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Mi­lano, ve­nerdì 28 gen­naio 2022.

Riceviamo e pubblichiamo.

A ri­scon­tro della no­stra Nota «Ma­no­scritto Lecco 170 / Fi­lo­lo­gia man­zo­niana allo sbando?», il Prof. An­gelo Stella, Pre­si­dente del Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani, ha vo­luto cor­te­se­mente tra­smet­terci il suo orien­ta­mento sulle que­stioni da noi sollevate.

«La ringrazio delle sue osservazioni. Credo che studiose e studiosi le prenderanno in considerazione, e che si potrà arrivare, su aspetti ancora giustamente dibattuti, a conclusioni serenamente condivise. 

Con i migliori auguri, Angelo Stella».

Lettera aperta alla Ministra dell’Istruzione Senatrice Valeria Fedeli circa la adeguatezza didattica del docu-film «Alessandro Manzoni, milanese d’Europa» — 21 settembre 2017.

Osservazioni critiche sul docu-film di Pino Farinotti per la regia di Andrea Bellati. Scritto dal Professor Angelo Stella e Pino Farinotti. Prodotto dal Centro Nazionale Studi Manzoniani, con il contributo di Fondazione Cariplo.

20. Di chi fu figlio Alessandro Manzoni?

A ri­prova dell’attribuzione della pa­ter­nità bio­lo­gica a Gio­vanni Verri si porta un “si sa­peva” e un qua­dro, forse re­ga­la­to­gli da Giu­lia Bec­ca­ria.
Che però po­trebbe non es­sere quello che co­no­sciamo, con­ser­vato presso la Villa di Brusuglio.

Par­lato del docu-film – I nu­meri tra [pa­ren­tesi] si ri­fe­ri­scono ai fo­to­grammi so­pra riportati.

Jone Riva: [1] «La dif­fe­renza di età e di no­biltà tra Giu­lia Bec­ca­ria e Pie­tro Man­zoni fu­rono la causa del fal­li­mento del loro ma­tri­mo­nio. Dalla re­la­zione tra Giu­lia e Gio­vanni Verri nac­que Ales­san­dro, che venne ri­co­no­sciuto le­gal­mente da Pie­tro Man­zoni. Nella Mi­lano in­tel­let­tuale e no­bile di quel tempo si sa­peva della pa­ter­nità di Gio­vanni Verri.

[2] Una te­sti­mo­nianza della pa­ter­nità di Gio­vanni Verri è il qua­dro che Giu­lia Bec­ca­ria si fece fare da An­drea Ap­piani. È il ri­tratto di Giu­lia e sulla si­ni­stra, quasi in­se­rito in un se­condo tempo, quasi un ri­pen­sa­mento, c’è il ri­tratto di Ales­san­dro bam­bino. Que­sto qua­dro venne re­ga­lato da Giu­lia a Gio­vanni Verri quando, dopo es­sersi se­pa­rata da Gio­vanni Verri, si unì a Carlo Imbonati.»

No­stre os­ser­va­zioni – Giunti al ven­te­simo e ul­timo ca­pi­tolo della no­stra ana­lisi cri­tica, chie­diamo al let­tore di con­si­de­rarlo con una par­ti­co­lare at­ten­zione. In esso in­fatti si di­scute su aspetti im­por­tanti per il di­bat­tito sul mondo man­zo­niano, come l’attribuzione della sua pa­ter­nità.
Per la ve­rità ri­te­niamo che la cosa in sé non ab­bia una grande im­por­tanza (come ve­dremo) per il po­sto di Man­zoni nella no­stra cul­tura. È in­te­res­sante in­vece per il ri­flesso che que­sto aspetto ha avuto – e ha tut­tora – sul come un pro­blema di ca­rat­tere sto­rico-scien­ti­fico viene trat­tato dalle strut­ture che (come il Cen­tro Na­zio­nale di Studi Man­zo­niani – d’ora in poi CNSM) sono pre­po­ste a dare ri­spo­ste ve­ri­tiere ad aspetti della no­stra cul­tura nazionale.

Ri­chia­miamo inol­tre l’attenzione del let­tore su un aspetto che trat­tiamo nella se­conda parte dell’analisi di que­sto Epi­so­dio, os­sia la cor­retta iden­ti­fi­ca­zione e at­tri­bu­zione del noto qua­dro che raf­fi­gura Giu­lia Bec­ca­ria e Ales­san­dro Man­zoni bam­bino.
Su que­sto aspetto ri­te­niamo di avere espresso una va­lu­ta­zione mai prima da al­tri avan­zata e di cui quindi ri­ven­di­chiamo la priorità.

Ma ve­niamo alla di­scus­sione, ri­pren­dendo le pa­role di Jone Riva: la dif­fe­renza di età e di no­biltà come cause del fal­lito ma­tri­mo­nio.

Per quanto ri­guarda la “dif­fe­renza di età”, a parte l’essere gli anni di Pie­tro Man­zoni cosa nota a Giu­lia prima delle nozze, in tutti i tempi sono fal­liti ma­tri­moni tra coe­ta­nei e an­dati be­nis­simo ma­tri­moni tra con­traenti molto di­stanti ne­gli anni (tra Da­cia Ma­raini e Al­berto Mo­ra­via — per esem­pio — vi fu un lungo e ap­pas­sio­nato rap­porto d’amore, no­no­stante i 29 anni in più dello scrittore).

Per ri­ma­nere alla Mi­lano del ’700 e all’ambiente dei no­stri per­so­naggi, tra i ge­ni­tori di Carlo Im­bo­nati (no­to­ria­mente una cop­pia molto af­fia­tata) vi erano 26 anni di dif­fe­renza (come tra Pie­tro e Giu­lia). E nel 1782 Pie­tro Verri, a 54 anni, sposò Vin­cenza Melzi d’Eril di anni 20 (dif­fe­renza, 34 anni) da cui ebbe 9 figli.

Per quanto ri­guarda la “dif­fe­renza di no­biltà” è op­por­tuno ri­cor­dare che, al mo­mento del ma­tri­mo­nio, Giu­lia Bec­ca­ria era sem­pli­ce­mente “donna Giu­lia”, po­tendo aspi­rare al ti­tolo di “mar­chese” Giu­lio, suo fra­tello mi­nore.
Giu­lia era chia­mata “mar­chesa” per pura cor­te­sia so­ciale, e “ri­di­venne” no­bile, pro­prio spo­sando Pie­tro Man­zoni, con il suo “sot­tile strato di no­biltà”.
Pro­prio ciò che era suc­cesso alla ma­dre di Pie­tro Man­zoni, la mi­la­ne­sis­sima Ma­ria Mar­ghe­rita Porro, fi­glia di Fermo Porro, un fi­gura in­fluente del pa­tri­ziato mi­la­nese e, ai primi del ‘700, an­che capo dell’Amministrazione della città.

L’affermazione di Jone Riva è quindi non si­gni­fi­ca­tiva sul piano ge­ne­rale e an­che per la realtà del co­stume dell’epoca. Ma può es­sere fuor­viante per uno spet­ta­tore ignaro delle vi­cende sen­ti­men­tal-amo­rose della Mi­lano di fine ’700.
Ab­biamo già detto so­pra (vedi il pre­ce­dente Epi­so­dio) che tra Giu­lia e Pie­tro non vi fu un ma­tri­mo­nio d’amore, nau­fra­gato poi di fronte alla dif­fe­renza d’età o a una ir­ri­le­vante (e an­che ine­si­stente, non avendo Giu­lia al­cun ti­tolo di no­biltà) dif­fe­renza nella ge­rar­chia no­bi­liare. Fu un ma­tri­mo­nio di in­te­resse (com­bi­nato tra l’altro da un ele­mento non ap­par­te­nente alle fa­mi­glie in­te­res­sate, qual era Pie­tro Verri) come ac­ca­deva spesso al­lora — e an­che poi.

La paternità biologica di Alessandro.

Que­sto ar­go­mento è mag­gior­mente da con­si­de­rare ma per ra­gioni op­po­ste di chi mo­stra di darvi grande im­por­tanza.
Ri­te­niamo in­fatti che il “peso del san­gue” (blu, rosso o di qual­siasi al­tro co­lore), de­ter­mi­nante sul piano bio­lo­gico (ca­rat­te­ri­sti­che so­ma­ti­che, ma­lat­tie, aspet­ta­tiva di vita, ecc.), sia as­so­lu­ta­mente nullo sul piano della fi­sio­no­mia psico-mo­ral-in­tel­let­tuale di chiun­que, sotto qual­si­vo­glia cielo.

Gli in­di­vi­dui ven­gono ov­via­mente for­mati dall’ambiente in cui na­scono e vi­vono, so­prat­tutto fino alla pri­mis­sima ma­tu­rità (a lato im­ma­gini del ter­ri­to­rio lec­chese come do­veva ve­derli Ales­san­dro nella sua pue­ri­zia e prima gio­ventù, pro­po­sti nel 1873 dall’Abate A. Stop­pani nel suo «I Primi Anni di A. Manzoni»).

Ci pare di of­fen­dere il let­tore nel ri­cor­dare que­sti ele­menti, da un pezzo uni­ver­sal­mente ac­cet­tati, ma il docu-film del Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani (d’ora in poi CNSM) non dice pra­ti­ca­mente nulla sui primi vent’anni di Ales­san­dro Man­zoni se non – ri­leg­gete le pa­role di Jone Riva – che egli nac­que dalla «re­la­zione tra Giu­lia e Gio­vanni Verri». Il CNSM pone come pri­ma­rio un dato che — in man­canza di cir­co­stanze espe­rien­ziali e so­ciali pre­cise, in que­sto caso non esi­stenti — è sem­pli­ce­mente irrilevante.

È in­fatti da sem­pre ac­qui­sito che — se ve­ra­mente pa­dre bio­lo­gico di Ales­san­dro fu Gio­vanni Verri — tale ele­mento non ebbe al­cuna in­fluenza sulla vita dello scrit­tore. Al­lora nes­suno si agitò. Nes­suna azione di nes­sun tipo venne av­viata da nes­suno in re­la­zione a que­sto sup­po­sto dato bio­lo­gico. Né esso ebbe ri­flesso sulle re­la­zioni so­ciali dei Man­zoni, al­lora e poi.

È solo ora, dopo ol­tre 200 anni, che que­sto dato (sup­po­sto che sia tale) sem­bra avere as­sunto un peso de­ter­mi­nante. Tale da mi­ni­miz­zare ogni al­tra at­ten­zione circa la for­ma­zione psi­co­lo­gica e cul­tu­rale del gio­vane Man­zoni non­ché sulle sue re­la­zioni af­fet­tive e sociali.

Si è stu­diato ve­ra­mente poco sull’ambiente di Gal­biate e della Lecco di fine ’700, dove Ales­san­dro passò no­to­ria­mente i suoi primi 15 anni di vita e poi lun­ghi pe­riodi fino ai suoi 33 anni. Ma si cita come ele­mento de­ter­mi­nante di chissà che il sup­po­sto dono di un qua­dro di Giu­lia a Gio­vanni Verri.

Non si è an­cora fatto uno stu­dio do­cu­men­tato sulla for­ma­zione sco­la­stica di Ales­san­dro, né at­torno ai suoi isti­tu­tori e pro­fes­sori. E nep­pure sui suoi com­pa­gni di col­le­gio.
Al­cuni di que­sti (per esem­pio del Lon­gone) fu­rono de­ter­mi­nanti per l’orientamento gia­co­bino dell’adolescente Man­zoni. Come Giam­bat­ti­sta Pa­gani, fi­glio e ni­pote di noti pa­trioti ri­vo­lu­zio­nari, prima ac­ca­rez­zati da Na­po­leone e poi messi bru­sca­mente in di­sparte per il loro ca­rat­tere in­di­pen­dente. La pro­du­zione poe­tica gio­va­nile di Man­zoni (igno­rata dal docu-film del CNSM) deve es­sere at­tri­buita a que­sti le­gami.
Ma su que­sto non si dice pa­rola.
E si di­scetta in­vece su­gli scambi amo­rosi (più o meno “puri”, a se­conda del punto di vi­sta da cui ci si mette) di Giu­lia Bec­ca­ria e del suo en­tou­rage sentimental-mondano.

