cosa oggi in­vece age­vole: si tratta solo di pervinche).

Ep­pure nel 1929 nes­suno disse nulla e così nel 1953 e poi nel 1955.
Evi­den­te­mente una parte dei cri­tici di pro­fes­sione non se ne ac­corse per­ché troppo su­per­fi­ciale, come ab­biamo vi­sto nel caso di Va­la­gussa e Maz­zotta, i quali, prima del no­stro “sve­glia si­gnori!“, erano ad­di­rit­tura con­vinti che nel 1895 Be­ren­son avesse de­scritto an­che lo scoiattolo.

Ma gli al­tri, quelli più at­tenti, per­ché non dis­sero nulla?
At­ten­diamo au­to­re­voli spiegazioni.

6.17 / Riassumendo… ecco le 10 fasi della metamorfosi.

1867 — Pa­sino Lo­ca­telli de­scrive un di­pinto X, vi­sto “in casa Ca­mozzi” a Ber­gamo; lo giu­dica “nuovo e biz­zarro”; è fir­mato Lotto e da­tato 1522.
Ne de­scrive la com­po­si­zione: la Ma­donna col Bam­bino (se­duto su un cu­scino a sua volta po­sto su un co­fano con ma­ni­glia in ac­ciaio), San Gio­vanni Bat­ti­sta e Santa Ca­te­rina la quale tiene in brac­cio uno scoiattolo.

1869 — Ca­val­ca­selle scrive nei suoi ap­punti del di­pinto de­scritto da Lo­ca­telli, gia­cente in Mi­lano presso il conte Giu­lini come pe­gno per un pre­stito con­cesso a Ga­briele Ca­mozzi. In dif­fi­coltà per la morte im­prov­visa di que­sti, la fa­mi­glia si at­tiva per ven­dere il DIPINTO X ma il conte Giu­lini vuole es­sere rim­bor­sato. La ven­dita sfuma.

1895 — Be­ren­son de­scrive un DIPINTO Y, si­tuato nel Ca­stello Ca­mozzi di Co­sta di Mez­zate; è di Lotto; è del 1522; è parte di una se­rie di di­pinti rea­liz­zati da Lotto in quel torno di tempo, tutti ruo­tanti at­torno a un certo tipo di Ma­donne e Sante, belle e ve­stite ele­gan­te­mente all’ultima moda.
In quello spe­ci­fico DIPINTO Y la Ma­donna, che sem­bra stanca, si ap­pog­gia in­die­tro e guarda ciò che ac­cade tra il Bam­bino e Santa Ca­te­rina; la quale reca gio­ielli e perle; è in­ghir­lan­data di al­loro e per­vin­che.
Be­ren­son lo ti­tola «Mar­riage of St. Ca­the­rine». Non parla né di cu­scini né di co­fani né di maniglie.

1929 — Ven­turi nel suo vo­lume sulla Pit­tura ita­liana del ’500, pub­blica una foto mo­no­cro­ma­tica del DIPINTO X di Co­sta Mez­zate, senza fare al­cun ri­fe­ri­mento par­ti­co­lare a Be­ren­son 1895 e senza al­cuna no­ta­zione sul suo contenuto.

1929? — Sulla stessa foto del DIPINTO X (quello de­scritto da Lo­ca­telli, dato in pe­gno al conte Giu­lini, pub­bli­cato da Ven­turi nel 1929 e oggi espo­sto a Lecco) con il ti­tolo “Ma­donna col Bam­bino, S. Ca­te­rina e S. Gio­vanni Bat­ti­sta», e in­di­cata come a Co­sta di Mez­zate, Ca­stello Ca­mozzi, Mary Be­ren­son, non si sa in quale data (ma pre­su­mi­bil­mente nello stesso 1929), ri­pete il ti­tolo “Mar­riage of St. Ca­the­rine” dato al di­pinto Y de­scritto da Be­ren­son nel 1895.

È il primo (ma an­cora non pub­blico) ag­gan­cio fatto dai Be­ren­son tra il DIPINTO Y e il DIPINTO X.

1932-1936 — Nel suo li­bro in lin­gua in­glese “The Pain­ters of Re­nais­sance”, al ti­tolo “Mar­riage of St. Ca­the­rine”, Be­ren­son ag­giunge “, and Bap­tist”.
Lo stesso fa nel 1936 nell’edizione ita­liana del li­bro (“Pit­ture Ita­liane del Ri­na­sci­mento”): al ti­tolo «Spo­sa­li­zio di Santa Ca­te­rina» ag­giunge «, e il Bat­ti­sta».
Né in un caso né nell’altro vi è al­cuna de­scri­zione della scena rap­pre­sen­tata nel dipinto.

È il se­condo ag­gan­cio dei Be­ren­son, que­sta volta pub­blico (an­che se pro­po­sto in sor­dina e senza foto), tra X e Y.

1953 — Banti / Bo­schetto nella loro mo­no­gra­fia su Lotto, pub­bli­cano la stessa fo­to­gra­fia del DIPINTO X già re­gi­strata da Mary Be­ren­son; la ti­to­lano «Ma­donna col Bam­bino fra i Santi Ca­te­rina e Gio. Bat­ti­sta» can­cel­lan­dovi ogni trac­cia di si­tua­zione ma­tri­mo­niale e senza de­scri­verne in al­cun modo il con­te­nuto.
Come ri­fe­ri­mento bi­blio­gra­fico in­di­cano la mo­no­gra­fia di Lotto del 1895 di Be­ren­son, ri­fe­rita al DIPINTO Y.

Senza una pa­rola di spie­ga­zione hanno così reso pub­blico l’aggancio tra il DIPINTO Y e il DIPINTO X: co­min­cia la metamorfosi.

1953 — Ca­ta­logo mo­stra di Ve­ne­zia. Viene con­fer­mato uf­fi­cial­mente l’aggancio tra Y e X. La foto del ca­ta­logo è rea­liz­zata ad hoc ma ti­tolo e bi­blio­gra­fia sono come pro­po­sti da Banti / Bo­schetto. Nes­sun ac­cenno al con­te­nuto del dipinto.

1955 — Terza edi­zione in ita­liano della mo­no­gra­fia lot­te­sca di Be­ren­son. La foto è quella se­gnata da Mary Be­ren­son (Di­pinto X) e pub­bli­cata da Banti / Bo­schetto nel 1953. Il ti­tolo è “La Ma­donna fra Santa Ca­te­rina e San Gio­vanni Bat­ti­sta” (niente ma­tri­mo­nio).
Nella de­scri­zione la Ma­donna sem­bra sem­pre stanca ma non è ap­pog­giata in­die­tro: «siede ap­pog­gian­dosi di lato»; non guarda il Bam­bino e Ca­te­rina ma …
«non si cura di ciò che av­viene tra il Bam­bino e Ca­te­rina e lo sco­iat­tolo”; la Santa Ca­te­rina non porta gio­ielli e perle ma “un” gio­iello con perla; la ghir­landa che pog­gia sulla ca­pi­glia­tura non è for­mata da “al­loro e per­vin­che”, ma solo da “per­vin­che”.

1956 — Terza edi­zione in lin­gua in­glese della mo­no­gra­fia lot­te­sca. La foto è la stessa dell’edizione ita­liana. Il ti­tolo è “Ma­donna with St. Ca­the­rine and John the Bap­tist”.
La Ma­donna “leans back” come nel 1895 ma … il “wat­ches the play bet­ween” del 1895 è so­sti­tuito con un ano­dino “while the play goes”. Per la prima volta si fà ri­fe­ri­mento allo sco­iat­tolo / squirrel.

È così com­piuta la me­ta­mor­fosi: con la re­gia e be­ne­di­zione di Be­ren­son il DIPINTO Y si è tra­sfor­mato nel DIPINTO X, e ciò a li­vello internazionale.

Dal 1932 al 1955 al DIPINTO X (quello de­scritto per la prima volta da Lo­ca­telli nel 1867 e in que­sti mesi espo­sto a Lecco) è stato cioè co­struito ex-novo un per­corso cri­tico di tutto ri­spetto che gli mancava.

Forse qual­che let­tore ma­li­zioso sta pen­sando che noi met­tiamo in di­scus­sione la au­ten­ti­cità del di­pinto espo­sto a Lecco!
Niente di più lon­tano dal vero!

6.18 / Da parte di Berenson molto probabilmente non c’è stata truffa ma sicuramente c’è stato inganno.

Noi non pen­siamo af­fatto che il DIPINTO X espo­sto a Lecco sia fasullo.

Di­ciamo sol­tanto che, sulla base dei do­cu­menti a di­spo­si­zione no­stra e del pub­blico, al DIPINTO X è stata co­struita, a par­tire dal 1932 circa, una bi­blio­gra­fia più che ri­spet­ta­bile, ac­cet­tata in tutto il mondo della cri­tica d’arte gra­zie alla fa­mosa e ap­prez­za­tis­sima mo­no­gra­fia su Lotto nel 1895.

Di­ciamo sol­tanto che Be­ren­son si pre­stò non a un qual­che im­bro­glio ma a una pre­sti­di­gi­ta­zione rea­liz­zata con due di­stinti di­pinti di Lotto, da­tati 1522 e ap­par­te­nenti en­trambi a quella in­ven­zione pit­to­rica su cui Lotto la­vo­rava at­torno al 1520, ca­rat­te­riz­zata dalla pre­senza di Ma­donne e Sante molto av­ve­nenti e par­ti­co­lar­mente ben ve­stite all’ultima moda.

Si­cu­ra­mente la il­lu­stra­zione da parte della pro­prietà della sto­ria vera di quel di­pinto a par­tire dal 1869, quando il di­pinto era stato dato in pe­gno al conte Giu­lini di Mi­lano, po­trebbe dirci in pro­po­sito cose illuminanti.

Così come un grande con­tri­buto po­trebbe dare una ana­lisi stru­men­tale, ana­loga a quelle svolte già da molti anni sui “cu­gini” di Bo­ston e Lon­dra, che manca an­cora per il DIPINTO X, quello con lo sco­iat­tolo, ora in mo­stra a Lecco.

At­ten­diamo fi­du­ciosi su en­trambi i fronti, pur nu­trendo in pro­po­sito seri dubbi sulla vo­lontà da parte di pro­prietà e or­ga­niz­za­tori di pro­muo­vere la vera co­no­scenza, uscendo dalla mera pro­pa­ganda a sfondo culturale.

Per con­clu­dere, una os­ser­va­zione sul modo mal­de­stro con cui co­mun­que Be­ren­son ha con­dotto la sua prestidigitazione.

Nella tri­lo­gia edi­to­riale che Be­ren­son (as­sieme poi a Ver­tova) ha of­ferto all’attenzione della cri­tica in­ter­na­zio­nale a par­tire dal 1895, vale la pena di ri­le­vare che nel nuovo ti­tolo af­fib­biato a quello che 60 anni prima era il «Mar­riage of St. Ca­the­rine», nel 1955 tra­sfor­mato in «Ma­donna fra Santa Ca­te­rina e San Gio­vanni Bat­ti­sta», si è perso il Bam­bino.

Evi­den­te­mente né Be­ren­son né Ver­tova né i cu­ra­tori della Electa Edi­trice hanno pen­sato che se nel pre­ce­dente ti­tolo “Mar­riage of St Ca­the­rine” si po­teva an­che non no­mi­nare il Bam­bino (era sot­tin­teso come sposo della bella Ca­te­rina), nel nuovo ti­tolo, avendo eli­mi­nato l’apparato nu­ziale, era in­vece ob­bligo citarlo.

Sono solo det­ta­gli, che su­sci­tano però seri dubbi non solo circa la tanto de­can­tata acri­bia cri­tica di Be­ren­son (ben­ché no­van­tenne, nel 1955 era de­scritto come an­cora per­fet­ta­mente sve­glio) ma an­che sulla sua li­nea­rità professionale.

Certi gio­chini, an­che se pro­ba­bil­mente con­dotti solo con le mi­gliori in­ten­zioni ed even­tual­mente a fin di bene — sa­rebbe me­glio evi­tarli. Ri­ba­diamo che su tutta que­sta vi­cenda i pro­prie­tari del Co­sta-Mez­zate ne sanno certo quanto basta.

Pos­siamo ora pas­sare alla Se­conda parte della no­stra Nota, de­di­cata al con­te­nuto cul­tu­rale del di­pinto espo­sto a Lecco.

An­ti­ci­piamo che se l’analisi della bi­blio­gra­fia del di­pinto espo­sto a Lecco ci ha chia­rito che è tutta da ri­ve­dere, sul fronte dei con­te­nuti del di­pinto le cose sono messe an­cora peg­gio.

«Lorenzo Lotto a Lecco» — SECONDA PARTE.

«L. Lotto a Lecco, 2020»
SECONDA PARTE

Il “capolavoro” di Lotto: i contenuti.

Il “capolavoro”
di Lotto.
CONTENUTI.

Fanta-critica al comando: senza alcun documento a supporto, cassapanche elevate ad altare, normali cuscini definiti come mortuari, cofani di legno trasformati in bare e scoiattoli promossi a preveggenti.

Fanta-critica al comando: senza alcun documento a supporto, cassapanche elevate ad altare, normali cuscini definiti come mortuari, cofani di legno trasformati in bare e scoiattoli promossi a preveggenti.

7. I contenuti del dipinto.

Fin qui ab­biamo par­lato della iden­tità del di­pinto, della sua sto­ria pro­prie­ta­ria, di come la cri­tica se ne è oc­cu­pata dal 1867, temi in que­sta mo­stra di Lecco la­sciati so­stan­zial­mente nell’ombra.

Pas­siamo ora alla ana­lisi dei con­te­nuti cul­tu­rali del di­pinto, co­min­ciando da una sin­tesi di quanto hanno detto in pro­po­sito gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra di Lecco attraverso:

— gli stru­menti di co­mu­ni­ca­zione per ciò pre­di­spo­sti (Ca­ta­logo uf­fi­ciale, sito Web);
.
le re­la­zioni di Va­la­gussa e Maz­zotta (i due cri­tici e sto­rici dell’arte che cu­rano la parte cul­tu­rale e più pro­pria­mente cri­tica della ini­zia­tiva) da loro te­nute in vari mo­menti a par­tire dalla inau­gu­ra­zione della mo­stra (5 di­cem­bre 2020) e da con­si­de­rare a tutti gli ef­fetti come parte della ela­bo­ra­zione cul­tu­rale sul di­pinto (nel sito Web de­di­cato alla mo­stra sono in­di­vi­dua­bili i vari link).

7.1 / I contenuti del Costa-Mezzate secondo promotori e organizzatori della mostra.

Delle in­ter­pre­ta­zioni di Va­la­gussa e Maz­zotta (la­sciando per il mo­mento da parte al­cune in­te­res­santi os­ser­va­zioni, per es. in Va­la­gussa l’uso sim­bo­lico della luce e dell’ombra), ri­te­niamo di po­tere evi­den­ziare gli ele­menti portanti:

a. La scena pre­fi­gura la Pas­sione di Cri­sto.
.
b. La bara di le­gno al­lude alla morte dram­ma­tica del Bam­bino.
.
c. Espli­ci­ta­mente lo con­ferma il Bat­ti­sta con il suo “ecce agnus dei”.
.
d. In­di­ret­ta­mente lo sco­iat­tolo, che pre­vede i tem­po­rali e, per tra­slato sim­bo­lico, il fu­turo tra­gico del Bam­bino.
.
e. Que­sti è spa­ven­tato dall’animaletto e se ne ri­trae.

La tesi ge­ne­rale dei due cri­tici pog­gia quindi su tre ele­menti che, messi in si­ner­gia, a loro dire sa­reb­bero sim­bo­li­ca­mente predittivi:

1. Il Bat­ti­sta.
2. La cas­setta come bara.
3. Lo sco­iat­tolo come preveggente.

Pre­messo che Lotto po­teva / do­veva uti­liz­zare nel suo di­pinto sim­boli com­pren­si­bili e con­di­vi­si­bili al­meno dalla pre­ve­di­bile pla­tea dei suoi clienti (fi­gure quindi con un li­vello cul­tu­rale al­meno me­dio), la tesi di Va­la­gussa e Maz­zotta ha come pre­sup­po­sto che il blocco con­cet­tuale Bat­ti­sta / cas­setta / sco­iat­tolo fosse all’epoca di Lotto così ben col­lo­cato nei cir­cuiti cul­tu­rali ci­vili e re­li­giosi da po­tere es­sere fa­cil­mente e uni­vo­ca­mente in­ter­pre­tato come sim­bolo an­ti­ci­pa­tore della Pas­sione del Cri­sto.

Ci pro­po­niamo con quanto se­gue di ve­ri­fi­care la va­li­dità o meno di que­sto pre­sup­po­sto at­tra­verso un per­corso piut­to­sto ar­ti­co­lato che prende ini­zio dal 1978.

I due cu­ra­tori della mo­stra di Lecco hanno in­fatti quasi del tutto ta­ciuto che sul si­gni­fi­cato dei tre di­pinti di cui ci stiamo oc­cu­pando il di­bat­tito cri­tico ha già com­piuto i 44 anni.

Che le loro idee sul si­gni­fi­cato dei tre di­pinti come pre­dit­tivi della Pas­sione di Cri­sto sono già state am­pia­mente svi­lup­pate da al­tri cri­tici e sto­rici dell’arte più ma­turi (come età, si in­tende) e con po­si­zioni di ri­lievo nella co­mu­nità in­ter­na­zio­nale de­gli stu­diosi del no­stro Rinascimento.

Che que­sti cri­tici, nei re­centi de­cenni pas­sati, hanno avan­zato ipo­tesi an­che de­ci­sa­mente bal­zane che i due cu­ra­tori della mo­stra di Lecco hanno ri­te­nuto op­por­tuno igno­rare: per esem­pio sui pre­tesi si­gni­fi­cati della cas­sa­panca / ta­volo / al­tare che regge il cu­scino e Bam­bino, sui quali Va­la­gussa e Maz­zotta hanno taciuto.

Così come hanno ta­ciuto sul pre­sunto si­gni­fi­cato mor­tua­rio del cu­scino che è stato in­vece uno dei ca­valli di bat­ta­glia di Gof­fen e poi di Gentili.

Per una co­no­scenza con­sa­pe­vole del di­pinto (pen­siamo sem­pre an­che ai 300 stu­denti istruiti dalla Cu­ria di Lecco come “ci­ce­roni” della mo­stra), in con­tro­ten­denza noi ri­te­niamo che sia in­vece op­por­tuno co­no­scere per be­nino in che modo gli al­tri spe­cia­li­sti hanno di­bat­tuto in lungo e in largo sui temi che oggi Va­la­gussa e Maz­zotta ci pre­sen­tano, tra­scu­rando, ci pare, il loro ruolo.
Che non do­vrebbe es­sere quello di nar­rare più o meno pia­ce­vol­mente al­tre nar­ra­zioni (o di pre­sen­tarne al­cuni pez­zetti, se­condo con­ve­nienza) ma di ana­liz­zarne i di­versi aspetti cul­tu­rali sottesi.

Delle in­ter­pre­ta­zioni di Va­la­gussa e Maz­zotta (la­sciando per il mo­mento da parte al­cune in­te­res­santi os­ser­va­zioni, per es. in Va­la­gussa l’uso sim­bo­lico della luce e dell’ombra), ri­te­niamo di po­tere evi­den­ziare gli ele­menti portanti:

a. La scena pre­fi­gura la Pas­sione di Cri­sto.
.
b. La bara di le­gno al­lude alla morte dram­ma­tica del Bam­bino.
.
c. Espli­ci­ta­mente lo con­ferma il Bat­ti­sta con il suo “ecce agnus dei”.
.
d. In­di­ret­ta­mente lo sco­iat­tolo, che pre­vede i tem­po­rali e, per tra­slato sim­bo­lico, il fu­turo tra­gico del Bam­bino.
.
e. Que­sti è spa­ven­tato dall’animaletto e se ne ri­trae.

La tesi ge­ne­rale dei due cri­tici pog­gia quindi su tre ele­menti che, messi in si­ner­gia, a loro dire sa­reb­bero sim­bo­li­ca­mente predittivi:

1. Il Bat­ti­sta.
2. La cas­setta come bara.
3. Lo sco­iat­tolo come preveggente.

Pre­messo che Lotto po­teva / do­veva uti­liz­zare nel suo di­pinto sim­boli com­pren­si­bili e con­di­vi­si­bili al­meno dalla pre­ve­di­bile pla­tea dei suoi clienti (fi­gure quindi con un li­vello cul­tu­rale al­meno me­dio), la tesi di Va­la­gussa e Maz­zotta ha come pre­sup­po­sto che il blocco con­cet­tuale Bat­ti­sta / cas­setta / sco­iat­tolo fosse all’epoca di Lotto così ben col­lo­cato nei cir­cuiti cul­tu­rali ci­vili e re­li­giosi da po­tere es­sere fa­cil­mente e uni­vo­ca­mente in­ter­pre­tato come sim­bolo an­ti­ci­pa­tore della Pas­sione del Cri­sto.

Ci pro­po­niamo con quanto se­gue di ve­ri­fi­care la va­li­dità o meno di que­sto pre­sup­po­sto at­tra­verso un per­corso piut­to­sto ar­ti­co­lato che prende ini­zio dal 1978.

I due cu­ra­tori della mo­stra di Lecco hanno in­fatti quasi del tutto ta­ciuto che sul si­gni­fi­cato dei tre di­pinti di cui ci stiamo oc­cu­pando il di­bat­tito cri­tico ha già com­piuto i 44 anni.

Che le loro idee sul si­gni­fi­cato dei tre di­pinti come pre­dit­tivi della Pas­sione di Cri­sto sono già state am­pia­mente svi­lup­pate da al­tri cri­tici e sto­rici dell’arte più ma­turi (come età, si in­tende) e con po­si­zioni di ri­lievo nella co­mu­nità in­ter­na­zio­nale de­gli stu­diosi del no­stro Rinascimento.

Che que­sti cri­tici, nei re­centi de­cenni pas­sati, hanno avan­zato ipo­tesi an­che de­ci­sa­mente bal­zane che i due cu­ra­tori della mo­stra di Lecco hanno ri­te­nuto op­por­tuno igno­rare: per esem­pio sui pre­tesi si­gni­fi­cati della cas­sa­panca / ta­volo / al­tare che regge il cu­scino e Bam­bino, sui quali Va­la­gussa e Maz­zotta hanno taciuto.

Così come hanno ta­ciuto sul pre­sunto si­gni­fi­cato mor­tua­rio del cu­scino che è stato in­vece uno dei ca­valli di bat­ta­glia di Gof­fen e poi di Gentili.

Per una co­no­scenza con­sa­pe­vole del di­pinto (pen­siamo sem­pre an­che ai 300 stu­denti istruiti dalla Cu­ria di Lecco come “ci­ce­roni” della mo­stra), in con­tro­ten­denza noi ri­te­niamo che sia in­vece op­por­tuno co­no­scere per be­nino in che modo gli al­tri spe­cia­li­sti hanno di­bat­tuto in lungo e in largo sui temi che oggi Va­la­gussa e Maz­zotta ci pre­sen­tano, tra­scu­rando, ci pare, il loro ruolo.
Che non do­vrebbe es­sere quello di nar­rare più o meno pia­ce­vol­mente al­tre nar­ra­zioni (o di pre­sen­tarne al­cuni pez­zetti, se­condo con­ve­nienza) ma di ana­liz­zarne i di­versi aspetti cul­tu­rali sottesi.

7.2 / La Passione come tema centrale dei tre dipinti.

Va­la­gussa ne ha pra­ti­ca­mente ta­ciuto ma Maz­zotta (sia nel Ca­ta­logo della mo­stra che nel We­bi­nar del 23-01-2021) ha evi­den­ziato come nei tre di­pinti Co­sta-Mez­zate, Bo­ston e Londra:

è co­mune la strut­tura ge­ne­rale “Ma­donna + Bam­bino tra due Santi”;

di più, che
è iden­tico il nu­cleo cen­trale “Ma­donna-Bam­bino-cas­sa­panca-cu­scino-cas­setta”.

Ci sem­bra se ne possa trarre che per Va­la­gussa e Maz­zotta i tre di­pinti rap­pre­sen­tano il me­de­simo tema della Pas­sione di Cri­sto, con al­cune va­rianti, date so­prat­tutto dalla pre­senza di Santi di­versi ai lati del nu­cleo cen­trale “Ma­donna-Bam­bino-cas­setta” e — na­tu­ral­mente — dallo sco­iat­tolo, pre­sente solo nel Costa-Mezzate.

Ri­te­nendo an­che noi (ma per ra­gioni di­verse) che i tre di­pinti re­chino al loro cen­tro il me­de­simo mes­sag­gio di fondo e con­sta­tando che le ri­fles­sioni cri­ti­che dei de­cenni pas­sati (cui ab­biamo ac­cen­nato so­pra) sono state ela­bo­rate a par­tire dalle ver­sioni Bo­ston e Lon­dra, ri­te­niamo che il primo passo del no­stro per­corso debba es­sere fatto ri­flet­tendo in prima istanza sui due “cu­gini” espa­triati.
Prima di svi­lup­pare il tema, se­gna­liamo che Maz­zotta vi ha de­di­cato me­ri­to­ria­mente un certo spa­zio sul Ca­ta­logo Uf­fi­ciale, con mo­da­lità che sol­le­ci­tano però qual­che no­stra considerazione.

Maz­zotta ri­leva in­fatti giu­sta­mente l’importanza della com­pre­senza di “due” di­stinte ver­sioni del di­pinto — una delle quali in doppio.

Ne pone però l’elemento di dif­fe­ren­zia­zione in una sup­po­sta va­ria­zione di “to­na­lità” pro­po­nendo un ori­gi­nale pa­ra­gone con la mu­sica: la ver­sione Co­sta-Mez­zate, in mo­stra a Lecco e ca­rat­te­riz­zata da un in­de­fi­nito fondo scuro, sa­rebbe la ver­sione in “to­na­lità mi­nore”, quindi “più tra­gica”.

A parte il con­si­de­rare che in un me­de­simo brano mu­si­cale to­na­lità “mag­giori” e “mi­nori” pos­sono tran­quil­la­mente e spes­sis­simo con­vi­vere, il pa­ra­gone è co­mun­que cu­rioso: non si com­prende in­fatti in che modo la ver­sione senza fondo scuro (sdop­piata nei due esem­plari di Bo­ston e Lon­dra) sa­rebbe “meno tra­gica”: da qua­ranta anni quella so­lu­zione (per Maz­zotta evi­den­te­mente in “to­na­lità mag­giore”) è anch’essa in­di­cata dalla cri­tica come rap­pre­sen­ta­zione del me­de­simo tra­gico sa­cri­fi­cio dell’agnello di Dio — si pre­sume senza che nes­suno trovi la cosa lieta o al­le­gra.

8. Lotto: il confronto con i “cugini” all’estero.

8.1 / Conoscere per valutare: le due repliche di Boston e di Londra.

