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Mercoledì 29 aprile 2015
Lecco, Palazzo delle Paure.
Conferenza pubblica nel quadro dell’iniziativa «Tre incontri sulla vita e sull’opera dell’Abate Stoppani»

Energia per la nuova nazione.
L’Abate Stoppani alla ricerca dei petroli d’Italia.

Relatore: Fabio Stoppani
Centro Studi Abate Stoppani

Per in­for­ma­zioni sull’iniziativa «Tre in­con­tri sulla vita e l’opera dell’Abate Stop­pani», svol­tasi in Lecco il 15, il 22 e il 29 aprile 2015, vedi il no­stro con­tri­buto «Cro­naca di cul­tura cittadina».

Nota della Re­da­zione. Di se­guito pre­sen­tiamo le ta­vole tra­smesse nel corso della con­fe­renza pub­blica (29 aprile 2015, Lecco, Pa­lazzo delle Paure) a sup­porto vi­sivo della re­la­zione. Le ab­biamo ri­pro­po­ste senza mo­di­fi­che, così come erano state pre­di­spo­ste per la pro­ie­zione a sup­porto di un di­scorso pro­nun­ciato a braccio.

Le ta­vole – di per sé quasi tutte ab­ba­stanza auto-espli­ca­tive – iso­la­ta­mente o ac­cor­pate per temi, sono ac­com­pa­gnate da te­sti di ap­pro­fon­di­mento, scritti sin­te­tiz­zando il di­scorso te­nuto dal re­la­tore (che è du­rato circa 45 mi­nuti) di cui si è pre­fe­rito man­te­nere il ta­glio discorsivo.

FIGURA 1

Per vent’anni – dal 1861 al 1881 – l’Abate Stop­pani si de­dicò alla in­di­vi­dua­zione e sfrut­ta­mento delle ri­sorse ener­ge­ti­che re­pe­ri­bili sul ter­ri­to­rio na­zio­nale. La sua at­ti­vità si svi­luppò su tutti i piani: della ri­cerca scien­ti­fica; della or­ga­niz­za­zione ra­zio­nale e de­mo­cra­tica delle ri­sorse sta­tali per opere su larga scala; della di­retta ri­cerca sul campo per in­di­vi­duare le aree più pro­dut­tive e farne og­getto di im­pe­gno imprenditoriale.

È un aspetto della vita di An­to­nio Stop­pani poco co­no­sciuto ma im­por­tante per com­pren­derne me­glio la fi­gura di cit­ta­dino e di scien­ziato. Inol­tre, dato il ruolo che egli giocò nel di­bat­tito po­li­tico-isti­tu­zio­nale sui pro­blemi ener­ge­tici della nuova na­zione, le sue idee ci sono utili per com­pren­dere me­glio an­che al­cune ca­rat­te­ri­sti­che della no­stra vita na­zio­nale e del no­stro svi­luppo economico.

La sua at­ti­vità si con­cen­trò in par­ti­co­lare sul PETROLIO, ap­pena in­di­vi­duato (Stati Uniti, 1859) come ef­fi­ciente ma­te­ria prima per l’illuminazione ci­vile e in­du­striale. In que­sto fu in Ita­lia (ma non solo) un vero pre­cur­sore, an­ti­ci­pa­tore di ta­lento di molte ela­bo­ra­zioni che si af­fer­ma­rono a li­vello ge­ne­rale solo dopo molti de­cenni dalla sua scomparsa.

Per primo Stop­pani vide la con­fi­gu­ra­zione geo­lo­gica dell’Italia come fa­vo­re­vole all’estrazione del petrolio.
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Fu tra i primi a uti­liz­zare mo­derne tec­no­lo­gie (im­por­tate da­gli Stati Uniti) per lo sfrut­ta­mento dei pozzi, in aree che oggi sono al cen­tro di quella ri­le­vante estra­zione pe­tro­li­fera che viene at­tuata sul ter­ri­to­rio na­zio­nale (4% del con­sumo ener­ge­tico complessivo).
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Fu in Ita­lia il più coe­rente so­ste­ni­tore dell’origine inor­ga­nica del pe­tro­lio (teo­ria abio­tica), oggi fatta pro­pria da grandi cen­tri di pro­du­zione mon­diali, come la Russia.

Come con­se­guenza della sua con­ce­zione dell’origine inor­ga­nica dei pe­troli, ne so­stenne la non esau­ri­bi­lità. Ri­tenne in­fatti che il pe­tro­lio fosse un pro­dotto dell’attività tel­lu­rica del globo, eterno quindi, quanto meno quanto la vita della terra.

In ter­mini at­tuali, pos­siamo dire che Stop­pani con­si­derò il pe­tro­lio come una fonte di ener­gia rin­no­va­bile, parte del grande com­plesso dei fluidi che si muo­vono nell’immenso spa­zio sot­ter­ra­neo del no­stro pianeta.

Una ma­te­ria per­fetta per ar­gi­nare lo sfrut­ta­mento in­ten­sivo del pa­tri­mo­nio fo­re­stale (l’Abate par­lava di “scure van­da­lica”) che, pro­prio a par­tire dalla metà dell’Ottocento venne col­pito in modo se­ris­simo nel no­stro paese.

Ov­via­mente Stop­pani ve­deva solo gli aspetti po­si­tivi di que­sta straor­di­na­ria ma­te­ria prima e non po­teva avere nep­pure idea dei pro­blemi che lo sfrut­ta­mento al­tret­tanto van­da­lico del pe­tro­lio avrebbe determinato.

Ma – con­si­de­rando il suo ap­proc­cio a que­sti temi – siamo con­vinti che oggi l’Abate Stop­pani sa­rebbe il capo-fila nella po­li­tica delle ri­sorse ener­ge­ti­che al­ter­na­tive e rinnovabili.

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FIGURA 2 e 3

Per ap­prez­zare il ta­glio del tutto in­no­va­tivo dell’attività dell’Abate Stop­pani nella ri­cerca e nello sfrut­ta­mento del pe­tro­lio in Ita­lia, è op­por­tuno avere un qua­dro dell’attuale si­tua­zione in pro­po­sito e for­nire qual­che dato del con­sumo ener­ge­tico nazionale.

Nel 2005 in Ita­lia si sono con­su­mati 197,59 MTEP (Mi­lioni di Ton­nel­late Equi­va­lenti di Petrolio).
Il 4% di que­sto con­sumo – os­sia 7,96 MTEP – è stato co­perto da idro­car­buri estratti sul ter­ri­to­rio nazionale.

Nel 1860 que­sti 7,96 MTEP avreb­bero co­perto il 70% dell’intero fab­bi­so­gno ener­ge­tico na­zio­nale, che era pari a 11,29 MTEP (il 6% dell’attuale).

Le idee di Stop­pani erano scar­sa­mente con­di­vise a li­vello go­ver­na­tivo, dove l’attenzione era po­sta sul pro­blema della in­di­vi­dua­zione e sfrut­ta­mento del carbone.

Le sue idee e la sua at­ti­vità sul pe­tro­lio ita­liano fu­rono so­ste­nute e svi­lup­pate solo da im­pren­di­tori pri­vati che non riu­sci­vano però a mo­bi­li­tare i ca­pi­tali ne­ces­sari ai grandi la­vori in­fra­strut­tu­rali (strade, fer­ro­vie, de­po­siti) che sa­reb­bero stati ne­ce­sari per uno sfrut­ta­mento su larga scala della nuova ma­te­ria prima.

Ma i fatti hanno di­mo­strato che in Ita­lia il pe­tro­lio c’era – e in grandi quantità.

Pren­dendo le cose con l’opportuno buon senso, pos­siamo dire che se le idee di Stop­pani fos­sero state ap­pog­giate con i do­vuti mezzi, il pe­tro­lio avrebbe po­tuto già al­lora gio­care un ruolo im­por­tante nell’economia na­zio­nale, af­fian­can­dosi al car­bone su cui – in­vece – si con­cen­tra­rono le ri­sorse governative.

Ma così non fu, no­no­stante la si­tua­zione ita­liana im­po­nesse l’adozione di mi­sure ec­ce­zio­nali, per col­mare il di­va­rio tra la realtà ener­ge­tico-pro­dut­tiva del paese e i com­piti as­so­lu­ta­mente ine­diti che l’unificazione dell’Italia im­po­neva nei fatti, al di là di ogni schie­ra­mento politico.

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FIGURA 4

Sul piano pro­dut­tivo, ri­spetto agli al­tri paesi eu­ro­pei il no­stro paese era in enorme de­fi­cit. Nel 1860 la po­tenza svi­lup­pata in ca­valli va­pore dall’Italia era il 2% e il 4,5% di quella ri­spet­ti­va­mente di Gran Bre­ta­gna e Fran­cia (50.000 con­tro 2.450.000 e 1.120.000).

Con l’unificazione del 1861 il nuovo Re­gno d’Italia, data la sua po­si­zione geo-po­li­tica nel Me­di­ter­ra­neo (al­lora lo scac­chiere più im­por­tante nelle re­la­zioni di po­tenza), si tro­vava a gio­care un ruolo ine­dito nella po­li­tica in­ter­na­zio­nale e nella ne­ces­sità di unire il paese sul piano pro­dut­tivo ol­tre che su quello politico-istituzionale.

Era ne­ces­sa­ria una flotta mer­ca­tile e mi­li­tare al­meno da me­dia po­tenza. E poi in­fra­strut­ture por­tuali e can­tieri na­vali. E una rete fer­ro­via­ria per col­le­gare le di­verse com­po­nenti della lunga pe­ni­sola. Ci vo­leva molto ferro e molta ener­gia per lavorarlo.

Era in­di­spen­sa­bile quindi in via pre­li­mi­nare avere un’idea chiara di cosa ci fosse nella nuova Ita­lia in ter­mini di ma­te­rie prime. La que­stione era de­ci­siva per sta­bi­lire se l’Italia po­teva – al­meno in parte – es­sere au­to­noma dalle for­ni­ture estere. C’è ferro in Ita­lia? E quanto ce n’è e dove? Quanto com­bu­sti­bile e dove?

Que­ste do­mande erano ine­lu­di­bili e per darvi una ri­spo­sta venne av­viato – bi­so­gna ri­co­no­scerlo, in modo ra­pido e ope­ra­tivo, al­meno nella fase ini­ziale – il pro­getto per la rea­liz­za­zione della Carta Geo­lo­gica della nuova nazione.

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FIGURA 5, 6 e 7

Nono­stante il se­co­lare ri­tardo (nel 2015, una mo­derna carta geo­lo­gica com­pleta di tutto il ter­ri­to­rio na­zio­nale non è an­cora di­spo­ni­bile) oggi è però pos­si­bile avere un qua­dro della si­tua­zione geo­lo­gica di ogni zona con una rap­pre­sen­ta­zione gra­fica di buon li­vello e – per al­cune aree – an­che di grande dettaglio.

Nella Ta­vola 7 è ri­por­tata la carta geo­lo­gica del ter­ri­to­rio lec­chese e ogni cit­ta­dino del la­riano è po­ten­zial­mente in grado di farsi un’idea ab­ba­stanza pre­cisa del ter­reno che gli sta sotto i piedi e tutto in­torno. Di­ciamo “po­ten­zial­mente” per­ché leg­gere una mappa geo­lo­gica è an­cora un la­voro da “spe­cia­li­sti” e una cul­tura geo­lo­gica ge­ne­ra­liz­zata è an­cora tutta da in­ven­tare. In que­sto la città di Lecco, ispi­ran­dosi pro­prio a Stop­pani, po­trebbe porsi all’avanguardia per­ché si dif­fonda in Ita­lia la ca­pa­cità di “leg­gere” le mappe geo­lo­gi­che, così come qual­siasi al­tro do­cu­mento – nel no­stro paese, al cen­tro di grandi mo­vi­menti tel­lu­rici, ce ne sa­rebbe bisogno.