È in­te­res­sante no­tare che que­sto aspetto bio­lo­gico dell’esistenza di Man­zoni in­te­ressi oggi molto più che 200 anni fa.
A fine ’700, an­che nella non mon­da­nis­sima Mi­lano, ogni si­gnora che si ri­spet­tasse, ap­pena spo­sata po­teva cer­carsi — e pron­ta­mente tro­vare — un ca­va­lier ser­vente, pronto a tutte le oc­cor­renze, so­ciali e per­so­nali.
E molti dei ma­riti, di que­sti rap­porti non solo erano per­fet­ta­mente a co­no­scenza, ma ne fa­vo­ri­vano na­scita e svi­luppo. Per­ché con­sen­ti­vano di col­ti­vare a loro volta re­la­zioni amo­rose li­bere e non su­bìte, come erano fre­quen­te­mente quelle ma­tri­mo­niali.
Il gio­vane Pie­tro Verri fu per anni amante uf­fi­ciale di Mad­da­lena, so­rella di Ce­sare Bec­ca­ria e spo­sata a Isim­bardi. E Te­resa, la vi­vace e un po’ fa­tua mo­glie di Ce­sare Bec­ca­ria e ma­dre di Giu­lia, tenne per anni una re­la­zione, per­fet­ta­mente nota e ac­cet­tata da Ce­sare, con il no­bile conte Calderara.

Le “in­fe­deltà” delle mo­gli (e dei ma­riti) erano quindi aspetti co­sti­tu­tivi di molti ma­tri­moni. Così come lo erano gli ine­vi­ta­bili “in­ci­denti” bio­lo­gici che ne se­gui­vano, a cui non sem­bra si fa­cesse gran caso, es­sendo de­ter­mi­nanti gli aspetti le­gali delle na­scite (chiun­que fosse il pa­dre bio­lo­gico, l’importante era si man­te­nesse inal­te­rato il qua­dro successorio).

È cu­rioso che pro­prio oggi, ap­pa­ren­te­mente in un clima molto più aperto di al­lora, que­sto aspetto sia così in­ten­sa­mente con­si­de­rato. O forse non è solo cu­rioso.
Ci pare che, die­tro que­sta at­ten­zione, espressa da Jone Riva (ma evi­den­te­mente pro­pria del CNSM) vi sia il con­ge­la­mento della ri­fles­sione sulla sto­ria come in­sieme di re­la­zioni com­plesse. A fa­vore di una sto­ria vi­sta solo da una pro­spet­tiva in­ti­mi­sta e soggettiva.

Nel caso di Man­zoni, un fram­mento di que­sta vi­sione è stata espressa al­cuni anni fa da Na­ta­lia Ginz­burg nel suo «La fa­mi­glia Man­zoni» (vedi in pro­po­sito la no­stra Nota); e più re­cen­te­mente in con­tri­buti più o meno ro­man­zati, come quello di Marta Bo­ne­schi «Quel che il cuore sapeva».

Que­ste rap­pre­sen­ta­zioni de­gli am­bienti la­riani sono tratte da “I Primi Anni di A. Man­zoni” dell’Abate Stop­pani del 1873. Stop­pani vo­leva evi­den­ziare il le­game or­ga­nico tra la per­so­na­lità ar­ti­stica di Man­zoni e l’ambiente na­tu­ra­li­stico e so­ciale in cui era vis­suto dalla na­scita fino alla piena adolescenza.

Nulla di male se i ro­man­zieri svi­lup­pano le loro crea­zioni se­guendo an­che i sug­ge­ri­menti dell’invenzione (che ro­man­zieri sa­reb­bero al­tri­menti?). Meno bene se un certo modo di pre­sen­tare le vi­cende umane viene pro­po­sto come cri­te­rio scientifico.

Ci sem­bra che da parte di scien­ziati della sto­ria e della lin­gua ita­liana (non è il CNSM da 80 anni au­to­re­vole con­sesso di spe­cia­li­sti in que­ste di­sci­pline?) non si possa trat­tare di Man­zoni con il lin­guag­gio e l’orizzonte del “com­mento-rosa” – sep­pure non più “bac­chet­tone” ma “mo­derno”, “li­bero”, “aperto alle istanze esi­sten­ziali”, ecc. ecc.

Nel caso del docu-film del CNSM ci sem­bra che si sia vo­luto an­dare an­che ol­tre, for­nendo a que­sto ap­proc­cio in­ti­mi­stico e sog­get­tivo il sup­porto del più con­creto dato “bio­lo­gico”.

Quasi a dire — que­sta è quanto meno l’impressione che ne ab­biamo ri­ca­vata noi — che l’origine della com­plessa per­so­na­lità di Man­zoni debba es­sere ri­cer­cata so­prat­tutto nel fatto di es­sere fi­glio ge­ne­tico di Gio­vanni Verri.

Non a caso, nella pa­gina in­tro­dut­tiva della se­zione del sito di Casa Man­zoni de­di­cata alla nuova si­ste­ma­zione mu­seale, si legge: «Ales­san­dro Man­zoni, fi­glio le­gale di Pie­tro e di Giu­lia Bec­ca­ria, crebbe “senza fa­mi­glia”: ep­pure il de­stino […] lo aveva vo­luto di­scen­dente delle due più il­lu­stri fa­mi­glie mi­la­nesi, di Ce­sare Bec­ca­ria e dei Verri, che ave­vano det­tato all’Europa una nuova ci­viltà giu­ri­dica e culturale.»

Sono in­te­res­santi que­ste pa­role: non solo danno per ac­qui­sito che pa­dre bio­lo­gico di Man­zoni fu Gio­vanni Verri (il che è tutt’altro che certo sul piano della ri­cerca sto­rico-scien­ti­fica — gi­riamo al CNSM il sug­ge­ri­mento già avan­zato da un bril­lante sto­rico lec­chese di pro­muo­vere una prova tec­nica ba­sata sul DNA dello scrit­tore) ma igno­rano l’aspetto le­gale e fat­tuale della vita di Manzoni.

Can­cel­lano il dato sto­rico che il gio­vane Man­zoni con i Verri (e an­che con Ce­sare Bec­ca­ria) non ebbe nes­su­nis­simo rap­porto (l’attento Pie­tro Verri nella sua fitta cor­ri­spon­denza ne ac­cenna al fra­tello Ales­san­dro re­si­dente a Roma solo per se­gna­lare – nel 1784 e tra al­tre “no­vità cit­ta­dine” — che Giu­lia era in­cinta, ma senza nes­su­nis­simo ri­fe­ri­mento a un coin­vol­gi­mento nella fac­cenda del co­mune fra­tello Giovanni).

Quelle pa­role fanno di Ales­san­dro Man­zoni un “mi­la­nese” solo in quanto — even­tual­mente — fi­glio bio­lo­gico di un mi­la­nese.
Ma igno­rando che Pie­tro Man­zoni lo al­levò come pro­prio fi­glio a tutti gli ef­fetti fino alla sua mag­giore età.

Quanto dice in modo di­scor­sivo Jone Riva sem­bre­rebbe se­guire il pen­siero del CNSM, in re­la­zione sia alla pa­ter­nità bio­lo­gica di Man­zoni sia del ri­flesso che ciò avrebbe avuto sulla sua per­so­na­lità, orien­ta­menti, sen­si­bi­lità.
Ci era parso che il tempo di que­ste fa­ce­zie a base di “san­gue” (fonte però an­che di tra­gici epi­lo­ghi) fosse pas­sato, ma evi­den­te­mente non è così e, quindi, di­cia­mone noi qual­che cosa.

Il cosiddetto riconoscimento da parte di Pietro.

Jone Riva dice che, nato da Giu­lia e Gio­vanni Verri, Ales­san­dro «venne ri­co­no­sciuto le­gal­mente da Pie­tro Man­zoni».

Lo spet­ta­tore po­trebbe ri­ca­varne l’idea che Giu­lia (tra­volta da pas­sione) vi­vesse more-uxo­rio con Gio­vanni Verri una bella sto­ria d’amore, al­lie­tata dalla na­scita di un fi­glio. E be­ne­detta dalla com­pia­cenza di un ma­rito, lon­tano ma di­spo­ni­bile a met­tere a ta­cere la cosa dando il pro­prio nome al pic­colo. Ov­via­mente tutto ciò con la realtà ha solo un vago rapporto.

Pie­tro Man­zoni (a lato le par­te­ci­pa­zioni di nozze con Giu­lia) non aveva al­cun bi­so­gno di “ri­co­no­scere le­gal­mente” Ales­san­dro. Pie­tro era dal 20 ot­to­bre 1782 ma­rito a tutti gli ef­fetti di Giu­lia, e con lei re­go­lar­mente con­vi­vente.
Alla na­scita Ales­san­dro era quindi de jurede facto de­fi­nito e con­si­de­rato da chiun­que come fi­glio di Pie­tro.
Sem­mai, Pie­tro avrebbe po­tuto — even­tual­mente ma con scarse pro­ba­bi­lità di suc­cesso — at­ti­varsi pro­prio per l’azione con­tra­ria – os­sia “di­sco­no­scere” Ales­san­dro, de­nun­ciando una re­la­zione ex­tra-co­niu­gale della mo­glie Giu­lia. Cosa che non av­venne e non venne da nes­suno presa in considerazione.

A due giorni dalla na­scita, Ales­san­dro fu messo a ba­lia a Gal­biate, in una te­nuta dei Man­zoni a due passi da Lecco, e per i suc­ces­sivi vent’anni fece pre­va­len­te­mente ri­fe­ri­mento al ter­ri­to­rio la­riano come suo am­biente di re­la­zione e di formazione.

Pie­tro con­si­derò in­fatti Ales­san­dro come pro­prio fi­glio — sem­pre, e fino al te­sta­mento con il quale lo di­chiarò suo erede uni­ver­sale. Dal 1792 (anno della se­pa­ra­zione da Giu­lia) e per i suc­ces­sivi 13 anni, fu anzi l’unico a oc­cu­parsi di Ales­san­dro, es­sendo Giu­lia im­pe­gnata in al­tre re­la­zioni, e poi, dal 1796, re­si­dente all’estero.

Era così “noto” che Gio­vanni fosse pa­dre na­tu­rale di Ales­san­dro?
Co­min­ciamo col dire che dai di­retti in­te­res­sati (Giu­lia, Pie­tro, Gio­vanni, Ales­san­dro) non ab­biamo as­so­lu­ta­mente nes­suna testimonianza.

A so­ste­gno delle sue pa­role, Jone Riva porta un “si sa­peva”:
«Nella Mi­lano in­tel­let­tuale e no­bile di quel tempo si sa­peva della pa­ter­nità di Gio­vanni Verri».

E una “te­sti­mo­nianza”:
«Una te­sti­mo­nianza [del con­ce­pi­mento ex­tra-ma­tri­mo­niale di Ales­san­dro, ndr] è il qua­dro che Giu­lia Bec­ca­ria si fece fare da An­drea Ap­piani. […] Que­sto qua­dro venne re­ga­lato da Giu­lia a Gio­vanni Verri quando, dopo es­sersi se­pa­rata da Gio­vanni Verri, si unì a Carlo Imbonati.»

Da un lato è po­chino per un CNSM, dall’altro ve­ra­mente troppo. Ve­diamo perché.

A Milano si sapeva”.

Ci pare che l’espressione “si sa­peva” possa es­sere fuor­viante.
Si “sa” di qual­che cosa a se­guito di una spe­ci­fica azione co­no­sci­tiva, ba­sata su dati og­get­tivi e ri­co­no­sciuti come tali.
Circa la pa­ter­nità di Gio­vanni Verri, l’unico sog­getto che even­tual­mente po­tesse “sa­pere” era Giu­lia Bec­ca­ria, ma ciò solo nell’ipotesi che essa, in un pe­riodo dato, non avesse avuto rap­porti ses­suali se non esclu­si­va­mente con Gio­vanni Verri.

Ma Giu­lia non la­sciò mai in pro­po­sito al­cun do­cu­mento (e an­che in quel caso se ne do­vrebbe va­lu­tare la ve­ri­di­cità).
Even­tual­mente, quindi, a Mi­lano sulla pa­ter­nità bio­lo­gica di Ales­san­dro, si po­teva forse “dire”, ma di certo non “sa­pere”.

La que­stione non è ov­via­mente ter­mi­no­lo­gica, ma at­tiene al me­todo con cui una strut­tura scien­ti­fica (qual è il CNSM) ana­lizza, te­sti­mo­nia e “crea cul­tura” su un dato sto­rico.
Sotto que­sto pro­filo, su que­sta que­stione spe­ci­fica, il CNSM ha svi­lup­pato una va­lu­ta­zione che ci li­mi­tiamo a de­fi­nire su­per­fi­ciale, non avendo il Cen­tro Na­zio­nale nep­pure ci­tato le po­che fonti che pure po­treb­bero es­sere va­lu­tate. E quindi fac­cia­molo noi.

