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A proposito della nuova configurazione del Museo Manzoniano in Lecco. 

«Ex visu cognoscitur vir, et ab occursu faciei cognoscitur sensatus.»

(Ecclesiasticus 19/26)

NOTA

1

«Il nuovo marchio di
Villa Manzoni / Museo Manzoniano
che di Manzoni cancella la faccia»

Giovedì, 30 luglio 2020

Al Museo Manzoniano di Lecco, talebana “damnatio memoriæ” per Alessandro Manzoni.

Nella Lecco che anche per lui divenne città, nel nome di Manzoni è stato recentemente inaugurato il rinnovato museo che dell’artista, dell’uomo, del religioso e del politico democratico ha scelto di cancellare le parti fondamentali.

A cominciare dalla faccia.

Perché anche in questa fase critica si mantenga integra la capacità e la voglia di comprendere, sul nuovo Museo svolgeremo alcune considerazioni.
A partire dal marchio presentato il 26 ottobre 2019 alla sua inaugurazione.
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Un marchio di cui non è chiaro il riferimento: è il marchio del Museo Manzoniano? di Villa Manzoni? del Sistema Museale della città?

Un marchio che si ispira a un dipinto mai stato simbolo del Museo; di un autore ignoto, ancorché sfacciatamente spacciato come Molteni.
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Ma soprattutto un marchio talebano che cancella la faccia di Manzoni, negandone così la riflessione sull’essere l’uomo (fatto a immagine di Dio) pienamente consapevole e responsabile in ogni sua azione, cosa assolutamente condivisibile anche da altre prospettive. 

Da parte nostra abbiamo solidi elementi per sostenere che il Ritratto in questione “NON È” di Giuseppe Molteni.
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È infatti ben constatabile
che il dipinto è stato esemplato da un fotoritratto di Manzoni, proposto in un album edito nell’autunno 1869.
Ma Molteni era morto l’11 gennaio 1867…

A margine, non possiamo non evidenziare un incredibile filotto di castronate, degne di “Scherzi a parte”, offerte ai visitatori del Museo Manzoniano dal suo Direttore scientifico Mauro Rossetto, dall’Assessore alla Cultura Simona Piazza, dal Signor Sindaco Virginio Brivio.

Intervenga qualcuno, per favore!

Premessa

Il 26 ot­to­bre 2019 è stato inau­gu­rato il Mu­seo Man­zo­niano di Lecco in una nuova con­fi­gu­ra­zione dopo quasi quarant’anni dalla sua fon­da­zione (1983, Di­ret­tore Gian Luigi Daccò).

La nuova so­lu­zione mu­seale si col­loca all’interno del pro­gramma di ri­strut­tu­ra­zione di Villa Man­zoni, ge­stito dal “Mi­ni­stero dei beni e delle at­ti­vità cul­tu­rali e del tu­ri­smo” (d’ora in avanti Mi­BACT).
Il ri­sul­tato della ri­strut­tu­ra­zione ar­chi­tet­to­nica è senz’altro po­si­tivo: sono state uni­for­mate le quote dei pa­vi­menti e messo a norma l’impianto elet­trico; le Sale di cui si com­pone il mu­seo sono state este­ti­ca­mente mi­glio­rate, si­cu­ra­mente più in­vi­tanti nei con­fronti del visitatore.

Di­versa la si­tua­zione sul piano dei con­te­nuti cul­tu­rali e della co­mu­ni­ca­zione al pub­blico.
Sotto que­sto pro­filo la nuova so­lu­zione non pre­senta grandi no­vità ri­spetto alla pre­ce­dente. Anzi, sotto certi aspetti ne è un peggioramento.

Nella nuova con­fi­gu­ra­zione del mu­seo in­fatti sono state con­fer­mate le vec­chie cri­ti­cità:

• l’impegno po­li­tico di Man­zoni è pre­sen­tato in modo ve­ra­mente ina­de­guato e an­che of­fen­sivo sia per l’intestatario del Mu­seo sia per il vi­si­ta­tore;
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• è man­te­nuto il si­len­zio nei con­fronti della sua espe­rienza re­li­giosa — e quindi del rap­porto con Ro­smini, fon­da­men­tale per com­pren­dere aspetti dell’intera sua opera;
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• fin osten­tato l’ostra­ci­smo verso l’Abate Stop­pani, che dalla morte di Man­zoni e per vent’anni svolse un ruolo de­ci­sivo per af­fer­marne a li­vello na­zio­nale il le­game or­ga­nico con la città di Lecco (per es. at­tra­verso il mo­nu­mento del 1891).
In com­penso esal­tata una tar­tu­fe­sca frode ideo­lo­gica di Gio­suè Car­ducci;
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• sono igno­rati i mol­te­plici rap­porti eco­no­mici e so­ciali in­tes­suti da Man­zoni a Lecco, in par­ti­co­lare tra il 1807 (quando ere­ditò il pa­tri­mo­nio fa­mi­gliare dal pa­dre Pie­tro) e il 1818 quando, ai suoi tren­ta­tré anni, la ab­ban­donò per sem­pre;
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Man­zoni è pre­sen­tato uni­ca­mente in fun­zione del suo ro­manzo, igno­ran­done il ri­le­vante con­tri­buto alla poe­sia, alla lin­gua, alla sto­ria, alla po­li­tica, al di­ritto.

Sono state in com­penso ap­por­tate ine­dite no­vità negative:

• è stato can­cel­lato ogni ri­fe­ri­mento alla fa­mi­glia creata da Man­zoni con En­ri­chetta Blon­del, anch’essa per anni vis­suta a Villa Man­zoni — a ciò nella pre­ce­dente con­fi­gu­ra­zione si fa­ceva al­meno un qual­che ri­chiamo;
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• pres­so­ché eli­mi­nato ogni ri­fe­ri­mento geo-to­po­gra­fico al rap­porto tra Villa Man­zoni e il ter­ri­to­rio lec­chese — nella pre­ce­dente ver­sione quan­to­meno ri­chia­mato con un pla­stico di non igno­bile fat­tura;
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• nel per­corso mu­seale è stata — tra l’altro con gros­so­lani er­rori di fatto — de­di­cata una in­tera Sala alla fa­mi­glia Scola, senza ra­gione po­sta sullo stesso piano della fa­mi­glia Man­zoni;
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• un’altra in­tera Sala del mu­seo — la prima — è inu­til­mente im­pe­gnata nella pro­ie­zione in con­ti­nuo di un fil­mato di me­dio­cris­sima qua­lità; per nulla si­ner­gico con il con­te­sto mu­seale; di nes­sun va­lore per la cul­tura man­zo­niana; per di più am­bi­guo su aspetti della pro­du­zione ar­ti­stica in ge­ne­rale;
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• è stato per l’occasione creato un nuovo mar­chio che can­cella la fi­sio­no­mia di Ales­san­dro Man­zoni. Una so­lu­zione non solo ina­de­guata alla fun­zione cui è chia­mato un sim­bolo gra­fico ma an­che con­cet­tual­mente ne­ga­tiva se non ostile verso la fi­gura che vor­rebbe rap­pre­sen­tare;
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la se­gna­le­tica esterna e in­terna al mu­seo è ina­de­guata; ine­si­stente l’informazione mo­bile e di me­mo­ria; quella fissa, af­fi­data a pan­nelli te­stuali pes­si­ma­mente con­ce­piti, pra­ti­ca­mente inu­ti­liz­za­bili per la iden­ti­fi­ca­zione e la frui­zione con­sa­pe­vole di quanto esposto.

Quindi, da parte no­stra una va­lu­ta­zione de­ci­sa­mente non po­si­tiva e in­sieme di rammarico.

Con il rin­novo ar­chi­tet­to­nico della strut­tura vi era in­fatti la pos­si­bi­lità di un cam­bio di passo nella co­sti­tu­zione di un vero Mu­seo man­zo­niano: non si è fatto nulla in quella di­re­zione e — anzi — si è per­sino peg­gio­rata la pre­ce­dente si­tua­zione di mediocrità.

Di fronte a que­sto dato de­pri­mente ri­te­niamo do­ve­roso dare il no­stro con­tri­buto per evi­den­ziare — su basi do­cu­men­tali — le mol­te­plici cri­ti­cità della nuova con­fi­gu­ra­zione mu­seale. Ciò nella spe­ranza che prima o poi qual­cuno in Lecco (tra l’altro siamo in cam­pa­gna elet­to­rale per le am­mi­ni­stra­tive della città) si de­cida a ope­rare se­ria­mente per un vero Mu­seo Man­zo­niano, uscendo dal pan­tano della me­dio­crità quando non del tra­di­mento si­ste­ma­tico del pen­siero del suo cit­ta­dino più illustre.

Come an­ti­ci­pato, qui sotto pro­po­niamo le no­stre ri­fles­sioni sul nuovo mar­chio ela­bo­rato dallo Stu­dio dien­ne­pierre dell’architetto Mas­simo Ne­gri di Lecco, a par­tire dal “Ri­tratto di A. Man­zoni” cu­sto­dito presso il Mu­seo Man­zo­niano e or­mai in­di­cato senza ri­serve come di G. Molteni.

In que­sta prima nota ri­spon­de­remo a quat­tro domande:

A. Il nuovo mar­chio ri­sponde alle re­gole della co­mu­ni­ca­zione ico­nica?
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B. Il “Ri­tratto di Man­zoni” da cui è stato tratto è rap­pre­sen­ta­tivo del Mu­seo Man­zo­niano e di Lecco?
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C. L’attribuzione del “Ri­tratto di Man­zoni” a G. Mol­teni ha un qual­che fon­da­mento?
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D. In­di­pen­den­te­mente dall’autore del di­pinto, il nuovo mar­chio ri­flette l’importanza at­tri­buita da Man­zoni alla fi­sio­no­mia umana?

A que­ste quat­tro do­mande la no­stra ri­spo­sta è un NO! senza ri­serve che mo­ti­viamo con la Nota che segue.

Es­sendo la Nota non sem­pli­ce­mente cro­na­chi­stica ma de­di­cata a un ele­mento strut­tu­rale della cul­tura man­zo­niana, i quat­tro temi in­di­cati ver­ranno trat­tati sotto di­versi punti di vi­sta e con ar­go­men­ta­zioni a volte an­che piut­to­sto articolate.

Il te­sto si com­pone di 25.000 pa­role (163.000 bat­tute); è cor­re­dato da 140 di­verse il­lu­stra­zioni; è leg­gi­bile in circa 90 minuti.

Come il let­tore po­trà fin da su­bito con­sta­tare, le no­stre os­ser­va­zioni sono de­ci­sa­mente cri­ti­che.
Ov­via­mente nes­suna pre­giu­di­ziale nei con­fronti dell’architetto Ne­gri e del suo Stu­dio ma solo il de­si­de­rio di in­di­care al­cuni punti fermi per una cor­retta co­mu­ni­ca­zione man­zo­niana da parte di Lecco e del suo Museo.

Siamo na­tu­ral­mente a di­spo­si­zione dell’architetto Ne­gri per dar­gli su que­sto no­stro sito tutto lo spa­zio utile a esporre — se lo ri­terrà — le sue con­tro os­ser­va­zioni alla no­stra analisi.

La me­de­sima di­spo­ni­bi­lità of­friamo ai re­spon­sa­bili isti­tu­zio­nali della cul­tura di Lecco — Sin­daco Vir­gi­nio Bri­vio, As­ses­sore alla Cul­tura Si­mona Piazza, Di­ret­tore scien­ti­fico del Mu­seo Man­zo­niano Mauro Ros­setto — che hanno fatto pro­prie le ela­bo­ra­zioni dell’architetto Negri.

