Perché ci dedichiamo anche alla figura di Manzoni.
In questo nostro sito dedicato all’Abate Stoppani, il lettore da alcuni mesi vede che stiamo evidenziando i risultati delle ricerche che conduciamo da un paio d’anni sulla figura di Alessandro Manzoni. A scanso di fraintendimenti, vorremmo fosse chiaro che non ci siamo trasformati in “studiosi del Manzoni”. Ce ne occupiamo in quanto l’Abate Stoppani se ne occupò – intensamente, sotto il profilo teorico ma anche divulgativo e organizzativo – a partire dalla scomparsa dello scrittore, maggio 1873.
Conoscere Stoppani, la sua vita, le sue opere, significa quindi inevitabilmente avere un quadro chiaro anche della figura di Manzoni, non solo della prima parte della sua vita (su cui Stoppani lasciò un interessante volumetto) ma anche sulla sua parte conclusiva della quale l’Abate Stoppani fu sempre molto bene informato attraverso comuni amici.
Stoppani fece parte di quel gruppo non esiguo di pensatori, artisti, politici, amministratori, pedagoghi che vide in Manzoni, grande nell’arte della scrittura e nel pensiero politico-letterario nonché un punto di riferimento di primaria importanza per il movimento cattolico-liberale italiano — così come lo vide sul piano filosofico e religioso in Antonio Rosmini.
Fu invece in Italia l’unico intellettuale di peso a sostenere – con idee, scritti, azioni – che Manzoni è una figura “speciale” perché “speciale”, sotto il profilo naturalistico e sociale, è il territorio – quello lecchese – da cui proviene la schiatta dei Manzoni e in cui si è formato il giovane poeta e pensatore.
È in relazione a questo secondo aspetto dell’interesse dell’Abate Stoppani per Manzoni che ci occupiamo a nostra volta, con riflessioni di carattere generale e con specifiche ricerche, del tema “Manzoni”, come momento particolare del nostro progetto “Opera Omnia dell’Abate Stoppani”.
Ai primi del 1874 Stoppani pubblicò il volume “I Primi anni di A. Manzoni” nel quale sviluppava il tema del legame tra Manzoni e Lecco.
Nell’analizzare criticamente questo testo di Stoppani, secondo la nostra impostazione della più ampia contestualizzazione, abbiamo cominciato a porci in via preliminare alcune domande:
Questa idea dell’Abate Stoppani aveva un fondamento o era frutto di una banale pulsione campanilistica (l’Abate era lecchese e, nonostante vivesse prevalentemente a Milano, con Lecco mantenne per tutta la vita un rapporto intenso)?
.
Ciò che gli faceva apparire come più che legittima un’interpretazione della figura di Manzoni assolutamente estranea alla comunità culturale del secondo Ottocento italiano, aveva una ragion d’essere o era il portato di un orientamento da dilettante della critica storica (Stoppani era apprezzato come geologo)?
.
Il suo scritto sul giovane Manzoni era un semplice riflesso cronachistico della scomparsa dello scrittore oppure si inseriva in un quadro più ampio di riflessioni?
Il primo tassello di un vasto mosaico. Raccogliendo i materiali ci siamo rapidamente resi conto che il libro dell’Abate sul giovane Manzoni – e la sua idea di fondo: il legame organico tra Manzoni e Lecco – era tutt’altro che una cronachina paesana. Era in realtà l’avvio di una azione complessa con due obiettivi di fondo, che per il momento ci limitiamo a enunciare.
Da un lato tutelare la figura di Manzoni (e di Rosmini e del movimento rosminiano) dagli attacchi che il clero più conservatore aveva già avviato e si apprestava a rinforzare.
.
Dall’altro creare in Lombardia, attorno alle figure di Manzoni e di Rosmini, un asse Milano-Lecco che fungesse da linea di forza per condurre una politica di affermazione del cattolicesimo liberale in opposizione sia all’intransigentismo del Vaticano sia al positivismo socialisteggiante.