Per pro­se­guire nei no­stri ra­gio­na­menti, ci con­cen­triamo ora sui di­pinti di Bo­ston e Lon­dra, ri­cor­dando che pro­prio a par­tire da ana­lisi stru­men­tali ese­guite su que­ste due re­pli­che, dalla fine de­gli anni ’70 del se­colo scorso si sono co­min­ciate a svi­lup­pare su que­sto calco pit­to­rico di Lotto ri­fles­sioni sia tec­ni­che sia di contenuto.

In par­ti­co­lare, è ana­liz­zando la ver­sione di Bo­ston che per la prima volta (1978) è stata avan­zata dalla sto­rica dell’arte sta­tu­ni­tense Rona Gof­fen l’idea che in essa sia do­mi­nante la pre­fi­gu­ra­zione del sa­cri­fi­cio del Bam­bino, e ciò sulla base di ri­fe­ri­menti ico­no­gra­fici dall’esperta in­di­cati nel det­ta­glio (ne par­le­remo in modo ap­pro­fon­dito nella suc­ces­siva Se­zione de­di­cata al con­te­nuto del di­pinto, al suo mes­sag­gio ideologico-culturale).

8.2 / Le analisi strumentali dei critici d’arte anglosassoni.

Nel 1978 Gof­fen (1944-2004) pub­blicò sulla ri­vi­sta del mu­seo delle arti fi­gu­ra­tive di Bo­ston (MFA Bul­le­tin, Vol. 76, 1978, pp. 34-41) un ar­ti­colo ti­to­lato «Una “Ma­donna” di Lo­renzo Lotto», de­di­cato al “cu­gino” bo­sto­niano del Co­sta-Mez­zate espo­sto a Lecco.
L’articolo fu — ed è tut­tora — molto ap­prez­zato, ed è in ef­fetti in­te­res­sante (nel Ca­ta­logo della mo­stra di Lecco è ci­tato ma solo in Bi­blio­gra­fia). Alle idee lì espresse ci de­di­che­remo este­sa­mente più avanti nella Nota.

Qui ci li­mi­tiamo a ri­cor­darne una con­sta­ta­zione: il Bo­ston, sot­to­po­sto ai raggi X, mo­stra al­cuni pen­ti­menti dell’artista.
Per esem­pio, in corso d’opera, ri­spetto a una sua prima scelta, Lotto aveva sco­stato sen­si­bil­mente verso l’esterno il brac­cio de­stro della Ma­donna (tanto da na­scon­dere buona parte delle mani di San Gi­ro­lamo, prima vi­si­bili) ren­dendo così più am­pia la ma­nica della ve­ste e an­nul­lando quasi l’angolo tra polso e avam­brac­cio (più sotto ri­pren­de­remo que­sta os­ser­va­zione a pro­po­sito del Costa-Mezzate).

8.3 / Approfondite analisi strumentali sui “cugini” di Boston e Londra, 1998.

Sti­mo­lati dalla mo­stra iti­ne­rante Wa­shing­ton, Ber­gamo, Pa­rigi del 1997-98 (ne ab­biamo par­lato so­pra), gli in­glesi Jill Dun­ker­ton, Ni­cho­las Penny e Ashok Roy pub­bli­ca­rono l’articolo «Due di­pinti di Lo­renzo Lotto alla Na­tio­nal Gal­lery di Lon­dra» (Na­tio­nal Gal­lery Tech­ni­cal Bul­le­tin, Vo­lume 19, 1998) nella prima parte del quale sta­bi­li­vano un con­fronto tra la ver­sione di Bo­ston e quella di Lon­dra con­dotto at­tra­verso l’impiego di tec­ni­che strumentali.

Detto molto in breve, i tre ri­cer­ca­tori sostenevano:

1 — che i due di­pinti erano stati stesi da Lotto in con­tem­po­ra­nea, quasi pas­sando da una tela all’altra;
.
2 — che il ca­po­fila della cop­pia deve es­sere con­si­de­rato Bo­ston per­ché in esso sono rin­ve­ni­bili sen­si­bili ri­pen­sa­menti in corso d’opera da parte di Lotto, poi tra­spo­sti nel primo getto della ver­sione Lon­dra:
«il brac­ciale ve­niva di­se­gnato dap­prima sotto e poi so­pra il go­mito, men­tre al polso ve­niva di­se­gnato più stretto di quanto non lo sia nel di­pinto fi­nale»;
.
e an­cora:
3 — «la te­sta [del Bam­bino] era ori­gi­na­ria­mente di­pinta in una po­si­zione più fron­tale […] qua­lun­que sia la se­quenza, il volto del Bam­bino è stato fi­nal­mente di­pinto con il con­torno an­cora più a de­stra: la po­si­zione che ri­tro­viamo nella ver­sione della Na­tio­nal Gal­lery.»;
.
in­fine, con­fron­tando in ge­ne­rale le due ver­sioni Bo­ston e Lon­dra, i tre cri­tici in­glesi so­ste­ne­vano che:
4 — «tutti gli ele­menti prin­ci­pali della com­po­si­zione hanno le stesse di­men­sioni e si di­sco­stano solo per pic­coli det­ta­gli: per es. nel di­pinto Lon­dra le gambe del bam­bino sono molto più a si­ni­stra (per l’osservatore, NdR)».

Da parte no­stra ri­le­viamo che i tre ana­li­sti in­glesi non si sono ac­corti — o hanno scelto di non farlo no­tare — che tra i due di­pinti c’è in­vece una ri­le­vante dif­fe­renza strut­tu­rale che ha at­ti­nenza an­che con il Costa-Mezzate.

8.4/ Mostriamo qui sotto i due dipinti insieme.

Come pos­siamo age­vol­mente no­tare, sul piano dello svi­luppo oriz­zon­tale le due ver­sioni sono re­la­ti­va­mente vi­cine, salvo al­cuni det­ta­gli che danno co­mun­que da pen­sare ri­spetto all’idea di Lon­dra come di una co­pia vera e pro­pria ese­guita in stu­dio da Lotto a par­tire dall’originale Bo­ston.
In Lon­dra, ri­spetto a Boston:

a./ ol­tre al leg­gero spo­sta­mento delle gambe del Bam­bino verso la pro­pria de­stra (no­tato dai tre ana­li­sti in­glesi), è da evi­den­ziare
.
b./ la di­men­sione più am­pia e fin de­for­mata (sem­bra una frit­tella spiac­ci­cata!) della mano si­ni­stra di San Gi­ro­lamo; inol­tre
.
c./ il pae­sag­gio mon­tuoso e il cielo, di­versi come di­se­gno e come tono.

Sul piano dello svi­luppo ver­ti­cale le dif­fe­renze sono però ben più mar­cate — e di ciò gli ana­li­sti in­glesi non hanno fatto pa­rola:

d./ nella ver­sione Lon­dra, il capo di San Ni­cola (alla si­ni­stra del Bam­bino) è al­li­neato con quello della Ma­donna;
.
e./ nella ver­sione Bo­ston, il capo del Bam­bino e quello di San Ni­cola sono po­sti in­vece net­ta­mente più in basso, sia at­tra­verso un ab­bas­sa­mento della loro po­si­zione com­ples­siva sia con una ri­du­zione della di­men­sione lon­gi­tu­di­nale delle te­ste del Bam­bino e di San Ni­cola.
An­che la te­ste e il bu­sto di San Gi­ro­lamo ri­sul­tano ab­bas­sati, sep­pure di poco.

Que­sto in­sieme di va­ria­zioni de­ter­mina in Bo­ston due ef­fetti po­si­tivi:
una più fe­lice so­lu­zione pit­to­rica: il capo della Ma­donna è po­sto de­ci­sa­mente al ver­tice di una pi­ra­mide ot­tica de­gra­dante su en­trambi i lati;
una più coe­rente so­lu­zione con­cet­tuale: il Santo è cor­ret­ta­mente po­sto a un li­vello ge­rar­chico in­fe­riore ri­spetto alla ma­dre del Bam­bino e al Bam­bino stesso.

C’è poi un terzo ef­fetto di di­versa va­lenza: in Bo­ston il Bam­bino è più mol­le­mente ap­pog­giato alla ma­dre, ac­cen­tuando il ca­rat­tere di se­re­nità ge­ne­rale della scena, de­ter­mi­nato an­che dai sor­risi della Ma­donna e di San Ni­cola.

Sul piano dello svi­luppo ver­ti­cale le dif­fe­renze sono però ben più mar­cate — e di ciò gli ana­li­sti in­glesi non hanno fatto pa­rola:

d./ nella ver­sione Lon­dra, il capo di San Ni­cola (alla si­ni­stra del Bam­bino) è al­li­neato con quello della Ma­donna;
.
e./ nella ver­sione Bo­ston, il capo del Bam­bino e quello di San Ni­cola sono po­sti in­vece net­ta­mente più in basso, sia at­tra­verso un ab­bas­sa­mento della loro po­si­zione com­ples­siva sia con una ri­du­zione della di­men­sione lon­gi­tu­di­nale delle te­ste del Bam­bino e di San Ni­cola.
An­che la te­ste e il bu­sto di San Gi­ro­lamo ri­sul­tano ab­bas­sati, sep­pure di poco.

Que­sto in­sieme di va­ria­zioni de­ter­mina in Bo­ston due ef­fetti po­si­tivi:
una più fe­lice so­lu­zione pit­to­rica: il capo della Ma­donna è po­sto de­ci­sa­mente al ver­tice di una pi­ra­mide ot­tica de­gra­dante su en­trambi i lati;
una più coe­rente so­lu­zione con­cet­tuale: il Santo è cor­ret­ta­mente po­sto a un li­vello ge­rar­chico in­fe­riore ri­spetto alla ma­dre del Bam­bino e al Bam­bino stesso.

C’è poi un terzo ef­fetto di di­versa va­lenza: in Bo­ston il Bam­bino è più mol­le­mente ap­pog­giato alla ma­dre, ac­cen­tuando il ca­rat­tere di se­re­nità ge­ne­rale della scena, de­ter­mi­nato an­che dai sor­risi della Ma­donna e di San Ni­cola.

La mag­giore ar­mo­nia e coe­renza di Bo­ston, de­ter­mi­nata da que­sta dif­fe­renza strut­tu­rale ri­spetto a Lon­dra, pone ov­via­mente un pro­blema alla tesi di Jill Dun­ker­ton, Ni­cho­las Penny e Ashok Roy: se Bo­ston è il pro­to­tipo, per quale ra­gione Lotto lo avrebbe peg­gio­rato — e sotto tutti i punti di vi­sta — nella co­pia di Londra?

Stando alla lo­gica dell’arte e della vita (e a meno di ipo­tiz­zare un im­pro­ba­bile in­ter­vento del com­mit­tente che NON VOLEVA San Ni­cola a un li­vello ge­rar­chico più basso ri­spetto alla Ma­donna), ap­pa­ri­rebbe più lo­gico il pro­cesso in­verso: Lon­dra do­vrebbe così es­sere con­si­de­rato il pro­to­tipo, net­ta­mente mi­glio­rato, strada fa­cendo, nella ver­sione Boston.

Ma pro­se­guiamo.

9. Confronto tra i tre dipinti.

L’ultima dif­fe­renza da noi evi­den­ziata — ma­cro­sco­pica — tra le ver­sioni Bo­ston e Lon­dra (de­fi­nite da Maz­zotta come “pra­ti­ca­mente iden­ti­che”) è in­te­res­sante an­che al fine di un con­fronto tra le due ver­sioni espa­triate e il Co­sta-Mez­zate di cui ci occupiamo.

Ab­biamo vi­sto che Gof­fen, Dun­ker­ton, Penny e Roy so­ste­ne­vano in­fatti che il pro­to­tipo della se­rie è da con­si­de­rare Bo­ston.
Ma Mauro Lucco, nel Ca­ta­logo della mo­stra iti­ne­rante Wa­shing­ton, Ber­gamo, Pa­rigi del 1987-88, so­stenne es­sere in­vece il Co­sta-Mez­zate il ca­po­sti­pite (con mo­ti­va­zioni piut­to­sto biz­zarre per la ve­rità, lo ve­dremo più avanti).

Per­ché il let­tore possa farsi una pro­pria idea, qui sotto po­niamo i tre esem­plari fianco a fianco.
Per con­sen­tirne un più age­vole con­fronto, ab­biamo in­gran­dito il Co­sta-Mez­zate, nella realtà più pic­colo di circa il 10% ri­spetto ai due esem­plari Bo­ston e Londra).

Su que­sta base ab­biamo creato una se­rie di al­li­nea­menti da cui pos­siamo ri­ca­vare al­cune os­ser­va­zioni forse utili circa la in­di­vi­dua­zione del prototipo.

È in­fatti fa­cil­mente con­sta­ta­bile che nel Co­sta-Mez­zate il gruppo “Ma­donna / Santa Ca­te­rina” è sul piano strut­tu­rale pra­ti­ca­mente iden­tico al gruppo “Ma­donna / San Ni­cola” in Lon­dra; il quale, in que­sto (lo ab­biamo vi­sto so­pra) è net­ta­mente di­verso da Bo­ston, per di più in senso peg­gio­ra­tivo.
Ciò po­trebbe fare pen­sare che il Co­sta-Mez­zate ab­bia pre­ce­duto Lon­dra che a sua volta avrebbe pre­ce­duto Bo­ston — os­sia una suc­ces­sione op­po­sta da quanto ipo­tiz­zato dai cri­tici anglosassoni.

Da parte no­stra non az­zar­diamo ipo­tesi ma ci li­mi­tiamo ai dati di fatto, ri­cor­dando solo che in as­senza di do­cu­menti a sostegno:

a/ — le con­clu­sioni dei cri­tici vanno sem­pre prese con le do­vute cau­tele;
.
b/— che gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra di Lecco do­vreb­bero di con­se­guenza, sul di­pinto che essi hanno pre­sen­tato al pub­blico — fa­cen­do­sene mal­le­va­dori — for­nire tutte quelle in­for­ma­zioni do­cu­men­tali che certo essi hanno.

L’assicurazione con­tro furti e dan­neg­gia­menti di cui gode il di­pinto sarà in­fatti stata ac­cesa sulla base di qual­che cosa di più di belle pa­role: ren­dete pub­blica la do­cu­men­ta­zione — al­tro che “ac­cordi di riservatezza”!!

E ciò ri­guarda ov­via­mente an­che il Co­mune di Lecco.

10. Il Costa-Mezzate: “Novità e bizzarria spiccano in questo quadro”.

Pos­siamo ora pas­sare al nu­cleo cen­trale della se­conda parte della no­stra espo­si­zione, de­di­cata alla va­lu­ta­zione del con­te­nuto cul­tu­rale del di­pinto: cosa vo­leva tra­smet­terci Lotto con quell’opera?
Quanto se­gue cerca di ri­spon­dere a que­sta domanda.

O me­glio, cerca di evi­den­ziare la in­con­si­stenza delle ipo­tesi cri­ti­che che da qua­ranta anni ne fanno la rap­pre­sen­ta­zione in­du­bi­ta­bile della Pas­sione di Cristo.

Non cer­che­remo nep­pure in via ipo­te­tica di dare no­stre ri­spo­ste po­si­tive: sarà pos­si­bile for­mu­larle solo quando:

— sa­ranno pub­blici i ri­sul­tati delle in­da­gini stru­men­tali sul dipinto;

— avremo un qua­dro ag­gior­nato dei vari pas­saggi pro­prie­tari del di­pinto e dei re­stauri cui è stato sottoposto.

10.1 / I primari strumenti critici: occhi, buon senso e nessun preconcetto.

Nel We­bi­nar del 22-01-2021, Maz­zotta ha esor­dito con una solo ap­pa­rente ov­vietà: per par­lare di un di­pinto bi­so­gna prima di tutto guar­darlo con at­ten­zione per quello che è.

Da parte no­stra vi il­lu­striamo di se­guito come ab­biamo vi­sto e ve­diamo il Co­sta-Mez­zate: la de­scri­zione che ri­te­niamo possa fare chiun­que non ab­bia pre­con­cetti o vo­lute cecità.

1.

1.1/ Ap­pog­gian­do­visi so­pra con la gamba si­ni­stra, la Ma­donna è rap­pre­sen­tata se­duta di sghembo su una cas­sa­panca di le­gno, de­ci­sa­mente ru­stica; ha il piede si­ni­stro su un rialzo (sga­bello o al­tro, non in­cluso nel di­pinto);
.
1.2/ sulla cas­sa­panca è po­sata una cas­setta di le­gno con mo­da­na­ture, una ma­ni­glia in me­tallo e la fes­sura per la chiave;
.
1.3/ sulla cas­setta è po­sto un ben ri­gon­fio cu­scino a quat­tro nappe;
.
1.4/ su di esso è se­duto il Bam­bino, anch’egli di sghembo (ma su li­nee op­po­ste a quelle della Ma­donna), so­ste­nuto / ab­brac­ciato dalla ma­dre;
.
1.5/ il Bam­bino, ap­pog­giato mol­le­mente alla ma­dre, ap­pare ri­las­sato: non dà se­gni di spa­vento, né “si getta tra le brac­cia della ma­dre”, come ha sug­ge­sti­va­mente sug­ge­rito Va­la­gussa il 5 di­cem­bre 2020 alla inau­gu­ra­zione della mo­stra di Lecco;

.
1.6/ guarda qual­cosa fuori campo; si­cu­ra­mente NONGUARDA lo sco­iat­tolo; così come in Bo­ston e in Lon­dra NONGUARDA S. Ni­cola che cerca in­vece, con un sor­riso più o meno ac­cen­nato, di in­ter­cet­tarne lo sguardo.

2.

Come può ve­ri­fi­care an­che un os­ser­va­tore non par­ti­co­lar­mente al­le­nato, il Bat­ti­sta e Santa Ca­te­rina ri­sul­tano come ap­pic­ci­cati ai lati del gruppo cen­trale di Ma­donna + Bam­bino, senza al­cuna at­ten­zione per la pro­fon­dità di campo e i reali rap­porti dei corpi nello spazio.

4.

Ri­spetto alla lunga canna cro­ciata di­se­gnata dallo stesso Lotto nella Pala di San Ber­nar­dino in Ber­gamo, quella del Bat­ti­sta del Co­sta-Mez­zate ap­pare ac­cor­ciata di ol­tre 50 cm, ri­sul­tando de­ci­sa­mente in­con­grua (se lo im­ma­gi­nas­simo in piedi, la croce gli ar­ri­ve­rebbe al petto — una cosa ri­di­cola).
È un ta­glio che sem­bra fatto con l’accetta tanto ap­pare in­ve­ro­si­mile sul piano pro­spet­tico: la som­mità ap­pare poi troppo as­sot­ti­gliata ri­spetto al fu­sto cen­trale.
Inol­tre la tra­versa forma un an­golo su­pe­riore de­ci­sa­mente troppo acuto: in­ge­nuità pit­to­ri­che non ben giu­sti­fi­ca­bili in un ar­ti­sta esperto come Lotto.

5.

La au­reola del Bat­ti­sta, ap­pare es­sere stata tra­scu­rata dal pit­tore che non ne ha eli­mi­nato le so­vrap­po­si­zioni in­coe­renti con i di­versi piani prospettici.

Il sim­bolo della San­tità do­vrebbe ideal­mente stare “so­pra” o “die­tro” capo e spalle: quindi non do­vrebbe ve­dersi so­vrap­po­sta al car­ti­glio “ecce agnus Dei” che in­vece è “da­vanti” al volto del Santo.
Lo stesso per l’aureola della Ma­donna: passa so­pra la mano de­stra del Bam­bino men­tre do­vrebbe es­serne na­sco­sta (è que­sto però un tratto che si trova in al­tri di­pinti di Lotto e po­trebbe es­sere le­gato alla mag­giore o mi­nore im­por­tanza per Lotto del com­mit­tente — e dell’entità del compenso).

6.

La mano si­ni­stra del Bat­ti­sta è ve­ra­mente uno scon­cio ed è cu­rioso che nei se­coli nes­suno lo ab­bia evi­den­ziato men­tre — pro­prio al con­tra­rio — da più parti è stata se­gna­lata l’abilità di Lotto nella raf­fi­gu­ra­zione delle mani.

3.

Spro­por­zio­nato ri­spetto al con­te­sto ap­pare Gio­vanni Bat­ti­sta. Con­fron­tati gli ele­menti strut­tu­rali e po­sta la Ma­donna all’altezza me­dia dell’epoca di Lotto (cm 155), il Bat­ti­sta ri­sul­te­rebbe alto circa 1 me­tro e 90 (co­mun­que una bella sberla d’uomo).

Per non pen­sarlo al con­tra­rio come un omino con un gran ca­poc­cione, dob­biamo quindi im­ma­gi­narlo inginocchiato.

D’altro lato è un po’ ri­di­colo sup­porlo in quella po­si­zione: come pro­teso in avanti per riu­scire a in­di­care con pre­ci­sione chi sia l’ “agnus dei”, il Santo sem­bra spin­gere con il brac­cio e la spalla si­ni­stri la Ma­donna; in­somma non un gran­ché in una rap­pre­sen­ta­zione sacra.

4.

Ri­spetto alla lunga canna cro­ciata di­se­gnata dallo stesso Lotto nella Pala di San Ber­nar­dino in Ber­gamo, quella del Bat­ti­sta del Co­sta-Mez­zate ap­pare ac­cor­ciata di ol­tre 50 cm, ri­sul­tando de­ci­sa­mente in­con­grua (se lo im­ma­gi­nas­simo in piedi, la croce gli ar­ri­ve­rebbe al petto — una cosa ri­di­cola).
È un ta­glio che sem­bra fatto con l’accetta tanto ap­pare in­ve­ro­si­mile sul piano pro­spet­tico: la som­mità ap­pare poi troppo as­sot­ti­gliata ri­spetto al fu­sto cen­trale.
Inol­tre la tra­versa forma un an­golo su­pe­riore de­ci­sa­mente troppo acuto: in­ge­nuità pit­to­ri­che non ben giu­sti­fi­ca­bili in un ar­ti­sta esperto come Lotto.

5.

La au­reola del Bat­ti­sta, ap­pare es­sere stata tra­scu­rata dal pit­tore che non ne ha eli­mi­nato le so­vrap­po­si­zioni in­coe­renti con i di­versi piani prospettici.

Il sim­bolo della San­tità do­vrebbe ideal­mente stare “so­pra” o “die­tro” capo e spalle: quindi non do­vrebbe ve­dersi so­vrap­po­sta al car­ti­glio “ecce agnus Dei” che in­vece è “da­vanti” al volto del Santo.
Lo stesso per l’aureola della Ma­donna: passa so­pra la mano de­stra del Bam­bino men­tre do­vrebbe es­serne na­sco­sta (è que­sto però un tratto che si trova in al­tri di­pinti di Lotto e po­trebbe es­sere le­gato alla mag­giore o mi­nore im­por­tanza per Lotto del com­mit­tente — e dell’entità del compenso).

6.

La mano si­ni­stra del Bat­ti­sta è ve­ra­mente uno scon­cio ed è cu­rioso che nei se­coli nes­suno lo ab­bia evi­den­ziato men­tre — pro­prio al con­tra­rio — da più parti è stata se­gna­lata l’abilità di Lotto nella raf­fi­gu­ra­zione delle mani.

Os­ser­vate il mi­gnolo si­ni­stro: trac­ciato alla bell’e me­glio e senza al­cuna ap­pa­renza di realtà, ap­pare quasi uno scherzo o — nella mi­gliore delle ipo­tesi — un ap­punto pit­to­rico di cui l’artista non si è poi mi­ni­ma­mente curato.

L’anulare è inol­tre molto più ro­bu­sto dell’indice, pro­prio al con­tra­rio della realtà ana­to­mica.
Un non senso dopo l’altro ri­spetto a quel tratto di ve­ri­smo che è co­mune co­mun­que a tutta la pit­tura di quei secoli.

7.

Sotto il ca­pez­zolo de­stro del Bat­ti­sta è in evi­denza una de­for­ma­zione / escre­scenza che po­trebbe fare pen­sare a un caso di po­li­te­lia, ov­via­mente impensabile.

Nella fo­to­gra­fia mo­no­cro­ma­tica del 1929 quel se­gno non è vi­si­bile; si tratta pre­su­mi­bil­mente di un suc­ces­sivo dan­neg­gia­mento su­bito dal dipinto.

Non sa­rebbe male che i cri­tici Va­la­gussa e Maz­zotta, an­zi­ché igno­rare que­ste evi­denze, re­gi­stra­bili da chiun­que, ne des­sero una qual­che spiegazione.

8.

Al­tret­tante os­ser­va­zioni si pos­sono fare per la strut­tura fi­sica di Santa Ca­te­rina.
An­che se pos­siamo forse im­pu­tarlo a un re­stauro poco at­tento alle om­bre, il capo della Santa, in ge­ne­rale, ap­pare piut­to­sto tozzo; in al­tri di­pinti Lotto ci ha dato una Ca­te­rina de­ci­sa­mente di­versa, ad­di­rit­tura quasi una ele­gante ra­gazza-co­per­tina (na­tu­ral­mente castigata).

Ciò che mag­gior­mente col­pi­sce è però la sua espres­sione: la Santa mar­tire, Sposa mi­stica, fissa il Bam­bino come per­plessa e quasi in­ter­ro­gan­dosi su un qual­che cosa, senza co­mun­que la­sciarsi mi­ni­ma­mente di­strarre dallo sco­iat­tolo che le esce dalla piega del brac­cio, a parte un mo­vi­mento della mano de­stra su cui vale la pena di soffermarsi.

9.

Se con­si­de­rate con un poco di at­ten­zione quella mano che, nella lo­gica di una rap­pre­sen­ta­zione ve­ri­stica, sep­pure idea­liz­zata, deve es­sere la de­stra della Santa, vi ac­cor­gete che qual­che cosa non va.

La po­si­zione delle dita è in­na­tu­rale: per di­sporle così come ci ap­pa­iono, la Santa avrebbe do­vuto com­piere una in­si­stita pro­na­zione dell’avambraccio e non in­vece il ge­sto istin­tivo quale sup­po­sto dalla situazione.

Cu­rio­sa­mente, se in­vece con­si­de­ras­simo quella mano come la si­ni­stra della Ma­donna, pro­tesa a fer­mare lo sco­iat­tolo, al­lora essa po­trebbe ap­pa­rire ab­ba­stanza cor­retta e naturale.

10.

D’altra parte, se non fosse per il rosso della ma­nica che in­duce il ri­guar­dante a re­gi­strarla men­tal­mente come la si­ni­stra della Ma­donna, la mano che si ap­pog­gia quasi alla spalla del Bam­bino po­trebbe es­sere be­nis­simo la mano si­ni­stra di Caterina.

Lo ha ri­le­vato an­che Luca Do­ni­nelli (Ca­ta­logo della mo­stra: p. 81):

«Ca­te­rina non osa toc­care il bam­bino, an­che se a un primo sguardo la mano che lo ac­ca­rezza po­trebbe ap­pa­rire la sua.».

Que­sta di Do­ni­nelli è una os­ser­va­zione del tutto con­di­vi­si­bile che sol­le­cita quanto meno in­ter­ro­ga­tivi (nes­sun al­tro ha però ri­le­vato que­sta am­bi­guità ot­tica nella composizione).

11.