Buona let­tura.

Come co­rol­la­rio alle con­si­de­ra­zioni sul mar­chio ta­le­bano e sul fa­sullo Mol­teni, in ap­pen­dice alla Nota il let­tore tro­verà no­stre os­ser­va­zioni piut­to­sto pun­tuali su al­cune in­cre­di­bili ca­stro­nate (of­ferte al vi­si­ta­tore del Mu­seo Man­zo­niano dal suo Di­ret­tore scien­ti­fico, dall’Assessore alla Cul­tura, dal Si­gnor Sin­daco della città) a pro­po­sito di un “Sa­luto al Re” che Man­zoni mai pro­nun­ciò non­ché di un De­creto “per l’assegnazione di una pen­sione a Man­zoni”, pre­sen­tato come la “no­mina a Se­na­tore” dello stesso.

Il let­tore tro­verà an­che il no­stro ri­sta­bi­li­mento della realtà sto­rica in re­la­zione a uno “smo­king” che, se­condo Ros­setto, Piazza, Bri­vio, Man­zoni avrebbe in­dos­sato in oc­ca­sione di quel me­de­simo di­scorso che mai pro­nun­ciò e che il pit­tore Giu­seppe Mol­teni, dif­fi­dato da Man­zoni nel 1835 dall’occuparsi ol­tre della sua fi­gura, avrebbe im­mor­ta­lato nel 1860 nel “Ri­tratto di Man­zoni”, vi­sio­na­bile nella Sala 3 del Museo.

Quest’ultima è una tro­vata ve­ra­mente de­gna di “Scherzi a parte”: leg­gere per credere.

Ne ten­gano conto i can­di­dati alle pros­sime co­mu­nali di Lecco per com­pren­dere — chiun­que vinca — in quale di­re­zione muo­versi per porre ri­me­dio al ma­ra­sma cul­tu­rale e or­ga­niz­za­tivo da cui è umi­liato il pa­tri­mo­nio man­zo­niano della città.

1. Il nuovo marchio ispirato a Manzoni, cancella Manzoni e insieme ignora l’abc della comunicazione iconica.

Il primo ele­mento che viene colto dal vi­si­ta­tore en­trando nel Mu­seo Man­zo­niano di Lecco è il mar­chio che qui mo­striamo, pre­sente su tutti i pan­nelli di pre­sen­ta­zione, esterni e in­terni al Mu­seo stesso.

Di se­guito ana­liz­ziamo il pro­cesso at­tra­verso cui i cu­ra­tori mu­seo­lo­gici Mauro Ros­setto e Bar­bara Cat­ta­neo (Di­ret­tori Scien­ti­fici ri­spet­ti­va­mente del Mu­seo Man­zo­niano e della Gal­le­ria Co­mu­nale d’Arte di Villa Man­zoni) e il loro con­su­lente mu­seo­gra­fico ar­chi­tetto Ne­gri sono ar­ri­vati a rea­liz­zare que­sto mar­chio — a no­stro av­viso un di­sa­stro sul piano con­cet­tuale e grafico.

Ne mo­stre­remo non solo in­con­gruenze e de­bo­lezze in ter­mini di tec­nica della co­mu­ni­ca­zione ma an­che la sua ra­di­cale con­trap­po­si­zione al va­lore della “fi­sio­no­mia” umana come con­ce­pito e come pro­po­sto dif­fu­sa­mente da Man­zoni nel suo ro­manzo, in par­ti­co­lare nella “Qua­ran­tana”, dove è sup­por­tato da nu­me­rose espres­sioni grafiche.

1.1 / La documentazione di riferimento ottenuta solo con un “Accesso Civico Generalizzato”.

Per lo svi­luppo di que­sta nota (come per le al­tre cin­que che se­gui­ranno) ci siamo in primo luogo ba­sati sulla let­tura de­gli uf­fi­ciali “Pro­getti” pre­di­spo­sti per la ri­strut­tu­ra­zione del Museo.

È utile ri­cor­dare che tali “Pro­getti” sono stati pre­sen­tati con una re­la­zione in­tro­dut­tiva il 4 aprile 2019 dall’Assessore alla Cul­tura Si­mona Piazza alla Giunta Co­mu­nale di Lecco e da que­sta con­te­stual­mente approvati.

La do­cu­men­ta­zione da noi con­sul­tata com­prende quindi:

a. Re­la­zione in­tro­dut­tiva dell’Assessore Piazza (700 pa­role, 2 pa­gine — VEDI QUI);

b. “Pro­getto mu­seo­lo­gico” dei Di­ret­tori Si­MUL Mauro Ros­setto e Bar­bara Cat­ta­neo (1.454 pa­role, 6 pa­gine — VEDI QUI);

c. “Pro­getto mu­seo­gra­fico” dell’architetto Mas­simo Ne­gri, Stu­dio di Ar­chi­tet­tura dien­ne­pierre di Lecco (9.908 pa­role, 81 pa­gine, ov­via­mente con molte rap­pre­sen­ta­zioni tec­ni­che — ne mo­stre­remo di volta in volta solo le parti di in­te­resse per la no­stra analisi.

I “Pro­getti” in que­stione sono pub­blici ma per averne co­pia ab­biamo do­vuto su­pe­rare qual­che ostacolo.

Il 28-11-19 ave­vamo in­fatti chie­sto a Mas­simo Gatti (Di­ri­gente Area 4 del Co­mune di Lecco — cul­tura, tu­ri­smo, sport), ai Di­ret­tori Si­MUL Ros­setto e Cat­ta­neo, non­ché all’architetto Ne­gri di avere co­pia dei ri­spet­tivi pro­getti ap­pron­tati per il Mu­seo Manzoniano.

Molto gen­til­mente Di­ri­gente e Di­ret­tori non ci ave­vano ri­spo­sto; Mas­simo Ne­gri sì, ma di­spo­ni­bile a in­viare solo uno stral­cio della sua re­la­zione; in se­conda bat­tuta, si è anch’egli iscritto al par­tito del si­len­zio e non ci ha in­viato nulla.

Il 6 di­cem­bre 2019 ab­biamo quindi at­ti­vato un “Ac­cesso Ci­vico Ge­ne­ra­liz­zato” (santa isti­tu­zione!) per avere i do­cu­menti di in­te­resse; in ri­spo­sta, il 19-12 ne ab­biamo ri­ce­vuto solo una strin­ga­tis­sima sin­tesi.
Dopo un po’ di tira e molla solo il 27-12 ab­biamo po­tuto avere la do­cu­men­ta­zione com­pleta (gra­zie co­mun­que ai Di­ret­tori Ros­setto e Cat­ta­neo per la cor­diale ac­co­glienza a Villa Manzoni).

Di se­guito quindi svol­giamo le no­stre os­ser­va­zioni sulla base di do­cu­menti uf­fi­ciali.
Fa­remo ri­fe­ri­mento in par­ti­co­lare al “Pro­getto mu­seo­gra­fico” re­datto dall’architetto Ne­gri per­ché in­glo­bante alla let­tera molti ele­menti chiave del “Pro­getto mu­seo­lo­gico” di Rossetto/Cattaneo.

Il “Pro­getto Ne­gri” ha inol­tre il van­tag­gio di es­sere strut­tu­rato an­che ti­po­gra­fi­ca­mente in modo “nor­male” (non raf­faz­zo­nato come il “Pro­getto” Rossetto/Cattaneo); è di agile con­sul­ta­zione; non è avaro di pro­prie os­ser­va­zioni ge­ne­rali sulle te­ma­ti­che man­zo­niane; è l’unica fonte in re­la­zione al nuovo mar­chio di Villa Man­zoni non­ché alla se­gna­le­tica in­terna al Mu­seo; è re­la­ti­va­mente com­pleto e pre­ciso nella de­scri­zione del per­corso mu­seale (utili le ta­vole strutturali).

D’altro lato, quanto for­ma­liz­zato nel “Pro­getto Ne­gri” è per de­fi­ni­zione con­di­viso in so­lido sotto ogni pro­filo dall’Assessore alla Cul­tura Piazza; dal Di­ri­gente Gatti; dai Di­ret­tori Ros­setto e Cat­ta­neo; dalla Giunta e na­tu­ral­mente dal Sin­daco Brivio.

Chia­me­remo quindi “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano” que­sto do­cu­mento Ne­gri, con­di­viso e ap­pro­vato da tutti gli interessati.

Ciò chia­rito a pro­po­sito delle fonti, ve­niamo al dunque.

1.2 / Utilizzati come sinonimi “logo”, “icona”, “scritta”, “marchio” — nel linguaggio iconico termini perfettamente distinti.

Non ab­biamo do­cu­menti che pos­sano dirci se all’architetto Ne­gri la Di­re­zione di Si­MUL o l’Assessore alla cul­tura hanno dato una qual­che in­di­ca­zione su que­sto nuovo mar­chio op­pure se si sono li­mi­tati a dire: caro ar­chi­tetto, pensi un po’ lei an­che a que­sto aspetto.

Ab­biamo però sul nuovo mar­chio un do­cu­mento re­datto dall’architetto Ne­gri, della cui ca­pa­cità di sin­tesi siamo ri­ma­sti fran­ca­mente am­mi­rati.
Ne­gri ha in­fatti im­po­stato con­cet­tual­mente il nuovo mar­chio in sole 270 pa­role che ri­por­tiamo in­te­gral­mente (“Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano”, p. 41, a lato le di­verse so­lu­zioni gra­fi­che pre­vi­ste dall’architetto — sot­to­li­nea­ture no­stre):

«Cenni sul Logo / Il logo rap­pre­senta uno dei più im­por­tanti ele­menti della co­mu­ni­ca­zione vi­siva e deve evo­care ef­fi­ca­ce­mente l’identità dell’istituzione che rap­pre­senta e nella sua im­po­sta­zione si usa di nuovo il bi­no­mio tra at­tua­liz­za­zione e tracce con­so­li­date del pas­sato.
Ab­biamo quindi de­ciso di pro­ce­dere at­tra­verso la sti­liz­za­zione dell’icona per ec­cel­lenza del Mu­seo, ov­vero il ri­tratto di Man­zoni ad opera del Mol­teni che ri­sulta fa­mi­liare sia sul ter­ri­to­rio che ol­tre; le ca­rat­te­ri­sti­che pe­cu­liari del Man­zoni ma­turo e an­ziano — la ca­pi­glia­tura, le ba­sette, il pa­pil­lon, l’ottocentesca ie­ra­ti­cità — sono im­me­dia­ta­mente ri­co­no­sci­bili a li­vello na­zio­nale e pro­ba­bil­mente an­che in­ter­na­zio­nale. La sa­goma del logo mette in evi­denza le sud­dette ca­rat­te­ri­sti­che ri­du­cendo il ri­tratto ai mi­nimi ter­mini di una im­ma­gine positivo/negativo, senza i tratti del volto. Nes­sun al­tro ele­mento o co­lore in­ter­ven­gono nella sa­goma per non per­dere im­me­dia­tezza co­mu­ni­ca­tiva e ri­pro­du­ci­bi­lità a qual­siasi scala di rap­pre­sen­ta­zione. La sa­goma del ri­tratto si in­ne­sta, sfrut­tando la forma dello scollo di giacca, sulla M che iden­ti­fica il ce­le­bre co­gnome. Sulla de­stra del “mar­chio”, a ban­diera ri­spetto una li­nea ver­ti­cale, si in­ne­sta la scritta Villa Man­zoni di­spo­sta su due ri­ghe. Il font della scritta Villa è più esile (fu­tura Bk) men­tre quello di Man­zoni è più mar­cato (fu­tura Hv). Il co­lore pre­scelto è il nero, con pos­si­bi­lità di in­ver­tirlo col bianco per l’uso sui fondi scuri.»