A parte que­ste con­si­de­ra­zioni, tor­niamo a dire che oggi ab­biamo a di­spo­si­zione un no­te­vole ap­pa­rato co­no­sci­tivo della no­stra strut­tura geo­lo­gica. Ma nel 1861, alla co­sti­tu­zione del Re­gno d’Italia di Vit­to­rio Ema­nuele II, la si­tua­zione era del tutto diversa.

La geo­lo­gia aveva ap­pena co­min­ciato ad af­fer­marsi come scienza au­to­noma (con i primi con­tri­buti an­che di Stop­pani, che ne sarà il grande si­ste­ma­tiz­za­tore ne­gli anni suc­ces­sivi). Si do­ve­vano an­cora com­piere passi im­por­tanti come l’unificazione del lin­guag­gio e della rap­pre­sen­ta­zione gra­fica dei fenomeni.

Erano di­spo­ni­bili ri­cer­che sui di­versi ter­ri­tori ma quasi sem­pre frutto dell’iniziativa in­di­vi­duale de­gli scien­ziati lo­cali. I quali, in man­canza di cri­teri ge­ne­ral­mente ri­co­no­sciuti, usa­vano lin­guaggi e cri­teri differenziati.

L’Abate Stop­pani fin dalla sua prima for­ma­zione di scien­ziato fu un con­vinto as­ser­tore delle carte geo­lo­gi­che e della loro uti­lità come ele­mento pre­li­mi­nare a ogni ini­zia­tiva – co­no­scere per fare.

Ne “Il Bel Paese”, scritto quin­dici anni dopo per ren­dere po­po­lari i temi della ri­cerca scien­ti­fica, scri­veva: «I di­versi co­lori in­di­cano i di­versi ter­reni; i se­gni di con­ven­zione pos­sono in­di­care i rap­porti dei ter­reni fra loro, i loro modi di svi­luppo, i mi­ne­rali che con­ten­gono, ecc. In­fine, per dirla breve, una buona carta geo­lo­gica di un paese vi dice non solo com’è con­fi­gu­rato to­po­gra­fi­ca­mente, cioè alla su­per­fi­cie, ma an­che com’è com­po­sto nell’interno; nè solo come è com­po­sto, ma per quali fasi giunse ad avere l’attuale com­po­si­zione e con­fi­gu­ra­zione, quali siano le sue ric­chezze mi­ne­rali, ecc., ecc. In­somma la carta geo­lo­gica è l’espressione più com­pleta di una re­gione ed è una delle più glo­riose ed utili im­prese che pos­sano es­sere ese­guite da un geo­logo, e ve­nir pro­mosse da una pro­vin­cia o da una na­zione.» (“ll Bel Paese”, Agnelli 1876, Se­rata VI – pag. 98).

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FIGURA 8 e 9

Decreto isti­tu­tivo della Giunta per la Carta Geo­lo­gica – 8 ago­sto 1861.

Con il Go­verno di Bet­tino Ri­ca­soli, Fi­lippo Cor­dova (Mi­ni­stro d’Agricoltura, In­du­stria e Com­mer­cio – MAIC) si ri­volge a Vit­to­rio Ema­nuele II per­ché si operi ra­pi­da­mente sul piano le­gi­sla­tivo per rea­liz­zare la Carta Geo­lo­gica del Regno:

«Sire, Non vi è al­cuna at­ti­vità in cui non sia evi­dente la man­canza di una buona Carta Geo­lo­gica, fatta in pro­por­zioni adatte al ser­vi­zio delle mi­niere, dei bo­schi e delle fo­re­ste, allo stu­dio dei ter­reni da bo­ni­fi­care, delle con­di­zioni dell’agricoltura e di tutte le in­du­strie estrat­tive del Re­gno, dei porti, delle spiagge … Per que­sto chiedo alla M.V. di ema­narne il de­creto isti­tu­tivo …»

Il Re emana im­me­dia­ta­mente il re­la­tivo decreto:

«Vit­to­rio Ema­nuele II / Per gra­zia di Dio e per vo­lontà della Na­zione / Re d’Italia
Sulla pro­po­si­zione del Mi­ni­stro d’agricoltura, in­du­stria e com­mer­cio / Ab­biamo or­di­nato e ordiniamo:
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Art. 1. È con­vo­cata una Giunta con­sul­tiva per di­scu­tere i me­todi e sta­bi­lire le norme per la for­ma­zione della Carta Geo­lo­gica d’Italia.
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Art. 2. La Giunta si riu­nirà in Fi­renze nel giorno dell’apertura dell’Esposizione ita­liana d’Industria e belle arti e pro­dotti agrari, ecc.

A metà Set­tem­bre del 1861, in Fi­renze, nel qua­dro della prima espo­si­zione na­zio­nale del nuovo re­gno, si aprono i la­vori della Giunta per la Carta Geo­lo­gica. È co­sti­tuita da 16 mem­bri e di­spone di venti giorni per de­ci­dere come go­ver­nare il ter­ri­to­rio della nuova nazione.

Pre­si­dente della Giunta è il li­gure Lo­renzo Ni­colò Pa­reto (1800-1865, ap­prez­zato geo­logo, di idee pro­gres­si­ste, con una lunga espe­rienza am­mi­ni­stra­tiva nel re­gno di Sar­de­gna). Vice-Pre­si­dente è il to­scano Paolo Savi (1798-1862, Or­di­na­rio di geo­lo­gia a Pisa).

Due i Segretari:
• Gior­gio Gem­mel­laro (1832-1904, Si­ci­lia, col­la­bo­ra­tore di Char­les Lyell, con Ga­ri­baldi nella spe­di­zione in Si­ci­lia, Or­di­na­rio di geo­lo­gia a Palermo);
• An­to­nio Stop­pani (1824-1891, Lom­bar­dia, sa­cer­dote, già noto nel ’48 per la par­te­ci­pa­zione alle Cin­que Gior­nate di Mi­lano, poi espulso da­gli au­striaci dalle scuole per l’attività pa­triot­tica, im­po­stosi nell’ambiente scien­ti­fico per il suo “Studi geo­lo­gici e pa­leon­to­lo­gici sulla Lom­bar­dia” del 1857, im­pe­gnato nella guerra di In­di­pen­denza del 1859 e molto at­tivo nel gruppo dei sa­cer­doti con­ci­lia­to­ri­sti di Milano).

Que­sti gli al­tri dieci mem­bri della Giunta: Ca­pel­lini, prof. Gio­vanni, Emi­lia, 1833 • Coc­chi, prof. Igino, To­scana, 1827 • Co­sta, prof. O. Ga­briele, Cam­pa­nia, 1789 • Cu­rioni, nob. Giu­lio, Lom­bar­dia, 1796 • Do­der­lein, prof. Pie­tro, Emi­lia, 1810 • Ga­staldi, avv. Bar­to­lo­meo, Pie­monte, 1818 • Om­boni, prof. Gio­vanni, Lom­bar­dia, 1829 • Or­sini, cav. An­to­nio, Mar­che, 1788 • Sca­ra­belli, cav. Giu­seppe, Ro­ma­gna, 1820 • Sella, comm. Quin­tino, Pie­monte, 1827 • Spada, conte Ales­san­dro, Um­bria, 1800; Strozzi, mar­chese Carlo, Pie­monte, 1800.

Come si vede, com­ples­si­va­mente un’età me­dia di 50 anni che (esclusi i 7 mem­bri della ge­ne­ra­zione di fine ’700) è di 36 anni per i nove della nuova (il più gio­vane è Ca­pel­lini, con 28 anni). Quasi tutti si sono im­pe­gnati molto at­ti­va­mente – e an­che in armi – nel pro­cesso ri­sor­gi­men­tale. In mag­gio­ranza sono scien­ziati di me­stiere, im­pe­gnati (ma non tutti) nell’insegnamento uni­ver­si­ta­rio. Po­chi i fun­zio­nari go­ver­na­tivi – ma alla loro te­sta vi è il gio­vane e bril­lante Quin­tino Sella. In grande mag­gio­ranza sono del Centro-Nord.

Quest’ultimo è un dato da te­nere pre­sente per­ché, con l’eccezione di un rap­pre­sen­tante a te­sta di Si­ci­lia e Cam­pa­nia, il qua­dro di­ri­gente scien­ti­fico in­ca­ri­cato della de­fi­ni­zione della Carta Geo­lo­gica escluse in par­tenza una parte co­spi­cua del nuovo paese, quanto meno in ter­mini di ter­ri­to­rio – ciò che in­te­ressa alla geologia.

Chi deve fare la Carta Geologica?

La que­stione venne su­bito po­sta da­gli scien­ziati in modo netto:

la co­mu­nità scien­ti­fica dei di­versi territori
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oppure
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gli in­ge­gneri del Corpo delle Miniere?

A que­sta do­manda venne data una ri­spo­sta ina­de­guata. E ciò de­ter­minò il so­stan­ziale in­sab­bia­mento del pro­getto, da cui pro­gres­si­va­mente si staccò l’Abate Stop­pani per in­tra­pren­dere un so­li­ta­rio per­corso di ri­cerca scien­ti­fica e di at­ti­vità sul campo nella ri­cerca dei pe­troli d’Italia.

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FIGURA 10

Chi deve fare la carta geo­lo­gica: gli scien­ziati dei di­versi ter­ri­tori o il Corpo delle Miniere?

Era que­sta la do­manda con cui si av­viò la di­scus­sione all’interno della Giunta, de­ter­mi­nan­done la spac­ca­tura quasi esat­ta­mente a metà.

Da un lato sta­vano i geo­logi “scien­ziati”, di for­ma­zione na­tu­ra­li­stica, spesso con forti espe­rienze umanistiche.

Se­condo que­sto gruppo (e l’Abate Stop­pani ne era espo­nente tra i più de­cisi) gli scien­ziati “na­tu­ra­li­sti” erano i più adatti per sten­dere la grande nuova carta geo­lo­gica della na­zione. E ciò per due buone ragioni.

1. Co­no­sce­vano bene i pro­pri ter­ri­tori. Li at­tra­ver­sa­vano da tempo in lungo e in largo, spe­ri­men­tando sul campo la va­li­dità delle nuove teo­rie che, pro­prio in que­gli anni, ve­ni­vano a de­ter­mi­nare la strut­tura della geo­lo­gia come scienza. Molti di loro ave­vano già steso delle buone carte locali.

Si trat­tava di uni­fi­care i lin­guaggi, de­fi­nire cri­teri omo­ge­nei di ri­fe­ri­mento, as­si­cu­rare una di­re­zione cen­tra­liz­zata che fa­cesse da mo­tore e da collante.

2. La geo­lo­gia è una scienza gio­vane, in ra­pido e con­ti­nuo di­ve­nire. Si ar­ric­chi­sce con­ti­nua­mente dell‘apporto delle al­tre scienze. Da qui la sua forza e la ca­pa­cità di com­pren­sione dei fe­no­meni, an­che com­plessi, di cui si occupa.

La sua base non è solo tec­nica ma at­tinge alla co­no­scenza della geo­gra­fia e della sto­ria. Si nu­tre delle di­verse in­tui­zioni, an­che di tipo fi­lo­so­fico. Solo così può es­sere nor­ma­tiva e pre­dit­tiva, come si con­viene per la for­ma­zione della carta geo­lo­gica, che deve ri­flet­tere la vita com­ples­siva della nazione.