Sem­pre con ri­fe­ri­mento a quella se­zione del di­pinto, dob­biamo ri­le­vare che il pan­neg­gio del man­tello che co­pre in parte avam­brac­cio e polso si­ni­stri della Ma­donna è rap­pre­sen­tato in modo de­ci­sa­mente gros­so­lano: an­zi­ché co­prire la ma­nica della ve­ste e for­mare quindi un’ombra su di essa, il pan­neg­gio sem­bra es­sere “sotto” la ma­nica stessa.
Sotto que­sto pro­filo, il Co­sta-Mez­zate è certo il meno riu­scito dei tre esem­plari.

È però pos­si­bile che le ano­ma­lie che noi ve­diamo ora siano il pro­dotto di un ve­ra­mente mal­de­stro re­stauro.
O an­che di qual­cosa di più se­rio: per esem­pio, un suc­ces­sivo ra­di­cale in­ter­vento strut­tu­rale, rea­liz­zato da Lotto in fretta e fu­ria o da un ar­ti­sta meno abile di Lotto.

Per que­sto sa­reb­bero im­por­tanti le ana­lisi stru­men­tali sul Co­sta-Mez­zate: siamo certi che ci da­reb­bero in­for­ma­zioni interessanti.

12.

Ap­pena so­pra ab­biamo par­lato dell’espressione ri­fles­siva e in­ter­ro­ga­tiva di S. Caterina.

Molto più ac­cen­tuato è il senso di in­ter­ro­ga­zione e in­cer­tezza, per­ce­pi­bile nella espres­sione di Gio­vanni Battista.

Su que­sto aspetto Maz­zotta, di Gio­vanni Bat­ti­sta del tutto op­por­tu­na­mente evi­den­zia (We­bi­nar del 23-02-2021):

«lo sguardo obli­quo, di­sin­gan­nato, tutto lot­te­sco; lo sguardo con cui l’artista af­fron­tava il mondo […] lo sguardo me­lan­co­nico di quelli che hanno dubbi sull’esistenza e pro­prio per que­sto si fanno domande.»

Su que­sto al­tri co-au­tori del Ca­ta­logo hanno idee opposte.

Il già ci­tato Luca Do­ni­nelli (p. 80, no­stre evidenziazioni):

«[Gio­vanni Bat­ti­sta] il capo ap­pena pie­gato in at­ti­tu­dine di sem­pli­cità fe­riale, con­ta­dina […] il suo volto buono porta i se­gni di una cer­tezza su­prema».

Ognuno ha le sue sen­si­bi­lità: per Maz­zotta lo sguardo del Bat­ti­sta è «obli­quo e di­sin­gan­nato», per Do­ni­nelli il suo «volto buono porta i se­gni di una cer­tezza su­prema».
Da parte no­stra non ab­biamo dif­fi­coltà a con­cor­dare con Maz­zotta che in que­sto co­glie me­glio di Do­ni­nelli il dato di realtà pro­po­stoci dal di­pinto.

Pen­siamo si pos­sano in­di­vi­duare ele­menti cul­tu­rali de­ci­sa­mente va­lidi a so­ste­gno di una let­tura al­ter­na­tiva dello sguardo del Bat­ti­sta, e forse an­che dell’intero dipinto.

Lo “sguardo obli­quo” di Gio­vanni Bat­ti­sta con­trad­dice l’assertività del car­ti­glio che egli mo­stra e può in­vece al­lu­dere ai dubbi del Pre­cur­sore, espressi nel Van­gelo [CEI Ge­ru­sa­lemme: Lc 7, 19-23, evi­den­zia­zioni nostre]:

«[17] La fama di que­sti fatti si dif­fuse in tutta la Giu­dea e per tutta la re­gione.
[18] An­che Gio­vanni fu in­for­mato dai suoi di­sce­poli di tutti que­sti av­ve­ni­menti. Gio­vanni chiamò due di essi
[19] e li mandò a dire al Si­gnore: «Sei tu co­lui che viene, o dob­biamo aspet­tare un al­tro?».
[20] Ve­nuti da lui, que­gli uo­mini dis­sero: «Gio­vanni il Bat­ti­sta ci ha man­dati da te per do­man­darti: Sei tu co­lui che viene o dob­biamo aspet­tare un al­tro?».
[21] In quello stesso mo­mento Gesù guarì molti da ma­lat­tie, da in­fer­mità, da spi­riti cat­tivi e donò la vi­sta a molti cie­chi.
[22] Poi diede loro que­sta ri­spo­sta: «An­date e ri­fe­rite a Gio­vanni ciò che avete vi­sto e udito: i cie­chi riac­qui­stano la vi­sta, gli zoppi cam­mi­nano, i leb­brosi ven­gono sa­nati, i sordi odono, i morti ri­su­sci­tano, ai po­veri è an­nun­ziata la buona no­vella.
[23] E beato è chiun­que non sarà scan­da­liz­zato di me!».

Prima di es­sere con­vinto dall’esperienza della vita (o dai “mi­ra­coli”, ognuno scelga ciò che gli piace) Gio­vanni Bat­ti­sta quindi DUBITA e nel Co­sta-Mez­zate po­tremmo leg­gere il suo sguardo pro­prio in quel senso; così come in quel senso po­tremmo leg­gere le espres­sioni in­ter­ro­ga­tive della Ma­donna e di Santa Caterina.

Ma an­che dare una in­ter­pre­ta­zione del tutto na­tu­ra­li­stica a quella che — ci si passi la li­bertà — po­tremmo de­fi­nire la “espres­sione” dello sco­iat­tolo, ma­gi­stral­mente rap­pre­sen­tata da Lotto come di “vi­vace cu­rio­sità”, pro­prio quella che per noi umani è la più evi­dente e sim­pa­tica ma­ni­fe­sta­zione della na­tura del pic­colo roditore.

Il car­ti­glio che Gio­vanni Bat­ti­sta reca, av­volto at­torno a una croce sbi­lenca, retta da una mano “falsa”, non è svolto nella sua in­te­rezza.
E chi ci dice che nello svol­gerlo non ci si po­tesse tro­vare di fronte a un bel punto di do­manda:

«Ecce agnus Dei?»

Sia chiaro! Non vo­gliamo pro­porre una no­stra in­ter­pre­ta­zione (man­cano gli in­di­spen­sa­bili ele­menti do­cu­men­tali per una va­lu­ta­zione se­ria su ciò che po­tes­sero pen­sare in ma­te­ria sia Lotto sia i suoi committenti).

Vo­gliamo solo evi­den­ziare la ne­ces­sità / op­por­tu­nità / ob­bli­ga­to­rietà di ve­dere le cose da di­versi punti di vista.

Per quanto ri­guarda lo sco­iat­tolo, è da ri­le­vare che nel Co­sta-Mez­zate è rap­pre­sen­tato molto più grande di come que­sto pic­colo ro­di­tore, ti­pico del con­ti­nente eu­ro­peo, è nella realtà.

A lato lo mo­striamo nelle sue mas­sime di­men­sioni reali (20 cm), pro­prio come lo rap­pre­sen­ta­vano al­lora i no­stri pit­tori del ’500: un ani­ma­letto di ta­glia de­ci­sa­mente con­te­nuta (meno di una mano) ri­spetto al gri­gio sco­iat­tolo ame­ri­cano (30 cm), in­tro­dotto in Eu­ropa solo ai primi del Seicento.

Sul piano pit­to­rico no­tiamo un in­ter­vento di re­stauro ti­rato via alla bell’e me­glio:
in 1) il rosso vi­nac­cia della ve­ste di S. Ca­te­rina ap­pare es­sere so­pra la coda dello sco­iat­tolo men­tre do­vrebbe es­serne sotto;
— stesso pro­blema in 2): il bordo della ve­ste co­pre il re­tro del cra­nio del ro­di­tore men­tre do­vrebbe es­serne co­perto (sia detto per in­ciso: l’intervento sul bruno del pelo è de­ci­sa­mente in­fame);
in 3) il me­de­simo rosso tra­spare all’altezza del me­ta­tarso del sim­pa­tico animaletto.

Per quanto ri­guarda lo sco­iat­tolo, è da ri­le­vare che nel Co­sta-Mez­zate è rap­pre­sen­tato molto più grande di come que­sto pic­colo ro­di­tore, ti­pico del con­ti­nente eu­ro­peo, è nella realtà.

A lato lo mo­striamo nelle sue mas­sime di­men­sioni reali (20 cm), pro­prio come lo rap­pre­sen­ta­vano al­lora i no­stri pit­tori del ’500: un ani­ma­letto di ta­glia de­ci­sa­mente con­te­nuta (meno di una mano) ri­spetto al gri­gio sco­iat­tolo ame­ri­cano (30 cm), in­tro­dotto in Eu­ropa solo ai primi del Seicento.

Più si guarda que­sto di­pinto più cre­sce la cu­rio­sità di ve­derne rea­liz­zata una bella ana­lisi strumentale.

Si­cu­ra­mente ci da­rebbe delle grosse sor­prese: al­tro che i pic­coli ri­pen­sa­menti del Bo­ston messi in luce dalla im­ma­gi­ni­fica Gof­fen nel 1978.

11. Interpretazioni di ieri e dell’ultimo quarantennio.

Lo ab­biamo già ac­cen­nato: Va­la­gussa e Maz­zotta, cu­ra­tori ar­ti­stici della mo­stra di Lecco, nei loro in­ter­venti a com­mento del di­pinto Co­sta-Mez­zate, sono stati de­ci­sa­mente par­chi di os­ser­va­zioni sia sulla sua vi­cenda pro­prie­ta­ria sia sui due “cu­gini“ di Bo­ston e Londra.

Sono stati in­vece to­tal­mente muti sulle al­tre in­ter­pre­ta­zioni — vi­cine o meno alla loro — che in pro­po­sito si sono suc­ce­dute ne­gli ul­timi decenni.

La cosa ci è parsa sin­go­lare dal mo­mento che lo schema in­ter­pre­ta­tivo cui essi fanno ri­fe­ri­mento è stato fis­sato già più di qua­ranta anni fa da al­tri cri­tici della ge­ne­ra­zione pre­ce­dente alla loro.

In via pre­li­mi­nare ri­te­niamo possa quindi es­sere utile con­tri­buire a col­mare al­meno in parte que­sta la­cuna informativa.

11.1 / Fino al 1978, sui contenuti del dipinto, silenzio sostanziale della critica.

Ab­biamo vi­sto che il di­pinto di Lotto aveva col­pito il cri­tico d’arte ber­ga­ma­sco Pa­sino Lo­ca­telli ma de­ter­mi­nan­done una rea­zione solo epi­der­mica.
Nel suo già ci­tato te­sto del 1867, Lo­ca­telli aveva in­fatti de­fi­nito il di­pinto da lui vi­sto in casa Ca­mozzi come ca­rat­te­riz­zato da “no­vità e biz­zar­ria”, senza però il­lu­strar­cene bene il perché.

Nel 1953, sia la mo­no­gra­fia di Banti e Bo­schetto sia la mo­stra di Ve­ne­zia (ne ab­biamo già par­lato so­pra), pre­sen­ta­rono al pub­blico per la prima volta il Co­sta-Mez­zate ma senza en­trare nel me­rito della sua narrazione.

Nel Ca­ta­logo della mo­stra (cu­rato da Pie­tro Zam­petti), ci­tato un sup­po­sto «ritmo sem­pre agi­tato delle sue com­po­si­zioni», sul con­te­nuto del di­pinto si ab­boz­za­rono solo le prime bat­tute di un com­mento (p. 79):

«Si tratta della va­ria­zione di un tema che il pit­tore pre­di­lige, as­sai si­mile (come nota il Bo­schetto, p. 75) alla ta­vola della Na­tio­nal Gal­lery di Lon­dra, dal Lotto di­pinta un anno prima.»

Ri­mase però nella penna di Zam­petti a quale “tema” egli si ri­fe­risse:
— le “sa­cre donne, belle e be­nis­simo ab­bi­gliate”, di cui aveva par­lato Be­ren­son nella sua mo­no­gra­fia del 1895?
— op­pure, l’incardinamento pit­to­rico di “Ma­dre + Bam­bino + cu­scino + cas­setta + cas­sa­panca”?
— op­pure, la in­va­siva ma­nica rosso fuoco della ve­ste della Madonna?

An­che nel suo mo­mento di uf­fi­cia­liz­za­zione pub­blica il di­pinto di Lotto non su­scitò quindi par­ti­co­lari at­ten­zioni.
Bi­so­gna an­che ri­cor­dare che nei com­menti gior­na­li­stici a caldo e nelle ri­fles­sioni cri­ti­che suc­ces­sive alla mo­stra di Ve­ne­zia 1953, ci sem­bra non vi sia stato nep­pure UN com­mento all’inedito ul­timo ar­ri­vato nella gal­le­ria lottesca.

Qui a lato ri­por­tiamo il lungo ar­ti­colo di terza pa­gina del Cor­riere della Sera del 14 giu­gno 1953, a firma di Leo­nardo Bor­gese, il noto e certo non miope cri­tico d’arte del quo­ti­diano mi­la­nese de­gli anni ’50.
Delle 100 opere espo­ste, Bor­gese ne cita 14 già note, ma non cita il nuovo ar­rivo di Co­sta-Mez­zate che, come ine­dito as­so­luto, avrebbe do­vuto at­ti­rare un com­mento al­meno di curiosità.

Do­vet­tero pas­sare al­tri 25 anni per­ché il di­pinto, o al­meno una delle sue tre de­cli­na­zioni, ri­ce­vesse una più de­cisa at­ten­zione della cri­tica d’arte.

11.2 / Lora Goffen, 1978.

Ab­biamo più so­pra an­ti­ci­pato come la cri­tica d’arte sta­tu­ni­tense Lora Gof­fen de­di­casse alla ver­sione Bo­ston un cir­co­stan­ziato stu­dio, ap­parso sul bol­let­tino del Mu­seum of Fine arts di Bo­ston (Vol. 76 , pp. 34-41).

Ri­chia­miamo l’attenzione su que­sto ar­ti­colo di Gof­fen per­ché è stato il primo ten­ta­tivo di ve­dere nella so­lu­zione pit­to­rica de­cli­nata da Lotto nei tre esem­plari di Co­sta-Mez­zate, Bo­ston e Lon­dra, la rap­pre­sen­ta­zione della Pas­sione di Cri­sto.

Gof­fen giunse alle sue con­clu­sioni met­tendo in­sieme un “pac­chetto” di sim­boli, a suo dire per­fet­ta­mente in­te­grati e sinergici:

1. Cas­sa­panca > al­tare;
2. Cu­scino > ar­redo fu­ne­bre;
3. Cas­setta > bara.

No­no­stante la sua evi­dente de­bo­lezza, l’interpretazione di Gof­fen è stata ac­cet­tata (nella sua in­te­rezza e per de­cenni) da gran parte della cri­tica in­ter­na­zio­nale che la ha ri­pro­po­sta acri­ti­ca­mente nelle due im­por­tanti mo­stre mo­no­gra­fi­che su Lotto del 1987-88 e del 2011.
Va­la­gussa e Maz­zotta si sono ade­guati a loro volta a que­sta in­ter­pre­ta­zione ma ne­gan­done al con­tempo una bella fetta.

Dei tre sim­boli pro­po­sti da Gof­fen, essi hanno in­fatti ac­cet­tato solo quello della CASSETTA > BARA, la­sciando per­dere la CASSAPANCA > ALTARE e il CUSCINO > ARREDO FUNEBRE, forse ri­te­nen­doli in­so­ste­ni­bili quando non fonte di ine­vi­ta­bili lazzi.

Si sono però stac­cati da Gof­fen con quello stile “dico non dico” che sem­bra la ci­fra cri­tica di que­sta mo­stra di Lecco: il nome di Gof­fen non è mai stato ci­tato nei nu­me­rosi in­ter­venti che i due cu­ra­tori della mo­stra hanno svolto in que­sti mesi.

Il let­tore non si sor­prenda quindi se de­di­chiamo un certo spa­zio a que­sto stu­dio della cri­tica sta­tu­ni­tense, com­parso solo sul bol­let­tino di un mu­seo sta­tu­ni­tense e mai tra­dotto in ita­liano, che ha però eser­ci­tato una grande in­fluenza sulla cri­tica lot­te­sca.

Quanto an­dremo a dire su di esso sarà fa­cil­mente tra­sfe­ri­bile alle ana­lisi che si sono poi suc­ce­dute e an­cora oggi sono pre­va­lenti.

Ci ri­ser­viamo di trat­tare nella se­zione suc­ces­siva il tema BARA (l’unico ac­cet­tato e ri­pro­po­sto da Va­la­gussa e Maz­zotta), li­mi­tando qui la no­stra ana­lisi ai due sim­boli della CASSAPANCA > ALTARE e del CUSCINO > FUNEBRE.

A scanso di con­fu­sioni, ri­cor­diamo che in que­sto ar­ti­colo Gof­fen si ri­fe­riva al Santo po­sto alla si­ni­stra del Bam­bino come a “Sant’Antonio da Pa­dova” (Gof­fen svolse la sua ana­lisi sulla ver­sione Bo­ston); nel 1991 Ek­ser­di­jan (noto co­no­sci­tore della pit­tura ita­liana del Ri­na­sci­mento) lo iden­ti­ficò in­vece con San Ni­cola da To­len­tino, con il con­senso una­nime della cri­tica suc­ces­siva: nelle ci­ta­zioni che se­guono ab­biamo quindi so­sti­tuito i “Sant’Antonio” dei ri­fe­ri­menti di Gof­fen con al­tret­tanti “San Ni­cola”, senza ul­te­riori se­gna­la­zioni redazionali.

11.3/ Metamorfosi di una cassapanca, divenuta “altare”.

Gof­fen pre­mette che la tela di Lotto è un ser­mone sulla fede cri­stiana; che vi è rap­pre­sen­tata una “sa­cra con­ver­sa­zione” do­mi­nata dalla Pas­sione del Cri­sto, a suo dire ele­mento in­scin­di­bile di ogni im­ma­gine della Ma­donna col Bambino.

La cri­tica sta­tu­ni­tense de­scrive poi il di­pinto in modo ab­ba­stanza cir­co­stan­ziato, evi­den­zian­done gli ele­menti a suo av­viso sim­bo­lici.
Dà una sua par­ti­co­lare in­ter­pre­ta­zione me­ta­mor­fica della cas­sa­panca su cui pog­gia il nu­cleo cen­trale della com­po­si­zione, co­sti­tuito da Ma­donna, Bam­bino, cas­setta, cu­scino («A “Ma­donna” by Lo­renzo Lotto», Bo­ston, 1978, p. 34, evi­den­zia­zioni nostre):

«La Ma­donna col Bam­bino sono raf­fi­gu­rati con i Santi Gi­ro­lamo e Ni­cola da To­len­tino. Po­si­zio­nata fron­tal­mente e ap­pog­giata su un ta­volo, la Ver­gine in­dossa un abito rosso vivo con pan­neggi giallo-aran­cio e blu in­torno alla vita e al grembo.
Il fi­glio si ap­pog­gia alla sua spalla men­tre siede su un cu­scino bianco di­spo­sto su una sca­tola di le­gno che pog­gia a sua volta sul ta­volo [“a white cu­shion ly­ing on a woo­den box that rests in turn on the ta­ble”].
.
Il Bam­bino guarda verso San Ni­cola, che ri­cam­bia l’attenzione del Bam­bino.
A si­ni­stra, San Gi­ro­lamo regge il cro­ci­fisso che è al tempo stesso suo at­tri­buto e cen­tro della sua con­cen­tra­zione re­li­giosa. Sullo sfondo, un panno verde po­sto su un lato svela un pae­sag­gio con al­beri, col­line e mon­ta­gne lontane.»

A parte la sfac­ciata for­za­tura su un mil­lan­tato in­cro­cio di sguardi tra Bam­bino e S. Ni­cola, da Gof­fen to­tal­mente in­ven­tato (ba­sta guar­dare), ri­chia­miamo l’attenzione del let­tore sul come nella cri­tica sta­tu­ni­tense la cas­sa­panca sia di­ven­tata “il ta­volo” [“the ta­ble”], con uno stra­vol­gi­mento di un dato di realtà per­ce­pi­bile da chiunque.

Non stiamo av­viando un We­bi­nar di fa­le­gna­me­ria ma la cosa non è se­con­da­ria: que­sta ap­pa­ren­te­mente in­no­cua con­fu­sione ter­mi­no­lo­gica è la chiave azio­nando la quale Gof­fen ci vuole, con una am­mi­re­vole dose di fa­con­dia, in­tro­durre in una sua me­ra­vi­gliosa stanza delle sim­bo­lo­gie, fun­zio­nali a un suo par­ti­co­lare pro­getto in­ter­pre­ta­tivo, se­condo cui “the ta­ble” sim­bo­leg­ge­rebbe un al­tare con tutta una se­rie di con­se­guenze a in­ca­stro.

Ma leg­giamo quanto ne scrive Goffen:

«Il ta­volo so­stiene in­sieme ma­dre e fi­glio non solo fi­si­ca­mente ma an­che sim­bo­li­ca­mente, per­ché rap­pre­senta la mensa dell’altare. Inol­tre, sia la mensa che la bara sono an­che vi­si­va­mente as­so­ciate alla Ver­gine, per la sua stretta vi­ci­nanza e, an­cora più in­si­sten­te­mente, per il suo manto blu che le av­volge. […]
Al­tare e tomba sono in­fatti sim­boli ma­riani: cia­scuno ospita il Cri­sto, e da cia­scuno egli emerge: nella Na­scita, nella Ri­sur­re­zione e nella Tran­su­stan­zia­zione. Que­sta con­ce­zione si esprime in nuce nelle pa­role di un inno quat­tro­cen­te­sco ri­volto alla Ver­gine, “Ave ful­gens ar­cha dei” (“Ave, arca scin­til­lante (o con­te­ni­tore) di Dio”».

Que­sta ca­val­cata di Gof­fen tra una pa­rola e l’altra ri­corda tanto quella pro­ce­dura eri­stica se­condo cui, pas­sando tra cento sfu­ma­ture di gri­gio, il bianco è da con­si­de­rare uguale al nero.

Ci scu­serà quindi il let­tore se, prima di pro­se­guire, lo in­vi­tiamo a guar­dare la ver­sione Bo­ston ana­liz­zata da Gof­fen (sotto que­sto aspetto quasi iden­tica alle al­tre due) e ri­spon­dere a que­sta ba­nale do­manda: l’oggetto in le­gno che regge il gruppo cen­trale del di­pinto di Lotto è una cas­sa­panca o un tavolo?

Pen­siamo che ogni let­tore sa­prà dare a colpo d’occhio la ri­spo­sta giu­sta: è una cas­sa­panca, di fat­tura piut­to­sto rustica!

Sul fronte del ri­guar­dante, così come sul lato adia­cente alla gamba si­ni­stra della Ma­donna, si vede chia­ra­mente il pieno di due dei lati nor­mali del ma­nu­fatto (è an­cora più evi­dente nel Co­sta-Mez­zate).
D’altra parte sono ben vi­si­bili i chiodi di rac­cordo con la spessa mo­da­na­tura di blocco/chiusura della cassa (an­che que­sti me­glio vi­si­bili nel Co­sta Mez­zate), forse ac­cet­ta­bili in una cas­sa­panca ru­stica ma de­ci­sa­mente in­com­pa­ti­bili con un qual­siasi ta­volo, an­che scal­ca­gnato — i fa­le­gnami del Ri­na­sci­mento co­no­sce­vano alla per­fe­zione le op­por­tune tec­ni­che di ma­sche­ra­mento dei raccordi.

La sua al­tezza è inol­tre fa­cil­mente sti­ma­bile in 45-50 cen­ti­me­tri, con­si­de­ran­done il rap­porto con le gambe della Ma­donna: coe­rente ap­punto con una cas­sa­panca ma una bella spanna da quella ipo­tiz­za­bile per un tavolo.

Se è cor­retto so­ste­nere con Gof­fen che nella li­tur­gia cri­stiana l’altare sim­bo­leg­gia la mensa dell’Ultima Cena, è op­por­tuno ri­cor­dare che tale mensa do­veva ov­via­mente es­sere più alta delle pan­che / sga­belli su cui se­de­vano Cri­sto e i suoi apostoli.

Non solo, ma che l’altare è nella realtà della Messa una mensa del tutto par­ti­co­lare: su di essa un unico “com­men­sale” (il sa­cer­dote of­fi­ciante) ce­le­bra l’eucarestia stando in piedi.
L’altare è quindi una mensa ma po­sta a una al­tezza ade­guata alla fun­zione, quindi ten­den­zial­mente più ele­vata di un ta­volo su cui man­giare o scri­vere da se­duti (al­tezza stan­dard at­tuale, cm 72).

Ci scu­se­ranno gli ap­pas­sio­nati di sim­bo­lo­gia per que­sto modo di af­fron­tare pro­blemi in­ter­pre­ta­tivi an­che con il cen­ti­me­tro. Pen­siamo però che, nell’analizzare le opere frutto della crea­ti­vità ar­ti­stica, com­pito del cri­tico non sia pre­sen­tare con pra­ti­che il­lu­sio­ni­sti­che ele­menti ine­si­stenti ma guar­darle con le lenti della realtà, della co­no­scenza tec­nico-sto­rica, della do­cu­men­ta­zione, del buon senso e dell’onestà intellettuale.

Quell’oggetto è una cas­sa­panca!
Ga­bel­larla per un al­tare è solo mal riu­scito il­lu­sio­ni­smo critico.

Per con­clu­dere su que­sta di­sa­mina sui com­ple­menti d’arredo — lo di­ciamo scher­zando un poco (ma non troppo) — pos­siamo as­si­cu­rare che se il di­pinto avesse avuto l’esplicito e ben ri­co­no­sci­bile senso in­di­cato da Gof­fen, qua­lun­que sa­cer­dote cui fosse ca­pi­tato sotto gli oc­chi in casa Ca­mozzi, avrebbe certo avuto a che ri­dire dal ve­dere la Ma­donna se­duta su un al­tare con una na­tica sola nel modo di­sin­volto con cui la gio­vane donna nei tre di­pinti è ac­co­mo­data sulla cas­sa­panca pre­di­spo­sta da Lotto come base per la sua composizione.

Certo che, come no­tato dal mai ci­tato Pa­sino Lo­ca­telli, quella pila for­mata da cas­sa­panca, cas­setta e cu­sci­none, a fianco e sotto la Ma­donna e il suo Bam­bino, può ap­pa­rire cosa “nuova” e “biz­zarra”.

Ma è con que­sti dati che dob­biamo con­fron­tarci e non ne usciamo in­ven­tan­doci ciò che può fare co­modo forse all’affabulazione ma non alla co­no­scenza delle ma­ni­fe­sta­zioni dell’arte.

