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Gen­tili Lettori,
di se­guito tro­vate la

NOTA CRITICA COMPLETA

del nostro Centro Studi Abate Stoppani

alla edizione Einaudi 2024 de «Il Bel Paese».

Do­me­nica 7 aprile ne era stata pre­sen­tata una prima par­ziale se­zione.

Chi la avesse già vi­sio­nata, può con­ti­nuare la let­tura pas­sando di­ret­ta­mente alla se­conda se­zione, uti­liz­zando que­sto link.

Gra­zie e buona lettura!

Mi­lano, sa­bato 6 aprile 2024

Que­sta Nota è de­di­cata alla ap­pena pub­bli­cata edi­zione de “Il Bel Paese” dell’Abate An­to­nio Stop­pani, pro­po­sta da Giu­lio Ei­naudi Edi­tore, a cura del suo Pre­si­dente, Pro­fes­sor Wal­ter Barberis.

La Nota è senza al­cun vin­colo di pro­prietà let­te­ra­ria: quanto è qui con­te­nuto sarà da chiun­que li­be­ra­mente uti­liz­za­bile (gra­dita la ci­ta­zione della fonte, ovviamente).

Gra­zie per la let­tura e per la dif­fu­sione che ne vor­rete fare.

Fa­bio Stoppani
Cen­tro Studi Abate Stoppani
fabio-stoppani@alice.it

Una in­for­ma­zione forse non inu­tile al let­tore: ho scritto que­sta Nota an­che per­ché le­gato per ra­gioni fa­mi­liari alla me­mo­ria dell’Abate Stop­pani — il mio bi­snonno Gio­vanni Ma­ria gli era fra­tello mi­nore e, anch’egli adepto delle scienze na­tu­rali, fu per anni suo com­pa­gno / as­si­stente nelle tante escur­sioni scien­ti­fi­che de­scritte ne “Il Bel Paese”.

È tempo di excelsior Non di sciatterie!

Abate An­to­nio Stoppani
(Lecco, 1824 – Mi­lano 1891).
Sa­cer­dote, pa­triota de­mo­cra­tico, geo­logo, let­te­rato, fi­glio di Lu­cia Pe­co­roni e di Gio­vanni Maria.

Abate Antonio Stoppani (Lecco, 1824 – Milano 1891).
Sacerdote, patriota democratico, geologo, letterato, figlio di Lucia Pecoroni e di Giovanni Maria.

NEL BICENTENARIO

della na­scita dell’Abate An­to­nio Stop­pani (Lecco, 15 ago­sto 1824) ben ven­gano i con­tri­buti seri, istrut­tivi, ­­fe­deli alla sto­ria di noi tutti.

Ma a un edi­tore pur di pre­sti­gio, in que­sto caso in evi­dente con­fu­sione, di­ciamo chiaro e tondo: 

giù le mani
dall’abate Stoppani!

Nota critica sull’appena pubblicata edizione Einaudi de “Il Bel Paese” di Antonio Stoppani, curata dal Presidente / Professore Walter Barberis.

Tra re­fusi e inac­cet­ta­bili vio­lenze al te­sto dell’Abate Stoppani

311 Gli errori materiali

62 i re­fusi di composizione!

Tra­dito l’impegno di fe­deltà all’originale “nella gra­fia e ne­gli usi ti­po­gra­fici”, sono stati eli­mi­nati senza al­cuna ra­gione i cor­sivi in di­da­sca­lia delle 39 in­ci­sioni dell’originale di Stop­pani, creando am­bi­guità sulla strut­tura della let­tura — pro­prio ciò che Stop­pani aveva evi­tato ac­cu­ra­ta­mente an­che col ri­corso ai corsivi!

Eli­mi­nate le 210 “te­sta­tine” per­so­na­liz­zate, po­ste da Stop­pani in te­sta di ogni pa­gina di­spari per gui­dare al me­glio il let­tore ideale — gio­vani e an­che di acerba cultura!

Dal fron­te­spi­zio ori­gi­nale cen­su­rata la ci­ta­zione di Petrarca:
«……… il BEL PAESE
Ch’Appennin parte, e ’l mar cir­conda e l’Alpe»! — come se die­tro non ci fosse un pre­ciso ragionamento!

Non la per­fetta e par­lante co­per­tina ori­gi­nale ideata da Stop­pani (Ve­su­vio, sim­bolo dell’unicità del no­stro Paese e delle nuove at­ti­vità pro­dut­tive, fi­glie della scienza) ma l’anonimo ri­ta­glio di un di­pinto (“The Tra­vel­ling Com­pa­nions – Le com­pa­gne di viag­gio”, 1862, del pit­tore in­glese Au­gu­stus Leo­pold Egg), ul­tima delle 16 “il­lu­stra­zioni na­zio­nali” — de­fi­ni­zione do­na­taci per iscritto dal Prof. Bar­be­ris — che in­fram­mez­zano le pa­gine di que­sta in­fe­lice edizione.

Il Bel Paese”
dell’Abate An­to­nio Stop­pani, 1876

Il Bel Paese”
se­condo Ei­naudi / Bar­be­ris, 2024

In car­rozza fer­ro­via­ria di prima classe, at­tra­ver­sano un ter­ri­to­rio non ita­liano (siamo in Fran­cia, Men­tone — eh sì! nel 1862 era de­fi­ni­ti­va­mente fran­cese) due “ge­melle” ele­ganti e pia­centi, in spe­cu­lare op­po­si­zione: una è tutta com­po­stina, l’altra è ab­ban­do­nata al sonno con espli­citi se­gnali di sen­sua­lità: ca­pelli sciolti, bocca soc­chiusa, abito sbot­to­nato sotto il seno, nel ce­stino al suo fianco arance, sim­bolo di amore e fertilità.

Non è solo sto­lida in­con­gruenza edi­to­riale ma un in­sulto all’Abate: at­tac­cato dal clero rea­zio­na­rio per la sua lotta con­tro il po­tere tem­po­rale del Papa, il No­stro venne pub­bli­ca­mente ca­lun­niato come “am­mo­gliaz­zato” e “mer­ca­tore di sor­risi in­ve­re­condi” (forma ele­gante per put­ta­niere), “dan­zante al prato con qual­che mopsa ac­canto” (“Mopsa” era ninfa par­ti­co­lar­mente at­traente — forma let­te­ra­ria per pro­sti­tuta di alto bordo).

Al­lora l’Abate vinse la bat­ta­glia, an­che in tribunale.
E ora, certo in­con­sa­pe­vol­mente, con quelle flo­ride ra­gaz­zotte sulla co­per­tina del suo “Il Bel Paese”, Ei­naudi ri­pro­pone in­ge­nua­mente gli in­sulti dei vec­chi ar­nesi della rea­zione, or­mai can­cel­lati dalla storia.

Nella “In­tro­du­zione” del Pro­fes­sor Bar­be­ris, Stop­pani è detto “lec­chese di ori­gine” (era egli forse nato in Ar­gen­tina o in Au­stra­lia da emi­granti lecchesi?)!

Sem­pre lì, ta­ciuti mese, giorno di na­scita e il nome dei ge­ni­tori: l’intelligente, colta e fa­col­tosa ma­dre Lu­cia Pe­co­roni e il sa­gace non­ché ge­ne­roso pa­dre Gio­vanni Ma­ria, ram­pollo di fa­mi­glia, nel se­colo al­lora ap­pena pas­sato, po­tente in Milano.

Ta­ciuto l’anno del suo or­di­na­mento a Sacerdote.
Lo di­ciamo noi: fu il 17 giu­gno del 1848, ap­pena tor­nato dalla straor­di­na­ria­mente san­gui­nosa bat­ta­glia di Santa Lu­cia, anch’essa taciuta.
Come ta­ciuta è la sua par­te­ci­pa­zione alla Terza Guerra di In­di­pen­denza, 1866, in­qua­drato nella Croce Rossa e “uomo probo” della sua squa­dra, ag­gre­gata all’armata Cialdini!

Non una pa­rola da Ei­naudi sulla ven­ten­nale azione di Stop­pani per la me­mo­ria di Man­zoni con­tro gli at­tac­chi del clero rea­zio­na­rio — non era solo omag­gio al poeta: era di­fesa delle con­qui­ste risorgimentali.

Si­len­zio sulla sua straor­di­na­ria pro­mo­zione di Lecco come città di Man­zoni e de “I Pro­messi Sposi”!
La città ne ha in­vece sem­pre te­nuto af­fet­tuosa me­mo­ria e nel 1927 all’Abate venne eretto un grande mo­nu­mento di ot­tima fattura.

Bar­be­ris, ol­tre che dei mo­nu­menti a Stop­pani (il se­condo è a Mi­lano, a lato del Mu­seo di Sto­ria Na­tu­rale che egli a lungo di­resse), si è scor­dato e di Man­zoni (mai nep­pure ci­tato) e del suo mo­nu­mento in Lecco, vo­luto e rea­liz­zato da Stop­pani con il con­tri­buto an­che dei no­stri nonni, 130 anni fa bam­bini delle elementari.
Di que­ste “di­men­ti­canze” al Prof. nes­suno ha an­cora detto nulla — chissà se ora qual­cuno a Lecco gliene chie­derà conto la prima volta che an­drà in città.

Non una pa­rola sul lungo im­pe­gno per la Carta Geo­lo­gica d’Italia (scienza e cul­tura delle de­mo­cra­ti­che co­mu­nità regionali­­ con­tro la bu­ro­cra­zia militarizzata)!

Si­len­zio vo­luto sul Bi­cen­te­na­rio della na­scita (1824-2024) ma suo sfrut­ta­mento per il lan­cio editoriale!
A noi il Prof., lo ha scritto il 25 marzo: «Le con­fesso che non ho scritto del bi­cen­te­na­rio in­ten­zio­nal­mente; an­che la oc­ca­sione tem­po­rale, ce­le­bra­tiva, non fa bene ai li­bri. Ne re­stringe il campo d’azione, li si­tua in un luogo e in un tempo.».

Dis­sen­tendo fer­ma­mente da que­sta con­ce­zione de­for­mante e sva­lu­ta­tiva della fun­zione della me­mo­ria col­let­tiva, pen­siamo che il 12 aprile, al Po­li­tec­nico di Lecco, sarà cosa cu­riosa ve­dere il Pro­fes­sor Bar­be­ris (ospi­tato con tutti gli onori per pro­muo­vere un pro­dotto di spro­po­si­tato prezzo dell’impresa di cui è Pre­si­dente), al cen­tro dell’Atto primo delle ce­le­bra­zioni del Bi­cen­te­na­rio dell’Abate Stop­pani, come espli­ci­ta­mente scritto nel pro­gramma del Co­mune, tra­smesso all’intera uma­nità (tra­scri­viamo te­stual­mente, par­ti­co­la­rità or­to­gra­fi­che comprese):

«ANTONIO STOPPANI
BICENTENARIO DELLA NASCITA

Ve­nerdì 12 aprile, ore 18.45
Po­li­tec­nico di Lecco, Aula Magna

“La nuova edi­zione Ei­naudi de Il bel Paese”

Sa­luti isti­tu­zio­nali: Si­mona Piazza (Vi­ce­sin­daco, As­ses­sore alla Cul­tura Co­mune di Lecco) / Fran­ce­sco Lo­ca­telli (Pre­si­dente Ro­tary club Lecco).

Ta­vola ro­tonda: Wal­ter Bar­be­ris (sto­rico – Uni­ver­sità di To­rino) e Mauro Ber­sani (edi­tor dei Clas­sici Ei­naudi) dia­lo­gano con Bruno Biagi (As­so­cia­zione Pro­messi sposi in cir­colo). Coor­dina Mauro Ros­setto, Di­ret­tore Si­stema Mu­seale Ur­bano Lecchese.»

Pro­te­sterà il Pro­fes­sor Bar­be­ris per quel “bi­cen­te­na­rio” messo a cap­pello della sua pro­mo­zione editoriale?

Pu­di­ca­mente il Co­mune di Lecco ha evi­tato di se­gna­lare che:
1/ Wal­ter Bar­be­ris, ol­tre che “sto­rico – Uni­ver­sità di To­rino” è dal 2014 an­che Pre­si­dente di Giu­lio Ei­naudi Edi­tore, non­ché cu­ra­tore del vo­lume che verrà presentato;
2/ Bruno Biagi, per 23 anni e fino al 2015, è stato ti­to­lare della li­bre­ria “Punto Ei­naudi” di Lecco.

Rias­su­mendo: una par­tita con una sola squa­dra in campo — e Si­mona Piazza, As­ses­sora alla Cul­tura di Lecco non­ché Vi­ce­sin­daco, a fare da ma­drina alla lec­chese tra­sferta com­mer­ciale della più im­por­tante casa edi­trice del bel paese.

Ma un qual­cun al­tro (cri­tico, sto­rico, let­te­rato, scien­ziato, re­li­gioso, po­li­tico, sem­plice cit­ta­dino di buon senso) che non fosse di­ret­ta­mente coin­volto con Ei­naudi, non si po­teva tro­vare? Tanto per dire: è stato un dibattito!

Il prezzo di ven­dita della edi­zione Ei­naudi è di 85,00 Euro,­­ un ar­ro­gante in­sulto all’Abate Stop­pani: egli sem­pre of­frì “Il Bel Paese” al mi­nimo prezzo per­ché an­che il più umile de­gli ita­liani po­tesse averlo nella pro­pria casa!

Au­spi­chiamo che Giu­lio Ei­naudi Edi­tore vo­glia ri­me­diare a que­sta sciatta edi­zione: ne com­pili una de­gna dell’Abate An­to­nio Stop­pani e la dif­fonda a po­chi Euro in tutte le con­trade de­­l no­stro BEL PAESE!

Così ri­marrà l’Einaudi che sem­pre ab­biamo apprezzato!

Per­ché qual­cuno non pensi che al no­stro Cen­tro Studi piace par­lare a van­vera, pre­sen­tiamo su­bito al let­tore il ca­pi­to­letto re­la­tivo ai 62 er­rori di com­po­si­zione re­ga­lati da Ei­naudi al let­tore per gli 85,00 Euro in­cas­sati per que­sta sin­go­lare edi­zione de “Il Bel Paese” — se da una balza del San Mar­tino l’Abate po­tesse leg­gerla (è lì si­cu­ra­mente), di certo da­rebbe mano al suo in­se­pa­ra­bile al­pen­stock!

Errori di composizione

62

gli er­rori di com­po­si­zione de “Il Bel Paese”, Edi­zione Ei­naudi 2024.

62 gli errori di composizione de “Il Bel Paese”, Edizione Einaudi 2024.

Qui di se­guito i 62 (ses­san­ta­due) er­rori di com­po­si­zione ri­scon­trati dal Cen­tro Studi Abate Stop­pani, con­fron­tando la scrit­tura Ei­naudi (l’ultima pa­gina è la 577) con l’originale edito da Stop­pani nel 1876.

In prima co­lonna il numero/ di pa­gina dell’Edizione Ei­naudi in cui è stato ri­scon­trato l’errore di com­po­si­zione (quando al nu­mero se­gue [n], ci si ri­fe­ri­sce alla nota a piè di pagina.
A se­guire, l’errore di com­po­si­zione, evi­den­ziato in rosso e chiuso con pa­ren­tesi quadra].
A se­guire an­cora il te­sto cor­retto, evi­den­ziato in blu, come da­toci dall’Abate Stop­pani nella sua edi­zione del 1876.

005/ ro­manzo sto­rico] ro­manzo storico

007/ vul­ca­ni­cità, l’Italia] vul­ca­ni­cità, per cui l’Italia

007/ adot­tarsi] ad­dot­tarsi

007/ in­ven­zione, essa, è] in­ven­zione, essa è

019/ Via Lat­tea] Via Lat­tea

022/ al­bum] al­bum

026/ fe­sta del Club Al­pino] fe­sta del Club Al­pino

028/ Club al­pino] Club al­pino

030/ fa­remo poi, il co­sti­tuirsi] fa­remo poi. Il costituirsi

035/ sus­sidi] sus­sidî

038/ “Il nu­mero dei di­sa­stri”] «Il nu­mero dei disastri»

043n/ So­gni d’ossa] So­gni l’ossa

043n/ le tue vit­time so­gno] le tue vit­time sogni?

045/ « Mi fanno pena] Mi fanno pena

046/ ai San Mar­tino] al San Martino

046/n pas­seggi.] pas­seggi. Di là, riu­nite in una sola cer­chia ne­vosa e den­tata, si pro­spet­tano le Alpi e le Prealpi.

053/ sotto la piaga] sotto la plaga

059/ “dalla si­gnora […] amica”] «dalla si­gnora […] amica»

060/ lo ar­ringo] lo ar­ringò

062/ Monte Pe­lino] Molte Pelmo

064n/ cioè le pit­ture] cioè le pit­ture

066/ che Bo­rea] che Borca

067/ è bel­lis­simo tutto] è bel­lis­simo, tutto

068/ ve­dete un odore] ve­dete! un odore

071/ Club al­pino ita­liano] Club al­pino italiano

073/ che le fonde] che le floride

087/ agi­lità, nel salto] agi­lità nel salto

093/ fin che posso.] fin che posso. —

098/ bronzi fasi] bronzi fusi

110/ «La valle sem­pre] La valle sempre

116/ a va­pore fino,] a va­pore, fino

129/ E la gran via] È la gran via

145/ cento indi] cento iridi

145/ sfa­mano] sfu­mano

154/ pen­nac­chi] pen­nac­chî

156n/ Cam­pa­nula rho­m­hoi­da­lis] Cam­pa­nula rhomboidalis

156/ Calla pa­lu­stre] Calta pa­lu­stre

159n/ Gen­tiana ci­bata] Gen­tiana ciliata

177/ in atto i] in atto di

181/ tas­sare un pic­colo mare] pas­sare un pic­colo mare

184/ Un sole] Un SOLE

200/ Il mi­ni­stro […] della na­tura] «Il mi­ni­stro […] della natura»

246/ In­fine la lima] In­fine la luna

273/ pe­renne mora] pe­renne morìa

295/ Un pozzo alla Chi­nese] Un pozzo alla chinese

312/ Le salse di Ni­rano] Le salse di Nirano

312/ L’uomo del fuoco] L’uomo del fuoco

362n/ me­tri 8504] me­tri 85,04

374/ torre Scian­cata] torre scian­cata

386/ lon­tana ar­dente] fon­tana ardente

391/ can­cel­lata la firma dell’incisore nella illustrazione

396/ quei ma­stri vo­lanti] quei mo­stri volanti

416/ sem­bra che a o non] sem­bra che a 0º non

440/ ai tur­chino] al tur­chino

453/ Fi­renze, 1571] Fi­renze, 1871

467/ l’inglese Ter­vis] l’inglese Jer­vis

481/ fuo­chi di vini] fuo­chi divini

535/ Eru­zione del 1689] Eru­zione del 1669

551/ 20 gradi sotto o] 20 gradi sotto 0

561/ me­glio mi torni».] me­glio mi torni.