«Cenni sul Logo / Il logo rap­pre­senta uno dei più im­por­tanti ele­menti della co­mu­ni­ca­zione vi­siva e deve evo­care ef­fi­ca­ce­mente l’identità dell’istituzione che rap­pre­senta e nella sua im­po­sta­zione si usa di nuovo il bi­no­mio tra at­tua­liz­za­zione e tracce con­so­li­date del pas­sato.
Ab­biamo quindi de­ciso di pro­ce­dere at­tra­verso la sti­liz­za­zione dell’icona per ec­cel­lenza del Mu­seo, ov­vero il ri­tratto di Man­zoni ad opera del Mol­teni che ri­sulta fa­mi­liare sia sul ter­ri­to­rio che ol­tre; le ca­rat­te­ri­sti­che pe­cu­liari del Man­zoni ma­turo e an­ziano — la ca­pi­glia­tura, le ba­sette, il pa­pil­lon, l’ottocentesca ie­ra­ti­cità — sono im­me­dia­ta­mente ri­co­no­sci­bili a li­vello na­zio­nale e pro­ba­bil­mente an­che in­ter­na­zio­nale. La sa­goma del logo mette in evi­denza le sud­dette ca­rat­te­ri­sti­che ri­du­cendo il ri­tratto ai mi­nimi ter­mini di una im­ma­gine positivo/negativo, senza i tratti del volto. Nes­sun al­tro ele­mento o co­lore in­ter­ven­gono nella sa­goma per non per­dere im­me­dia­tezza co­mu­ni­ca­tiva e ri­pro­du­ci­bi­lità a qual­siasi scala di rap­pre­sen­ta­zione. La sa­goma del ri­tratto si in­ne­sta, sfrut­tando la forma dello scollo di giacca, sulla M che iden­ti­fica il ce­le­bre co­gnome. Sulla de­stra del “mar­chio”, a ban­diera ri­spetto una li­nea ver­ti­cale, si in­ne­sta la scritta Villa Man­zoni di­spo­sta su due ri­ghe. Il font della scritta Villa è più esile (fu­tura Bk) men­tre quello di Man­zoni è più mar­cato (fu­tura Hv). Il co­lore pre­scelto è il nero, con pos­si­bi­lità di in­ver­tirlo col bianco per l’uso sui fondi scuri.»

Non è chiaro per quale mo­tivo, nel “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano” non viene mo­strata quella che Ne­gri de­fi­ni­sce la «icona per ec­cel­lenza del Mu­seo, ov­vero il ri­tratto di Man­zoni ad opera del Mol­teni» po­sta come punto di ri­fe­ri­mento del nuovo marchio.

Per­ché il let­tore possa se­guirci, ci pen­siamo noi mo­strando qui a lato il file: è or­rendo sul piano fo­to­gra­fico ma è ciò che passa Si­MUL sul suo sito Web [vedi qui].

Tor­niamo co­mun­que a noi.

Ri­leg­gete le 270 pa­role di Ne­gri: in prima istanza l’architetto pre­senta come “logo” il nuovo sim­bolo gra­fico che noi ve­diamo co­sti­tuito da due parti ben di­stinte:

1. un se­gno pro­pria­mente gra­fico (che nelle in­ten­zioni do­vrebbe ri­cor­dare il volto di Ales­san­dro Man­zoni);
.
2. una espres­sione let­te­rale for­mata dalle pa­role “Villa Man­zoni”.

Tor­niamo co­mun­que a noi.

Ri­leg­gete le 270 pa­role di Ne­gri: in prima istanza l’architetto pre­senta come “logo” il nuovo sim­bolo gra­fico che noi ve­diamo co­sti­tuito da due parti ben di­stinte:

1. un se­gno pro­pria­mente gra­fico (che nelle in­ten­zioni do­vrebbe ri­cor­dare il volto di Ales­san­dro Man­zoni);
.
2. una espres­sione let­te­rale for­mata dalle pa­role “Villa Man­zoni”.

Nel “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano” que­sto nuovo sim­bolo è in­di­cato do­vere «evo­care ef­fi­ca­ce­mente l’identità dell’istituzione che rap­pre­senta».
Que­sta però non viene in­di­cata la­sciando di­so­rien­tato il let­tore: il nuovo sim­bolo è di Villa Man­zoni? del Mu­seo Man­zo­niano? di entrambi?

Dopo po­che ri­ghe nel “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano” si de­fi­ni­sce “logo” solo il se­gno pro­pria­mente gra­fico del nuovo sim­bolo, os­sia la “fac­cia di Man­zoni”.
Im­me­dia­ta­mente dopo, que­sto simbolo/faccia di Man­zoni è in­di­cato come “mar­chio”; le due pa­role “Villa Man­zoni” sono in­vece in­di­cate come “scritta”.

Di evi­denza l’estensore del “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano” ha uti­liz­zato un di­zio­na­rio suo per­so­nale, ine­vi­ta­bile fonte di in­cer­tezze nella co­mu­ni­ca­zione e cri­tico sotto il pro­filo formale.

Non bi­so­gna di­men­ti­care che nel rea­liz­zare un mar­chio è in­fatti op­por­tuno con­fron­tarsi an­che con le leggi per la tu­tela dei di­ritti sulla pro­prietà in­tel­let­tuale: per que­ste è cru­ciale de­fi­nire con pre­ci­sione la na­tura delle di­verse com­po­nenti di un mar­chio, ognuna delle quali ha uno sta­tuto tec­nico-le­gale dif­fe­rente (vedi, per esem­pio, le 13 ti­po­lo­gie di “mar­chio” de­fi­nite da EUIPO – Eu­ro­pean Union In­tel­lec­tual Pro­perty Of­fice / Uf­fi­cio dell’Unione Eu­ro­pea per la pro­prietà intellettuale).

Per con­sen­tire al let­tore di se­guirci in modo con­sa­pe­vole nella no­stra ana­lisi, è quindi op­por­tuno de­fi­nire in via pre­li­mi­nare ciò che si in­tende con que­sto o quel ter­mine (la cul­tura non na­sce da coa­cervi di pa­role messe a caso).

Da parte no­stra ne uti­liz­ze­remo esclu­si­va­mente due, ri­fa­cen­doci alla loro etimologia:

pit­to­gramma: dal la­tino “pic­tus” (da pingere/dipingere) e dal greco “gramma” che in­dica “espres­sione”.
.Con “pit­to­gramma” ci ri­fe­ri­remo quindi a un se­gno, sim­bolo fi­gu­ra­tivo o astratto di una en­tità che posso ve­dere e di cui per­ce­pi­sco e posso tra­sfe­rire ad al­tri il si­gni­fi­cato an­che senza pronunciarlo.

lo­go­tipo: dal greco “lo­gos” che si­gni­fica “pa­rola” e “ty­pos” che si­gni­fica “let­tera”.

Con “lo­go­tipo” in­di­che­remo quindi un se­gno for­mato da let­tere dell’alfabeto, ci­fre e al­tri ca­rat­teri in qua­lun­que modo rea­liz­zati; un se­gno che posso pro­nun­ciare — nel no­stro caso: «Villa Man­zoni»;

Uti­liz­zando que­sti due ter­mini, la parte del mar­chio che nelle in­ten­zioni vor­rebbe rap­pre­sen­tare pro­prio la fi­si­cità di Man­zoni è il “pit­to­gramma” del mar­chio stesso; la parte del mar­chio co­sti­tuita da te­sto è in­vece il suo “lo­go­tipo”.

Per bre­vità espres­siva, di se­guito chia­me­remo “Mar­chio MM” la nuova crea­zione gra­fica di cui però (re­pe­tita iu­vant) non sap­piamo se è ri­fe­rita a Villa Man­zoni o al Mu­seo Manzoniano.

1.3 / Il nuovo “Marchio MM” misconosciuto dallo stesso Comune di Lecco e ignorato dai media locali.

È certo utile in via pre­li­mi­nare ve­ri­fi­care come il nuovo mar­chio è stato ac­colto sul ter­ri­to­rio e sui me­dia al­meno locali.

Ve­diamo in­nan­zi­tutto l’accoglienza del com­mit­tente, il Co­mune di Lecco.

Leg­gendo il Co­mu­ni­cato emesso il 25 ot­to­bre 2019 sem­bre­rebbe che il nuovo mar­chio ab­bia su­sci­tato per­ples­sità nell’Ufficio Stampa del Comune.

In­fatti non solo ne è stato uti­liz­zato solo il pit­to­gramma (il lo­go­tipo “Villa Man­zoni” è stato di­men­ti­cato) ma il pit­to­gramma stesso è stato in­se­rito in de­roga alle in­di­ca­zioni dello Stu­dio dien­ne­pierre dell’architetto Negri.

Ne­gri in­di­cava il nero come co­lore di stampa; an­zi­ché nero il pit­to­gramma è stato in­vece pre­sen­tato dall’Ufficio Stampa del Co­mune con un blu ma­rina un po’ sbia­dito e sporco.
C’è una qual­che ra­gione die­tro que­sta “anar­chia” nella ap­pli­ca­zione della li­nea coordinata?

E sui me­dia come è stato com­men­tato il nuovo mar­chio?
Ce la ca­viamo in fretta: non ne ha par­lato nessuno.

I casi sono due: o nes­suno si è ac­corto dell’esistenza di un nuovo mar­chio per Villa Man­zoni / Mu­seo Man­zo­niano — il che non sa­rebbe un buon via­tico per la sua ef­fi­ca­cia come sim­bolo na­zio­nale e in­ter­na­zio­nale del rin­no­vato Museo.

Op­pure è stato giu­di­cato così ina­de­guato da sug­ge­rire a tutti di non par­larne af­fatto.

In at­tesa di una au­to­re­vole terza al­ter­na­tiva, con­ti­nuiamo con la no­stra analisi.

1.4 / Al nuovo “Marchio MM” manca l’entità da rappresentare.

Se­condo il “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano” (p. 41): «Il mar­chio deve evo­care l’identità dell’istituzione che rap­pre­senta.»

Que­sto ele­men­tare e cor­retto prin­ci­pio della co­mu­ni­ca­zione pre­sup­pone sia chiaro quale isti­tu­zione deve es­sere rap­pre­sen­tata dal nuovo mar­chio, il che in­vece è del tutto oscuro al let­tore della do­cu­men­ta­zione e al vi­si­ta­tore del Museo.

D’altra parte sem­bra che nep­pure gli esten­sori del “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano” ab­biano le idee chiare in proposito.

A p. 31 del do­cu­mento (a pro­po­sito del “banco re­cep­tion”) in­fatti scri­vono (sot­to­li­nea­ture nostre):

«L’unico ele­mento de­co­ra­tivo è co­sti­tuito dall’apposizione del logo del mu­seo man­zo­niano [gli esten­sori in­ten­dono qui il “pit­to­gramma” del mar­chio, ndr] ap­pli­cato in ca­rat­teri neri sul mar­gine su­pe­riore sinistro.»

men­tre a p. 39 in­se­ri­scono l’elemento “Villa Manzoni”:

«Il pro­getto della gra­fica coor­di­nata per il Mu­seo Man­zo­niano si pro­pone […] L’obiettivo è con­tem­po­ra­nea­mente fi­na­liz­zato a so­ste­nere la ri-at­tua­liz­za­zione dell’identità del com­pen­dio di Villa Man­zoni

A que­sto punto il let­tore non ca­pi­sce più nulla: cosa rap­pre­senta il nuovo mar­chio col Man­zoni senza fac­cia? rap­pre­senta solo il Mu­seo o rap­pre­senta l’intera Villa Manzoni?

