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Perché ci dedichiamo anche alla figura di Manzoni.

In que­sto no­stro sito de­di­cato all’Abate Stop­pani, il let­tore da al­cuni mesi vede che stiamo evi­den­ziando i ri­sul­tati delle ri­cer­che che con­du­ciamo da un paio d’anni sulla fi­gura di Ales­san­dro Man­zoni. A scanso di frain­ten­di­menti, vor­remmo fosse chiaro che non ci siamo tra­sfor­mati in “stu­diosi del Man­zoni”. Ce ne oc­cu­piamo in quanto l’Abate Stop­pani se ne oc­cupò – in­ten­sa­mente, sotto il pro­filo teo­rico ma an­che di­vul­ga­tivo e or­ga­niz­za­tivo – a par­tire dalla scom­parsa dello scrit­tore, mag­gio 1873.

Co­no­scere Stop­pani, la sua vita, le sue opere, si­gni­fica quindi ine­vi­ta­bil­mente avere un qua­dro chiaro an­che della fi­gura di Man­zoni, non solo della prima parte della sua vita (su cui Stop­pani la­sciò un in­te­res­sante vo­lu­metto) ma an­che sulla sua parte con­clu­siva della quale l’Abate Stop­pani fu sem­pre molto bene in­for­mato at­tra­verso co­muni amici.

Stop­pani fece parte di quel gruppo non esi­guo di pen­sa­tori, ar­ti­sti, po­li­tici, am­mi­ni­stra­tori, pe­da­go­ghi che vide in Man­zoni, grande nell’arte della scrit­tura e nel pen­siero po­li­tico-let­te­ra­rio non­ché un punto di ri­fe­ri­mento di pri­ma­ria im­por­tanza per il mo­vi­mento cat­to­lico-li­be­rale ita­liano — così come lo vide sul piano fi­lo­so­fico e re­li­gioso in An­to­nio Rosmini.

Fu in­vece in Ita­lia l’unico in­tel­let­tuale di peso a so­ste­nere – con idee, scritti, azioni – che Man­zoni è una fi­gura “spe­ciale” per­ché “spe­ciale”, sotto il pro­filo na­tu­ra­li­stico e so­ciale, è il ter­ri­to­rio – quello lec­chese – da cui pro­viene la schiatta dei Man­zoni e in cui si è for­mato il gio­vane poeta e pensatore.

È in re­la­zione a que­sto se­condo aspetto dell’interesse dell’Abate Stop­pani per Man­zoni che ci oc­cu­piamo a no­stra volta, con ri­fles­sioni di ca­rat­tere ge­ne­rale e con spe­ci­fi­che ri­cer­che, del tema “Man­zoni”, come mo­mento par­ti­co­lare del no­stro pro­getto “Opera Om­nia dell’Abate Stoppani”.

Ai primi del 1874 Stop­pani pub­blicò il vo­lume “I Primi anni di A. Man­zoni” nel quale svi­lup­pava il tema del le­game tra Man­zoni e Lecco.
Nell’analizzare cri­ti­ca­mente que­sto te­sto di Stop­pani, se­condo la no­stra im­po­sta­zione della più am­pia con­te­stua­liz­za­zione, ab­biamo co­min­ciato a porci in via pre­li­mi­nare al­cune domande:

Que­sta idea dell’Abate Stop­pani aveva un fon­da­mento o era frutto di una ba­nale pul­sione cam­pa­ni­li­stica (l’Abate era lec­chese e, no­no­stante vi­vesse pre­va­len­te­mente a Mi­lano, con Lecco man­tenne per tutta la vita un rap­porto in­tenso)?
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Ciò che gli fa­ceva ap­pa­rire come più che le­git­tima un’interpretazione della fi­gura di Man­zoni as­so­lu­ta­mente estra­nea alla co­mu­nità cul­tu­rale del se­condo Ot­to­cento ita­liano, aveva una ra­gion d’essere o era il por­tato di un orien­ta­mento da di­let­tante della cri­tica sto­rica (Stop­pani era ap­prez­zato come geo­logo)?
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Il suo scritto sul gio­vane Man­zoni era un sem­plice ri­flesso cro­na­chi­stico della scom­parsa dello scrit­tore op­pure si in­se­riva in un qua­dro più am­pio di riflessioni?

Il primo tas­sello di un va­sto mo­saico. Rac­co­gliendo i ma­te­riali ci siamo ra­pi­da­mente resi conto che il li­bro dell’Abate sul gio­vane Man­zoni – e la sua idea di fondo: il le­game or­ga­nico tra Man­zoni e Lecco – era tutt’altro che una cro­na­china pae­sana. Era in realtà l’avvio di una azione com­plessa con due obiet­tivi di fondo, che per il mo­mento ci li­mi­tiamo a enunciare.