563/ E la ce­le­bre] È la celebre

564n/ Se­rata XXVII a pag. 487] Se­rata XXVII a pag. 533

577/ S. Mar­tino!»] S. Mar­tino!» FINE

Sezione seconda — Interventi arbitrari

249

gli in­ter­venti ar­bi­trari sul te­sto di An­to­nio Stop­pani ne “Il Bel Paese”, Edi­zione Ei­naudi 2024.

249 gli in­ter­venti ar­bi­trari sul te­sto di An­to­nio Stop­pani ne “Il Bel Paese”, Edi­zione Ei­naudi 2024.

Da considerare come “errori” — ma ancora più gravi — gli arbitrari interventi “correttivi”.

Pas­siamo ora a un ar­go­mento vi­cino a quello ap­pena trattato.

Nella edi­zione Ei­naudi vi sono pa­rec­chie cen­ti­naia di in­ter­venti ar­bi­trari di Ei­naudi a “cor­re­zione” del te­sto dell’Abate. Ri­chia­miamo l’attenzione del let­tore su que­sto aspetto non secondario.

Nella di­chia­ra­zione di in­tenti che ab­biamo so­pra ri­por­tato, Ei­naudi as­si­cura al po­ten­ziale ac­qui­rente che: 

«Salvo per la cor­re­zione di al­cuni re­fusi evi­denti, gra­fie usi ti­po­gra­fici ori­gi­nali sono stati la­sciati invariati.»

Si tratta di un im­pe­gno e in­sieme di una pro­messa molto forte e tale da at­ti­rare l’attenzione di tanti che per pro­fes­sione o per cul­tura vo­gliono com­pul­sare un te­sto di metà Ot­to­cento pro­prio con le ca­rat­te­ri­sti­che gra­fi­che ori­gi­nali — non al com­pu­ter, su pdf di let­tura non sem­pre age­vole ma in una co­moda e ben leg­gi­bile forma cartacea.

Le ra­gioni sono in­fi­nite: per quanto ri­guarda noi, ap­pena ab­biamo letto quelle ri­ghe a pa­gina 3, ab­biamo messo da parte le ri­serve sul prezzo ec­ces­sivo e ci siamo detti: caro Fa­bio Stop­pani, apri il bor­sel­lino e prendi il li­bro — ci verrà buono.

Guar­dando però qua e là con un poco di at­ten­zione ci siamo ac­corti che la pro­messa / im­pe­gno di Ei­naudi era im­pe­gno da ma­ri­naio e che in molte si­tua­zioni il cu­ra­tore o si è scor­dato di quanto pro­messo op­pure se ne è fatto un baffo.

Co­mun­que sia le pa­role dell’impegno / pro­messa di Ei­naudi sono da una parte troppe e dall’altra troppo poche.

Sono po­che
per­ché Ei­naudi avrebbe do­vuto in­di­care an­che cosa esat­ta­mente vo­lesse in­di­care con le espres­sioni “re­fusi”, “gra­fie” e “usi ti­po­gra­fici” che, non es­sendo espres­sioni uni­vo­ca­mente de­fi­nite, pos­sono vo­ler dire in­sieme molte cose e nessuna.

Sono troppe
per­ché Ei­naudi ha fir­mato un im­pe­gno, per­fet­ta­mente disatteso.

Ve­diamo me­glio il come si ma­ni­fe­sta que­sto “tra­di­mento”, co­min­ciando col chia­rirci sui ter­mini — in prima bat­tuta ve­dendo in­sieme che si­gni­fica “re­fuso”, ter­mine sto­ri­ca­mente ab­ba­stanza ben definito.

I refusi.

Nel lin­guag­gio ti­po­gra­fico e re­da­zio­nale, il lemma “re­fuso” ri­sale ai primi tempi della com­po­si­zione ti­po­gra­fica quando i ca­rat­teri di stampa erano di­stri­buiti in modo ben de­fi­nito nelle casse ti­po­gra­fi­che, ognuna com­po­sta da tante cel­lette, ognuna della quali de­sti­nata a uno spe­ci­fico ca­rat­tere: il com­po­si­tore quasi non guar­dava dove met­teva le mani ma, come un esperto vio­li­ni­sta met­teva le dita nel po­sto giu­sto, pe­scava i ca­rat­teri nella cel­letta pre­de­fi­nita e met­teva il ca­rat­tere in composizione.

Se nella fase di smon­tag­gio di una com­po­si­zione già usata (in la­tino ciò si chia­mava “re­fun­dere”) l’addetto a que­sta im­por­tante fun­zione avesse messo fuori po­sto un ca­rat­tere, il com­po­si­tore sa­rebbe in­con­sa­pe­vol­mente ma cer­tis­si­ma­mente in­corso in un refuso.

Oggi, per re­fuso, si in­tende un qual­siasi er­rore tec­nico si com­metta nella com­po­si­zione, ov­via­mente sulle di­verse ta­stiere dei si­stemi informatici.

Nel 1876, prima edi­zione de “Il Bel Paese”, si com­po­neva an­cora ca­rat­tere per ca­rat­tere; i re­fusi erano ab­ba­stanza fre­quenti e la re­spon­sa­bi­lità non era ov­via­mente de­gli au­tori: stava al cor­ret­tore delle bozze in­di­vi­duarli e se­gna­larli per la cor­re­zione — e qui in­vece l’autore do­veva as­su­mersi le sue re­spon­sa­bi­lità: a una let­tura non at­ten­tis­sima il re­fuso po­teva sfug­gire (senza luce elet­trica, la ni­ti­dezza dello scritto non era un granché).

Giu­sta­mente Ei­naudi ha cor­retto que­sti re­fusi di com­po­si­zione sfug­giti alla cor­re­zione delle bozze da parte di Stop­pani in quel lon­tano 1876. Per esem­pio: “man­ta­gne” [mon­ta­gne] (p. 54/66); “e i mar Ca­spio” [e il mar Ca­spio] (p. 294/352) e al­tri che è inu­tile elen­care. Di que­sto dob­biamo rin­gra­ziare Ei­naudi e il cu­ra­tore Barberis.

Ma in molti casi Ei­naudi ha “cor­retto” an­che pa­role che as­so­lu­ta­mente non do­ve­vano es­sere toc­cate (lo chia­riamo più sotto).

E pas­siamo al se­condo ter­mine, in­di­cato nell’impegno preso da Trec­cani con il let­tore / cliente.

Grafie.

È il plu­rale di “gra­fia”. Il quale lemma in­dica (Trec­cani vo­ca­bo­la­rio): «1. Ma­niera di rap­pre­sen­tare le pa­role nella scrit­tura: g. esatta, ine­satta, cor­retta, scor­retta; «hauere» è una g. an­tica per «avere».

La “gra­fia” è stata sem­pre uguale, nel per­corso che ha por­tato alla lin­gua che oggi viene usata in Italia?
NO! Nell’Ottocento, per esem­pio, una se­rie di lemmi ve­niva resa con una “gra­fia” di­versa da quella che uti­liz­ziamo noi oggi.

Per ri­ma­nere sul no­stro og­getto di di­scus­sione, ne “Il Bel Paese” 1876, Stop­pani usa la [ j ] là dove noi oggi usiamo la [ i ]: “cen­ti­najo”, “cuc­chia­jata”, “no­joso”, “bal­la­tojo”, “an­no­jati”, ecc. ecc. per circa 560 ricorrenze.

Lo stesso si dica per al­tri ter­mini per cen­ti­naia di ri­cor­renze: “as­so­mi­lia­vano”, “ca­mello”, “sa­gri­fi­cio”, “ima­gi­na­tevi”, “ispa­lan­cate”, “me­stiero”, “scol­tura”, “an­ne­ga­zione”, “of­fe­riva”, ecc. ecc. Que­sti non sono er­rori d’autore né re­fusi: era la gra­fia in uso in quel tempo.

Te­nendo fede al pro­prio im­pe­gno, Ei­naudi ha man­te­nuto in que­sti casi le “gra­fie“ dell’originale di Stoppani.

Stesso di­scorso per gli ac­centi cir­con­flessi sulle [ î ], man­te­nuti uguali alla gra­fia usata da Stop­pani (ma solo per 26 delle 28 oc­cor­renze, e in­vece in­cap­pando in due er­rori: sus­sidî sus­sidi, p. 35 / pen­nac­chî / pen­nac­chi, p. 154).

Interventi immotivati.

Se per molte si­tua­zioni Ei­naudi ha man­te­nuto fede al pro­prio im­pe­gno e ha se­guito la gra­fia di Stop­pani, in mol­tis­simi al­tri casi ha in­vece fatto di te­sta pro­pria, in­fi­schian­do­sene dell’autore (e della sua pro­messa al let­tore / pagatore).

Per esem­pio: in molti nomi di lo­ca­lità, Ei­naudi è in­ter­ve­nuta mo­di­fi­cando la gra­fia di Stop­pani, e ren­dendo quelle pa­role nella forma che usiamo oggi.
Ve­diamo al­cuni casi: nel te­sto dell’Abate il ter­mine “Pen­sil­va­nia” ri­corre tre volte, sem­pre cor­retto da Ei­naudi in “Penn­syl­va­nia”. Ma que­sto sa­rebbe un “re­fuso”?
No! qui ab­biamo pro­prio un modo, sto­ri­ca­mente de­fi­nito, di rap­pre­sen­tare un termine.

Penn­syl­va­nia” è ov­via­mente cor­retto per noi ma se “cor­reg­giamo” Stop­pani sulla base dei cri­teri oggi in uso fac­ciamo un in­ter­vento im­mo­ti­vato e ad­di­rit­tura fal­si­fi­cante un og­get­tivo dato storico.

Nel caso pro­prio del ter­mine “Pen­sil­va­nia”, ab­biamo con­sul­tato il vo­lume “Gli Stati Uniti nel 1863” di Gio­vanni Bi­ge­low, edito in Mi­lano nel 1869. Nella tra­du­zione in ita­liano viene ri­por­tato 113 volte il ter­mine “Pen­sil­va­nia”, pro­prio come nella gra­fia di Stoppani.
È chiaro che in que­gli anni a metà Ot­to­cento pro­prio nes­suno né tra i let­tori co­muni né tra gli scien­ziati e gli spe­cia­li­sti con­si­de­rava un er­rore quel “Pen­sil­va­nia” tre volte ri­pe­tuto dall’Abate.

E al­lora per­ché mo­di­fi­carlo, dopo avere pro­messo che ci si sa­rebbe at­te­nuti alla gra­fia dell’originale?
Stesso di­scorso vale an­che per al­tre lo­ca­lità, con in più qual­che con­fu­sione da parte di Einaudi.

Per esem­pio: a pag. 58 della sua edi­zione 1876, Stop­pani scrive “Val-Brau­lio” / “Val-Viola” (p. 58); Ei­naudi ri­pete “Val-Brau­lio”, “Val-Viola” (p. 72).

Ma Stop­pani, a p. 53, scrive “Piz-del-Corvo”. In que­sto caso Ei­naudi cor­regge in “Piz del Corvo” to­gliendo i trat­tini (p. 66): per­ché nel primo caso Ei­naudi ha la­sciato i trat­tini e nel se­condo no?
An­cora: Stop­pani scrive “Pont-alt” (pag. 16 e 17 dell’edizione 1876), Ei­naudi scrive in­vece “Pont’alt” (p. 22-23).

Le gra­fie uti­liz­zate da Stop­pani sono da con­si­de­rare re­fusi? — per di più a tar­ghe alterne?
NO! sono espres­sione di un uso do­mi­nante e ac­cet­tato. Quelle gra­fie non do­ve­vano es­sere toc­cate, pro­prio come non sono stati toc­cati le [ j ] di ghiac­ciajo, bar­ca­joli, ecc.

Qual è il problema?
Che in que­sto modo — certo non in­ten­zio­nal­mente ma il ri­sul­tato non cam­bia — Ei­naudi, at­tri­buendo al te­sto cu­rato dall’Abate una quan­tità spro­po­si­tata di “re­fusi” in­duce ine­vi­ta­bil­mente il let­tore a ri­te­nere che l’Abate sarà an­che stato un bril­lante let­te­rato ma era an­che un ter­ri­fi­cante pa­stic­cione che non sa­peva pro­prio cosa si­gni­fi­casse cor­reg­gere una bozza.
E che quindi ab­bia fatto del suo fa­moso vo­lume de­sti­nato alla gio­ventù un Cer­vino di errori.
Al­tro che in­se­gnare al po­polo la lin­gua ita­liana! chiun­que può pen­sare che Stop­pani fa­cesse opera con­tra­ria e in­se­gnasse ai ra­gazzi una pes­sima “gra­fia”.

Ecco! que­sto è ciò che si può de­fi­nir un vero “tra­di­mento” dell’editore nei con­fronti sia dell’autore sia del pro­prio cliente: pro­metto che ti vendo (a 85,00 Euro) un te­sto ri­com­po­sto ri­spet­tando la gra­fia dello Stop­pani, e in­vece ti ri­filo un te­sto che in parte ri­prende lo Stop­pani e in gran parte no!
E nep­pure scrivo una pa­rola a mo­ti­vare que­sta mie scelte contraddittorie.

Se do­ves­simo pren­dere per buono l’impegno as­sunto da Ei­naudi a pag. 3, do­vremmo con­teg­giare come “er­rori” tutte le oc­cor­renze in cui Ei­naudi ha ab­ban­do­nato Stop­pani e ha se­guito i pro­pri cri­teri re­la­tivi alla “gra­fia”.

Al­tro che i 62 er­rori che ab­biamo so­pra evi­den­ziato. Do­vremmo par­lare di cen­ti­naia di “er­rori”, o — an­che — di mi­gliaia (ve­diamo più sotto la que­stione de­gli accenti).

Stravolta la grafia delle didascalie.

E il cor­sivo cosa è? non è an­che quello una par­ti­co­lare “gra­fia” con cui si vuole evi­den­ziare qual­che cosa?

Certo! E in­fatti, nel te­sto, Ei­naudi ha usato il cor­sivo come lo ha usato lo Stop­pani, salvo 8 ri­cor­renze sfug­gite al suo cor­ret­tore e da noi in­di­cate tra i 62 er­rori — ovviamente.

Ma se il cor­sivo è una “gra­fia” nel te­sto, sarà una “gra­fia” an­che nelle di­da­sca­lie. O no?

Se sì! al­lora, fer­man­doci su que­sto par­ti­co­lare aspetto, con­sta­tiamo che Ei­naudi ha sco­del­lato in tondo ben 39 di­da­sca­lie che Stop­pani aveva in­vece messo in cor­sivo 39 er­rori in più, quindi?

Certo! ma an­che molto peggio!

Non pos­siamo con­si­de­rare que­sta eli­mi­na­zione dei cor­sivi nelle di­da­sca­lie come sem­plici “er­rori” (e chi non sba­glia?): sono in­vece in­de­biti e ar­bi­trari in­ter­venti re­da­zio­nali, molto peg­gio de­gli er­rori in­vo­lon­tari di composizione.

Ov­via­mente sap­piamo che Ei­naudi nelle sue “Norme re­da­zio­nali” in­terne in­dica di ren­dere le di­da­sca­lie in tondo (corpo 8). L’editore ha fatto que­sta scelta re­da­zio­nale e vi si at­tiene. Bravi!

Ma a noi che ci im­porta delle norme re­da­zio­nali in­terne di Einaudi!
Per la loro edi­zione de “Il Bel Paese” 2024, Einaudi/Barberis pro­met­tono su ogni co­pia ven­duta di ren­dere la gra­fia usata da Stop­pani? e al­lora si at­ten­gano a ciò che essi stessi scri­vono! norme o non norme in­terne. O no?

Op­pure il let­tore deve pen­sare che per qual­che astrusa ra­gione, Stop­pani vo­lesse met­tere le sue di­da­sca­lie in tondo? E no, scu­sate! l’Abate Stop­pani cor­reva da solo — non era nella scu­de­ria di Einaudi!

La strage delle “testatine”.

Eli­mi­nate da Ei­naudi le 210 te­sta­tine — tutte per­so­na­liz­zate — po­ste sulle 242 pa­gine di­spari del vo­lume di Stop­pani: alla Ei­naudi non se ne ren­dono conto ma que­sta è vera in­co­scienza culturale.

L’edizione de “Il Bel Paese” edita da Stop­pani nel 1876 era ca­rat­te­riz­zata (come molti li­bri di al­lora) dal som­ma­rio di ogni sin­golo ca­pi­tolo (ne “Il Bel Paese” sono le 29 “Se­rate”), ognuno dei quali di­viso in ca­pi­to­letti numerati.
Nel corpo del capitolo/serata, sulla te­sta di tutte le pa­gine di­spari (quella di de­stra, aprendo il li­bro) Stop­pani aveva po­sto un bre­vis­simo ri­chiamo al ti­tolo del sotto-ca­pi­tolo nu­me­rato ­che ap­pare nelle di­verse pa­gine (mo­strare è più ef­fi­cace che spie­gare: guarda qui sotto un esem­pio: è la Se­rata / ca­pi­tolo XVII, com­po­sta di 16 pagine).

Que­ste ”te­sta­tine” pre­di­spo­ste dall’Abate sono pre­ziose: sfo­gliando il li­bro, e leg­gendo la te­sta­tina, si sa im­me­dia­ta­mente qual è il con­te­nuto di quella pagina.

La cosa sa­rebbe uti­lis­sima an­che oggi per qual­siasi te­sto un poco com­plesso ma al­lora, con l’80% della po­po­la­zione anal­fa­beta o semi-anal­fa­beta, ogni ac­cor­gi­mento che po­tesse fa­ci­li­tare la let­tura gui­data — per esem­pio in una classe ma an­che in fa­mi­glia — era di fon­da­men­tale im­por­tanza, cosa di cui An­to­nio Stop­pani era per­fet­ta­mente con­sa­pe­vole e a cui ha pre­stato la mas­sima attenzione.
En­triamo un po’ nel dettaglio.

210 “peccati mortali”.

An­che guar­dando di corsa, il let­tore si sarà certo ac­corto che il te­sto delle “te­sta­tine” non sem­pre è uguale al te­sto che è espo­sto nel som­ma­rietto ri­por­tato a ini­zio di ogni Se­rata / ca­pi­tolo — a volte sì, a volte no!

Nel caso di que­sta Se­rata XVII che ab­biamo preso ad esem­pio, vi sono al­cune dif­fe­renze tra il te­sto del som­ma­rietto e quello delle “te­sta­tine” (tra [pa­ren­tesi qua­dre] il te­sto che ap­pare nelle “te­sta­tine”). Vediamo.

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Som­ma­rietto di ini­zio Se­rata / capitolo:

SERATA XVII.
I vul­cani di fango.