Delle mi­gliaia di studi che or­mai da due se­coli si sono con­dotti sulla fi­sio­no­mia di Man­zoni e sulla sua epoca, at­torno alla “pa­ter­nità bio­lo­gica” di Man­zoni (di­stinta dalla “pa­ter­nità giu­ri­dica”), ab­biamo solo tre te­sti­mo­nianze da­ta­bili e non ano­nime.
Le con­si­de­riamo bre­ve­mente se­guen­done la cronologia.

1º — Lettera di Giuseppe Gorani a Giovanni Verri del 16 gennaio 1808.

Venne resa nota da A. Giu­lini solo nel 1925 (ma cen­su­ran­dola scon­si­de­ra­ta­mente di un de­ci­sivo “vo­stro”) e, nella sua in­te­rezza, nel 1989 (os­sia 181 anni dopo es­sere stata pro­to­col­lata da Gio­vanni Verri nel suo ar­chi­vio per­so­nale) da P. Cam­po­lun­ghi («Ro­manzo e realtà nelle vere pa­ter­nità di Giu­lia Bec­ca­ria e di suo fi­glio Ales­san­dro Man­zoni (Verri)», 1998), pur­troppo con con­si­de­ra­zioni di con­te­nuto non par­ti­co­lar­mente bril­lanti e con una scon­cer­tante quan­tità di er­rori di fatto.

Cam­po­lun­ghi ha in­fatti in­fi­lato ben 24 er­rori nella tra­scri­zione della let­tera e preso un dop­pio ab­ba­glio an­che sulle sue ca­rat­te­ri­sti­che ma­te­riali.
L’autore scrive in­fatti: «La let­tera con­sta di un fo­glio tipo per­ga­mena, di cm. 42 x 32».
Il primo ab­ba­glio sta in quelle due pa­role “tipo per­ga­mena”: non è ov­via­mente chiaro cosa in­ten­desse Cam­po­lun­ghi con l’impiego dell’espressione “tipo per­ga­mena”.
Come noto la per­ga­mena è un sup­porto per la scrit­tura tratto da pelli ani­mali, usato nell’antichità e ra­ris­si­ma­mente nelle epo­che suc­ces­sive, di certo non nella cor­ri­spon­denza quo­ti­diana nel 1808; ap­pare poi biz­zarro da parte del ri­cer­ca­tore il ri­fe­rirsi a un suo sup­po­sto “tipo”: che razza di con­si­de­ra­zioni sto­rico-cri­ti­che pos­sono di­scen­dere da que­sta con­fusa in­di­ca­zione per­sino sulla ma­te­ria­lità del do­cu­mento da lui pre­sen­tato come “prova” in­con­fu­ta­bile di una pa­ter­nità di Gio­vanni Verri ri­spetto ad Ales­san­dro Manzoni?

Il se­condo ab­ba­glio sta nelle pro­por­zioni in­di­cate da Cam­po­lun­ghi: “cm 42×32”. Da quanto si può ve­dere dalla fo­to­gra­fia da lui stesso pro­po­sta nel suo li­bro, ri­sul­te­rebbe in­vece un di­verso rap­porto: ac­cet­tando la sua in­di­ca­zione dei 42 cm di base, l’altezza della let­tera sa­rebbe in­fatti di cm 27 e non 32, come da lui scritto.
Due ab­ba­gli che ren­dono piut­to­sto de­bole qual­siasi con­si­de­ra­zione cri­tica se­ria circa la cor­retta da­ta­zione del sup­porto della let­tera.
Ma ve­niamo agli er­rori di testo.

Nella tra­scri­zione pro­po­sta al let­tore nel suo li­bro, su 625 pa­role Cam­po­lun­ghi ci ha re­ga­lato ben 24 er­rori, al­cuni dei quali an­che seri ai fini di una va­lu­ta­zione cri­tica del do­cu­mento.
La dis­se­stata tra­scri­zione di Cam­po­lun­ghi è resa un po’ meno de­pri­mente solo dalla di­screta ri­pro­du­zione fo­to­gra­fica dell’originale che il ri­cer­ca­tore ha avuto la buona idea di stam­parvi ac­canto e per cui deve es­sere ringraziato.

Qui sotto pre­sen­tiamo quindi la no­stra tra­scri­zione ri­ca­vata da que­sto ori­gi­nale fo­to­gra­fico da­toci da Cam­po­lun­ghi, in­di­cando al con­tempo gli er­rori in cui è in­cap­pato il ri­cer­ca­tore.

Per la “sta­ti­stica dei sen­ti­menti”, ri­le­viamo che delle 625 pa­role che com­pon­gono la let­tera: 211 sono de­di­cate all’elogio del de­sti­na­ta­rio Gio­vanni Verri, so­lu­tore ef­fi­ciente di una fac­cenda am­mi­ni­stra­tiva dell’elogiatore, il conte Go­rani; 112 pa­role sono in­vece de­di­cate al raf­fred­dore dell’ipocondriaco Carlo Verri, fra­tello di Gio­vanni; 75 alla fe­li­cità di una vec­chia e brutta go­ver­nante cui Gio­vanni aveva riac­cor­dato il sa­luto; 147 a Donna Giu­lia, al ma­tri­mo­nio di Ales­san­dro, al suo es­sere fi­glio di Gio­vanni, ai sa­luti a Gio­vanni da parte di Bla­sco; 66 alle rac­co­man­da­zioni a Gio­vanni per la spe­di­zione di un suo pacco e a con­si­de­ra­zioni sulle ciarle con cui i vec­chi im­por­tu­nano i vec­chi amici.
Il ri­fe­ri­mento alla di­chia­rata pa­ter­nità di Gio­vanni Verri non è quindi in una let­tera a sé ma è in­fi­lato all’interno di no­ti­zie di va­ria uma­nità al cui cen­tro brilla sem­pre l’astro del Conte Gio­vanni Verri — Donna Giu­lia è in­vece po­sta im­me­dia­ta­mente dopo il ri­fe­ri­mento alla vec­chia e brutta governante.

At­ten­zione: nella no­stra tra­scri­zione non fac­ciamo men­zione delle tracce di due tim­bri, ap­po­sti sulla fac­ciata del de­sti­na­ta­rio ma nella ri­pro­du­zione a della let­tera stampa da­taci da Cam­po­lun­ghi ma­la­mente di­stin­gui­bili.
In pro­po­sito ri­por­tiamo quindi quanto si li­mita a in­di­care il ri­cer­ca­tore: «MILANO»; «(CO)MO.GEN.| 18»; se­gna­liamo noi che, nella pro­pria rap­pre­sen­ta­zione, a con­torno di quest’ultima scritta Cam­po­lun­ghi ha in­se­rito due fregi per­fet­ta­mente de­fi­niti di cui nell’originale della let­tera ap­pa­iono solo va­ghis­sime tracce: è un pec­cato non ab­bia però detto nulla a sup­porto della sua scelta.
Ri­le­viamo inol­tre che il ri­cer­ca­tore nulla ha detto a pro­po­sito della ta­riffa di tra­sporto in “dè­ci­mes” (1 dè­cime = 2 soldi) per il porto do­vuto (13?, 14?), che pure è in bella evi­denza ver­gata a lato dell’indirizzo.

La nostra trascrizione della lettera e la segnalazione dei 24 errori di Campolunghi.

La let­tera di G. Go­rani a G. Verri del 16-01-1808, si com­pone di un fo­glio pie­gato in due, a for­mare 4 facciate.

Per la mi­gliore in­tel­li­genza del do­cu­mento, ab­biamo po­sto in prima evi­denza i dati del de­sti­na­ta­rio non­ché il pro­to­collo di casa Verri che nell’originale oc­cu­pano la 4a fac­ciata.
A in­di­care il cam­bio di riga nell’originale, ab­biamo uti­liz­zato il se­gno [ \ ].
La pa­rola tra­scritta er­ro­nea­mente da Cam­po­lun­ghi è evi­den­ziata in co­lore rosso]; in co­lore blu la pa­rola da noi tra­scritta fe­del­mente dall’originale ma­no­scritto.
È no­stra l’evidenziazione in ver­dino del brano re­la­tivo al ma­tri­mo­nio di Ales­san­dro e alla sua pa­ter­nità, as­se­gnata da Go­rani a Gio­vanni Verri.

________

1808 \

Mi­lano 16 Gen­naro \
Let­tera Conte Go­rani] Go­rani. \

–––––––

A Mon­sieur \
Mon­sieur Le Che­va­lier Comte Jean \
Verri al Bel­ve­dere So­borgo di \
S. Agu­stino presso \
Como
.
[1a fac­ciata]
Mi­lano il] li 16 gen­najo 1808
.
Ca­ris­simo amico
.
Non ho avuto io sem­pre ra­gione di so­ste­nere e di pro­vare che \

il ca­va­gliere conte Gio­vanni Verri ha tanto in­ge­gno e per lo meno \
quanto ne aveva Pie­tro e quanto ne ha Ales­san­dro, ma di essi \
una mag­giore] mag­gior sen­si­bi­lità, un animo più no­bile, più ge­ne­roso \
ed una in­ge­nuità più ama­bile? Quanto a Carlo, que­sti non \
può en­trare in pa­ra­gone, giac­ché le sue idee] idée sono in un \
di­sor­dine to­tale a se­gno di pren­der gli ob­bro­bri] ob­bro­brj per \
onori, e di far sì] far un sì gran caso di ric­chezze delle quali \
non ne sa l’uso il più interessante. \

——Il rap­porto che voi fate nell’ultima vo­stra del 12 cor­rente \
della mia at­tuale con­di­zione colla guerra è as­sai spi­ri­toso e d’una \
ve­rità sen­si­bile. Co­min­cio a spe­rare di riu­scire per­ché] per­che di­mo­stro \
una fer­mezza che non sento nel mio animo, ma sen­tendo \
la somma im­por­tanza de­gli av­visi vo­stri, io li metto in \
ese­cu­zione e parlo in un modo ben di­verso e non do \
a ve­dere ad al­tri quanto io sia de­bole. Così ama­tis­simo \
amico, io vi do­vrò tutto, un’entrata quasi tri­pli­cata, \
il pen­siero che mi fa­ce­sti na­scere di ot­te­nerla e di più \
i mezzi di con­se­guirla. Ma però io so­spiro, alle volte \
io di­spero e mi pa­jono anni] pa­jono venti anni po­chi] po­che mesi \
.
[2a fac­ciata]
che ho pas­sato] pas­sati in que­sti com­bat­ti­menti. \
——Vi hanno detto vero quelli che vi as­si­cu­ra­rono che vo­stro fra­tello \
Carlo stava bene, ma con­tut­to­ciò Astolfi non aveva torto. Carlo \
in­fatti ha avuto un raf­fred­dore, ma sic­come egli teme as­sai di mo­rire, \
si cre­deva già quasi morto per­ché] per­che gli era ve­nuto il ti­more di \
avere un mal di petto, e quindi si trat­tenne] tra­tenne a letto per varj \
giorni. Voi ve­dete che il no­stro fi­lo­sofo in certi casi imita \
Po­li­ce­nella] Po­li­ci­nella, la­scian­dosi in­ti­mi­dire sin] sino quasi ad una vera \
pu­sil­la­ni­mità. Tanto egli inor­ri­di­sce] ino­ri­di­sce all’idea di per­dere delle ric­chezze \
delle quali non se ne sa ser­vire e le di­stin­zioni che lo diso= \
=no­rano. La cosa mi par così, ne mi sa­rebbe dif­fi­cile \
di pro­varlo sino all’evidenza. \
——La po­vera Prada ha tri­pu­diato nel ve­dersi re­sti­tuito il vo­stro sa­luto. Que­sta \
donna mi è as­sai utile; quan­tun­que vec­chia e brutta] bruta essa ha un \
amico che l’assiste e vive con lei in un modo a far di tutto per \
es­ser­gli di so­glievo. Que­sto suo amico la­vora per me, corre, sol­le­cita] sol­le­cita, \
e fa mi­ra­coli in mio fa­vore e se riu­scirò] rie­scirò a fare un con­tratto \
lo­de­vole, io gli sarò in gran parte de­bi­tore di un sif­fatto] si­fatto be­ne­fi­cio. \

——Dona Giu­lia Man­zoni col­loca il di lei fi­glio e vo­stro e gli \
dà in mo­glie una fi­glia di quel Blon­del di Ve­vay il quale \
si è ar­ric­chito nel no­stro paese te­nendo delle pos­ses­sioni \
in af­fitto e ne­go­ziando in sete e] ed in grani. Que­sta fi­glia \
si dice as­sai bella e non ha che se­dici anni. E’] E stata \
edu­cata in Gi­ne­vra] Ge­ne­vra. Ima­gi­na­tevi ora cosa di­ranno \
.
[3a fac­ciata]
le no­stre dame mi­la­nesi quando sa­pranno che un ca­va­gliere ricco \
sposa la fi­glia d’un mer­cante e fit­ta­bile e quel che è peg­gio an­cora \
per esse, una ere­tica? Que­sto ma­tri­mo­nio avrà il suo ef­fetto \
fra po­chi giorni. Bla­sco che mi in­ca­rica di ri­chia­marlo \
sem­pre alla vo­stra me­mo­ria è as­sai con­tento \
dell’imeneo del suo pro­ni­pote. Avrà certo \
ra­gion di es­serne con­tento, se pure po­trà \
darsi pace di tutto quello che si dirà nel \
paese, men­tre i no­stri com­pa­triotti \
non hanno an­cora im­pa­rato a \
do­me­sti­carsi con certe idee] idée
. \
M’accorgo, amico gra­zio­sis­simo, d’esser troppo \
pro­lisso e que­sto è il dif­fetto dei po­veri \
vec­chi i quali non hanno mai fi­nito \
di sec­care il loro pros­simo, e voi che \
siete tanto ge­ne­roso e buono, voi me \
lo per­do­ne­rete ri­flet­tendo] rif­flet­tendo che il vec­chio è an­cor più pa­ro­layo] pa­ro­lajo quando \
s’incontra con un vero amico. Vi rac­co­mando sem­pre il \
mio bal­lotto che sen­tirò con somma so­di­sfa­zione \
giunto al suo de­stino. Vi ab­brac­cio e vi prego dei so­liti sa­luti \
al P. Borda, a tutti di casa vo­stra e prin­ci­pal­mente \
alla Sig.ra Paolina.