Da un lato tu­te­lare la fi­gura di Man­zoni (e di Ro­smini e del mo­vi­mento ro­smi­niano) da­gli at­tac­chi che il clero più con­ser­va­tore aveva già av­viato e si ap­pre­stava a rin­for­zare.
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Dall’altro creare in Lom­bar­dia, at­torno alle fi­gure di Man­zoni e di Ro­smini, un asse Mi­lano-Lecco che fun­gesse da li­nea di forza per con­durre una po­li­tica di af­fer­ma­zione del cat­to­li­ce­simo li­be­rale in op­po­si­zione sia all’intransigentismo del Va­ti­cano sia al po­si­ti­vi­smo socialisteggiante.

Le no­stre ri­cer­che e ri­fles­sioni su Man­zoni, di cui il let­tore può tro­vare in que­sto sito ciò che è stato reso pub­blico di volta in volta – an­che sulla base di fatti con­tin­genti di cro­naca – sono tese a ri­spon­dere a que­ste e ana­lo­ghe do­mande.
Il piano di la­voro che ci siamo dati è di dare corpo a ciò che ne­gli scritti dell’Abate era ri­ma­sto a li­vello di sem­plice spunto: evi­den­ziare gli ele­menti della for­ma­zione gio­va­nile di Man­zoni; trac­ciare il qua­dro delle re­la­zioni che Man­zoni tenne con Lecco da quando ri­mase unico erede della fa­mi­glia (1807, morte del pa­dre Pie­tro) fino al 1818, ai suoi tren­ta­tré anni, quando de­cise di la­sciare Lecco per mai più ri­tor­narvi. Si dirà: pro­getto va­sto e complesso!

È vero: il la­voro da fare è molto, so­prat­tutto per­ché in que­sta di­re­zione dalla morte di Man­zoni (1873) a oggi è stato fatto ve­ra­mente poco. Ma pen­siamo che per i no­stri obiet­tivi – dare una esau­stiva in­tro­du­zione cri­tica al li­bro di Stop­pani su Man­zoni, nel qua­dro della rea­liz­za­zione dell’Opera Om­nia – po­tremo riu­scire ad ar­ri­vare ad al­cune prime ac­qui­si­zioni. Che poi al­tri – largo ai gio­vani – po­tranno ri­pren­dere e ampliare.

Ma tor­niamo alla ri­fles­sione di Stop­pani su Man­zoni. In­nan­zi­tutto – e in netta con­trap­po­si­zione con l’ambiente “man­zo­niano” di Mi­lano – Stop­pani con­si­de­rava Lecco come la vera città na­tale di Man­zoni. Que­sti era sì nato a Mi­lano ma – per così dire – per cir­co­stanze ac­ces­so­rie. In realtà i Man­zoni erano di Lecco come ori­gini, pa­tri­mo­nio, cul­tura (vedi più sotto per ul­te­riori no­ti­zie).
E Ales­san­dro – ele­mento es­sen­ziale – aveva for­mato la pro­pria per­so­na­lità a con­tatto di­retto con Lecco, dai due giorni di vita fino ai suoi vent’anni (an­che su que­sto vedi più avanti).
Su que­sto aspetto, come lec­chese in Lecco nato, for­mato e di Lecco sem­pre in­na­mo­rato, l’Abate aveva idee precise.

Sul piano na­tu­ra­li­stico. Stop­pani, come geo­logo e na­tu­ra­li­sta, aveva l’occhio adatto a co­gliere le spe­ci­fi­cità del ter­ri­to­rio la­riano. Come egli stesso scri­veva, in­torno a quel lago, in un spa­zio di po­chi chi­lo­me­tri qua­drati, era ben vi­si­bile la quasi to­ta­lità dei fe­no­meni della vita del globo de­gli ul­timi 100 mi­lioni di anni – di quel globo in cui an­cora noi vi­viamo, con po­che differenze.

Que­sto ca­rat­tere as­sai con­cen­trato delle ma­ni­fe­sta­zioni delle “re­centi“ espe­rienze del globo fa di quello spac­cato della Lom­bar­dia (sono sem­pre espres­sioni dell’Abate) un vero mu­seo geo­lo­gico a cielo aperto. E come in un mu­seo, dove in ogni sa­lone trovi tutto ciò che si sa di un dato fe­no­meno, e di sa­lone in sa­lone passi da un fe­no­meno all’altro, allo stesso modo, cam­mi­nando sulle sponde dell’Adda, sa­lendo o scen­dendo i monti an­che di poco, ti si pre­sen­tano sce­nari sem­pre rin­no­vati. Per­ché lì, in uno spa­zio do­mi­na­bile a colpo d’occhio, co­gli le im­ma­gini di una sto­ria lunga mi­lioni di anni.

La va­rietà dei fe­no­meni di quell’ambiente spinse l’Abate Stop­pani sulla via della ri­cerca scien­ti­fica più vi­cina alla na­tura, come la per­ce­piamo noi.
E spinse Man­zoni sulla via della ri­cerca ar­ti­stica, della ri­cerca dell’essenza della realtà, al di sotto di ciò che ap­pare (il vero).