Le nostre ricerche e riflessioni su Manzoni, di cui il lettore può trovare in questo sito ciò che è stato reso pubblico di volta in volta – anche sulla base di fatti contingenti di cronaca – sono tese a rispondere a queste e analoghe domande.
Il piano di lavoro che ci siamo dati è di dare corpo a ciò che negli scritti dell’Abate era rimasto a livello di semplice spunto: evidenziare gli elementi della formazione giovanile di Manzoni; tracciare il quadro delle relazioni che Manzoni tenne con Lecco da quando rimase unico erede della famiglia (1807, morte del padre Pietro) fino al 1818, ai suoi trentatré anni, quando decise di lasciare Lecco per mai più ritornarvi. Si dirà: progetto vasto e complesso!
È vero: il lavoro da fare è molto, soprattutto perché in questa direzione dalla morte di Manzoni (1873) a oggi è stato fatto veramente poco. Ma pensiamo che per i nostri obiettivi – dare una esaustiva introduzione critica al libro di Stoppani su Manzoni, nel quadro della realizzazione dell’Opera Omnia – potremo riuscire ad arrivare ad alcune prime acquisizioni. Che poi altri – largo ai giovani – potranno riprendere e ampliare.
Ma torniamo alla riflessione di Stoppani su Manzoni. Innanzitutto – e in netta contrapposizione con l’ambiente “manzoniano” di Milano – Stoppani considerava Lecco come la vera città natale di Manzoni. Questi era sì nato a Milano ma – per così dire – per circostanze accessorie. In realtà i Manzoni erano di Lecco come origini, patrimonio, cultura (vedi più sotto per ulteriori notizie).
E Alessandro – elemento essenziale – aveva formato la propria personalità a contatto diretto con Lecco, dai due giorni di vita fino ai suoi vent’anni (anche su questo vedi più avanti).
Su questo aspetto, come lecchese in Lecco nato, formato e di Lecco sempre innamorato, l’Abate aveva idee precise.
Sul piano naturalistico. Stoppani, come geologo e naturalista, aveva l’occhio adatto a cogliere le specificità del territorio lariano. Come egli stesso scriveva, intorno a quel lago, in un spazio di pochi chilometri quadrati, era ben visibile la quasi totalità dei fenomeni della vita del globo degli ultimi 100 milioni di anni – di quel globo in cui ancora noi viviamo, con poche differenze.
Questo carattere assai concentrato delle manifestazioni delle “recenti“ esperienze del globo fa di quello spaccato della Lombardia (sono sempre espressioni dell’Abate) un vero museo geologico a cielo aperto. E come in un museo, dove in ogni salone trovi tutto ciò che si sa di un dato fenomeno, e di salone in salone passi da un fenomeno all’altro, allo stesso modo, camminando sulle sponde dell’Adda, salendo o scendendo i monti anche di poco, ti si presentano scenari sempre rinnovati. Perché lì, in uno spazio dominabile a colpo d’occhio, cogli le immagini di una storia lunga milioni di anni.
La varietà dei fenomeni di quell’ambiente spinse l’Abate Stoppani sulla via della ricerca scientifica più vicina alla natura, come la percepiamo noi.
E spinse Manzoni sulla via della ricerca artistica, della ricerca dell’essenza della realtà, al di sotto di ciò che appare (il vero).
Quella forza descrittiva — pittorica l’hanno definita in molti — di Manzoni, che cattura chiunque gli si avvicini, viene da lì. Da quell’ambiente così concentratamente vario. Un mondo fatto di contraddizioni (le diverse pietre, le diverse luci, la presenza fascinatrice della profondità delle acque) ma insieme compatto e armonico. In una parola: bello. E in quel luogo vi è un altro elemento: il rumore della natura.
I tanti venti che si incrociano, incanalati dai corridoi di pietra che si intrecciano e si scavallano, sono quasi sempre attivi. A volte impazzano e a volte sussurrano ma li senti sempre. Il fiume, dove si restringe e cozza contro il ponte, emette un suono continuo, quasi animalesco, a metà tra la minaccia e l’allegria. Ma il rumore che caratterizza Lecco è quello dei suoi torrenti. Oggi, nel rumore continuo della nostra vita quotidiana, facciamo fatica a sentirli. Ma ai tempi di Alessandro il loro suono era ben presente ovunque. Anche perché da essi scaturivano i rumori dell’attività umana.