Dall’altro lato sta­vano i fun­zio­nari dello Stato. Que­sto se­condo gruppo so­ste­neva che l’organismo più adatto non an­dava nep­pure in­ven­tato, per­ché c’era già: era il Corpo delle Miniere.

Que­sta strut­tura era stata co­sti­tuita anni prima (1822: Re­gio Corpo delle Mi­niere Sarde, con com­piti tec­nici e am­mi­ni­stra­tivi, e Con­si­glio Su­pe­riore delle Mi­niere, con com­piti di in­di­rizzo) come brac­cio ope­ra­tivo della mo­nar­chia sa­bauda per la ri­cerca e lo sfrut­ta­mento delle mi­niere, so­prat­tutto – ma non solo – di car­bone e ferro.

Si trat­tava di un corpo mi­li­ta­riz­zato, for­mato da in­ge­gneri con una forte pre­pa­ra­zione tec­nico-ma­te­ma­tica, alle strette di­pen­denze dell’Esecutivo.

Per ren­dere il Corpo ade­guato ai nuovi com­piti, si do­veva im­met­tere nei suoi ruoli un certo nu­mero di scien­ziati e av­viare un pro­gramma di ade­gua­mento e di for­ma­zione “na­tu­ra­li­sta” per il per­so­nale già operativo.

L’esperienza nelle ap­pli­ca­zioni pra­ti­che della ri­cerca e dell’estrazione delle ri­sorse mi­ne­ra­rie, unite alla forza della ge­rar­chia e all’unità di co­mando, ne avreb­bero fatto l’organismo più adatto per la rea­liz­za­zione della carta geologica.

Il vero tema del di­bat­tito. Di tutta evi­denza die­tro que­ste due di­verse vi­sioni (ognuna suf­fra­gata da va­lidi ar­go­menti) c’era un pro­blema non detto aper­ta­mente né al­lora né poi (e nep­pure nella sto­rio­gra­fia sull’argomento) che po­teva così riassumersi:

la ri­cerca geo­lo­gica deve ub­bi­dire alle di­ret­tive (e agli in­te­ressi dell’esecutivo cen­trale go­ver­na­tivo) op­pure deve espri­mere le esi­genze e le pe­cu­lia­rità delle di­verse aree del paese?
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i re­spon­sa­bili della ri­cerca geo­lo­gica de­vono es­sere fun­zio­nari di Stato, le­gati alla ge­rar­chia, op­pure li­beri scien­ziati, espres­sione della li­bera cultura?

Dopo un di­bat­tito molto ac­ceso su que­sto aspetto (de­ci­sivo an­che per la fi­sio­no­mia del nuovo Stato), no­no­stante si fosse ma­ni­fe­stata una pre­va­lenza del “par­tito de­gli scien­ziati”, la punto del pro­getto ese­cu­tivo fu af­fi­data al gio­vane e bril­lante Quin­tino Sella.

Que­sti, ram­pollo di una fa­mi­glia di im­pren­di­tori del tes­sile, in­ge­gnere ar­ruo­lato nel Corpo delle Mi­niere, in­se­gnante uni­ver­si­ta­rio di geo­me­tria e di ma­te­ma­tica, con espe­rienza in­ter­na­zio­nale, era l’espressione evo­luta del ceto di­ri­gente sa­baudo. Di certo un gio­vane at­tivo e di ta­lento, di buona in­dole ca­rat­te­riale e – cosa non da poco – per­so­nal­mente del tutto one­sto e scrupoloso.

Sella, dopo due mesi, e un giro co­no­sci­tivo in Eu­ropa per ana­liz­zare i si­stemi adot­tati nei di­versi paesi, mette a punto il pro­getto ese­cu­tivo per la Carta Geo­lo­gica, che viene approvato.

La sua pro­po­sta af­fi­dava il la­voro della Carta Geo­lo­gica al Corpo delle Mi­niere, con qual­che in­no­va­zione. Si pre­ve­deva in­fatti l’inserimento nella strut­tura del Corpo di un certo nu­mero di scien­ziati na­tu­ra­li­sti, che sa­reb­bero stati ad­de­strati per gli aspetti più tec­nici del la­voro e man­dati in mis­sione all’estero per ap­pren­dere quanto di me­glio ci fosse nel settore.

Venne quindi isti­tuito un “Co­mi­tato per la rea­liz­za­zione della Carta Geo­lo­gica” che in­glo­bava un certo nu­mero di “scien­ziati na­tu­ra­li­sti” (ma tra que­sti non c’era l‘Abate Stoppani).
Venne inol­tre de­ciso un primo stan­zia­mento di fondi ab­ba­stanza ri­le­vante per dare corso al progetto.

Gli scien­ziati “na­tu­ra­li­sti”, in parte ar­ruo­lati, in parte con la con­vin­zione di riu­scire co­mun­que a fare va­lere i pro­pri orien­ta­menti, gra­zie alla su­pe­rio­rità in­tel­let­tuale, pur con mu­gu­gni non sem­pre a mezza bocca, ac­cet­ta­rono la situazione.

Ma dopo po­chi mesi, av­viene un com­pleto capovolgimento.

Lo strappo di Sella. A fronte del gra­vis­simo de­fi­cit fi­nan­zia­rio del nuovo Stato, il 3 marzo 1862 Quin­tino Sella viene no­mi­nato Mi­ni­stro delle Fi­nanze con il com­pito di ar­ri­vare al pa­reg­gio di bilancio.

Da buon bu­ro­crate di ta­lento, Sella si mette al la­voro ta­gliando a de­stra e a manca. E una delle prime voci a ca­dere sotto le sue for­bici è pro­prio il pro­getto “Carta Geo­lo­gica”, cui ven­gono sot­tratti tutti i fondi.

Come scrisse anni dopo l’Abate Stop­pani (che fu co­mun­que sem­pre in ot­timi rap­porti per­so­nali con Sella):

«Quando si dice Mi­ni­stro Sella, si fa un con­nu­bio, oso dire mo­struoso, tra due enti, l’uno an­ti­pa­ti­cis­simo come un cre­di­tore qua­lun­que, l’altro sim­pa­ti­cis­simo.»
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«Dopo po­chi mesi, la Carta geo­lo­gica, pa­tro­ci­nata dallo scien­ziato Sella, viene quindi af­fos­sata da Sella, il Mi­ni­stro delle Fi­nanze.»

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FIGURA 11

Dal 1862 al 1881. La via del pe­tro­lio. Una cam­pa­gna lunga vent’anni per dare ener­gia all’Italia.

Di fronte al “sui­ci­dio / omi­ci­dio” scien­ti­fico per­pe­trato con in­cre­di­bile mio­pia e in­co­scienza da Quin­tino Sella ai danni della co­sti­tuenda Carta Geo­lo­gica (forse con qual­che sot­ta­ciuta non be­ne­vola in­ten­zione nei ri­guardi della in­dub­bia su­pe­rio­rità in­tel­let­tuale dei “na­tu­ra­li­sti”), Stop­pani co­min­ciò a pren­dere le di­stanze dal Co­mi­tato ap­pena isti­tuito e a trac­ciare le li­nee di un per­corso di vita, stu­dio e azione che lo guidò per i suc­ces­sivi venti anni, alla ri­cerca e allo sfrut­ta­mento dei pe­troli d’Italia.

Que­sti i pi­la­stri del suo orientamento:

Rea­gire all’inerzia. Il colpo di mano at­tuato da Sella e dai suoi a fa­vore del “Corpo delle Mi­niere”, aveva pro­vo­cato nel gruppo de­gli “scien­ziati na­tu­ra­li­sti” una rea­zione di ri­fiuto. Stop­pani dava loro ra­gione e scriveva:
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«dàlli, dàlli (lo so ben io che fun­geva le parti di se­gre­ta­rio), a fu­ria di tran­sa­zioni, di con­ces­sioni, di stan­chezza, si riu­scì a for­mu­lare un pro­getto … una cosa da far pietà»
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ma con­clu­deva che
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«Certo il Sella, di­ven­tato di fatto di­ret­tore della Carta Geo­lo­gica, sa­rebbe riu­scito a qual­che cosa. Ve­ra­mente quel pro­gramma pa­tiva, se­condo me, molte ec­ce­zioni. Ma via, qual­che cosa si sa­rebbe fatto.»

L’Abate sa­rebbe stato cioè fa­vo­re­vole a com­pro­messi an­che im­por­tanti, pur­ché si av­viasse il pro­getto. Ciò che Stop­pani te­meva mag­gior­mente era l’inerzia che sem­brava es­sere ca­lata su tutta l’attività go­ver­na­tiva dopo gli sforzi della guerra del ’59 e la co­sti­tu­zione del nuovo Re­gno. Fare. Fare. Fare. Que­sto era lo spi­rito che si sfor­zava in ogni modo di tra­smet­tere ai colleghi.

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Ri­cerca in­di­pen­dente dalla ra­gion di Stato. Lo scia­gu­rato in­ter­vento di Sella im­pron­tato al ta­glio in­di­scri­mi­nato delle voci di spesa, aveva por­tato ine­vi­ta­bil­mente il Co­mi­tato no­mi­nato per la Carta Geo­lo­gica all’immobilismo — niente soldi, niente attività.
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L’Abate con­si­derò que­sto stran­go­la­mento come la peg­gior iat­tura che ci si po­tesse aspet­tare. Da qui la scelta di ren­dere an­cora più ferma la sua op­po­si­zione a che il pro­getto della Carta Geo­lo­gica ve­nisse af­fi­dato a un corpo com­ple­ta­mente alle di­pen­denze dell’Esecutivo.
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Se­condo il suo pa­rere, la via d’uscita era ga­ran­tire i mezzi e il coor­di­na­mento au­to­re­vole agli scien­ziati lo­cali. Una volta tor­nato Quin­tino Sella al ruolo di sem­plice par­la­men­tare, Stop­pani in­dicò nel gio­vane av­ver­sa­rio-amico la fi­gura più adatta a fare da coor­di­na­tore na­zio­nale dei di­versi cen­tri ope­ra­tivi. Pur­ché si te­nesse ben di­stante dalle esi­genze della ra­gion di Stato.
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Pen­siero cri­tico e in­no­va­tivo. Stop­pani ri­te­neva che uno dei più gravi osta­coli per lo svi­luppo di una geo­lo­gia ve­ra­mente al ser­vi­zio della col­let­ti­vità fosse la fis­sità sulle espe­rienze del pas­sato. Bi­so­gna rin­no­varsi con­ti­nua­mente. Non dare nulla per scon­tato. Bat­tere nuove strade. Stu­diare con gli stru­menti della scienza ciò che l’esperienza ci pone di fronte, senza pre­giu­dizi. Com­pul­sare l’esperienza internazionale.
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Si tratta di punti pro­gram­ma­tici chiari, su cui non sono ne­ces­sa­rie molte al­tre pa­role. Re­sta da il­lu­strare a par­tire da quali espe­rienze l’Abate ri­tenne che po­tesse es­sere utile per­cor­rere LA VIA DEL PETROLIO.

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FIGURA 12, 13 e 14

1853-1858. È dai dol­lari e dalla scienza che zam­pilla il petrolio.

A par­tire da os­ser­va­zioni più o meno ca­suali fatte at­torno al 1853 in Pen­syl­va­nia, l’americano George H. Bis­sell in­tui­sce che il pe­tro­lio può es­sere un af­fare, pur senza averne una chiara idea da per­se­guire sul piano operativo.
Fino a quel mo­mento il pe­tro­lio af­fio­rante qua e là, ve­niva usato in vari modi, an­che come me­di­ci­nale. Si­cu­ra­mente Bis­sel lo aveva vi­sto usare, ben­ché con mezzi ele­men­tari, come illuminante.