Quella forza de­scrit­tiva — pit­to­rica l’hanno de­fi­nita in molti — di Man­zoni, che cat­tura chiun­que gli si av­vi­cini, viene da lì. Da quell’ambiente così con­cen­tra­ta­mente va­rio. Un mondo fatto di con­trad­di­zioni (le di­verse pie­tre, le di­verse luci, la pre­senza fa­sci­na­trice della pro­fon­dità delle ac­que) ma in­sieme com­patto e ar­mo­nico. In una pa­rola: bello. E in quel luogo vi è un al­tro ele­mento: il ru­more della na­tura.
I tanti venti che si in­cro­ciano, in­ca­na­lati dai cor­ri­doi di pie­tra che si in­trec­ciano e si sca­val­lano, sono quasi sem­pre at­tivi. A volte im­paz­zano e a volte sus­sur­rano ma li senti sem­pre. Il fiume, dove si re­stringe e cozza con­tro il ponte, emette un suono con­ti­nuo, quasi ani­ma­le­sco, a metà tra la mi­nac­cia e l’allegria. Ma il ru­more che ca­rat­te­rizza Lecco è quello dei suoi tor­renti. Oggi, nel ru­more con­ti­nuo della no­stra vita quo­ti­diana, fac­ciamo fa­tica a sen­tirli. Ma ai tempi di Ales­san­dro il loro suono era ben pre­sente ovun­que. An­che per­ché da essi sca­tu­ri­vano i ru­mori dell’attività umana.

Sul piano so­ciale e della cul­tura dif­fusa. Il se­condo ele­mento “spe­ciale” che l’Abate Stop­pani ve­deva come co­sti­tu­tivo della per­so­na­lità di Man­zoni era l’ambiente so­ciale in cui il poeta si era af­fac­ciato alla vita e poi ar­ri­vato alla prima gio­vi­nezza. Ales­san­dro visse fino ai cin­que anni in una fa­mi­glia di con­ta­dini, fi­glio “adot­tivo” della pro­pria ba­lia, la si­gnora Ca­te­rina Pan­zeri, tra al­tri suoi fi­gli na­tu­rali, che trat­ta­vano alla pari (ma con at­ten­zione) il fi­glio di don Pie­tro, il pro­prie­ta­rio della cascina.

Chiun­que ab­bia vis­suto l’infanzia in un am­biente ru­rale, per di più di grande bel­lezza este­tica (dalle pen­dici del Monte Barro su cui era la ca­scina della sua ba­lia, Ales­san­dro aveva la vi­suale stu­penda del Re­se­gone e del San Mar­tino) sa bene cosa que­sto si­gni­fi­chi per la for­ma­zione della per­so­na­lità. La vita com­plessa del con­ta­dino (so­prat­tutto di al­lora), che è in­sieme col­ti­va­tore, mec­ca­nico, ve­te­ri­na­rio, ma­cel­laio, com­mer­ciante, guar­diano in armi dei pro­pri campi, of­friva al pic­colo Ales­san­dro uno spac­cato quasi com­pleto della vita nei suoi aspetti di base. E l’essere il ram­pollo dei si­gnori pa­droni com­ple­tava il qua­dro, sot­traendo il pic­colo in for­ma­zione dalle pri­va­zioni e umi­lia­zioni del bisogno.

E quando venne messo in col­le­gio (un po’ prima dei sei anni ca­no­nici), co­min­ciò a fre­quen­tare nei pe­riodi di fe­sta e a fine anno sco­la­stico, la Lecco della fine ’700. Un ag­glo­me­rato molto con­cen­trato di pic­coli co­muni e fra­zioni, con re­la­ti­va­mente po­chi abi­tanti, ma con una ca­rat­te­ri­stica peculiare.

Lecco era in una po­si­zione fe­li­cis­sima: al re­strin­gi­mento del lago e con un ponte di ec­cel­lente fat­tura; a un capo della strada di col­le­ga­mento con l’alto La­rio at­tra­verso la Val­sas­sina (oggi sul lungo lago vi è una co­moda strada ma al­lora era im­pra­ti­ca­bile); con­ti­guo al con­fine con un al­tro Stato – quello della Se­re­nis­sima; alla con­fluenza di tre tor­renti pe­renni a ra­pida di­scesa, in grado di met­tere in mo­vi­mento qual­siasi ge­nere di mec­ca­ni­smo l’uomo po­tesse in­ven­tare, a co­sto zero. Sotto quest’ultimo pro­filo Lecco go­deva di una ren­dita di po­si­zione ve­ra­mente invidiabile.