La salsa di Sas­suolo, 1. — Di­sil­lu­sione, 2. — Sto­ria della salsa di Sas­suolo, 3. — Ul­tima eru­zione, 4. — An­tico svi­luppo dei vul­cani di fango in Ita­lia, 5. — Tra il mar Nero e il mar Ca­spio, 6. — Monti e ca­tene di fango, 7. — Ar­ci­pe­lago di fango, 8. — Isole na­scenti dal mare, 9. — Na­scita e morte dell’isola di Ku­mani, 10. — Le­zion­cina sull’origine de’ con­ti­nenti, 11.

Ve­diamo ora in­sieme te­sti del som­ma­rietto e te­sti delle te­sta­tine [tra pa­ren­tesi quadre]:

a/ La salsa di Sas­suolo, 1.
[uguale: La salsa di Sas­suolo (p. 205)]

b/ Di­sil­lu­sione, 2. [non ri­por­tato]

c/ Sto­ria della salsa di Sas­suolo, 3.
[uguale: Sto­ria della salsa di Sas­suolo (p. 297)]

d/ Ul­tima eru­zione, 4. [non ri­por­tato]

/ An­tico svi­luppo dei vul­cani di fango in Ita­lia, 5.
[mo­di­fi­cato: An­ti­chi vul­cani di fango in Italia]

f/ Tra il mar Nero e il mar Ca­spio, 6.
[uguale: Tra il mar Nero e il mar Ca­spio (p. 301)]

g/ Monti e ca­tene di fango, 7. — Ar­ci­pe­lago di fango, 8.
[mo­di­fi­cato: Mon­ta­gne e ar­ci­pe­lago di fango (p. 303)]

h/ Isole na­scenti dal mare, 9.
[mo­di­fi­cato: Isole nate dal mare (p. 305)

i/ Na­scita e morte dell’isola di Ku­mani, 10.
[mo­di­fi­cato: Na­scita e morte dell’isola Ku­mani (p. 307)]

l/ Le­zion­cina sull’origine de’ con­ti­nenti, 11
[mo­di­fi­cato: Le­zion­cina sull’origine dei con­ti­nenti (p. 309).

Come si vede, dei dieci ti­to­letti del som­ma­rietto di ini­zio Se­rata / ca­pi­tolo, nelle te­sta­tine Stop­pani ne ha ri­por­tati iden­ti­ca­mente solo quat­tro, meno della metà: de­gli al­tri sei, due non li ha ri­por­tati, quat­tro li ha mo­di­fi­cati.

Che si­gni­fica tutto ciò, caro let­tore che co­minci a spazientirti?
Sem­pli­cis­simo: che quelle “te­sta­tine” non sono un or­pello tec­nico o este­tico messo a pia­cer suo dal com­po­si­tore in un mo­mento di li­bera creatività.

Quelle “te­sta­tine” sono in­vece tutte state pen­sate — e ri­pen­sate — da Stop­pani: sono cioè parte in­te­grante del te­sto de “Il Bel Paese”.

Ciò si­gni­fica che Ei­naudi si è presa la li­bertà di CANCELLARE ar­bi­tra­ria­mente ben 210 ri­ghe del te­sto di Stoppani.

Tutti er­rori? Certo! se ci si passa l’espressione, an­che “er­rori mor­tali” — do­vreb­bero es­sere cal­co­lati doppi, tri­pli ma la­sciamo perdere.

Ma come è pos­si­bile una cosa del ge­nere? come si è po­tuto ar­ri­vare a una si­mile scel­le­ra­tezza? Po­vero Abate!

Sic­come im­pa­gi­nare quelle 210 te­sta­tine com­porta un po’ di la­voro in più (con i pro­grammi di im­pa­gi­na­zione di oggi, po­chis­simo la­voro in più), il cu­ra­tore Bar­be­ris ha chie­sto al Pre­si­dente Bar­be­ris: che ne fac­ciamo di que­ste 210 te­sta­tine dello Stoppani?
Guar­dan­dosi allo spec­chio Wal­ter ha de­cre­tato: ta­glia­tele e sulle pa­gine di de­stra, al po­sto delle frasi Stop­pani met­te­teci il ti­tolo della Se­rata! — ma Stop­pani ha fatto tutt’altro! non rom­pere, va bene lo stesso! (a pro­po­sito, oggi, men­tre scri­viamo que­ste ri­ghe, 8 aprile, è San Wal­ter — au­guri Pro­fes­sore di “Buon onomastico”).

E in ef­fetti, la ver­sione Ei­naudi de “Il Bel Paese”, ri­porta nelle te­sta­tine delle pa­gine di­spari / de­stra il ti­tolo della Se­rata — nel caso del no­stro esem­pio, ri­porta: “I vul­cani di fango”! Abate o non Abate!

Se do­ves­simo trac­ciare una scala “pec­ca­to­rum” de­gli in­ter­venti di Ei­naudi con­tro la edi­zione Stop­pani del 1876, as­se­gne­remmo senz’altro a pari me­rito il gra­dino più alto:

    • alla eli­mi­na­zione del cor­sivo nelle 39 didascalie;
    • alla eli­mi­na­zione senza se e senza ma di que­ste be­ne­dette 210 testatine

na­tu­ral­mente sono 39+210 er­rori (249) da ag­giun­gere ai 62 re­fusi già elen­cati sopra.

E siamo così a quota 311 er­rori veri e pro­pri, ma­te­riali — di ti­po­gra­fia e di testa.

Ma pas­siamo ora a un al­tro ar­go­mento al­tret­tanto in­te­res­sante e re­la­tivo alla ca­te­go­ria “gra­fia”, che vede Ei­naudi in una po­si­zione del tutto par­ti­co­lare nel pa­no­rama della edi­to­ria italiana.

Un ca­pi­tolo, tra l’altro molto in­te­res­sante ri­spetto a Stop­pani e a “Il Bel Paese”, che è pas­sato alla sto­ria an­che per es­sere stato ab­bel­lito (o ap­pe­san­tito, se­condo i gu­sti) da Stoppani.
Nella quinta edi­zione del 1889, l’Abate è in­ter­ve­nuto con gli ac­centi to­nici su molte molte pa­role, se­condo i cri­teri ri­go­ro­sa­mente de­fi­niti dal pro­fes­sor Ulisse Poggi, cui Stop­pani aveva ac­cor­dato tutta la pro­pria fi­du­cia in un’area del sa­pere da lui non par­ti­co­lar­mente battuta.

Di tutto ciò non tro­vate as­so­lu­ta­mente nulla nella “In­tro­du­zione” di Bar­be­ris (ri­cor­date la let­tera del Pro­fes­sore: «non ab­biamo in­teso fare della fi­lo­lo­gia»).

Pec­cato che Bar­be­ris non ab­bia com­preso che qui la fi­lo­lo­gia non c’entra pro­prio nulla: si tratta della evo­lu­zione nel tempo di quell’opera di cui egli ha cu­rato la prima edizione.
At­tra­verso i mu­ta­menti di aspetti im­por­tanti dell’opera emer­gono ele­menti im­por­tanti per com­pren­dere il senso di quella stessa prima edi­zione che egli ha curato.
Bar­be­ris si è tra l’altro an­che la­sciata scap­pare una buona oc­ca­sione per raf­for­zare la po­si­zione di Ei­naudi sulla ac­cen­tua­zione — si badi bene, cor­retta sul piano linguistico.

Ma ve­niamo al pezzo.

Gli accenti.

Gli ac­centi sono nella no­stra lin­gua un aspetto im­por­tante della gra­fia, an­che se in modo molto meno vin­co­lante ri­spetto alla lin­gua fran­cese (è solo un esempio).

Come è noto, an­che per gli ac­centi, nell’Ottocento la gra­fia era di­versa da quella che uti­liz­ziamo oggi nor­mal­mente sui mezzi di in­for­ma­zione quo­ti­diana, nella stra­grande mag­gio­ranza dei pro­dotti edi­to­riali, nella no­stra cor­ri­spon­denza, ne­gli atti uf­fi­ciali con cui il cit­ta­dino in­ter­lo­qui­sce con l’Amministrazione.

Anzi, esi­ste an­che una nor­ma­tiva UNI (la 6015:2009) che de­fi­ni­sce “ob­bli­ga­to­ria” una certa gra­fia per gli ac­centi (non ti danno la multa ma, per certa do­cu­men­ta­zione uf­fi­ciale, il ve­nirne meno può com­por­tare qual­che problema).

Nell’Ottocento, per esem­pio, quasi tutte le [ e ] ac­cen­tate di pa­role tron­che (cioè con la [ e ] in ul­tima po­si­zione) por­ta­vano l’accento grave [ è ] — quindi: [ è / per­chè / poi­chè, ecc.].

Stesso di­scorso per la [ u ] e per la [ i ] — quindi: [ così / sì / più / giù, ecc. ecc.].

Oggi le cose sono un poco cam­biate: al­cune delle pa­role tron­che re­cano l’accento acuto — quindi [ per­ché / poi­ché ] e la norma è ab­ba­stanza fa­cile da se­guire per­ché i no­stri con­ge­gni di scrit­tura in ta­stiera hanno già un unico ta­sto per la [ è / é – ba­sta schiac­ciare con l’altra mano un tasto ].

Na­tu­ral­mente non è scritto nei Cieli che le cose deb­bano es­sere così: e in­fatti — lo ab­biamo vi­sto — nell’Ottocento le cose an­da­vano di­ver­sa­mente e l’Abate Stop­pani — nel 1876 — non fa­ceva eccezione.

Ai tempi no­stri, an­che una casa edi­trice ita­liana molto nota ha de­ciso — da un pezzo — di se­guire al­tri criteri.

Lo avete ca­pito da soli — è la no­stra ca­ris­sima Einaudi.

La casa edi­trice di cui è Pre­si­dente il Pro­fes­sor Bar­be­ris, in­fatti, già da de­cenni ha de­ciso che in una se­rie di casi le tron­che de­vono es­sere espresse con l’accento acuto — e quindi [ piú / giú / cosí / sí, ecc. ecc.].

Cosa è, un ca­pric­cio di Ei­naudi? una posa? un tocco di anti-con­for­mi­smo? Niente af­fatto, que­ste sono le fes­se­rie che si leg­gono su Internet.

In realtà Ei­naudi se­gue una teo­ria ben pre­cisa e oggi con­si­de­rata come la più cor­retta per la gra­fia cor­rente: se­condo i lin­gui­sti la scelta di Ei­naudi è quanto di me­glio oggi si possa desiderare.

Non stiamo qui ad ad­den­trarci nella que­stione (per la quale ab­biamo solo una mo­de­sta com­pe­tenza), li­mi­tan­doci a pro­porvi di leg­gere “Mat­teucci, 2004” che spiega tutto.

Quello che vo­gliamo dire in que­sta sede è però ri­fe­rito a “Il Bel Paese” — non di­men­ti­chiamo che è quello l’oggetto delle no­stre riflessioni!

Ab­biamo detto che nel 1870 in Ita­lia tutti usa­vano lo stesso tipo di ac­cen­ta­zione, Man­zoni, De Ami­cis, Col­lodi, Stop­pani, Nievo, ecc. ecc. — a no­stra co­no­scenza con nes­suna eccezione.

Se do­ves­simo pre­stare fede all’impegno / pro­messa di Ei­naudi (ri­cor­date, a pa­gina 3: «Salvo per la cor­re­zione di al­cuni re­fusi evi­denti, gra­fie usi ti­po­gra­fici ori­gi­nali sono stati la­sciati in­va­riati.») gli ac­centi di que­sta nuova edi­zione de “Il Bel Paese” do­vreb­bero es­sere come quelli usati da Stoppani.

L’usare il [ per­ché ] no­stro al po­sto del [ per­chè ] di Stop­pani (e di tutti gli al­tri, Man­zoni in te­sta), sa­rebbe in que­sto caso un er­rore di tra­scri­zione, pro­prio come quei 62 che ab­biamo messo in bella evi­denza all’inizio del no­stro ragionamento.

In que­sto caso, do­vremmo dire — del tutto le­git­ti­ma­mente — che Ei­naudi ha in­fi­lato nella sua edi­zione 2024 de “Il Bel Paese” circa 2.200 er­rori di ac­cen­ta­zione, che do­vreb­bero an­dare a som­marsi ai 249 già ri­cor­dati per un to­tale di 2.449, os­sia, un er­rore ogni 76 pa­role, 2 er­rori per ogni tre ri­ghe di te­sto.

Però!

Vo­lendo cal­co­lare un ri­sar­ci­mento per “vi­stoso di­fetto” — o uno sconto — di 4 cen­te­simi a er­rore, po­tremmo pa­gare quel vo­lume de “I Mil­lenni” a 1 euro, op­pure farci pa­gare per por­tarlo fuori dalle librerie.
Scher­ziamo naturalmente!

È però cosa se­ris­sima che Ei­naudi si è messa da sola in un bel pa­stic­cio con quella or­mai fa­mosa fra­setta a pa­gina 3:

«Salvo per la cor­re­zione di al­cuni re­fusi evi­denti, gra­fie usi ti­po­gra­fici ori­gi­nali sono stati la­sciati invariati.»

In­somma, cari amici della Ei­naudi: pre­fe­rite pas­sare per pa­stic­cioni senza un bri­ciolo di pro­fes­sio­na­lità (2.469 er­rori non sono uno scherzo!) op­pure pas­sare per inaffidabili?

In un caso o nell’altro non è cosa da Ei­naudi — se stes­simo par­lando della edi­trice Trec­cani, la bat­tuta sa­rebbe facilissima!

Siamo certi che il 12 aprile il Pre­si­dente Pro­fes­sor Bar­be­ris ci darà una ri­po­sta più che soddisfacente.

E po­trebbe co­gliere l’occasione per spen­dere qual­che pa­rola su una que­stione che ri­guarda e il Bar­be­ris Pre­si­dente Ei­naudi, e il Bar­be­ris cu­ra­tore de “Il Bel Paese”.

An­che in que­sto caso, sic­come nella sua “In­tro­du­zione” non ne ha fatto il più pic­colo cenno, a Bar­be­ris con­ti­nuiamo a fare da sug­ge­ri­tori e a pas­sar­gli i compiti.

L’Abate Stoppani, «Il Bel Paese», il diluvio degli accenti (che in parte sono quelli di Einaudi).

Ab­biamo più so­pra ri­cor­dato che l’Abate An­to­nio Stop­pani nel 1864 aveva co­min­ciato a col­la­bo­rare con le ri­vi­ste “L’Adolescenza” e “Prima Età” (ci tor­niamo so­pra più avanti) scri­vendo un se­rie di ar­ti­coli che 12 anni dopo fi­ni­rono con il co­pia-in­colla ne “Il Bel Paese”, sparsi tra va­rie serate.
Poi nel 1870, ini­ziò a col­la­bo­rare con la ri­vi­sta “Le Prime Let­ture” di Mi­lano di­retta da Luigi Sai­ler, grande am­mi­ra­tore e an­che fre­quen­ta­tore di Man­zoni non­ché vec­chia co­no­scenza e so­dale di Stoppani.
Erano fianco a fianco nelle lotte del 1860 quando i cat­to­lici con­ci­lia­to­ri­sti mi­la­nesi si mi­sero in azione (con Man­zoni ca­po­fila) per fa­vo­rire Vit­to­rio Ema­nuele di Sa­voia nel di­ven­tare, nel marzo 1861, Re d’Italia.
Sai­ler era stato per qual­che mese il com­men­ta­tore po­li­tico del gior­nale mi­la­nese “Il Con­ci­lia­tore”, messo in piedi nel 1860 da Avi­gnone e punto di ri­fe­ri­mento per il clero con­ci­lia­to­ri­sta della città, sul quale scri­veva an­che il no­stro caro Abate Stoppani.

Sai­ler, una non fa­cile car­riera di in­se­gnante alle spalle, aveva pun­tato molto su “Le Prime Let­ture” sia per ca­varne ov­via­mente qual­che soldo sia — so­prat­tutto — per fare af­fer­mare l’idea che era stata già so­ste­nuta dalle due ri­vi­ste per le quali l’Abate anni prima aveva scritto al­cuni articoli.
Sai­ler era con­vinto (e con lui Stop­pani) che l’istruzione do­vesse pas­sare ne­ces­sa­ria­mente an­che at­tra­verso la famiglia.

Il ta­glio della sua ri­vi­sta era quindi ele­men­tare ma con­te­neva ar­ti­coli di pro­fes­sori e in­tel­let­tuali che spesso scri­ve­vano per i ra­gaz­zini esat­ta­mente come scri­ve­vano per i loro alunni li­ceali o al­lievi universitari.
Per com­pren­dere certi pas­saggi di al­cuni ar­ti­coli, a so­ste­gno del gio­vane si ren­de­vano ne­ces­sari gli in­ter­venti della ma­dre o del pa­dre (stiamo par­lando ov­via­mente di fa­mi­glie con una certa cul­tura e con un certo red­dito, che si po­te­vano per­met­tere il co­sto dell’abbonamento alla rivista).
Per as­si­cu­rare ef­fi­ca­cia alla ri­vi­sta nelle di­verse re­gioni del bel paese, Sai­ler era con­vinto che fosse ne­ces­sa­ris­simo usare gli ac­centi to­nici su tutte le pa­role per le quali po­tesse es­serci qual­che dub­bio di pro­nun­cia — e quindi uno ster­mi­nio di ac­centi in tutta la rivista.

La cosa ci può pa­rere strana, ma noi ve­niamo or­mai da quasi un se­colo di ra­dio e te­le­vi­sione, con una lin­gua ab­ba­stanza stan­dar­diz­zata nella quale can­tanti, at­tori e pre­sen­ta­tori hanno fatto da mae­stri alla collettività.
Ma ap­pena uni­fi­cata l’Italia (1861) le cose sta­vano in modo ben di­verso ed ef­fet­ti­va­mente le pro­nunce po­te­vano es­sere an­che molto soggettive.

Stop­pani, grande amico di Sai­ler e uno dei più co­stanti col­la­bo­ra­tori della ri­vi­sta (c’erano al­tri nomi molto noti come il fi­sico Ri­naldo Fer­rini, l’architetto Ca­millo Boito, pro­fes­sori del Re­gio Isti­tuto tec­nico su­pe­riore di Mi­lano; En­rico Com­boni e Giu­seppe Jung, as­si­stenti nel me­de­simo Isti­tuto; il geo­grafo Bar­to­lo­meo Mal­fatti pro­fes­sore della Re­gia Ac­ca­de­mia Scien­ti­fica e Let­te­ra­ria di Mi­lano e suc­ces­si­va­mente del Re­gio Isti­tuto di Studi su­pe­riori e di per­fe­zio­na­mento di Fi­renze), pen­sava che ognuno si do­vesse oc­cu­pare di ciò che me­glio co­no­sceva e quindi — senza troppo en­trare nel me­rito — la­sciava che Sai­ler fa­cesse ca­dere sui suoi ar­ti­coli tutti gli ac­centi che ri­te­neva opportuni.