Si ri­volge quindi alla scienza per avere sul pe­tro­lio un pa­rere di ca­rat­tere ge­ne­rale. Per 1.000 dol­lari (più o meno 20.000 Euro di oggi), Be­n­ja­min Sil­li­man, il mi­gliore chi­mico de­gli Stati Uniti, gli dà una ri­spo­sta pre­cisa: «il pe­tro­lio è un’eccellente ma­te­ria il­lu­mi­nante e può tro­vare molte ap­pli­ca­zioni nell’industria.»

Bis­sell porta il ca­pi­tale della sua so­cietà a 10 mi­lioni di dol­lari (100.000 azioni da $ 100), equi­va­lenti agli at­tuali 200 mi­lioni di Euro e il chi­mico Sil­li­man vi in­ve­ste tutti i suoi risparmi.

Co­min­cia un pe­riodo piut­to­sto agi­tato di esplo­ra­zioni per in­di­vi­duare una fonte di pe­tro­lio in grado di for­nire un buon quan­ti­ta­tivo. I cri­teri di ri­cerca sono in­fatti poco più evo­luti di quelli usati da­gli in­diani na­tivi (usa­vano il pe­tro­lio per la scab­bia dei ca­valli) o de­gli estrat­tori di sale (spesso le due com­po­nenti si tro­va­vano as­so­ciate). I mesi pas­sano senza al­cun ri­sul­tato ap­prez­za­bile e Bis­sel ar­riva a pen­sare di ri­nun­ciare al progetto.


1859.
Lu­nedì 29 ago­sto Pen­syl­va­nia, Ti­tu­sville. Il Co­lon­nello Drake (l’incaricato di Bis­sel) sco­pre una grossa vena di pe­tro­lio, a 60 me­tri di pro­fon­dità. Il pe­tro­lio sgorga in ab­bon­danza e l’operazione parte alla grande.

Stoc­cato e tra­spor­tato con ogni mezzo im­ma­gi­na­bile (qual­cuno ve­ra­mente cu­rioso, l’aneddotica è di­ver­tente) il pe­tro­lio di Bis­sel-Sil­li­man (tra l’altro di ot­tima qua­lità) viene ven­duto con fa­ci­lità in tutta la regione.
Vi­sti i ri­sul­tati, chiun­que ha un pezzo di terra a Ti­tu­sville si mette a sca­vare. Nel giro di cin­que mesi, in un’area ri­stret­tis­sima sor­gono 65 pozzi di estrazione.

È la corsa all’oro nero – il pe­tro­lio si vende a 40 dol­lari al ba­rile (venti volte più di oggi).


1862.
Crollo del prezzo. Nel giro di un anno da 40 dol­lari al ba­rile si passa a 10 cen­te­simi. È un di­sa­stro per chi vi ha in­ve­stito tutto quanto possedeva.

Ol­tre al dis­se­sto pro­vo­cato dalla guerra ci­vile in pieno corso, le cause del crollo sono sem­plici: vi è troppa of­ferta con­cen­trata in un’area troppo ri­stretta. Man­cano com­ple­ta­mente le strut­ture per il tra­sporto e lo stoc­cag­gio nelle al­tre parti del paese.

Si fa strada un raf­fi­na­tore di Cle­ve­land, John D. Rock­fel­ler, il fon­da­tore della di­na­stia, che trova la so­lu­zione. La sua dia­gnosi è pre­cisa: è con l’organizzazione com­mer­ciale che vive il petrolio.

Rock­fel­ler, usando an­che me­todi di­sin­volti, rie­sce ad avere con­di­zioni van­tag­giose per il tra­sporto fer­ro­via­rio e su que­sta base im­pone prezzi di mo­no­po­lio, alla fonte e al mer­cato fi­nale. In poco meno di 24 mesi è a capo di una delle più grandi com­pa­gnie americane.

Nel giro di po­chis­simi anni ne­gli Stati Uniti ma­tu­rano quindi le espe­rienze fon­da­men­tali per fare del pe­tro­lio una in­no­va­tiva ma­te­ria prima for­mi­da­bile per l’utilità pro­dut­tiva e fonte di po­ten­ziali enormi guadagni.

In Ita­lia l’Abate Stop­pani se­gue con at­ten­zione que­ste vi­cende. Il rap­porto Sil­li­man gli apre nuovi oriz­zonti. L’Abate co­no­sce bene le pro­ble­ma­ti­che dell’illuminazione – tra l’altro suo pa­dre si è fatto in Lecco un’ottima po­si­zione pro­du­cendo e com­mer­ciando candele.

At­tra­verso la So­cietà Ita­liana di Scienze Na­tu­rali di cui è uno dei prin­ci­pali espo­nenti, Stop­pani può te­nersi al giorno delle espe­rienze di molti paesi, tra cui la Rus­sia (erano già at­tive da tempo le estra­zioni nell‘area cau­ca­sica e sul Mar Ca­spio), gli Stati Uniti e il Canada.

Per la do­cu­men­ta­zione da que­sto paese gli dà una mano Quin­tino Sella (no­no­stante gli scon­tri an­che aspri per la Carta Geo­lo­gica, sono in ot­timi rap­porti per­so­nali), che ha un ca­nale aperto con la Geo­lo­gi­cal Sur­vey of Canada.

L’Abate – pur con­ti­nuando a oc­cu­parsi della ri­cerca di ma­te­rie prime ener­ge­ti­che ol­tre al car­bone (per esem­pio, la torba), si con­cen­tra sull’argomento pe­tro­lio e ra­pi­da­mente ne di­venta il mag­gior esperto in Italia.

Sulla base delle prime idee che se ne è fatto, è in­fatti con­vinto che la strut­tura geo­lo­gica del no­stro paese sia per­fet­ta­mente coe­rente con una pre­senza – e ab­bon­dante – di petrolio.

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FIGURA 15

1862-1877. Alla ri­cerca dei Pe­troli d’Italia.

Per di­ciotto anni Stop­pani svolge una ser­rata at­ti­vità per de­fi­nire e di­mo­strare una pro­pria au­to­noma e ri­go­rosa teo­ria sull’origine del petrolio.

Im­me­dia­ta­mente, sulla scorta della sua co­no­scenza ap­pro­fon­dita del ter­ri­to­rio na­zio­nale e della ma­ni­fe­sta ca­pa­cità di in­qua­drare i pro­blemi se­condo un ri­go­roso schema scien­ti­fico, viene ri­chie­sto come con­su­lente an­che da in­ve­sti­tori stra­nieri, Ne­gli anni suc­ces­sivi di­venta an­che azio­ni­staPre­si­dente di una so­cietà ita­liana co­sti­tuita per l’estrazione e la ven­dita del pe­tro­lio nel Cen­tro-Sud del paese.

Il no­stro Cen­tro Studi sta la­vo­rando a un li­bro sull’argomento. Ri­man­dan­dovi per una più am­pia trat­ta­zione, ci li­mi­tiamo qui a esporre per capi le tappe del per­corso di co­no­scenza e di di­vul­ga­zione dell’Abate Stop­pani in re­la­zione alla ri­cerca e sfrut­ta­mento del petrolio.

1862. «Far co­no­scere gli sci­sti bi­tu­mi­nosi esi­stenti nell’alta Ita­lia, sotto tutti i loro rap­porti scien­ti­fici ed in­du­striali». (Pre­mio bien­nale per il 1864 – Reale Isti­tuto lom­bardo di scienze, let­tere ed arti).

1864. «Sag­gio di una sto­ria na­tu­rale dei pe­troli» (“Il Po­li­tec­nico”, 1864, novembre).

1864. «Note per un Corso di Geo­lo­gia: I car­boni / Le torbe / I pe­troli.» (fa­sci­coli men­sili, poi rac­colti in tre volumi)

1865. «Re­la­zione di un’esplorazione geo­lo­gica di al­cuni di­stretti pe­tro­li­feri nelle Pro­vin­cie di Parma e di Pia­cenza

1866. «I Pe­troli in Ita­lia». (“Il Po­li­tec­nico“, 1866, gennaio-agosto).

1866. «Dei ter­reni pa­leo­zoici e spe­cial­mente del ter­reno car­bo­ni­fero nelle Alpi e in Ita­lia.»

1871. «Corso di Geo­lo­gia del pro­fes­sore An­to­nio Stop­pani. Vol. I – Di­na­mica Ter­re­stre.»

1876. «Il Bel Paese».

1877. «I Pe­troli in Ita­lia.» (Let­tera 20 giu­gno 1877 a Il Sole).

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FIGURA 16, 17, 18, 19, 20 e 21

1864. L’impianto teo­rico.

Il primo la­voro si­ste­ma­tico di Stop­pani de­di­cato al pe­tro­lio è il «Sag­gio di una sto­ria na­tu­rale dei pe­troli».
L’articolo è una si­ste­ma­tiz­za­zione del di­scorso letto presso il Re­gio Isti­tuto Lom­bardo di Scienze e Let­tere nelle tor­nate del 7 e 21 lu­glio 1864. Con que­sta pub­bli­ca­zione, l’Abate tenne a fis­sare i ter­mini della pro­pria ela­bo­ra­zione, per non farsi sca­val­care (an­che in­vo­lon­ta­ria­mente) da al­tri stu­diosi, sti­mo­lati e in­di­riz­zati dalle sue prime elaborazioni.
Il “sag­gio” esce su “Il Po­li­tec­nico” del no­vem­bre 1864, nel pe­riodo in cui la ri­vi­sta (già di Carlo Cat­ta­neo) è di­retta da Er­nest Stamm (1834-1875), un fran­cese, in­ge­gnere-mec­ca­nico e im­pren­di­tore tes­sile di grande ta­lento, che per un breve pe­riodo sarà alla te­sta della pre­sti­giosa rivista.

Il sag­gio è no­te­vole, per la no­vità del tema trat­tato e per il me­todo. L’Abate in­si­ste sul rap­porto che deve es­sere vi­sto e te­nuto tra nuove ac­qui­si­zioni tec­no­lo­gi­che ed eco­lo­gia. Il lin­guag­gio è mo­der­nis­simo e in sotto trac­cia è per­corso dal con­cetto di so­ste­ni­bi­lità nello svi­luppo (le pa­role sono del no­stro tempo, ma il ta­glio con­cet­tuale di Stop­pani è esat­ta­mente su que­sta linea).

No­te­vole an­che il le­game espli­cito che l’Abate de­fi­ni­sce tra sguardo scien­ti­fico ed espres­sione poe­tica. Il sa­pere dell’uomo è uni­ta­rio: non si può par­lare di tec­no­lo­gia, ma­te­rie prime, pro­du­zione senza avere un qua­dro chiaro dello svi­luppo sto­rico dell’umanità. Il pe­tro­lio può es­sere com­preso fino in fondo solo se sap­piamo ap­prez­zare an­che la poe­sia di Vir­gi­lio (che prima di es­sere poeta fu uno stu­dioso di scienze naturali).

Al cen­tro del sag­gio di Stop­pani è l’indagine sull’origine dei pe­troli. Non ba­sta tro­varlo, non ba­sta sfrut­tarlo. Dob­biamo avere idee chiare sulla sua na­tura e origine.
In op­po­si­zione alla mag­gio­ranza della co­mu­nità scien­ti­fica, Stop­pani so­stiene la dop­pia ori­gine del pe­tro­lio. Di certo molte sor­genti sono il pro­dotto di fe­no­meni or­ga­nici. Que­ste fonti sono a esaurimento.