Evi­den­te­mente con­sa­pe­voli che qual­che cosa non qua­dra gli esten­sori del pro­getto hanno sen­tito il bi­so­gno di al­lar­gare il di­scorso (p. 5):

«Il com­pen­dio di Villa Man­zoni è in­se­rito nel Si­stema Mu­seale Lec­chese (Si.M.U.L.) e ol­tre al Mu­seo Man­zo­niano com­prende: la Gal­le­ria co­mu­nale d’arte ot­to­cen­te­sca, la se­zione se­pa­rata dell’Archivio di Stato, La Bi­blio­teca Spe­cia­liz­zata dei Mu­sei Ci­vici e la Fo­to­teca comunale».

Che si­gni­fica que­sta troppo ov­via pre­ci­sa­zione?
Si­gni­fica che il nuovo mar­chio rap­pre­sen­terà an­che le al­tre en­tità che sono a loro volta “parte” di Villa Man­zoni, come sem­bra sug­ge­rire il pan­nello po­sto all’ingresso del Museo?

Detto in ter­mini di co­mu­ni­ca­zione: la nuova im­ma­gine coor­di­nata pre­di­spo­sta col “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano”, rap­pre­sen­terà, per es., an­che la “Gal­le­ria Co­mu­nale d’Arte – Se­zione d’Arte Mo­derna”, che oc­cupa buona parte del primo piano di Villa Manzoni?

Stando al pan­nello che ac­co­glie il vi­si­ta­tore en­trando nel cor­tile di Villa Man­zoni sem­bre­rebbe pro­prio di sì: il nuovo mar­chio tiene in­fatti sotto la pro­pria giu­ri­sdi­zione sia il “Mu­seo Man­zo­niano” sia la “Gal­le­ria co­mu­nale d’Arte moderna”.

E che ne è della “Se­zione Se­pa­rata d’Archivio”? o della “Bi­blio­teca Spe­cia­liz­zata dei Mu­sei Ci­vici”? o della “Fo­to­teca”?

Que­ste strut­ture sono anch’esse ospi­tate a Villa Man­zoni; sono im­por­tanti per la cul­tura della città; hanno molto a che fare con la fun­zione di Villa Man­zoni come polo mu­seale ma nulla a che ve­dere di­ret­ta­mente con Manzoni.

Il nuovo mar­chio senza fac­cia rap­pre­sen­terà an­che que­ste strut­ture? Op­pure no? At­ten­diamo chiarimenti.

In­tanto ci sem­bra di po­ter dire senza ti­more di smen­tita che il giu­sto prin­ci­pio po­sto nel “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano”, os­sia che «Il mar­chio deve evo­care l’identità dell’istituzione che rap­pre­senta» è gros­so­la­na­mente di­sat­teso dal pro­getto stesso.

1.5 / Al nuovo “Marchio MM” manca il carattere della unicità.

La fun­zione ov­via di un mar­chio è di rap­pre­sen­tare il pro­prio og­getto in modo il più pos­si­bile uni­voco. Le lotte le­gali an­che mi­lio­na­rie che ogni giorno ven­gono com­bat­tute a li­vello in­ter­na­zio­nale ri­guar­dano in­fatti so­prat­tutto la vio­la­zione della unicità.

Nel caso del “Mar­chio MM”, il lo­go­tipo “Villa Man­zoni” non è per niente uni­voco. In Ita­lia vi sono in­fatti al­meno al­tre due “Villa Man­zoni”, as­so­lu­ta­mente legittime.

La prima è la “Villa Man­zoni di Bru­su­glio” (Cor­mano, a nove chi­lo­me­tri da Via Mo­rone di Mi­lano — il poeta, buon po­di­sta, ci an­dava an­che a piedi), pro­prio quella dove Man­zoni co­min­ciò a com­porre il suo ro­manzo e in cui pro­ba­bil­mente visse per più giorni della sua vita (per in­ciso, Bru­su­glio è del tutto igno­rato nella in­for­ma­tiva del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco).

Villa Man­zoni di Bru­su­glio è pri­vata e non vi­si­ta­bile dal pub­blico. È però di­spo­ni­bile — ba­sta pa­gare — a ospi­tare “ri­ce­vi­menti, mo­stre, pranzi di gala, cene di la­voro, con­gressi e riu­nioni di ma­na­ge­ment ad alto livello”.

Il suo sito Web è http://​www​.villa​-man​zoni​.it/

La se­conda è “Villa Man­zoni in Re­pub­blica di San Ma­rino” dei Conti Man­zoni-Bor­ghesi, una no­bile fa­mi­glia sam­ma­ri­nese.
Da que­sto edi­fi­cio (a 15 chi­lo­me­tri da Ri­mini), il cui nu­cleo più an­tico ri­sale al XVII se­colo, i Man­zoni-Bor­ghesi ge­sti­vano va­ste pro­prietà ter­riere. La strut­tura per se­coli im­mu­tata, all’inizio del ’900 è stata mo­di­fi­cata con la crea­zione dell’attuale fac­ciata con sca­lone d’accesso al piano no­bile.
Dalla sua inau­gu­ra­zione (no­vem­bre 2013) Villa Man­zoni ospita nel suo “Sa­lotto” im­por­tanti con­ve­gni, mo­stre ed eventi cul­tu­rali di di­versa na­tura (tanto per cu­rio­sità vedi http://​www​.vil​la​man​zoni​.org/​s​a​l​o​t​t​o​v​i​l​l​a​m​a​n​z​o​n​i​/​e​d​i​z​i​o​n​e​-​2​018).

Il suo sito web è www​.vil​la​man​zoni​.org

A pro­po­sito dei do­mini Web delle due “Villa Man­zoni” con­cor­renti, è cu­rioso che a suo tempo a nes­suno a Lecco sia ve­nuto in mente di ac­qui­sire tutti i pos­si­bili do­mini con la com­bi­na­zione delle pa­role “Villa” / “Man­zoni” “Lecco”: per il Co­mune po­chi Euro all’anno, si­cu­ra­mente ben spesi.

1.6 / Il nuovo “Marchio MM” non crea alcuna sinergia con Lecco.

Co­rol­la­rio della man­canza di uni­cità è la nes­suna si­ner­gia del nuovo mar­chio con la città di Lecco.

Viene spesso ri­pe­tuto che Villa Man­zoni deve co­sti­tuire un mo­mento di iden­ti­fi­ca­zione e ri­co­no­sci­mento della co­mu­nità lec­chese.
Que­sto nuovo mar­chio po­teva es­sere con­ce­pito e rea­liz­zato an­che in quella fun­zione: molto ba­nal­mente sa­rebbe stato suf­fi­ciente in­se­rirvi la pa­rola “Lecco”.

Qual­cuno ci ha pen­sato? o qual­cuno ri­tiene se­ria­mente che quel mar­chio possa ve­nire au­to­ma­ti­ca­mente as­so­ciato alla città di Man­zoni po­sta sul Lario?

1.7 / Il nuovo “Marchio MM” si ispira a un dipinto poco e male identificato con il Museo di Lecco; di autore sconosciuto, ancorché senza alcuna motivazione indicato in Molteni; di cronologia ignota, comunque di modesta fattura sul piano artistico e di nessun significato per la vicenda manzoniana.

Ri­cor­date le pa­role del “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano” (p. 41) già citate?

«Ab­biamo quindi de­ciso di pro­ce­dere at­tra­verso la sti­liz­za­zione dell’icona per ec­cel­lenza del Mu­seo, ov­vero il ri­tratto di Man­zoni ad opera del Molteni […]»

Ri­leg­gete que­ste po­che pa­role: re­cano due af­fer­ma­zioni di peso.

Prima af­fer­ma­zione: il ri­tratto in que­stione è la “icona per ec­cel­lenza” del Mu­seo Man­zo­niano, il che è sem­pli­ce­mente una balla, detta con­sa­pe­vol­mente per con­fon­dere le idee.

Se­conda af­fer­ma­zione: il ri­tratto in que­stione è “DI” Mol­teni, os­sia è stato in­du­bi­ta­bil­mente di­pinto da Giu­seppe Mol­teni — il che è per l’appunto una sem­plice “af­fer­ma­zione” ma senza al­cuna base do­cu­men­tale a so­ste­gno — os­sia è una quasi balla.

Es­sendo la que­stione non di poco conto nell’ambito della ri­fles­sione su Man­zoni, ve­diamo qui di se­guito di fare un poco di chia­rezza, at­tra­verso al­cuni pas­saggi.

A — Co­min­ce­remo col mo­strare che il di­pinto in que­stione non è mai stato una “icona per ec­cel­lenza” del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco.

B — In se­conda bat­tuta mo­stre­remo che il ri­tratto viene detto “DI” Mol­teni da­gli at­tuali di­ri­genti mu­seali smen­tendo il Mi­ni­stero dei Beni Cul­tu­rali (cui essi fanno isti­tu­zio­nal­mente ri­fe­ri­mento) che in­vece si li­mita a di­chia­rarlo “ATTRIBUIBILE” a Mol­teni.

C — Pas­se­remo poi a in­di­care per quali ele­menti — am­bien­tali, di stile, cro­no­lo­gici — il di­pinto non può es­sere nep­pure “at­tri­bui­bile” a Molteni.

D — Mo­stre­remo in­fine che il di­pinto è stato rea­liz­zato dopo la morte del pit­tore milanese.

2. Quel ritratto di Manzoni non è mai stato rappresentativo del Museo Manzoniano di Lecco.

Ab­biamo già ri­por­tato l’assunto dell’architetto Ne­gri: il nuovo mar­chio è stato costruito

«at­tra­verso la sti­liz­za­zione della icona per ec­cel­lenza del Mu­seo, ov­vero il ri­tratto di Man­zoni ad opera del Molteni.»

Non ap­pare chiaro in base a quali ele­menti Ne­gri e i co-esten­sori del “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano” de­fi­ni­scono il ri­tratto di Man­zoni at­tri­buito a Mol­teni “l’icona per ec­cel­lenza del Mu­seo”.

Di se­guito mo­stre­remo — do­cu­menti alla mano — come que­sto as­sunto sia de­sti­tuito da qual­siasi fon­da­mento: quel di­pinto, ora senza ri­te­gno detto “DI” Mol­teni, non è MAI stato l’icona del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco.

Prima di pas­sare alla il­lu­stra­zione di que­sto ba­nale dato di fatto, dob­biamo però fare una di­gres­sione ter­mi­no­lo­gica, se non al­tro per com­pren­dere di che si sta par­lando (an­che per l’iconografia vale la ne­ces­sità della pre­ci­sione nel lin­guag­gio, pro­prio come in qual­siasi al­tra disciplina).

Non ap­pare af­fatto chiaro in­fatti cosa i rea­liz­za­tori del mar­chio in­ten­dono per “icona”.
Il ter­mine ha in­fatti vari si­gni­fi­cati, nes­suno dei quali sem­bra però con­gruo con l’uso che essi ne fanno.

Nella scienza ge­ne­rale dei se­gni, “icona” è una delle de­ter­mi­na­zioni del “se­gno”, as­sieme a “sim­bolo” e “in­dice”.

