Osservazioni critiche sulla adeguatezza didattica del docu-film «Alessandro Manzoni, milanese d’Europa – L’immagine della parola». Un film di Pino Farinotti. Regia di Andrea Bellati. Scritto da Angelo Stella e Pino Farinotti. Prodotto dal Centro Nazionale Studi Manzoniani, con il contributo di Fondazione Cariplo.
Parlato del docu-film – I numeri tra [parentesi] si riferiscono ai fotogrammi sopra riportati.
Voce narrante: da [1] a [4] «Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo. Cime ineguali, note a chi è cresciuto tra voi e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto dei suoi più famigliari […] dei quali distingue lo scroscio come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, come branchi di pecore pascenti. Addio, quanto è triste il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana.».
Nostre osservazioni – In questo episodio rileviamo alcuni errori in cui incappa il docu-film del Centro Nazionale Studi Manzoniani (d’ora in poi CNSM) nel proporci il famoso brano “Addio, monti sorgenti dall’acque”.
Più sopra abbiamo riportato esattamente ciò che la voce recitante ci propone. Di seguito, perché il lettore possa con agio seguirci nelle nostre osservazioni, riportiamo il testo scritto da Manzoni nella edizione “princeps” del romanzo (“I Promessi Sposi – Storia della Colonna Infame” – Redaelli 1840), evidenziando i tre punti nei quali la voce recitante si discosta dal Manzoni:
«Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo. Cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto dei suoi più famigliari; torrenti dei quali distingue lo scroscio come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, come branchi di pecore pascenti. Addio, quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana.»
Riteniamo di non esagerare nel ritenere questo brano tra i più citati in assoluto di tutta la letteratura italiana. È quindi abbastanza conturbante constatare come il CNSM, custode in Italia della memoria di Manzoni, sia potuto inciampare così rovinosamente negli errori che di seguito evidenziamo.
Primo – Ascoltando il brano recitato o leggendone la nostra trascrizione fedele, il lettore si sarà accorto che la voce narrante del docu-film ha saltato la parola “torrenti” e dice “famigliari dei quali distingue lo scroscio”.
Ma il testo di Manzoni recita: «l’aspetto dei suoi più famigliari; torrenti dei quali distingue lo scroscio».
Il brano propostoci dal CNSM, da nostalgico, è così divenuto inevitabilmente goliardico.
Secondo – L’attore narrante si è preso anche un paio di licenze linguistiche.
Infatti dice: “Cime ineguali” anziché “Cime inuguali”;
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così come dice “triste il passo” anziché “tristo il passo”.
È evidente per chiunque la differenza tra “triste” e “tristo”.
È bene invece dire qualche cosa sull’altro errore di recitazione – “ineguali” al posto di “inuguali”. È più di un errore: è un vero e proprio dispetto a Manzoni.
Vediamo perché, anticipando che le cifre che riporteremo sulle occorrenze potrebbero non essere esattissime, non essendo l’analisi linguistica il nostro mestiere (a differenza del professor Stella, che ha scritto il testo del docu-film del CNSM*).
Nella “Ventisettana” Manzoni usa in assoluta prevalenza l’etimologico “egual” e derivati, rispetto al labiale “ugual” (32 occorrenze del primo, contro le 4 del secondo).
Nella lunga rielaborazione che porterà alla “Quarantana”, Manzoni decise invece di passare al labiale “ugual”, e derivati (41 occorrenze contro 1 sola per “egual” – Cap. XVII, quello del passaggio dell’Adda da parte di Renzo – una evidente distrazione redazionale).
Il recitatore del brano “Addio, monti” ha quindi ricorretto Manzoni, ricondotto suo malgrado all’etimologia.
Ma forse il CNSM ha voluto seguire la lezione del suo primo Presidente. Incredibilmente, nel presentare il primo volume degli Annali Manzoniani, 1939, Giovanni Gentile (non certo sotto questi profili uno sprovveduto) incespicò infatti nella medesima distrazione (p. 15).
Qual è il monte veramente “sorgente dall’acque”?
Ricondotto il recitato del CNSM al testo scritto da Manzoni, vorremmo proporre al lettore un’altra osservazione.
Forse per rinforzare il concetto di “monti sorgenti dall”acque”, come prima immagine della scena [1] il docu-film del CNSM* pone al centro ottico dello spettatore il Monte Barro, posto sulla sponda destra dell’Adda che in quel punto, dopo la stretta di fronte a Pescarenico ridiventa Lago (di Garlate). Dobbiamo rilevare che di tutta quell’area il Barro è quello meno ”sorgente dall’acque” in assoluto.
E in effetti il monte del lecchese “sorgente dall’acque” per eccellenza è il San Martino, la cui parete occidentale forma una squilibrante muraglia quasi a piombo sul lago.
Quella muraglia, effettivamente elevata al cielo (e da cui il poeta avrà visto non infrequentemente precipitare quel masso che «Batte sul fondo e sta»), ogni mattina è specchio luminoso di sole nascente per chi la guarda dalla villa di Alessandro al Caleotto, e ogni sera trasfigura in sfondo purpureo degli spettacolari tramonti lariani.
Non a caso la rappresentazione del San Martino come immenso macigno dominante compare nell’edizione illustrata del romanzo, per mano di Gonin, alla sua terza pagina (I Promessi Sposi – Storia della colonna infame – Redaelli 1840, frontespizio cap. 1, pag. 11).
È quello il “monte sorgente dall’acque” (fisso nell’immaginario di chiunque sia lecchese d’origine o d’adozione) che si presenta alla mente di Lucia nel suo discorso interiore mentre fugge dalle proprie radici.
E sono sempre monti veramente “sorgenti dall’acque” quelli che Manzoni rappresenta graficamente nella prima parte dell’edizione illustata del 1840 (Cap. VI, pag. 108, Cap. VIII, pag. 164).
In quest’ultimo caso, per ragioni di coerenza “cartografica” (i promessi sposi fuggono solcando il lago da Pescarenico), il monte che egli pone a sfondo nell’incisione è il Resegone, che non è proprio “sorgente dall’acque” ma è raffigurato, come nella realtà non è, incombente sul mondo degli uomini.
Come vedremo più avanti – però – da parte dei produttori del docu-film il mostrare il San Martino o il Resegone avrebbe di necessità imposto di fare vedere Lecco come fuoco di uno scenario naturale particolarissimo e unico. Cosa che – per ragioni che vedremo più avanti – il docu-film preferisce non fare.
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