Prima di pro­ce­dere ri­cor­diamo che come ri­fe­ri­menti bi­blio­gra­fici per il Co­sta-Mez­zate, Gof­fen fa un poco di con­fu­sione.
Cita Tassi (senza dirne però l’edizione).
Poi cita il ti­tolo dell’opera di Pa­sino Lo­ca­telli; ne di­men­tica però l’autore (po­vero Lo­ca­telli, can­cel­lato urbi et orbi) e, come edi­zione, in­dica “Lo­ca­telli, 1793” (che è in­vece l’editore di Tassi).
A parte que­sti pa­sticci re­da­zio­nali è da se­gna­lare che ol­tre che i già noti Banti/Boschetto 1953 e Zam­petti 1953 (è la mo­stra di Ve­ne­zia), Gof­fen cita Be­ren­son ma solo per l’edizione Phai­don 1956, igno­rando il Be­ren­son del 1895: la cri­tica sta­tu­ni­tense si era evi­den­te­mente ac­corta della in­com­pa­ti­bi­lità tra la de­scri­zione del 1895 e il Co­sta-Mez­zate ma non volle evi­den­te­mente sol­le­vare il pro­blema, evi­den­ziato da noi.

12. Lotto: cuscino e dintorni.

12.1 / Cuscino e Passione secondo Goffen.

Ma an­diamo avanti con il te­sto di Gof­fen, là dove ci parla del cu­scino (p. 37, evi­den­zia­zioni nostre):

«Il cu­scino era stato fin dall’antichità un ac­ces­so­rio delle im­ma­gini della morte, e nu­me­rose tombe ri­na­sci­men­tali, se­guendo l’esempio an­tico, mo­stra­vano an­che l’effigie del de­funto con la te­sta ap­pog­giata su un cu­scino. Lotto ha usato un cu­scino con nappe come sup­porto per la te­sta di morto — l’effigie di ogni uomo — nel “me­mento mori” dei primi anni Venti, in cui un putto in­co­rona un te­schio con un serto d’alloro della vittoria.»

e an­cora (idem):

«Le as­so­cia­zioni fu­ne­ree del cu­scino erano in­tese dai mae­stri ve­ne­ziani del Quat­tro­cento nelle loro tele raffigura­­nti la Ma­donna. Ad esem­pio, l’uso del cu­scino con le nappe nella Ma­donna della Pas­sione (ca. 1460) di Carlo Cri­velli non la­scia dubbi sul si­gni­fi­cato della con­no­ta­zione fu­ne­ra­ria. Il Bam­bino sta sul cu­scino, rac­chiuso tra le brac­cia della ma­dre orante. Sono ac­com­pa­gnati da­gli In­no­centi, che pre­sen­tano gli stru­menti della Pas­sione. So­pra di essi, due car­del­lini, qui sim­bo­lici della morte di Cri­sto, pog­giano su una ghir­landa di frutti, che com­prende l’uva del Sa­cra­mento. Sullo sfondo de­stro, una vi­sione te­le­sco­pica del fu­turo sa­cri­fi­cio del Bam­bino ri­vela la Cro­ci­fis­sione dell’Adulto.»

Sin­te­tiz­zando, la cri­tica sta­tu­ni­tense ci dice:

sic­come ab­biamo esempi di opere d’arte con de­funti rap­pre­sen­tati con il capo ap­pog­giato a un cu­scino;
sic­come Lotto at­torno al 1520 ha rea­liz­zato un di­pinto in cui è rap­pre­sen­tato un te­schio po­sato su un cu­scino;
sic­come Cri­velli nel 1460 (Cri­velli, non Lotto) ha rea­liz­zato un di­pinto in­cen­trato sulla Pas­sione, con gran do­vi­zia di sim­boli a ciò coe­renti, e in cui il Bam­bino sta in piedi su un cuscinetto,

al­lora …

al­lora il cu­scino su cui nel di­pinto Bo­ston di Lotto è se­duto il Bam­bino sim­bo­leg­gia la Pas­sione del Bambino.

Ci scusi il let­tore ma an­che in que­sto caso è op­por­tuno fare un poco di or­dine e col­lo­care nella cor­retta di­men­sione la pur go­di­bile nar­ra­zione di Gof­fen che in que­sta oc­ca­sione si mo­stra più abile come af­fa­bu­la­trice che non come cri­tica e sto­rica dell’arte.

12.2 / Puramente suggestivo il collegamento tra il Boston e il “Putto con teschio”.

In quel di­pinto di Lotto (oggi nella col­le­zione Nor­thum­ber­land) ap­pa­iono sim­boli di­ver­sa­mente in­ter­pre­ta­bili: è la vit­to­ria della morte sulla fama?
Op­pure, al con­tra­rio, è la im­pe­ri­tura fama tra i po­steri che la vince sulla morte dell’individuo?
E il te­schio, di­spo­sto come siamo nel sonno, in­dica morte come fine as­so­luta op­pure come pas­sag­gio a nuova vita, in un ci­clo eterno?
E a chi è de­sti­nato l’alloro della vit­to­ria? a un sag­gio, un poeta, un eroe? op­pure è il sim­bolo di un mar­ti­rio?
Quali le ca­rat­te­ri­sti­che del com­mit­tente e le sue in­di­ca­zioni all’artista?

Inu­tile gi­rarci in­torno: non lo sa­peva Gof­fen e non lo sap­piamo nep­pure noi.

Man­cando la do­cu­men­ta­zione ne­ces­sa­ria a ri­spon­dere in modo se­rio a que­ste e alle molte al­tre pos­si­bili do­mande, dob­biamo an­che ac­cet­tare di non es­sere in grado di dare sem­pre e co­mun­que una spie­ga­zione a tutto.

Il che è un dato strut­tu­rale della ri­cerca sto­rica; non un suo li­mite ne­ga­tivo ma — al con­tra­rio — uno sti­molo ad ac­cu­mu­lare dati e idee per co­no­scere sem­pre meglio.

esempi di “putto con teschio” nella iconografia rinascimentale

Nel no­stro caso però sap­piamo che non è l’accostamento “te­schio / cu­scino” ad avere at­ti­rato l’attenzione de­gli ar­ti­sti (que­sto di Lotto è un caso raro, se non unico) ma sem­mai l’accostamento “te­schio / putto”, che in­fatti si ri­trova in nu­me­rose opere di va­rio ge­nere dove può ve­ro­si­mil­mente ri­chia­mare l’inevitabilità della morte no­no­stante la esu­be­ranza della vita e in­sieme l’inevitabilità della vita al di là della fis­sità della morte.

Ma que­sto che c’entra con la Pas­sione? Non è certo la morte di Cri­sto a es­sere ec­ce­zio­nale — tutti gli uo­mini muo­iono.
È ec­ce­zio­nale sem­mai che egli muoia per l’altrui sal­vezza, rap­pre­sen­tata dalla Re­sur­re­zione.
Ma nel pic­colo di­pinto di Lotto con “putto e te­schio su cu­scino” non c’è nulla né della Pas­sione né della Re­sur­re­zione.
E nel Bo­ston non ap­pa­iono te­schi: quale sa­rebbe stata quindi per Gof­fen il le­game tra il cu­scino e la Passione?

In Bo­ston la Pas­sione è in­di­cata espli­ci­ta­mente dal pic­colo cro­ce­fisso su cui la­crima San Gi­ro­lamo: ba­sta e avanza.
E al­lora per­ché Gof­fen ci ha vo­luto pro­porre, con mo­da­lità solo sug­ge­stive, an­che il cu­scino vi­sto come funerario?

Di tutta evidenza, la pretesa in Goffen di fare del cuscino un simbolo facilmente riconoscibile della Passione di Cristo è pura fanta-critica.

12.3 / Irrilevante il riferimento di Goffen al dipinto di Crivelli.

Carlo Cri­velli nel suo di­pinto volle forse rap­pre­sen­tare la Pas­sione in tutto il suo svol­gi­mento; ci mise quindi den­tro un bel po’ di ele­menti sim­bo­lici ela­bo­rati sul tema dalla cul­tura cri­stiana per po­tere ren­dere evi­dente il suo assunto.

Vo­gliamo da ciò in­fe­rire che il cu­sci­netto che egli raf­fi­gurò sotto i piedi del Bam­bino è esso stesso ele­mento co­sti­tu­tivo della Pas­sione?
Se qual­cuno pro­prio sente que­sto bi­so­gno, fac­cia pure!

Ma ciò non si­gni­fica ne­ces­sa­ria­mente pen­sare alla Pas­sione ogni volta che ve­diamo la Ma­donna con il bam­bino e un cuscino.

Guar­date la “Ma­donna del cu­scino verde” di An­drea So­la­rio, coevo di Lotto: la ma­dre al­latta sor­ri­dendo il pro­prio fi­glio.
Il quale, bello co­modo su un gran cu­scino è in­tento a pop­pare ol­tre che a te­nersi un piede con la mano.

Que­sta scena vi fa ve­nire in mente un al­cun­ché di mor­tua­rio?
In quel piede che il Bam­bino si tiene agil­mente con la mano, come tutti i bam­bini del mondo, vo­gliamo ma­gari ve­dere la pre­fi­gu­ra­zione del chiodo che at­tra­ver­serà il piede del Cri­sto cro­ce­fisso?
Via, non siamo ridicoli!

È evi­dente a chiun­que che So­la­rio ha in quel di­pinto vo­luto evi­den­ziare la “uma­nità” del Bam­bino, la sua fe­lice nor­ma­lità di bimbo, a pre­scin­dere dal suo amaro de­stino.
Pi­la­stri della dot­trina cri­stiana sono sì la Pas­sione e la Re­sur­re­zione ma an­che l’umanità del Cri­sto, au­toe­spres­sione per­so­ni­fi­cata di Dio: che c’è di strano se un ar­ti­sta vuole rap­pre­sen­tare que­sto aspetto della dottrina?

E che dire dei tanti di­pinti di al­tri ar­ti­sti più o meno coevi di Lotto che uti­liz­za­rono il cu­scino (o più cu­scini) senza che nes­suno si sia mai so­gnato di farne sim­boli del sa­cri­fi­cio del Bambino?

Qui ne diamo qual­che esem­pio (c’è an­che un Lotto, con lo stesso iden­tico Bam­bino del Co­sta Mez­zate, e il Tin­to­retto pre­sen­tato a Lecco lo scorso anno ) ma siamo certi che il let­tore sa­prà tro­varne con fa­ci­lità molti al­tri esempi.

Guar­date la “Ma­donna del cu­scino verde” di An­drea So­la­rio, coevo di Lotto: la ma­dre al­latta sor­ri­dendo il pro­prio fi­glio.
Il quale, bello co­modo su un gran cu­scino è in­tento a pop­pare ol­tre che a te­nersi un piede con la mano.

Que­sta scena vi fa ve­nire in mente un al­cun­ché di mor­tua­rio?
In quel piede che il Bam­bino si tiene agil­mente con la mano, come tutti i bam­bini del mondo, vo­gliamo ma­gari ve­dere la pre­fi­gu­ra­zione del chiodo che at­tra­ver­serà il piede del Cri­sto cro­ce­fisso?
Via, non siamo ridicoli!

È evi­dente a chiun­que che So­la­rio ha in quel di­pinto vo­luto evi­den­ziare la “uma­nità” del Bam­bino, la sua fe­lice nor­ma­lità di bimbo, a pre­scin­dere dal suo amaro de­stino.
Pi­la­stri della dot­trina cri­stiana sono sì la Pas­sione e la Re­sur­re­zione ma an­che l’umanità del Cri­sto, au­toe­spres­sione per­so­ni­fi­cata di Dio: che c’è di strano se un ar­ti­sta vuole rap­pre­sen­tare que­sto aspetto della dottrina?

E che dire dei tanti di­pinti di al­tri ar­ti­sti più o meno coevi di Lotto che uti­liz­za­rono il cu­scino (o più cu­scini) senza che nes­suno si sia mai so­gnato di farne sim­boli del sa­cri­fi­cio del Bambino?

Qui ne diamo qual­che esem­pio (c’è an­che un Lotto, con lo stesso iden­tico Bam­bino del Co­sta Mez­zate, e il Tin­to­retto pre­sen­tato a Lecco lo scorso anno ) ma siamo certi che il let­tore sa­prà tro­varne con fa­ci­lità molti al­tri esempi.

Lo ab­biamo già detto: dei tre sim­boli uti­liz­zati da Gof­fen a so­ste­gno della pro­pria tesi, ab­biamo fin qui detto dei primi due — tavolo/altare e cu­scino — mo­stran­done la quasi nul­lità di­mo­stra­tiva.

Evi­den­te­mente della no­stra stessa opi­nione sono Va­la­gussa e Maz­zotta che non vi hanno fatto al­cun cenno nelle loro con­si­de­ra­zioni sul Costa-Mezzate.

Quasi a ri­mar­care la di­stanza da Gof­fen (ma senza no­mi­narla) Maz­zotta nel We­bi­nar del 23-02-2021 ha fatto cenno al di­pinto “Putto con te­schio sul cu­scino” ma solo per esclu­derlo dal no­vero dei di­pinti “sa­cri” di Lotto e in­di­carlo al con­tra­rio come opera pu­ra­mente “pro­fana”.

12.4 / Ma il Bambino appare spaventato dai Santi oppure è sereno?

Sul modo con cui Lotto raf­fi­gura l’atteggiamento del Bam­bino nel di­pinto Bo­ston (ma que­sto vale an­che per il Lon­dra e il Co­sta-Mez­zate — si ri­cordi che quel nu­cleo è pra­ti­ca­mente iden­tico nei tre di­pinti) Gof­fen vuole che il let­tore non veda ciò che c’è ma ciò che essa stessa gli sug­ge­ri­sce (ibi­dem, p. 40 evi­den­zia­zioni nostre):

«Il Bam­bino si al­lon­tana dal cro­ci­fisso di San Gi­ro­lamo e si ri­volge verso San Ni­cola, che gli tiene so­pra i sim­bo­lici gi­gli.
[«But the Child turns away from Saint Jerome’s cru­ci­fix and to­ward Saint An­thony [San Ni­cola], who holds above him the sym­bo­lic li­lies.»]
Forse lo sguardo di Cri­sto verso San Ni­cola, e la sua posa, che sem­bra quasi un ten­dere verso l’alto dal cu­scino, dalla bara e dalla ta­vola, si ri­fe­ri­scono alla sua trion­fante ri­sur­re­zione come ce­le­brata nella messa e alla spe­ranza dell’uomo così per la pro­pria re­den­zione.
In que­sto modo il di­pinto di Lotto ri­corda quel mo­mento della fun­zione in cui il sa­cer­dote, of­frendo l’Ostia e il vino con­sa­crati, di­chiara di farlo “in me­mo­ria della pas­sione del Si­gnore no­stro Gesù Cri­sto, della sua ri­sur­re­zione e ascen­sione, e in onore della Beata Ver­gine Maria”».

Il let­tore tenga a mente que­sta let­tura di Gof­fen: se­condo la cri­tica sta­tu­ni­tense il Bam­bino non è af­fatto spa­ven­tato e non si al­lon­tana per nulla dal Santo che è alla sua si­ni­stra.

Anzi Gof­fen lo dice al­lon­ta­narsi dal Santo alla sua de­stra (il vec­chio San Gi­ro­lamo) e “ri­vol­gersi” verso quello alla sua si­ni­stra, il gra­de­vole gio­vane San Ni­cola che sor­ri­dendo cerca di at­ti­rarne ama­bil­mente l’attenzione.

Ve­dremo più avanti come da al­tri cri­tici, certo non meno quo­tati di Gof­fen, come Au­gu­sto Gen­tili, l’atteggiamento del Bam­bino sarà vi­sto all’opposto come di al­lon­ta­na­mento del Bam­bino da San Ni­cola in un ir­re­fre­na­bile moto di spa­vento de­ter­mi­nato dalle mani in­cro­ciate del Santo; nel Co­sta-Mez­zate Gen­tili, Va­la­gussa e Maz­zotta (che però in que­sto è pru­dente), è in­vece dallo sco­iat­tolo che sa­rebbe in fuga il Bam­bin Gesù.

Mi­steri della fanta-cri­tica quando vo­glia so­sti­tuire l’affabulazione alla os­ser­va­zione dell’opera che vor­rebbe ana­liz­zare e spiegare.

Da parte no­stra no­tiamo che il Bam­bino (in en­trambe le ver­sioni Bo­ston e Lon­dra) molto sem­pli­ce­mente ignora San Gi­ro­lamo e orienta lo sguardo alla sua si­ni­stra verso qual­che cosa fuori dal qua­dro — si­cu­ra­mente NON le mani in­cro­ciate di San Ni­cola né tan­to­meno il Santo stesso, che in­vece lo fissa con determinazione.

Qualcuno pensa seriamente che Lotto avrebbe avuto difficoltà a rappresentare il Bambino ricambiare direttamente lo sguardo con San Nicola, se questa fosse stata la sua intenzione?
O, nel Costa-Mezzate, fissare lo scoiattolo? Siamo seri!

13. Acriticamente sulla scia di Goffen la critica delle Mostre monografiche su Lotto.

13.1 / Il genio inquieto del Rinascimento in mostra a Washington / Bergamo / Parigi, 1997-98.

Vent’anni dopo l’articolo di Gof­fen del 1978 e 44 anni dopo la mo­stra di Ve­ne­zia 1953, ci si oc­cupò del di­pinto al cen­tro delle no­stre at­ten­zioni nella mo­stra mo­no­gra­fica «Lo­renzo Lotto. Il ge­nio in­quieto del Ri­na­sci­mento», or­ga­niz­zata dalla Na­tio­nal Gal­lery di Wa­shing­ton, in col­la­bo­ra­zione con l’Accademia Car­rara di Ber­gamo e iti­ne­rante tra Wa­shing­ton (2nov/1997 – 1mar/1998); Ber­gamo (2apr-28­giu­g/1998); Pa­rigi (12ott/1998 – 11gen/1999).
Nella me­de­sima mo­stra ven­nero pro­po­ste sia la ver­sione Co­sta-Mez­zate sia la ver­sione Bo­ston.

Pur se­gna­lando che quel ti­tolo fu uti­liz­zato solo per la edi­zione di Ber­gamo (a Wa­shing­ton la mo­stra era de­no­mi­nata «Lo­renzo Lotto: re­di­sco­ve­red ma­ster of the Re­nais­sance»; a Pa­rigi sem­pli­ce­mente «Lo­renzo Lotto, 1480-1557»), con quella ini­zia­tiva in­ter­con­ti­nen­tale venne di fatto pro­to­col­lato il ri­chiamo a una sup­po­sta “in­quie­tu­dine” dell’artista, fa­cen­done una pa­rola da in­ten­dere di volta in volta even­tual­mente nei modi più di­versi (a Lecco, per esem­pio, la “in­quie­tu­dine” non è di Lotto ma della “realtà”, qua­lun­que cosa ciò vo­glia dire).

13.2 / Nel 1997-98 Lucco segue pedissequamente Goffen e, meraviglie della carpenteria, pianta chiodi nel marmo.

Nel Ca­ta­logo uf­fi­ciale della mo­stra, al Co­sta-Mez­zate e al Bo­ston de­dicò due schede Mauro Lucco, uno de­gli or­ga­niz­za­tori dell’iniziativa.

Nella scheda sull’esemplare Bo­ston, Lucco, pur espri­men­dosi con una certa pru­denza con­di­zio­nale, ac­cettò l’elemento por­tante della tesi di Gof­fen, dan­dole an­che una ami­che­vole spin­ta­rella sulla que­stione della cassapanca.

Gof­fen la aveva de­fi­nita “ta­volo” per po­terla più age­vol­mente in­nal­zare al ruolo di “al­tare”.
In­dif­fe­rente ai ben vi­si­bili chiodi Lucco fece un passo più in là par­lan­done senza tanti giri come di un “ta­volo di marmo” (Ca­ta­logo, p. 145, evi­den­zia­zione nostra):

«Se­condo la stu­diosa, ma­dre e fi­glio stanno se­duti su un ta­volo di marmo che sim­bo­leg­ge­rebbe la mensa dell’altare; l’oggetto che sta sotto i piedi del Bam­bino Gesù è una pic­cola bara, che al­lu­de­rebbe al suo fu­turo sa­cri­fi­cio di Re­den­zione; al­tra chiara al­lu­sione fu­ne­ra­ria sa­rebbe il cu­scino su cui egli posa.»

È op­por­tuno inol­tre evi­den­ziare al let­tore una molto par­ti­co­lare os­ser­va­zione di Lucco re­la­tiva alle ver­sioni Boston/Londra (ma la cosa vale an­che per il Co­sta-Mez­zate) che ci sem­bra utile ri­por­tare per esteso (Ca­ta­logo, p. 147, sot­to­li­nea­ture nostre):

«Certo, que­sti esempi ec­ce­zio­nali del clas­si­ci­smo in pit­tura sono tra­sfor­mati da Lotto sulla base di una for­tis­sima pres­sura emo­tiva, quasi che i per­so­naggi della scena fos­sero let­te­ral­mente squas­sati e resi folli dalla forza in­terna dei loro sen­ti­menti; con un’adesione, dun­que, al “vero” psi­co­lo­gico, prima an­cora che ot­tico, che ine­vi­ta­bil­mente esclude ogni le­gac­cio di con­ven­zione com­po­si­tiva o rappresentativa.»

Il let­tore dia una oc­chiata al di­pinto di Bo­ston e veda se gli rie­sce di tro­vare da cosa si possa ri­ca­vare che Ma­donna, Bam­bino, i due Santi («i per­so­naggi della scena») siano «let­te­ral­mente squas­sati e resi folli dalla forza in­terna dei loro sen­ti­menti».

È cu­rioso come si pos­sano in­fi­lare una dopo l’altra si­mili scioc­chezze e non es­sere im­me­dia­ta­mente messi alla ber­lina, in prima istanza dai pro­pri col­le­ghi — con que­ste tro­vate car­ne­va­le­sche fi­ni­sce nel ri­di­colo una in­tera e certo lo­de­vole ca­te­go­ria di studiosi.

Ma fin qui ab­biamo vi­sto come Lucco ab­bia dato la sua in­ter­pre­ta­zione alla ver­sione Bo­ston; ve­diamo ora come egli in­vece pre­sentò la ver­sione Co­sta-Mez­zate, di no­stro più di­retto interesse.

13.3 / Lucco, il Costa-Mezzate e lo scoiattolo.

Ci sem­bra che Mauro Lucco sia stato il primo nella cri­tica in­ter­na­zio­nale a oc­cu­parsi con una certa am­piezza delle spe­ci­fi­cità della ver­sione ospi­tata al Ca­stello Ca­mozzi-Ver­tova di Co­sta di Mez­zate (Gof­fen nel suo ar­ti­colo del 1978 ne aveva fatto solo un ac­cenno bi­blio­gra­fico (fa­cendo pa­sticci); Ek­ser­d­jian nel 1991 («A Note on Lo­renzo Lotto’s Vir­gin and Child with Saint Je­rome and Saint Ni­cho­las of To­len­tino», Jour­nal of the Mu­seum of Fine Arts, Bo­ston – Vol. 3 1991, p. 87) scrisse che di esso «non si co­no­sce la col­lo­ca­zione at­tuale»).

Que­ste co­mun­que, in estrema sin­tesi, le idee di Lucco sul di­pinto oggi espo­sto a Lecco:

1. È stato pub­bli­cato da Be­ren­son nel 1895.
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2. È “splen­dido” ma sot­to­va­lu­tato dalla cri­tica per­ché poco ac­ces­si­bile e mal fo­to­gra­fato.
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3. È qua­li­ta­ti­va­mente su­pe­riore alla ver­sione di Lon­dra e me­glio con­ser­vata di quella di Bo­ston.
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4. Con il sim­bolo dello sco­iat­tolo in­dica il per­corso sal­vi­fico dell’umanità at­tra­verso il sa­cri­fi­cio di Cri­sto.
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5. La “pre­veg­genza” dello sco­iat­tolo è un con­so­li­dato la­scito del na­tu­ra­li­sta-sto­rico Pli­nio.

Lucco ri­trova inol­tre gli ele­menti della sup­po­sta “in­quie­tu­dine” di Lotto non nella vi­cenda bio­gra­fica dell’artista (come ac­cen­nato da al­tri com­men­ta­tori) ma in una con­di­zione psi­co­lo­gica col­let­tiva che avrebbe ri­guar­dato, verso il 1520, aree ri­le­vanti della Val Pa­dana (Ca­ta­logo, p. 127, evi­den­zia­zioni nostre):

«L’andamento for­te­mente di­ver­gente delle te­ste della Ma­donna e del Bam­bino, lo scarto fra le di­men­sioni del capo del Bat­ti­sta e di santa Ca­te­rina, l’accentuazione della di­ret­trice dia­go­nale verso la pro­fon­dità, dalla fac­cia il­lu­mi­nata della cas­setta di le­gno al Pre­cur­sore, e l’atteggiamento della Ver­gine che si volge osten­ta­ta­mente a guar­dare fuori del campo fi­gu­ra­tivo, verso l’osservatore del di­pinto, con­fe­ri­scono a quest’ultimo un senso di in­sta­bile equi­li­brio, di in­quie­tu­dine, quasi di ir­ri­solto nodo emo­tivo. Ciò vale a tro­var­gli giu­sta col­lo­ca­zione in que­gli epi­sodi di scarto dalla norma clas­sica (quando non di con­sa­pe­vole ne­ga­zione di que­sta, sulla scorta di una mag­giore pres­sura emo­zio­nale) esplosi quasi con­tem­po­ra­nea­mente in più luo­ghi della Val Pa­dana, sul fi­nire del se­condo de­cen­nio del Cinquecento.»

Ci ram­ma­ri­chiamo che Lucco non ci ab­bia detto, an­che in po­che pa­role, in cosa con­si­stes­sero gli “scarti dalla norma clas­sica […] esplosi in Val Pa­dana”.
Sa­rebbe stato forse un pro­met­tente av­vio per in­se­rire Lotto nel suo con­te­sto sto­rico, un cor­retto orien­ta­mento spesso tra­scu­rato dalla cri­tica d’arte.

13.4 / Uno scoiattolo per constatare nel Bambino il Redentore dell’Umanità.

Pas­siamo ora a ve­dere come Lucco si pone ri­spetto alla pre­senza dello sco­iat­tolo, certo uno de­gli aspetti par­ti­co­lari del di­pinto ma se­gna­lato — unico in 130 anni — solo da Lo­ca­telli nel 1867 (Ca­ta­logo, p. 125, evi­den­zia­zioni nostre):

«Nella piega della ma­nica, poi, la santa [Ca­te­rina] tiene uno sco­iat­tolo, la cui mo­bi­lità cerca di scher­mare con la mano de­stra. Tale pre­senza non è fa­cil­mente spie­ga­bile, se non fa­cendo ri­fe­ri­mento alle cre­denze sulla vi­vace in­tel­li­genza e pre­vi­denza dell’animaletto, ri­cor­date da fonti come Pli­nio il Gio­vane e Vin­cenzo de Beau­vais […]. In que­sto caso, esso sim­bo­leg­ge­rebbe la pre­vi­denza di chi, ve­dendo il Bam­bino Gesù, ne com­pren­de­rebbe il de­stino sal­vi­fico di Re­den­tore dell’umanità e si af­fi­de­rebbe to­tal­mente a lui, come fa in ef­fetti la santa Ca­te­rina, che lo tiene in brac­cio. Ma la man­canza di fonti te­stuali rende tale in­ter­pre­ta­zione del tutto aperta; e non si può certo esclu­dere che Lotto ab­bia vo­luto in­se­rire lo sco­iat­tolo per con­fe­rire al suo di­pinto un tocco ul­te­riore di gra­zia e di vi­va­cità in­no­cente

Nell’interrelazione “Bam­bino / sco­iat­tolo / Ca­te­rina” Lucco vede quindi la rap­pre­sen­ta­zione di una con­sta­ta­zione se­rena del “de­stino sal­vi­fico del Re­den­tore dell’Umanità” da parte di tutti i cre­denti, a co­min­ciare dalla Santa Ca­te­rina stessa.