Come pro­ba­bil­mente an­che a molti let­tori, a noi pare pro­prio che su que­sta let­tera di Go­rani a Verri vi sia an­cora molto da la­vo­rare.
Le ab­ba­stanza in­cre­di­bili svi­ste di P. Cam­po­lun­ghi (tra l’altro au­to­re­vol­mente va­li­date dal Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani che nel 1999 pub­blicò sui pro­pri “An­nali” un so­stan­zioso con­tri­buto di Cam­po­lun­ghi sul me­de­simo tema, se­gnato anch’esso da­gli ab­ba­gli da noi evi­den­ziati) sug­ge­ri­scono di riav­viare pra­ti­ca­mente da zero l’intera in­da­gine cri­tica su que­sto documento.

Ciò detto per chia­rezza, bi­so­gna co­mun­que dire che que­sta let­tera, da Cam­po­lun­ghi me­ri­to­ria­mente resa pub­blica nella sua in­te­rezza, è in realtà l’unico “do­cu­mento” che, sulla que­stione “pa­ter­nità bio­lo­gica” di Ales­san­dro, po­trebbe aspi­rare a una qual­che va­lenza sul piano della ri­cerca sto­rica.
È però in­di­spen­sa­bile che essa sia cor­ret­ta­mente con­te­stua­liz­zata, cosa fino a ora mai fatta da nes­suno (così al­meno ci pare ma sa­remmo fe­li­cis­simi di ri­cre­derci).
In sé e per sé l’affermazione di Cu­stodi («il di lei fi­glio e vo­stro») può in­fatti an­che va­lere pro­prio nulla, an­che per­ché essa non su­scitò nel Verri al­cuna rea­zione nota: a quanto ne sap­piamo, egli si li­mitò ad ar­chi­viare la let­tera, esat­ta­mente come per tutta la cor­ri­spon­denza in ar­rivo, senza ma­ni­fe­stare per essa alcunché.

Ci oc­cu­pe­remo quanto prima e con mag­giore det­ta­glio di que­sto do­cu­mento — valga per il mo­mento il dato di fatto che que­sta mis­siva di Go­rani a Verri non co­sti­tuì og­getto di nulla per tutta la vita di Man­zoni: nes­suno ne fece mai il mi­nimo cenno, in al­cun modo.

Di­ce­vamo che la let­tera di Go­rani po­trebbe es­sere presa in con­si­de­ra­zione ma è ne­ces­sa­rio sia ana­liz­zata in modo più ap­pro­fon­dito di quanto fino a oggi fatto:
a/ de­ter­mi­na­zione delle ca­rat­te­ri­sti­che del sup­porto car­ta­ceo e sua cor­retta col­lo­ca­zione tem­po­rale;
b/ ve­ri­fica at­tra­verso vere pe­ri­zie gra­fo­lo­gi­che delle au­to­gra­fie di Go­rani e Verri (tutt’altra cosa dei “ri­co­no­sci­menti a oc­chio” da parte di chi aveva o ha di­me­sti­chezza con i loro ma­no­scritti);
c/ ve­ri­fica at­tra­verso le op­por­tune in­da­gini stru­men­tali della da­ta­zione de­gli in­chio­stri usati (da Go­rani nella let­tera e da Verri nella si­gla di pro­to­collo);
d/ ve­ri­fica della con­gruenza dei dati po­stali ri­scon­tra­bili sulla lettera;

ma so­prat­tutto:
e/ in­di­vi­dua­zione delle ra­gioni e del tono della let­tera, ele­menti sui quali ci pare nes­suno ab­bia ri­flet­tuto a do­vere.
Per­ché quel ta­glio così smac­ca­ta­mente adu­la­to­rio da parte di Go­rani?
Per­ché, a quasi 23 anni dalla na­scita di Ales­san­dro (7 marzo 1785), quel ri­fe­ri­mento a Giu­lia Man­zoni — ri­por­tato (ci sem­bra pro­prio in­ten­zio­nal­mente) su­bito dopo chiac­chiere su una vec­chia e brutta go­ver­nante? E — so­pra­tutto — a una pa­ter­nità di Gio­vanni Verri (a quanto ri­sulta, dallo stesso mai ri­co­no­sciuta e nem­meno in qual­che modo ri­cor­data), e ciò in una mis­siva che po­teva es­sere fa­cil­mente in­ter­cet­tata da ma­le­voli con­trol­lori?
Tra l’altro, nel pe­riodo in cui Giu­lia Bec­ca­ria (prima del ma­tri­mo­nio con Pie­tro Man­zoni) ebbe la nota re­la­zione amo­rosa con Gio­vanni Verri, Go­rani non era a Mi­lano (ba­sta guar­dare alla sua bio­gra­fia): tutto ciò che egli po­teva sa­pere sulle vi­cende amo­rose Giovanni/Giulia era quindi de re­lato e non frutto di una sua co­no­scenza di­retta.
Per­ché quei ri­fe­ri­menti ad Ales­san­dro come a un ricco “ca­va­liere” (Ales­san­dro mai ap­par­tenne a quell’ordine)?
Per­ché quel pre­sen­tare Blon­del pa­dre quasi fosse uno sco­no­sciuto, quando in­vece era in Mi­lano ben noto per il re­cen­tis­simo ac­qui­sto del fa­stoso Pa­lazzo Im­bo­nati af­fac­ciato su Piazza San Fe­dele ma so­prat­tutto per gli ab­ba­stanza re­centi e in­genti ac­qui­sti dei beni re­li­giosi messi in ven­dita da Na­po­leone?
Per­ché quella se­rie di er­rori di fatto (Blon­del in­di­cato come cit­ta­dino di Ve­vay — era in­vece nato a Villette/Losanna; l’educazione di En­ri­chetta in­di­cata es­sersi svolta a Gi­ne­vra — tutta l’educazione della gio­vane si svolse in­vece in Lom­bar­dia) ve­ra­mente cu­riosi in un Go­rani che si pro­pone come molto vi­cino a tutto l’ambiente mi­la­nese di cui egli parla — tanto più che in da molto tempo Go­rani vi­veva a Gi­ne­vra e quindi avrebbe po­tuto fa­cil­mente evi­tare fes­se­rie come dare En­ri­chetta come edu­cata nella città el­ve­tica. 
Per­ché tutto que­sto da parte di un at­tem­pato no­bile ca­detto (da sem­pre alla ri­cerca di de­naro) ri­volto a un solo poco meno at­tem­pato no­bile ca­detto, anch’egli da sem­pre vo­tato al me­de­simo impegno?

Ve­dremo di ap­pro­fon­dire la cosa più in là, in­da­gando me­glio sulle at­ti­vità di Go­rani in quel pe­riodo e an­che sulla at­ten­di­bi­lità “tec­nica” della let­tera in que­stione (l’indagine, da quel poco che ab­biamo po­tuto con­sta­tare, po­trebbe ri­sul­tare non così sem­plice es­sendo la let­tera ori­gi­nale nella di­spo­ni­bi­lità esclu­siva della Bi­blio­teca Am­bro­siana di Milano).

De­ci­sa­mente an­cor meno in­te­res­santi sono gli al­tri due do­cu­menti.
.

2º – Note dalla Collection Custodi.


Ms. ital. 1555, fol. 201, da­tato 20 ot­to­bre 1827:

«Giu­lia Bec­ca­ria, ri­pu­gnando di vi­vere col ma­rito D. Pie­tro Man­zoni, si era de­cisa a pro­vo­care il di­vor­zio per il fon­dato mo­tivo di es­sere egli ina­bile al ma­tri­mo­nio, per la man­canza de’ testicoli.»

Ms. ital. 1555, fol. 203 rº, senza data:

«Per as­se­ve­ranza di Pie­tro Ta­glio­retti, di Si­gi­smondo Riva e di al­tri amici della Giu­lia Bec­ca­ria-Man­zoni, il vero pa­dre di Ales­san­dro Man­zoni fu il ca­va­lier Gio­vanni Verri.»

Que­ste note ri­ma­sero na­sco­ste tra al­tre mi­gliaia del Cu­stodi per 78 anni e ven­nero pub­bli­cate solo nel 1905 dal bi­blio­te­ca­rio fran­cese L. Au­vray. Il quale as­sem­blò se­condo pro­pri cri­teri (e dan­dovi ti­toli pro­pri) fram­menti sparsi qua e là nella grande mole della Col­le­zione Cu­stodi.
Su que­sto do­cu­mento en­triamo più in det­ta­glio qual­che pa­ra­grafo più sotto; ba­sti per il mo­mento con­sta­tarne il ca­rat­tere “de re­lato”; non­ché ri­cor­dare la forte e mai na­sco­sta osti­lità di P. Cu­stodi nei con­fronti di A. Man­zoni da lui con­si­de­rato cor­re­spon­sa­bile (in uno con Fe­de­rico Con­fa­lo­nieri) della uc­ci­sione (20 aprile 1814 in Mi­lano) del Mi­ni­stro delle Fi­nanze Giu­seppe Prina, di cui Cu­stodi era stato a lungo stretto col­la­bo­ra­tore al Mi­ni­stero du­rante il na­po­leo­nico Re­gno d’Italia e ami­cis­simo sul piano personale.

Chiun­que può co­mun­que con­si­de­rare che se Pie­tro Man­zoni fosse stato nella con­di­zione in­di­cata da Cu­stodi (e nella im­pos­si­bi­lità quindi di avere una nor­male vita ses­suale), la già esperta Giu­lia se ne sa­rebbe evi­den­te­mente resa conto alla svelta e avrebbe po­tuto chie­dere — con sua grande sod­di­sfa­zione mo­rale ed eco­no­mica — l’annullamento im­me­diato del ma­tri­mo­nio.
La gio­vane sposa scelse in­vece di ma­ce­rarsi per sette anni in un le­game da lei di­chia­rato in­sop­por­ta­bile — fino a che non co­nobbe il ga­lante, di bella pre­senza e ric­chis­simo Carlo Im­bo­nati (ma que­sta è na­tu­ral­mente una os­ser­va­zione im­per­ti­nente).
Va da sé che l’argomento — “mi vo­glio se­pa­rare per­ché mio ma­rito è senza te­sti­coli e non può adem­piere ai do­veri co­niu­gali” — era per­fet­ta­mente fun­zio­nale ad ot­te­nere la se­pa­ra­zione, come im­man­ca­bil­mente av­venne.
Così come va da sé che gli amici della espan­siva Giu­lia non eb­bero al­cuna re­mora a con­fer­mare il “fatto” con le loro te­sti­mo­nianze, op­por­tu­na­mente or­che­strate dall’onnipresente Pie­tro Verri, già or­ga­niz­za­tore delle nozze della Giu­lia e poi del loro scioglimento.

3º – Frase di Niccolò Tommaseo

«Col­lo­qui con Man­zoni», Cap. I, pa­ra­grafo II: C. Beccaria):

«Anco di Pie­tro Verri (il Man­zoni) ra­giona con ri­ve­renza, tanto più ch’egli sa, e sua ma­dre non glielo dis­si­mu­lava, di es­ser ni­pote di lui, cioè fi­gliolo d’un suo fra­tello, ca­va­liere di Malta».