Gra­zie a que­sto fatto – ener­gia gra­tuita e il­li­mi­tata – non­ché alla vi­ci­nanza con la Val­sas­sina, ricca di mi­ne­rali fer­rosi (con­si­de­rata uno dei più an­ti­chi cen­tri si­de­rur­gici del con­ti­nente eu­ro­peo) Lecco era riu­scita a svi­lup­pare una cul­tura si­de­rur­gica di tutto ri­spetto e so­prat­tutto una no­te­vole ca­pa­cità pro­dut­tiva, che con­sen­tiva al pic­colo cen­tro di ri­for­nire di ferro (e di armi, quindi) i grandi cen­tri ur­bani lom­bardi. Que­sta ca­pa­cità pro­dut­tiva nell’area si­de­rur­gica, unita a una meno raf­fi­nata ma pur sem­pre no­te­vole at­ti­vità nella tes­si­tura, ave­vano fa­vo­rito la for­ma­zione di una po­po­la­zione di ar­ti­giani au­to­nomi. Una strut­tura so­ciale che – fino allo svi­luppo dei si­stemi pro­dut­tivi proto-in­du­striali – poté go­dere di un re­la­tivo be­nes­sere.
E so­prat­tutto ela­bo­rare un’etica del la­voro e della di­gnità per­so­nale non così co­mune in quell’epoca.

L’Abate Stop­pani in­si­steva su que­sto punto. Nel lec­chese era do­mi­nante una po­po­la­zione li­bera, non ser­vile. Abi­tuata all’autonomia d‘azione e di pen­siero. Da qui l’inseminazione in Man­zoni dell’idea di un ro­manzo che – per la prima volta – ve­desse come pro­ta­go­ni­sti as­so­luti i co­sid­detti umili. Che erano ap­punto dei li­beri artigiani.

Que­sti i pi­la­stri dell’idea di Stop­pani su Man­zoni e su­gli ele­menti fon­danti della sua personalità.

Ales­san­dro Man­zoni (1785-1783).

Lecco, “sua quasi città na­tale”. Ales­san­dro Man­zoni nac­que a Mi­lano il 7 marzo 1785, ma la fa­mi­glia pa­terna, ori­gi­na­ria di Bar­zio, si era tra­sfe­rita a Lecco alla metà del 1600, di­ve­nen­done pre­sto una delle più in­fluenti. Due giorni dopo la na­scita, il 9 marzo 1785, Ales­san­dro era già a ba­lia a Gal­biate (sulle pen­dici del Monte Barro, a poca di­stanza da Lecco), in una pro­prietà della fa­mi­glia Manzoni.

Per i suc­ces­sivi 15 anni fece ri­fe­ri­mento quasi esclu­sivo a Lecco per la sua for­ma­zione e le sue re­la­zioni. Nella pic­cola ma so­cial­mente ed eco­no­mi­ca­mente vi­vace città la­riana Ales­san­dro – come egli stesso la­sciò scritto – passò tutta l’infanzia, gran parte dell’adolescenza, molti mo­menti della prima ma­tu­rità fino al 1818, abi­tando nella grande villa del Ca­leotto, dei Man­zoni dal 1650.

Sono ben note le pa­role no­stal­gi­che con cui nella prima ste­sura de “I Pro­messi Sposi” (quella che oggi co­no­sciamo come “Fermo e Lu­cia”), ri­chia­mava que­gli am­bienti na­tu­rali e so­ciali: «Lecco è la prin­ci­pale di que­ste terre […], la gia­ci­tura della ri­viera, i con­torni, le vi­ste lon­tane, tutto con­corre a ren­derlo un paese che chia­me­rei uno dei più belli del mondo, se aven­dovi pas­sata una gran parte della in­fan­zia e della pue­ri­zia, e le va­canze au­tun­nali della prima gio­vi­nezza, non ri­flet­tessi che è im­pos­si­bile dare un giu­di­zio spas­sio­nato dei paesi a cui sono as­so­ciate le me­mo­rie di que­gli anni.»

Il mag­giore esti­mato della città. Dalla morte del pa­dre Pie­tro (marzo 1807) al 1818, come unico erede, Ales­san­dro ebbe si­ste­ma­tici e di­retti rap­porti so­ciali, eco­no­mici, am­mi­ni­stra­tivi con Lecco (nel 1816 ne fu an­che il rap­pre­sen­tante le­gale), di cui ri­cor­diamo al­cune te­sti­mo­nianze solo a ti­tolo esem­pli­fi­ca­tivo di una realtà an­cora in gran parte da investigare.

In quei dieci anni della sua prima ma­tu­rità ebbe un rap­porto fi­du­cia­rio molto stretto con l’avvocato-notaio Fran­ce­sco Ti­cozzi (1760-1821), da sem­pre le­gato ai Man­zoni (fu an­che l’estensore del te­sta­mento di Pie­tro Man­zoni); già tra i primi pa­trioti lec­chesi nel 1798 e poi, fino alla ca­duta del Re­gno Ita­lico (1814), Pre­fetto na­po­leo­nico. Non ne ab­biamo do­cu­men­ta­zione for­male ma è ben pre­su­mi­bile che Ales­san­dro do­vette co­no­scere e fre­quen­tare an­che suo fra­tello, Ste­fano Ti­cozzi (1762-1836).