Sul piano sociale e della cultura diffusa. Il secondo elemento “speciale” che l’Abate Stoppani vedeva come costitutivo della personalità di Manzoni era l’ambiente sociale in cui il poeta si era affacciato alla vita e poi arrivato alla prima giovinezza. Alessandro visse fino ai cinque anni in una famiglia di contadini, figlio “adottivo” della propria balia, la signora Caterina Panzeri, tra altri suoi figli naturali, che trattavano alla pari (ma con attenzione) il figlio di don Pietro, il proprietario della cascina.
Chiunque abbia vissuto l’infanzia in un ambiente rurale, per di più di grande bellezza estetica (dalle pendici del Monte Barro su cui era la cascina della sua balia, Alessandro aveva la visuale stupenda del Resegone e del San Martino) sa bene cosa questo significhi per la formazione della personalità. La vita complessa del contadino (soprattutto di allora), che è insieme coltivatore, meccanico, veterinario, macellaio, commerciante, guardiano in armi dei propri campi, offriva al piccolo Alessandro uno spaccato quasi completo della vita nei suoi aspetti di base. E l’essere il rampollo dei signori padroni completava il quadro, sottraendo il piccolo in formazione dalle privazioni e umiliazioni del bisogno.
E quando venne messo in collegio (un po’ prima dei sei anni canonici), cominciò a frequentare nei periodi di festa e a fine anno scolastico, la Lecco della fine ’700. Un agglomerato molto concentrato di piccoli comuni e frazioni, con relativamente pochi abitanti, ma con una caratteristica peculiare.
Lecco era in una posizione felicissima: al restringimento del lago e con un ponte di eccellente fattura; a un capo della strada di collegamento con l’alto Lario attraverso la Valsassina (oggi sul lungo lago vi è una comoda strada ma allora era impraticabile); contiguo al confine con un altro Stato – quello della Serenissima; alla confluenza di tre torrenti perenni a rapida discesa, in grado di mettere in movimento qualsiasi genere di meccanismo l’uomo potesse inventare, a costo zero. Sotto quest’ultimo profilo Lecco godeva di una rendita di posizione veramente invidiabile.
Grazie a questo fatto – energia gratuita e illimitata – nonché alla vicinanza con la Valsassina, ricca di minerali ferrosi (considerata uno dei più antichi centri siderurgici del continente europeo) Lecco era riuscita a sviluppare una cultura siderurgica di tutto rispetto e soprattutto una notevole capacità produttiva, che consentiva al piccolo centro di rifornire di ferro (e di armi, quindi) i grandi centri urbani lombardi. Questa capacità produttiva nell’area siderurgica, unita a una meno raffinata ma pur sempre notevole attività nella tessitura, avevano favorito la formazione di una popolazione di artigiani autonomi. Una struttura sociale che – fino allo sviluppo dei sistemi produttivi proto-industriali – poté godere di un relativo benessere.
E soprattutto elaborare un’etica del lavoro e della dignità personale non così comune in quell’epoca.
L’Abate Stoppani insisteva su questo punto. Nel lecchese era dominante una popolazione libera, non servile. Abituata all’autonomia d‘azione e di pensiero. Da qui l’inseminazione in Manzoni dell’idea di un romanzo che – per la prima volta – vedesse come protagonisti assoluti i cosiddetti umili. Che erano appunto dei liberi artigiani.
Questi i pilastri dell’idea di Stoppani su Manzoni e sugli elementi fondanti della sua personalità.
Alessandro Manzoni (1785-1783).
Lecco, “sua quasi città natale”. Alessandro Manzoni nacque a Milano il 7 marzo 1785, ma la famiglia paterna, originaria di Barzio, si era trasferita a Lecco alla metà del 1600, divenendone presto una delle più influenti. Due giorni dopo la nascita, il 9 marzo 1785, Alessandro era già a balia a Galbiate (sulle pendici del Monte Barro, a poca distanza da Lecco), in una proprietà della famiglia Manzoni.