Coe­ren­te­mente, Lucco non vede af­fatto nel Bam­bino moti di spa­vento nei con­fronti dello sco­iat­tolo come pre­mo­ni­tore della sua tra­gica morte.

Di ben di­versa opi­nione un al­tro cri­tico d’arte, al­tret­tanto esperto e sti­mato, anch’egli col­la­bo­ra­tore nella ste­sura del Ca­ta­logo della mo­stra iti­ne­rante Wa­shing­ton, Ber­gamo, Pa­rigi del 1997-98.

Par­liamo di Au­gu­sto Gen­tili che ha espresso una di­versa vi­sione del si­gni­fi­cato sim­bo­lico della ver­sione Co­sta-Mez­zate.

13.5 / Augusto Gentili su Boston e su Costa-Mezzate: l’assertività al comando.

A pro­po­sito dei due di­pinti “ge­melli” (Bo­ston e Lon­dra) e del Co­sta-Mez­zate, Gen­tili ha fatta sua la vi­sione ge­ne­rale espressa nel 1978 da Gof­fen at­tra­verso il pac­chetto se­mio­lo­gico “cas­sa­panca – al­tare / cas­setta – bara; cu­scino fu­ne­ra­rio” (Ca­ta­logo, p. 39):

«A il­lu­stra­zione e so­ste­gno del “filo rosso” te­ma­tico co­sti­tuito per nu­mero ster­mi­nato di in­ter­venti da pre-vi­sione, pre­an­nun­cio, pre-fi­gu­ra­zione della Pas­sione […] Lotto chiama un cor­redo stu­pe­fa­cente di se­le­zio­nati se­gnali, re­go­lar­mente di­spo­sti in ta­gli di ico­no­gra­fia e d’impaginazione rin­no­vati o del tutto ori­gi­nali.
Le bare fir­mate. Sono pic­cole: non sono per il fu­turo e per il Cri­sto adulto ma per il pre­sente e per il Cri­sto bam­bino, non per la fi­gu­ra­zione sto­rica ma per la pre­fi­gu­ra­zione con­cet­tuale, non per la nar­ra­zione di un epi­so­dio ma per la me­di­ta­zione di un mo­dello.
Nella com­po­si­zione te­sti­mo­niata dai di­pinti di Lon­dra, Bo­ston e Co­sta di Mez­zate (cat. 24, 18), il Bam­bino sta so­pra un grande cu­scino fu­ne­ra­rio, il cu­scino sta so­pra la pic­cola cassa, la cassa sta so­pra la mensa del sa­cri­fi­cio

A que­sta ge­ne­rale ac­cet­ta­zione del punto di vi­sta di Gof­fen, Gen­tili ha però de­ro­gato con pro­prie os­ser­va­zioni dis­so­nanti, espresse con un de­ciso pi­glio as­ser­tivo (ibi­dem, evi­den­zia­zioni nostre):

«Nei primi due di­pinti [ndr: Lon­dra e Bo­ston], a si­ni­stra c’è Gi­ro­lamo che ha già a di­spo­si­zione una croce com­pleta di cro­ci­fisso; dall’altra parte c’è Ni­cola da To­len­tino, che spa­venta il Bam­bino por­tando le mani al petto in se­gno di croce e lo in­duce a ri­trarsi tra le brac­cia della ma­dre.
Nel terzo [ndr: il Co­sta-Mez­zate] c’è il Bat­ti­sta adulto, con la croce e il car­ti­glio che già an­nun­cia il sa­cri­fi­cio dell’agnus; e il Bam­bino si sot­trae a Ca­te­rina per­ché que­sta ha con sé uno sco­iat­tolo, che da Pli­nio a Vin­cent de Beau­vais man­tiene la ca­rat­te­ri­stica di pre­ve­dere le tempeste.»

In­cu­rante del ri­di­colo, Gen­tili vede quindi il Bam­bino come reat­ti­va­mente im­pau­rito dalle mani in­cro­ciate del sor­ri­dente San Ni­cola men­tre Gof­fen lo pre­senta per nulla spa­ven­tato da chic­ches­sia e anzi av­viato a com­piere se­re­na­mente la pro­pria mis­sione salvifica.

In realtà, ba­sta guar­dare i tre di­pinti con i pro­pri oc­chi per con­sta­tare che il Bam­bino non ma­ni­fe­sta nes­su­nis­simo spa­vento: come da poco sve­gliato, è ap­pog­giato mol­le­mente alla ma­dre e gira lo sguardo senza fis­sarlo su al­cun­ché, in quell’atteggiamento un po’ sva­gato che è fa­cile co­gliere in ogni in­fante e che Lotto ha be­nis­simo rappresentato.

13.6/ Bare o normali contenitori in legno?

Bare fir­mate” — Lo stuz­zi­cante e già ci­tato ti­to­lino uti­liz­zato da Gen­tili ci dà l’occasione di ri­pren­dere il tema della CASSETTA / BARA, uno dei tre sim­boli pro­po­sti da Gof­fen per ve­dere nel pac­chetto se­mio­lo­gico la rap­pre­sen­ta­zione della Pas­sione di Cristo.

Ab­biamo già evi­den­ziato l’inconsistenza de­gli al­tri due sim­boli ri­chia­mati dalla stu­diosa sta­tu­ni­tense: la cas­sa­panca – al­tare e il cu­scino mortuario.

È ora op­por­tuno sot­to­porre a esame il sim­bolo CASSETTA / BARA, da Gen­tili ac­cet­tato come parte del pac­chetto sim­bo­lico a tre punte di Gof­fen ma in Va­la­gussa e Maz­zotta in­di­cato come unico ri­fe­ri­mento al “sa­cri­fi­cio del Cri­sto”, se­condo loro rap­pre­sen­tato nel Co­sta-Mez­zate (così come in Bo­ston e Londra).

Ri­cor­diamo che, in coe­renza con lo stile adot­tato per que­sta mo­stra di Lecco, i due cri­tici non hanno mai detto per­ché a loro av­viso quella cas­setta di le­gno do­vrebbe es­sere vi­sta come una bara per il Bam­bin Gesù.
Dob­biamo quindi pen­sare che ac­cet­tino i pre­sup­po­sti di­mo­stra­tivi di Goffen.

13.7 / Una bara fuori misura.

Nel suo ar­ti­colo del 1978 Lora Gof­fen aveva in­fatti dato una qual­che spie­ga­zione.
Au­da­ce­mente, aveva cer­cato di so­ste­nere la sua tesi “CASSETTA DI LEGNO = BARA” fa­cendo ri­corso a una unica mo­ti­va­zione, ba­sata su una sup­po­sta somiglianza.

Gof­fen (op. cit., p. 37, tra­du­zione ed evi­den­zia­zioni nostre):

«Per di­men­sioni e ti­po­lo­gia, la sca­tola di le­gno – pro­ba­bil­mente di pino – sug­ge­ri­sce la bara di un bam­bino.
Si tratta, in­fatti, di una ver­sione in scala ri­dotta, an­che nella sua mo­da­na­tura, del sar­co­fago che ri­ceve il Cri­sto morto nella se­pol­tura del Lotto, fir­mata e da­tata 1512, e ora nella Pi­na­co­teca Ci­vica di Jesi.»

Tutto qui: se­condo Gof­fen la cas­setta è da con­si­de­rare una bara per­ché pre­senta mo­da­na­ture so­mi­glianti a quelle di­se­gnate dieci anni prima da Lotto nel sar­co­fago di Jesi ma “in scala ri­dotta”, os­sia: sono le stesse ma più pic­cole.

Do­manda fa­cile: ra­gazzi, cosa sono le mo­da­na­ture?
Ri­spo­sta del so­lito svel­tone con Wi­ki­pe­dia:
«Una mo­da­na­tura è una fa­scia sa­go­mata se­condo un pro­filo geo­me­trico, con­ti­nuo per tutta la sua lun­ghezza, che si trova nel mo­bi­lio o nella de­co­ra­zione ar­chi­tet­to­nica, con la fun­zione de­co­ra­tiva di sot­to­li­neare la sud­di­vi­sione in parti dell’oggetto, op­pure di me­diare il pas­sag­gio tra due su­per­fici di­spo­ste ad an­golo, per esem­pio per le parti sporgenti.»

È ab­ba­stanza chiaro no?
Se fru­gate nei di­pinti di Lotto e dei suoi col­le­ghi, do­vun­que tro­vate ele­menti ar­chi­tet­to­nici o di ar­re­da­mento lì tro­vate an­che mo­da­na­ture: da sem­pre ben note ad ar­chi­tetti, ar­ti­sti e fa­le­gnami, sono in­fatti ele­menti che viag­giano as­sieme, vuoi per ra­gioni fun­zio­nali vuoi per ra­gioni estetiche.

13.8 / Solo vaga, discontinua e parziale la somiglianza delle modanature.

Co­min­ciamo in­tanto con dire che l’affermazione di Gof­fen (e quindi di Gen­tili e di Va­la­gussa / Maz­zotta) è una gran­dis­sima balla che si po­teva cer­care di spac­ciare quando era an­cora dif­fi­cile pro­cu­rarsi fo­to­gra­fie al­meno di­screte dei di­pinti: le mo­da­na­ture del sar­co­fago di Jesi e della cas­setta di Bo­ston NONSONO af­fatto so­mi­glianti nel senso pro­prio del ter­mine — ba­sta guar­darle senza le cri­ti­che fette di sa­lame su­gli occhi.

Quelle del li­vello su­pe­riore del sar­co­fago Jesi e di Bo­ston, pos­sono ap­pa­rire si­mili ma solo a una prima su­per­fi­ciale oc­chiata.

Ma se le con­fron­tate con la op­por­tuna at­ten­zione, la so­mi­glianza va a farsi be­ne­dire: sono en­trambe a quat­tro or­dini ma la con­fi­gu­ra­zione di ogni or­dine è net­ta­mente di­versa.
Guar­date il se­condo or­dine dall’alto: in Jesi è sot­tile, in Bo­ston molto più spesso: Il quarto or­dine in Jesi è com­patto, in Bo­ston con scanalatura.

Inol­tre, se con­fron­tate Jesi con Co­sta-Mez­zate, la so­mi­glianza non esi­ste pro­prio, es­sendo Co­sta-Mez­zate a tre ordini.

E guar­date poi le mo­da­na­ture alla base dei ma­nu­fatti: sono tutte net­ta­mente diverse.

Un bel guaio per l’assunto se­condo cui le tre ver­sioni Bo­ston, Lon­dra e Co­sta-Mez­zate re­che­reb­bero il me­de­simo mes­sag­gio: ac­cet­tando l’impostazione di Gof­fen ne ver­rebbe l’assurdo di un mes­sag­gio dif­fe­ren­ziato per ogni di­pinto a se­conda della con­fi­gu­ra­zione delle mo­da­na­ture, una in­di­ci­bile scioc­chezza.

In breve, que­ste mo­da­na­ture pre­sen­tano ov­vie ana­lo­gie in quanto, molto sem­pli­ce­mente, ap­par­te­nenti alla me­de­sima ca­te­go­ria or­na­men­tale ma non pos­sono certo es­sere prese come “mo­delli sim­bo­lici”.

13.9 / Stesse modanature in dipinti “profani”.

Per Gof­fen (e quindi Gen­tili, Va­la­gussa, Maz­zotta) mo­da­na­tura ri­chiama ne­ces­sa­ria­mente il tema re­li­gioso della Pas­sione di Cri­sto.
Si dà però il caso che Lotto ab­bia raf­fi­gu­rato lo stesso tipo di mo­da­na­ture an­che in di­pinti del tutto “pro­fani”.

1. / Il “Ri­tratto di gen­ti­luomo”, è de­di­cato da Lotto a tutt’altro tema: c’è di mezzo forse un amore de­luso, la so­prag­giunta ma­tu­rità per un gio­vane sca­vez­za­collo, ecc. ecc. ma certo non la Pas­sione di Cri­sto.

Lì po­tete ve­dere pog­giata sul ta­volo (que­sta volta sì, è un ta­volo, cui il gio­vane si ap­pog­gia) una cas­setta di le­gno che nes­sun cri­tico si è mai so­gnato di con­si­de­rare una bara, per bam­bini o meno.
E in ef­fetti è una cas­setta in cui forse de­porre og­getti pre­ziosi o co­mun­que da tu­te­lare con una delle chiavi pog­giate sul suo coperchio.

Que­sta cas­setta del gen­ti­luomo è molto più vi­cina, come strut­tura, alle cas­sette dei tre di­pinti di Co­sta-Mez­zate, Bo­ston e Lon­dra di quanto non sia il sar­co­fago della De­po­si­zione di Jesi ci­tato da Goffen.

2. / E guar­date l’altro di­pinto di Lotto, il ri­tratto di “Mes­ser Febo”: l’effigiato è ap­pog­giato a un mo­bi­letto con mo­da­na­ture che pos­sono ri­chia­mare le mo­da­na­ture delle cas­sette del tris Co­sta-Mez­zate, Bo­ston e Lon­dra e an­cor più quelle del sar­co­fago di Jesi.
Ma dob­biamo ve­dere in que­sta rap­pre­sen­ta­zione che Lotto ci fa di Mes­ser Febo, una pre­fi­gu­ra­zione di una sua morte tragica?

At­ten­zione! Va bene non fer­marsi alla su­per­fi­cie e cer­care nelle opere di Lotto even­tuali mes­saggi non così evi­denti a un primo sguardo ma non bi­so­gna ca­dere nel ridicolo!

E quindi?
Quindi, sic­come il pre­sup­po­sto di Gof­fen è solo il ten­ta­tivo di una sfar­fal­leg­giante sug­ge­stione, lo stesso de­vesi dire della sua sup­po­sta conseguenza.

Che quella cas­setta vo­glia in­di­care una bara è una pura fan­ta­sia di Gof­fen, spo­sata senza uno strac­cio di mo­tivo da le­gioni di fanta-cri­tici, tra cui i no­stri cu­ra­tori ar­ti­stici della mo­stra di Lecco.
I quali però mai hanno detto per­ché a loro av­viso quella cas­setta debba es­sere con­si­de­rata una bara (non hanno mai nep­pure ac­cen­nato alla ipo­tesi in­ter­pre­ta­tiva di Gof­fen, pur aven­done fatta pro­pria una parte significativa).

Di certo avranno mol­tis­sime ra­gioni più se­rie per so­ste­nere il loro punto di vi­sta: siamo an­siosi di es­serne resi partecipi.

Per Gof­fen (e quindi Gen­tili, Va­la­gussa, Maz­zotta) mo­da­na­tura ri­chiama ne­ces­sa­ria­mente il tema re­li­gioso della Pas­sione di Cri­sto.
Ma ov­via­mente Lotto ha raf­fi­gu­rato lo stesso tipo di mo­da­na­ture an­che in di­pinti del tutto “pro­fani”.

1. / Il “Ri­tratto di gen­ti­luomo”, è de­di­cato da Lotto a tutt’altro tema: c’è di mezzo forse un amore de­luso, la so­prag­giunta ma­tu­rità per un gio­vane sca­vez­za­collo, ecc. ecc. ma certo non la Pas­sione di Cri­sto.

Lì po­tete ve­dere pog­giata sul ta­volo (que­sta volta sì, è un ta­volo, cui il gio­vane di ap­pog­gia di fianco) una cas­setta di le­gno che nes­sun cri­tico si è mai so­gnato di con­si­de­rare una bara, per bam­bini o meno.
E in ef­fetti è una cas­setta in cui forse de­porre og­getti pre­ziosi o co­mun­que da tu­te­lare con una delle chiavi pog­giate sul suo coperchio.

Que­sta cas­setta del gen­ti­luomo è molto più vi­cina, come strut­tura, alle cas­sette dei tre di­pinti di Co­sta-Mez­zate, Bo­ston e Lon­dra di quanto non sia il sar­co­fago della De­po­si­zione di Jesi ci­tato da Goffen.

2. / E guar­date l’altro di­pinto di Lotto, il ri­tratto di “Mes­ser Febo”: l’effigiato è ap­pog­giato a un mo­bi­letto con mo­da­na­ture che pos­sono ri­chia­mare le mo­da­na­ture delle cas­sette del tris Co­sta-Mez­zate, Bo­ston e Lon­dra e an­cor più quelle del sar­co­fago di Jesi.
Ma dob­biamo ve­dere in que­sta rap­pre­sen­ta­zione che Lotto ci fa di Mes­ser Febo, una pre­fi­gu­ra­zione di una sua morte tragica?

At­ten­zione! Va bene non fer­marsi alla su­per­fi­cie e cer­care nelle opere di Lotto even­tuali mes­saggi non così evi­denti a un primo sguardo ma non bi­so­gna ca­dere nel ridicolo!

E quindi?
Quindi, sic­come il pre­sup­po­sto di Gof­fen è solo il ten­ta­tivo di una sfar­fal­leg­giante sug­ge­stione, lo stesso de­vesi dire della sua sup­po­sta conseguenza.

Che quella cas­setta vo­glia in­di­care una bara è una pura fan­ta­sia di Gof­fen, spo­sata senza uno strac­cio di mo­tivo da le­gioni di fanta-cri­tici, tra cui i no­stri cu­ra­tori ar­ti­stici della mo­stra di Lecco.
I quali però mai hanno detto per­ché a loro av­viso quella cas­setta debba es­sere con­si­de­rata una bara (non hanno mai nep­pure ac­cen­nato alla ipo­tesi in­ter­pre­ta­tiva di Gof­fen, pur aven­done fatta pro­pria una parte significativa).

Di certo avranno mol­tis­sime ra­gioni più se­rie per so­ste­nere il loro punto di vi­sta: siamo an­siosi di es­serne resi partecipi.

13.9 / Stesse modanature in dipinti “profani”.

Per Gof­fen (e quindi Gen­tili, Va­la­gussa, Maz­zotta) mo­da­na­tura ri­chiama ne­ces­sa­ria­mente il tema re­li­gioso della Pas­sione di Cristo.

Si dà però il caso che Lotto ab­bia raf­fi­gu­rato lo stesso tipo di mo­da­na­ture an­che in di­pinti del tutto “pro­fani”.

1. / Il “Ri­tratto di gen­ti­luomo”, è de­di­cato da Lotto a tutt’altro tema: c’è di mezzo forse un amore de­luso, la so­prag­giunta ma­tu­rità per un gio­vane sca­vez­za­collo, ecc. ecc. ma certo non la Pas­sione di Cri­sto.

Lì po­tete ve­dere pog­giata sul ta­volo (que­sta volta sì, è un ta­volo, cui il gio­vane si ap­pog­gia) una cas­setta di le­gno che nes­sun cri­tico si è mai so­gnato di con­si­de­rare una bara, per bam­bini o meno.
E in ef­fetti è una cas­setta in cui forse de­porre og­getti pre­ziosi o co­mun­que da tu­te­lare con una delle chiavi pog­giate sul suo coperchio.

Que­sta cas­setta del gen­ti­luomo è molto più vi­cina, come strut­tura, alle cas­sette dei tre di­pinti di Co­sta-Mez­zate, Bo­ston e Lon­dra di quanto non sia il sar­co­fago della De­po­si­zione di Jesi ci­tato da Goffen.

2. / E guar­date l’altro di­pinto di Lotto, il ri­tratto di “Mes­ser Febo”: l’effigiato è ap­pog­giato a un mo­bi­letto con mo­da­na­ture che pos­sono ri­chia­mare le mo­da­na­ture delle cas­sette del tris Co­sta-Mez­zate, Bo­ston e Lon­dra e an­cor più quelle del sar­co­fago di Jesi.
Ma dob­biamo ve­dere in que­sta rap­pre­sen­ta­zione che Lotto ci fa di Mes­ser Febo, una pre­fi­gu­ra­zione di una sua morte tragica?

At­ten­zione! Va bene non fer­marsi alla su­per­fi­cie e cer­care nelle opere di Lotto even­tuali mes­saggi non così evi­denti a un primo sguardo ma non bi­so­gna ca­dere nel ridicolo!

E quindi?
Quindi, sic­come il pre­sup­po­sto di Gof­fen è solo il ten­ta­tivo di una sfar­fal­leg­giante sug­ge­stione, lo stesso de­vesi dire della sua sup­po­sta conseguenza.

Che quella cas­setta vo­glia in­di­care una bara è una pura fan­ta­sia di Gof­fen, spo­sata senza uno strac­cio di mo­tivo da le­gioni di fanta-cri­tici, tra cui i no­stri cu­ra­tori ar­ti­stici della mo­stra di Lecco.
I quali però mai hanno detto per­ché a loro av­viso quella cas­setta debba es­sere con­si­de­rata una bara (non hanno mai nep­pure ac­cen­nato alla ipo­tesi in­ter­pre­ta­tiva di Gof­fen, pur aven­done fatta pro­pria una parte significativa).

Di certo avranno mol­tis­sime ra­gioni più se­rie per so­ste­nere il loro punto di vi­sta: siamo an­siosi di es­serne resi partecipi.

13.10 / Curioso poi il riferimento di Goffen (e di Gentili, Valagussa e Mazzotta) alle dimensioni della cosiddetta “bara”.

Non bi­so­gna es­sere esperti spe­di­zio­nieri o fa­le­gnami per ren­dersi conto che, data la di­men­sione molto ri­dotta (la cas­setta ter­mina con­tro la co­scia della Ma­donna), è ve­ra­mente im­pen­sa­bile che Lotto ab­bia vo­luto rap­pre­sen­tarvi una bara as­so­lu­ta­mente in­con­grua con la realtà.

I com­mit­tenti si sa­reb­bero messi a ri­dere: un conto è im­ma­gi­nare la Ma­donna vo­lare nei cieli, un conto ac­cet­tare come bara una cas­setta in cui po­te­vano tro­vare po­sto tutt’al più le gam­botte belle to­ste del Bambino.

D’altra parte è pro­prio l’abc della sim­bo­lo­gia: se vo­glio rap­pre­sen­tare una bara fa­cen­done il con­te­ni­tore per la morte del Bam­bino, o la fac­cio della di­men­sione giu­sta o la fac­cio pro­prio in mi­nia­tura: nes­sun pit­tore an­che alle prime armi se­gui­rebbe una in­con­grua via di mezzo.

13.11/ La soluzione del resto ce la indica lo stesso Lotto.

Nel Co­sta-Mez­zate (lo pro­po­niamo qui sotto) ab­biamo mar­cato con un cer­chietto una fes­sura ver­ti­cale po­sta al cen­tro del lato lungo della cas­setta (non com­pare né in Bo­ston né in Lon­dra, pro­ba­bil­mente per re­stauri sba­dati — o bene orien­tati da Gof­fen (scher­ziamo naturalmente).

Cre­diamo che an­che chi ha meno di­me­sti­chezza con scri­gni e bau­letti può fa­cil­mente con­ve­nire che si tratta della fes­sura per la chiave di una serratura.

Ri­te­niamo al­ta­mente im­pro­ba­bile che Lotto ab­bia vo­luto in­ven­tarsi una “bara per bimbo“ a prova di cu­riosi o la­dri: che quindi quella cas­setta rap­pre­senti esat­ta­mente ciò che è — non certo una bara di im­pro­ba­bili dimensioni.

Ma ba­sta con le scioc­chezze di Gof­fen e com­pa­gnia, e an­diamo avanti.

14. Tornando agli scoiattoli …

Ab­biamo vi­sto come la co­stru­zione con­cet­tuale at­torno ai tre di­pinti di Co­sta-Mez­zate, Bo­ston e Lon­dra, sug­ge­rita per prima da Gof­fen nel 1978, è stata poi con­di­visa da al­tri noti cri­tici che vi hanno però im­messo pro­prie va­lu­ta­zioni, in con­tra­sto con la stessa Goffen.

Le di­ver­genze si sono ma­ni­fe­state con mag­gior evi­denza sull’atteggiamento del Bam­bino: Gof­fen lo ve­deva come po­si­ti­va­mente at­tivo e teso al com­pi­mento della pro­pria mis­sione sal­vi­fica.
Al­tri — al con­tra­rio — hanno at­tri­buito al Bam­bino un at­teg­gia­mento di rea­zione im­pau­rita di fronte alla enun­cia­zione del pro­prio tra­gico de­stino, espressa:
— o dalle mani in­cro­ciate di San Ni­cola, vi­ste come an­nun­cianti espli­ci­ta­mente la cro­ci­fis­sione (Bo­ston e Lon­dra);
— o dallo sco­iat­tolo, vi­sto come pre­veg­gente di tem­pe­sta > morte (Co­sta-Mez­zate).

È quindi giunto il mo­mento di la­sciare la bot­tega del fa­le­gname e di spo­starci nel re­gno ani­male.

14.1 / Qualche richiamo allo scoiattolo nella pittura rinascimentale.

In tutte sue espo­si­zioni pub­bli­che Va­la­gussa ha espli­ci­ta­mente af­fer­mato che la pre­senza dello sco­iat­tolo nella pit­tura ri­na­sci­men­tale è in­so­lita; come esem­pio ri­por­tiamo quanto da lui detto alla inau­gu­ra­zione della mo­stra di Lecco il 5-12-2020 (evi­den­zia­zioni nostre):

«il Bam­bino im­prov­vi­sa­mente si agita, quasi si spa­venta, e sem­bra get­tarsi tra le brac­cia della ma­dre. Pro­prio per­ché ha vi­sto im­prov­vi­sa­mente ap­pa­rire una pre­senza in­so­lita, uno sco­iat­tolo, che non è as­so­lu­ta­mente fre­quente nei di­pinti dell’epoca.»

Si tratta di una presa di po­si­zione ab­ba­stanza curiosa.

Se in­fatti è chiaro che non in tutti i di­pinti del Ri­na­sci­mento i pit­tori in­fi­las­sero uno sco­iat­tolo, è al­tret­tanto chiaro che il pic­colo ro­di­tore è co­mun­que rap­pre­sen­tato in un certo nu­mero di di­pinti, sia a ca­rat­tere re­li­gioso sia pro­fano.
Nulla di strano: al­lora lo sco­iat­tolo go­deva di una certa sim­pa­tia come ani­ma­letto di com­pa­gnia sia per i bimbi sia per le si­gnore che lo te­ne­vano al guin­za­glio (po­veri sco­iat­toli!) con col­lari an­che di pre­gio.
Co­mun­que an­che ai no­stri tempi lo sco­iat­tolo con­ti­nua a go­dere di grande po­po­la­rità: ba­sti pen­sare alla se­rie di qual­che de­cen­nio fa con Cip e Ciop o la at­tuale go­di­bi­lis­sima ver­sione di Scrat, lo sco­iat­tolo-topo nell’era glaciale.