Già al­lievo di Pa­rini alle Scuole Pa­la­tine di Mi­lano (as­sieme a Gae­tano Giu­dici, che fu amico stret­tis­simo di Man­zoni); lau­reato in teo­lo­gia in Pa­via; sa­cer­dote par­roco in S. Gio­vanni alla Ca­sta­gna di Lecco; spre­tato e pas­sato alla po­li­tica gia­co­bina; poi anch’egli fun­zio­na­rio na­po­leo­nico, Ste­fano Ti­cozzi (tra i molti e no­te­voli la­vori di cri­tica ar­ti­stica) tra­dusse (1818 – e su­sci­tando l’apprezzamento di Bor­sieri ne “Il Con­ci­lia­tore”) la se­conda edi­zione della “Hi­stoire des ré­pu­bli­ques ita­lien­nes du Moyen-âge” di Jean-Char­les-Léo­nard Si­smondi, l’opera da cui aveva già preso spunto Man­zoni per le sue “Os­ser­va­zioni sulla mo­rale cattolica”.

Man­zoni ebbe inol­tre per tutta la vita uno stretto e af­fet­tuoso rap­porto di ami­ci­zia con il lec­chese Giu­seppe Bo­vara (1781-1873), l’architetto neo-clas­sico, au­tore di tante opere pre­senti tut­tora su tutto il ter­ri­to­rio la­riano, ni­pote di Gio­vanni Bo­vara, già Mi­ni­stro per il Culto nel Re­gno Italico.

An­che solo da que­sti po­chi cenni, ri­te­niamo si possa af­fer­mare senza for­za­ture che Man­zoni fino al 1818 visse e si com­portò come un “vero lec­chese”. Nel 1818 ci fu però una svolta: lo scrit­tore ven­dette agli im­pren­di­tori Scola tutte le pro­prietà di fa­mi­glia di­stri­buite in Lecco e nel la­riano, né mai più tornò nella sua “quasi città na­tale”. Trat­te­remo al­trove le ra­gioni di que­sto di­stacco ra­di­cale. Ci ba­stino ora que­sti po­chi ri­chiami a dati di fatto, per se­gna­lare il le­game or­ga­nico e ne­ces­si­tante (sotto il pro­filo della per­so­na­lità ar­ti­stica e psi­co­lo­gica) tra Man­zoni e Lecco.

L’Abate An­to­nio Stop­pani (1824-1891).

Un lec­chese lec­chese. L’Abate An­to­nio Stop­pani, più gio­vane di 39 anni di Man­zoni, nac­que a Lecco sei anni dopo l’abbandono de­fi­ni­tivo della città da parte di Man­zoni. Fu però in­trin­seco, an­che per le­gami fa­mi­liari, ad al­cune di quelle fi­gure, so­pra ri­cor­date, che con Man­zoni eb­bero un va­rie­gato rap­porto so­ciale e culturale.

Ci­tiamo, come esem­pio, il già ri­cor­dato Fran­ce­sco Ti­cozzi, il quale era zio ac­qui­sito (e te­sti­mone di nozze) di Lu­cia Pe­co­roni della fa­mi­glia Ar­ri­goni, ma­dre dell’Abate. Ti­cozzi morì prima che na­scesse An­to­nio Stop­pani ma in casa ne ri­mase a lungo me­mo­ria per le ca­rat­te­ri­sti­che dell’uomo e del cit­ta­dino. Tanto più che tra i Ti­cozzi e gli Stop­pani i rap­porti con­ti­nua­rono an­che nella ge­ne­ra­zione dell’Abate e in cir­co­stanze di estremo coin­vol­gi­mento. Ce­sare Ti­cozzi (fi­glio di Fran­ce­sco) fu nel 1848, uno dei co­man­danti della co­lonna ar­mata di gio­vani lec­chesi che si portò in Mi­lano, in ap­pog­gio ai ri­vol­tosi delle 5 Gior­nate, tra i quali molto at­tivo era il gio­vane Stop­pani. An­che con l’altro amico in­timo di Man­zoni, l’architetto Bo­vara, l’Abate Stop­pani ebbe nel corso dei de­cenni un con­ti­nuo rap­porto di sim­pa­tia e di fre­quen­ta­zione scientifico-culturale.

Le co­muni co­no­scenze tra Man­zoni e Stop­pani in Mi­lano, fu­rono nu­me­rose e coin­ci­sero con quel folto gruppo di sa­cer­doti ro­smi­niano-con­ci­lia­to­ri­sti, molto at­tivo in Mi­lano, sul piano cul­tu­rale e politico.

Que­sti sa­cer­doti ve­de­vano in Man­zoni un in­so­sti­tui­bile punto di ri­fe­ri­mento per ogni pro­blema di ca­rat­tere cul­tu­rale e di po­si­zio­na­mento po­li­tico, so­prat­tutto dopo la li­be­ra­zione di Mi­lano del 1859 (come esem­pio di que­sto le­game, spesso sot­to­ta­ciuto dall’analisi sto­rica, vedi le no­stre con­si­de­ra­zioni sul re­cente docu-film del Cen­tro Na­zio­nale di Studi Man­zo­niani “A. Man­zoni, mi­la­nese d‘Europa” – Epi­so­dio 16).