Da­gli e da­gli, però, Sai­ler era riu­scito ad aprire una brec­cia nella mente di Stop­pani. Poco dopo la morte dell’amico, l’Abate pub­blicò una edi­zione de “Il Bel Paese” tutta con gli ac­centi tonici.

Stop­pani — lo ab­biamo già detto — non si sen­tiva ab­ba­stanza pre­pa­rato su quel fronte (e si stava inol­tre oc­cu­pando di cose im­pe­gna­tive come la lotta per la so­prav­vi­venza della pro­pria ri­vi­sta “Il Ro­smini”, messa all’Indice dal Va­ti­cano). Si af­fidò quindi per que­sto com­pito al pro­fes­sor Ulisse Poggi, let­te­rato di lungo corso e con espe­rienze spe­ci­fi­che nell’area della lin­gui­stica, che si in­ca­ricò di cu­rare la nuova edizione.

Si tratta della quinta edi­zione, pub­bli­cata a Mi­lano nel 1889 da Co­gliati Edi­tore, quella che ab­biamo già ri­cor­dato per il prezzo con­te­nuto di Lire 1,5 (quin­dici Euro di oggi).

L’Abate però ci tenne a pre­sen­tare que­sto oceano di ac­centi con una pre­messa al te­sto titolata

«Su­gli ac­centi tò­nici come sus­sí­dio all’insegnamento d’una rètta pro­nun­zia: Nòta pei Mae­stri e le Mae­stre di lin­gua ita­liana — Rè­gole per l’uso e il va­lore de­gli ac­centi tò­nici»

nella quale (in quel pe­riodo stava an­che la­vo­rando per por­tare in porto il pro­getto del mo­nu­mento a Man­zoni a Lecco) fece am­pia me­mo­ria del let­te­rato e della di­scus­sione sulla fun­zione della lin­gua che aveva do­mi­nato il pa­no­rama cul­tu­rale alla fine de­gli anni ’60.
Dopo la pub­bli­ca­zione da parte di Man­zoni delle pro­prie po­si­zioni (era stato no­mi­nato dal Mi­ni­stro dell’Istruzione Pre­si­dente di una ap­po­sita com­mis­sione), il tema era di­ve­nuto og­getto di grandi di­scus­sioni col­let­tive circa la scelta dell’idioma cui ispi­rarsi per fare di­ven­tare ita­liana la no­stra lin­gua (su un aspetto di que­sta que­stione, uscirà a breve una no­stra Nota, de­di­cata alla targa in ri­cordo di Man­zoni, po­sta il 7 no­vem­bre 2023 in Santa Croce di Fi­renze — una pes­sima ope­ra­zione con­dotta a danno dell’immagine di Lecco da parte del Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani — vada co­mun­que al com­pianto Prof. Stella il no­stro ami­che­vole ri­cordo, al di là dei con­tra­sti sulle vi­cende Manzoni-Lecco).

Que­gli ul­timi scritti di Man­zoni (aveva 84 anni) te­sti­mo­niano del forte im­pe­gno che il poeta con­ti­nuò ad as­si­cu­rare alla co­mu­nità an­che da vec­chio ed è ve­ra­mente straor­di­na­rio che Bar­be­ris non ne citi nep­pure in­ci­den­tal­mente il nome nella sua “In­tro­du­zione” (chissà! ma­gari il gin­na­siale Bar­be­ris avrà vis­suto male la let­tura ad alta voce de “I Pro­messi Sposi” da parte di qual­che pro­fes­sore “man­zo­nian-man­zo­ni­sta” di ferro).

Sug­ge­riamo al Prof. Bar­be­ris di an­darsi a leg­gere quella pre­messa dell’Abate (tra l’altro in molti punti coin­ci­dente con le scelte gra­fi­che di Ei­naudi) per trarne qual­che spunto per il 12 aprile a Lecco, an­che alla luce della sua espe­rienza di Pre­si­dente della Ei­naudi, a volte sbef­feg­giata (dob­biamo dirlo, solo da­gli in­colti) per quella scelta de­gli ac­centi acuti sulle to­ni­che í / ú / é, ecc.

Ci in­te­ressa co­mun­que ri­le­vare come nella “In­tro­du­zione” di Bar­be­ris di tutto ciò non com­pare nep­pure l’ombra di una fo­glia in ba­lìa del vento.
E la cosa fa pensare.

È cu­rioso in­fatti che il Pro­fes­sor Bar­be­ris non ab­bia ci­tato nep­pure una volta Man­zoni nelle 9.800 pa­role della sua “In­tro­du­zione” e nep­pure fatto im­ma­gi­nare la trian­go­la­zione Man­zoni / Lecco / Stop­pani che, lungi dall’essere un fatto “lo­cale” come gli piace pen­sare e dire, è in­vece un ele­mento si­gni­fi­ca­tivo della sto­ria di noi tutti su cui po­chi par­lano sem­pli­ce­mente per ba­na­lis­sima nazional-ignoranza.
Ed è ec­ce­zio­nal­mente cu­rioso che non ab­bia detto nep­pure una pa­rola circa la po­si­zione as­sunta da Stop­pani sulla que­stione de­gli ac­centi; e ciò pro­prio nella com­po­si­zione de “Il Bel Paese” (edi­zione del 1889, attenzione!).

Ora che gli ab­biamo dato qual­che ele­mento di ri­fles­sione, siamo certi che Bar­be­ris qual­che co­sina po­trà dirci di col­le­gato all’esperienza di un ben de­ter­mi­nato per­so­nag­gio — l’Abate Stop­pani — e di un ben de­ter­mi­nato luogo, im­por­tante per la sua vita: la sua città na­tale Lecco.

Il 12 aprile a Lecco noi di certo non apri­remo bocca.
Le no­stre ri­fles­sioni le ab­biamo già svolte — an­che troppo lun­ga­mente — su que­ste co­lonne e poi, quando par­liamo ab­biamo bi­so­gno di al­meno un 90 mi­nuti per­ché non ci in­te­ressa chiac­chie­rare in modo sa­lot­tiero e in­con­clu­dente (come te­miamo av­verrà il 12 a Lecco) ma cer­care di svi­sce­rare un ar­go­mento e fis­sare dei punti fermi, utili a tutti.
E poi siamo lec­chesi solo per qual­che cro­mo­soma e pa­rec­chio alla lon­tana — per di più non siamo manco “eru­diti”!

Ci pia­ce­rebbe in­vece che un lec­chese doc — colto, eru­dito, di sem­plice buon senso, fate voi! — po­nesse a Bar­be­ris la do­manda: Pro­fes­sore per­ché Lei non ha detto nep­pure una pa­rola sulla triade Man­zoni / Lecco / Stoppani?
Non Le piace que­sta no­stra città di provincia?
E al­lora per­ché Lei è ve­nuto qui?
A sprovincializzarci?
O a cer­care di piaz­zare qual­cuno di quei Suoi co­sto­sis­simi li­bri pieni di errori?

Bat­tute a parte, pos­siamo ora pas­sare alla ana­lisi dei con­te­nuti di que­sta edi­zione Ei­naudi de “Il Bel Paese”, os­sia della “In­tro­du­zione” del cu­ra­tore Pro­fes­sor Barberis.

Nove domande al Professor Barberis

9

do­mande al Pro­fes­sor Bar­be­ris su “Il Bel Paese”, Edi­zione Ei­naudi 2024.

9 do­mande al Pro­fes­sor Bar­be­ris su “Il Bel Paese”, Edi­zione Ei­naudi 2024.

Fin qui ab­biamo con­cen­trato l’attenzione su­gli “er­rori” ti­po­gra­fici ed edi­to­riali con cui Ei­naudi ha az­zop­pato la pro­pria edi­zione de “Il Bel Paese”.

Si tratta ov­via­mente di gravi cri­ti­cità ma — se vo­gliamo — siamo in un’area che pos­siamo de­fi­nire an­cora di “non po­si­ti­vità”: l’iniziativa Ei­naudi — una vera e pro­pria Ca­po­retto edi­to­riale — non è certo utile ad ac­cre­scere la no­to­rietà e la dif­fu­sione dell’opera dell’Abate Stop­pani ma fin qui si può chiu­dere la cosa sem­pli­ce­mente non com­prando il li­bro o sa­pendo che vale molto meno de­gli 85,00 Euro sbor­sati per po­terlo leggere.

Vo­gliamo ora toc­care in­vece il con­te­nuto cul­tu­rale di que­sta ini­zia­tiva, os­sia il modo con cui Ei­naudi / Bar­be­ris hanno dato un certo “tono”, un certo “ta­glio” al loro pro­dotto, fal­san­done — vo­lon­ta­ria­mente o meno qui non im­porta — il senso “mo­rale” in ter­mini generali.

Nelle prime bat­tute di que­sta Nota siamo già en­trati un poco nel me­rito, ac­cen­nando ai si­lenzi della “In­tro­du­zione” di Bar­be­ris e alle scelte re­la­tive alla co­per­tina, de­ci­sa­mente de­for­manti il pen­siero e l’opera dell’autore Abate An­to­nio Stoppani.

Ora vo­gliamo ap­pro­fon­dire quanto in aper­tura ac­cen­nato per­ché emerga con mag­giore evi­denza qual è stato nella realtà sto­rica il ruolo dell’Abate Stop­pani nel suo tempo e i danni che una troppo di­sin­volta fa­ci­lo­ne­ria pos­sono ar­re­car­gli an­che a 133 anni dalla scom­parsa: pa­ra­dos­sal­mente è in­fatti que­sto un ri­schio sem­pre pre­sente quando una fi­gura del pas­sato viene ma­neg­giata da in­com­pe­tenti o me­ne­fre­ghi­sti, at­tenti solo a sfrut­tare ai loro fini l’occasione del bicentenario.

Per as­sol­vere al com­pito ap­pena de­fi­nito, ci sem­bra sia utile dire come siamo ar­ri­vati a con­si­de­rarle in­di­spen­sa­bile una ana­lisi pun­tuale sulla ini­zia­tiva di Ei­naudi — cosa cer­ta­mente non usuale.

L’antefatto.

Tra il 22 e il 25 marzo, tra il Pre­si­dente di Ei­naudi, Pro­fes­sor Wal­ter Bar­be­ris, e Fa­bio Stop­pani (Cen­tro Studi Abate Stop­pani) è in­ter­corso uno scam­bio di cin­que e-mail, av­viato da Stop­pani per una ba­na­lis­sima ra­gione operativa.

La nuova edi­zione Ei­naudi era stata an­nun­ciata in uscita mer­co­ledì 19 marzo; gio­vedì 20 Stop­pani cer­cava di ac­qui­stare il vo­lume in una li­bre­ria del cen­tro di Mi­lano ma l’unica co­pia di­spo­ni­bile era stata pre­no­tata e quindi non in vendita.
Col­pito (sfa­vo­re­vol­mente) dalla co­per­tina, lì, in piedi, in li­bre­ria, Stop­pani sfo­gliava l’introduzione del vo­lume e l’occhio gli ca­deva su al­cune stra­nezze: “lec­chese di ori­gine”; pra­ti­ca­mente nes­suna pa­rola sulla sto­ria de “Il Bel Paese”; nes­sun ri­fe­ri­mento a Man­zoni; Lecco no­mi­nata solo in­ci­den­tal­mente; nep­pure una pa­rola sulla Carta Geo­lo­gica — in breve nulla di nulla su molti de­gli ele­menti co­sti­tu­tivi della prima edi­zione de “Il Bel Paese”, pub­bli­cata da Stop­pani nel 1876, quasi 150 anni fa.

Non po­tendo te­nere se­que­strato il vo­lume (il com­messo guar­dava Stop­pani con oc­chio in­quieto, te­mendo forse un furto con borsa da 85,00 Euro da parte di un gio­vane-an­ziano), ve­nerdì 22 marzo Stop­pani chie­deva di­ret­ta­mente al cu­ra­tore dell’opera Pro­fes­sor Bar­be­ris di po­tere avere il te­sto della sua “In­tro­du­zione”.
Do­me­nica 24 Bar­be­ris, gen­til­mente e an­dando molto al di là delle aspet­ta­tive di Stop­pani, si of­friva di in­viare al no­stro Cen­tro Studi una co­pia omag­gio del vo­lume, se­gna­lando con sincerità:

«Con­fesso che non co­no­scevo il li­bro, di cui avevo sen­tito dire senza averne co­gni­zione di­retta. Ora posso af­fer­mare di es­sermi molto in­cu­rio­sito, di­ver­tito e an­che sug­ge­stio­nato: quel pe­riodo di ge­nuine spe­ranze nel pro­gresso, quella af­fet­tuosa al­leanza tra scienza e fede, quel mondo di in­tra­pren­denti al­pi­ni­sti e di in­te­ger­rimi stu­diosi mi ha let­te­ral­mente con­qui­stato. Ed è stato per me un grande pia­cere po­ter ri­pre­sen­tare le se­rate mi­la­nesi dell’Abate Stop­pani ai let­tori di oggi».

Pur molto ap­prez­zando di Bar­be­ris e l’onestà in­tel­let­tuale e la cor­te­sia e la sim­pa­tia per la no­stra fi­gura di ri­fe­ri­mento, nelle more della pro­messa con­se­gna del vo­lume la no­stra re­­dazione è co­mun­que ri­ma­sta a bocca asciutta, cioè senza la “In­tro­du­zione” di Bar­be­ris che era ciò che più ci interessava.
Gra­zie a un amico di al­tra città che aveva ac­qui­stato il li­bro, nella mat­ti­nata di lu­nedì 25 ab­biamo po­tuto avere co­pia fo­to­gra­fica delle 30 pa­gine della “In­tro­du­zione” di Bar­be­ris (non dell’intero volume).

Nel po­me­rig­gio dello stesso lu­nedì 25, Stop­pani in­viava per e-mail una let­tera di 9 pa­gine al Pro­fes­sor Bar­be­ris nella quale (ol­tre rin­gra­ziare per l’annunciato dono e au­spi­cando la mi­glior riu­scita della pre­sen­ta­zione al Po­li­tec­nico di Lecco, pre­vi­sta per il 12 aprile) gli se­gna­la­vamo una se­rie di cri­ti­cità da noi rin­ve­nute nella sua “In­tro­du­zione”.
I punti da noi sol­le­vati erano più o meno quelli che pre­sen­te­remo più sotto — è quindi inu­tile darne ora l’anticipazione.

Ci li­mi­tiamo a dire che il grosso delle no­stre os­ser­va­zioni era ri­con­du­ci­bile al quasi ine­si­stente ri­fe­ri­mento ai tanti aspetti della vita dell’Abate Stop­pani stret­ta­mente le­gati alla ar­ti­co­lata vi­cenda de “Il Bel Paese” non­ché al suo mondo di re­la­zioni sia fa­mi­gliari sia con Lecco, la città na­tale con la quale l’Abate man­tenne sem­pre un for­tis­simo legame.

In ri­spo­sta alla no­stra del 25 marzo il Pro­fes­sor Bar­be­ris ci ha fatto avere a stretto giro (quindi sem­pre lu­nedì 25) una sua che ri­te­niamo utile ri­pro­durre per esteso.
In essa, il Pro­fes­sore, an­cora una volta con rara chia­rezza e sin­ce­rità, ri­ba­diva le pro­prie po­si­zioni da noi sot­to­po­ste a cri­tica (no­stre le evi­den­zia­zioni nu­me­rate e di ne­retto per­ché siano ben in­di­vi­dua­bili gli snodi del pen­siero del cu­ra­tore della nuova edi­zione Einaudi):

1/ Gen­tile Dot­tor Stop­pani, La rin­gra­zio molto delle sue ge­ne­rose e pun­tuali os­ser­va­zioni. Non so se po­trò te­nerne conto nella pre­sen­ta­zione lec­chese del 12 aprile, per­ché non vor­rei mil­lan­tare una co­no­scenza spe­ci­fica della vita dell’Abate, né i ri­svolti lo­cali della sua at­ti­vità di studioso.

2/ L’intenzione dell’editore Ei­naudi non è stata quella di ri­per­cor­rere nel det­ta­glio la vita dell’Autore del Bel Paese; o me­glio, la strada se­guita non è quella di una bio­gra­fia eru­dita.

3/ Il mo­tivo della rie­di­zione con­si­ste pro­prio nella vo­lontà di spro­vin­cia­liz­zare il te­sto e in­se­rirlo, con il suo Au­tore, nella tem­pe­rie na­zio­nale dell’ultimo quarto del XIX se­colo. Dando tutta l’autorevolezza che cre­diamo me­riti a quel ti­tolo, con­si­de­rato nel con­te­sto in cui com­pa­iono al­tri ce­le­bri li­bri a cui l’introduzione fa riferimento.

4/ Ca­pi­sco be­nis­simo l’or­go­glio lec­chese, ma la no­stra è una pro­po­sta che va in una di­re­zione più ge­ne­rale. Senza nulla to­gliere alle glo­rie e all’eru­di­zione lo­cale che – come Lei di­mo­stra – sono in ot­time mani, da parte no­stra c’era e c’è l’intenzione di ri­por­tare alla ri­balta l’Autore e il suo ti­tolo più noto, re­sti­tuen­dolo alla cul­tura ita­liana.

Non ab­biamo vo­luto fare un ge­sto di an­ti­qua­riato, e an­che la scelta delle il­lu­stra­zioni è an­data nella di­re­zione di una “il­lu­stra­zione na­zio­nale”.

5/ Per­so­nal­mente, ho letto e ac­qui­stato al­cune edi­zioni suc­ces­sive alla prima del ‘76; ma non ho e non ab­biamo in­teso fare della fi­lo­lo­gia.
Mi è sem­brato che dare un re­spiro più ampio – nel li­mite di una in­tro­du­zione, ben in­teso – al Bel Paese po­tesse ren­der­gli un buon servizio.

6/ Le con­fesso che non ho scritto del bi­cen­te­na­rio in­ten­zio­nal­mente; an­che la oc­ca­sione tem­po­rale, ce­le­bra­tiva, non fa bene ai li­bri. Ne re­stringe il campo d’azione, li si­tua in un luogo e in un tempo. Na­tu­ral­mente, il con­te­sto è utile a com­pren­dere le mo­ti­va­zioni dell’Autore. Ma noi vo­gliamo che i te­sti su­pe­rino le lo­ca­lità di ori­gine e il loro tempo: solo così di­ven­tano dei “clas­sici”.

7/ Ma sarà in­te­res­sante, co­mun­que, ri­ce­vere pub­bli­ca­mente le Sue/Vostre cri­ti­che e po­ter ar­go­men­tare le no­stre scelte. Come si vede fin da ora di­scu­ti­bili; ma in ge­nere non prive di buone ra­gioni. La rin­gra­zio an­cora della sua at­tenta let­tura. Mi farà pia­cere co­no­scerLa personalmente.