Ab­biamo una “icona” quando il se­gno as­so­mi­glia al con­cetto rap­pre­sen­tato.
Pren­dendo a esem­pio la “Ma­donna con bam­bino” di Gio­vanni Bel­lini ve­diamo l’immagine di una donna con un bimbo. Lì non è sot­tesa al­cuna con­ven­zione: il si­gni­fi­cante (ciò che è di­pinto sulla ta­vola) so­mi­glia in­fatti a una donna che tiene in brac­cio un bambino.

Ab­biamo in­vece un “sim­bolo” quando il si­gni­fi­cante esprime una con­ven­zione ma non as­so­mi­glia a un dato di realtà.
L’ufficiale delle guar­die di Dio­cle­ziano, noto come San Gior­gio, non passò i suoi giorni con un di­sco d’oro at­tac­cato alla te­sta col vi­na­vil: Man­te­gna lo ri­trasse con un di­sco do­rato so­vra­stante il capo a in­di­carne per con­ven­zione la san­tità, con­va­li­data dalla Chiesa cattolica.

Nella scienza ge­ne­rale dei se­gni, “icona” è una delle de­ter­mi­na­zioni del “se­gno”, as­sieme a “sim­bolo” e “in­dice”.

Ab­biamo una “icona” quando il se­gno as­so­mi­glia al con­cetto rap­pre­sen­tato.
Pren­dendo a esem­pio la “Ma­donna con bam­bino” di Gio­vanni Bel­lini ve­diamo l’immagine di una donna con un bimbo. Lì non è sot­tesa al­cuna con­ven­zione: il si­gni­fi­cante (ciò che è di­pinto sulla ta­vola) so­mi­glia in­fatti a una donna che tiene in brac­cio un bambino.

Ab­biamo in­vece un “sim­bolo” quando il si­gni­fi­cante esprime una con­ven­zione ma non as­so­mi­glia a un dato di realtà.
L’ufficiale delle guar­die di Dio­cle­ziano, noto come San Gior­gio, non passò i suoi giorni con un di­sco d’oro at­tac­cato alla te­sta col vi­na­vil: Man­te­gna lo ri­trasse con un di­sco do­rato so­vra­stante il capo a in­di­carne per con­ven­zione la san­tità, con­va­li­data dalla Chiesa cattolica.

Da que­sto punto di vi­sta il ri­tratto di Man­zoni non può in nes­sun caso es­sere de­fi­nito una “icona” del Mu­seo: la fac­cia di Man­zoni non ha nulla a che ve­dere in­fatti con la strut­tura ar­chi­tet­to­nica o il per­corso del Mu­seo di Villa Man­zoni.
Even­tual­mente, il ri­tratto in que­stione po­trebbe es­sere il “sim­bolo” del Mu­seo (che è ciò che noi contestiamo).

Ciò detto esclu­si­va­mente per ren­dere pos­si­bile il dia­logo, mo­striamo di se­guito che non esi­ste al­cun ele­mento che possa con­sen­tire ai re­spon­sa­bili mu­seali di Lecco e con­su­lenti di af­fer­mare che il ri­tratto di Man­zoni detto “DI” Mol­teni è il “sim­bolo” del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco.

2.1 / Il ritratto spacciato come “DI” Molteni non è mai stato un simbolo del Museo Manzoniano: donato al Comune di Lecco nel 1987, fino al 2006 è rimasto appeso a un chiodo di Villa Manzoni senza che nessuno ne parlasse neppure di sfuggita.

Come noto (vedi Lom­bar­dia Beni Cul­tu­rali G1050-00567) il di­pinto è stato do­nato al Co­mune di Lecco dalle Gal­le­rie d’Arte del Cre­dito Val­tel­li­nese nel 1987.
Prima di que­sta do­na­zione, in pre­sunti 140 anni (la cro­no­lo­gia del di­pinto è dal 2008 in­di­cata tra il 1840 e il 1860) nella ster­mi­nata pub­bli­ci­stica man­zo­niana dalla metà Ot­to­cento a oggi, su di esso non è stata in­di­vi­duata nep­pure la più stri­min­zita notizia.

E dire che si trat­tava di un piat­tino po­ten­zial­mente suc­cu­lento; per il Co­mune e il Si­stema Mu­seale di Lecco, che lo ri­ce­vet­tero in dono, un ele­mento su cui si po­teva / do­veva av­viare un utile per­corso di co­no­scenza e – per­ché no! — an­che di au­to­pro­mo­zione.
Cu­rio­sa­mente però non ri­sulta che dal 1987 al 2006 (19 anni quindi) il di­pinto sia stato espo­sto dai Ci­vici Mu­sei di Lecco in una mo­stra pub­blica; o usato in una pub­bli­ca­zione d’arte o pe­da­go­gica; o fatto og­getto di di­bat­titi re­la­tivi a Man­zoni o Mol­teni o all’Ottocento lom­bardo; o ci­tato dalla stampa di in­for­ma­zione o spe­cia­liz­zata; o in­se­rito nella do­cu­men­ta­zione re­la­tiva al Mu­seo Man­zo­niano di Lecco.

Vi sem­bra strano? An­che a noi ma è pur­troppo così!
Pro­prio in Lecco, nella città che al­meno dalla se­conda metà dell’Ottocento è stata una­ni­me­mente as­si­mi­lata al nome di Man­zoni, per vent’anni quel di­pinto è stato con­si­de­rato poco in­tri­gante e co­mun­que non me­ri­te­vole non di­ciamo di es­sere preso a sim­bolo del mu­seo de­di­cato allo scrit­tore ma nep­pure di es­sere men­zio­nato nella più mo­de­sta ricerca.

La cosa è piut­to­sto cu­riosa: dato il nu­mero ve­ra­mente ri­dotto di di­pinti con l’effige di Man­zoni, ci si sa­rebbe aspet­tati dall’appena co­sti­tuito Mu­seo Man­zo­niano di Lecco una qual­che at­ti­vità per la va­lo­riz­za­zione di que­sto ine­dito, quanto meno in Lom­bar­dia e quanto meno at­tra­verso i ca­nali col­lau­dati della cul­tura manzoniana.

A Lecco, per esem­pio, nell’ottobre 1990 (quindi tre anni dopo la ge­ne­rosa do­na­zione del Cre­dito Val­tel­li­nese) si tenne il «14º Con­gresso Na­zio­nale di Studi Man­zo­niani» (de­di­cato a Manzoni/Grossi) nel corso del quale il Di­ret­tore Gian Luigi Daccò tenne una in­te­res­sante re­la­zione su Gia­como Ma­ria Man­zoni (il poco rac­co­man­da­bile se­cen­te­sco avo dello scrit­tore) men­tre Mauro Ros­setto (at­tuale Di­ret­tore scien­ti­fico del Mu­seo non­ché re­spon­sa­bile del nuovo mar­chio che ha ta­gliato la fac­cia a Man­zoni) pre­sentò l’ “Ar­chi­vio” della fa­mi­glia Scola, messo a di­spo­si­zione del Museo.

En­trambi i re­la­tori avreb­bero avuto tutto l’agio nel corso dei loro in­ter­venti di dire al­meno due pa­role sul ri­tratto con l’effigie di Man­zoni.
E in­vece nulla: nes­suno dei due ne fece nep­pure un cenno.
D’altra parte Daccò, due anni più tardi, in un suo te­sto (“Iti­ne­rari Man­zo­niani di Lecco”, Electa, 1992, p. 27), dan­dolo come “at­tri­buito” a Mol­teni, si li­mita a ci­tarne l’esistenza a pa­rete nella Sala VI del Museo.

An­che da parte delle strut­ture de­pu­tate alla con­ser­va­zione della me­mo­ria di Man­zoni non sem­bra vi sia stato il mi­nimo in­te­resse per il ri­tratto in que­stione: non ri­sulta per esem­pio che il Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani si sia sbrac­ciato per po­terlo ospi­tare in Via Mo­rone e farne og­getto di una bella con­fe­renza, te­nuta ma­gari dal noto “mol­te­ni­sta” / “man­zo­ni­sta” pro­fes­sor Fer­nando Maz­zocca che, con ri­fe­ri­mento a Man­zoni, non esclude a priori che, dopo il ri­tratto del 1835 e la con­clu­sione fred­dina della vi­cenda, Mol­teni ne ab­bia fatto og­getto di al­tre pro­prie ar­ti­sti­che at­ten­zioni.
Per esem­pio, nel marzo del 2019 a Casa del Man­zoni di Via Mo­rone in Mi­lano, Maz­zocca (avendo come spalla il sem­pre fa­condo Pre­si­dente del CNSM, Prof. An­gelo Stella) ha sro­to­lato tap­peti rossi ri­ca­mati in oro a un al­tro “ine­dito” ri­tratto di Man­zoni, an­che que­sto at­tri­buito a Mol­teni, an­che que­sto senza uno strac­cio di do­cu­mento a sup­porto — ne par­le­remo a breve in al­tra no­stra nota specifica.

Già che ab­biamo fatto il nome del Pro­fes­sor Maz­zocca, ri­cor­diamo che da ot­to­bre 2000 a gen­naio 2001 si tenne a Mi­lano in due sedi (Mu­seo Poldi Pez­zoli e Mu­seo di Sto­ria Con­tem­po­ra­nea) l’esposizione «Giu­seppe Mol­teni (1800-1867) e il ri­tratto nella Mi­lano ro­man­tica: pit­tura, col­le­zio­ni­smo, re­stauro, tu­tela», cu­rata pro­prio da Fer­nando Mazzocca.

2.2 / Anche nella mostra dedicata a Molteni nel 2000 — la prima dal 1867 — nessun accenno al “Millantato Molteni di Lecco”.

Que­sta mo­stra, dalla morte dell’artista (1867) la prima e la più com­pleta de­di­cata in­te­ra­mente a Mol­teni, avrebbe po­tuto rap­pre­sen­tare una for­mi­da­bile oc­ca­sione per pre­sen­tare al va­sto pub­blico un sup­po­sto ine­dito del ri­trat­ti­sta mi­la­nese ri­por­tante l’effigie del Man­zoni, no­to­ria­mente uno dei più vi­gili nel non dare la pro­pria im­ma­gine in pa­sto ai vir­tuosi del bu­lino, at­tenti solo al bu­si­ness delle grandi ti­ra­ture calcografiche.

Nella mo­stra del 2000 Maz­zocca si li­mitò in­vece a pre­sen­tare il già noto ri­tratto del 1835 (quello com­mis­sio­nato da Mas­simo d’Azeglio e steso a due mani da Mol­teni e d’Azeglio stesso) che nel 1951, dopo es­sere ri­ma­sto per ol­tre un se­colo se­gre­gato nelle di­more dei vari di­scen­denti di d’Azeglio, venne per la prima volta mo­strato al pub­blico in oc­ca­sione della “Mo­stra Man­zo­niana” al­le­stita presso la Bi­blio­teca Brai­dense di Milano.

Il di­pinto venne poi do­nato dai di­scen­denti di d’Azeglio alla Brai­dense stessa e da al­lora è vi­si­bile — pur­troppo ma­la­mente — pro­prio all’ingresso della Sala Manzoniana.

Per que­sto ri­tratto Mol­teni / d’Azeglio 1835, nel Ca­ta­logo della mo­stra Maz­zocca sce­glieva di at­ti­rare l’attenzione su una let­tera di Man­zoni a Mol­teni del 6 set­tem­bre 1835 nella quale lo scrit­tore dif­fi­dava il pit­tore dal pre­sen­tare il ri­tratto al pubblico.