Ma l’origine della gran parte del pe­tro­lio è abio­tica e le­gata all’attività tel­lu­rica del globo:

«Il no­stro con­cetto è di­verso da tutti gli espo­sti. Io am­metto come in­du­bi­ta­bile che la pro­du­zione de­gli idro­car­buri mi­ne­rali è in rap­porto coll’attività vul­ca­nica e un tale as­serto può stare be­nis­simo coll’ipotesi della di­stil­la­zione, come con quella della fermentazione.
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Vi è però nel mio con­cetto un’asserzione as­sai più avan­zata, ed è che an­che la pro­du­zione dei pe­troli è fe­no­meno vul­ca­nico, e che pro­dotto vul­ca­nico è il pe­tro­lio, come ogni al­tro qua­lun­que dei mi­ne­rali vul­ca­nici, in­di­pen­den­te­mente da qua­lun­que or­ga­nica sostanza.»

Per l’aspetto chi­mico della que­stione, Stop­pani si rifà a Mar­cel­lin Ber­the­lot, in­si­gne chi­mico fran­cese e fu­turo Mi­ni­stro dell’Istruzione pubblica.

«Una cu­riosa espe­rienza di Ber­the­lot de­pone tutto in no­stro fa­vore. Ser­ven­dosi della pila e dell’arco elet­trico che si pro­duce tra due punte di car­bone, in una at­mo­sfera di idro­geno, e a tem­pe­ra­tura ec­ces­si­va­mente ele­vata, con tra­sporto di car­bone da un polo all’altro, ot­tenne, per la di­retta com­bi­na­zione dell’idrogeno col car­bo­nio, l’acetilene [dia­ce­ti­lene], car­buro d’idrogeno la cui for­mula è C4 H2

Con­tat­tato da Stop­pani, Ber­the­lot gli scrive (Pa­rigi, 27 feb­braio 1865).

«Si­gnore, ho letto il vo­stro la­voro con molto in­te­resse. Sull’origine dei Pe­troli i chi­mici in­cli­nano verso la di­stil­la­zione, ma co­no­sco molti geo­logi di va­lore che con­di­vi­dono la vo­stra opinione.
.
Io non oso an­cora pro­nun­ciarmi, mal­grado il so­ste­gno che le vo­stre idee for­ni­scono alle mie tesi sulla for­ma­zione dei car­buri d’idrogeno.
.
Man­cano an­cora al­cuni fatti di ca­rat­tere geo­lo­gico per ri­sol­vere la que­stione. Ma cer­ta­mente è solo po­nendo il pro­blema con quella chia­rezza che ca­rat­te­rizza le vo­stre po­si­zioni che si ar­ri­verà a fare le sco­perte che de­ci­de­ranno la cosa. Di­stin­tis­simi saluti.»

Qual­che anno dopo Ber­the­lot pub­bli­cava un pro­prio la­voro in cui si so­ste­neva esat­ta­mente la po­si­zione di Stop­pani, ma senza farne pub­blica citazione.

L’altro punto di ri­fe­ri­mento di Stop­pani per la teo­ria abio­tica è il russo Men­de­leev. Nei suoi scritti que­sti sostiene:

«Il pe­tro­lio è nato nelle pro­fon­dità della Terra, ed è solo lì che dob­biamo cer­care la sua origine…
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Se que­sti car­buri si for­mano con alta tem­pe­ra­tura e alta pres­sione (con­di­zioni pre­senti all’interno del globo) non man­che­ranno, se­condo Ber­the­lot, di tra­sfor­marsi in car­buri sa­turi, ana­lo­ghi a quelli del pe­tro­lio. Ho con­sta­tato che il pe­tro­lio non può avere ori­gine organica.
.
Ho cer­cato quindi di in­di­vi­duare una so­lu­zione al­ter­na­tiva. Che ho tro­vato con­fer­mata dalla di­spo­si­zione delle sor­genti di pe­tro­lio, dalle pro­por­zioni pro­ba­bili dei me­talli all’interno della terra, dai pas­saggi delle ac­que at­tra­verso le fes­sure e dall’azione dell’acqua sui car­buri metallici.»

An­che a se­guito di que­sti con­fronti (al­cuni di­retti) con fi­gure della co­mu­nità scien­ti­fica in­ter­na­zio­nale, que­ste le con­clu­sioni rias­sun­tive di Stoppani:

Pe­tro­lio e nafta, sono pro­dotti colla com­bi­na­zione di­retta, per ef­fetto dell’attività in­terna del globo, senza con­corso delle so­stanze organiche.
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Gli idro­car­buri mi­ne­rali, li­quidi, vi­schiosi o so­lidi, non sono che mo­da­lità dello stesso pro­dotto d’origine interna.
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La tra­sfor­ma­zione del pe­tro­lio li­quido in bi­tume, asfalto, è un fe­no­meno di ossidazione.
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Il pe­tro­lio, ver­san­dosi all’esterno, ge­ne­ral­mente in cir­co­la­zione colle ac­que, si am­massa in ba­cini e crea, letti o am­massi di bitume.
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Il pe­tro­lio, fil­trando at­tra­verso le rocce se­di­men­tari o erut­tive, si an­nida nella ca­vità, che si con­ver­tono in ta­sche di idro­car­buro liquido.
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I cal­cari e i grès bi­tu­mi­nosi o asfal­tici e i pi­ro­schi­sti, sono rocce im­be­vute di petrolio.
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Le rocce pe­tro­lei­fere o bi­tu­mi­nose, pos­sono in­con­trarsi, a qua­lun­que li­vello nella se­rie stratigrafica.
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Il pre­sen­tarsi delle rocce pe­tro­lei­fere nei ter­reni più an­ti­chi come nei più mo­derni, rende as­sai pro­ba­bile che gli idro­car­buri mi­ne­rali, come gli al­tri pro­dotti dell’attività vul­ca­nica, siano stati ge­ne­rati in tutte le epo­che geologiche.

En­tro il 1866, può dirsi vinta la prima fase della cam­pa­gna dell’Abate, tesa a de­fi­nire una teo­ria so­lida e completa.
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A fronte dei la­vori di pura ri­co­gni­zione di Cap­pel­lini, Ca­ne­strini, Du Jar­din, Mo­lon, e al­tri ita­liani im­pe­gnati nel set­tore, Stop­pani è l’unico in Ita­lia e nel mondo oc­ci­den­tale ad avere for­mu­lato una teo­ria com­pleta e scien­ti­fi­ca­mente so­lida sull’origine dei petroli.

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FIGURA 22

1864. Con­su­lenze sul campo.

Alla fine del 1864 l’Abate Stop­pani si trovò a es­sere in Ita­lia l‘unico scien­ziato ad avere for­mu­lato una teo­ria com­pleta sull’origine del petrolio.
E ciò non solo sulla base di un’ampia e mul­ti­di­sci­pli­nare ri­cerca con­cet­tuale ma an­che in forza di pun­tuali in­da­gini sul campo, estese a tutta Italia.

Il suo “Sag­gio sui pe­troli d’Italia” è una vera e pro­pria in­chie­sta – quasi di ta­glio gior­na­li­stico – tesa a di­mo­strare quanto l’Italia fosse un’area di in­te­resse per l’estrazione petrolifera.

Nella sua con­sa­pe­vo­lezza su que­sto aspetto della realtà ener­ge­tica del no­stro paese, l’Abate go­deva di un van­tag­gio in­com­men­su­ra­bile su­gli al­tri geo­logi del no­stro paese.

A ti­tolo esem­pli­fi­ca­tivo, ba­sti qui ri­cor­dare che Gio­vanni Ca­pel­lini (viene da qual­cuno pre­sen­tato come il primo in Ita­lia a oc­cu­parsi di pe­tro­lio), re­ca­tosi ne­gli Stati Uniti nel 1863, non si ac­corse per nulla di stare at­tra­ver­sando la terra da dove il pe­tro­lio stava en­trando di forza nella no­stra vita quotidiana.
An­cora nel 1867 (no­no­stante nel 1864 avesse fatto da con­su­lente pe­tro­li­fero nell’attuale Ro­ma­nia per conto di una so­cietà in­glese) nel suo li­bro di ri­cordi sul “viag­gio scien­ti­fico” ne­gli Stati Uniti del 1863, an­che solo il sem­plice lemma “pe­tro­lio” non è rin­ve­ni­bile nep­pure una volta, a te­sti­mo­nianza di quanto fosse lon­tano dal tema prima di ri­ce­vere la sve­glia da Stoppani.

Tor­nando all’Abate, è del tutto na­tu­rale che la sua nota at­ten­zione al pro­blemi del pe­tro­lio e la sua co­no­scenza di­retta delle aree più pro­met­tenti per il suo sfrut­ta­mento, gli por­tas­sero ri­chie­ste di col­la­bo­ra­zione da parte di im­pren­di­tori, sti­mo­lati dall’esempio americano.

Nel 1864 gli fu chie­sta as­si­stenza scien­ti­fica da Mau­ri­zio La­schi, un im­pren­di­tore di Vi­cenza, cui Stop­pani era stato rac­co­man­dato dal na­tu­ra­li­sta Fran­ce­sco Se­condo Beg­giato (a lungo Pre­si­dente dell’Accademia Olim­pica di Vi­cenza e da anni im­pe­gnato nelle ri­cer­che col­le­gate alle so­stanze bi­tu­mi­nose) in grado di ap­prez­zare la va­li­dità delle li­nee teo­ri­che trac­ciate da Stop­pani sui petroli.

In al­tra sede (il no­stro li­bro in pre­pa­ra­zione “Ener­gia per l’Italia. L’Abate Stop­pani e la via del pe­tro­lio”) trac­ciamo nei det­ta­gli que­sta prima con­su­lenza per un “pe­tro­liere” da parte di Stop­pani, svol­tasi a Tocco da Ca­sau­ria in pro­vin­cia di Pe­scara. Qui ci ba­sti ri­cor­dare che l’Abate la­sciò trac­cia am­pia di que­sta sua prima espe­rienza sul campo in molte pa­gine de “Il Bel Paese”.

Un’altra con­su­lenza fu a fianco del chi­mico Carlo Cas­sola, anch’egli con­vinto so­ste­ni­tore dell’autonomia ener­ge­tica ita­liana, che gli fece co­no­scere le aree del cen­tro-sud (San Gio­vanni In­ca­rico) dove anni dopo si svi­lup­perà la fase “im­pren­di­to­riale” di Stop­pani (non lon­tano da Tempa Rossa, dove oggi sono at­tivi i pozzi più pro­dut­tivi della Total).

Un’esperienza par­ti­co­lare gli venne dalla con­su­lenza svi­lup­pata per due im­pren­di­tori “pe­tro­lieri” pro­ve­nienti da­gli Stati Uniti, Vin­cenzo Botta e Wil­liam S. Mayo, per i quali svolse un’intensissima cam­pa­gna di ri­cer­che nei di­stretti di Pia­cenza, Parma e Modena.

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FIGURA 22

1864-1866. Ca­pi­tali ame­ri­cani – Vin­cenzo Botta e Wil­liam Mayo

Nell’autunno del 1864, da To­rino, ar­rivò a Stop­pani una breve co­mu­ni­ca­zione di Quin­tino Sella:

«Caro amico, Ti por­terà que­sta mia let­tera il prof. Vin­cenzo Botta, di cui certo co­no­sci il nome, e che il­lu­stra l’Italia agli Stati Uniti.
Egli vor­rebbe oc­cu­parsi di pe­troli. Io non posso quindi ren­der­gli mi­gliore ser­vi­zio che pro­cu­ran­do­gli la tua conoscenza.
Ti sarò quindi grato se vor­rai es­ser­gli cor­tese delle in­di­ca­zioni che i tuoi studi in pro­po­sito ti pon­gono in grado di fornirgli.
Ad­dio, a ri­ve­derci alla Spe­zia. Tuo aff​.mo Q. Sella.»