Molti cor­diali saluti,
Wal­ter Barberis»

A que­sta di Bar­be­ris ab­biamo ri­spo­sto bre­ve­mente mar­tedì 26 po­me­rig­gio, dopo es­sere riu­sciti, nella mat­ti­nata, ad ac­qui­stare una co­pia dell’edizione Ei­naudi (quella che ave­vamo già sfo­gliato gio­vedì 20 ma che non era stata ri­ti­rata da chi la aveva or­di­nata — il com­messo si è tran­quil­liz­zato) e quindi già con qual­che idea ge­ne­rale sul vo­lume vero e proprio.

Con­fes­siamo che la ri­spo­sta di Bar­be­ris ci ha stu­pito e an­che de­luso: al Prof. ave­vamo scritto le no­stre nove pa­gine come be­ne­volo so­ste­gno: era solo per dar­gli una mano in vi­sta della sua pre­vi­sta pre­sen­ta­zione a Lecco del 12 gen­naio — e in­fatti egli non ha po­tuto fare a meno di rin­gra­ziare (an­che se, forse, con un poco di iro­nia — si sa! non a tutti i Prof. piace es­sere trat­tati come una qual­siasi matricola).
Es­sendo il Pro­fes­sor Bar­be­ris con­fesso di una solo re­cen­tis­sima co­no­scenza e dell’Abate Stop­pani e de “Il Bel Paese” vo­le­vamo evi­tare che il cu­ra­tore della nuova edi­zione Ei­naudi si tro­vasse a fare la parte dello sprov­ve­duto a fronte di qual­che ine­vi­ta­bile do­manda da parte del pub­blico lec­chese che da sem­pre cre­sce a pane e Man­zoni, pane e Stoppani.

Per esem­pio:

Do­manda 1/

Perché nella sua «Introduzione» manca qualsivoglia riferimento al Bicentenario della nascita dell’Abate (15 agosto 1824)?

La cosa può ap­pa­rire cu­riosa: per­ché a que­sta cir­co­stanza Lei non ha fatto il più pic­colo accenno?
Sap­piamo che ciò non è da parte sua una di­men­ti­canza e che è anzi il por­tato di un me­di­tato orien­ta­mento com­mer­ciale — ab­biamo letto la Sua let­tera in pro­po­sito, là dove Lei ri­vela one­sta­mente: «non ho scritto del bi­cen­te­na­rio in­ten­zio­nal­mente; an­che la oc­ca­sione tem­po­rale, ce­le­bra­tiva, non fa bene ai libri.»

Il mo­nu­mento all’Abate Stop­pani in Lecco, opera di Ve­dani, fu inau­gu­rato nel 1927. È ar­ti­sti­ca­mente at­traente an­che se de­bole da un punto di vi­sta ico­no­gra­fico. A dif­fe­renza del mo­nu­mento di Mi­lano, rea­liz­zato vent’anni prima.
Ve­dani ha vo­luto pun­tare sul lato spe­cu­la­tivo – fi­lo­so­fico del Nostro.
E così Stop­pani non ri­sulta iden­ti­fi­ca­bile da al­cun ele­mento sim­bo­lico; è ri­preso men­tre fissa il suolo con un’aria in­ter­ro­ga­tiva, gra­de­vole ma non parlante.

Ri­pe­tiamo: è una bella com­po­si­zione dal ta­glio mo­derno — pec­cato man­chi quel tocco di in­di­ca­zione espli­cita sul chi fosse quel si­gnore con sullo sfondo un ma­gni­fica vi­suale del Resegone.
Da ri­le­vare l’abbigliamento: qui Stop­pani è rap­pre­sen­tato in pan­ta­loni, come ef­fet­ti­va­mente fu ne­gli ul­timi anni, dopo una fe­rita su­bita a una gamba du­rante un viag­gio in Medio-Oriente.

Nel Suo scritto man­cano in­fatti ri­fe­ri­menti alle te­sti­mo­nianze pub­bli­che che in Lecco ri­cor­dano l’Abate: sul lungo lago, con lo sfondo del Re­se­gone, vi è un grande mo­nu­mento in bronzo eretto nel 1927 (al­lora, in al­tro luogo della città), opera di Ve­dani e di buona fat­tura; tra­scu­rato dalla Am­mi­ni­stra­zione è te­nuto in de­centi con­di­zioni dalla buona vo­lontà di sin­goli cittadini.

Si­len­zio an­che sul suo “ge­mello”, pre­sente ai giar­dini pub­blici di Mi­lano di Porta Ve­ne­zia. Pro­prio a lato del Mu­seo di Sto­ria Na­tu­rale che l’Abate di­resse per tanti anni dopo il 1880 e fino alla morte (1891) e a cui donò tanti dei re­perti geo­lo­gici da lui rin­ve­nuti nelle in­no­va­tive e ori­gi­nali ri­cer­che con­dotte verso il 1855 an­che qui, a Esino, vi­ci­nis­simo a Lecco — ri­cer­che che il­lu­strò an­che nella sua mo­nu­men­tale “Pa­léon­to­lo­gie Lom­barde”, quel te­sto in fran­cese scritto con Cor­na­lia e Me­ne­ghini che lo im­pe­gnò per ol­tre vent’anni.
Gliene par­liamo, Pro­fes­sore, per­ché quella fu una grande ope­ra­zione scien­ti­fico-edi­to­riale (so­ste­nuta molto an­che da Quin­tino Sella), ar­ric­chita di for­mi­da­bili il­lu­stra­zioni, che portò il nome di Lecco in tutto il mondo scien­ti­fico eu­ro­peo, e non solo. Ma so­prat­tutto per­ché Stop­pani citò que­sta sua opera nella Se­rata VIII de “Il Bel Paese” — men­tre Lei l’ha pro­prio ignorata.
Una sotto-do­manda Pro­fes­sore: ma per­ché nella Sua “In­tro­du­zione” a “Il Bel Paese” Lei non ha quasi par­lato de “Il Bel Paese” — è cosa cu­riosa questa!

A parte que­sti si­lenzi sull’opera dell’Abate, si pone un pro­blema caro Pro­fes­sore: se Lei ri­tiene ne­ga­tiva la ri­cor­renza per la buona riu­scita com­mer­ciale de ”Il Bel Paese”, per­ché ha pen­sato di ve­nire a Lecco a farne la pre­sen­ta­zione nazionale?
L’Assessora alla Cul­tura Si­mona Piazza ne ha fatto il primo mo­mento del Bi­cen­te­na­rio — Lei in­vece non ne vuole nep­pur sen­tir par­lare. E quindi? che suc­cede? Li­ti­ghe­rete in pubblico?
Sap­piamo che qual­che fun­zio­na­rio (o ex) del Mu­seo ha man­dato in giro una lo­can­dina per que­sto in­con­tro del 12 aprile in cui non viene mai usata la pa­rola “bi­cen­te­na­rio”? cosa dice Pro­fes­sore? è il ri­sul­tato della mo­ral sua­sion dell’ufficio pub­bli­che re­la­zioni di Einaudi?

Ma forse Lei ha an­che ra­gioni più pro­fonde, re­la­tive al ruolo della me­mo­ria col­let­tiva. Lei pensa forse che il ri­cordo de­di­cato da una co­mu­nità a pro­prie espe­rienze o a uno dei pro­pri mag­giori sia ne­ga­tiva o fuor­viante ri­spetto alla di­men­sione della scienza storica?
Forse non è così ma è os­ser­va­zione che qual­cuno po­trebbe avan­zare, an­che maliziosamente.

Il mo­nu­mento a Stop­pani in Mi­lano venne inau­gu­rato l’8 giu­gno 1898, esat­ta­mente un mese dopo i moti del mag­gio, re­pressi dai can­noni di Bava Bec­ca­ris con ol­tre 80 morti.
Vi­gendo an­cora lo stato d’assedio l’inaugurazione poté avere luogo solo per le pres­sioni che ven­nero fatte sul ge­ne­rale co­man­dante della piazza e re­spon­sa­bile della strage di maggio.

Fu rea­liz­zato da Con­fa­lo­nieri che avendo co­no­sciuto be­nis­simo Stop­pani come cliente esi­gente e crea­tivo per la rea­liz­za­zione del mo­nu­mento a Man­zoni in Lecco ne ri­pro­dusse con fe­deltà la fi­sio­no­mia e la gestualità.
So­prat­tutto ha una mag­giore com­pren­si­bi­lità di con­te­nuto: Stop­pani ha in mano una carta geo­gra­fica; ac­canto al piede un masso; è più age­vole ve­dervi un uomo che opera nel mondo fisico.
Più con­ven­zio­nal­mente è raf­fi­gu­rato in abito ta­lare (non con i pan­ta­loni da civile).

Ai primi del 1874, l’Abate Stop­pani pub­blicò “I Primi Anni di A. Man­zoni”, un vo­lu­metto di non grande mole ma di gran­dis­simo va­lore sia per­ché il­lu­stra aspetti ine­diti o poco noti della vita di Man­zoni sia per­ché af­ferma per la prima volta, con do­cu­menti (che non sono solo quelli pro­to­col­lati in Co­mune) il le­game esi­sten­ziale e in­dis­so­lu­bile tra Man­zoni e Lecco.
Do­manda 2/

Perché quel silenzio tombale sul rapporto «Manzoni» / «I Promessi Sposi» e «Il Bel Paese»?

Caro Prof. per­ché nella sua “In­tro­du­zione”, in buona parte de­di­cata a scrit­tori ita­liani della metà Ot­to­cento, non cita nep­pure di sfug­gita Ales­san­dro Man­zoni che, an­che nello stile, tanto in­fluenzò l’Abate Stop­pani nella ste­sura de “Il Bel Paese”, quel li­bro che è la ra­gione per cui Ella ci onora della Sua pre­senza qui oggi?

Ep­pure, pro­prio nelle prime pa­gine de “Il Bel Paese”, in­di­riz­zate “Agli In­sti­tu­tori”, che Lei cita ben quat­tro volte nella sua “In­tro­du­zione” l’Abate fa un espli­cito ri­fe­ri­mento a Man­zoni e al suo romanzo:

«Una Lu­cia in­gi­noc­chiata ai piedi dell’Innominato; una ma­dre che, pro­ten­dendo le sue, ab­ban­dona nelle brac­cia di un mo­natto il corpo della fi­glio­letta, fa­ranno sem­pre mag­giore im­pres­sione di tutte le più belle de­scri­zioni dell’universo: il qua­dro del Laz­za­retto col­pirà sem­pre più che tutt’insieme i qua­dri dell’Humboldt. »

Per­ché non Le è ve­nuto spon­ta­neo svol­gere qual­che ri­fles­sione su que­sta pre­cisa de­fi­ni­zione di va­lori da parte dello scien­ziato Stoppani?

E nella quinta edi­zione del 1889, quella con gli ac­centi to­nici, che Lei cita per­ché ven­duta a Lire 1,5 (più o meno 15 Euro, non gli 85,00 ri­chie­sti da Ei­naudi), Stop­pani parla a lungo di Man­zoni in re­la­zione alla que­stione della lingua.
Ap­pare quindi evi­dente che Man­zoni, per Stop­pani, fosse fi­gura di ri­fe­ri­mento per la na­scita nel 1876 e poi per le vi­cende suc­ces­sive de “Il Bel Paese”.

Nella sua “In­tro­du­zione” Lei cita 7 volte De Ami­cis, 9 volte Col­lodi ma nep­pure una volta Man­zoni. Ep­pure “Il Bel Paese” è molto più vi­cino a “I Pro­messi Sposi” di quanto non lo sia “Cuore” o “Pi­noc­chio” — anzi, ci pare che que­sti due te­sti ab­biano ben poco a che fare con “Il Bel Paese” se non che usci­rono più o meno ne­gli stessi anni — an­che se ora va di moda gio­carli come tris d’assi quasi fos­sero espres­sioni di una me­de­sima ten­denza — il che pro­prio non è.

Da un punto di vi­sta etico-psi­co­lo­gico, “Il Bel Paese” è il ro­manzo della na­tura. E per Stop­pani, come per Ro­smini e per Man­zoni, la na­tura è ri­colma del Di­vino, come ap­pare chia­ris­simo nel ro­manzo che ha ini­zio e ter­mine a Lecco, la pro­vin­ciale Lecco, la lo­cale Lecco, che ci sem­bra Lei ri­tiene di po­tere “spro­vin­cia­liz­zare” con la Sua “In­tro­du­zione” cui Lei af­fida an­che il com­pito di “re­sti­tuire alla cul­tura ita­liana” “Il Bel Paese” — lo ha scritto Lei nella let­tera so­pra ri­por­tata — non le manca la mo­de­stia, Professore!

Ol­tre ai tanti si­gni­fi­cati che pos­siamo at­tri­buire a “Il Bel Paese”, vi è si­cu­ra­mente la va­lo­riz­za­zione dello stu­dio e della co­no­scenza della na­tura come pro­pe­deu­tica a un più va­sto svi­luppo umano — si può es­sere più o meno d’accordo ma quello era il pen­siero dell’Abate Stop­pani nel qua­dro di una sua per­so­nale vi­sione teo­lo­gica — su cui Lei non dice nulla.

Il pro­po­sito cen­trale del li­bro di Stop­pani non era far co­no­scere l’Italia come com­plesso geo-po­li­tico fi­nal­mente uni­ta­rio e nep­pure la vo­lontà di pla­smare un co­mu­nità omo­ge­nea: al primo po­sto vi era la vo­lontà di spin­gere alla co­no­scenza della na­tura in quanto ri­flesso della di­vi­nità — il vo­lume è fin troppo ri­colmo di que­ste suggestioni.

Da dove Stop­pani ha tratto la spinta alla de­scri­zione della na­tura? è fin troppo ba­nale ri­spon­dere: dai molti con­tri­buti di Ro­smini de­di­cati a que­sto tema e da “I Pro­messi Sposi” di Ales­san­dro Man­zoni — e al­lora per­ché Lei non parla mai né del ro­manzo che ha ini­zio e ter­mina a Lecco e men che meno del suo au­tore, il lec­chese, mi­la­nese solo per un ac­ci­dente anagrafico?

An­to­nio Stop­pani nel 1844, seminarista.

Do­manda 3/

Perché, Professor Barberis nella edizione Einaudi non compare neppure una immagine dell’Abate e perché è solo accennata la fisionomia della sua famiglia che nella Lecco dell’Ottocento ebbe un certo peso?

Caro Pro­fes­sore, Le se­gna­liamo che i ge­ni­tori di Stop­pani erano sì an­che pro­dut­tori di can­dele (non “ar­ti­giani”, come Lei scrive nella sua “In­tro­du­zione”) ma erano so­prat­tutto com­mer­cianti di “co­lo­niali”, pre­sto di suc­cesso e con re­la­zioni su tutto il ter­ri­to­rio la­riano, te­nute an­che con mo­da­lità di co­mu­ni­ca­zione evo­lute per l’epoca (cor­ri­spon­denza personalizzata).

Con­tra­ria­mente a certa agio­gra­fia pie­ti­stica, i ge­ni­tori dell’Abate, gra­zie al com­mer­cio, di­ven­nero ra­pi­da­mente fa­col­tosi: fu pro­prio in forza di un pre­stito a fondo per­duto molto con­si­stente (10.000 lire di al­lora — circa 100.000 Euro) ac­cor­da­to­gli dal pa­dre Gio­vanni Ma­ria e dalla ma­dre Lu­cia Pe­co­roni che l’Abate poté uscire dalla crisi esi­sten­ziale in cui si trovò nel 1853 a se­guito della espul­sione per mano au­striaca da ogni scuola del Re­gno Lom­bardo-Ve­neto, e col­lo­carsi in modo ade­guato nell’ambiente della na­scente scienza geo­lo­gica, al­lora ap­pan­nag­gio dei ceti facoltosi.

La ma­dre, Lu­cia Pe­co­roni (fi­glia di un in­du­striale della seta, già at­tivo sul fronte pa­triot­tico ai pri­mis­simi dell’800) era donna di spes­sore an­che cul­tu­rale (per esem­pio, suo­nava bene il piano e co­no­sceva di­scre­ta­mente la mu­sica — in fa­mi­glia erano tutti ot­timi can­tanti, l’Abate come ba­ri­tono — Lu­cia aveva stu­diato e aveva un buon ba­ga­glio letterario).

Per parte di ma­dre, gli fu cu­gino il coe­ta­neo An­to­nio Ghi­slan­zoni (di cui si ri­corda in que­sto 2024 il bi­cen­te­na­rio della na­scita), già can­tante di suc­cesso e poi noto li­bret­ti­sta di Verdi non­ché bril­lante gior­na­li­sta ra­di­cale e scrittore.

In un suo scritto Ghi­slan­zoni cita la ma­dre dell’Abate come at­trice di va­glia: «Or fanno cinquant’anni, tutto il paese re­ci­tava. Il re­per­to­rio di Gol­doni, di Al­fieri, di Me­ta­sta­sio — a quei tempi an­che Me­ta­sta­sio era au­tore dram­ma­tico — fu esau­rito nel corso di po­che sta­gioni con una se­quela di suc­cessi. I due Agliati, un av­vo­cato ed un me­dico, l’intagliatore An­ghi­leri, le si­gnore Stop­pani e Gre­gori, i due dro­ghieri Tac­chi e Ber­ta­relli rap­pre­sen­ta­vano gli at­tori pri­mari della compagnia.»

Con Ghi­slan­zoni l’Abate ebbe sem­pre rap­porti cor­diali e ne fu ap­pog­giato nella ini­zia­tiva “mo­nu­mento a Man­zoni in Lecco” con quella fa­mosa let­tera del 4 di­cem­bre 1884: «Io farò quanto po­trò; il mio il­lu­stre amico Don An­to­nio po­trà più di me, quindi mol­tis­simo. Sa­rebbe utile che il Co­mi­tato si com­po­nesse di molti mem­bri, eletti ora in ogni classe. Il ge­nio è ciò che vi ha di più emi­nen­te­mente de­mo­cra­tico, qua­lora la sua gran luce si espanda su tutti. Tutti gli ope­rai del ter­ri­to­rio do­vreb­bero dare una pal­lanca ad onore di chi ha creato quel bel tipo di one­sto ri­belle che era Renzo Tramaglino.»

