Osservazioni critiche sull’adeguatezza didattica del docu-film «Alessandro Manzoni, milanese d’Europa – L’immagine della parola». Un film di Pino Farinotti. Regia di Andrea Bellati. Scritto da Angelo Stella e Pino Farinotti. Prodotto dal Centro Nazionale Studi Manzoniani, con il contributo di Fondazione Cariplo.
Parlato del docu-film – I numeri tra [parentesi] si riferiscono ai fotogrammi a lato riportati.
Farinotti: «La storia racconta che gli occhi del Generale e quelli dello studente si incrociassero per un momento. Quegli occhi che ne «Il Cinque Maggio» lo scrittore avrebbe definito “i rai fulminei”.
Nostre osservazioni – Cominciamo col rilevare che Farinotti (noto per il suo “Dizionario di tutti i film”) si è qui sbagliato e proprio nel suo settore. Mentre Farinotti pronuncia queste frasi sui “rai fulminei”, scorrono immagini da un film parlato [1] e da un film muto [2]. Per quest’ultimo si tratta di “Napoléon“ di Abel Gance.
Per il primo [1] la didascalia in sovrimpressione ci informa che si tratta di “Ninotchka di Ernst Lubitch, 1939”. Ma non è così.
Queste immagini sono infatti del film “Conquest” (noto anche come “Maria Walewska”), di Clarence Brown e Gustav Machatýha, 1937, con protagonisti Charles Boyer (Napoleone) e Greta Garbo nella parte della nobildonna polacca, forse innamorata di Napoleone.
La quale Greta Garbo era protagonista (con Melvyn Douglas) anche del film “Ninotchka”, che però non c’entra nulla (è un film di spionaggio ambientato nella Parigi degli Anni ’30 del 1900).
E a fine docu-film, nei titoli di coda, si ripete il medesimo errore.
Per quanto riguarda i “rai fulminei”, e quanto la “storia” avrebbe certificato sull’episodio del teatro, ricordiamo che questo aneddoto è stato riportato per la prima volta dall’Abate Stoppani nel suo «I Primi anni di Alessandro Manzoni», edito nel 1873.
A scanso di equivoci, ricordiamo che Stoppani precisava essere “i rai fulminei” rivolti non al quindicenne Manzoni ma a una signora che gli era seduta a fianco nel palco dei Somaglia al Teatro alla Scala il 4 giugno 1800. Si trattava della veneta contessa Massimiliana Cicognara, assolutamente ostile (e non sottovoce) a Napoleone per il trattato di Campoformio. Facendo gli occhiacci alla contessa, anche a teatro il Generale ci teneva a fare capire che sapeva benissimo della fronda anti-francese di cui la Cicognara era esponente di spicco.
Il generalissimo non gradiva i critici e lo ricordò ai coniugi Cicognara alla prima occasione. Due anni dopo, come è ricordato da De Gubernatis che cita Giovanni Rosini («A. Manzoni. Studio biografico», 1879, pag. 212):
«Col cuore sempre vòlto a compiangere la caduta e il destino della veneta Repubblica, sua cara patria, ella [la Cicognara, nel 1802] fece gran plauso a certi versi del poeta Ceroni Mantovano, che trattavano quell’argomento [dispotismo di Napoleone] e che furon letti, per quanto mi venne riferito, tra un gran numero di convitati, a pranzo da lei.
Per l’arditezza dei sentimenti levaron grido, e mentre alcuni se ne ripetevano imparati a memoria, pochi giorni appresso comparvero stampati colla intitolazione: Versi di Timone Cimbro a Cicognara.
Colui che comandava in Milano le armi francesi, partir fece un giandarme, che, cambiatosi di brigata in brigata, recò velocissimamente i Versi a Napoleone, il quale colla stessa sollecitudine ordinò la destituzione del Cicognara, e la sua cacciata da Milano.»
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