In que­sta sede ci li­mi­tiamo a po­chi nomi e ri­cor­diamo don Giu­lio Ratti (1801-1869), dal 1831 alla morte par­roco di San Fe­dele, con­fes­sore quo­ti­diano del Man­zoni, suo fi­du­cia­rio su que­stioni ri­ser­vate e in­timo amico per trent’anni. Ratti, molto at­tivo nelle Cin­que Gior­nate del 1848, nel 1860 fu tra i prin­ci­pali espo­nenti del gior­nale “Il Con­ci­lia­tore” (su cui scri­veva l’Abate Stop­pani) e sa­rebbe di­ve­nuto poco più avanti Pre­si­dente della con­ci­lia­to­ri­sta e ro­smi­niana So­cietà Ec­cle­sia­stica, di cui era Vice-Pre­si­dente Pie­tro Stop­pani, anch’egli sa­cer­dote e fra­tello mag­giore dell’Abate.

Ma an­cora più si­gni­fi­ca­tivo del le­game in Mi­lano tra Man­zoni e Stop­pani fu Na­tale Ce­roli (1821-1874). Que­sti, dal 1861 alla morte di Man­zoni (mag­gio 1873), ne fu l’assiduo ed ef­fi­ciente as­si­stente nella ge­stione del grande ar­chi­vio sto­rico-let­te­ra­rio di Via del Mo­rone, non­ché della sua co­pio­sis­sima cor­ri­spon­denza. Inol­tre, pra­ti­ca­mente ogni giorno, Ce­roli fu per anni del Man­zoni ac­com­pa­gna­tore e con­fi­dente nelle lun­ghe quo­ti­diane pas­seg­giate che lo scrit­tore fa­ceva in Mi­lano. Si può dire con cer­tezza che, an­che per la sua ri­le­vante pre­pa­ra­zione uma­ni­stica, Ce­roli fu uno de­gli in­tel­let­tuali mag­gior­mente in­for­mato dell’insieme delle ela­bo­ra­zioni del Man­zoni ma­turo, non­ché de­po­si­ta­rio di molte sue con­fi­denze per­so­nali. E in­fatti, alla morte di Man­zoni, Ce­roli venne in­di­cato dalla fa­mi­glia come rior­di­na­tore, as­sieme a Gio­vanni Rizzi e a Vi­sconti Ve­no­sta, dell’ingente pa­tri­mo­nio do­cu­men­ta­rio di Ales­san­dro. Solo la morte pre­ma­tura (nel 1874, un anno dopo Man­zoni, a 53 anni) im­pedì a Ce­roli di es­sere mag­gior­mente e più det­ta­glia­ta­mente ri­cor­dato per que­ste sue ca­rat­te­ri­sti­che e que­sto suo im­por­tante ruolo.

Tra Na­tale Ce­roli e l’Abate Stop­pani i rap­porti erano più che fra­terni. Quasi coe­ta­nei, si erano co­no­sciuti ado­le­scenti al Se­mi­na­rio di Monza, en­trambi al­lievi di Ales­san­dro Pe­sta­lozza. Fu­rono poi in­sieme in­se­gnanti al Se­mi­na­rio di Mi­lano; in­sieme tra i ri­vol­tosi nelle Cin­que Gior­nate; in­sieme espulsi dall’insegnamento per or­dine de­gli Au­striaci nel 1853 come “anti-au­striaci”; in­sieme nell’assistenza ai fe­riti di San Mar­tino nel 1859. Con il nuovo Re­gno d’Italia del 1861 la quo­ti­dia­nità li se­parò, con l’Abate im­pe­gnato nella ri­cerca scien­ti­fica e spesso lon­tano da Mi­lano e Ce­roli de­di­cato a un meno vi­si­bile in­se­gna­mento in col­legi pri­vati. Ma i rap­porti d‘amicizia ri­ma­sero sem­pre sal­dis­simi fino alla morte pre­ma­tura di Ce­roli (ago­sto 1874), ve­ri­fi­ca­tasi du­rante un viag­gio in Ter­ra­santa in com­pa­gnia pro­prio dell’Abate Stoppani.