Tor­nando a noi, fran­ca­mente non ab­biamo com­preso per­ché Va­la­gussa ab­bia scelto que­sta li­nea di mi­ni­miz­za­zione di un dato di fatto.
An­che per­ché egli è giunto al punto di non ri­cor­dare mai che pro­prio a Lotto si deve uno dei di­pinti in cui lo sco­iat­tolo ha un ruolo di primo piano, sep­pure con un senso tutto di­verso da quello sug­ge­ri­toci da Va­la­gussa per il di­pinto Co­sta-Mez­zate: non vi­vace pre­veg­gente ma dor­mi­glione e in­dif­fe­rente agli ac­ca­di­menti della vita: l’uomo in­dica lo sco­iat­tolo che se la dorme e nell’altra mano reca un car­ti­glio “homo nun­quam” — l’uomo non deve mai fare come quel pol­trone (Mu­seo dell’Ermitage, Pietroburgo).

Cu­rioso il con­no­tato che ne ha in­vece dato in un com­mento-lampo Maz­zotta (We­bi­nar del 23 feb­braio 2021) che ne ha vi­sto il sim­bolo della “fe­deltà” — senza però spie­garci il per­ché di que­sta sua scelta in so­li­ta­ria con­tro­ten­denza (è fe­dele per pigrizia?).

Nel Ca­ta­logo uf­fi­ciale della mo­stra Maz­zotta si è co­mun­que po­sto sulla stessa li­nea di Va­la­gussa, non ac­cen­nando mai né al di­pinto di Lotto dell’Ermitage né ai di­pinti di ar­ti­sti coevi a Lotto (o di anni a lui vi­cini), in cui lo sco­iat­tolo è ben pre­sente, come chiun­que può ve­ri­fi­care con una fa­cile in­da­gine (solo a ti­tolo di esem­pio mo­striamo opere “pro­fane” di Gio­vanni Car­riani, Fran­ce­sco Mon­te­mez­zano, Bar­to­lo­meo Tra­bal­lesi, non­ché il pan­nello dello Stu­diolo di Fe­de­rico da Mon­te­fel­tro in Ur­bino, di qual­che de­cen­nio pre­ce­dente a Lotto).

14.2 / Scoiattoli in quantità invece per Gentili.
Ma a lui piacciono o “provvidenti” o “preveggenti” di disgrazie.

La cen­sura da parte di Va­la­gussa e Maz­zotta su­gli “al­tri” sco­iat­toli nella pit­tura ri­na­sci­men­tale è tanto più cu­riosa in quanto il già ci­tato Au­gu­sto Gen­tili (la fonte della loro tesi sco­iat­tolo = pre­veg­genza della Pas­sione di Cri­sto), ha in­vece bat­tuto la strada op­po­sta, so­ste­nendo che lo sco­iat­tolo non solo è una pre­senza niente af­fatto rara nella pit­tura coeva a Lotto ma è in­vece pre­sente nei di­pinti “pro­fani” come sim­bolo della “prov­vi­denza” e una co­stante come “pre­veg­gente” dei di­pinti in cui è raf­fi­gu­rata la Pas­sione di Cristo.

Per l’aspetto “prov­vi­denza” ri­man­diamo al suo scritto, e ci oc­cu­piamo qui solo di quella re­la­tiva alla sup­po­sta “pre­veg­genza” dello scoiattolo.

Molto op­por­tu­na­mente Gen­tili ha vo­luto fis­sare un ri­fe­ri­mento con­cet­tuale forte af­fer­mando che lo sco­iat­tolo come pre­veg­gente è un sim­bolo ben ra­di­cato nella cul­tura ri­na­sci­men­tale.

La Se­zione 15 che se­gue è de­di­cata a mo­strare come que­sto as­sunto di Gen­tili è de­sti­tuito di qua­lun­que fon­da­mento e può es­sere preso come esem­pio della più au­dace fanta-cri­tica d’arte.

15. I supposti fortissimi lasciti culturali di Plinio il Vecchio.

Ab­biamo già vi­sto so­pra come nel Ca­ta­logo della mo­stra iti­ne­rante del 1997-98, Au­gu­sto Gen­tili desse una sua let­tura pre­cisa del Costa-Mezzate:

«[…] il Bam­bino si sot­trae a Ca­te­rina per­ché que­sta ha con sé uno sco­iat­tolo, che da Pli­nio a Vin­cent de Beau­vais man­tiene la ca­rat­te­ri­stica di pre­ve­dere le tem­pe­ste

Il senso di que­sti ri­fe­ri­menti bi­blio­gra­fici, nel 1997-98 solo ac­cen­nati da Gen­tili, è stato svi­lup­pato dallo stesso nel 2000 in un suo ar­ti­colo (“Lotto, Ca­riani e sto­rie di sco­iat­toli” — Ve­ne­zia Cin­que­cento, Lug./Dic. 2000, pp. 5-38), ne­gli anni suc­ces­sivi am­pia­mente e fa­vo­re­vol­mente ci­tato dalla cri­tica lottesca.

Di que­sto ar­ti­colo di Gen­tili ci oc­cu­piamo quindi qui di se­guito, sep­pure solo per la parte re­la­tiva alla fama, di­chia­rata da Gen­tili come ge­ne­ral­mente ri­co­no­sciuta al­meno dal primo Me­dio Evo, dello sco­iat­tolo come pre­veg­gente delle tem­pe­ste e, quindi, con fa­cile tra­slato me­ta­fo­rico, della Pas­sione di Cristo.

È tanto più utile cer­care di avere le idee chiare su que­sto tema in quanto lo sco­iat­tolo e il suo pre­sunto ruolo pre­dit­tivo della pas­sione di Cri­sto è il se­condo (e ul­timo) ele­mento su cui Va­la­gussa e Maz­zotta ba­sano la loro in­ter­pre­ta­zione del di­pinto di Lotto.

An­che in que­sto caso è da ri­le­vare che in nes­suna delle loro ap­pa­ri­zioni pub­bli­che i due cu­ra­tori della mo­stra di Lecco hanno mai fatto cenno al fatto che già da tempo, prima di loro, al­tri bril­lanti e sti­mati cri­tici e sto­rici dell’arte ave­vano de­di­cato pa­rec­chio spa­zio a que­sto tema: non è un gran­ché dal punto di vi­sta del me­todo e della con­di­vi­sione delle co­no­scenze.
Sa­rebbe inol­tre in­te­res­sante ve­ri­fi­care quanto del di­bat­tito su que­sto aspetto della mo­stra sia noto ai 300 stu­denti, istruiti dalla Cu­ria di Lecco per svol­gere il loro ruolo di “ci­ce­roni“ alla mo­stra stessa nel qua­dro dei pro­grammi scuola-la­voro, ecc.

15.1 / Gentili su Plinio e Vincent de Beauvais.

Gen­tili ci in­tro­duce alla sua tesi “sco­iat­tolo” = “pre­veg­gente di tem­pe­sta” ci­tando due opere:
— la “Hi­sto­ria Na­tu­ra­lis” di Pli­nio il Vec­chio;
— lo “Spe­cu­lum na­tu­rale” di Vin­cent de Beauvais.

Lo stesso Gen­tili li­quida però ab­ba­stanza sbri­ga­ti­va­mente de Beau­vais [ndr: 1190-1264] e il suo “Spe­cu­lum na­tu­rale” [ndr: prima edi­zione a stampa, Stra­sburgo 1476] ri­le­vando che l’enciclopedista fran­cese si li­mita a ri­por­tare il te­sto di Pli­nio, ag­giun­gen­dovi solo un paio di sue solo cu­riose no­ta­zioni di pura fan­ta­sia (di­ciamo noi che Vin­cent de Beau­vais ri­porta le po­che pa­role di Pli­nio ma senza ac­cen­tuarne as­so­lu­ta­mente un sup­po­sto ruolo di “pre­veg­gente”).

Di fatto Gen­tili quindi si li­mita alla ci­ta­zione di Pli­nio, a suo dire più che au­to­re­vole nella cul­tura ri­na­sci­men­tale.
Ma ve­diamo come Gen­tili pre­senta la cosa (p. 7, sot­to­li­nea­ture nostre):

«Per “fun­zio­nare” come tale, il sim­bolo deve es­sere ri­go­ro­sa­mente co­di­fi­cato e quindi as­so­lu­ta­mente ri­co­no­sci­bile da chi pos­segga gli stru­menti cul­tu­rali d’accesso al co­dice.
Il pit­tore del Cin­que­cento non può in­ven­tare sim­boli, per­ché i sim­boli a sua di­spo­si­zione sono già am­pia­mente ma an­che sta­bil­mente de­fi­niti nel ric­chis­simo re­per­to­rio or­mai co­sti­tuito dalla tra­di­zione (an­tica, me­die­vale, uma­ni­stica; scritta e fi­gu­rata; “sa­cra” e “pro­fana”).
Il pit­tore non può di­stac­carsi dalla tra­di­zione, per­ché le sue im­ma­gini ri­sul­te­reb­bero in­com­pren­si­bili.»
[…]
«La tra­di­zione te­stuale sullo sco­iat­tolo è estre­ma­mente sem­plice, pre­cisa, con­cisa, ed è sem­pre la stessa, come è ti­pico della tra­di­zione sim­bo­lica, che è for­te­mente e isti­tu­zio­nal­mente con­ser­va­trice.
Tutto co­min­cia da un breve passo della Na­tu­rae hi­sto­ria di Pli­nio […], dove si dice (tra­duco let­te­ral­mente dal la­tino quat­tro ri­ghe):
“Gli sco­iat­toli pre­ve­dono la tem­pe­sta, e al­lora, ot­tu­rata la tana dalla parte dove spi­rerà il vento, pra­ti­cano aper­ture dalla parte op­po­sta; per il re­sto è la coda as­sai pe­losa a far loro da co­perta. Per al­cuni d’inverno è prov­ve­duto il cibo; per al­tri, in­vece del cibo, il sonno”.
Tutto qui. (Pre­ciso su­bito che il con­clu­sivo ri­fe­ri­mento al sonno di­pende dal fatto che i na­tu­ra­li­sti an­ti­chi cre­de­vano che d’inverno gli sco­iat­toli an­das­sero in le­targo come gli orsi: il che è ov­via­mente falso. In­vece è vero che gli sco­iat­toli sono as­sai in­fa­sti­diti dal vento e dal mal­tempo).
La frase di Pli­nio già fissa l’elemento fon­da­men­tale per la co­di­fi­ca­zione sim­bo­lica: lo sco­iat­tolo è ca­pace di pre­vi­sione, pre­vede il fu­turo, in par­ti­co­lare un mi­nac­cioso fu­turo di tem­pe­sta.»

Con quest’ultima af­fer­ma­zione — de­ci­sa­mente pe­ren­to­ria e da leg­gere co­mun­que alla luce di ciò che egli stesso ci ha detto sulle con­di­zioni ne­ces­sa­rie per­ché un sim­bolo possa “fun­zio­nare” — Gen­tili vuole sug­ge­rire al let­tore di oggi che ai primi del ’500 quella unica frase de­di­cata da Pli­nio agli sco­iat­toli (com­po­sta in la­tino da quin­dici pa­role) fosse così dif­fusa e au­to­re­vole da ren­dere as­sio­ma­tico l’abbinamento “sco­iat­tolo-pre­veg­genza” per chi al­lora ve­desse il di­pinto di Costa-Mezzate.

Di­ciamo su­bito che que­sta è una delle più grosse cor­bel­le­rie mai sen­tite e che la realtà do­cu­men­tale sullo sco­iat­tolo nella cul­tura ri­na­sci­men­tale non è per nulla nei ter­mini sug­ge­riti dal pur fa­condo stu­dioso (e da­gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra di Lecco) e che sul si­gni­fi­cato dello sco­iat­tolo nel di­pinto di Co­sta-Mez­zate è quindi op­por­tuno va­gliare al­tre ipotesi.

15.2 / Un simbolo rapidamente consumatosi?

Sap­piamo bene come l’abbinamento “sco­iat­tolo-pre­veg­genza” non sia ai no­stri giorni per nulla scontato.

I vi­si­ta­tori della mo­stra di Lecco (e prima di loro quelli che, a par­tire dal 1953, lo hanno po­tuto am­mi­rare espo­sto al pub­blico) ve­dono nello sco­iat­tolo una sem­plice cu­rio­sità: pro­prio ciò che Lucco de­fi­niva “un tocco ul­te­riore di gra­zia e di vi­va­cità in­no­cente” — espres­sione giu­di­cata da Gen­tili ad­di­rit­tura come “in­di­ci­bile”.

In­di­ci­bile o no, di fatto, per­ché oggi possa af­fac­ciarsi alla mente del pub­blico l’idea che lo sco­iat­tolo sim­bo­lizzi la pre­veg­genza della Pas­sione del Bam­bino, è in­di­spen­sa­bile l’intervento in­si­stito di fior di spe­cia­li­sti della cri­tica e della sto­ria dell’arte che lo ri­pe­tano in lungo e in largo e ne fac­ciano anzi l’oggetto prin­ci­pale dell’attenzione.

Non a caso l’alter ego di Lotto nella mo­stra di Lecco, il pit­tore Gio­vanni Frangi, ha de­di­cato gran parte dei 10,5 mq di tela da lui espo­sti a fianco del di­pinto di Lotto pro­prio allo sco­iat­tolo; non a caso sul to­tale delle il­lu­stra­zioni ri­por­tate sul ca­ta­logo della mo­stra, ben il 47% sono de­di­cate allo sco­iat­tolo.

Sap­piamo an­che che fino alla mo­stra iti­ne­rante del 1997-98 (nel Ca­ta­logo della quale si è per la prima volta par­lato in una pub­blica mo­stra del pic­colo ro­di­tore) nes­suno dei cri­tici e de­gli os­ser­va­tori nei se­coli pre­ce­denti, par­lando di quel di­pinto di Co­sta-Mez­zate, aveva mai fatto nep­pure un ac­cenno allo sco­iat­tolo, se non Be­ren­son nella terza edi­zione della sua mo­no­gra­fia lot­te­sca del 1955 (lo ab­biamo am­pia­mente di­scusso sopra).

Solo Lo­ca­telli nel 1867 lo aveva ci­tato, ma anch’egli senza farne as­so­lu­ta­mente il “pre­veg­gente” della Pas­sione di Cri­sto e, co­mun­que ri­ma­nendo, a tutt’oggi e per in­com­pren­si­bili ra­gioni, per­fet­ta­mente igno­rato dalla critica.

Evi­den­te­mente ciò che se­condo Gen­tili era as­so­lu­ta­mente ac­qui­sito ai primi del ’500 si è poi sva­po­rato nella cul­tura ita­liana ed eu­ro­pea, fa­cendo di­men­ti­care a tutti che “sco­iat­tolo” vo­leva sim­bo­leg­giare ne­ces­sa­ria­mente “pre­veg­genza”.

Re­sta da ve­dere se, ef­fet­ti­va­mente, ai primi del ’500 le cose stes­sero come so­stiene Gen­tili.
Dob­biamo cioè cer­care di ca­pire quale po­tesse es­sere il reale peso dell’appunto di Pli­nio sullo sco­iat­tolo come pre­veg­gente, al­meno nella cul­tura del no­stro Paese.

An­ti­ci­pato che la no­stra ri­spo­sta è “UGUALEZERO, chie­diamo quindi al let­tore di se­guirci con un po’ di pa­zienza in un breve ex­cur­sus su Pli­nio, la sua opera e lo scarno ri­fe­ri­mento che vi si trova allo scoiattolo.

15.3 / L’enciclopedia naturalistica di Plinio.

L’opera “Hi­sto­ria Na­tu­ra­lis” di Pli­nio ab­brac­cia mol­tis­simi temi della realtà na­tu­ra­li­stica, con am­pie in­cur­sioni in quelle aree dell’attività umana che vi sono stret­ta­mente con­nesse, per esem­pio, l’architettura e l’arte.

L’intera opera si com­pone di 37 Li­bri per circa 408.000 pa­role.
Al mondo de­gli “ani­mali ter­re­stri” è de­di­cato il Li­bro VIII, che ne conta circa 13.000.

Per dare un’idea un po’ gros­so­lana, ma forse non inu­tile, del peso dei di­versi ar­go­menti nel Li­bro VIII, ri­cor­diamo che sui 60 ani­mali ci­tati nell’indice, all’ele­fante Pli­nio de­dica circa 2.000 pa­role; al leone 1.200; ai ricci 195; allo sco­iat­tolo 23, che ri­sulta tra quelli cui Pli­nio de­dica meno spazio.

Pren­dendo dal Ma­no­scritto della “Na­tu­ra­lis Hi­sto­ria” dall’Abbazia di Saint-Vin­cent di Le Mans (metà del XII sec. Le Mans, Mé­dia­thè­que Louis Ara­gon, ms. 263, f. 10v.) qui sotto evi­den­ziamo la frase de­di­cata allo sco­iat­tolo da Pli­nio, che se­condo Gen­tili (e quindi an­che Va­la­gussa e Maz­zotta) sa­rebbe alla base della con­so­li­data tra­di­zione, vi­vis­sima an­che ne­gli anni di Lotto, se­condo cui lo sco­iat­tolo era vi­sto im­man­ca­bil­mente come pre­dit­tore della Pas­sione di Cristo.

Na­tu­ral­mente ciò non ha un di­retta cor­re­la­zione con la “qua­lità” dello spa­zio de­di­cata a ogni sin­golo ani­male: in que­sta area della sua en­ci­clo­pe­dia Pli­nio dà in­fatti molta corda all’aspetto favolistico.

Per esem­pio, nel pa­ra­grafo im­me­dia­ta­mente pre­ce­dente a quello de­di­cato allo sco­iat­tolo, 67 pa­role sono de­di­cate al leon­to­fono e al come i leoni che lo mor­dano muo­iono av­ve­le­nati dalla sua urina; e al­tre 40 pa­role alla de­scri­zione di come l’urina delle linci si cri­stal­lizzi istan­ta­nea­mente, tra­sfor­man­dosi in ambra.

Il pro­blema è che il leon­to­fono, pur es­sendo riu­scito a en­trare nei be­stiari me­dioe­vali, è ani­male di pura in­ven­zione. Così come di pura in­ven­zione è il rac­con­tino sulla pipì delle linci.

Nelle 23 pa­role de­di­cate allo sco­iat­tolo, for­tu­na­ta­mente, Pli­nio non si la­scia an­dare a ri­fe­rire strane balle (di cui egli stesso in parte si­cu­ra­mente ri­deva) ma si li­mita ad esporne un paio di ca­rat­te­ri­sti­che vi­cine alla realtà: la cura de­di­cata al nido in caso di pre­ci­pi­ta­zioni, l’uso pro­tet­tivo della coda.

E però a que­sto punto op­por­tuno ri­por­tare:
il te­sto la­tino uti­liz­zato da Gen­tili (il quale lo ha preso dal te­sto pro­po­sto nella edi­zione Ei­naudi «Gaio Pli­nio Se­condo, “Sto­ria Na­tu­rale”, 1983»);
la tra­du­zione pro­po­sta da A. Bor­ghini, E. Gian­na­relli, A. Mar­cone, G. Ra­nucci nella stessa Ei­naudi;
la tra­du­zione pro­po­sta da Gen­tili che ha ri­te­nuto “in­sod­di­sfa­cente” la ver­sione Einaudi.

Pli­nio, Na­tu­ra­lis hi­sto­ria, Li­ber VIII – 58:
«Pro­vi­dent tem­pe­sta­tem et sciuri ob­tu­ra­ti­sque, qua spi­ra­tu­rus est ven­tus, ca­ver­nis ex alia parte ape­riunt fo­res. De ce­tero ip­sis vil­lo­sior cauda pro te­gu­mento est. Ergo in hie­mes aliis pro­vi­sum pa­bu­lum, aliis pro cibo somnus».

Tra­du­zione Ei­naudi, 1983 (evi­den­zia­zioni no­stre):
«Pre­ve­dono le tem­pe­ste an­che gli sco­iat­toli e, dopo aver tap­pato le loro tane nella di­re­zione in cui sof­fierà il vento, aprono un pas­sag­gio da un al­tro lato. Quanto al re­sto, hanno come ri­ve­sti­mento una coda piut­to­sto pe­losa. Dun­que, per l’inverno, al­cuni ani­mali fanno prov­vi­sta di cibo, per al­tri in­vece il sonno prende il po­sto del nutrimento.»

Tra­du­zione Gen­tili, 2000:
«Gli sco­iat­toli pre­ve­dono la tem­pe­sta, e al­lora, ot­tu­rata la tana dalla parte dove spi­rerà il vento, pra­ti­cano aper­ture dalla parte op­po­sta; per il re­sto è la coda as­sai pe­losa a far loro da co­perta. Per al­cuni d’inverno è prov­ve­duto il cibo; per al­tri, in­vece del cibo, il sonno».

Come il let­tore può ve­ri­fi­care, tra le due ver­sioni c’è una pro­fonda dif­fe­renza: in quella Ei­naudi sia nell’iniziale “an­che” che nella lo­cu­zione “al­cuni ani­mali” della frase fi­nale, lo sco­iat­tolo viene po­sto in re­la­zione con le al­tre realtà na­tu­ra­li­sti­che il­lu­strate da Pli­nio nei pa­ra­grafi precedenti.

Nella ver­sione Gen­tili que­sta re­la­zione viene in­vece can­cel­lata: igno­rato l’“an­che” (in la­tino, la “et” della prima frase); non espli­ci­tato il sot­tin­teso “ani­mali” dell’ultima frase, in­vece op­por­tu­na­mente evi­den­ziato nella ver­sione Ei­naudi che non a caso Gen­tili de­fi­ni­sce “in­sod­di­sfa­cente”.

15.4 / Lo scoiattolo nell’insieme della enciclopedia pliniana.

È in­fatti op­por­tuno chia­rire su­bito che la frase fi­nale del breve pe­riodo ci­tato da Gen­tili (“Per al­cuni d’inverno è prov­ve­duto il cibo; per al­tri, in­vece del cibo, il sonno”), non si ri­fe­ri­sce a os­ser­va­tori di­versi che avreb­bero ma­ni­fe­stato idee di­verse in­torno allo sco­iat­tolo — come egli vuole sug­ge­rire — ma è la sin­tesi di di­verse con­si­de­ra­zioni svi­lup­pate da Pli­nio nei pa­ra­grafi pre­ce­denti, ri­guar­danti ALTRI animali.

Pli­nio non ci dice in­fatti nulla né delle even­tuali scorte di cibo da parte dello sco­iat­tolo per il pe­riodo in­ver­nale né del suo even­tuale sonno/letargo.

Sullo sco­iat­tolo Pli­nio ci dice solo ed esclu­si­va­mente due cose:
— che, pre­sen­tendo il tem­po­rale, l’animaletto in­ter­viene a mo­di­fi­care la strut­tura della sua “tana” (che in realtà è un “nido”»);
— che uti­lizza la sua folta coda come protezione.

In realtà, l’uso della coda come pro­te­zione (dalla piog­gia come dal sole o come ele­mento mi­me­tico) è un ef­fet­tivo uso del pro­prio corpo da parte dello sco­iat­tolo.
È la ra­gione per la quale i greci (tra que­sti Ari­sto­tile) lo de­fi­ni­vano come quello che “si fa om­bra con la coda” senza al­cun ri­fe­ri­mento a sue even­tuali doti di preveggente.

Per quanto ri­guarda l’uso in Gen­tili del ter­mine “tana”, è op­por­tuno ri­cor­dare che in ita­liano que­sto lemma in­dica un pertugio/rifugio sca­vato sotto terra, men­tre il la­tino “ca­verna” in­dica ge­ne­ri­ca­mente una “ca­vità”, da spe­ci­fi­care ul­te­rior­mente in base al con­te­sto (in ita­liano “ca­verna” ne ha man­te­nuto solo uno dei pos­si­bili si­gni­fi­cati come ca­vità oriz­zon­tale, più am­pia che pro­fonda, a in­ter­rom­pere la pen­dice di un rilievo).

Nel con­te­sto della frase pli­niana “ca­verna” va in­teso come “nido”.

A noi è ben noto (ma an­cor più do­veva es­serlo ai tempi di Pli­nio) che gli sco­iat­toli non usano “tane” sca­vate nella terra.
I loro ri­fugi sono: nell’inverno, le ca­vità nei tron­chi de­gli al­beri; nel re­sto dell’anno, in­vece i nidi che essi co­strui­scono sulle cime più alte, là dove, tra i “ne­mici” dello sco­iat­tolo, solo la mar­tora rie­sce a spin­gersi per im­pa­dro­nir­sene (cosa che fa spesso e volentieri).

Là, su­gli ul­timi esili rami de­gli al­beri, lo sco­iat­tolo co­strui­sce con grande pe­ri­zia nidi di ot­tima fat­tura, tali da re­si­stere ai tem­po­rali più vio­lenti.
Ed è pro­prio per­ché ha il nido sulla cima de­gli al­beri, dove è av­ver­ti­bile il più de­bole sof­fio di vento, che lo sco­iat­tolo sente av­vi­ci­narsi la tem­pe­sta e per­ce­pi­sce da dove ver­ranno le più forti fo­late di vento.

E al­lora, lo sco­iat­tolo si mette im­me­dia­ta­mente al la­voro: chiude il nido e ne la­scia aperto solo un pic­colo foro di 3-4 cen­ti­me­tri per i suoi spo­sta­menti; e su quel pic­colo foro co­strui­sce uno spio­vente che im­pe­di­sca all’acqua di entrare.

Per la ve­rità, quindi, bi­so­gne­rebbe ri­cor­dare lo sco­iat­tolo come abile e po­si­tivo car­pen­tiere, pronto ad af­fron­tare e ri­sol­vere le av­ver­sità, piut­to­sto che come an­nun­cia­tore di di­sgra­zie.

15.5 / Concatenazione di idee.

È noto che Pli­nio, a lungo uf­fi­ciale di ca­val­le­ria in Ger­ma­nia e am­mi­ni­stra­tore, sto­rico e po­li­tico prima e più che ri­cer­ca­tore, com­pilò la sua en­ci­clo­pe­dia non tanto a par­tire da sue di­rette os­ser­va­zioni ma in­trec­ciando in­for­ma­zioni ete­ro­ge­nee tratte da au­tori greci e latini.

E ciò con cri­teri de­ci­sa­mente non si­ste­ma­tici ma spesso solo per as­so­cia­zione di idee o con­ca­te­nando a dati di realtà ele­menti fa­vo­li­stici, lon­tani da qual­siasi con­si­de­ra­zione ana­to­mica o mor­fo­lo­gica o etologica.

D’altra parte ciò che può at­trarre nell’opera pli­niana è pro­prio il suo con­ti­nuo oscil­lare fra realtà e leg­genda e nel suo pas­sare dall’accreditare le balle più evi­denti alla espo­si­zione ra­zio­nale di fatti ben documentati.

Come esem­pio di que­sta pro­ce­dura, ri­cor­diamo pro­prio i ca­pi­to­letti pre­ce­denti il VIII-58 (de­di­cato alla mar­tora e allo scoiattolo).

Lì Pli­nio parla di ani­mali che per l’inverno vanno in le­targo (e cita l’orso); op­pure, pre­ve­dendo il freddo e la neve, fanno scorta di cibo (e cita il ric­cio).