Que­sta se­gna­la­zione di Sella av­via un’esperienza che sarà molto im­por­tante per Stop­pani. Per la prima volta en­tra in con­tatto con ope­ra­tori per­fet­ta­mente al cor­rente di tutti gli aspetti re­la­tivi al pe­tro­lio. I suoi nuovi clienti hanno le idee chiare e hanno già ma­tu­rato espe­rienze di­rette: a fronte della con­cor­renza sfre­nata in­terna agli Stati Uniti, vo­gliono aprire un fronte d‘affari in Ita­lia, an­cora alla pre­i­sto­ria sulla via del petrolio.

Que­ste ca­rat­te­ri­sti­che dei com­mit­tenti – l’italiano Botta, da anni re­si­dente ne­gli Stati Uniti e so­prat­tutto Wil­liam Mayo, un “pe­tro­liere” yan­kee in piena re­gola – da­ranno modo a Stop­pani di agire in un nor­male con­te­sto im­pren­di­to­riale. Di co­no­scere da vi­cino nuovi me­todi di ri­cerca e fi­gure pro­fes­sio­nali evo­lute, come erano i tec­nici ame­ri­cani in­gag­giati per l‘impresa.

L’operazione, av­viata con le mi­gliori pro­spet­tive, andò in fumo per l’entrata in guerra dell’Italia nel 1866 con­tro l’Austria (III Guerra di Indipendenza).
Da un lato Stop­pani, ag­gre­ga­tosi con la Croce Rossa di Mi­lano al Se­condo Corpo d’Armata di Cial­dini, so­spese quasi dall’oggi al do­mani la sua opera di consulente.
Dall’altro, con lo scon­vol­gi­mento delle pro­ce­dure di con­ces­sione go­ver­na­tiva, venne po­sto un freno im­prov­viso al pro­getto de­gli im­pren­di­tori d’oltre Oceano.

Qual­che pa­rola sui due clienti dell’Abate, che pre­sen­ta­vano ca­rat­te­ri­sti­che particolari.

Il pie­mon­tese Vin­cenzo Botta (1818-1894, nes­sun rap­porto con lo sto­rico Carlo), già se­mi­na­ri­sta di ispi­ra­zione ro­smi­niana, fu pro­fes­sore di fi­lo­so­fia all’università di To­rino, poi nel Par­la­mento sa­baudo, poi re­la­tore con Luigi Pa­rola sul si­stema edu­ca­tivo in Ger­ma­nia. Nel 1853 in­con­trò a To­rino la scrit­trice sta­tu­ni­tense Anne Lynch, molto at­tratta dall’Italia (tenne una cor­ri­spon­denza re­go­lare con la con­tessa Clara Maf­fei, l’ottima amica di Man­zoni). Botta si tra­sferì a New York dove sposò Lync na­tu­ra­liz­zan­dosi ame­ri­cano e av­viando una car­riera di do­cente uni­ver­si­ta­rio come di­ret­tore del di­par­ti­mento di lin­gua e let­te­ra­tura ita­liana, molto le­gato alla mo­glie che ani­mava un sa­lotto let­te­ra­rio di ot­timo li­vello, dove co­nobbe Mayo.

Wil­liam Mayo (1812-1895), me­dico di for­ma­zione, fu ro­man­ziere per pas­sione, go­dendo an­che di una buona no­to­rietà fino a che non fu messo in om­bra da Her­man Mel­ville, che ne imitò il mondo let­te­ra­rio e lo stile, ma con mag­giore abi­lità e suc­cesso di pub­blico. Mayo nel 1851 sposò He­len C. Stuy­ve­sant, ricca ere­di­tiera, e si de­dicò agli af­fari, e quindi, al mo­mento del boom, an­che al pe­tro­lio. Nella sua per­ma­nenza in Ita­lia Mayo, di idee de­mo­cra­ti­che, scrisse cose oggi pa­rec­chio cu­riose (an­che se bene in­ten­zio­nate) nel sug­ge­rire ri­medi al pro­blema della ma­la­ria – ma di que­sto nel no­stro li­bro in preparazione.

Date le ca­rat­te­ri­sti­che dei due ame­ri­cani, l’Abate trovò que­sta con­su­lenza ab­ba­stanza gra­de­vole an­che sul piano per­so­nale — al­meno nella prima fase.

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FIGURA 22

1865, 1 ot­to­bre — Re­la­zione ai Sig. Botta e Mayo.

Come con­su­lente dei due in­ve­sti­tori ame­ri­cani, l’Abate Stop­pani com­pie una ri­cerca molto ap­pro­fon­dita in una delle aree che sem­bra­vano di mag­giore in­te­resse – nelle pro­vin­cie di Mo­dena, Parma e Pia­cenza e ne ri­cava un’ampia relazione.

Dalla re­la­zione di Stop­pani, pre­li­mi­nare all‘avvio del progetto:

«Que­sti i di­stretti da me visitati:
1º Din­torni di Sas­suolo, Mon­te­gib­bio e Ni­rano, co­sti­tuenti un ba­cino pe­tro­lei­fero di­pen­dente dal Sec­chia (Mo­de­nese).
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2º Din­torni di Miano, Sant’Andrea, For­novo, Ne­viano de’ Rossi, Oz­zano e Riccò, co­sti­tuenti un ba­cino pe­tro­lei­fero sulle sponde del Taro (Par­mi­giano).
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3º Di­stretto pe­tro­lei­fero di Mon­tec­chino (Pia­cen­tino).
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Con­di­zioni im­pre­scin­di­bili per il successo.
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1. Me­todi nuovi di scavo, coll’impiego di mac­chine per­fo­ranti, con quella ab­bon­danza di mezzi che esi­gono l’istituzione di una grande so­cietà la quale possa di­sporre di grossi capitali.
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2. Pro­fon­dità molto maggiori.
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3. Que­stioni mo­rali. – Non sono lon­tano dal so­spet­tare che vi si frap­ponga qual­che dif­fi­coltà d’ordine mo­rale … trat­tan­dosi di per­sone in­fluenti in paese, na­sce il so­spetto che le ri­ven­di­ca­zioni di ca­rat­tere le­gale non ab­biano al­tro mo­tivo che cer­care di in­se­rirsi nell’affare.
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4. In­di­spen­sa­bile che le con­ces­sioni go­ver­na­tive pre­ve­dano ter­ri­tori molto estesi.»

Dalla re­la­zione emerge con chia­rezza che il pro­getto aveva buone pro­spet­tive ma era ne­ces­sa­rio im­met­tere più fondi del pre­vi­sto, per­ché “con­di­zioni mo­rali” ina­spet­tate (os­sia con­cor­renti lo­cali) im­po­ne­vano di pre­ve­dere aree di con­ces­sione più am­pie di quanto pro­get­tato. Bi­so­gnava evi­tare che vi­cini in­tra­pren­denti sca­vas­sero pozzi vi­cini e si at­tac­cas­sero alle fonti even­tual­mente in­di­vi­duate, ri­suc­chian­done il pe­tro­lio con pozzi trasversali.

Que­ste “con­di­zioni mo­rali” ri­sul­te­ranno de­ci­sive, an­che per la si­tua­zione che si viene a de­ter­mi­nare nell’estate del 1866.

1866, 20 giu­gno – L’Italia en­tra in guerra con­tro l’Austria a fianco della Prus­sia per com­ple­tare con il Ve­neto l’unificazione italiana.
L’Abate Stop­pani parte con la Croce Rossa, ag­gre­gato al Terzo Corpo d’Armata di Cial­dini. Nella Fi­renze (dal 1864 ca­pi­tale del nuovo Re­gno) e Mi­lano de­serte, Botta e Mayo si tro­vano senza in­ter­lo­cu­tori – il Re è al fronte alla te­sta dell’esercito e la strut­tura go­ver­na­tiva è im­pe­gnata nelle ope­ra­zioni belliche.

Ri­ti­ra­tosi a Pa­rigi, lo scon­so­lato Mayo scrive a Botta:

«Avrei po­tuto im­ma­gi­nare di tutto ma non di ca­pi­tare in mezzo a una guerra.
Mi sono già gio­cato ses­san­ta­mila dol­lari e ne avrò al­tri quin­di­ci­mila di de­bito. E ora ar­riva que­sta maz­zata ita­liana. Mi sento come se do­vessi dis­sol­vermi o im­paz­zire o al­tro. Sono ve­ra­mente di una tri­stezza sconfinata.»

Il 22 ago­sto 1866, die­tro le pres­sioni con­ti­nue dei due im­pren­di­tori (ave­vano già speso l’equivalente di 1.200.000 Euro, solo per le fasi pre­li­mi­nari), il Reg­gente Eu­ge­nio di Sa­voia firma una con­ces­sione, ma ri­dotta quanto a di­men­sioni del ter­ri­to­rio da sfrut­tare. I due im­pren­di­tori ame­ri­cani non de­mor­dono e in­si­stono per avere le aree pre­vi­ste nel pro­getto di Stoppani.

Rien­trato l’Abate nella vita ci­vile po­chi mesi dopo, l’accordo di con­su­lenza ri­mane in so­speso, in at­tesa di ve­ri­fi­care lo svi­luppo delle cose. Che però non è po­si­tivo. Con­tro la loro op­po­si­zione, nel 1868 ven­gono ac­cor­date al­tre con­ces­sioni – ma ai con­cor­renti – in aree li­mi­trofe alle loro. Per i due im­pren­di­tori ame­ri­cani è la fine del progetto.

No­no­stante la cat­tiva riu­scita dell’impresa, gra­zie all’esperienza fatta, Stop­pani ma­tura la con­sa­pe­vo­lezza che in Ita­lia il pro­blema di ca­pi­tali ade­guati si pone in modo an­cora più forte che ne­gli Stati Uniti, dove a volte – com­plice la grande esten­sione e la pre­senza di terre pra­ti­ca­mente “li­bere” (ba­sta igno­rare i di­ritti dei na­tivi, na­tu­ral­mente) – la for­tuna può ar­ri­dere an­che a ri­cer­ca­tori con scarsi mezzi.

Il nome di Stop­pani è or­mai sal­da­mente col­le­gato a quello di qual­siasi ini­zia­tiva col­le­gata al pe­tro­lio che si vo­glia svi­lup­pare in Ita­lia e l’Abate viene spesso con­sul­tato nel corso de­gli anni successivi.

Gra­zie alla mol­te­pli­cità di que­ste espe­rienze, in Stop­pani si raf­forza la con­vin­zione che la ri­cerca delle aree da sfrut­tare e il loro sfrut­ta­mento de­vono ub­bi­dire a cri­teri scien­ti­fici e im­pren­di­to­riali rigorosi.

Sono molti gli im­pren­di­tori che in­ve­stono an­che somme ri­le­vanti ma per la ri­cerca delle fonti di pe­tro­lio si af­fi­dano alla sem­plice os­ser­va­zione su­per­fi­ciale del ter­reno: là dove sgorga qual­che po‘ di pe­tro­lio, si scava, spe­rando di avere fortuna.

Stop­pani so­stiene ov­via­mente che bi­so­gna ab­ban­do­nare que­sti me­todi pri­mi­tivi e in via pre­li­mi­nare ana­liz­zare con cura la strut­tura geo­lo­gica del suolo. Com­piere in­da­gini an­che su larga scala, per po­tere in­di­vi­duare le aree più pro­met­tenti, prima an­cora di met­tere mano agli aspetti operativi.