Lu­cia Pe­co­roni aveva inol­tre come zio ac­qui­sito Fran­ce­sco Ticozzi.
Tra i capi del mo­vi­mento pa­triot­tico del 1796; in­car­ce­rato con du­rezza da­gli au­striaci al loro ri­torno nel 1797; poi, con Na­po­leone, col­lo­cato in ruoli di re­spon­sa­bi­lità: Pre­fetto; Ca­va­liere della Croce di ferro, ecc. ecc.
Per non par­lare del fra­tello di lui, Ste­fano, in Lecco par­roco di San Gio­vanni in Laorca; con l’arrivo dei fran­cesi spre­ta­tosi in nome della “ri­vo­lu­zione”; anch’egli poi fun­zio­na­rio na­po­leo­nico; uomo di cul­tura, pio­niere di ta­lento della cri­tica d’arte ita­liana; tra­dut­tore an­che della “Sto­ria delle Re­pub­bli­che Ita­liane” di Si­smondi, l’opera che servì di spunto a Man­zoni per il suo “Os­ser­va­zioni sulla mo­rale cattolica”.

An­to­nio Ghi­slan­zoni, il cugino.
Fran­ce­sco Ti­cozzi, lo zio.
Ste­fano Ti­cozzi, fra­tello dello zio.

Tutto ciò per in­for­marLa che l’Abate crebbe in un am­biente di la­voro an­che duro ma cul­tu­ral­mente e so­cial­mente evo­luto; alla ma­dre (di cui era esti­ma­tore de­fe­rente Quin­tino Sella) l’Abate fu sem­pre for­te­mente le­gato: per lui sa­cer­dote era essa a in­car­nare il mondo femminile.

Il pa­dre, Gio­vanni Ma­ria, ben­ché fosse da Zel­bio giunto a Lecco ado­le­scente senza un quat­trino, aveva po­tuto spo­sare la be­ne­stante e bor­ghese Lu­cia per­ché ram­pollo di un ramo della fa­mi­glia Stop­pani che nel Sei­cento, sotto gli Spa­gnoli, era stata po­tente in Mi­lano, come as­se­gna­ta­ria dei ser­vizi postali.
E che aveva avuto come ul­timo rap­pre­sen­tante a metà ’700 il car­di­nale Fran­ce­sco Stop­pani, molto noto al tempo come di­plo­ma­tico pontificio.
Il pas­sag­gio di Mi­lano agli Au­striaci e poi la ri­vo­lu­zione dell’89 ave­vano man­dato tutto a ca­ta­fa­scio e i ric­chi si­gnori Stop­pani di una volta si erano tro­vati a do­vere sgob­bare di zappa su­gli an­ti­chi pro­pri pos­se­di­menti (ve­ni­vano a Mi­lano a ven­dere for­maggi per strada, at­ti­rando gli ac­qui­renti coll’esibire un orso te­nuto al guin­za­glio — pra­ti­ca­vano il con­trab­bando di can­dele con la Sviz­zera, usando una barca con più remi di quelli della dogana).

Se­condo voci fa­mi­liari (da pren­dere sem­pre con cau­tela) un al­tro ramo della fa­mi­glia (to­scano, i cui di­scen­denti in anni re­centi sono stati san­zio­nati come in­qui­na­tori del set­tore chi­mico) si era dato molto da fare per su­ben­trare nella ere­dità del già ci­tato Cardinale.
Sap­piamo in­fatti che, ne­gli anni della ma­tu­rità, l’Abate brigò per ve­dere se vi fos­sero gli estremi per ac­ce­dere come le­git­timi suc­ces­sori al ti­tolo no­bi­liare (e re­la­tive pro­prietà) — ma non riu­scì a ca­varne nulla no­no­stante le spese so­ste­nute in ri­cer­che e pa­reri le­gali: è pos­si­bile che l’altro ramo sia stato solo più attento.
Ol­tre che per col­lo­care l’Abate nella sua di­men­sione reale, il ri­cordo dell’origine di pre­sti­gio della fa­mi­glia serve per col­le­gare il pas­sag­gio di Stop­pani dall’insegnamento della filosofia/teologia alla geo­lo­gia, come ve­diamo immediatamente.

An­to­nio Stop­pani nel 1848, ap­pena or­di­nato sacerdote.

Do­manda 4/

Nella Sua «Introduzione» Lei cita il ’48 e il ruolo di Stoppani nel sistema di comunicazione aereo dell’insurrezione.
Bravo, ma perché, caro Professore, Lei non ha ricordato anche la immediatamente successiva battaglia di Santa Lucia?

Lei è tra l’altro to­ri­nese e stu­dioso delle vi­cende mi­li­tari dei Savoia.
Do­vrebbe es­sere a co­no­scenza di come, nel mag­gio ’48, Stop­pani par­te­ci­passe (si in­tende come as­si­stente di sa­nità, as­sieme ad al­tri tre se­mi­na­ri­sti di Mi­lano, senza spa­rare un colpo) alla bat­ta­glia di Santa Lu­cia, persa dai Pie­mon­tesi e fa­mosa per la grande quan­tità di morti e fe­riti da parte nostra.
Le truppe — tra cui il fe­ga­toso prin­cipe Vit­to­rio Ema­nuele, fu­turo Re — an­da­rono all’assalto su un ter­reno sco­perto con gli Au­striaci be­nis­simo di­fesi: uno dei quat­tro seminaristi/infermieri fu de­co­rato sul campo per avere sal­vato sotto un fuoco in­fer­nale un alto uf­fi­ciale pie­mon­tese; l’Abate mandò al Bol­let­tino in­sur­re­zio­nale di Lecco una can­zone pa­triot­tica, che fu stam­pata — nei ri­cordi dei quat­tro ri­mase a lungo l’orrore per il san­gue alle ca­vi­glie nella stanzetta-infermeria.

Lecco fu molto vi­cina alla in­sur­re­zione mi­la­nese: ap­pena ne giunse no­ti­zia, pra­ti­ca­mente tutti i ma­schi in grado di com­bat­tere, ar­re­stata la guar­ni­gione au­striaca e con il Pre­vo­sto in te­sta (scia­bola sulla to­naca), sce­sero in co­lonna verso Mi­lano per dare una mano — per que­sta par­te­ci­pa­zione all’insurrezione mi­la­nese Lecco fu poi pro­mossa a “città”, da borgo che era.

Lei inol­tre col­lega la espul­sione di Stop­pani dal Se­mi­na­rio ai fatti del ’48, cosa vera ma solo in generale.

Perchè invece non parla della fallita insurrezione di Milano del 1853?

Fu quello l’evento che de­ter­minò il cam­bio di ge­stione dell’ordine pub­blico da parte de­gli oc­cu­panti au­striaci. Per i fatti del ’48, al rien­tro in Mi­lano, gli Au­striaci ave­vano de­cre­tato am­ni­stia to­tale, co­stretti a man­te­nere la pa­rola, pena il ri­ma­nere con la città vuota.
L’Abate, in­se­gnante al Se­mi­na­rio, fu espulso as­sieme ad al­tri 15 col­le­ghi (tra cui il Pe­sta­lozza, cui Lei ac­cenna, e Na­tale Ce­roli, ami­cis­simo di Stop­pani e, più avanti, per 13 de­gli ul­timi anni di Man­zoni, as­si­stente cul­tu­rale del poeta) per­ché so­spet­tati da­gli Au­striaci di avere fatto pro­pa­ganda at­tiva alla pre­pa­ra­zione della ri­volta — cosa non vera, men­tre era vera la loro pro­pa­ganda per l’indipendenza.

Nei giorni della fal­lita in­sur­re­zione (Marx ed En­gels ne fe­cero un com­mento cri­tico sul piano po­li­tico an­che se con ap­prez­za­menti al co­rag­gio de­gli in­sorti), la ma­dre Lu­cia te­meva che l’Abate (troppo vi­vace come co­mi­ziante) fi­nisse fu­ci­lato per strada; gli scri­veva di stare sem­pre at­tac­cato al fra­tello mag­giore Pie­tro, anch’egli sa­cer­dote e già co­no­sciuto (più avanti e per molti anni fu Pre­vo­sto di Santa Ma­ria della Pas­sione in Milano).
A esfil­trare l’Abate da Mi­lano a Como, pen­sa­rono i Porro (po­tenti in en­trambe le città), le­gati agli Stop­pani da vin­coli fa­mi­gliari nei se­coli precedenti.

An­to­nio Stop­pani nel 1871, in abiti civili.

Do­manda 5/

Perché, Professore, nella Sua «Introduzione» a «Il Bel Paese» Lei non parla mai della «Carta Geologica», che l’Abate cita invece con enfasi nel suo libro?

Ab­biamo no­tato con sor­presa che nel Suo ra­gio­na­mento manca ogni cenno alla Com­mis­sione della Carta geo­lo­gica, isti­tuita im­me­dia­ta­mente dopo la pro­cla­ma­zione del nuovo Re­gno, marzo 1861, sotto la di­re­zione po­li­tica di Quin­tino Sella.

L’Abate ne fu uno dei due Se­gre­tari e da quel con­te­sto ori­gi­nano sia i suoi la­vori sul campo (in am­bito pe­tro­li­fero) sia i suoi con­tra­sti con l’ambiente go­ver­na­tivo: l’Abate (con al­tri na­tu­ral­mente) spin­geva a che la Carta geo­lo­gica fosse stesa dai geo­logi lo­cali (le­gati al ter­ri­to­rio e prov­vi­sti di cul­tura ge­ne­rale) e non da­gli in­ge­gneri delle mi­niere, buoni tec­nici ma me­dio­cri co­no­sci­tori dei ter­ri­tori in cui erano in­viati, spesso lon­tano dai pro­pri am­bienti, li­mi­tati sul piano scien­ti­fico com­ples­sivo, spesso a corto delle più ele­men­tari co­no­scenze uma­ni­sti­che e proni all’esecutivo in quanto militari.

In quei pri­mis­simi mo­menti di vita del nuovo ese­cu­tivo, re­spon­sa­bile per la prima volta dopo se­coli di quasi tutta la pe­ni­sola, emer­sero con forza i ter­mini di un con­tra­sto nella no­stra vita na­zio­nale che non si è an­cora ri­solto: che rap­porto ci deve es­sere tra il “cen­tro” e la “pe­ri­fe­ria”; tra la ca­pi­tale e le provincie?
At­ten­zione Pro­fes­sore! non stiamo di­va­gando! Stiamo solo cer­cando di evi­den­ziarLe quanto l’Abate mise in luce nella «Se­rata VI — Il Passo di So­bretta», in par­ti­co­lare nel ca­pi­to­letto 4 — La carta geo­lo­gica (p. 97 dell’edizione Stop­pani 1876; p. 119 se­condo Einaudi).
In quei brani di nar­ra­zione ai ni­poti l’Abate in­dica esat­ta­mente qual fosse nella pro­pria idea la pro­ce­dura da se­guire per re­di­gere una buona carta geo­lo­gica: in­for­tu­nato a un gi­noc­chio l’Abate Stop­pani è co­stretto al ri­poso; nella lo­canda dove al­log­gia ar­riva un fo­re­stiero al­lam­pa­nato con a tra­colla una cas­setta da er­bo­ri­sta e alla cin­tura un mar­tello da geologo.

È il si­gnor Theo­bald, già amico di Stop­pani, «in­ca­ri­cato dalla “So­cietà delle scienze na­tu­rali”, coa­diu­vata dal go­verno fe­de­rale sviz­zero», per ar­ri­vare alla pub­bli­ca­zione della carta geo­lo­gica del […] Can­ton Gri­gioni […] «tutta quella ca­tena, o piut­to­sto quell’immenso gruppo di co­lossi al­pini ove si per­dono per dir così, i li­miti della fron­tiera italo-el­ve­tica […] La carta del Theo­bald potè ve­der la luce prima della sua morte, e l’Italia ebbe tutta de­li­neata geo­lo­gi­ca­mente, da mano non Ita­liana, una delle più va­ste e dif­fi­cili por­zioni della sua fron­tiera […] Gio­van­doci del for­tu­nato ac­ci­dente che ci aveva riu­niti sul dif­fi­cile campo, pen­sammo di­vi­der­celo […] Theo­bald do­veva cac­ciarsi su pei monti alla de­stra dell’Adda, cer­cando i li­miti oc­ci­den­tali del gra­nito; io in­vece avrei at­tra­ver­sato il So­bretta, pre­ve­dendo di in­con­trarne i li­miti orien­tali, e di do­ver quindi at­tra­ver­sarne il corpo più grosso ».
Ecco de­li­neata, sotto la forma del rac­con­tino ai ni­poti il pro­gramma scien­ti­fico di Stop­pani: la col­la­bo­ra­zione tra scien­ziati — ita­liani e non — ma ben ra­di­cati al ter­ri­to­rio (con il con­tri­buto ov­via­mente dell’amministrazione).

L’Abate pub­blicò quel rac­con­tino nel 1876 ma lo aveva già pub­bli­cato nel 1865 sulla ri­vi­sta “L’Adolescenza”, nel pieno della lotta tra le di­verse ten­denze po­li­ti­che cul­tu­rali del nuovo Re­gno che tro­va­vano il ter­reno di confronto/scontro pro­prio sulla Carta Geologica.
Il li­bro pub­bli­cato nel 1876 era il por­tato di quelle lotte e di­scus­sioni. Come ha po­tuto cu­rare “Il Bel Paese” senza co­gliere que­sti snodi fondamentali?

An­to­nio Stop­pani, pre­su­miamo fine anni ’70.

Do­manda 6/

Perché, Professore, Lei quasi non parla delle attività professionali dell’Abate Stoppani?

Nella Sua “In­tro­du­zione” Lei ac­cenna al come “Il Bel Paese” sia una rac­colta di ar­ti­coli ap­parsi ne­gli anni pre­ce­denti su ri­vi­ste de­sti­nate agli ado­le­scenti. Era un buon ini­zio per il­lu­strare cosa sia in realtà quel vo­lume stam­pato dall’Abate nel 1876 (il no­stro Cen­tro Studi ha con­dotto su que­sto aspetto una ana­lisi di det­ta­glio che ve­drà la luce, ci au­gu­riamo, ab­ba­stanza in fretta).

È in­di­spen­sa­bile però ag­giun­gere che in que­gli ar­ti­coli l’Abate tra­sfe­riva il con­te­nuto dei suoi diari di la­voro sul campo. L’insieme (i te­sti già stam­pati ne­gli anni pre­ce­denti co­sti­tui­scono circa il 70% delle circa 180.000 pa­role della prima edi­zione) è quindi non una raf­fi­gu­ra­zione dell’Italia ma una rap­pre­sen­ta­zione de­gli im­pe­gni pro­fes­sio­nali e scien­ti­fici dello Stoppani.

I quali im­pe­gni, im­me­dia­ta­mente a par­tire dai primi anni ’60, si con­cen­tra­rono su due temi:

L’andamento dei ghiacciai.

A parte gli aspetti scien­ti­fici ge­ne­rali e il col­le­ga­mento con la que­stione della com­parsa dell’uomo (tema al­lora di at­tua­lità con l’ipotesi di Dar­win) la cosa aveva un ri­lievo im­me­dia­ta­mente eco­no­mico: se i ghiac­ciai si ri­ti­rano, come af­fron­tiamo i pro­blemi dell’approvvigionamento idrico, so­prat­tutto per le col­ti­va­zioni della pianura?

L’approvvigionamento di materie prime energetiche.

Vi­sta la scar­sità nella no­stra pe­ni­sola di ri­sorse mi­ne­ra­rie im­me­dia­ta­mente utili, come il car­bone, è pos­si­bile tro­vare al­tre ri­sorse, al­tret­tanto utili?
Come noto, nel qua­dro delle di­scus­sioni sulla Carta Geo­lo­gica cui si è fatto cenno, la parte go­ver­na­tiva (con Sella in te­sta) si prese lo sfrut­ta­mento delle già di­spo­ni­bili ri­sorse (car­bone) pun­tando sul Corpo delle Mi­niere, strut­tura mi­li­ta­riz­zata, agli or­dini di­retti del Re/Esecutivo.
Ai geo­logi non in­qua­drati non re­stava che tro­vare nuove nic­chie. L’Abate ebbe l’intuizione di pun­tare sulle ri­sorse pe­tro­li­fere in senso lato.

L’intero “Il Bel Paese” è de­di­cato a que­sti due temi, con qual­che co­rol­la­rio col­le­gato al di­bat­tito su aspetti sol­le­vati dal dar­wi­ni­smo (per es. i ca­pi­toli de­di­cati ai pi­pi­strelli, alle grotte, ecc.) e qual­che con­ces­sione alla cro­naca (la se­rata de­di­cata a Loreto).

È chiaro che avendo il si­stema dei ghiac­ciai re­la­zione con tutto l’arco al­pino, le sue ri­cer­che sul campo si svi­lup­pa­rono nelle re­gioni in­te­res­sate al fe­no­meno, quindi quelle del Nord della penisola.
Ma ne “Il Bel Paese” non vi è al­cuna espo­si­zione si­ste­ma­tica della for­ma­zione geo­gra­fica o geo­lo­gica delle re­gioni in que­stione. Al Pie­monte, alla Lom­bar­dia, al Ve­neto si fa ri­fe­ri­mento solo in quanto ospi­tano le Alpi e, quindi, i ghiac­ciai. Nel li­bro tro­viamo quindi molto sui ghiac­ciai ma quasi nulla sui di­versi ter­ri­tori (alla geo­lo­gia della Lom­bar­dia, l’Abate aveva de­di­cato il suo primo li­bro, quello del 1857, da Lei mai ci­tato — è importantissimo).

Ed è al­tret­tanto chiaro che, nella vi­sione dell’Abate, es­sendo le ri­sorse pe­tro­li­fere un aspetto dell’attività plu­to­nica del globo — e del re­la­tivo si­stema vul­ca­nico — le sue ri­cer­che lo por­ta­rono nelle re­gioni dove il vul­ca­ni­smo (nei suoi vari aspetti) pre­sen­tava le ma­ni­fe­sta­zioni più evi­denti — Emi­lia, La­zio, Abruzzo, Cam­pa­nia, Ba­si­li­cata, Sicilia.
E in­fatti ne “Il Bel Paese” tro­verà de­scritti aspetti di quelle re­gioni, col­le­gati al di­scorso vul­ca­nico. Ma non vi è al­cuna si­ste­ma­tica espo­si­zione della loro na­tura e nep­pure della loro geo­lo­gia generale.

Di al­cune re­gioni, l’Abate non fece as­so­lu­ta­mente men­zione, se non in­ci­den­tale: igno­rata del tutto, per esem­pio, la Sar­de­gna che pure ha nella no­stra fi­sio­no­mia geo­lo­gica un ruolo no­te­vole (lo evi­den­ziò be­nis­simo La­mar­mora); igno­rata la Pu­glia, la Li­gu­ria, e così via.

Il pre­sen­tare il li­bro di Stop­pani come di il­lu­stra­zione e pre­sen­ta­zione della no­stra pe­ni­sola è quindi at­tri­buire al sot­to­ti­tolo (“Con­ver­sa­zioni sulle bel­lezze na­tu­rali, la geo­lo­gia e la geo­gra­fia fi­sica d’Italia”) un va­lore ge­ne­rale che non era certo nelle in­ten­zioni dell’autore (“con­ver­sa­zioni” è ter­mine vo­lu­ta­mente vago e si pre­sta alla even­tuale non si­ste­ma­ti­cità nella esposizione).