Per i successivi 15 anni fece riferimento quasi esclusivo a Lecco per la sua formazione e le sue relazioni. Nella piccola ma socialmente ed economicamente vivace città lariana Alessandro – come egli stesso lasciò scritto – passò tutta l’infanzia, gran parte dell’adolescenza, molti momenti della prima maturità fino al 1818, abitando nella grande villa del Caleotto, dei Manzoni dal 1650.
Sono ben note le parole nostalgiche con cui nella prima stesura de “I Promessi Sposi” (quella che oggi conosciamo come “Fermo e Lucia”), richiamava quegli ambienti naturali e sociali: «Lecco è la principale di queste terre […], la giacitura della riviera, i contorni, le viste lontane, tutto concorre a renderlo un paese che chiamerei uno dei più belli del mondo, se avendovi passata una gran parte della infanzia e della puerizia, e le vacanze autunnali della prima giovinezza, non riflettessi che è impossibile dare un giudizio spassionato dei paesi a cui sono associate le memorie di quegli anni.»
Il maggiore estimato della città. Dalla morte del padre Pietro (marzo 1807) al 1818, come unico erede, Alessandro ebbe sistematici e diretti rapporti sociali, economici, amministrativi con Lecco (nel 1816 ne fu anche il rappresentante legale), di cui ricordiamo alcune testimonianze solo a titolo esemplificativo di una realtà ancora in gran parte da investigare.
In quei dieci anni della sua prima maturità ebbe un rapporto fiduciario molto stretto con l’avvocato-notaio Francesco Ticozzi (1760-1821), da sempre legato ai Manzoni (fu anche l’estensore del testamento di Pietro Manzoni); già tra i primi patrioti lecchesi nel 1798 e poi, fino alla caduta del Regno Italico (1814), Prefetto napoleonico. Non ne abbiamo documentazione formale ma è ben presumibile che Alessandro dovette conoscere e frequentare anche suo fratello, Stefano Ticozzi (1762-1836).
Già allievo di Parini alle Scuole Palatine di Milano (assieme a Gaetano Giudici, che fu amico strettissimo di Manzoni); laureato in teologia in Pavia; sacerdote parroco in S. Giovanni alla Castagna di Lecco; spretato e passato alla politica giacobina; poi anch’egli funzionario napoleonico, Stefano Ticozzi (tra i molti e notevoli lavori di critica artistica) tradusse (1818 – e suscitando l’apprezzamento di Borsieri ne “Il Conciliatore”) la seconda edizione della “Histoire des républiques italiennes du Moyen-âge” di Jean-Charles-Léonard Sismondi, l’opera da cui aveva già preso spunto Manzoni per le sue “Osservazioni sulla morale cattolica”.
Manzoni ebbe inoltre per tutta la vita uno stretto e affettuoso rapporto di amicizia con il lecchese Giuseppe Bovara (1781-1873), l’architetto neo-classico, autore di tante opere presenti tuttora su tutto il territorio lariano, nipote di Giovanni Bovara, già Ministro per il Culto nel Regno Italico.
Anche solo da questi pochi cenni, riteniamo si possa affermare senza forzature che Manzoni fino al 1818 visse e si comportò come un “vero lecchese”. Nel 1818 ci fu però una svolta: lo scrittore vendette agli imprenditori Scola tutte le proprietà di famiglia distribuite in Lecco e nel lariano, né mai più tornò nella sua “quasi città natale”. Tratteremo altrove le ragioni di questo distacco radicale. Ci bastino ora questi pochi richiami a dati di fatto, per segnalare il legame organico e necessitante (sotto il profilo della personalità artistica e psicologica) tra Manzoni e Lecco.
L’Abate Antonio Stoppani (1824-1891).