Que­sta me­mo­ria di Tom­ma­seo venne scritta sotto sua det­ta­tura nel 1855-1856 (lo scrit­tore era al­lora non più ve­dente) e da lui mai più ri­con­si­de­rata. Egli in­fatti morì con­vinto di avere per­duto l’intero fa­sci­colo che venne in­vece ri­tro­vato da­gli eredi e reso pub­blico solo nel 1928.
Non è dif­fi­cile pen­sare che, tor­nan­doci so­pra, da esperto scrit­tore si sa­rebbe ac­corto del ri­di­colo di quella frase ispi­ra­ta­gli solo dalla sua an­che pa­to­lo­gica pro­pen­sione al par­ti­co­lare pic­cante (per anni tem­pe­stò di ri­chie­ste Ce­sare Cantù per avere no­ti­ziole sulle vite pri­vate del bel mondo mi­la­nese da usare per le sue cro­na­chette scan­da­li­sti­che).
È in­fatti ve­ra­mente solo ri­di­cola l’idea che nel 1824-25, nel pieno della ri­de­fi­ni­zione dell’immagine di Donna Giu­lia (da li­ber­tina senza scru­poli a pia ma­trona vo­tata alla edi­fi­ca­zione re­li­giosa e al bene della fa­mi­glia), Man­zoni po­tesse sva­gare un Tom­ma­seo (stra­niero e senza re­la­zioni, poco più che ven­tenne e sem­pre alla fame no­no­stante il ta­lento let­te­ra­rio) col rac­conto dei gio­va­nili tor­nei amo­rosi della pro­pria ma­dre, ri­cor­dando an­che una pro­pria na­scita adul­te­rina — roba pro­prio da ridere!

Come si vede, si tratta di due ri­fe­ri­menti molto sin­te­tici, re­datti sotto forma di ap­punto, dai 23 ai 70 anni dopo la na­scita di Man­zoni e ri­ma­sti non solo non svi­lup­pati dopo la prima ste­sura di getto ma an­che a tutti ignoti (salvo forse po­chi in­timi de­gli au­tori) fino ai primi de­cenni del 1900 (ol­tre 115 anni dopo).

Rin­viando ad al­tra sede per una va­lu­ta­zione com­ples­siva su que­ste tre te­sti­mo­nianze (utili co­mun­que al con­te­stua­liz­zare la fi­gura del gio­vane Man­zoni), per il mo­mento vor­remmo li­mi­tarci a sot­to­li­neare che nes­suna di esse fu nota fino a molti anni dopo la morte di Man­zoni e dei suoi fi­gli. E nes­suna di esse ebbe al­cuna in­fluenza né sui primi né su­gli ul­timi anni di Man­zoni; né su di lui né sulla sua fa­mi­glia, am­biente, città, nazione.

Una nuova te­sti­mo­nianza pro­po­sta dal CNSM sotto forma di di­pinto.

Come ab­biamo vi­sto, nel docu-film non si cita al­cun ele­mento a so­ste­gno del “si sa­peva”. Ma si giuoca un’altra carta, evi­den­te­mente con­si­de­rata di peso: una “te­sti­mo­nianza” pittorica.

Ri­pren­diamo le pa­role pro­nun­ciate da Jone Riva all’inizio del capitolo:

«Una te­sti­mo­nianza della pa­ter­nità di Gio­vanni Verri è il qua­dro che Giu­lia Bec­ca­ria si fece fare da An­drea Ap­piani. È il ri­tratto di Giu­lia e sulla si­ni­stra, quasi in­se­rito in un se­condo tempo, quasi un ri­pen­sa­mento, c’è il ri­tratto di Ales­san­dro bambino.»

Il di­pinto cui Riva fa ri­fe­ri­mento (di pro­prietà pri­vata e con­ser­vato presso Villa Man­zoni di Bru­su­glio) è noto per le tante ri­pro­du­zioni: rap­pre­senta Giu­lia e Ales­san­dro ai suoi 5 anni e passa, os­sia nell’estate del 1790 (vedi qui a lato).

Ma tor­niamo a Jone Riva: «Que­sto qua­dro venne re­ga­lato da Giu­lia a Gio­vanni Verri quando, dopo es­sersi se­pa­rata da Gio­vanni Verri, si unì a Carlo Im­bo­nati.»
La frase è breve ma com­prende ben tre ele­menti: donose­pa­ra­zioneunione.
Li con­si­de­riamo la­sciando come ul­timo l’argomento “dono”.

«[…] dopo es­sersi se­pa­rata da Gio­vanni».
Che si­gni­fi­cato dob­biamo dare a que­sta espressione?

La “se­pa­ra­zione” è un atto for­male, a mo­di­fica di un dato al­tret­tanto for­male — un ma­tri­mo­nio, per esem­pio.
Ma Giu­lia né era spo­sata con Gio­vanni Verri né con lui mai con­visse. Era spo­sata con Pie­tro Man­zoni con il quale con­vi­veva re­go­lar­mente.
Come po­teva quindi “se­pa­rarsi” da Gio­vanni Verri?

Forse Jone Riva in­ten­deva dire che Giu­lia, con Gio­vanni, si era “la­sciata” / “mol­lata” nell’autunno del 1790. Ma è molto pro­ba­bile che il rap­porto tra Giu­lia e Gio­vanni si fosse in­ter­rotto già prima.
E che, dopo Gio­vanni, Giu­lia avesse avuto una re­la­zione con l’architetto Ta­glio­retti, già amico dello stesso Gio­vanni (lo dice Cu­stodi, an­che se le sue pa­role sono state pie­gate ad al­tre in­ter­pre­ta­zioni, ma con “ag­giu­sta­menti” non ac­cet­ta­bili su nes­sun piano, come ve­dremo poi).
Que­sta parte della frase di Jone Riva ap­pare quindi di non fa­cile interpretazione.

«[…] si unì a Carlo Im­bo­nati.» – E a que­sta se­conda parte della frase che si­gni­fi­cato pos­siamo attribuire?

Dob­biamo forse ve­dervi da parte di Jone Riva la pro­pen­sione a col­lo­care le re­la­zioni di Giu­lia in un qua­dro di nor­ma­lità isti­tu­zio­nale?
Con Gio­vanni si “se­para”, con Im­bo­nati si “uni­sce”.
Lo spet­ta­tore può in­fatti as­so­ciare la pa­rola “unione” a quelle “unioni ci­vili” re­cen­te­mente ap­pro­vate in par­la­mento ed equi­pa­rate per molti aspetti al matrimonio.

Nell’autunno del 1790 Giu­lia Man­zoni — e fino al 23 feb­braio 1792 — vi­veva nella me­de­sima casa del ma­rito Pie­tro Man­zoni.
Con Im­bo­nati, quindi, non po­teva “unirsi”. Sem­mai po­teva avere av­viato con lui una re­la­zione ex­tra-co­niu­gale, dopo avere in­ter­rotto (non sap­piamo con pre­ci­sione quando) una pre­ce­dente re­la­zione ex­tra-co­niu­gale con Gio­vanni Verri e — con ogni pro­ba­bi­lità — un’altra an­cora con Taglioretti.

Ma ve­niamo al “dono” del di­pinto e ri­leg­giamo la frase di Jone Riva, molto as­ser­tiva:
«Que­sto qua­dro venne re­ga­lato da Giu­lia a Gio­vanni Verri quando, dopo es­sersi se­pa­rata da Gio­vanni Verri, si unì a Carlo Imbonati.»

Il qua­dro do­nato: il fatto.
Jone Riva dà per scon­tato che Giu­lia ab­bia re­ga­lato a Gio­vanni Verri il qua­dro che tutti co­no­sciamo e che è a Bru­su­glio. In pro­po­sito però i do­cu­menti di­cono al­tro – lo ve­dremo più avanti.

Per il mo­mento ri­le­viamo che esi­stono di­verse va­rianti di quella che è una in­ven­zione let­te­ra­ria, pre­di­spo­sta da Flori nel 1934 ma espressa espli­ci­ta­mente la prima volta — ci sem­bra — da Chio­menti Vas­salli nel 1956 («Giu­lia Bec­ca­ria, la ma­dre del Man­zoni», pag. 74):
«poi­ché que­sto ri­tratto era stato re­ga­lato da Giu­lia a Gio­vanni Verri […]».

Dopo qual­che anno l’aveva se­guita Guido Bez­zola, rin­for­zando an­che i toni e in­tro­du­cendo la fi­gura di Ta­glio­retti («Giu­lia Man­zoni Bec­ca­ria», 1985, pag. 259):
«Il ri­tratto dell’Appiani era stato di si­curo do­nato a Gio­vanni Verri e non al Taglioretti».

Marta Bo­ne­schi («Quel che il cuore sa­peva: Giu­lia Bec­ca­ria, i Verri, i Man­zoni», 2004, pag. 175):
«Il ri­tratto dell’Appiani, un re­galo a Gio­vanni, non è un mes­sag­gio d’amore ma di di­sap­pro­va­zione. L’amabile ca­va­liere […] si è le­gato a Bam­bina […] Per­ché do­nar­gli un ri­tratto di sé con il bam­bino, se quel bam­bino non è ap­punto un fi­glio suo, che però lui ignora come tra­scura la ma­dre?».
Ma Bo­ne­schi non dice da dove le viene que­sta con­vin­zione del “dono”, se non dalla pro­pria crea­ti­vità letteraria.

Gra­zia Ma­ria Grif­fini Ro­snati («Giu­lia Bec­ca­ria: Let­tere», In­tro­du­zione, pag. XXVIII) sul ri­tratto è a volte più pru­dente:
«Si tratta di un di­pinto un tempo at­tri­buito ad An­drea Ap­piani gio­vane […] Se l’opera va at­tri­buita, come sem­bra, al 1790 circa, e se fu ve­ra­mente of­ferto da Giu­lia al Verri […]».
A volte è in­vece as­ser­tiva:
«il ri­tratto è ef­fet­ti­va­mente quello che Giu­lia donò a Gio­vanni Verri».
Ma è co­mun­que cauta su Ta­glio­retti:
«le let­tere mai rin­ve­nute po­treb­bero es­sere state di­rette al Verri stesso op­pure al Ta­glio­retti, che fre­quen­ta­tore as­si­duo del gruppo, non si esclude sia stato an­che di Giu­lia il de­voto ca­va­lier ser­vente … e niente di più, op­pure sì?».

Come si vede, molte le ipo­tesi let­te­ra­rie ma nes­sun ele­mento con un mi­nimo di ve­ri­di­cità sto­rica. Sta di fatto che non esi­ste do­cu­mento che ci dica es­sere stato quel qua­dro a noi ben noto re­ga­lato da Giu­lia a Gio­vanni, come af­fer­mato as­ser­ti­va­mente da Jone Riva.

Il let­tore si chie­derà a par­tire da cosa sia nata que­sta con­ge­rie di parti let­te­rari più o meno strut­tu­rati e da dove salti fuori quel Ta­glio­retti, su cui ba­le­nano cose dette a metà.

La ri­spo­sta è sem­plice: si parte dalla ela­bo­ra­zione di una nota di Pie­tro Cu­stodi del 1827 a opera, nel 1935, di Ezio Flori (uno dei più pro­li­fici pub­bli­ci­sti sulle te­ma­ti­che man­zo­niane della prima metà del ’900), alla quale si sono ac­co­dati quasi tutti i com­men­ta­tori suc­ces­sivi. E su cui è op­por­tuno fare un po’ di chiarezza.

Le carte Cu­stodi.
Alla morte di Pie­tro Cu­stodi (1842) una parte con­si­stente delle sue carte venne sven­duta da­gli eredi e va­ria­mente smem­brata, fi­nendo nel 1862 nelle di­spo­ni­bi­lità della Bi­blio­thè­que Im­pe­riale de France, dove tra il 1902 e il 1903 ven­nero ca­ta­lo­gate dal bi­blio­te­ca­rio Lu­cien Au­vray. Que­sti, sti­mo­lato forse dalla pub­bli­ca­zione del li­bro “Brani ine­diti dei Pro­messi Sposi”, cu­rato da Gio­vanni Sforza nel 1905, volle ri­ta­gliarsi uno spa­zio proprio.

Pub­blicò in­fatti, in ap­pen­dice alla pro­pria me­ri­to­ria ca­ta­lo­ga­zione delle carte Cu­stodi (1905), una rac­colta di ap­punti dello scrit­tore, ap­pa­ren­te­mente de­di­cata a vari per­so­naggi po­li­tici e let­te­rari del primo ’800 ita­liano ma in realtà fo­ca­liz­zata su Man­zoni, o me­glio sull’intimità della fa­mi­glia Manzoni.