Sa­rebbe più vi­cino alla realtà, de­fi­nire “Il Bel Paese” la pre­sen­ta­zione del la­voro di in­da­gine e di la­voro com­piuto dall’Abate in più di vent’anni sui due fronti prin­ci­pali della gla­cio­lo­gia e dell’attività vulcanica.
È chiaro come que­sto se­condo aspetto sia pre­pon­de­rante nell’economia dell’opera e che (an­che se evi­den­ziato quasi da nes­suno) pro­prio in que­sto am­bito l’Abate ci ha la­sciato un pa­tri­mo­nio con­cet­tuale (e pra­tico) di ine­sti­ma­bile valore.

L’Abate co­min­ciò a oc­cu­parsi di pe­tro­lio quando ap­parve la no­ti­zia delle prime estra­zioni su­per­fi­ciali ne­gli Stati Uniti, con quella corsa al pe­tro­lio (al­lora usato a scopi di il­lu­mi­na­zione) che de­stò tanto scal­pore di cronaca.
Si deve ri­co­no­scere alla sua com­pe­tenza e crea­ti­vità scien­ti­fica avere in­tuito che l’Italia pre­sen­tava ca­rat­te­ri­sti­che geo­lo­gi­che che, ben­ché as­so­lu­ta­mente di­verse da quelle del Nord Ame­rica, po­te­vano pre­starsi alla pre­senza di petrolio.

Gra­zie all’appoggio di Quin­tino Sella (che gli pro­curò con­tatti ne­gli USA e an­che clienti) l’Abate ci la­vorò e for­mulò tra i primi la teo­ria abio­tica della for­ma­zione del pe­tro­lio, al­lora con­di­visa da scien­ziati come D.I. Men­de­leev e Be­the­lot ma ri­te­nuta ir­ri­le­vante da­gli ope­ra­tori di al­lora (e di oggi).

Ep­pure, pro­prio ba­san­dosi su quei pre­sup­po­sti teo­rici, l’Abate trovò il pe­tro­lio in Ita­lia; lo estrasse; cercò an­che di farci dei quat­trini (im­pe­gnan­dosi come im­pren­di­tore) pro­prio par­tendo da quelle aree da dove, 140 anni dopo, noi tra­iamo quasi il 10% del no­stro fab­bi­so­gno di ma­te­rie pe­tro­li­fere (non en­triamo nel me­rito se ciò sia bene o male).
La con­fi­gu­ra­zione geo­lo­gica d’Italia non ren­deva al­lora un grande af­fare l’estrazione pe­tro­li­fera per i li­miti dei mezzi tec­nici dell’epoca. Ma quando (morto da un pezzo l’Abate) fu pos­si­bile sca­vare pozzi pro­fondi an­che qual­che chi­lo­me­tro, ri­sultò tutta la forza della in­tui­zione scien­ti­fica dell’Abate.
Come noto, la teo­ria abio­tica venne con­si­de­rata va­lida in Unione So­vie­tica ai primi anni ’50 ed è su quella base che da al­lora la Rus­sia è uno dei più grandi pro­dut­tori di pe­tro­lio e gas del Mondo.

Ma tor­niamo al no­stro tema.

An­to­nio Stop­pani nel 1876, a 52 anni.

Do­manda 7/

Perché Lei non ha detto nulla sulle elezioni del 1876, in funzione delle quali Stoppani pubblicò «Il Bel Paese»?

Nel 1876, con la prima edi­zione de “Il Bel Paese”, l’Abate in­tese pre­sen­tare in modo ori­gi­nale il pro­prio pro­gramma elet­to­rale (si era pro­po­sto per par­te­ci­pare con la Si­ni­stra alle ele­zioni dell’autunno del 1876) rias­su­mi­bile in due punti:

a/ con­si­de­rare con l’occhio dello scien­ziato la nuova Ita­lia sotto il pro­filo delle ri­sorse na­tu­rali (si­stema dei ghiac­ciai = ap­prov­vi­gio­na­mento idrico / si­stema vul­ca­nico = ri­sorse petrolifere);

b/ do­tare la po­po­la­zione (in primo luogo na­tu­ral­mente le nuove ge­ne­ra­zioni) della ca­pa­cità di com­pren­dere i fe­no­meni na­tu­rali per uti­liz­zare nel modo più evo­luto quelle me­de­sime risorse.
Fu per que­sta spe­ci­fica ra­gione che l’Abate de­cise di pub­bli­care in pro­prio il vo­lume, in­di­pen­den­te­mente da ogni al­tra con­si­de­ra­zione: un pro­gramma elet­to­rale in grande stile con cui l’Abate ab­ban­do­nava la De­stra sto­rica con cui aveva col­la­bo­rato per tanti anni ma da cui lo ave­vano da su­bito di­viso tutta una se­rie di que­stioni, evi­den­ziate nel di­bat­tito sulla Carta geologica.

Nel 1876 si pro­fi­lava la pos­si­bi­lità di un ro­ve­scia­mento della or­mai vec­chia com­pa­gine go­ver­na­tiva e l’Abate ri­tenne di po­tere tro­vare nella nuova so­lu­zione della Si­ni­stra l’ambiente adatto all’affermazione delle pro­prie idee circa la ge­stione della geo­lo­gia come scienza ope­ra­tiva e come parte della cul­tura collettiva.
All’ultimo mo­mento l’Abate, pre­muto e dai suoi vec­chi amici e dalla ge­rar­chia ec­cle­sia­stica, si ri­tirò dalla com­pe­ti­zione elet­to­rale: ama­reg­giato e de­luso an­che di se stesso, ruppe i rap­porti con Mi­lano e si tra­sferì a Fi­renze da dove tornò, ma solo anni dopo, quando le po­le­mi­che si erano at­te­nuate e solo per le pres­sioni di Brio­schi, Ret­tore del Politecnico.

Do­manda 8/

Perché Lei ha solo incidentalmente accennato alle successive edizioni de “Il Bel Paese”?

In quel pe­riodo di “esi­lio” in Fi­renze — e così tor­niamo qui a Lecco — l’Abate de­cise di fare de “Il Bel Paese” il vei­colo per un’altra ope­ra­zione, di di­versa na­tura, le­gata al fi­lone ideo­lo­gico cui ap­par­te­neva nel pro­fondo e al ruolo che nella sua mente po­teva / do­veva as­su­mere Lecco nel pa­no­rama nazionale.
E ar­ri­viamo così a un al­tro dei punti non pre­senti nep­pure di sfug­gita nella Sua “In­tro­du­zione”.

Nel mag­gio 1873 morì A. Man­zoni. Im­me­dia­ta­mente l’Abate si at­tivò per­ché in Lecco si ar­ri­vasse a eri­gere un mo­nu­mento al poeta e all’autore de “I Pro­messi Sposi”, il ro­manzo che in Lecco ha ori­gine e con­clu­sione (il Sin­daco di Lecco era pa­dre di Bar­bara Re­si­nelli, bi­snonna di chi scrive, e quindi con­ge­nero dell’Abate, che aveva la strada spia­nata per le sue proposte).

Come già ac­cen­nato, ai primi del ’74 l’Abate scrisse “I Primi Anni di Ales­san­dro Man­zoni”, de­di­cato a rap­pre­sen­tare il le­game tra Man­zoni e Lecco, già da al­lora vo­lu­ta­mente sot­to­sti­mato dai “mi­la­nesi”, come Giu­lio Car­cano, che ci te­ne­vano a un Man­zoni solo me­ne­ghino. In quel li­bro l’Abate pub­blicò un “Inno” ine­dito di Man­zoni (Il Na­tale del 1833) che avrebbe avuto un grande fu­turo nel se­colo successivo.
Va­rie vi­cende, già da noi am­pia­mente pre­sen­tate (vedi il no­stro sito) im­pe­di­rono per anni che il pro­getto del mo­nu­mento si po­tesse concretizzare.

Nel frat­tempo, come la­scito della que­stione ro­mana, si erano acuiti i con­tra­sti tra le di­verse ten­denze all’interno del clero ita­liano. L’ala pro­gres­si­sta (in cui na­tu­ral­mente si ri­co­no­sceva Stop­pani) si ap­pog­gia­vano al la­scito ideale di Ro­smini (messo in­vece all’Indice dal Va­ti­cano) e di Man­zoni che del cat­to­li­ce­simo li­be­rale era stato il cam­pione culturale.

L’Abate pensò sag­gia­mente di met­tere in­sieme i due nomi sim­bolo: di eri­gere a Mi­lano un mo­nu­mento a Ro­smini e — con­tem­po­ra­nea­mente — un mo­nu­mento in Lecco a Man­zoni, come già pro­gram­mato anni prima.
L’Abate lan­ciò il pro­getto, co­min­ciando a rac­co­gliere fondi so­prat­tutto tra il clero evo­luto. Il Va­ti­cano reagì bru­tal­mente im­po­nendo ai sa­cer­doti di non dare un cen­te­simo al pro­getto di Stop­pani, mi­nac­ciando rap­pre­sa­glie. No­no­stante la fer­mezza di al­cuni (tra que­sti è da ri­cor­dare Giu­seppe Mer­calli, già al­lievo dell’Abate e ro­smi­niano di ferro, che ri­mase fermo sulle sue po­si­zioni e fu quindi li­cen­ziato su due piedi dal ruolo di in­se­gnante di scienze al Se­mi­na­rio), la gran parte si piegò: l’Abate do­vette mu­tare li­nea e pun­tare sul solo mo­nu­mento a Man­zoni in Lecco.

Per dare cor­nice de­gna alla città e ren­derla nota all’intero no­stro paese, l’Abate com­pose la terza edi­zione de “Il Bel Paese”, uscita nel 1881, com­ple­ta­mente rinnovata:

— sia nella parte di più im­me­diata co­mu­ni­ca­zione: la co­per­tina, già rap­pre­sen­tante il si­stema vul­ca­nico, fu so­sti­tuita da una rap­pre­sen­ta­zione della lotta ideo­lo­gica tra pro­gresso e reazione;

— sia am­pliata con una “Ap­pen­dice” di cin­que nuove “Se­rate” (110 pa­gine, da ag­giun­gersi alle 530 della prima edi­zione del 1876), tre delle quali de­di­cate ad ar­go­menti più o meno mar­ca­ta­mente col­le­gati a Lecco:
• Se­rata II = I no­stri la­ghi /
• Se­rata III = L’incendio del San Mar­tino (la mon­ta­gna che do­mina Lecco e che ne ga­ran­ti­sce da sem­pre la feracità) /
• Se­rata IV = Il Reno da Sciaf­fusa e l’Adda a Pa­derno (in que­sta nuova se­rata com­pare come mac­chietta fa­mi­liare il pic­colo An­to­nio, nonno di chi scrive, nato nel 1872, preso bo­na­ria­mente in giro dallo zio geo­logo per non sa­pere spie­gare cosa fos­sero le “con­che” del Naviglio).

Que­ste tre se­rate in cui Lecco ap­pare in modo così mar­cato, fu­rono con­ce­pite dall’Abate per col­lo­care la città la­riana all’attenzione na­zio­nale e fa­vo­rirne quel ruolo di “al­tare alla me­mo­ria di Man­zoni” che sa­rebbe di­ven­tato il fi­lone della co­mu­ni­ca­zione con cui (pur­troppo mesi dopo la morte di Stop­pani) si ar­rivò nell’ottobre 1891 a inau­gu­rare in Lecco il mo­nu­mento a Man­zoni, che tut­tora do­mina il cen­tro della città.

Sotto que­sto pro­filo la scelta Ei­naudi di pub­bli­care la prima edi­zione del 1876, se ub­bi­di­sce a ovvi e con­di­vi­si­bili cri­teri bi­blio­gra­fici (la prima edi­zione ha certo un suo par­ti­co­lare va­lore), ha il li­mite di igno­rare lo svi­luppo del pen­siero dell’Abate sulla fun­zione della pro­pria opera: da pro­gramma elet­to­rale per l’affermazione della scienza na­zio­nale (1876) a pro­mo­zione del pen­siero etico-re­li­gioso-let­te­ra­rio del cat­to­li­ce­simo de­mo­cra­tico e po­po­lare (1881).

Do­manda 9/

Perchè Lei ha attribuito i contrasti tra l’Abate Stoppani e la gerarchia vaticana a ragioni insignificanti e fuorvianti?
Perché non ha parlato delle ragioni vere del contrasto?

Nella Sua “In­tro­du­zione”, Lei ha ac­cen­nato ai con­tra­sti tra Stop­pani e gli am­bienti con­ser­va­tori della Chiesa in un modo che ci sem­bra ve­ra­mente cu­rioso (p. XXX):

«Uomo di en­tu­sia­smi ine­sau­sti e col pia­cere di un pub­blico ap­prez­za­mento, l’abate Stop­pani era ben lon­tano da quel tipo di prete av­volto nella to­naca e pa­la­dino di an­ti­chi pre­giu­dizi e ri­tuali ba­roc­chi: non era uomo da bi­sbi­gli o sguardi obli­qui, anzi era uomo dal volto bo­na­rio e dalla par­lata ac­cat­ti­vante, dalla co­mu­ni­ca­zione bril­lante, pia­ce­vole e compiaciuta.
Na­tu­rale, dun­que, che il clero piú in­tran­si­gente lo at­tac­casse: «L’Osservatore cat­to­lico», che si de­fi­niva «gior­nale re­li­gioso-po­li­tico», aveva avuto toni aspri nei suoi con­fronti, af­fer­mando di non ri­co­no­scere in lui l’abito del sa­cer­dote. Fi­nita in tri­bu­nale, la que­stione era stata ri­solta a fa­vore di Stop­pani, ri­sar­cito con 10.000 lire per i danni ma­te­riali e 6.000 per quelli morali.»

Que­sto modo “cu­rioso” di vere le cose della sto­ria ci sem­bra d’altra parte una co­stante di tutto quel testo.

Nelle quasi 10.000 pa­role da Lei stese a pre­sen­ta­zione de “Il Bel Paese” se­condo Ei­naudi, Lei, in­fatti, non ha mai fatto ri­corso, nep­pure per in­ciso, alla pa­rola “Va­ti­cano” (e quindi né “Stato Pon­ti­fico, né “Pa­tri­mo­nio di San Pie­tro”), né alla pa­rola “Papa” (e quindi né Papa Pio IX, né Papa Leone XIII).
D’altra parte Lei ha ci­tato la pa­rola “re” solo con ri­fe­ri­mento a una con­fe­renza sui ghiac­ciai te­nuta da Stop­pani all’Accademia dei Lin­cei, cui ave­vano par­te­ci­pato come ospiti Re Um­berto II e la Re­gina Margherita.
D’altra parte Lei ha ci­tato solo una volta Ga­ri­baldi ma solo per ri­cor­dare che gli era amico Les­sona, il na­tu­ra­li­sta torinese.

Cioè Lei, par­lando dei fe­no­meni di co­mu­ni­ca­zione della se­conda metà dell’Ottocento in Ita­lia, spende molte pa­role per ri­cor­dare il ballo “Ex­cel­sior” della Scala di Mi­lano ma nep­pure una vir­gola per trat­teg­giare, an­che solo in estrema sin­tesi, le fi­gure che ca­rat­te­riz­za­rono quel pe­riodo, a sua volta ca­rat­te­riz­zato da una sola grande que­stione, ri­ma­sta ir­ri­solta per mezzo se­colo, os­sia lo scon­tro tra Stato ita­liano e Stato Pon­ti­fi­cio (a scanso di equi­voci, chia­riamo che i Patti La­te­ra­nensi del 1929 non com­po­sero af­fatto la frat­tura ma la na­sco­sero con la forza della dit­ta­tura fa­sci­sta generalizzata).
E quindi, leg­gendo la Sua “In­tro­du­zione”, an­che il più di­spo­ni­bile si trova ine­vi­ta­bil­mente a chie­dersi — e a de­si­de­rare di chie­derLe — come Lei si rap­pre­senti il ruolo dello storico.

Le chiedo, Pro­fes­sore: come è pen­sa­bile che Lei possa chia­rire ai suoi let­tori (e an­che a tutti co­loro che La ascol­te­ranno a Lecco il 12 aprile) cosa dia­volo sia “Il Bel Paese” di cui Lei ha cu­rato l’edizione se­condo Ei­naudi? Come è pos­si­bile se Lei non sente il bi­so­gno di dire nep­pure una pa­rola su­gli stessi pre­sup­po­sti — non del li­bro di Stop­pani ma della vita stessa dell’Abate Stop­pani non­ché dell’intera col­let­ti­vità na­zio­nale di cui fa­ce­vano parte i no­stri bisnonni?

Lei, Pro­fes­sore, pre­senta lo scon­tro tra l’Abate Stop­pani e le ten­denze più rea­zio­na­rie del Va­ti­cano come con­se­guenza de­gli aspetti più su­per­fi­ciali che se­condo Lei ca­rat­te­riz­za­vano An­to­nio Stop­pani: non un prete “av­volto nella to­naca e pa­la­dino di an­ti­chi pre­giu­dizi e ri­tuali ba­roc­chi”; non uomo “da bi­sbi­gli o sguardi obli­qui” ma in­vece fi­gura dalla “par­lata ac­cat­ti­vante, dalla co­mu­ni­ca­zione bril­lante, pia­ce­vole e compiaciuta”.

Que­sto qua­dretto in­ter­pre­ta­tivo è de­ci­sa­mente stu­pe­fa­cente, of­fen­sivo non solo per l’Abate Stop­pani ma an­che per i suoi av­ver­sari (pur se rea­zio­nari), pre­sen­tati da Bar­be­ris come ur­tati da un modo non in­ges­sato e an­che un poco com­pia­ciuto di por­gersi nelle con­fe­renze pub­bli­che che Bar­be­ris at­tri­bui­sce a Stoppani.

Ve­diamo quindi di fare un po’ di luce su que­ste vi­cende, im­por­tan­tis­sime per la vita dell’autore de “Il Bel Paese” di cui quest’anno ce­le­briamo il Bi­cen­te­na­rio e pre­sen­tate in modo così fan­ta­sioso pro­prio da chi do­vrebbe es­sere de­pu­tato, an­che per me­stiere, a la­sciare la fan­ta­sia ai mo­menti di svago e a cer­care di com­pren­dere e far com­pren­dere i pas­saggi della realtà.

Trentennale impegno di Stoppani nelle fila del cattolicesimo progressista.