In forza della stretta con­fi­denza con en­trambi, Ce­roli aveva spesso cer­cato di fare in­con­trare Man­zoni e Stop­pani (aveva an­che pro­po­sto “in­con­tri mu­si­cali”, es­sendo Stop­pani più che di­screto pia­ni­sta, do­tato can­tante e buon co­no­sci­tore di tutte le più note arie ri­sor­gi­men­tali) ma Man­zoni si era sem­pre ne­gato.
Quali le ra­gioni di que­sta ri­tro­sia di Man­zoni a co­no­scere per­so­nal­mente il bril­lante e già ap­prez­zato geo­logo, no­no­stante la vi­ci­nanza di idee e di fre­quen­ta­zioni?
In man­canza di do­cu­menti di­retti pos­siamo solo ri­cor­rere alle me­mo­rie di fa­mi­glia (da pren­dere sem­pre con le do­vute cau­tele): Man­zoni (da sem­pre re­stio alle no­vità – e ne­gli anni ’60 si av­vi­ci­nava alle ot­tanta pri­ma­vere) avrebbe avuto dif­fi­coltà a in­con­trare l’Abate Stop­pani pro­prio per­ché lec­chese e per­ché vi­cino a fi­gure che erano state in­trin­se­che alla fa­mi­glia Man­zoni nei primi dell’Ottocento. In Lecco la vita sen­ti­men­tal­mente au­to­noma di Giu­lia Bec­ca­ria (la ma­dre di Ales­san­dro) non era mai stata vi­sta po­si­ti­va­mente e si pen­sava che que­sto fosse stato anzi uno de­gli ele­menti de­ter­mi­nanti per il di­stacco di Man­zoni da quella che era stata la città della fa­mi­glia per ol­tre due­cento anni.

Ma è an­che pos­si­bile (que­sta è però una no­stra idea) che a ren­dere re­stio Man­zoni ad av­viare un le­game con l’Abate fosse l’intransigenza (an­che umo­rale) di que­sti ri­spetto al Go­verno sa­baudo nelle scelte di po­li­tica del ter­ri­to­rio (a Quin­tino Sella, no­no­stante gli ot­timi rap­porti per­so­nali, l’Abate aveva no­to­ria­mente ri­volto pa­role non pro­prio di­plo­ma­ti­che a pro­po­sito della rea­liz­za­zione della carta geo­lo­gica della nuova Ita­lia – una delle que­stioni chiave an­che per quell’epoca). A un Man­zoni già in­de­bo­lito dall’età e da aspetti sfor­tu­nati della vita fa­mi­liare, po­trebbe es­sere parso fa­ti­coso e im­pe­gna­tivo un rap­porto con il com­bat­tivo sa­cer­dote-scien­ziato.
Sta di fatto che Ales­san­dro Man­zoni e An­to­nio Stop­pani non si in­con­tra­rono mai, con buona pace di quei com­men­ta­tori (vedi Bez­zola) che hanno pen­sato po­tesse es­sere gra­zioso in­ven­tare in pro­po­sito qual­che qua­dretto di ma­niera.
Ma è chiaro che, alla morte di Man­zoni (mag­gio 1873), Ce­roli fu una delle fonti pre­vi­le­giate cui at­tinse l’Abate Stop­pani per il suo stu­dio sul gio­vane Man­zoni, cui de­dicò molte energie.

I primi anni di Ales­san­dro Man­zoni. Alla morte di Man­zoni, l’Abate Stop­pani si at­tivò im­me­dia­ta­mente con una se­rie di ri­cer­che d’archivio e di in­ter­vi­ste sul campo, per dare della for­ma­zione della fi­gura di Man­zoni un’interpretazione sto­ri­ca­mente fon­data, an­che se in con­tro ten­denza. An­che uo­mini vi­ci­nis­simi a Man­zoni e di ta­lento (uno per tutti, Giu­lio Car­cano), non esi­ta­vano in­fatti a fare di Mi­lano l’unico punto di ri­fe­ri­mento per la per­so­na­lità di Man­zoni, di­men­ti­cando – spesso vo­lu­ta­mente – an­che solo di no­mi­nare la città la­riana “quasi città na­tale” del Manzoni.

L’Abate Stop­pani fu al­lora l’unico in­tel­let­tuale di peso che as­sunse, a fronte di que­sto orien­ta­mento “mi­la­no­cen­trico”, una dif­fe­rente po­si­zione e più fon­data po­si­zione, tesa ad af­fer­mare la cen­tra­lità di Lecco nella psi­co­lo­gia pro­fonda di Man­zoni e nel di­spie­garsi della sua straor­di­na­ria poetica.

A par­tire dal no­vem­bre del 1873, l’Abate Stop­pani co­min­ciò a scri­vere per la ri­vi­sta “Le Prime Let­ture”, una se­rie di ar­ti­coli nei quali tra­sfe­riva i ri­sul­tati delle sue ricerche.

Ri­prese poi e svi­luppò que­sti ar­ti­coli in un agile li­bro – I primi anni di Ales­san­dro Man­zoni – che ap­parve ai primi del 1874. In esso Stop­pani con­tri­buiva a pre­sen­tare al pub­blico ita­liano sia ine­diti com­po­ni­menti gio­va­nili di Man­zoni sia l’ambiente nel quale era ma­tu­rato il “modo nuovo” della poe­tica man­zo­niana. In modo estre­ma­mente in­no­va­tivo per l’epoca, Stop­pani sot­to­li­neava l’importanza che hanno le im­pres­sioni e le espe­rienze dell’infanzia e dell’adolescenza nella for­ma­zione della per­so­na­lità di ogni uomo, tanto più se par­ti­co­lar­mente sen­si­bile quale fu quella di Ales­san­dro Manzoni.