Per es­sere si­curo di at­ti­rare l’attenzione, Au­vray uti­lizzò al­cuni “fram­menti” di Cu­stodi con­fi­nanti con la co­pro­la­lia. Per in­sa­po­rire il tutto, si in­ventò il ti­tolo «Con­tre Man­zoni», ine­si­stente nelle carte di Custodi.

E inol­tre li pre­sentò (Bul­le­tin Ita­lien – Tome V / n ° 1 Jan­vier-Mars 1905 – An­nexe III – Frag­ments des Me­moi­res de Cu­stodi – pp. 360-364) in una forma così or­di­nata da in­durre ine­vi­ta­bil­mente il let­tore a ri­te­nerli re­datti in quella suc­ces­sione dallo stesso Cu­stodi. In realtà Au­vray as­sem­blò an­no­ta­zioni, spunti, “fram­menti” di fatti e idee, sparsi qua e là tra le nu­me­ro­sis­sime carte di Custodi.

La rac­colta com­pi­lata da Au­vray re­la­ti­va­mente a Man­zoni si com­pone di cin­que Ca­pi­toli, il Primo e il Se­condo dei quali de­di­cati ad aspetti della vita in­tima di Giu­lia Bec­ca­ria. Il Ca­pi­tolo Se­condo (que­sto reso da Au­vray per­fet­ta­mente ade­rente al ma­no­scritto) è quello a par­tire dal quale si sono sbri­gliate le fan­ta­sie dei let­te­rati so­pra ci­tati (e del CNSM) circa il “qua­dro” pre­sun­ti­va­mente re­ga­lato da Giu­lia a Giovanni.

Come an­ti­ci­pato, su que­sto ar­go­mento stiamo pre­pa­rando uno stu­dio ap­pro­fon­dito nel quale il­lu­stre­remo che il vero dan­neg­giato dall’operazione di Au­vray fu Cu­stodi, che vi ap­pare come uno sto­rico d’accatto, su­per­fi­ciale, di­spo­ni­bile a ri­ma­sti­care qual­siasi di­ce­ria, igno­rante di fatti sto­rici fa­cil­mente ve­ri­fi­ca­bili, stu­pi­da­mente e inu­til­mente vol­gare. In­somma, tutto il con­tra­rio di ciò che pen­siamo di Cu­stodi e si­cu­ra­mente tutto il con­tra­rio di ciò che di se stesso lo scrit­tore vo­leva tra­smet­tere. Ma di ciò in al­tro luogo.

Per il mo­mento ci li­mi­tiamo a ri­por­tare: a) i primi due ca­po­versi del Ca­pi­tolo Primo e l’intero Ca­pi­tolo Se­condo delle carte Cu­stodi pro­po­ste da Au­vray (a lato il ma­no­scritto); b) il te­sto di Flori, così come stam­pato nel 1935. Il let­tore avrà così modo di com­pren­dere il per­ché della no­stra va­lu­ta­zione così ne­ga­tiva nei con­fronti di quanto pro­po­stoci da Flori.

Ecco di se­guito il te­sto di Cu­stodi e la sua ri­vi­si­ta­zione ope­rata da Flori.

Te­sto di Cu­stodi, 1827
ri­preso ab­ba­stanza cor­ret­ta­mente da Au­vray nel 1905:

«Note bio­gra­fi­che di Ales­san­dro Man­zoni»
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Ca­pi­tolo Primo
20 Ott.e 1827.
La fa­mi­glia Man­zoni è ori­gi­na­ria di Barzo, nella Val­sas­sina, dove esi­ste an­cora la non pic­cola casa de’ suoi an­te­nati.
(N. [nota a mar­gine] Fino al 1814, non aveva egli an­cora stam­pato se non che il bel poe­metto in morte d’Imbonati e qual­che Inno.)
Giu­lia Bec­ca­ria, ri­pu­gnando di vi­vere col ma­rito D. Pie­tro Man­zoni, si era de­cisa a pro­vo­care il di­vor­zio per il fon­dato mo­tivo di es­sere egli ina­bile al ma­tri­mo­nio, per la man­canza de’ te­sti­coli; ma sic­come tro­va­vasi gra­vida, ne fu dis­suasa da­gli amici per non pub­bli­care la sua ver­go­gna; onde par­torì al ma­rito il fi­glio non suo, Ales­san­dro.
Morto il pa­dre, il di lui ca­da­vere fu sep­polto nel pic­colo ve­sti­bolo della sa­gre­stia an­nessa all’oratorio del suo pa­lazzo del Ga­leotto» [se­guono al­tre due pa­gine a stampa – NdR]

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Ca­pi­tolo Secondo

1. Per as­se­ve­ranza di Pie­tro Ta­glio­retti, di Si­gi­smondo Riva e di al­tri amici della Giu­lia Bec­ca­ria-Man­zoni, il vero pa­dre di Ales­san­dro Man­zoni fu il ca­va­lier Gio­vanni Verri, che morì in Como po­chi anni sono.
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2. Alla morte di Pie­tro Ta­glio­retti, que­sti mo­stra­vasi in­quieto dell’esito che avreb­bero avuto cin­que vo­lumi, nei quali egli aveva fatto le­gare la sua cor­ri­spon­denza con­fi­den­ziale colla Giu­lia; e l’amico che l’assisteva l’assicurò che, per que­sta parte, mo­risse tran­quillo, ch’egli stesso s’incaricava di sot­trarli alle ispe­zioni giu­di­zia­rie e ri­met­terlo all’amica; il che ese­guì, pas­san­dole an­che in ag­giunta il di lei ri­tratto, opera della gio­ventù di A. Ap­piani, di che essa in­den­nizzò gli eredi col pa­ga­mento di tre dop­pie di Ge­nova.
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3. La con­ver­sione re­li­giosa della Giu­lia era stata in­co­min­ciata, vi­vente an­cora Giu­seppe Im­bo­nati, in Pa­rigi, dall’ex-vescovo Gré­goire, e da un prete ita­liano / ivi dimorante… /.

Te­sto di Flori da «Sog­giorni e vil­leg­gia­ture man­zo­niane», 1934, pag. 25-26
nel quale as­sem­bla a modo suo il te­sto di Custodi/Auvray (lo ri­por­tiamo senza al­cun ac­capo, esat­ta­mente come è nello stam­pato di Flori):
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«Che il Cu­stodi sia acido nei ri­guardi del Man­zoni, non si nega; ma, in­somma, delle sue af­fer­ma­zioni circa la pa­ter­nità del grande no­stro reca te­sti­mo­nianze e prove, da­vanti le quali non è pos­si­bile far le vi­ste di non ve­dere o di non sen­tire. Scrive egli adun­que: “Giu­lia Bec­ca­ria, re­pu­gnando a vi­vere col ma­rito D. Pie­tro Man­zoni, s’era de­cisa a pro­vo­care il di­vor­zio per il fon­dato mo­tivo di es­sere egli ina­bile al ma­tri­mo­nio… (nota 15: Il Cu­stodi di­chiara aper­ta­mente, a que­sto punto, il mo­tivo di tale ina­bi­lità); ma sic­come tro­va­vasi gra­vida, ne fu dis­suasa da­gli amici per non pub­bli­care la sua ver­go­gna; onde par­torì al ma­rito il fi­glio non suo, Ales­san­dro… Per as­se­ve­ranza di Pie­tro Ta­glio­retti, di Si­gi­smondo Silva e di al­tri amici della Giu­lia Bec­ca­ria Man­zoni, il vero pa­dre di Ales­san­dro Man­zoni fu il ca­va­liere Gio­vanni Verri, che morì in Como po­chi anni or sono. Alla morte di Pie­tro Ta­glio­retti, que­sti mo­stra­vasi in­quieto dell’esito che avreb­bero avuto cin­que vo­lumi, nei quali aveva egli fatto le­gare la sua cor­ri­spon­denza con­fi­den­ziale colla Giu­lia, e l’amico che l’assisteva l’assicurò che, per que­sta parte, mo­risse tran­quillo, chè egli stesso s’incaricava di sot­trarli alle ispe­zioni giu­di­zia­rie e ri­met­terli all’amica: il che ese­guì, pas­san­dole in ag­giunta il di lei ri­tratto, opera della gio­ventù di A. Ap­piani di che essa in­den­nizzò gli eredi col pa­ga­mento di tre dop­pie di Genova».

Come ap­pare a evi­denza, il Ca­pi­tolo Se­condo di Cu­stodi è com­po­sto da tre pa­ra­grafi: nu­me­rati; net­ta­mente di­stinti come espo­si­zione e come con­te­nuti; al­tret­tanti pro-me­mo­ria per tre di­versi ar­go­menti re­la­tivi alla vita di Giu­lia:
— il primo è sulla sup­po­sta pa­ter­nità di Verri;
— il se­condo sul rap­porto tra Giu­lia e Ta­glio­retti;
il terzo sul riav­vi­ci­na­mento di Giu­lia alla re­li­gione (tra l’altro con un er­rore in­cre­di­bile di al­meno cin­que anni sul quando ciò si sa­rebbe in realtà ve­ri­fi­cato; sul un tutto in­ven­tato ruolo di Gré­goire nella vi­cenda; sul nome dell’Imbonati com­pa­gno di Giu­lia, all’anagrafe “Gio­vanni Carlo” una­ni­me­mente noto come “Carlo” ma in­di­cato da Cu­stodi come “Giu­seppe” — che era il nome del pa­dre di Carlo).

Al­tret­tanto a evi­denza (ri­guar­date i due te­sti af­fian­cati), dal te­sto di Cu­stodi Flori ha:

a) messo di se­guito il terzo ca­po­verso del Ca­pi­tolo 1º e i due primi del Ca­pi­tolo 2º, la­sciando in mezzo sem­pli­ce­mente punti di so­spen­sione (che po­treb­bero sem­brare dello stesso Cu­stodi), senza af­fatto in­di­care il salto di due pa­gine a stampa da egli stesso operato;

b) del Ca­pi­tolo 2º ha can­cel­lato la nu­me­ra­zione, che nell’originale di Cu­stodi (ri­preso in que­sto fe­del­mente da Au­vray) di­stin­gue net­ta­mente i tre paragrafi;

c) di que­sti ul­timi ha cas­sato sia la di­stinta nu­me­ra­zione sia l’accapo tra il primo e il se­condo paragrafo;

d) ha eli­mi­nato del tutto il terzo paragrafo.

Quest’ultima ra­so­iata era in­di­spen­sa­bile per due ra­gioni:
— la prima: per­ché riu­sciva im­pos­si­bile farne un con­ti­nuo coe­rente ri­spetto ai primi due;
— la se­conda: per­ché se­gna­lava a evi­denza l’obbligo di leg­gere con grande pru­denza gli ap­punti di Cu­stodi, stesi esclu­si­va­mente per sé e non per la stampa.
Ma su que­sti ap­punti in­vece Flori giu­rava (lo ab­biamo vi­sto sopra).

Que­sta bella ope­ra­zione di Flori — una li­bera ri­vi­si­ta­zione sia di Cu­stodi che di Au­vray — è stata ri­presa (can­di­da­mente o meno non im­porta) dai suoi se­guaci in fan­ta­sia, ognuno a modo pro­prio.
Cer­cando però tutti di to­gliere Ta­glio­retti dalla li­sta dei pos­si­bili amanti di Giu­lia e di farne un sem­plice amico, com­pia­cente tra i due in­na­mo­rati Gio­vanni e Giulia.

Il che è even­tual­mente ipo­tiz­za­bile solo am­pu­tando e mo­di­fi­cando il te­sto di Cu­stodi, esat­ta­mente come fatto da Flori.

Non che la cosa in sé ab­bia grande im­por­tanza (fu inin­fluente per la vita di Ales­san­dro Man­zoni il “se” e il “quanti” amanti avesse avuto sua ma­dre Giu­lia) ma ab­biamo vo­luto en­trare nel det­ta­glio per­ché fin qui non ab­biamo pro­prio com­preso in che modo que­sto qua­dro sa­rebbe una «te­sti­mo­nianza» del fatto che Gio­vanni fosse il pa­dre na­tu­rale di Ales­san­dro, come af­fer­mato da Jone Riva.

Tanto più che ci sem­bra che il pre­sup­po­sto di tutto il di­scorso sia as­so­lu­ta­mente nullo.