Ma Maz­zocca non fa­ceva nep­pure un ac­cenno a quell’altro ri­tratto, dal 1987 nelle di­spo­ni­bi­lità del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco.

Fa­cile la con­clu­sione: non solo in Lecco an­cora nel 2000 nes­suno pen­sava che quel me­dio­cre di­pinto po­tesse co­sti­tuire un “sim­bolo” del cit­ta­dino Mu­seo Man­zo­niano ma evi­den­te­mente an­che Maz­zocca ri­te­neva che non po­tesse es­sere in al­cun modo col­le­gato a Molteni.

State tran­quilli: vi fosse stato un mi­nimo di mar­gine, il critico/professore, che da de­cenni ha fatto della ico­no­gra­fia man­zo­niana uno dei punti di forza del pro­prio po­si­zio­na­mento cultural/professionale, ci si sa­rebbe but­tato a pe­sce, pre­sen­tando alla sua co­mun­que in­te­res­sante mo­stra su Mol­teni l’inedito ritratto.

Prima di la­sciare que­sto ca­pi­to­letto de­di­cato alla mo­stra su Mol­teni del 2000 e tor­nare al no­stro “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco”, ci corre l’obbligo di se­gna­lare (per puro spi­rito di ser­vi­zio, si in­tende, e a fu­tura me­mo­ria) un er­rore piut­to­sto gros­so­lano pre­sente nel Ca­ta­logo della mo­stra stessa.

A p. 24 è ri­por­tato un di­pinto di d’Azeglio la cui dida re­cita: «Mas­simo d’Azeglio / Ve­duta del ramo di Lecco con lo sfondo del Re­se­gone, 1835 circa / Mi­lano, col­le­zione pri­vata.»
Si tratta di un evi­dente ab­ba­glio: il pae­sag­gio ri­preso da d’Azeglio ri­guarda l’altro ramo del Lago, quello di Como, con l’isola Co­ma­cina come è vi­sta da ap­pena so­pra Bel­la­gio; va da sé che i monti sullo sfondo nulla hanno a che ve­dere con il Resegone.

Cu­rioso che i pro­prie­tari del di­pinto ab­biano la­sciato cor­rere que­sta cor­bel­le­ria (si po­teva sem­pre in­se­rire un “er­rata cor­rige”) e an­cor più che i cu­ra­tori della mo­stra non si siano ac­corti dell’abbaglio, tanto più avendo sotto il naso nella me­de­sima pa­gina il ri­tratto di Molteni/d’Azeglio del 1835, que­sto sì ca­rat­te­riz­zato dal pae­sag­gio lariano.

2.2 / Anche nella mostra dedicata a Molteni nel 2000 — la prima dal 1867 — nessun accenno al “Millantato Molteni di Lecco”.

Que­sta mo­stra, dalla morte dell’artista (1867) la prima e la più com­pleta de­di­cata in­te­ra­mente a Mol­teni, avrebbe po­tuto rap­pre­sen­tare una for­mi­da­bile oc­ca­sione per pre­sen­tare al va­sto pub­blico un sup­po­sto ine­dito del ri­trat­ti­sta mi­la­nese ri­por­tante l’effigie del Man­zoni, no­to­ria­mente uno dei più vi­gili nel non dare la pro­pria im­ma­gine in pa­sto ai vir­tuosi del bu­lino, at­tenti solo al bu­si­ness delle grandi ti­ra­ture calcografiche.

Nella mo­stra del 2000 Maz­zocca si li­mitò in­vece a pre­sen­tare il già noto ri­tratto del 1835 (quello com­mis­sio­nato da Mas­simo d’Azeglio e steso a due mani da Mol­teni e d’Azeglio stesso) che nel 1951, dopo es­sere ri­ma­sto per ol­tre un se­colo se­gre­gato nelle di­more dei vari di­scen­denti di d’Azeglio, venne per la prima volta mo­strato al pub­blico in oc­ca­sione della “Mo­stra Man­zo­niana” al­le­stita presso la Bi­blio­teca Brai­dense di Mi­lano (venne poi do­nato dai di­scen­denti di d’Azeglio alla Brai­dense stessa e da al­lora è vi­si­bile — pur­troppo ma­la­mente — pro­prio all’ingresso della Sala Manzoniana).

Per que­sto ri­tratto Mol­teni / d’Azeglio 1835, nel Ca­ta­logo della mo­stra Maz­zocca sce­glieva di at­ti­rare l’attenzione su una let­tera di Man­zoni a Mol­teni del 6 set­tem­bre 1835 nella quale lo scrit­tore dif­fi­dava il pit­tore dal pre­sen­tare il ri­tratto al pubblico.

Ma Maz­zocca non fa­ceva nep­pure un ac­cenno a quell’altro ri­tratto, dal 1987 nelle di­spo­ni­bi­lità del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco.

Fa­cile la con­clu­sione: non solo in Lecco an­cora nel 2000 nes­suno pen­sava che quel me­dio­cre di­pinto po­tesse co­sti­tuire un “sim­bolo” del cit­ta­dino Mu­seo Man­zo­niano ma evi­den­te­mente an­che Maz­zocca ri­te­neva che non po­tesse es­sere in al­cun modo col­le­gato a Molteni.

State tran­quilli: vi fosse stato un mi­nimo di mar­gine, il critico/professore, che da de­cenni ha fatto della ico­no­gra­fia man­zo­niana uno dei punti di forza del pro­prio po­si­zio­na­mento cultural/professionale, ci si sa­rebbe but­tato a pe­sce, pre­sen­tando alla sua co­mun­que in­te­res­sante mo­stra su Mol­teni l’inedito ri­tratto, quanto meno come in­co­gnita su cui lavorare.

Prima di la­sciare que­sto ca­pi­to­letto de­di­cato alla mo­stra su Mol­teni del 2000 e tor­nare al no­stro “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco”, ci corre l’obbligo di se­gna­lare (per puro spi­rito di ser­vi­zio, si in­tende, e a fu­tura me­mo­ria) un er­rore piut­to­sto gros­so­lano pre­sente nel Ca­ta­logo della mo­stra stessa.

A p. 24 è ri­por­tato un di­pinto di d’Azeglio la cui dida re­cita: «Mas­simo d’Azeglio / Ve­duta del ramo di Lecco con lo sfondo del Re­se­gone, 1835 circa / Mi­lano, col­le­zione privata.»

Si tratta di un evi­dente ab­ba­glio: il pae­sag­gio ri­preso da d’Azeglio ri­guarda l’altro ramo del Lago, quello di Como, con l’isola Co­ma­cina come è vi­sta da ap­pena so­pra Bel­la­gio; va da sé che i monti sullo sfondo nulla hanno a che ve­dere con il Resegone.

Cu­rioso che i pro­prie­tari del di­pinto ab­biano la­sciato cor­rere que­sta cor­bel­le­ria (si po­teva sem­pre in­se­rire un “er­rata cor­rige”) e an­cor più che i cu­ra­tori della mo­stra non si siano ac­corti dell’abbaglio, tanto più avendo sotto il naso nella me­de­sima pa­gina il ri­tratto di Molteni/d’Azeglio del 1835, que­sto sì ca­rat­te­riz­zato dal pae­sag­gio lariano.

2.3 / La timida svolta del 2006: il dipinto viene per la prima volta presentato a una mostra pubblica.
Il prof. Mazzocca gli assegna l’autografia molteniana, ma in modo quasi clandestino.

Nel 2006, nella sto­ria del “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” si ve­ri­fica una pic­cola svolta verso una qual­che forma di ri­co­no­sci­mento cul­tu­rale: ben 19 anni dopo la sua ac­qui­si­zione da parte dei Ci­vici Mu­sei di Lecco il di­pinto viene in­fatti pre­sen­tato in una pub­blica espo­si­zione in­di­can­done in Giu­seppe Mol­teni il pre­sunto autore.

Pur­troppo con mo­da­lità non esal­tanti, non solo per Mol­teni o per Man­zoni ma per la di­gnità della cul­tura in ge­ne­rale. Ve­diamo perché.

A fine 2006 si svolse a Mi­lano la mo­stra “Il Man­zoni il­lu­strato” (Bi­blio­teca di Via Se­nato, sett. 2006-genn. 2007) ideata e or­ga­niz­zata dalla Bi­blio­teca stessa in col­la­bo­ra­zione con: Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani; Bi­blio­teca Brai­dense Mi­lano; Co­mune di Lecco – Mu­sei Ci­vici; con la col­la­bo­ra­zione scien­ti­fica, tra gli al­tri, di Gian Luigi Daccò (al­lora Di­ret­tore di Villa Man­zoni di Lecco) e Fer­nando Maz­zocca, noto man­zo­ni­sta / moltenista.

Nei tre saggi in­tro­dut­tivi del Ca­ta­logo della mo­stra (ri­spet­ti­va­mente a firma di Maz­zocca, Daccò e Gian­marco Ga­spari, al­lora Di­ret­tore del Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani) del ri­tratto “di Lecco” non si dice as­so­lu­ta­mente nulla.
Se ne dice un qual­che cosa solo alla p. 71, nella se­zione “Opere espo­ste” con di­da­sca­lia in­com­pleta e bre­vis­simo te­sto di pre­sen­ta­zione (ci sem­bra di po­ter dire a cura di Bar­bara Cattaneo).

Pre­li­mi­nar­mente a ogni com­mento, è op­por­tuno se­gna­lare (sem­pre per spi­rito di ser­vi­zio e a fu­tura me­mo­ria) un pac­chiano er­rore re­da­zio­nal-ti­po­gra­fico nel Ca­ta­logo della mo­stra: l’immagine del ri­tratto è stata in­fatti ri­bal­tata spe­cu­lar­mente.

Pro­po­niamo sia il di­pinto come è nella realtà — e come do­veva pa­rec­chie volte al giorno ca­pi­tare sotto il naso dell’allora Di­ret­tore di Villa Man­zoni — sia la pa­gina 71 del Ca­ta­logo, che mo­stra il di­pinto con l’immagine ribaltata.

Va da sé che tutti pos­sono sba­gliare ma in que­sto caso l’errore ci sem­bra cosa di­versa da una svi­sta: sem­bre­rebbe piut­to­sto un caso di ce­cità iste­rica da senso di colpa.

Per­ché il let­tore non pensi che stiamo cal­cando la mano, lo in­vi­tiamo a leg­gere con at­ten­zione sia la di­da­sca­lia sia il te­sto di pre­sen­ta­zione — in ef­fetti c’è di che sen­tirsi in colpa.

La di­da­sca­lia recita:

«Giu­seppe Mol­teni (Af­fori, Mi­lano 1800 – Mi­lano 1867) / Ri­tratto di Ales­san­dro Man­zoni, olio su ta­vola, cm 50×30 / Lecco, Villa Manzoni.»

Que­sto in­vece il te­sto di pre­sen­ta­zione (chia­mia­molo così):

«In­sieme all’immagine “uf­fi­ciale”, di­pinta da Hayez (Mi­lano, Pi­na­co­teca di Brera) e al ri­tratto dello stesso Mol­teni (con lo sfondo di Mas­simo d’Azeglio, Mi­lano, Bi­blio­teca Na­zio­nale Brai­dense), è que­sta una delle rare im­ma­gini di Man­zoni: lo scrit­tore era piut­to­sto ri­troso nel farsi effigiare.
Ri­trat­ti­sta alla moda dell’aristocrazia e della bor­ghe­sia lom­barde, Mol­teni è an­che au­tore di di­pinti so­cial­mente di­rom­penti, come “Lo Spaz­za­ca­mino”, au­ten­tica svolta nella sto­ria della pit­tura di ge­nere di metà Ottocento.»