L’Abate pog­giava la sua in­ter­pre­ta­zione su dati di fatto, che col­lo­ca­vano in­dis­so­lu­bil­mente la for­ma­zione del Man­zoni nel qua­dro na­tu­ra­li­stico, cul­tu­rale e so­ciale della Lecco tra la fine del ’700 e i primi vent’anni dell’Ottocento.

«I Primi anni di A. Man­zoni», edito dall’Abate Stop­pani ai primi del 1874. In esso l’Abate – unico in Ita­lia – sot­to­li­neava l’importanza de­ci­siva dell’ambiente na­tu­ra­li­stico e so­ciale di Lecco per la for­ma­zione della per­so­na­lità ar­ti­stica e mo­rale di Manzoni.

A que­sta col­lo­ca­zione della for­ma­zione ar­ti­stica ed esi­sten­ziale di Man­zoni nelle spe­ci­fi­cità del ter­ri­to­rio la­riano – po­nen­dosi in per­fetta con­tro­ten­denza ri­spetto al “mondo man­zo­niano” uf­fi­ciale – l’Abate ri­mase sem­pre as­so­lu­ta­mente fe­dele.
E ne fece anzi il pre­sup­po­sto con­cet­tuale per la sua lunga azione tesa a creare una in­dis­so­lu­bile unione tra il nome di Man­zoni e quello di Lecco. A spin­gere l’Abate su quella li­nea in­ter­pre­ta­tiva non erano ov­via­mente ba­nali ra­gioni cam­pa­ni­li­sti­che ma un’idea di fondo sull’ambiente na­tu­ra­li­stico e so­ciale dell’area lec­chese, vi­sto dall’Abate come par­ti­co­lar­mente adatto alla for­ma­zione di un pen­siero e di un orien­ta­mento psi­co­lo­gico teso all’uguaglianza e alla li­bertà. Ma di que­sto in modo più am­pio in al­tra sede.

E ne fece anzi il pre­sup­po­sto con­cet­tuale per la sua lunga azione tesa a creare una in­dis­so­lu­bile unione tra il nome di Man­zoni e quello di Lecco. A spin­gere l’Abate su quella li­nea in­ter­pre­ta­tiva non erano ov­via­mente ba­nali ra­gioni cam­pa­ni­li­sti­che ma un’idea di fondo sull’ambiente na­tu­ra­li­stico e so­ciale dell’area lec­chese, vi­sto dall’Abate come par­ti­co­lar­mente adatto alla for­ma­zione di un pen­siero e di un orien­ta­mento psi­co­lo­gico teso all’uguaglianza e alla li­bertà. Ma di que­sto in modo più am­pio in al­tra sede.
Ci ba­sti qui ri­cor­dare che l’azione dell’abate si con­cluse fe­li­ce­mente con la rea­liz­za­zione (10 ot­to­bre 1891) del grande e ar­ti­sti­ca­mente ef­fi­cace Mo­nu­mento a Man­zoni tut­tora pre­sente nella città la­riana. Su que­sto tema ab­biamo già resa pub­blica una no­stra ri­cerca e al­tre sono in pre­pa­ra­zione. Ci ba­sta qui ac­cen­narne per spie­gare lo spa­zio che in que­sta fase dell’attività del no­stro Cen­tro Studi oc­cupa la ri­fles­sione su Manzoni.

In con­clu­sione, è op­por­tuno ri­cor­dare che que­sto orien­ta­mento “la­ria­no­cen­trico” dell’Abate in re­la­zione alle ca­rat­te­ri­sti­che della per­so­na­lità ar­ti­stica e so­ciale di Man­zoni, con­se­guì ot­timi ri­sul­tati, i cui ef­fetti si fe­cero sen­tire per de­cenni. Ri­cor­diamo che tutta la ri­presa de­gli studi man­zo­niani del se­condo do­po­guerra con­si­derò come dato nep­pure da di­scu­tere il le­game or­ga­nico tra Man­zoni e Lecco (ba­sta con­si­de­rare che i primi nove con­ve­gni su Man­zoni, or­ga­niz­zati dal Cen­tro Na­zio­nale di Studi Man­zo­niani, si svol­sero in­va­ria­bil­mente a Lecco – fino al 1971). E che l’attuale ten­denza “mi­la­no­cen­trica” è cosa di que­sti ul­timi anni, fa­vo­rita, per ra­gioni che avremo modo di svi­lup­pare al­trove, pro­prio dal me­de­simo Cen­tro Na­zio­nale di Studi Man­zo­niani, au­tore in pro­po­sito di una vera e pro­pria re­vi­sione che, pur­troppo, non pos­siamo con­si­de­rare che anti-storica.

Mi­lano, 14 ago­sto 2017

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