Un lecchese lecchese. L’Abate Antonio Stoppani, più giovane di 39 anni di Manzoni, nacque a Lecco sei anni dopo l’abbandono definitivo della città da parte di Manzoni. Fu però intrinseco, anche per legami familiari, ad alcune di quelle figure, sopra ricordate, che con Manzoni ebbero un variegato rapporto sociale e culturale.
Citiamo, come esempio, il già ricordato Francesco Ticozzi, il quale era zio acquisito (e testimone di nozze) di Lucia Pecoroni della famiglia Arrigoni, madre dell’Abate. Ticozzi morì prima che nascesse Antonio Stoppani ma in casa ne rimase a lungo memoria per le caratteristiche dell’uomo e del cittadino. Tanto più che tra i Ticozzi e gli Stoppani i rapporti continuarono anche nella generazione dell’Abate e in circostanze di estremo coinvolgimento. Cesare Ticozzi (figlio di Francesco) fu nel 1848, uno dei comandanti della colonna armata di giovani lecchesi che si portò in Milano, in appoggio ai rivoltosi delle 5 Giornate, tra i quali molto attivo era il giovane Stoppani. Anche con l’altro amico intimo di Manzoni, l’architetto Bovara, l’Abate Stoppani ebbe nel corso dei decenni un continuo rapporto di simpatia e di frequentazione scientifico-culturale.
Le comuni conoscenze tra Manzoni e Stoppani in Milano, furono numerose e coincisero con quel folto gruppo di sacerdoti rosminiano-conciliatoristi, molto attivo in Milano, sul piano culturale e politico.
Questi sacerdoti vedevano in Manzoni un insostituibile punto di riferimento per ogni problema di carattere culturale e di posizionamento politico, soprattutto dopo la liberazione di Milano del 1859 (come esempio di questo legame, spesso sottotaciuto dall’analisi storica, vedi le nostre considerazioni sul recente docu-film del Centro Nazionale di Studi Manzoniani “A. Manzoni, milanese d‘Europa” – Episodio 16).
In questa sede ci limitiamo a pochi nomi e ricordiamo don Giulio Ratti (1801-1869), dal 1831 alla morte parroco di San Fedele, confessore quotidiano del Manzoni, suo fiduciario su questioni riservate e intimo amico per trent’anni. Ratti, molto attivo nelle Cinque Giornate del 1848, nel 1860 fu tra i principali esponenti del giornale “Il Conciliatore” (su cui scriveva l’Abate Stoppani) e sarebbe divenuto poco più avanti Presidente della conciliatorista e rosminiana Società Ecclesiastica, di cui era Vice-Presidente Pietro Stoppani, anch’egli sacerdote e fratello maggiore dell’Abate.
Ma ancora più significativo del legame in Milano tra Manzoni e Stoppani fu Natale Ceroli (1821-1874). Questi, dal 1861 alla morte di Manzoni (maggio 1873), ne fu l’assiduo ed efficiente assistente nella gestione del grande archivio storico-letterario di Via del Morone, nonché della sua copiosissima corrispondenza. Inoltre, praticamente ogni giorno, Ceroli fu per anni del Manzoni accompagnatore e confidente nelle lunghe quotidiane passeggiate che lo scrittore faceva in Milano. Si può dire con certezza che, anche per la sua rilevante preparazione umanistica, Ceroli fu uno degli intellettuali maggiormente informato dell’insieme delle elaborazioni del Manzoni maturo, nonché depositario di molte sue confidenze personali. E infatti, alla morte di Manzoni, Ceroli venne indicato dalla famiglia come riordinatore, assieme a Giovanni Rizzi e a Visconti Venosta, dell’ingente patrimonio documentario di Alessandro. Solo la morte prematura (nel 1874, un anno dopo Manzoni, a 53 anni) impedì a Ceroli di essere maggiormente e più dettagliatamente ricordato per queste sue caratteristiche e questo suo importante ruolo.