In en­trambi i casi, a que­sti dati di realtà, Pli­nio ag­giunge ele­menti chia­ra­mente fa­vo­li­stici: per l’orso dice che la ma­dre de­fi­ni­sce la strut­tura dei cuc­cioli in­formi ap­pena par­to­riti, lec­can­doli; per i ricci che per di­fen­dersi dalla cat­tura si inon­dano della pro­pria urina.

Ag­gan­cian­dosi a que­sto uso del corpo da parte di orso e ric­cio, Pli­nio passa senza so­lu­zione di con­ti­nuità a par­lare dell’inesistente leon­to­fono (che a sua volta use­rebbe della pro­pria urina come di­fesa).
Passa poi alla lince la cui urina si tra­sfor­me­rebbe in pie­tre di co­lore rosso (am­bra).
Passa poi al tasso che gon­fie­rebbe la pelle per im­pe­dire i morsi dei cani e i colpi de­gli uo­mini.
Ar­riva in­fine allo sco­iat­tolo che pre­ve­de­rebbe il mal tempo (come il ric­cio) e (come il tasso) usa una parte del corpo (la coda) come protezione.

Si com­prende quindi che la tra­du­zione / in­ter­pre­ta­zione di Gen­tili astrae com­ple­ta­mente dal con­te­sto en­ci­clo­pe­dico e no­men­cla­tore in cui è in­se­rita la frase di Pli­nio sullo scoiattolo.

Solo con que­sta non cor­retta pro­ce­dura egli può in­vi­tare il let­tore a in­ten­dere non che “al­cuni ani­mali” vanno in le­targo, men­tre “al­tri ani­mali” fanno prov­vi­sta di cibo (come scrive Pli­nio) ma che “al­cuni uo­mini” pen­sano che lo sco­iat­tolo vada in le­targo men­tre “al­tri uo­mini” pen­sano che fac­cia scorta di cibo — ov­via­mente cosa del tutto diversa.

Ap­pare chiaro che an­che il dato della “pre­veg­genza” dello sco­iat­tolo (enun­ciata con le quat­tro pa­role “Pro­vi­dent tem­pe­sta­tem et sciuri”) non va in­tesa come una in­di­ca­zione par­ti­co­lare di Pli­nio re­la­tiva al solo sco­iat­tolo ma è da in­se­rire nella lun­ghis­sima se­rie di ani­mali a suo av­viso ca­rat­te­riz­zati dalla me­de­sima “ca­pa­cità di pre­veg­genza”.

15.6 / In Plinio è solo lo scoiattolo o “preveggenti” sono tanti altri animali?

Leg­giamo dal Li­bro VIII di Pli­nio (tra­du­zione Ei­naudi, evi­den­zia­zioni nostre):

«(42) Ci sono an­cora mi­gliaia di fatti da nar­rare, dal mo­mento che la na­tura stessa a mol­tis­simi ani­mali ha dato la ca­pa­cità di os­ser­vare il cielo e di in­di­care in an­ti­cipo, chi in un modo e chi in un al­tro, i venti, la piog­gia, le tem­pe­ste, ar­go­mento che è im­menso da svol­gere, come quello dei le­gami de­gli uo­mini con le sin­gole be­stie.
Dun­que essi pre­an­nun­ciano pure i pe­ri­coli, non sol­tanto con le loro vi­scere ed i loro in­te­stini, alla cui in­ter­pre­ta­zione si af­fida una grande parte dei mor­tali, ma an­che con al­tri se­gni. I topi se ne vanno via in an­ti­cipo quando c’è mi­nac­cia di crolli; i ra­gni sono i primi a ca­dere con le loro tele. Os­ser­vare gli uc­celli per trarne au­spici è di­ven­tata un’arte presso i Ro­mani ed il col­le­gio dei sa­cer­doti ha rag­giunto una grande po­tenza.»
[…]

«133 (56) An­che i ricci pre­pa­rano il cibo per l’inverno: dopo es­sersi ro­to­lati so­pra i frutti che giac­ciono per terra, li in­fi­lano con le loro spine e, te­nen­done an­cora un al­tro in bocca, li por­tano nelle ca­vità de­gli al­beri. Essi an­cora, na­scon­den­dosi nella loro tana, an­nun­ziano in an­ti­cipo il cam­bia­mento del vento, dall’aquilone all’austro.»
[…]
«184 (71) In Egitto un bue viene ado­rato come un dio; lo chia­mano Api. […] Ha due tem­pli, che chia­mano ta­lami, che ser­vono agli Egizi per trarne pro­fe­zie: è lieto pre­sa­gio se il bue è en­trato nel primo, se è en­trato nell’altro an­nun­cia ro­vine

Cap. XVIII:

«Da­gli ani­mali: dai pe­sci : da­gli uc­celli.
LXXXVII. (87) An­che gli ani­mali danno dei pre­sagi: i del­fini che gio­cano su un mare tran­quillo an­nun­ciano vento dal lato da cui ven­gono, e lo stesso quando fanno schiz­zare l’acqua; i me­de­simi del­fini, se il mare è agi­tato, an­nun­ziano la bo­nac­cia. Il ca­la­maro che vol­teg­gia fuori dall’acqua, le con­chi­glie che si at­tac­cano, i ricci di mare che si fis­sano o che si za­vor­rano di sab­bia sono in­dizi di tem­pe­sta. An­che le rane che gra­ci­dano più del so­lito e le fo­la­ghe che gri­dano al mat­tino, e gli smer­ghi e le ana­tre che si pu­li­scono le piume col becco an­nun­ziano il vento; lo stesso fanno gli al­tri uc­celli ac­qua­tici se cor­rono in gruppo, e le gru che si af­fret­tano verso l’interno, gli smer­ghi e i gab­biani che fug­gono i mari o gli sta­gni. Le gru che in si­len­zio vo­lano in alto an­nun­ziano bel tempo, e così pure la ci­vetta che grida du­rante la piog­gia (a ciel se­reno, in­vece, essa an­nun­cia tem­pe­sta), ed i corvi che grac­chiano con una sorta di sin­gulto e si scuo­tono inin­ter­rot­ta­mente; ma se in­vece di tanto in tanto trat­ten­gono la voce si pre­ve­dono piog­gia e vento. Le tac­cole che ri­tor­nano tardi dalla pa­stura an­nun­ciano il mal­tempo, ed an­che gli uc­celli bian­chi quando si riu­ni­scono in gruppo, e gli uc­celli di terra quando lan­ciano strida con­tro l’acqua e se ne spruz­zano, in spe­cial modo la cor­nac­chia; così pure la ron­dine quando vola tal­mente vi­cina all’acqua da col­pirla spesso con l’ala, e gli uc­celli che abi­tano su­gli al­beri quando cer­cano ri­paro nei loro nidi; e le oche se in­fa­sti­di­scono con un con­ti­nuo schia­mazzo, e l’ai­rone tri­ste in mezzo alla sab­bia.»
[…]

«Dai qua­dru­pedi.
(88) E non è strano che gli uc­celli ac­qua­tici, o tutti quanti gli uc­celli, sen­tano i pre­sagi at­mo­sfe­rici: le stesse in­di­ca­zioni dànno le greggi che sal­tel­lano e gio­cano con in­de­co­rosa li­cenza, e così i buoi che an­nu­sano il cielo e si lec­cano con­tro­pelo, ed i lerci ma­iali quando la­ce­rano dei man­nelli di fieno de­sti­nati ad al­tri, e le api che se ne stanno na­sco­ste con una pi­gri­zia con­tra­ria alla loro ope­ro­sità, e le for­mi­che che vanno cor­rendo qua e là o tra­spor­tano le loro uova, e in­fine i vermi della terra che escono dai loro buchi.»

Quindi, ol­tre allo sco­iat­tolo, topi, ra­gni, uc­celli, ricci di terra, buoi, del­fini, ca­la­mari, con­chi­glie, ricci di mare, ra­noc­chi , fo­la­ghe, smer­ghi, ani­tre, gru, ci­vette, corvi, mu­lac­chie, cor­nac­chie, ron­dini, oche, ar­dee, buoi, porci, for­mi­che, lom­bri­chi fanno parte a pieno ti­tolo del “be­stia­rio pre­veg­gente” di Pli­nio.
E ab­biamo scorso solo 2 dei 37 Li­bri di cui si com­pone l’opera pliniana.

Come ognuno può con­sta­tare, allo sco­iat­tolo come “pre­veg­gente” Pli­nio non de­dica più spa­zio o ri­lievo che agli al­tri 27 ani­mali ugual­mente do­tati di “pre­veg­genza” che com­pa­iono qua e là nella sua lunga e spesso con­fusa elencazione.

Ma, nei se­coli suc­ces­sivi, cosa era ri­ma­sto di que­sto ra­pido ac­cenno pli­niano allo scoiattolo?

15.7 / Plinio nel mondo antico.

Pli­nio è uno de­gli scrit­tori la­tini che ebbe buona for­tuna an­che nei se­coli suc­ces­sivi alla morte, sia con la tra­smis­sione del suo te­sto (cosa co­mun­que com­plessa e co­stosa) sia so­prat­tutto at­tra­verso an­to­lo­gie più o meno cen­trate su que­sto o quell’argomento spe­ci­fico sia at­tra­verso cen­toni che in forma ra­pida ne tra­man­das­sero gli ele­menti più im­ma­gi­ni­fici e ri­te­nuti di mag­giore interesse.

Gaio Giu­lio So­lino, scrit­tore ro­mano vis­suto fra la prima metà e la fine del III se­colo d.C. ci ha la­sciato una sua opera — Col­lec­ta­nea re­rum me­mo­ra­bi­lium — che ha avuto una lunga for­tuna per tutto il Me­dio Evo e che ri­chiama ele­menti della Na­tu­ra­lis hi­sto­ria di Pli­nio e delle opere di Pom­po­nio Mela, Sve­to­nio, Varrone.

Della Hi­sto­ria di Pli­nio, So­lino con­densa al­cuni dei temi or­ga­niz­zando i sin­goli fatti se­condo cri­teri di­versi e cer­cando di ac­cor­parli su base geo­gra­fica.
Ri­prende brani so­prat­tutto dal III al XIII li­bro — tra que­sti quindi il Li­bro VIII de­di­cato agli ani­mali di cui ci siamo ap­pena oc­cu­pati — se­guendo il gu­sto di Pli­nio: parla quindi a lungo di ele­fanti, ri­no­ce­ronti, ip­po­po­tami, ca­valli, leoni, orsi.

Par­lando de­gli ani­mali che nella trat­ta­zione di Pli­nio sono vi­cini alla frase su­gli sco­iat­toli, parla di quelli che usano parti del corpo per di­fen­dersi, come le istrici che lan­ce­reb­bero gli acu­lei con­tro l’assalto dei cani ma non se­gue fino in fondo l’associazione di idee di Pli­nio e tace sullo sco­iat­tolo.

So­lino ri­prende il tema dell’urina della lince che si tra­sfor­me­rebbe in am­bra (no­ta­zione fa­vo­li­stica che in Pli­nio pre­cede di po­che ri­ghe la ci­ta­zione dello sco­iat­tolo) ma del no­stro ro­di­tore non dice una pa­rola.

Ri­corda gli egi­ziani per la ca­pa­cità di in­ter­pre­tare i com­por­ta­menti de­gli ani­mali ma an­che in que­sto caso non com­pie nes­sun ponte con il di­scorso dei se­gnali pre­dit­ti­vii lan­ciati da­gli ani­mali e dif­fu­sa­mente elen­cati da Pli­nio e quindi an­che in que­sto caso nulla dice sullo sco­iat­tolo.

Nel suo te­sto di circa 30.000 pa­role si ri­fe­ri­sce in 9 oc­ca­sioni a ca­rat­te­ri­sti­che no­te­voli ri­scon­tra­bili nella coda di ani­mali reali o di fan­ta­sia: lupi, leoni, ret­tili, scim­mie, ip­po­po­tami, fe­nici, ca­ma­leonti, ele­fanti, man­ti­core.
Della coda dello sco­iat­tolo, però, nep­pure una pa­rola.

Pos­siamo ben dire che a di­stanza di tre se­coli dall’opera di Pli­nio, lo sco­iat­tolo e le sue pre­sunte doti di pre­veg­genza erano poco con­si­de­rati o de­gni di menzione.

15.8 / Nella iconografia medievale.

In al­cuni co­dici mi­niati tro­viamo qua e là — tra i tanti ani­mali reali e im­ma­gi­nari — an­che lo sco­iat­tolo ma mai rap­pre­sen­tato nella sua sup­po­sta at­ti­tu­dine predittiva.

Ri­por­tiamo tre esempi a ti­tolo pu­ra­mente in­di­ca­tivo: si tratta di ma­no­scritti del Me­dio Evo o cu­sto­diti in am­bienti re­li­giosi,­­ noti cen­tri di cul­tura (nei quali quindi sa­rebbe stata resa una at­ten­zione par­ti­co­lare a un even­tuale le­game sim­bo­lico tra lo sco­iat­tolo e la pas­sione di Cri­sto) o de­di­cati alla let­tura dei Salmi, quindi con una stretta at­ti­nenza con i temi della re­li­gione cristiana.

15.9 / Bestiario di Aberdeen.

È un ma­no­scritto mi­niato in­glese del XII se­colo: nel qua­dro della Crea­zione de­gli ani­mali di terra (Ge­nesi 1,20-24), lo sco­iat­tolo è rap­pre­sen­tato in­tento a sgra­noc­chiare noci o noc­­ciole, senza al­cuna in­di­ca­zione di at­ti­tu­dini alla pre­veg­genza; è in com­pa­gnia del co­ni­glio che si mo­stra più at­tento ri­spetto al Crea­tore.

15.10 / Salterio di Luttrell.

Com­mis­sio­nato da Sir Geof­frey Lut­trell (Re­gno Unito), scritto e il­lu­strato su per­ga­mena nel 1320-1340.

An­che qui tro­viamo lo sco­iat­tolo: né la sua at­ti­tu­dine né la fi­sio­no­mia della donna cui è as­so­ciato ri­por­tano ad al­cun­ché di pre­dit­tivo; tan­to­meno il te­sto della pa­gina di cui è or­na­mento: si tratta di un brano tratto dai Salmi 16 e 17, senza al­cun ri­fe­ri­mento alla Pas­sione di Cri­sto:

Sa­tu­rati sunt fi­liis, et di­mi­se­runt re­li­quias suas par­vu­lis suis.
Ego au­tem in ju­sti­tia ap­pa­rebo con­spec­tui tuo; sa­tia­bor cum ap­pa­rue­rit glo­ria tua.
Di­li­gam te, Do­mine, for­ti­tudo mea.
Do­mi­nus fir­ma­men­tum meum, et re­fu­gium meum, et li­be­ra­tor meus. Deus meus ad­ju­tor meus, et spe­rabo in eum; pro­tec­tor meus, et cornu sa­lu­tis meae, et su­scep­tor meus.
Lau­dans in­vo­cabo Dominum,

[hanno fi­gliuoli in ab­bon­danza, e la­sciano il re­sto de’ loro averi ai loro fan­ciulli.
Quanto a me, per la mia giu­sti­zia, con­tem­plerò la tua fac­cia, mi sa­zierò, al mio ri­sve­glio, della tua sem­bianza.
L’Eterno è la mia rocca, la mia for­tezza, il mio li­be­ra­tore; il mio Dio, la mia rupe, in cui mi ri­fu­gio, il mio scudo, il mio po­tente sal­va­tore, il mio alto ricett­o.
Io in­vo­cai l’Eterno ch’è de­gno d’ogni lode e fui sal­vato dai miei nemici]

14.10 / Salterio di Luttrell.

Com­mis­sio­nato da Sir Geof­frey Lut­trell (Re­gno Unito), scritto e il­lu­strato su per­ga­mena nel 1320-1340.

An­che qui tro­viamo lo sco­iat­tolo: né la sua at­ti­tu­dine né la fi­sio­no­mia della donna cui è as­so­ciato ri­por­tano ad al­cun­ché di pre­dit­tivo; tan­to­meno il te­sto della pa­gina di cui è or­na­mento: si tratta di un brano tratto dai Salmi 16 e 17, senza al­cun ri­fe­ri­mento alla Pas­sione di Cri­sto:

Sa­tu­rati sunt fi­liis, et di­mi­se­runt re­li­quias suas par­vu­lis suis.
Ego au­tem in ju­sti­tia ap­pa­rebo con­spec­tui tuo; sa­tia­bor cum ap­pa­rue­rit glo­ria tua.
Di­li­gam te, Do­mine, for­ti­tudo mea.
Do­mi­nus fir­ma­men­tum meum, et re­fu­gium meum, et li­be­ra­tor meus. Deus meus ad­ju­tor meus, et spe­rabo in eum; pro­tec­tor meus, et cornu sa­lu­tis meae, et su­scep­tor meus.
Lau­dans in­vo­cabo Dominum,

[hanno fi­gliuoli in ab­bon­danza, e la­sciano il re­sto de’ loro averi ai loro fan­ciulli.
Quanto a me, per la mia giu­sti­zia, con­tem­plerò la tua fac­cia, mi sa­zierò, al mio ri­sve­glio, della tua sem­bianza.
L’Eterno è la mia rocca, la mia for­tezza, il mio li­be­ra­tore; il mio Dio, la mia rupe, in cui mi ri­fu­gio, il mio scudo, il mio po­tente sal­va­tore, il mio alto ricett­o.
Io in­vo­cai l’Eterno ch’è de­gno d’ogni lode e fui sal­vato dai miei nemici]

15.11 / Salterio di Ormesby.

Prende il nome da Ro­bert di Or­me­sby, sot­to­priore del Prio­rato della Cat­te­drale di Nor­wich ne­gli anni 1330 (Re­gno Unito).

Qui lo sco­iat­tolo è in fun­zione espli­ci­ta­mente ero­tica: co­mun­que sem­pre in­tento a sgra­noc­chiare qual­che cosa, in brac­cio alla donna è coe­rente con lo spar­viero te­nuto sul brac­cio dell’uomo il quale avanza in modo molto espli­cito una ri­chie­sta di una unione, più o meno matrimoniale.

Il te­sto della pa­gina è estratto dal Salmo 101 — Pre­ghiera di un af­flitto che è stanco e sfoga di­nanzi a Dio la sua an­go­scia:

«Per­cus­sus sum ut foe­num, et aruit cor meum, quia obli­tus sum co­me­dere pa­nem meum.»
(È stato col­pito il mio cuore e s’è ina­ri­dito come erba; tra­scuro di pren­dere per­fino il cibo.)

Se pro­prio si vuole, è forse pos­si­bile tro­vare un qual­che le­game con il te­sto im­ma­gi­nan­dolo col­le­gato alla ri­chie­sta di scam­bio amo­roso, avan­zata più che espli­ci­ta­mente dall’uomo — ma certo non con un qual­che ca­rat­tere pre­dit­tivo dello sco­iat­tolo o con la Pas­sione di Cri­sto.

15.12 / Ancora nel Medio Evo, con i “fabliaux”.

L’esplicito senso ero­tico dello sco­iat­tolo evo­cato nel Sal­te­rio di Or­me­sby ap­pena ci­tato non è un caso isolato.

Nella let­te­ra­tura fran­cese dei se­coli XIXII, per esem­pio, tro­viamo uno sboc­cato rac­con­tino in prosa roz­za­mente ver­si­fi­cata, ti­to­lato “De l’escureul” (ma­no­scritto 7218), ri­por­tato nel IV Vo­lume dei “Fa­bliaux et con­tes des poè­tes fra­nçois des XI, XII, XIII, XIV et XVe siè­cles”, pub­bli­cato a metà ’700 dal fi­lo­logo Étienne Bar­ba­zan (a lato l’edizione Pa­rigi, 1808) che rac­co­glie 160 composizioni.

I ‘fa­bliaux’ me­dioe­vali, nei se­coli suc­ces­sivi a lungo tra­scu­rati an­che per il loro ca­rat­tere mar­ca­ta­mente po­po­lare, sono al­tret­tanto im­por­tanti delle più ci­tate a scuola ‘chan­sons de ge­ste‘ per com­pren­dere gli aspetti della vita e della men­ta­lità co­muni più dif­fusi nei se­coli del Medioevo.

Ap­par­ten­gono alla cul­tura fran­cese ma non bi­so­gna es­sere spe­cia­li­sti per com­pren­dere l’importanza che lo svi­luppo dei di­versi rami let­te­rari dei cu­gini d’oltralpe ebbe per lo svi­luppo della no­stra lin­gua e del no­stro gu­sto letterario.

I ‘fa­bliaux’ erano com­po­si­zioni, parte in prosa, parte in versi, che ve­ni­vano re­ci­tati da at­tori-mu­si­ci­sti du­rante i mer­cati e le fiere an­nuali, per se­coli unici mo­menti di ag­gre­ga­zione so­ciale in­ter­re­gio­nale nella dif­fu­sione della cul­tura in tutta Eu­ropa (ri­cor­date come il pa­dre di Fran­ce­sco d’Assisi fosse un mer­cante che fre­quen­tava le fiere fran­cesi e vi si ar­ric­chiva tanto da ri­cor­darle an­che dando il nome al figlio).

Na­tu­ral­mente i nar­ra­tori iti­ne­ranti, ve­ni­vano in­gag­giati an­che per ral­le­grare i mo­menti di con­vi­via­lità nei ca­stelli dell’aristocrazia e nei pa­lazzi della bor­ghe­sia facoltosa.

La mo­rale, certo non par­ti­co­lar­mente raf­fi­nata, che sta alla base di que­sti rac­conti re­ci­tati, era espres­sione co­mun­que della bor­ghe­sia na­scente a li­vello eu­ro­peo come ri­flesso della con­cen­tra­zione della po­po­la­zione nelle città.
I per­so­naggi rap­pre­sen­tati sono in­fatti cop­pie di bor­ghesi, do­me­stici, no­bili de­ca­duti, chie­rici di va­rio livello.

Nel rac­conto in rima di cui ci oc­cu­piamo, lungo cin­que pa­gine, il pro­ta­go­ni­sta è uno sco­iat­tolo che pende tra le gambe del gio­vane Ro­bin, molto te­nero nei con­fronti di una bella ra­gazza di buona fa­mi­glia, che se­condo la ma­dre non do­vrebbe as­so­lu­ta­mente mai pro­nun­ciare la pa­rola che in­dica il “palo” che sta tra le gambe dei ma­schi di casa.
La ra­gazza sem­bra non ca­pire bene la questione.

Il gio­vane Ro­bin, di bella pre­senza, anch’egli di buona fa­mi­glia e già esperto del mondo, pro­fitta della in­ge­nuità (o pre­sunta tale) della gio­vane per pre­sen­tarle il suo “sco­iat­tolo”.
La in­vita ad ac­ca­rez­zarlo, e ad ac­co­glierlo in sé per­ché nel suo ven­tre l’animaletto possa tro­vare le noci che lei ha man­giato poco prima, ecc., ecc.
È forse l’unico dei fa­bliaux ri­por­tati da Bar­ba­zan nei quali l’atto ses­suale viene de­scritto in det­ta­glio e si con­clude con l’invito ca­lo­roso della gio­vane a Ro­bin per­ché lo sco­iat­tolo torni pre­sto a cer­care in lei le noci che gli piac­ciono tanto.

A dire il vero, per i no­stri gu­sti la com­po­si­zione non è un gran­ché ed è co­mun­que molto lon­tana dalla raf­fi­na­tezza di un Boccaccio.

È però da con­si­de­rare che quel ri­chiamo de­ci­sa­mente po­po­lare allo sco­iat­tolo / mem­bro ma­schile do­veva es­sere certo dif­fuso nella co­scienza generale.

Molto più di quanto non fosse quello di una “pre­veg­genza” del pic­colo ro­di­tore, ci pare as­so­lu­ta­mente as­sente nei se­coli pre­ce­denti il Rinascimento.

15.13 / Nella trasmissione dell’opera di Plinio.

Na­tu­ral­mente po­tete tro­vare il ri­fe­ri­mento allo sco­iat­tolo nei ma­no­scritti che hanno pre­sen­tato, com­men­tato ed emen­dato il te­sto di Pli­nio al ter­mine del Me­dio Evo.

Per chi vo­glia usare la pro­pria te­sta, è gra­tui­ta­mente a di­spo­si­zione di tutti — an­che dei pro­fes­sori cri­tici d’arte — un uti­lis­simo sito Web a cura del MIUR con molto ma­te­riale di prima mano sull’opera di Pli­nio — Ol­tre Pli­nio.

Gra­zie a que­sto spa­zio ab­biamo po­tuto ab­ba­stanza ve­lo­ce­mente con­sta­tare che la no­stra ipo­tesi se­condo cui l’idea di Gen­tili di una tra­di­zione con­so­li­data dello sco­iat­tolo come pre­veg­gente (gra­zie all’autorità go­duta nei se­coli da Pli­nio), è una sem­plice sug­ge­stione / in­ven­zione senza al­cuna base do­cu­men­tale: pos­siamo de­fi­nirla una chiac­chiera da bar uni­ver­si­ta­rio ma nulla più.

In realtà, tra il Tre­cento e il Quat­tro­cento l’autorità di Pli­nio in campo ar­ti­stico fu ri­le­vante e la sua opera venne spesso presa come punto di riferimento.

Ciò ri­guardò però quelle parti dell’opera de­di­cate dallo scrit­tore co­mense alla sto­ria della pit­tura o alle tec­ni­che pit­to­ri­che.
Per esem­pio si oc­cupò del te­sto di Pli­nio — e con molta in­ten­sità — Pe­trarca.

Il poeta ac­qui­stò in­fatti un ma­no­scritto (oggi con­ser­vato a Pa­rigi presso la Bi­blio­thè­que Na­tio­nale, “Caii Pli­nii Se­cundi hi­sto­riae na­tu­ra­lis li­bri tri­ginta sep­tem, ms. Pa­ris. Lat. 6802”) sul quale ap­puntò una se­rie di passi.
Il te­sto ac­qui­stato da Pe­trarca (lo pre­stò an­che a Boc­cac­cio) non era un gran­ché e lo stesso poeta si la­mentò della bassa qua­lità della tra­scri­zione e dei tanto evi­denti errori.

Co­mun­que il poeta si sforzò di com­pren­dere con pre­ci­sione al­cune parti dell’opera di Pli­nio, in par­ti­co­lare dei li­bri XXXV-XXXVI, de­di­cati alla trat­ta­zione dei co­lori mi­ne­rali e del marmo nei quali Pli­nio ri­porta ele­menti ri­guar­danti la sto­ria della pit­tura e tocca ele­menti di un certo in­te­resse per la teo­ria dei co­lori, delle luci e delle om­bre, della re­la­zione tra pit­tura, scul­tura, ar­chi­tet­tura ecc.

Que­sto ma­te­riale servì a Pe­trarca per la ste­sura del suo “De re­me­diis utriu­sque for­tu­nae”, nel quale de­dica un certo spa­zio ai pro­blemi della pro­du­zione artistica.