Nel 1860, come mem­bro della So­cietà Ec­cle­sia­stica di Mi­lano (che rac­co­glieva i preti con­ci­lia­to­ri­sti della città — la parte più di­na­mica del clero di al­lora) Stop­pani par­te­cipò all’intenso e sot­ter­ra­neo la­voro per con­vin­cere il clero cit­ta­dino quan­to­meno a non schie­rarsi con­tro la or­mai im­mi­nente riu­ni­fi­ca­zione del Paese a guida Sa­voia e a so­ste­nere quindi il di lì a poco Re d’Italia nella prova di forza con Pio IX.
Come ab­biamo già nar­rato in una no­stra Nota (qui) della azione era ma­gna pars Man­zoni (e il suo con­fes­sore, Don Giu­lio Ratti, Pre­si­dente della So­cietà Ec­cle­sia­stica) che (con il tra­mite di D’Azeglio, già ge­nero di Man­zoni e al­lora Go­ver­na­tore di Mi­lano) dia­logò con Vit­to­rio Ema­nuele per con­cor­dare il da farsi nella più im­por­tante città dell’ex Re­gno Lombardo-Veneto.

Alla pro­cla­ma­zione del Re­gno d’Italia (marzo 1861) la parte con­ci­lia­to­ri­sta dei sa­cer­doti mi­la­nesi (tra essi An­to­nio Stop­pani era già ben noto e ap­prez­zato) con­ti­nua­rono nell’azione per de­fi­nire nuovi rap­porti tra Stato e Va­ti­cano. A se­guito di ciò, nel 1862, la So­cietà Ec­cle­sia­stica fu sciolta d’imperio dalle au­to­rità ecclesiastiche.

Sem­pre nel ’62, l’Abate Stop­pani, as­sieme ai due fra­telli anch’essi sa­cer­doti (Pie­tro, più tardi e per molti anni Pre­vo­sto di Santa Ma­ria della Pas­sione in Mi­lano e Carlo, per molti anni in­se­gnante di scienze na­tu­rali in Mo­dica di Si­ci­lia), firmò la co­sid­detta “Pe­ti­zione Pas­sa­glia” con la quale ol­tre 9.000 sa­cer­doti ita­liani chie­sero a Papa Pio IX di con­si­de­rare l’opportunità di giun­gere a un ac­cordo con il po­tere sta­tale del Re Vit­to­rio Ema­nuele II.
Ciò per evi­tare l’approfondirsi di un con­tra­sto nella so­cietà ita­liana, esi­ziale per il mi­glior svi­luppo del nuovo Paese, fi­nal­mente quasi del tutto riunito.
Molti fir­ma­tari della Pe­ti­zione, pres­sati dalle au­to­rità ec­cle­sia­sti­che, mi­nac­ciati di rap­pre­sa­glie in­terne, si pie­ga­rono e ri­ti­ra­rono il loro ap­pog­gio a Passaglia.
I fra­telli Stop­pani non ri­ti­ra­rono un bel nulla, fi­nendo così nella li­sta nera del Vaticano.

All’indomani della presa di Roma (1870), la parte più con­ser­va­trice della ge­rar­chia si im­pe­gnò a fondo non per smus­sare ma, al con­tra­rio, per ina­sprire i con­tra­sti con il po­tere sta­tale e av­viò una cam­pa­gna si­ste­ma­tica con­tro il clero con­ci­lia­to­ri­sta, ri­pren­dendo gli ar­go­menti già usati con­tro l’ormai de­funto Rosmini.

A fronte di que­sto ria­cu­tiz­zarsi dell’assalto con­ser­va­tore, l’Abate non solo con­ti­nuò con l’azione or­ga­niz­za­tiva all’interno del clero con­ci­lia­to­ri­sta per rin­tuz­zare le ini­zia­tive dei rea­zio­nari ma co­min­ciò alla fine de­gli anni ’70 an­che a pren­dere con­tatti con gior­nali di ispi­ra­zione conciliatorista.

Al cen­tro delle sue ri­fles­sioni, non solo il ri­ba­dire i con­cetti già noti della con­ci­lia­zione in ter­mini po­li­tici tra Va­ti­cano e Stato ma l’avviare un di­scorso di rin­no­va­mento del clero an­che in ter­mini di cul­tura e di pre­pa­ra­zione scien­ti­fica, da con­durre con la ne­ces­sa­ria am­piezza nei Seminari.

Que­ste po­si­zioni di Stop­pani, estre­ma­mente ra­gio­ne­voli e stra­te­gi­ca­mente evo­luti, in un primo mo­mento gli at­ti­ra­rono l’attenzione del Papa Leone XIII che lo ri­ce­vette in Va­ti­cano il 15 marzo 1879. Nel corso dell’udienza, l’Abate Stop­pani il­lu­strò a voce al Pon­te­fice quanto egli pen­sava circa i pro­blemi di una ri­qua­li­fi­ca­zione cul­tu­rale del clero.
Leone XIII lo ascoltò con ma­ni­fe­sta sim­pa­tia e gli fece dono della usuale me­da­glia d’oro a ricordo.
All’interno dell’ambiente va­ti­cano, que­sto cor­diale in­con­tro face na­scere due ten­denze per­fet­ta­mente contrapposte.
Da un lato la ten­denza più aper­tu­ri­sta che ri­te­neva van­tag­gioso per la Chiesa ar­ri­vare a un ac­cordo con lo Stato — e che quindi co­min­ciò an­che a pen­sare a una even­tuale no­mina di Stop­pani alla ca­rica di Car­di­nale, in­ca­ri­cato delle que­stioni scientifiche.
Dall’altra parte la ten­denza più rea­zio­na­ria che in­vece pensò bene di av­viare una cam­pa­gna con­tro quel ro­smi­niano così pre­pa­rato sul piano scien­ti­fico e così do­tato an­che come let­te­rato e ora­tore — con­ve­niamo con Bar­be­ris: l’Abate si la­vava tutti i giorni e cer­cava di non spu­tare da­vanti alle signore.

Prese così av­vio una cam­pa­gna stri­sciante ad per­so­nam con­tro la fi­gura dell’Abate Stop­pani — non certo per il suo tono elo­quente o per la bella voce ba­ri­to­nale o per la na­tu­rale sim­pa­tia o per al­tre si­mili sciocchezze.
Ma diamo la pa­rola allo stesso Stop­pani, pren­dendo brani dalla sua de­nun­cia per il pro­cesso che lo stesso Bar­be­ris cita come ri­sol­tosi vit­to­rio­sa­mente per Stoppani:

«Fu di­fatti nel 1880 che io pub­bli­cai nel pe­rio­dico la “Sa­pienza” di­retta da Vin­cenzo Papa un breve ar­ti­colo in­ti­to­lato “Im­pres­sioni di un viag­gio”, in cui la­men­tavo per la prima volta nel Clero quella scis­sura pro­fonda d’idee e di sen­ti­menti, di re­cri­mi­na­zioni, d’ingiurie e d’improperi, quel ca­po­vol­gi­mento della ge­rar­chia, per cui noi preti siamo di­ve­nuti da qual­che anno di scan­dalo al lai­cato, e spet­ta­colo mi­se­rando a noi stessi. […] Ciò mi valse una prima sfu­riata di ar­ti­coli ingiuriosi […]»

Ma la cam­pa­gna di de­ni­gra­zione prese pieno vi­gore quando Stop­pani, nell’aprile 1884, pub­blicò il vo­lume “Il dogma e le scienze po­si­tive” (ne fece una se­conda edi­zione ag­gior­nata nel 1886) nel quale, in ol­tre 400 pa­gine, de­li­neava i com­piti cul­tu­rali per un clero al passo coi tempi e — tanto per man­te­nere viva la me­mo­ria — pub­bli­cava l’ormai in­tro­va­bile te­sto della “Pe­ti­zione Pas­sa­glia” del de­cen­nio precedente.

Il di­scorso molto ar­go­men­tato ed ef­fi­cace di Stop­pani spinse gli av­ver­sari a ri­lan­ciare l’azione di con­tra­sto sulla scia di quanto già spe­ri­men­tato po­chi anni prima e che si espresse (a un li­vello de­ci­sa­mente basso) an­cora at­tra­verso il gior­nale mi­la­nese “L’Osservatore Cat­to­lico”, di­retto da Don Albertario.
Que­sti per l’occasione mise a punto il tipo di at­tacco gior­na­li­stico a metà tra l’argomentazione e la dif­fa­ma­zione per­so­nale che ebbe poi tanto suc­cesso (e con­ti­nua ad averlo): nel 1884 a Stop­pani fu­rono de­di­cati se­dici ar­ti­coli e nove nel 1885.

Que­sto un as­sag­gio dello stile di Don Albertario:

«Lo Stop­pani scrive come un par­ti­giano, as­sale, ca­lun­nia, ol­trag­gia to­mi­sti e pa­pi­sti, gior­na­li­sti, apo­lo­gi­sti (N. 102). — Lo Stop­pani non pos­siede col­tura suf­fi­ciente e di­ritta… non ha cuore… si ab­ban­dona al rozzo me­stiere di tor­men­tare spi­riti im­mor­tali, che pre­giano so­pra tutto l’ubbidienza il­lu­mi­nata alla Chiesa… è por­tato a in­cru­de­lire, con vol­gari o viete in­so­lenze con­tro la stampa cat­to­lica; me­stiero in­de­gno, me­stiero vile…. (N. 103). — Lo Stop­pani scese ad in­de­gne vil­la­nie an­che per­so­nali… raz­zola nell’immondezzaio del gior­na­li­smo più ab­bietto… stampa un li­bro par­ti­giano, mo­no­colo, e non sa re­pri­mere Ie basse e turpi pas­sioni dell’odio (N. 101).
È im­ma­co­lata la ban­diera di preti che si sono ven­duti alla ri­vo­lu­zione, hanno po­po­lato uni­ver­sità e li­cei, oc­cu­pati po­sti dei prov­ve­di­to­rati sco­la­stici, e si sono fatti dis­se­mi­na­tori di er­rori e di scan­dali? È im­ma­co­lata la ban­diera di preti am­mo­gliaz­zati, mer­ca­tori di sor­risi in­ve­re­condi, pei quali la Chiesa ha la­gri­mato la­grime ama­ris­sime? (N. 253).

Di preti che

in­vece di sa­lir con Cri­sto al monte,
Si tra­stul­lano al prato e al chiaro fonte,
Se pure in ballo, a qual­che mopsa accanto,
Non va­dano a fi­nir senza compianto…
O, peg­gio, come Giuda loro amico,
Non cor­rano a cre­par ap­pesi a un fico.

Ci pare che per que­sta oc­ca­sione ce ne sia abbastanza.

Ma come ab­biamo già mo­strato, l’Abate Stop­pani aveva su­sci­tano la ver­sa­ti­lità let­te­ra­ria de­gli odia­tori del Va­ti­cano par­lando di cose se­rie: è pos­si­bile ar­ri­vare a un ac­cordo tra Stato laico cen­trale e Va­ti­cano; a quali con­di­zioni? è pos­si­bile che il clero sia parte co­sti­tu­tiva del nuovo Paese?
Stop­pani dice che sì! è pos­si­bile, ma oc­corre che il Papa si li­beri del po­tere tem­po­rale (certo un pro­gramma vasto).
E i Don Al­ber­ta­rio, in­vece che di­cono? Col ca­volo, il po­tere tem­po­rale ci piace e ce lo te­niamo bene stretto!
Quindi, per i rea­zio­nari, il pro­blema non era la chioma e la fo­to­ge­nia dell’Abate Stop­pani e la sua elo­quenza ora­to­ria e il suo fare più o meno ac­cat­ti­vante — il pro­blema era di po­tere, di po­si­zioni, di quat­trini — come sem­pre del resto.

Ecco, di­ciamo che il Pro­fes­sor Bar­be­ris si è un po’ di­stratto men­tre scri­veva quelle pa­role circa il con­tra­sto a suo dire sti­mo­lato dalla fa­con­dia (per di più un poco va­ni­tosa) che egli at­tri­bui­sce all’Abate.

Da no­tare, nell’azione dell’Osservatore Cat­to­lico con­tro l’Abate Stop­pani, l’inserimento del tema “Man­zoni” cui Stop­pani de­dicò tante ener­gie, so­prat­tutto per fare con­di­vi­dere da tutto il bel paese l’idea del le­game or­ga­nico tra Lecco e Man­zoni (del poeta, Bar­be­ris, nelle sue trenta pa­gine di “In­tro­du­zione” de­di­cate alla pro­du­zione let­te­ra­ria ita­liana ne­gli anni a metà se­colo, non cita nep­pure il nome, con­ti­nuiamo a ri­pe­terlo per­ché ri­manga ben fisso nella me­mo­ria dei lettori).

L’8 marzo 1885, al Tea­tro della So­cietà di Lecco, si tenne la prima con­fe­renza di pro­mo­zione per l’erezione del mo­nu­mento a Man­zoni in Lecco. Or­ga­niz­zata dal Co­mi­tato pro­mo­tore di cui l’Abate Stop­pani era Pre­si­dente, la con­fe­renza aveva due obiet­tivi: lan­ciare il pro­getto a li­vello pub­blico e co­min­ciare a rac­co­gliere fondi. Il te­sto della con­fe­renza sa­rebbe stato stam­pato in al­cune mi­gliaia di co­pie e ven­duto in tutta Italia.
Venne così in­vi­tato a par­lare Ro­mualdo Bon­fa­dini, fi­gura nota a li­vello na­zio­nale. Val­tel­li­nese, amico fra­terno in Mi­lano dei Vi­sconti Ve­no­sta; come ga­ri­bal­dino nella Terza guerra di in­di­pen­denza del 1866 era stato com­pa­gno d’arme di E. Guic­ciardi alla di­fesa dello Stel­vio. L’anno suc­ces­sivo venne eletto alla X Le­gi­sla­tura tra i ran­ghi della de­stra; stese una re­la­zione det­ta­gliata sulla si­tua­zione ro­mana de­li­neando i cri­teri per un in­ter­vento del re­gio eser­cito in Roma in caso di in­sur­re­zione anti pa­pale. Nel 1874 fu eletto per la XII le­gi­sla­tura, e no­mi­nato se­gre­ta­rio ge­ne­rale alla Pub­blica Istru­zione nel go­verno Min­ghetti. Nel 1875 fece parte come re­la­tore della giunta per l’inchiesta sulle con­di­zioni della Sicilia.

Esti­ma­tore di Man­zoni e in buoni rap­porti con Stop­pani, Bon­fa­dini par­te­cipò vo­len­tieri a quella prima ini­zia­tiva del Co­mi­tato lec­chese. Ov­via­mente at­ti­rando come una ca­la­mita l’attenzione dell’ “Os­ser­va­tore cat­to­lico” che, me­more dell’analisi da Bon­fa­dini svolta anni prima so­stan­zial­mente per scal­zare il Va­ti­cano dal con­trollo di Roma, ne trasse spunti per rin­for­zare la dose con­tro Stop­pani: ecco! l’Abate geo­logo ha por­tato a Lecco quel Bon­fa­dini, ne­mico della Chiesa e del Papa — ergo, an­che Stop­pani è ne­mico della Chiesa e del Papa.

Come si vede, l’impostazione del Pro­fes­sor Bar­be­ris, in que­sto caso è un po­chino ca­rente e ignora ele­menti fon­da­men­tali per com­pren­dere e ap­prez­zare il le­game pro­fondo che sem­pre legò Stop­pani alla sua città natale.
Ma il Pro­fes­sore — ri­cor­date la sua let­tera ci­tata all’inizio? — ha in­vece scritto nel primo rigo del pro­prio pro­gramma edi­to­riale la can­cel­la­zione dai vari au­tori di ogni loro le­game e di luogo e di tempo con la realtà: in que­sto ci avrà sem­pre vi­gili av­ver­sari: che al­meno l’Abate Stop­pani sfugga a que­sto in­sulto alla me­mo­ria col­let­tiva. La quale me­mo­ria — giova ri­cor­darlo con forza — non sof­fre mai di ec­cesso ma — sem­pre — di difetto.

Fa­bio Stoppani
Cen­tro Studi Abate Stoppani
fabio-stoppani@alice.it

Conclusioni: innumerevoli i silenzi e i fraintendimenti sulla figura e l’opera dell’Abate Antonio Stoppani da parte di Einaudi e del curatore Professor Barberis.

ZERO le po­si­ti­vità de “Il Bel Paese”, Edi­zione Ei­naudi 2024.

La Nota su “Il Bel Paese” se­condo Ei­naudi, 2024 è già molto lunga e co­mun­que non ne­ces­sita di com­menti conclusivi.

Vor­remmo in­vece ri­chia­mare l’attenzione su un fe­no­meno di tar­tu­fi­smo isti­tu­zio­nale de­ci­sa­mente deprimente.

Il 7 aprile la no­stra Nota ha reso pub­blica l’avversione nei con­fronti delle ce­le­bra­zioni del Pro­fes­sor Bar­be­ris (ha scritto «fanno male ai li­bri”), cu­ra­tore dell’edizione Ei­naudi de “Il Bel Paese” — e so­prat­tutto — Pre­si­dente della mag­giore casa edi­trice del bel paese.

Fino a quel mo­mento il Sin­daco di Lecco, Mauro Gat­ti­noni e l’Assessora alla Cul­tura Si­mona Piazza, in­di­ca­vano la pre­sen­ta­zione del 12 aprile in Lecco de ”Il Bel Paese” di Ei­naudi come mo­mento del bi­cen­te­na­rio dell’Abate Stop­pani — cosa sol­tanto ov­via e ob­bli­ga­to­ria per il buon senso e per la sto­ria di noi tutti.

Nel pro­gramma dell’iniziativa “Volti e Sto­rie”, pro­po­sto pub­bli­ca­mente dal Co­mune di Lecco, le di­verse ini­zia­tive sono in­fatti tutte pre­sen­tate come mo­menti di una unica grande ini­zia­tiva in­di­cata come “BICENTENARIO DELLA NASCITA” (la frec­cetta in rosso è no­stra evidenziazione).

Dopo la no­stra “ri­ve­la­zione” (il Prof. Bar­be­ris ha scritto che «le ri­cor­renze fac­ciano male ai li­bri»), il lemma “bi­cen­te­na­rio” è stato can­cel­lato dal vo­ca­bo­la­rio isti­tu­zio­nale di Lecco come si può con­sta­tare leg­gendo i due do­cu­menti del Co­mune: quello a si­ni­stra è del 6 aprile 2024 ed evi­den­zia il bi­cen­te­na­rio; quello di de­stra è del 9 aprile 2024, ed è in­vece in stile “Ei­naudi” — quindi senza al­cun ri­fe­ri­mento al bicentenario.

Pos­siamo solo dire: che ver­go­gna! e …

VIVA IL BICENTENARIO
DELLABATE ANTONIO STOPPANI!
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VIVA IL BICENTENARIO
DI ANTONIO GHISLANZONI

entrambi sempre liberi e mai in ginocchio.

(L’Abate Stop­pani solo da­vanti al suo DIO
Ghi­slan­zoni nep­pure a quello).

Fa­bio Stoppani
Cen­tro Studi Abate Stoppani