Il modo mi­gliore per pre­sen­tare quale fosse sul tema la vi­sione di Stop­pani è ri­por­tare le sue stesse pa­role, tratte da un ar­ti­colo pub­bli­cato su “Il Sole – gior­nale com­mer­ciale agri­colo-in­du­striale” il 29 mag­gio 1877, in ri­spo­sta a una let­tera in­via­ta­gli dal rap­pre­sen­tante di una so­cietà in­glese in­ten­zio­nata a ope­rare in Emi­lia per l’estrazione del petrolio:

«[…] Mi af­fretto a ri­spon­dere alle sue do­mande nel modo che mi è sug­ge­rito dallo stu­dio e dall’esperienza di 14 anni, du­rante i quali non ho mai ces­sato di oc­cu­parmi di que­sta in­te­res­san­tis­sima que­stione dei pe­troli italiani.
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1º. L’esistenza di una zona pre­tro­li­fera ita­liana, che si estende a tutta la base de­gli Ap­pen­nini verso l’Adriatico, con più evi­denti ma­ni­fe­sta­zioni nella Valle del Taro, tra Miano e Le­si­gnano, è un fatto no­to­rio da molto tempo, come da molto tempo ha dato luogo ad una in­du­stria eser­ci­tata a pic­cola scala, ma molti anni prima dell’introduzione dei pe­troli esteri. I par­ti­co­lari in pro­po­sito sono già con­se­gnati fin dal 1866 alla mia me­mo­ria “I pe­troli in Ita­lia”, pub­bli­cata nel gior­nale “Il Po­li­tec­nico” dello stesso anno, in se­guito all’altro “Sag­gio di una sto­ria na­tu­rale dei Pe­troli” pub­bli­cata nello stesso gior­nale fino dal 1864.
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2º. Dallo stu­dio di quella zona ri­salta in­du­bi­tata l’esistenza di grandi ma­gaz­zini na­tu­rali del pre­zioso li­quido, ca­paci cer­ta­mente di dare ali­mento ad una in­du­stria eser­ci­tata a scala molto mag­giore, quando i sud­detti ma­gaz­zini fos­sero rag­giunti con mezzi proporzionati.
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3º. Il giu­di­zio espresso da­gli egregi For­bes e Grif­fin sulla qua­lità de­ci­sa­mente su­pe­riore dei pe­troli della Con­ces­sione non è che la ri­pe­ti­zione esatta da quanti fi­nora eb­bero a spe­ri­men­tare gli stessi pe­troli. È un fatto che i pe­troli di Miano e din­torni sono vari e su­pe­riori per bontà ai mi­gliori pe­troli della Pen­sil­va­nia. È pure un fatto che essi ser­vi­rono già, come sono in na­tura, alla pub­blica il­lu­mi­na­zione di Parma e di Borgo San Don­nino, e che ar­dono be­nis­simo nelle così dette lu­cerne a lucilina.
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4º. Quanto ai ten­ta­tivi fi­nora fatti nella zona pe­tro­li­fera dell’Emilia, con esito in­fe­lice per ri­guardo alla spe­cu­la­zione in­du­striale, credo di po­tere af­fer­mare in mas­sima ciò es­sere di­peso dalla poca se­rietà, dalla in­com­pe­tenza delle per­sone e dalla scar­sità dei mezzi in con­fronto alle spe­ciali dif­fi­coltà che si af­fac­ciano all’industria ap­pli­cata a que­sta par­ti­co­lare regione.
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5º. Di­vido del re­sto pie­na­mente l’opinione espressa dal si­gnor Grif­fin, che dalla mi­niera «col­ti­van­dola scien­ti­fi­ca­mente con mezzi ade­guati, si po­trà ri­trarne il pe­tro­lio in gran copia.»
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Que­sto giu­di­zio del si­gnor Grif­fin bi­so­gnerà però pren­derlo in tutta la sua se­rietà, non dis­si­mu­lan­dosi nes­suna delle grandi dif­fi­coltà, per vin­cere le quali im­por­tano prin­ci­pal­mente due cose: 1º Abi­lità e pra­tica af­fatto spe­ciale del per­so­nale tec­nico, che non si la­sci il­lu­dere da ciò che si ot­tenne in Ame­rica, dove son ben al­tre le con­di­zioni dei ter­reni pe­tro­li­feri; 2º l’impiego di ca­pi­tali vistosi.
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Non la­scierò di ri­pe­tere alla S.V. ciò che non ho man­cato d’inculcare ai molti che in que­sti anni mi hanno fatto l’onore di con­sul­tarmi in pro­po­sito. Circa i pe­troli dell’Emilia, la que­stione non ri­guarda più nè la loro esi­stenza, che è un fatto, nè la loro qua­lità, che è ec­cel­lente, nè la loro ab­bon­danza, che si può ri­te­nere di­mo­strata. La mas­sima, anzi l’unica dif­fi­coltà che do­vrà su­pe­rarsi da­gli in­tra­pren­di­tori, è quella gra­vis­sima della na­tura del ter­reno, in cui s’incontrano all’esterno ndizi di pe­troli, e in cui fu­rono pra­ti­cati i pozzi da­gli in­tra­pren­di­tori precedenti.
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Que­sto ter­reno con­stando fino a molta pro­fon­dità prin­ci­pal­mente di sab­bie e di ar­gille, è ol­tre­modo ce­de­vole e scor­re­vole ed ha in­somma tutti i ca­rat­teri più op­po­sti a ciò che ri­chie­de­reb­bero la eco­no­mia e la ra­pi­dità del la­voro, e la pro­ba­bi­lità di ot­te­nere dei flussi suf­fi­cien­te­mente ab­bon­danti per ren­derlo proficuo.
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La mia ferma con­vin­zione, che ebbi oc­ca­sione già di espri­mere più volte an­che a per­sone di greado molto ele­vato, e che godo di ve­dere con­formi a quella ester­nata dal si­gnor Grif­fin, è que­sta: che per ot­te­nere sgor­ghi po­tenti ed un flusso re­go­lare, è ne­ces­sa­rio as­so­lu­ta­mente di ol­tre­pas­sare collo spro­fon­da­mento dei pozzi tutta la zona dei ter­reni mo­bili su­pe­riori, per rag­giun­gere le roc­cie più salde, per esem­pio i cal­cari, che stanno cer­ta­mente al di­sotto delle ar­gille; il che non si po­trà ot­te­nere in mas­sima che me­diante pozzi, i quali ol­tre­pas­sino i 200 me­tri e siano di­spo­sti a di­scen­dere a pro­fon­dità an­che mag­giori. A que­sta con­di­zione sol­tanto po­trà dirsi se­ria la nuova im­presa e si po­trà as­se­rire ciò che dice il sig. Grif­fin che la “mi­niera è col­ti­vata scien­ti­fi­ca­mente e con mezzi adeguati”.»

Forte di que­ste con­vin­zioni, dopo al­cuni anni di con­su­lenze, l’Abate de­cide di gio­care la carta della ri­cerca, dell’estrazione e della la­vo­ra­zione del pe­tro­lio con una pro­pria strut­tura imprenditoriale.

Ac­qui­sta un pac­chetto di azioni e di­venta Pre­si­dente di una so­cietà spe­cia­liz­zata nella ri­cerca pe­tro­li­fera nel Cen­tro-Sud Italia.

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FIGURA 22

1877 — Azio­ni­sta e Pre­si­dente della «So­cietà Ita­liana delle mi­niere pe­tro­lei­fere in Terra di Lavoro».

«La So­cietà Ita­liana delle mi­niere pe­tro­lei­fere in Terra di La­voro, ap­pro­vata con Reale de­creto il 1 ago­sto 1876 … si pre­senta con fatti da mo­strare e con pro­messe che è si­cura di man­te­nere … Que­sta nuova So­cietà per azioni, si ri­pro­mette di sod­di­sfare già fin da quest’ora ad una parte al­meno dei più ur­genti bi­so­gni dell’industria nazionale.»

In una lunga “Let­tera al Di­ret­tore” de “Il Sole” del 20 giu­gno 1877, con que­ste pa­role l’Abate Stop­pani lan­cia un pro­mo­zio­nale a fa­vore della neo-co­sti­tuita “So­cietà Ita­liana delle mi­niere pe­tro­lei­fere in Terra di Lavoro”.
Que­sta volta, nell’illustrare i van­taggi di uno sfrut­ta­mento scien­ti­fico del pe­tro­lio, spende il suo nome non in ve­ste di con­su­lente ma come azio­ni­sta e Pre­si­dente di una so­cietà di capitali.

A quell’impresa (al­lora de­no­mi­nata “So­cietà Sacchetti&C.“), Stop­pani aveva co­min­ciato a pre­stare i pro­pri ta­lenti come con­su­lente fin dal 1872.

Sotto suo im­pulso la so­cietà, at­trez­za­tasi con i mac­chi­nari ac­qui­stati dai due pe­tro­lieri ame­ri­cani che già ab­biamo in­con­trato – i poco for­tu­nati Botta e Mayo – si era im­pe­gnata in ri­cer­che e per­fo­ra­zioni a San Gio­vanni In­ca­rico (pro­vin­cia di Fro­si­none), nel cen­tro di quella che era la re­gione di Terra di La­voro (l’antica “Cam­pa­nia fe­lix”), oggi di­visa tra Cam­pa­nia, La­zio e Molise.

Gra­zie alla con­su­lenza di Stop­pani, la Sacchetti&C. aveva tro­vato zone fa­vo­re­voli all’estrazione. Tanto che, quando il 5 lu­glio del 1872, a 34 me­tri, si era tro­vata un’ottima vena, il pozzo venne de­no­mi­nato “Pozzo Stop­pani”, in omag­gio al geo­logo che, dopo at­tenti ri­lievi, aveva in­di­cato con pre­ci­sione il punto in cui scavare.
E lo stesso Sac­chetti, di­ret­tore tec­nico dei la­vori, si era la­sciato an­dare con un te­le­gramma en­tu­sia­sta alla sede di Mi­lano: «In Ita­lia, dopo il Papa, c’è un al­tro uomo in­fal­li­bile: è il Prof. Stoppani».

La so­cietà aveva poi al­lar­gato il campo d’attività creando una di­stil­le­ria, per fa­ci­li­tare l’immissione sul mer­cato del pro­prio pro­dotto. Nel 1872 il Go­verno aveva in­fatti ab­bat­tuto i dazi per le im­por­ta­zioni di idro­car­buri dall’estero e mol­tis­sime im­prese per la di­stil­la­zione del pe­tro­lio ave­vano chiuso l’attività, la­sciando sco­perta la Sacchetti&C. nella fi­liera pro­dut­tiva a valle.

Nel 1876 i pro­prie­tari dell’impresa ave­vano de­ciso di fare un in­ve­sti­mento se­rio e ave­vano por­tato il ca­pi­tale so­ciale a 350.000 Lire (più o meno 6 mi­lioni di Euro di oggi). L’Abate si era la­sciato con­vin­cere ad as­su­merne la ca­rica di Pre­si­dente (ol­tre che di di­ret­tore scien­ti­fico) e ad ac­qui­stare 10 azioni (l’1,5%) per 5.000 lire (circa 100.000 Euro attuali).
Tra l’insegnamento e le con­su­lenze l’Abate gua­da­gnava ab­ba­stanza bene. Ma spen­deva an­che molto per le sue ri­cer­che geo­lo­gi­che, re­ga­lan­done spesso e vo­len­tieri i ri­sul­tati (per esem­pio al Mu­seo di Scienze na­tu­rali di Milano).