È quasi inu­tile dire che della ci­ta­zione in tre pa­role di Pli­nio circa la “pre­veg­genza” dello sco­iat­tolo, o circa lo sco­iat­tolo in ge­ne­rale, in tutta la pro­du­zione di Pe­trarca non tro­viamo nes­su­nis­sima traccia.

15.14 / Traduzioni dell’opera di Plinio in volgare.

Con la ra­pida af­fer­ma­zione della stampa ti­po­gra­fica (quindi nella se­conda parte del Quat­tro­cento) po­te­rono es­sere dif­fuse le prime tra­du­zioni in lin­gua ita­liana dell’opera di Plinio.

Lan­dino: tra­du­zione fe­dele, nes­suna en­fasi sullo scoiattolo.

Caio Pli­nio Se­condo «De la hi­sto­ria na­tu­rale: dal la­tino ne la vol­gar lin­gua per il dot­tis­simo huomo mes­sere Chri­sto­foro Lan­dino fio­ren­tino tra­dotta: Nuo­va­mente con gran­dis­sima di­li­genza cor­retto: e da in­fi­niti er­rori pur­gato. Ag­giun­tovi an­chora di nuovo le sue fi­gure a tutti i li­bri convenienti.»

La tra­du­zione di Cri­sto­foro Lan­dino è im­por­tante per la sua qua­lità ed ebbe una larga dif­fu­sione con nu­me­rose ri­stampe dopo la prima del 1476, uscita a Ve­ne­zia; teo­ri­ca­mente quindi po­te­rono con­sul­tarla con una certa fa­ci­lità sia lo stesso Lotto sia i suoi nu­me­rosi committenti.

Ac­com­pa­gnano il te­sto di Lan­dino, il­lu­stra­zioni po­ste a ini­zio dei 37 li­bri.
Qui pro­po­niamo sia il fron­te­spi­zio della tra­du­zione di Lan­dino sia l’inizio del Li­bro VIII, de­di­cato agli ani­mali terrestri.

Come il let­tore può ve­ri­fi­care, nell’incisione sono rap­pre­sen­tati al­cuni ani­mali eso­tici da ri­cor­dare per sva­riati mo­tivi (leone, cam­mello, ele­fante (evi­den­zian­done l’uso della pro­bo­scide come doc­cia) ma non lo sco­iat­tolo, evi­den­te­mente non con­si­de­rato da Lan­dino come par­ti­co­lar­mente si­gni­fi­ca­tivo per un qual­che evi­dente mo­tivo.

Ecco co­mun­que il te­sto nella tra­du­zione di Lan­dino per la parte di no­stro interesse:

Dall’Indice:
«Leon­to­fano: Lynce, mar­tora, Sco­iat­toli, lib. 8 cap. 38. car. 54»

Dal te­sto:
«Sciuri da noi chia­mati Sco­iat­toli pre­ve­gono e venti e sem­pre tu­rano quella parte del co­vile donde el vento ha a trare e aprano la parte op­po­sita: hanno la coda molto vel­luta e usonla in luogo di co­pri­tura.»

Come si vede, Lan­dino ha tra­dotto op­por­tu­na­mente “tem­pe­stas” con “vento” e ha in­di­cato con buona pre­ci­sione le mo­di­fi­che al nido ap­por­tate dallo sco­iat­tolo ap­pena si rende conto che sta ar­ri­vando una per­tur­ba­zione; ri­cor­dato an­che l’uso della coda: nes­suna en­fasi sulla “pre­veg­genza” dell’animaletto.

15.15 / Le mende di Ermolao Barbaro.

Si po­trebbe an­che pen­sare che, se non nelle tra­du­zioni al­meno nei com­menti all’opera di Pli­nio, in epoca ri­na­sci­men­tale vi sia stato un fio­rire di os­ser­va­zioni sul ruolo dello “sco­iat­tolo pre­veg­gente”, come in­di­cato dal na­tu­ra­li­sta comense.

Ab­biamo quindi cer­cato an­che in quella di­re­zione e na­tu­ral­mente ci siamo im­bat­tuti in un com­mento fi­lo­lo­gico a Pli­nio che ebbe alla fine del ’400 (quindi vi­cino al 1522, quando Lotto mise in scena lo sco­iat­tolo nel Co­sta-Mez­zate), una gran­dis­sima dif­fu­sione e influenza.

Si tratta delle “Ca­sti­ga­tio­nes Pli­nianæ” scritte da Er­mo­lao Bar­baro il Gio­vane (1454 – 1493) nella quale l’umanista compì un no­te­vole sforzo per emen­dare il te­sto di Pli­nio da­gli er­rori a suo dire in­se­riti dalle ge­ne­ra­zioni di co­pi­sti che nei se­coli ne ave­vano tra­man­dato l’opera.

L’impegnativo la­voro di Er­mo­lao (morì pre­ma­tu­ra­mente di pe­ste a Roma im­me­dia­ta­mente dopo la pub­bli­ca­zione dell’opera) si in­se­riva nel di­bat­tito nato dalle cri­ti­che con­dotte al te­sto di Pli­nio da parte delle cor­renti più in­no­va­tive della sem­pre più af­fer­man­tesi ten­denza scien­ti­fica: molti cul­tori delle scienze me­di­che met­te­vano, per esem­pio, in luce i pa­lesi er­rori ri­scon­tra­bili nell’opera di Pli­nio nel campo di loro interesse.

Er­mo­lao, con le sue mende, in­ten­deva ri­bat­tere alle cri­ti­che mosse a Pli­nio in­di­cando come molti de­gli er­rori im­pu­tati a Pli­nio fos­sero do­vuti a cat­tive let­ture e tra­scri­zioni da parte dei co­pi­sti.
Si tratta quindi di un let­tore molto at­tento a Pli­nio e in­te­res­sato alla sua difesa.

Nelle ol­tre 300 pa­gine del suo te­sto tro­viamo a p. 202 (Ba­si­lea, 1534) un ri­fe­ri­mento an­che al bre­vis­simo passo pli­niano ri­guar­date lo scoiattolo.

Ri­cor­date il te­sto la­tino che ab­biamo già ri­por­tato?
Dopo il ri­fe­ri­mento alla sen­si­bi­lità dello sco­iat­tolo ri­spetto ai tem­po­rali, Pli­nio ri­corda l’attitudine del ro­di­tore a usare una parte del suo corpo per di­fen­dersi: «De ce­tero ip­sis vil­lo­sior cauda pro te­gu­mento est.».
Er­mo­lao ri­tiene che quel “De ce­tero ip­sis” debba in­vece leg­gersi come “De­tec­tis ipsi”, nel senso che (que­ste le pa­role di Er­mo­lao) “Quo­ti­dies sub dio­­ sunt, at­que non sub tecto, cauda ip­sis pro tecto est, at­que um­bra” [ndr: « quando si tro­vano all’aperto e non al co­perto, si ri­pa­rano con la pro­pria coda”].

Er­mo­lao quindi si oc­cupa delle abi­tu­dini eto­lo­gi­che dello sco­iat­tolo, senza fare al­cuna men­zione delle sue pre­sunte ca­rat­te­ri­sti­che predittive.

15.16 / Ancora su Ermolao Barbaro ma con Poliziano, la bella con il suo vivace “scoiattolo”, la vecchia.

Si di­ceva so­pra come nei “Fa­bliaux” del Me­dio Evo fran­cese lo sco­iat­tolo fosse go­liar­di­ca­mente in­teso come sim­bolo del pene.
Non sap­piamo fran­ca­mente quanto fos­sero dif­fuse que­ste com­po­si­zioni sem­pre scan­zo­nate e spesso a dop­pio senso.

Sap­piamo in­vece che era molto co­no­sciuta in Ita­lia — e pro­prio ne­gli anni in cui ope­rava Lotto — una com­po­si­zione del poeta Po­li­ziano nella quale allo sco­iat­tolo ve­niva as­se­gnata la stessa funzione.

Se ne po­trebbe fare a meno tanto è co­no­sciuto Po­li­ziano ma non è mai male rin­fre­scarsi la me­mo­ria (è la fi­gura alla de­stra di chi guarda nel noto af­fre­sco del Ghir­lan­daio, as­sieme a Ta­dino, il co­no­sciu­tis­simo tra­dut­tore di Pli­nio che ab­biamo poco so­pra citato).

Po­li­ziano, let­te­rato e fi­lo­logo, fu uno dei più im­por­tanti in­tel­let­tuali della se­conda metà del ’400: pre­cet­tore della fa­mi­glia dei Me­dici, se­gre­ta­rio per­so­nale del Ma­gni­fico e pro­fes­sore presso lo Stu­dio Fio­ren­tino, è con­si­de­rato il più bril­lante poeta del suo tempo, no­no­stante la bre­vità della vita (morì nel 1494 per una im­prov­visa feb­bre — chi dice av­ve­le­nato — a soli 40 anni, nel corso della crisi della fa­mi­glia Me­dici poco dopo la morte del Magnifico).

Si di­stinse come grande co­no­sci­tore della cul­tura clas­sica la­tina e greca e si im­pe­gnò (in tan­dem con Er­mo­lao Bar­baro di cui ab­biamo ap­pena detto qui so­pra), in una di­fesa molto vi­vace dell’opera di Pli­nio, at­tac­cato dalle nuove ten­denze scien­ti­ste.
Si de­dicò an­che (im­ma­gi­niamo per di­porto) alla ste­sura di com­po­si­zioni di ta­glio de­ci­sa­mente pornografico.

Ab­biamo di Po­li­ziano un’ode in qua­ter­nari giam­bici nota come “In puel­lam suam”.

È una com­po­si­zione amo­rosa, con sco­perti doppi sensi ero­tici, che ebbe al­lora una gran­dis­sima dif­fu­sione e man­tiene tut­tora, a di­stanza di mezzo mil­len­nio, un po­sto di primo piano nella me­mo­ria della cul­tura pa­gana rinascimentale.

Pro­prio ai primi versi dell’ode, Po­li­ziano cita lo sco­iat­tolo (sciu­rus), ma con tutt’altro si­gni­fi­cato che l’essere pre­veg­gente:
“Puella qua la­sci­vior | Nec vir­gi­nis blande sinu | Sciu­rus usque lu­si­tans”
(non è più spen­sie­rato / la­scivo uno sco­iat­tolo che si ro­tola nel grembo di una gio­vane donna).

Ne diamo i primi 10 versi:

In puel­lam suam
Puella de­li­ca­tior
Le­pu­scolo et cu­ni­colo,
Coa­que tela mol­lior
An­ser­cu­li­que plu­mula;
Puella qua la­sci­vior
Nec ver­nus est pas­ser­cu­lus,
Nec vir­gi­nis blande sinu
Sciu­rus usque lu­si­tans;
Puella longe dul­cior
Quam mel sit Hy­blae aut saccarum.

Co­mun­que vo­gliate tra­durre, sono più che evi­denti gli sco­perti ri­mandi al sesso, con­sen­titi dalla fre­quente mol­te­pli­cità di si­gni­fi­cato nella lin­gua la­tina: an­che per Po­li­ziano lo sco­iat­tolo rap­pre­senta espli­ci­ta­mente il mem­bro ma­schile:

Fan­ciulla [amante] più gra­ziosa [li­bi­di­nosa]
di un le­prot­tino [sim­bolo di Ve­nere] e di un co­ni­glietto [pop., vulva]
più mor­bida di un tes­suto di Coo [velo tra­spa­ren­tis­simo in voga tra le cor­ti­giane]
e delle piume di un ana­troc­colo [sim­bolo ero­tico];
fan­ciulla di cui più spen­sie­rato [la­scivo]
non è nem­meno un pas­se­rotto [pop., pene] in pri­ma­vera,
né uno sco­iat­tolo [idem] che si ro­tola nel grembo [incavo/sesso] di una ra­gazza;
fan­ciulla molto più dolce
di quanto possa es­serlo il miele ibleo o lo zucchero.

Po­li­ziano com­pose que­sta ode con espli­citi in­tenti ero­tico-go­liar­dici, ap­pena ca­muf­fati sotto il tono ele­gante del suo ri­cer­cato latino.

Im­me­dia­ta­mente a fianco di que­sta ode de­di­cata alla sua vi­vace gio­vane amante (Puella), Po­li­ziano ne com­pose un’altra, in­ti­to­lata in­vece al suo op­po­sto, una vec­chia (Anus) che Po­li­ziano di­pinge con i peg­giori co­lori dello scherno: una com­po­si­zione a due corni, quindi, non pro­prio ap­prez­za­bile per il no­stro gu­sto attuale.

Nelle en­ci­clo­pe­die si tende a non pre­sen­tare que­sta se­conda parte de­di­cata alla vec­chia brutta e spre­ge­vole, forse per non dare spago alle ten­denze go­liar­di­che de­gli stu­denti di ogni luogo che ne trar­reb­bero certo spunto per epi­grammi non cor­tesi ri­volti alle pro­fes­so­resse già in là con gli anni.

Ma gra­zie a Sil­via Rizzo (“Po­li­ziano, Puella e Anus”, Ita­lia Me­dioe­vale e Uma­ni­stica, vol. LVII, 2016) sap­piamo che al tempo di Po­li­ziano que­sta se­conda com­po­si­zione an­dava ne­ces­sa­ria­mente as­sieme all’altra de­di­cata alla bella e la­sciva gio­vane amante — ed era molto ap­prez­zata an­che da­gli intellettualoni:

«La Hill Cot­ton ha se­gna­lato una let­tera ad Er­mo­lao Bar­baro, al­lora am­ba­scia­tore ve­ne­ziano a Mi­lano, del nun­zio pon­tifi­cio Ia­copo Ghe­rardi da Prato, scritta da Mi­lano il 13 gen­naio 1489, in cui i due carmi sono men­zio­nati in­sieme in un po­scritto scherzoso:

Vale. Po­li­tiani quo­que puel­lam, si pla­cet, re­mitte; anum, si ma­vis, re­tine, vel Ga­lea­zio fo­ven­dam con­cede; sed hec io­cor.”
[“Ti sa­luto. Ri­man­dami an­che, per fa­vore, la fan­ciulla di Po­li­ziano; la vec­chia, se pre­fe­ri­sci, tien­tela, op­pure dalla da ri­scal­dare a Ga­leazzo; ma scherzo”.]»

[Ndr: “Ga­leazzo” era Gian Ga­leazzo Sforza di Mi­lano, noto per gli smo­dati ap­pe­titi carnali].

15.17 / Riassumendo: Gentili ci ha raccontato solo una bella favola!
Sullo scoiattolo come preveggente, nella cultura rinascimentale i riferimenti, pliniani e non, stanno infatti a ZERO.

Dalla do­cu­men­ta­zione che ab­biamo po­tuto tro­vare con una ri­cerca ne­ces­sa­ria­mente non de­fi­ni­tiva ma co­mun­que al­meno in­di­ca­tiva del dato di realtà, pos­siamo as­se­rire che, sulla scia della tra­di­zione me­die­vale, nella cul­tura dif­fusa ri­na­sci­men­tale “sco­iat­tolo” rap­pre­sen­tava l’organo ses­suale ma­schile, senza al­cun ri­fe­ri­mento a una sua pre­sunta ca­pa­cità di preveggenza.

È però certo pos­si­bile che Gen­tili e i suoi so­dali Va­la­gussa e Maz­zotta ab­biano pac­chi di ri­fe­ri­menti fa­vo­re­voli alla loro co­mune tesi dello sco­iat­tolo pre­veg­gente come sim­bolo con­so­li­dato nella cul­tura ri­na­sci­men­tale: sa­remo più che di­spo­ni­bili a pren­derne atto e a farne la op­por­tuna pub­bli­cità pro­prio da que­sto no­stro sito.

Documenti però, non chiacchiere, per favore!

16. Conclusioni.

Nelle prime ri­ghe di que­sta no­stra Nota ab­biamo se­gna­lato che, ap­pena in­for­mati del pro­getto “Ca­po­la­voro per Lecco 2020” pro­po­sto dalla Cu­ria di Lecco e in­cen­trato sul di­pinto Co­sta-Mez­zate di Lo­renzo Lotto, ci era­vamo ri­pro­po­sti in prima istanza di ve­ri­fi­carne la qua­lità critico-culturale.

Ana­liz­zando l’iniziativa con la do­vuta at­ten­zione, ci siamo resi conto della sua estrema de­bo­lezza sotto di­versi punti di vi­sta che ab­biamo espo­sto con do­vi­zia di par­ti­co­lari e do­cu­menti nel corso della Nota e di cui qui ri­chia­miamo al­cuni ele­menti generali.

16.1 / Debolezza strutturale dell’iniziativa, orientata tutta su una unica interpretazione.

In primo luogo gli or­ga­niz­za­tori, con Va­la­gussa e Maz­zotta (i due cu­ra­tori ar­ti­stici della mo­stra) hanno in­cre­di­bil­mente ta­ciuto su quanto ne­gli ul­timi 130 anni si è detto sul di­pinto di Lotto, dan­done da parte loro una in­ter­pre­ta­zione esclu­si­va­mente re­li­giosa, certo fun­zio­nale alla mis­sione della Cu­ria (il pro­mo­tore dell’iniziativa e an­che il suo ga­rante eco­no­mico-or­ga­niz­za­tivo) ma zoppa per quanto at­tiene alla realtà sto­rica che ha vi­sto in­ter­pre­ta­zioni di tutt’altro genere.

Per la se­rie di di­pinti di Lotto cui ap­par­tiene an­che il Co­sta-Mez­zate in que­sti mesi espo­sto a Lecco, fior di in­tel­let­tuali dell’Ottocento come Pa­sino Lo­ca­telli, Ber­n­hard Be­ren­son, Gu­stavo Friz­zoni hanno evi­den­ziato come sotto la forma di ri­chiami re­li­giosi, fosse rin­ve­ni­bile un lato tutto mon­dano, scri­vendo di “ele­ganza”, “fa­scino” e giun­gendo a de­fi­nire “bi­ri­chini” gli sguardi di Ma­donne e Sante.
Per­ché non si è detta nep­pure UNA pa­rola su que­ste di­verse vi­sioni dell’opera di Lotto?

Le mo­stre pub­bli­che che go­dono an­che del pa­tro­ci­nio e dell’appoggio eco­no­mico delle Isti­tu­zioni ci­vili DEVONO es­sere aperte alla plu­ra­lità delle in­ter­pre­ta­zioni; al­tri­menti è op­por­tuno che si svol­gano nelle sedi re­li­giose o po­li­ti­che di chi le pro­muove, dove pos­sono ov­via­mente es­sere pre­sen­tate come si vuole.

Se la mo­stra di un di­pinto, qua­lun­que esso sia, si svolge al Pa­lazzo delle Paure di Lecco, sede espo­si­tiva uf­fi­ciale del Co­mune, è pro­fon­da­mente di­se­du­ca­tivo e con­tro ogni cri­te­rio che si can­celli un pezzo di sto­ria che ri­guarda quel di­pinto solo per­ché even­tual­mente non fun­zio­nale agli obiet­tivi ideo­lo­gici del proponente.

16.2 / Fasullo il riferimento a Berenson.

Il se­condo aspetto che è emerso dall’analisi del di­pinto è che uno dei suoi più im­por­tanti ri­fe­ri­menti bi­blio­gra­fici è as­so­lu­ta­mente fa­sullo — il ter­mine ap­par­tiene al lin­guag­gio po­po­lare ma esprime bene la so­stanza del problema.

Gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra e i suoi due cu­ra­tori ar­ti­stici hanno in­di­cato in Be­ren­son 1895 la prima pub­bli­ca­zione del di­pinto, quando in­vece Be­ren­son nella sua mo­no­gra­fia lot­te­sca de­scrisse di evi­denza un ALTRO dipinto.

Nella Prima Parte della Nota ab­biamo dato am­pia il­lu­stra­zione di que­sta no­stra tesi, ri­te­niamo tanto ine­dita quanto so­lida nelle ar­go­men­ta­zioni e nelle conclusioni.

Ne ri­sulta gra­ve­mente com­pro­messa non tanto la cre­di­bi­lità dell’autografia del di­pinto da parte di Lotto (a que­sto aspetto po­trà forse es­sere data ri­spo­sta se­ria solo quando po­tremo di­sporre delle op­por­tune ana­lisi stru­men­tali e della reale sto­ria pro­prie­ta­ria del di­pinto) quanto l’impalcatura cri­tica della mo­stra.

Con quale fac­cia or­ga­niz­za­tori e cu­ra­tori pos­sono par­lare di un “ca­po­la­voro per Lecco” quando del di­pinto in que­stione non sanno dire al­tro che va­ghi e omis­sivi “si dice”, “forse”, “pro­ba­bil­mente”, pre­fe­rendo ta­cere an­che sulla sua proprietà?

Noi ab­biamo po­sto aper­ta­mente e in modo do­cu­men­tato un pro­blema di ana­lisi cri­tica su un pi­la­stro bi­blio­gra­fico del di­pinto: i suoi pro­prie­tari, gli or­ga­niz­za­tori, i due cu­ra­tori ar­ti­stici della mo­stra sono in grado di ri­spon­dere in modo al­tret­tanto do­cu­men­tato di­mo­strando una even­tuale in­con­si­stenza della no­stra analisi?

Se sì! ci im­pe­gnamo a darne am­pio ri­salto su que­sto no­stro sito e a fare pub­blica ammenda.

Se no! essi de­vono pren­derne atto e ri­co­no­scere pub­bli­ca­mente — per ri­spetto del pub­blico, si in­tende — che sotto que­sto pro­filo si im­pone quanto meno una pro­fonda riflessione.

16.3 / Inesistenti i presupposti storico-documentali della stessa interpretazione religiosa.

La in­ter­pre­ta­zione re­li­giosa del di­pinto di Lotto espo­sto a Lecco è re­la­ti­va­mente recente.

Nella se­conda parte dell’Ottocento (lo ab­biamo già ri­cor­dato) era pre­do­mi­nante una va­lu­ta­zione as­so­lu­ta­mente pro­fana, ba­sata sul fa­sto dell’abbigliamento delle Ma­donne e delle Sante pro­po­ste da Lotto in quel pe­riodo (1521-23) e sul loro at­teg­gia­mento, certo non chias­soso ma evi­den­te­mente tutto mondano.

Nei de­cenni suc­ces­sivi il­lu­stri cri­tici (Ven­turi, Banti, Bo­schetto, Zam­petti) pre­fe­ri­rono non pro­nun­ciarsi sui con­te­nuti e man­te­nere il si­len­zio su fa­sto sun­tua­rio ed espres­sioni di fa­scino fem­mi­nile, li­mi­tan­dosi a os­ser­va­zioni più o meno ano­dine sullo “stile” di Lotto.

Solo a par­tire dal con­tri­buto di Gof­fen nel 1978 su una delle ver­sioni del Co­sta-Mez­zate (Bo­ston) si im­boccò la strada della va­lu­ta­zione del di­pinto di Lotto in chiave tutta religiosa.

Da al­lora, schiere di cri­tici si mi­sero sulla scia trac­ciata da Gof­fen e pen­sa­rono, dis­sero, scris­sero che nei tre di­pinti di Lotto (di cui fa parte il Co­sta-Mez­zate) è rap­pre­sen­tata la Pas­sione del Cri­sto; lo te­sti­mo­nie­reb­bero una messe di sim­boli: i Santi (Gi­ro­lamo, Ni­cola da To­len­tino, Gio­vanni Bat­ti­sta, Ca­te­rina d’Alessandria) ma an­che l’altare, la bara, il cu­scino fu­ne­bre e, nel Co­sta-Mez­zate, lo sco­iat­tolo; so­pra tutto e tutti la paura ma­ni­fe­sta del Bambino.

I rap­pre­sen­tanti più noti di que­sta vul­gata sono stati Lucco, Gen­tili e Fra­cassi.
Tra que­sti si è im­po­sto per fa­con­dia Gen­tili che ha scom­messo tutto sullo sco­iat­tolo e sul suo sup­po­sto ruolo di pre­dit­tore di tra­ge­die, da lui detto so­li­da­mente pian­tato nell’immaginario col­let­tivo ri­na­sci­men­tale dal la­scito cul­tu­rale del comense/romano Pli­nio il Vecchio.

I due cu­ra­tori ar­ti­stici della mo­stra, Va­la­gussa e Maz­zotta, pur man­te­nendo un pro­filo basso (e giun­gendo a non no­mi­narli mai), hanno im­boc­cato la strada trac­ciata da Gof­fen e Gen­tili ma sce­gliendo fìor da fiore: del la­scito di Gof­fen hanno ta­ciuto su al­tare e cu­scino te­nendo per buona solo la bara; di Gen­tili si sono te­nuti stretti lo sco­iat­tolo, il suo mil­lan­tato po­sto nella cul­tura ri­na­sci­men­tale, il Bat­ti­sta (quest’ultimo, di­ciamo noi, è l’unica fi­gura del di­pinto a po­tere es­sere con­si­de­rato un sim­bolo univoco).

Per l’atteggiamento del Bam­bino Va­la­gussa e Maz­zotta hanno pre­fe­rito ade­rire alla ver­sione tra­gica, ab­ban­do­nando Gof­fen e se­guendo Gen­tili.
Per Gof­fen il Bam­bino era in­fatti se­re­na­mente pronto al sa­cri­fi­cio; sulla scia del mai no­mi­nato Gen­tili, per essi in­vece il Bimbo è im­pau­rito dallo sco­iat­tolo; si ri­trae; si ri­fu­gia nelle brac­cia della Ma­dre pre­sen­tendo il tra­gico suo de­stino e col pie­dino preme sulla bara che lo accoglierà.

Una com­mo­vente narrazione!

Pec­cato che nes­suno dei sim­boli ri­chia­mati da Gof­fen e da Gen­tili regga a un mi­nimo di ana­lisi storica.

Ne ab­biamo nella Parte Se­conda della Nota dato un am­pio sag­gio che ri­te­niamo suf­fi­cien­te­mente esau­stivo e di cui è inu­tile qui ri­pren­dere gli argomenti.

Ri­cor­diamo solo la gher­mi­nella di Gen­tili sulla pre­senza dello sco­iat­tolo “pre­dit­tore” nella cul­tura ri­na­sci­men­tale come por­tato del la­scito pli­niano: è una fa­vola go­di­bile ma senza il mi­nimo fon­da­mento do­cu­men­tale.

Nel Me­dio Evo e nel Ri­na­sci­mento ita­liano ed eu­ro­peo lo sco­iat­tolo è una­ni­me­mente ri­chia­mato come sim­bolo scher­zoso e po­po­lare del mem­bro ma­schile, senza che sia rin­ve­ni­bile UN SOLO ri­chiamo alla sua pre­sunta ca­pa­cità pre­dit­tiva: an­che in que­sto caso ab­biamo so­ste­nuto la no­stra tesi con do­cu­menti fa­cil­mente ve­ri­fi­ca­bili da chiunque.

An­che in que­sto caso, se gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra e i due suoi cu­ra­tori ar­ti­stici sono in grado di mo­strare una no­stra fal­la­cia e igno­ranza, ben ven­gano i loro chia­ri­menti: fa­remo loro fe­sta, dan­done am­pia pub­bli­cità.

Attendiamo fiduciosi!

Caro let­tore, gra­zie per la pa­zienza e alla prossima.