Tra Natale Ceroli e l’Abate Stoppani i rapporti erano più che fraterni. Quasi coetanei, si erano conosciuti adolescenti al Seminario di Monza, entrambi allievi di Alessandro Pestalozza. Furono poi insieme insegnanti al Seminario di Milano; insieme tra i rivoltosi nelle Cinque Giornate; insieme espulsi dall’insegnamento per ordine degli Austriaci nel 1853 come “anti-austriaci”; insieme nell’assistenza ai feriti di San Martino nel 1859. Con il nuovo Regno d’Italia del 1861 la quotidianità li separò, con l’Abate impegnato nella ricerca scientifica e spesso lontano da Milano e Ceroli dedicato a un meno visibile insegnamento in collegi privati. Ma i rapporti d‘amicizia rimasero sempre saldissimi fino alla morte prematura di Ceroli (agosto 1874), verificatasi durante un viaggio in Terrasanta in compagnia proprio dell’Abate Stoppani.
In forza della stretta confidenza con entrambi, Ceroli aveva spesso cercato di fare incontrare Manzoni e Stoppani (aveva anche proposto “incontri musicali”, essendo Stoppani più che discreto pianista, dotato cantante e buon conoscitore di tutte le più note arie risorgimentali) ma Manzoni si era sempre negato.
Quali le ragioni di questa ritrosia di Manzoni a conoscere personalmente il brillante e già apprezzato geologo, nonostante la vicinanza di idee e di frequentazioni?
In mancanza di documenti diretti possiamo solo ricorrere alle memorie di famiglia (da prendere sempre con le dovute cautele): Manzoni (da sempre restio alle novità – e negli anni ’60 si avvicinava alle ottanta primavere) avrebbe avuto difficoltà a incontrare l’Abate Stoppani proprio perché lecchese e perché vicino a figure che erano state intrinseche alla famiglia Manzoni nei primi dell’Ottocento. In Lecco la vita sentimentalmente autonoma di Giulia Beccaria (la madre di Alessandro) non era mai stata vista positivamente e si pensava che questo fosse stato anzi uno degli elementi determinanti per il distacco di Manzoni da quella che era stata la città della famiglia per oltre duecento anni.
Ma è anche possibile (questa è però una nostra idea) che a rendere restio Manzoni ad avviare un legame con l’Abate fosse l’intransigenza (anche umorale) di questi rispetto al Governo sabaudo nelle scelte di politica del territorio (a Quintino Sella, nonostante gli ottimi rapporti personali, l’Abate aveva notoriamente rivolto parole non proprio diplomatiche a proposito della realizzazione della carta geologica della nuova Italia – una delle questioni chiave anche per quell’epoca). A un Manzoni già indebolito dall’età e da aspetti sfortunati della vita familiare, potrebbe essere parso faticoso e impegnativo un rapporto con il combattivo sacerdote-scienziato.
Sta di fatto che Alessandro Manzoni e Antonio Stoppani non si incontrarono mai, con buona pace di quei commentatori (vedi Bezzola) che hanno pensato potesse essere grazioso inventare in proposito qualche quadretto di maniera.
Ma è chiaro che, alla morte di Manzoni (maggio 1873), Ceroli fu una delle fonti previlegiate cui attinse l’Abate Stoppani per il suo studio sul giovane Manzoni, cui dedicò molte energie.
I primi anni di Alessandro Manzoni. Alla morte di Manzoni, l’Abate Stoppani si attivò immediatamente con una serie di ricerche d’archivio e di interviste sul campo, per dare della formazione della figura di Manzoni un’interpretazione storicamente fondata, anche se in contro tendenza. Anche uomini vicinissimi a Manzoni e di talento (uno per tutti, Giulio Carcano), non esitavano infatti a fare di Milano l’unico punto di riferimento per la personalità di Manzoni, dimenticando – spesso volutamente – anche solo di nominare la città lariana “quasi città natale” del Manzoni.
L’Abate Stoppani fu allora l’unico intellettuale di peso che assunse, a fronte di questo orientamento “milanocentrico”, una differente posizione e più fondata posizione, tesa ad affermare la centralità di Lecco nella psicologia profonda di Manzoni e nel dispiegarsi della sua straordinaria poetica.