Le 5.000 Lire non erano quindi po­che ma evi­den­te­mente Stop­pani si fi­dava della pro­pria ca­pa­cità nell’analisi e della forza pro­dut­tiva della società.

Le cose an­da­rono ab­ba­stanza bene fino a che non si pre­sentò una si­tua­zione ti­pica: la So­cietà pro­du­ceva bene e molto ma aveva un por­ta­fo­glio clienti non ade­guato alla sue ca­pa­cità produttive.

L’Abate si lan­ciò quindi an­che in una cam­pa­gna di pro­mo­zione, con tanto di vo­lan­tini, lo­can­dine, pro­spetti, espo­si­zioni e di­mo­stra­zioni pub­bli­che del pro­dotto, ela­bo­rando e pro­po­nendo nuovi pos­si­bili im­pie­ghi del pe­tro­lio, so­prat­tutto per la sua ca­pa­cità illuminante.

I po­ten­ziali clienti erano gli sta­bi­li­menti nei quali il pro­blema di una buona il­lu­mi­na­zione si­cura e sa­lu­bre si po­neva con par­ti­co­lare forza: in­du­stria tes­sile e car­ta­ria. E poi i nu­me­rosi ga­so­me­tri che dal pe­tro­lio ri­ca­va­vano il gas il­lu­mi­nante, net­ta­mente su­pe­riore e di mag­gior si­cu­rezza ri­spetto a quello ri­ca­vato dal carbone.
Una par­ti­co­lare at­ten­zione venne data an­che ai si­ste­ma­tici uti­liz­za­tori di grassi e oli mi­ne­rali: le fer­ro­vie in primo luogo ma an­che i tra­sporti cittadini.

La cam­pa­gna pro­mo­zio­nale pro­dusse buoni ri­sul­tati con au­mento del monte or­dini e – quindi – con l’obbligo di ga­ran­tire una for­ni­tura co­stante in ter­mini quan­ti­ta­tivi e qualitativi.

Fu quest’ultimo aspetto che de­ter­minò la svolta di Stop­pani nei con­fronti della So­cietà Italiana.

Nel feb­braio del 1880 Stop­pani legge la sua ul­tima re­la­zione come Pre­si­dente. Preso atto del buon an­da­mento della so­cietà, Stop­pani ri­leva es­sere in­di­spen­sa­bile al­lar­gare il campo d’azione:

Ac­qui­sire nuove con­ces­sioni per lo sfrut­ta­mento nelle aree del me­de­simo di­stretto petrolifero.
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Al­lar­gare il parco mac­chine con nuovi e più po­tenti at­trez­za­ture per po­tere spin­gere gli scavi a mag­giori pro­fon­dità di quelle con­sen­tite dai mac­chi­nari ame­ri­cani, utili solo en­tro i 150 metri.
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Sono in­di­spen­sa­bili nuovi fondi at­tra­verso una ro­bu­sta ricapitalizzazione.

I soci, però, non sono di­spo­ni­bili a nuovi in­ve­sti­menti e ri­ten­gono op­por­tuno im­pie­gare in modo di­verso i loro capitali.

Dalle ri­cer­che che stiamo con­du­cendo ap­pare ab­ba­stanza chiaro che la mag­gio­ranza de­gli in­ve­sti­tori (un gruppo molto ri­stretto di soci, do­mi­nato da Com­pa­gnoni, un uomo d’affari mi­la­nese, abi­tuato a giri piut­to­sto ampi di de­naro – ma di ra­pido ri­torno) è orien­tata a im­pie­gare i ca­pi­tali in at­ti­vità fi­nan­zia­rie, ri­te­nute più remunerative.

Per Stop­pani, que­sto dato di fatto, da egli stesso non con­trol­la­bile data l’estrema esi­guità della sua quota so­ciale (1,5%), de­ter­mina il di­stacco dall’impresa.

Con il 1881 l’Abate, pro­ba­bil­mente an­che de­luso dal com­por­ta­mento dei soci, at­tenti esclu­si­va­mente al ren­di­mento ra­pido e poco ai con­te­nuti scien­ti­fici, tec­no­lo­gici e di uti­lità so­ciale dell’impresa (che pos­sono ri­chie­dere tempi più lun­ghi), si ri­tira da ogni im­pe­gno sul fronte del petrolio.

Del re­sto, in quel breve torno di anni, si ve­ri­fi­cano al­cune svolte tec­no­lo­gi­che di­ret­ta­mente in­ci­denti sul set­tore energetico.

Nel 1879 Edi­son aveva messo a punto il suo si­stema di il­lu­mi­na­zione ba­sato sull’elettricità. Giu­seppe Co­lombo, ret­tore del Po­li­tec­nico, grande amico di Stop­pani e fino ad al­lora suo at­ti­vis­simo spon­sor per la dif­fu­sione dell’illuminazione a pe­tro­lio, com­prese che una nuova epoca era alle porte e di­venne rap­pre­sen­tante in Ita­lia dello stesso Edison.
Un chiaro se­gnale che l’epoca dell’illuminazione a pe­tro­lio an­dava verso il tramonto.

Si sa­rebbe po­tuto cam­biare rotta e, nel tempo ne­ces­sa­rio al cam­bia­mento ge­ne­ra­liz­zato dei si­stemi di il­lu­mi­na­zione, pun­tare sull’altro uso del pe­tro­lio che avrebbe se­gnato ne­gli anni suc­ces­sivi la sua de­fi­ni­tiva af­fer­ma­zione: quello di forza motrice.
Ma l’Abate non aveva le com­pe­tenze ne­ces­sa­rie ad af­fron­tare que­sta svolta e – preso atto delle dif­fi­coltà in­terne alla So­cietà Ita­liana – uscì dal mondo de­gli af­fari per mai più tornarvi.

Al­tri com­piti – di na­tura com­ple­ta­mente di­versa – si pre­sen­ta­vano. Pro­prio in quel pe­riodo ini­zia per Stop­pani un de­cen­nio di lotte ideo­lo­gi­che che lo ve­dono op­porsi all’intransigentismo del Va­ti­cano, alla te­sta della com­bat­tiva ma mi­no­ri­ta­ria ten­denza con­ci­lia­to­ri­sta di for­ma­zione ro­smi­niana che in que­gli anni cerca di su­sci­tare la cri­stal­liz­za­zione in forme or­ga­niz­zate della ten­denza cattolico-liberale.

Trac­ciando un bi­lan­cio dei venti anni de­di­cati dall’Abate ai pro­blemi dell’energia in Ita­lia, pos­siamo dire che, al di là delle spe­ci­fi­che vi­cende con­su­len­ziali o im­pren­di­to­riali, Stop­pani po­teva in com­plesso ri­te­nersi sod­di­sfatto, per una se­rie di motivi.

1º. Aveva de­fi­nito una teo­ria so­lida, con­di­visa dai mi­gliori scien­ziati eu­ro­pei del tempo (mai con­tro­bat­tuta in modo si­ste­ma­tico e con­vin­cente da­gli av­ver­sari) che oggi ha so­ste­ni­tori di grande peso. La teo­ria abio­tica, avan­zata in forme scien­ti­fi­ca­mente de­fi­nite da Stop­pani, ha co­no­sciuto una cla­mo­rosa af­fer­ma­zione alla metà del se­colo passato.
Ne­gli anni ’50 il re­gime sta­li­niano dell’Unione So­vie­tica, pres­sato dalla ne­ces­sità di in­nal­zare il li­vello della grande in­du­stria, e alla ri­cerca quindi di una so­lu­zione di lungo pe­riodo del pro­blema ener­ge­tico, in­dice una con­fe­renza per­ma­nente di al­cune cen­ti­naia di scien­ziati per trac­ciare le li­nee dell’estrazione su larga scala del pe­tro­lio. Gli scien­ziati giun­gono alla con­clu­sione che il pe­tro­lio ha ori­gini sin­te­ti­che e che è stret­ta­mente col­le­gato alle at­ti­vità plu­to­ni­che del globo (esat­ta­mente le idee messe a punto da Stop­pani). Su que­sta base ven­gono av­viate ri­cer­che mi­rate a estrarre il pe­tro­lio da grandi pro­fon­dità – an­che ol­tre gli 8 chi­lo­me­tri. Le ipo­tesi si di­mo­strano cor­rette e – molto ra­pi­da­mente – la Rus­sia di­venta una grande pro­dut­trice ed espor­ta­trice di idrocarburi.
Oggi que­sta teo­ria è ac­colta da molti scien­ziati an­che del mondo “oc­ci­den­tale“.
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2º. Aveva man­te­nuto con coe­renza un at­teg­gia­mento nei con­fronti dell’indagine sulla na­tura che lo col­loca an­cora oggi nel solco della più alta tra­di­zione scien­ti­fico-uma­ni­stica: li­bera e di prospettiva.
La sua op­po­si­zione all’accentramento della ri­cerca scien­ti­fica nelle mani dell’Esecutivo, lo aveva spinto a per­cor­rere strade ine­dite, pun­tando sulla crea­ti­vità scien­ti­fica e sulla li­bertà di pensiero.
La sua con­ce­zione del pe­tro­lio come sot­to­pro­dotto co­stante e inin­ter­rotto dell’attività del globo, ri­co­no­sce nella Terra non una massa inerte ma un or­ga­ni­smo pul­sante, “vivo“, com­ple­ta­mente in­ter­re­lato. È una vi­sione per i suoi tempi del tutto inu­suale che oggi ha però con­qui­stato la mag­gio­ranza de­gli scienziati.
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3º. Aveva in­di­cato che qua­lun­que ri­spo­sta ai pro­blemi ener­ge­tici na­zio­nali do­veva as­so­lu­ta­mente es­sere com­pa­ti­bile con il ri­spetto della na­tura, in par­ti­co­lare del pa­tri­mo­nio fo­re­stale. L’Abate si av­vi­cinò con grande in­te­resse al pe­tro­lio per­ché vide in esso una al­ter­na­tiva all’uso in­di­scri­mi­nato della le­gname come com­bu­sti­bile di fa­cile ap­prov­vi­gio­na­mento. Nella sua epoca l’abbattimento for­sen­nato dei bo­schi si po­neva come causa dei fe­no­meni di ero­sione e smot­ta­mento che co­sti­tui­scono uno dei pro­blemi prin­ci­pali della geo­lo­gia del no­stro paese.
Il pe­tro­lio avrebbe po­tuto es­sere estratto senza ap­por­tare al­cun danno all’ambiente e ir­re­gi­men­tato come qua­lun­que al­tro li­quido. L’uomo con i mezzi tec­no­lo­gici a di­spo­si­zione avrebbe po­tuto fa­cil­mente stoc­carlo e di­ri­gerlo nel mi­gliore dei modi e con grande fa­ci­lità, uti­liz­zando le leggi dell’idraulica.

L’Abate Stop­pani oggi – a di­stanza di 150 anni dalla sua prima in­tui­zione sulla na­tura ec­ce­zio­nale del pe­tro­lio e avendo con­sta­tato i pro­blemi por­tati da un suo uso dis­sen­nato – sa­rebbe alla te­sta della ri­cerca ener­ge­tica eco-com­pa­ti­bile e rinnovabile.

Di que­sto suo fi­glio e della sua at­ti­vità scien­ti­fica e ci­vile Lecco può es­sere orgogliosa.
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Può farne uno dei sim­boli della sua at­tuale fi­sio­no­mia di città in­sieme in­du­striosa e fe­dele cu­stode della natura.

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