Chie­diamo al let­tore di ri­leg­gere le po­che ri­ghe con cui Maz­zocca e Daccò hanno ri­te­nuto di po­tere pre­sen­tare un nuovo e “ine­dito” ri­tratto — per la prima volta detto “DI” Mol­teni: nel loro pic­colo sono un esem­pio di vo­luta di­sin­for­ma­zione che vale la pena di sot­to­li­neare (di­ciamo “vo­luta” per­ché i due cu­ra­tori erano / sono del me­stiere e co­no­scono per­fet­ta­mente l’obbligatorietà di certe in­for­ma­zioni a sup­porto di una di­chia­ra­zione di autografia).

Né nel te­sto né nella di­da­sca­lia si fa al­cun ri­fe­ri­mento all’anno di pre­sunta com­po­si­zione del di­pinto e nep­pure viene svolta al­cuna con­si­de­ra­zione sulla sua sto­ria o sul suo si­gni­fi­cato; sul come debba es­sere con­si­de­rato nella ri­trat­ti­stica del Man­zoni (da con­tare su una sola mano); sul suo iter pro­prie­ta­rio (ep­pure era stato uf­fi­cial­mente do­nato dal Cre­dito Val­tel­li­nese nel 1987 — o no?); non viene nep­pure pro­po­sta una sola os­ser­va­zione sti­li­stica — tutti ele­menti d’obbligo ad ac­com­pa­gna­mento della prima uscita pub­blica di un’opera mai ci­tata in al­cun com­mento cri­tico in pre­sunti 150 anni di esistenza.
Cu­rioso vero?

In com­penso, forse per riem­pire il vuoto del de­serto do­cu­men­tale e cri­tico delle prime tre ri­ghe, si cerca con le due suc­ces­sive e con­clu­sive di dare una ver­ni­ciata di “sen­si­bi­lità so­ciale” a Mol­teni. Ri­pren­diamo la fra­setta: «Mol­teni è an­che au­tore di di­pinti so­cial­mente di­rom­penti, come “Lo Spazzacamino”».

Ci pare pro­prio un ten­ta­tivo (né no­bile né ac­corto per la ve­rità) di far pas­sare la non mo­ti­vata at­tri­bu­zione dell’autografia del ri­tratto a Mol­teni con una stram­pa­lata mo­zione de­gli affetti.

Con quelle due ri­ghe di te­sto è come se Maz­zocca e Daccò aves­sero vo­luto dirci: è vero, nel 1835 Man­zoni prese a pe­sci in fac­cia Mol­teni scri­ven­do­gli chiaro e tondo di star­gli alla larga.
Ma Mol­teni era così com­mosso dai temi so­ciali messi in luce nel ro­manzo di Man­zoni da non dar­sene per in­teso e vo­lere co­mun­que la­sciare una sua nuova rap­pre­sen­ta­zione del grande scrit­tore (ma all’insaputa di que­sto na­tu­ral­mente); per di più pro­po­nen­dolo con una fac­cia im­pie­trita, forse vi­sta come ob­bli­ga­to­ria con l’alto ruolo di il­lu­stra­tore dei di­sagi so­ciali ri­co­perto dallo scrit­tore, del re­sto de­nun­ciati dallo stesso pit­tore Mol­teni “in modo di­rom­pente”, come ap­pa­ri­rebbe nel di­pinto “Lo Spaz­za­ca­mino” del 1837.

Pec­cato che “Lo Spaz­za­ca­mino” del 1837, en­ne­simo pro­dotto di un fi­lone pit­to­rico su cui Mol­teni si era già eser­ci­tato an­che anni prima, fosse stato com­mis­sio­nato al pit­tore mi­la­nese da Von Ko­lo­w­rat, al­lora Mi­ni­stro dell’Interno e mem­bro del co­mi­tato se­greto che reg­geva l’Impero d’Austria all’ombra dell’incapace Fer­di­nando I.
Lo stesso Ko­lo­w­rat e lo stesso co­mi­tato che di fronte al mon­tare delle ri­ven­di­ca­zioni di au­to­no­mia na­zio­nale e so­ciali, nel 1848 non sep­pero far di me­glio che dare via li­bera ai vari Ra­de­tsky, sca­te­nando — tra le tante al­tre in tutti i do­mini au­striaci — la ri­volta delle 5 Gior­nate di Mi­lano (ol­tre 400 morti tra la popolazione).

Non è dif­fi­cile com­pren­dere come gli in­te­ressi e le aper­ture di Ko­lo­w­rat per i pro­blemi so­ciali fos­sero piut­to­sto te­nui. Così come lo erano del re­sto in Mol­teni, sem­pre pronto, e sem­pre senza tanti pro­blemi, ai de­si­de­rata del po­tente di turno. Se Mol­teni fosse stato in­te­res­sato ai pro­blemi so­ciali, avrebbe tro­vato fonte di ispi­ra­zione in ogni bot­tega da ar­ti­giano di Mi­lano e, ap­pena fuori, nei tanti sta­bi­li­menti proto-in­du­striali con al la­voro per 12 ore e con sa­lari da mi­se­ra­bili (par­liamo dei pa­droni na­tu­ral­mente) bam­bini e bam­bine an­che di otto anni.

Ben­ché sem­bri di es­sere in uno dei peg­giori “scherzi a parte”, è que­sto il senso del come il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” è stato pre­sen­tato per la prima volta al pubblico.

Ma chi se ne im­pippa!
Evi­den­te­mente si vo­leva solo che quel me­dio­cre di­pinto sfi­gu­rante Man­zoni tro­vasse mi­ra­co­lo­sa­mente un au­tore di pre­sti­gio, iden­ti­fi­cato senza se e senza ma in Giu­seppe Mol­teni, con la ga­ran­zia etico-cul­tu­rale del mas­simo cri­tico moltenian/manzoniano d’Italia.

L’operazione sor­prende an­cor più con­si­de­rando che in quella mo­stra del 2006 erano espo­sti solo due ri­tratti di Man­zoni, en­trambi pro­po­sti come “di” Molteni.

Uno era il di­pinto di cui ci oc­cu­piamo, l’altro era in­vece il noto ri­tratto di Man­zoni ese­guito nel 1835 da Molteni/d’Azeglio, con un in­te­res­sante pae­sag­gio di Lecco, di cui ab­biamo già par­lato sopra.

Sa­rebbe stato certo in­te­res­sante nel 2006 con­fron­tare i due di­pinti e ri­le­varne la pro­fonda dif­fe­renza sia nello stile pit­to­rico sia nella sen­si­bi­lità mo­strata dal pre­sunto co­mune ar­ti­sta nei con­fronti del me­de­simo sog­getto ri­preso a di­stanza di qual­che anno, come sug­ge­ri­rebbe l’età de­ci­sa­mente ma­tura di Man­zoni nel ri­tratto di per­ti­nenza di Villa Man­zoni di Lecco.

E sa­rebbe stato in­te­res­sante con­si­de­rare con quale fac­cia to­sta Mol­teni si sa­rebbe messo a ven­dere ri­tratti di Man­zoni dopo es­serne stato dif­fi­dato dallo stesso.

An­che in que­sto Ca­ta­logo del 2006, Maz­zocca de­scrive la vi­cenda del 1835 ma non fa nes­sun col­le­ga­mento con quest’altro di­pinto “lec­chese”, da lui ar­ruo­lato nella scu­de­ria mol­te­niana con una sem­plice af­fer­ma­zione — pren­dere o lasciare.

A fronte di que­sto si­len­zio dei cu­ra­tori, non è certo un caso che la stampa a com­mento dell’evento non ab­bia a sua volta fatto pa­rola dell’inedito ri­tratto at­tri­buito a Mol­teni in forme così curiose.

Solo come esem­pio ri­cor­diamo che il Cor­riere della Sera de­dicò alla mo­stra un di­screto spa­zio ma né nel corpo dell’articolo prin­ci­pale né nella ru­bri­chetta “La cu­rio­sità”, sotto il ba­na­lis­simo ti­tolo «Don Li­san­der odiava farsi ri­trarre. Fino a che …» men­tre viene dato ri­salto al ri­tratto Molteni/d’Azeglio del 1835, nep­pure una mezza pa­rola venne scritta a pro­po­sito di quel di­pinto na­tu­ra­liz­zato lec­chese, uscito dalle om­bre della sto­ria e bat­tez­zato spu­do­ra­ta­mente come “di” Mol­teni da un cri­tico d’arte del ca­li­bro di Mazzocca.

Ci sem­bra di po­ter dire quindi che al set­tem­bre 2006 il no­stro “Ri­tratto di Man­zoni”, spac­ciato ora nel “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano” come “DI” Mol­teni e come la “icona per ec­cel­lenza del Mu­seo Manzoniano”:

1. non go­deva di al­cuna at­ten­zione da parte né del mondo man­zo­niano né della stessa di­re­zione mu­seale lec­chese di cui era pro­prietà;
.
2. nes­suno aveva pen­sato nep­pure a una vaga ipo­tesi per la sua cro­no­lo­gia;
.
3. alla sua prima uscita pub­blica non aveva su­sci­tato al­cun in­te­resse nei com­men­ta­tori d’arte.

A fronte di que­sto si­len­zio dei cu­ra­tori, non è certo un caso che la stampa a com­mento dell’evento non ab­bia a sua volta fatto pa­rola dell’inedito ri­tratto at­tri­buito a Mol­teni in forme così curiose.

Solo come esem­pio ri­cor­diamo che il Cor­riere della Sera de­dicò alla mo­stra un di­screto spa­zio ma né nel corpo dell’articolo prin­ci­pale né nella ru­bri­chetta “La cu­rio­sità”, sotto il ba­na­lis­simo ti­tolo «Don Li­san­der odiava farsi ri­trarre. Fino a che …» men­tre viene dato ri­salto al ri­tratto Molteni/d’Azeglio del 1835, nep­pure una mezza pa­rola venne scritta a pro­po­sito di quel di­pinto na­tu­ra­liz­zato lec­chese, uscito dalle om­bre della sto­ria e bat­tez­zato spu­do­ra­ta­mente come “di” Mol­teni da un cri­tico d’arte del ca­li­bro di Mazzocca.

Ci sem­bra di po­ter dire quindi che al set­tem­bre 2006 il no­stro “Ri­tratto di Man­zoni”, spac­ciato ora nel “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano” come “DI” Mol­teni e come la “icona per ec­cel­lenza del Mu­seo Manzoniano”:

1. non go­deva di al­cuna at­ten­zione da parte né del mondo man­zo­niano né della stessa di­re­zione mu­seale lec­chese di cui era pro­prietà;
.
2. nes­suno aveva pen­sato nep­pure a una vaga ipo­tesi per la sua cro­no­lo­gia;
.
3. alla sua prima uscita pub­blica non aveva su­sci­tato al­cun in­te­resse nei com­men­ta­tori d’arte.

In com­penso que­sto di­pinto con l’effige di Man­zoni, così evi­den­te­mente poco va­lu­tato dai suoi stessi pro­prie­tari, era però riu­scito ad ac­chiap­pare il ri­co­no­sci­mento di una au­to­gra­fia mol­te­niana (an­cor­ché non pro­vata e nep­pure di­scussa) da parte del cri­tico d’arte più “man­zo­ni­sta“ e “mol­te­ni­sta” d’Italia.

Ma an­diamo avanti.