A partire dal novembre del 1873, l’Abate Stoppani cominciò a scrivere per la rivista “Le Prime Letture”, una serie di articoli nei quali trasferiva i risultati delle sue ricerche.
Riprese poi e sviluppò questi articoli in un agile libro – I primi anni di Alessandro Manzoni – che apparve ai primi del 1874. In esso Stoppani contribuiva a presentare al pubblico italiano sia inediti componimenti giovanili di Manzoni sia l’ambiente nel quale era maturato il “modo nuovo” della poetica manzoniana. In modo estremamente innovativo per l’epoca, Stoppani sottolineava l’importanza che hanno le impressioni e le esperienze dell’infanzia e dell’adolescenza nella formazione della personalità di ogni uomo, tanto più se particolarmente sensibile quale fu quella di Alessandro Manzoni.
L’Abate poggiava la sua interpretazione su dati di fatto, che collocavano indissolubilmente la formazione del Manzoni nel quadro naturalistico, culturale e sociale della Lecco tra la fine del ’700 e i primi vent’anni dell’Ottocento.
«I Primi anni di A. Manzoni», edito dall’Abate Stoppani ai primi del 1874. In esso l’Abate – unico in Italia – sottolineava l’importanza decisiva dell’ambiente naturalistico e sociale di Lecco per la formazione della personalità artistica e morale di Manzoni.
A questa collocazione della formazione artistica ed esistenziale di Manzoni nelle specificità del territorio lariano – ponendosi in perfetta controtendenza rispetto al “mondo manzoniano” ufficiale – l’Abate rimase sempre assolutamente fedele.
E ne fece anzi il presupposto concettuale per la sua lunga azione tesa a creare una indissolubile unione tra il nome di Manzoni e quello di Lecco. A spingere l’Abate su quella linea interpretativa non erano ovviamente banali ragioni campanilistiche ma un’idea di fondo sull’ambiente naturalistico e sociale dell’area lecchese, visto dall’Abate come particolarmente adatto alla formazione di un pensiero e di un orientamento psicologico teso all’uguaglianza e alla libertà. Ma di questo in modo più ampio in altra sede.
E ne fece anzi il presupposto concettuale per la sua lunga azione tesa a creare una indissolubile unione tra il nome di Manzoni e quello di Lecco. A spingere l’Abate su quella linea interpretativa non erano ovviamente banali ragioni campanilistiche ma un’idea di fondo sull’ambiente naturalistico e sociale dell’area lecchese, visto dall’Abate come particolarmente adatto alla formazione di un pensiero e di un orientamento psicologico teso all’uguaglianza e alla libertà. Ma di questo in modo più ampio in altra sede.
Ci basti qui ricordare che l’azione dell’abate si concluse felicemente con la realizzazione (10 ottobre 1891) del grande e artisticamente efficace Monumento a Manzoni tuttora presente nella città lariana. Su questo tema abbiamo già resa pubblica una nostra ricerca e altre sono in preparazione. Ci basta qui accennarne per spiegare lo spazio che in questa fase dell’attività del nostro Centro Studi occupa la riflessione su Manzoni.
In conclusione, è opportuno ricordare che questo orientamento “larianocentrico” dell’Abate in relazione alle caratteristiche della personalità artistica e sociale di Manzoni, conseguì ottimi risultati, i cui effetti si fecero sentire per decenni. Ricordiamo che tutta la ripresa degli studi manzoniani del secondo dopoguerra considerò come dato neppure da discutere il legame organico tra Manzoni e Lecco (basta considerare che i primi nove convegni su Manzoni, organizzati dal Centro Nazionale di Studi Manzoniani, si svolsero invariabilmente a Lecco – fino al 1971). E che l’attuale tendenza “milanocentrica” è cosa di questi ultimi anni, favorita, per ragioni che avremo modo di sviluppare altrove, proprio dal medesimo Centro Nazionale di Studi Manzoniani, autore in proposito di una vera e propria revisione che, purtroppo, non possiamo considerare che anti-storica.
Milano, 14 agosto 2017