Ri­te­niamo in­fatti sia da esclu­dere che il ri­tratto di Giu­lia e Ales­san­dro bam­bino (che tutti co­no­sciamo e che è con­ser­vato a Bru­su­glio) sia quello che era nelle di­spo­ni­bi­lità di Ta­glio­retti alla sua morte e che i suoi eredi ven­det­tero a Giu­lia Bec­ca­ria Man­zoni, se­condo quanto ne scrive Cu­stodi.

Ve­diamo per­ché, co­min­ciando dal chi lo ha realizzato.

Chi è l’autore del ri­tratto?
Sull’identità dell’artista che rea­lizzò il qua­dro, per molti anni i pa­reri non sono stati per nulla unanimi.

Da un lato c’era (nella scheda già ci­tata, de­di­cata a Man­zoni e alla ma­dre Giu­lia) la frase di Pie­tro Cu­stodi del 1827, Cap. 2º, pa­ra­grafo 3:

«Alla morte di Pie­tro Ta­glio­retti, que­sti mo­stra­vasi in­quieto dell’esito che avreb­bero avuto cin­que vo­lumi, nei quali egli aveva fatto le­gare la sua cor­ri­spon­denza con­fi­den­ziale colla Giu­lia; e l’amico che l’assisteva l’assicurò che, per que­sta parte, mo­risse tran­quillo, ch’egli stesso s’incaricava di sot­trarli alle ispe­zioni giu­di­zia­rie e ri­met­terlo all’amica; il che ese­guì, pas­san­dole an­che in ag­giunta il di lei ri­tratto, opera della gio­ventù di A. Ap­piani, [sot­to­li­nea­tura no­stra] di che essa in­den­nizzò gli eredi col pa­ga­mento di tre dop­pie di Genova.»

L’indicazione di Cu­stodi era raf­for­zata da Te­resa Borri (la se­conda mo­glie di Man­zoni) che, in una nota d’archivio re­la­tiva a un da­gher­ro­tipo del qua­dro, scri­veva (la sot­to­li­nea­tura è nostra):

«Da­guerre ca­vato da un Di­pinto d’Appiani il Lu­glio 1852. Ri­tratto della ma­dre d’Alessandro Man­zoni (Giu­lia Bec­ca­ria d’anni 29) con suo fi­glio sud[det]to d’anni 5».

In casa Man­zoni era quindi ac­qui­sito che il qua­dro fosse opera del quo­ta­tis­simo An­drea Ap­piani, tanto che la tela fu sem­pre in bella vi­sta nella Villa dei Man­zoni a Bru­su­glio, of­frendo lo spunto ad Ales­san­dro adulto per ri­cor­dare di­ver­tito agli amici che, es­sendo egli ir­re­quieto al mo­mento della posa del qua­dro, gli fa­ce­vano ve­dere una aran­cia per distrarlo.

Di tali au­to­re­voli te­sti­mo­nianze i cri­tici d’arte hanno certo te­nuto conto ma, cu­rio­sa­mente, con ri­serva. Ai co­no­sci­tori di Ap­piani quel qua­dro non con­vin­ceva del tutto per una certa gof­fag­gine pro­spet­tica, del tutto in­so­lita nel ce­le­bre pit­tore mi­la­nese, sem­pre molto pre­ciso nella rap­pre­sen­ta­zione del corpo umano.
E in­fatti, an­che tra gli scrit­tori che si sono oc­cu­pati della fa­mi­glia Man­zoni, le po­si­zioni sono state differenziate.

Gra­zia Ma­ria Grif­fini Ro­snati («Giu­lia Bec­ca­ria: Let­tere», In­tro­du­zione, pag. XXVIII) era pru­dente:
«Si tratta di un di­pinto un tempo at­tri­buito ad An­drea Ap­piani gio­vane […] Se l’opera va at­tri­buita, come sem­bra, al 1790 circa».

Guido Bez­zola è in­vece per at­tri­buire senza ri­serve il qua­dro ad Ap­piani («Giu­lia Man­zoni Bec­ca­ria», 1985, pag. 259):
« Il ri­tratto dell’Appiani era stato di si­curo do­nato a Gio­vanni Verri».

Al­tret­tanto as­ser­tiva si mo­strava Marta Bo­ne­schi («Quel che il cuore sa­peva: Giu­lia Bec­ca­ria, i Verri, i Man­zoni», 2004, pag. 175):
« Il ri­tratto dell’Appiani, un re­galo a Giovanni».

Dal canto suo Jone Riva, in «Im­ma­gini di Casa Man­zoni» del 2011, lo in­di­cava come « at­tri­buito ad Ap­piani».
Men­tre oggi, nel suo in­ter­vento del docu-film, pur no­tan­done una non per­fetta ese­cu­zione, ci dice: «il qua­dro che Giu­lia si fece fare da An­drea Ap­piani».

E an­che la cri­tica più re­cente sem­bra orien­tata in quest’ultima direzione.

Ne dà te­sti­mo­nianza un re­cente la­voro di Fran­ce­sco Leone («An­drea Ap­piani, pit­tore di Na­po­leone») in cui si at­tri­bui­sce senz’altro ad Ap­piani il qua­dro.
A so­ste­gno, Leone pre­senta le note stese da Fran­ce­sco Reina (av­vo­cato ma an­che cri­tico d’arte e col­le­zio­ni­sta) a com­mento dell’opera del coevo Ap­piani:
«Il Ta­glio­retti [1820] ha qui presso di sé fi­nito il ri­tratto [opera di Ap­piani] / di Giu­lia Man­zoni grande quasi al vero in sala / ab­bi­gliata con cap­pello nero ed abito all’inglese» [Ma­no­scritto 203].

Sem­bre­rebbe quindi che la que­stione debba con­si­de­rarsi chiusa.

E in­vece ri­mane aperta. Anzi! Aper­tis­sima.
Per la sem­plice ra­gione che il qua­dro de­scritto da Reina (la fonte pri­ma­ria di ogni con­si­de­ra­zione sul di­pinto), di tutta evi­denza NON è il qua­dro che ci è noto e che è cu­sto­dito a Villa Man­zoni di Brusuglio.

Siamo vo­lu­ta­mente as­ser­tivi per ri­chia­mare l’attenzione del let­tore su al­cuni ele­menti, noti da sem­pre, ma sui quali cre­diamo nes­suno ha pre­stato la do­vuta attenzione.

Guar­diamo in­sieme il qua­dro e leg­giamo per in­tero sia la de­scri­zione fat­tane da Te­resa Borri Man­zoni, di cui più so­pra ab­biamo an­ti­ci­pato una frase, sia la de­scri­zione che ne fece per la prima volta il col­le­zio­ni­sta e cri­tico d’arte Fran­ce­sco Reina, ri­pre­sen­tata con cura da Leone nel suo li­bro (più so­pra ne ab­biamo ri­preso solo le prime due righe).

Te­sto di Te­resa Borri Man­zoni, 1852
(a com­mento del da­gher­ro­tipo del qua­dro, ese­guito nel 1852 – no­stra la sottolineatura):

«Cap­pello nero / Ca­pelli rossi in­ci­priati – oc­chi verdi – co­lo­rito ro­seo / e bian­chis­simo – ve­stito co­lor verde, con re­bord / co­lor cio­co­latte. Faz­zo­letto di garza bianca. / Il bam­bino ha un giub­bino di seta rossa, con una che­mi/-sette, bianca, guar­nita di mussola.»

Te­sto di Reina, 1820
(
ri­preso da Leone – no­stra la sot­to­li­nea­tura):

«Il Ta­glio­retti [1820] ha qui presso di sé fi­nito il ri­tratto / di Giu­lia Man­zoni grande quasi al vero in sala / ab­bi­gliata con cap­pello nero ed abito all’inglese con / ro­ve­sci neri. Ella col­lo­cata alla si­ni­stra del ri­guar­dante / sta mi­rando il pro­prio fi­gliuo­letto, che sta alla / de­stra [del ri­guar­dante, ndr] ri­volto alla ma­dre. È di­pinto / pieno di vezzo (mi­gno­ne­rie) e di vo­luttà ben­ché ca­sti­ga­tis­simo e tutto / co­perto. Quest’effetto na­sce dal ca­rat­tere della fi­sio­no­mia / della ce­le­bre donna fi­gliuola del march.e Ce­sare Bec­ca­ria, / il cui nome è un elogio».

Le pa­role di Te­resa Borri Man­zoni sono pre­cise e de­scri­vono esat­ta­mente il qua­dro quale lo pos­siamo ve­dere con i no­stri occhi.

Ma per la de­scri­zione di Reina le cose non tor­nano e il let­tore at­tento se ne sarà già ac­corto.
Quest’ultima de­scri­zione “sem­bra” ri­fe­rirsi al no­stro qua­dro ma ri­spetto a esso pre­senta tre evi­denti discrepanze:

a/ una di ca­rat­tere “geo­me­trico”.
Reina scrive [ri­fe­ren­dosi a Giu­lia]: «sta mi­rando il pro­prio fi­gliuo­letto»;

b/ la se­conda di ca­rat­tere “cro­ma­tico”.
Del co­lore, Reina dice «con cap­pello nero ed abito all’inglese con / ro­ve­sci neri»;

c/ la terza di ca­rat­tere “psi­co­lo­gico”.
Del “tono” del qua­dro, Reina dice che è «pieno di vezzo (mi­gno­ne­rie) e di vo­luttà».

Ma, guar­dando il qua­dro, le cose stanno in tutt’altro modo:

1. Nel “no­stro” qua­dro, Giu­lia non “mira” af­fatto il pro­prio fi­gliuo­letto.
Guarda in­vece fisso ne­gli oc­chi lo spet­ta­tore, con un di­stacco psi­chico nei con­fronti del bimbo che le sta ac­canto che è stato ri­le­vato da molti come in­di­zio di uno scarso in­te­resse di Giu­lia per il pic­colo Alessandro.

2. Nel “no­stro” qua­dro, il cap­pello è nero ma i ro­ve­sci dell’abito all’inglese sono co­lor mar­rone.
A se­conda della qua­lità delle ri­pro­du­zioni, que­sto “mar­rone” ri­sulta più o meno scuro, ma il co­lore è in­du­bi­ta­bil­mente quello che Te­resa Stampa Man­zoni in­dica con pre­ci­sione (lo ab­biamo già citato):

«Cap­pello nero / Ca­pelli rossi in­ci­priati – oc­chi verdi – co­lo­rito ro­seo / e bian­chis­simo – ve­stito co­lor verde, con re­bord / co­lor cio­co­latte. Faz­zo­letto di garza bianca. / Il bam­bino ha un giub­bino di seta rossa, con una che­mi/-sette, bianca, guar­nita di mussola.»

Una cu­rio­sità su que­sta te­sti­mo­nianza della mo­glie di Ales­san­dro: nel li­bro di Jone Riva «Im­ma­gini di Casa Man­zoni» (1998 e 2008), a pro­po­sito di quella nota di Te­resa Man­zoni sul da­gher­ro­tipo, viene ri­por­tato “quasi” tutto il te­sto (vedi pag. 130).
La frase «ve­stito co­lor verde, con re­bord / co­lor cio­co­latte!» è in­vece omessa.
.
3. Nel “no­stro” qua­dro, di «vo­luttà», con tutta la buona vo­lontà, se ne co­glie poca, come ri­le­vato dai com­men­ta­tori, con toni di­versi ma uni­voci nella sostanza:

Chio­menti Vas­salli (cit.):
«Nella fi­sio­no­mia della gen­til­donna si legge una stan­chezza in­te­riore che sem­bra già ri­flet­tere un’ombra di pre­coce vec­chiaia sul volto. Vi si legge un senso di di­stacco e di disinteresse […].»

Ro­mano Ame­rio (Bru­su­glio: guida alla vi­sita di Villa Man­zoni, 1977):
«Nel ri­tratto Giu­lia ha […], lo sguardo at­to­nito e spento. La fi­sio­no­mia in­somma è ve­lata di tri­stezza e pende al mascolino.»

Na­ta­lia Ginz­burg («La fa­mi­glia Man­zoni», 1985):
«Nel ri­tratto, Giu­lia è ve­stita da amaz­zone. Ha una fac­cia dura, os­suta e stanca. Guarda nel vuoto. Nes­suna vi­si­bile te­ne­rezza per quel bam­bino che le sta ap­pog­giato al ginocchio.»

Fran­ce­sco Cor­dero («La Fab­brica della pe­ste», 1985):
«nel ri­tratto col fi­glio bam­bino ap­pare na­suta, col mento a punta e una luce fissa piut­to­sto si­ni­stra ne­gli occhi».

I casi sono due.
O Reina, nella sua nota so­pra ri­por­tata, si è cla­mo­ro­sa­mente di­stratto su forma, co­lori e tono del di­pinto (no­no­stante in tutte le sue de­scri­zioni di­mo­stri una grande at­ten­zione an­che al dettaglio).

Op­pure:

A. La de­scri­zione di Reina si ri­fe­ri­sce a un al­tro qua­dro – che però non ci è noto – nel quale:

1. Giu­lia guar­dava Ales­san­dro;
2. i “re­bord” dell’abito erano neri;
3. vi era una nota evi­dente di vo­luttà.

e quindi:

B. Il “no­stro” qua­dro (quello con­ser­vato a Bru­su­glio) è una co­pia, nella quale com­mit­tente e pit­tore hanno voluto:

1. mo­di­fi­care la di­re­zione dello sguardo di Giu­lia;
2. can­cel­lare ogni trac­cia di fem­mi­nile ab­ban­dono “vo­lut­tuoso”;
3. ren­dere i “re­bord” dell’abito di “co­lore cio­co­latte”, an­zi­ché neri.

op­pure:

C. Quando nel 1823 il qua­dro venne nelle di­spo­ni­bi­lità piene di Giu­lia, un al­tro ar­ti­sta (che non ci è noto) ha messo pen­nelli e co­lori sul qua­dro in ori­gine di­pinto da Ap­piani (morto nel 1817), por­tan­dovi le mo­di­fi­che che ab­biamo già evidenziato.

L’artista che rea­lizzò il qua­dro “co­pia” o “so­vra di­pinto”, per la po­stura del volto di Giu­lia, po­trebbe avere preso come ri­fe­ri­mento (spe­cu­lare) il ri­tratto opera della Co­sway (circa 1797, ai primi tempi di Giu­lia a Pa­rigi con Carlo Im­bo­nati); men­tre per la fi­sio­no­mia di Giu­lia aveva a di­spo­si­zione l’originale (a lato un ri­tratto che ce la pre­senta come do­veva es­sere dopo il 1823, su­pe­rati i ses­santa e con­so­li­data nella ri­de­fi­ni­zione della pro­pria im­ma­gine pubblica).

Ri­tratto di Giu­lia Bec­caia Man­zoni, 1790, dal docu-film at­tri­buito ad Ap­piani. A no­stro av­viso co­pia ex-novo o ri­fa­ci­mento, dopo il 1823.

Ri­tratto di Giu­lia Bec­ca­ria Man­zoni, ese­guito da Co­sway a Pa­rigi, circa 1796-97.

Ri­tratto di Giu­lia Bec­ca­ria Man­zoni, circa 1825.

Da qui pro­ba­bil­mente quella ar­ti­fi­cio­sità del ri­tratto, oggi at­tri­buito de­ci­sa­mente ad Ap­piani (ma anni fa con molte ri­serve), non­ché la ri­gi­dità psi­co­lo­gica che tra­smette, evi­den­ziate da tanti acuti scrit­tori, come ab­biamo vi­sto più sopra.

Dando pra­ti­ca­mente per certo che del qua­dro sia stata fatta una co­pia ex-novo, o si sia la­vo­rato so­pra l’originale di Ap­piani (quest’ultima ipo­tesi sa­rebbe fa­cil­mente ve­ri­fi­ca­bile con una ade­guata ana­lisi pu­ra­mente tec­nica), re­sta da ri­spon­dere a un’altra domanda.

Per­ché il ri­tratto è stato rifatto?

Nel 1823, quando venne in pos­sesso del qua­dro (fino ad al­lora nelle mani di Ta­glio­retti), Giu­lia Man­zoni si tro­vava nel pieno del suo riav­vi­ci­na­mento alla re­li­gione e alla so­cietà ben pen­sante mi­la­nese. Il suo li­bero pas­sato sen­ti­men­tale a Mi­lano non era stato vi­sto di buon oc­chio, an­che per le ma­le­voli con­si­de­ra­zioni circa il te­sta­mento con cui Carlo Im­bo­nati, suo no­to­rio com­pa­gno di vita tra il 1795 e il 1805, la la­sciava unica erede di una for­tuna di grande ri­lievo, col­lo­cando i Man­zoni ai primi po­sti della scala so­ciale (non solo mi­la­nese) ma la­sciando bri­ciole alle pro­prie nu­me­rose so­relle, al­cune delle quali di con­di­zione re­la­ti­va­mente mo­de­sta.
E an­che il ma­tri­mo­nio di Ales­san­dro con una cal­vi­ni­sta non aveva gio­vato all’immagine della fa­mi­glia presso gli am­bienti più tradizionalisti.

Il ri­ma­neg­gia­mento (o co­pia ex-novo) del qua­dro si col­lo­cava per Giu­lia in que­sto per­corso di rein­se­ri­mento nell’ambiente della pro­pria città, da cui si era al­lon­ta­nata molti anni prima, an­che fi­si­ca­mente.
Do­veva per lei es­sere im­por­tante non la­sciare al­cun ri­cordo della pro­pria li­bertà sen­ti­men­tale (ri­cor­date la “vo­luttà” in­di­cata da Reina come nota do­mi­nante del ri­tratto), e anzi di dare di sé un’immagine se­vera (quella che gli scrit­tori ci­tati hanno per­ce­pito come ri­gi­dità e fis­sità), più con­sona a quel ruolo di ”ma­trona”, uni­ca­mente de­dita alla fa­mi­glia e alla re­li­gione, che si era as­sunta con im­pe­gno (e an­che con qual­che esagerazione).

In realtà il ri­tratto Giu­lia-Ales­san­dro che ci è noto e che è a Bru­su­glio non sem­bra ap­pa­risse al­lora ca­rico di chissà quali si­gni­fi­cati ero­tico-sen­ti­men­tali, pro­po­nen­dosi in­vece come un nor­ma­lis­simo ri­cordo di una gio­vane ma­dre con il pro­prio pic­colo. In caso con­tra­rio, dif­fi­cil­mente sa­rebbe stato po­sto per tanti anni in po­si­zione di ri­lievo nella casa del Man­zoni a Brusuglio.

E dif­fi­cil­mente Man­zoni, se lo avesse co­no­sciuto come ele­mento con­fer­ma­tivo di una sua na­scita ir­re­go­lare, avrebbe ri­cor­dato con bo­no­mia le cir­co­stanze che lo vi­dero mo­dello nella sua realizzazione.

Rias­su­mendo su que­sta que­stione del qua­dro che il CNSM vuole “te­sti­mo­nianza” del fatto che Gio­vanni Verri sia da con­si­de­rare il pa­dre na­tu­rale di Ales­san­dro Man­zoni, pos­siamo dire due cose sem­plici ma precise.

Primo — Gli unici ”do­cu­menti” noti che pos­sono dare te­sti­mo­nianza di un le­game pa­ren­tale tra Gio­vanni Verri-Giu­lia Bec­ca­ria-Ales­san­dro Man­zoni sono: la let­tera del 16 gen­naio 1808 a Gio­vanni Verri di Giu­seppe Go­rani; le due fra­sette di Cu­stodi (una di que­ste può es­sere for­zata a una in­ter­pre­ta­zione di­versa, come fece Flori, ma solo con ar­bi­trari in­ter­venti, che si po­treb­bero in­ten­dere come vi­cini alla ma­ni­po­la­zione); la me­mo­ria di Tom­ma­seo, fran­ca­mente solo ri­si­bile.
La tesi del CNSM già a que­sto li­vello ap­pare molto fra­gile e ri­chiede tutta una se­rie di “con­ces­sioni” pu­ra­mente ipo­te­ti­che.
.
Se­condo — Il qua­dro, por­tato come “te­sti­mone” dal CNSM, è di tutta evi­denza una co­pia — o un ri­fa­ci­mento — del qua­dro di pro­prietà di Ta­glio­retti, di cui parla Cu­stodi.
Ma se il qua­dro pre­sen­tato dal CNSM come “te­sti­mone” non è il qua­dro di cui parla Reina-Cu­stodi, al­lora è inu­tile pro­se­guire ogni di­scus­sione, ve­nendo a man­carne il presupposto.

In conclusione, per gli elementi che abbiamo, riteniamo di potere concludere che “quel” quadro (quello attribuito ad Appiani e che è presso Villa Manzoni a Brusuglio) può essere “testimonianza” di un’infinità di cose ma non della paternità di Giovanni Verri nei confronti di Alessandro Manzoni.

E con ciò tor­niamo a quanto ab­biamo qua e là già an­ti­ci­pato.
Che cosa ci dice di più sulla fi­sio­no­mia e sulla vi­cenda di Man­zoni que­sta di­scus­sione sulla “vera pa­ter­nità bio­lo­gica”? Nulla!

Ma­ter sem­per certa est! pater …

Per come si svolse la vita di Ales­san­dro, che fosse o meno fi­glio na­tu­rale di Gio­vanni Verri, non ebbe al­cuna im­por­tanza. Nes­suno ac­campò ri­ven­di­ca­zioni di nes­sun tipo (si­cu­ra­mente non Gio­vanni, che non ne fece mai me­mo­ria) o se ne pre­oc­cupò (si­cu­ra­mente non Pie­tro Man­zoni, che si com­portò sem­pre da “pa­dre”).
Non ne ven­nero né con­flitti né scelte trau­ma­ti­che di vita. Ales­san­dro si formò e visse come fi­glio di don Pie­tro Manzoni.

E al­lora per­ché con­cen­trare l’attenzione su quella che è solo una pos­si­bi­lità, va­lida na­tu­ral­mente per ognuno dei cit­ta­dini del mondo?
Solo per so­ste­nere la mi­la­ne­sità bio­lo­gica del Man­zoni? Siamo si­curi che ne valga la pena?

Ci pare che sa­rebbe molto più pro­dut­tivo de­di­care le ri­sorse e i ta­lenti del Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani a in­ve­sti­gare an­che sulla for­ma­zione del gio­vane Man­zoni. A de­fi­nire l’insieme delle re­la­zioni sue e del pa­dre Pie­tro nel mi­la­nese e nel La­riano, in par­ti­co­lare a Lecco.
Su que­sti temi non si è fatto an­cora quasi nulla, salvo i me­ri­tori studi di Stop­pani nel 1873 e, in parte, di Bo­gnetti cento anni dopo.

Non è forse op­por­tuno ac­can­to­nare gli ef­fetti ci­ne­ma­to­gra­fici e av­viare un la­voro di co­no­scenza vera sul gio­vane Man­zoni – che vuol dire il na­scere della sen­si­bi­lità e della crea­ti­vità e del pen­siero e dell’azione?
Forse così po­tremmo darci ra­gione di molti ele­menti an­cora poco in­ve­sti­gati sulla sua ade­sione alle idee della ri­vo­lu­zione e ai per­ché del suo suc­ces­sivo in­di­rizzo verso la religione.

E po­tremmo – forse – tro­vare an­che ele­menti di mag­giore com­pren­sione su sua ma­dre Giu­lia, donna, tutto som­mato e no­no­stante le sue fur­bi­zie e pic­cole mi­se­rie, tri­ste­mente sola di fronte alla vita.

Siamo giunti al ter­mine della no­stra ana­lisi sul docu-film del CNSM. Ci pare di averne a suf­fi­cienza il­lu­strato la non ido­neità, per lo meno sul piano didattico.

È pos­si­bile che nelle no­stre os­ser­va­zioni vi siano im­pre­ci­sioni – o an­che er­rori. Sa­remo lieti di ri­ce­vere dal let­tore, in par­ti­co­lare da­gli amici del CNSM, le even­tuali cor­re­zioni e sug­ge­ri­menti su come stu­diare e fare meglio.

FINE

La Ca­scina Co­sta in una in­ci­sione del 1873 (An­to­nio Stop­pani, I Primi Anni di A. Man­zoni) a evi­den­ziare che Man­zoni era da con­si­de­rare fi­glio del ter­ri­to­rio lariano.

La la­pide mu­rata nel 1873 da Giu­seppe Ber­ta­relli all’ingresso della Ca­scina Co­sta di Gal­biate, al­lora di sua pro­prietà. Vi si legge: «In que­sto ca­so­lare ebbe il primo nu­tri­mento Ales­san­dro Man­zoni nell’anno 1785».

La Ca­scina Co­sta di Gal­biate oggi. La­sciata an­dare in ro­vina dall’insipienza delle Au­to­rità cul­tu­rali del la­riano (in qual­siasi al­tro Paese, della Ca­scina dove Man­zoni passò i suoi primi cin­que anni di vita, avreb­bero di­chia­rato Mo­nu­mento Na­zio­nale an­che il pollaio).

Sotto, il pae­sag­gio che Man­zoni vide quo­ti­dia­na­mente nei suoi primi anni di vita.

PDF dell’Analisi cri­tica
in­dice dei venti epi­sodi