2.4 / Il Direttore Daccò puntella con una cronologia di fantasia l’autografia molteniana benedetta di imperio da Mazzocca.

Nel 2008, a cura del Si­stema Mu­seale Ur­bano Lec­chese (Si­MUL) e con la firma di Gian Luigi Daccò venne pub­bli­cato un opu­sco­letto di 24 pa­gine ti­to­lato “Il Mu­seo Man­zo­niano a Lecco” (il li­bretto viene tut­tora ven­duto es­sendo l’unico do­cu­mento in­for­ma­tivo sul Mu­seo di­spo­ni­bile per il pub­blico — quando si dice la cura per la comunicazione!).

Ne­gli ele­menti di più im­me­diata at­ten­zione per il let­tore non tro­viamo il ri­tratto di Man­zoni detto “di” Mol­teni: la prima di co­per­tina ri­porta la fo­to­gra­fia della fac­ciata di Villa Man­zoni; la quarta ri­pro­duce un di­pinto della se­conda metà dell’800 di Ano­nimo, raf­fi­gu­rante Pe­sca­re­nico.
La prima pa­gina del te­sto è oc­cu­pata da una fo­to­gra­fia del “Sa­lone delle Gri­sa­glie” (e dal nome del Direttore).

Del di­pinto in que­stione si parla solo a p. 14 con 10 pa­role che en­fa­tiz­zano l’autografia mol­te­niana, re­ga­lata da Maz­zocca con zero ar­go­menti:
«Sulla parte di fronte […] il noto ri­tratto di Man­zoni di Giu­seppe Mol­teni (Mi­lano 1800-1867) e a lato un bronzo [ecc.]».

A p. 17, nel ca­pi­tolo “La fa­mi­glia di Ales­san­dro Man­zoni”, il ri­tratto viene ri­por­tato con la di­da­sca­lia: «Giu­seppe Mol­teni, Ri­tratto di Ales­san­dro Man­zoni, 1845».

La sua rap­pre­sen­ta­zione gra­fica (que­sta volta è stam­pato nel verso giu­sto) è pu­ra­mente enun­cia­tiva: è solo una delle 14 il­lu­stra­zioni dell’opuscoletto, pro­po­sta senza al­cuna par­ti­co­lare evi­denza e senza che nel te­sto se ne fac­cia il mi­nimo accenno.

Da que­sti ele­menti si può de­durre che, no­no­stante l’asserita au­to­gra­fia mol­te­niana be­ne­detta da Maz­zocca nel 2006, due anni dopo, nel 2008, quel ri­tratto di Man­zoni non era co­mun­que vi­sto dalla stessa Di­re­zione di Villa Man­zoni non di­ciamo come la “icona per ec­cel­lenza” del Mu­seo (come ora so­sten­gono il trio Ros­setto-Cat­ta­neo-Ne­gri) ma nep­pure come un ele­mento da met­tere par­ti­co­lar­mente in luce: nes­sun ri­fe­ri­mento alla sua ori­gine; nes­suna va­lu­ta­zione stilistica.

L’unico ele­mento “in­no­va­tivo” ri­spetto al ver­go­gnoso nulla della pre­sen­ta­zione a Ca­ta­logo vi­sta poco so­pra, è la cro­no­lo­gia dell’opera: nel 2008 Daccò scrive — senza al­cuna ri­serva — “1845”: ne am­mi­riamo il co­rag­gio e lo sprezzo del buon senso.

Sulla base di quali ele­menti in­fatti il Di­ret­tore di Villa Man­zoni pensò nel 2008 di po­tere es­sere così pre­ciso nell’indicare la cro­no­lo­gia del di­pinto al 1845?

Es­sen­dosi di­men­ti­cato Daccò di farci dono di una qual­che mo­ti­va­zione a so­ste­gno, ri­spon­diamo noi: NESSUN ELEMENTO, se non forse una vena fan­ta­stica meneghino-lariana.

2.5 / Audacemente incongrua la cronologia dettata da Daccò.

Nel 1845 erano pas­sati quat­tro anni da quando Hayez aveva rea­liz­zato il suo no­tis­simo ri­tratto di Man­zoni (1841), ri­cor­dato come “della ta­bac­chiera” e cu­sto­dito dalla Pi­na­co­teca di Brera (ne mo­striamo solo il par­ti­co­lare del volto).
Il ri­tratto era stato au­to­riz­zato (anzi com­mis­sio­nato a Hayez da Te­resa Stampa, se­conda mo­glie di Man­zoni, e dal di lei fi­glio Ste­fano) ma ri­ser­vato alla vi­sione di amici stretti e pa­renti.
Solo dopo la morte di Man­zoni se ne fece rea­liz­zare — sem­pre da Hayez — una co­pia per­fetta come do­ta­zione per la Pi­na­co­teca di Brera che la rese su­bito di­spo­ni­bile al pub­blico — an­che da ciò la sua grande notorietà.

Il ri­tratto di Hayez del 1841 venne giu­di­cato da fa­mi­liari e amici di Man­zoni (e da Man­zoni stesso) come straor­di­na­ria­mente so­mi­gliante sia nel ca­rat­tere psi­co­lo­gico che nella fi­sio­no­mia (ve­dendo il qua­dro, Go­nin si ri­volse ce­liando alla mo­glie di Man­zoni: “que­sta è bigamia!”).

Dall’alto: Hayez 1841; Stampa 1848; il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” da Daccò da­tato al 1845.

Dall’alto: Hayez 1841; Stampa 1848; il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” da Daccò da­tato al 1845.

Nel bel di­se­gno rea­liz­zato da Ste­fano Stampa nel 1848 (il no­stro non era un ge­nio della pit­tura ma aveva un certo me­stiere) l’espressione di Man­zoni è straor­di­na­ria­mente si­mile a quella colta da Hayez e an­che i se­gni dell’età sono poco più ac­cen­tuati (si noti co­mun­que la piega all’ingiù delle labbra).

Nel ri­tratto di Lecco at­tri­buito a Mol­teni e da­tato da Daccò al 1845, no­no­stante al­cuni truc­chetti in­fan­tili del pit­tore tesi forse a rin­gio­va­nire l’effigiato (l’ampia bocca dalle lab­bra sot­tili di Man­zoni è di­ven­tata una boc­cuc­cia di rosa) l’effigiato ap­pare come un uomo al­meno con vent’anni in più di quello ri­preso da Hayez nel 1841 e pa­rec­chio più ma­turo di quello ri­preso da Stampa nel 1848.

Ma so­prat­tutto ap­pare come un “al­tro” uomo: ha un’espressione le­gnosa, tra lo schi­fato e il ri­sen­tito, forse per­ché sem­bra che gli ab­biano ap­pena dato un caz­zotto sullo zi­gomo si­ni­stro.
Lo sguardo è fisso in modo in­na­tu­rale; tutto il con­tra­rio dell’atteggiamento sem­pre un poco bo­na­ria­mente di­stac­cato di Man­zoni, colto be­nis­simo da Hayez e ri­cor­dato da tutti i fre­quen­ta­tori abi­tuali dello scrittore.

Come il Di­ret­tore del Mu­seo Man­zo­niano po­tesse scri­vere che il ri­tratto di Lecco at­tri­buito a Mol­teni po­tesse rap­pre­sen­tare nel 1845 lo stesso uomo ef­fi­giato da Hayez nel 1841 e da Stampa nel 1848 è un in­te­res­sante que­sito che solo Daccò po­trà scio­gliere (at­ten­diamo fiduciosi).

2.6 / Sempre nel 2008 SiMUL / Lombardia Beni Culturali / MiBACT contraddicono il Direttore di Villa Manzoni.
Scrivono: il dipinto non è “DI” Molteni, semmai è a lui “attribuibile”.
Ma ne danno una cronologia senza senso: 1840-1860.

Forse pre­oc­cu­pati dalla in­ge­nua cro­no­lo­gia di Daccò (o forse senza nep­pure ren­der­sene conto), nel qua­dro della ini­zia­tiva di ca­ta­lo­ga­zione del pa­tri­mo­nio ar­ti­stico coor­di­nato da SIR­BeC – Si­stema In­for­ma­tivo dei Beni Cul­tu­rali di Re­gione Lom­bar­dia (che lo rende pub­blico at­tra­verso il por­tale “Lom­bar­dia Beni Cul­tu­rali”), fun­zio­nari Si­MUL nel me­de­simo anno 2008 com­pi­lano la “Scheda OARL_G1050-00567” re­la­tiva al ri­tratto di cui par­liamo, boc­ciando sia l’autografia mol­te­niana (pa­tro­ci­nata da Mazzocca/Daccò nel 2006 e con­fer­mata da Daccò nel 2008) sia la cro­no­lo­gia do­na­taci da Daccò nel fa­sci­colo del 2008 ap­pena citato.

An­cor­ché non mo­ti­vata, la boc­cia­tura dell’autografia mol­te­niana ap­pare come sa­cro­santa.
La cro­no­lo­gia viene in­vece di­la­tata in modo ri­di­colo, va­ni­fi­cando ogni ten­ta­tivo di una di­scus­sione seria.

La re­da­zione della Scheda è del Si­stema Mu­seale di Lecco (Gio­vanna Vir­gi­lio ne fece sem­pli­ce­mente l’imputazione), va­li­data dal “fun­zio­na­rio re­spon­sa­bile” Bar­bara Cat­ta­neo (con Ros­setto e Ne­gri uno de­gli esten­sori del “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano”, og­getto di que­sta no­stra se­rie di note cri­ti­che); la Scheda viene con­fer­mata nel 2014 sem­pre da Cat­ta­neo, que­sta volta come “Re­fe­rente scientifico”.

Nella Scheda OARL_G1050-00567 (che deve es­sere con­si­de­rata come il do­cu­mento uf­fi­ciale cui le fun­zioni pub­bli­che sono te­nute a ri­fe­rirsi) a pro­po­sito dell’autore; della cro­no­lo­gia del ri­tratto; delle fonti sto­rico-cri­ti­che così si scrive (evi­den­zia­zioni no­stre):
«Mol­teni, Giu­seppe / Ri­fe­ri­mento all’autore: at­tri­bu­zione / Mo­ti­va­zione dell’attribuzione: ana­lisi sti­li­stica / Data: dal 1840 al 1860. Mo­ti­va­zione cro­no­lo­gia: con­te­sto / No­ti­zie sto­rico-cri­ti­che: Il di­pinto, ac­qui­sito per do­na­zione nel 1987 dalla Gal­le­ria del Cre­dito Val­tel­li­nese, è stato espo­sto a Mi­lano, presso la Bi­blio­teca di Via Se­nato (28 set­tem­bre 2006 – 28 gen­naio 2007) in oc­ca­sione della mo­stra “Il Man­zoni il­lu­strato”. Nel re­la­tivo ca­ta­logo si legge: “In­sieme all’immagine uf­fi­ciale di­pinta da Hayez (Mi­lano, Pi­na­co­teca di Brera) e al ri­tratto dello stesso Mol­teni (con lo sfondo di Mas­simo D’Azeglio, Mi­lano, Bi­blio­teca Na­zio­nale Brai­dense), è que­sta una delle rare im­ma­gini di Man­zoni: lo scrit­tore era piut­to­sto ri­troso nel farsi ef­fi­giare…” (Man­zoni il­lu­strato, 2006, p. 71).»

Pur nella sua ari­dità bu­ro­cra­tica e nella ri­pe­ti­zione acri­tica della in­de­gna de­scri­zione del Ca­ta­logo Mazzocca/Daccò del 2006 già ci­tato so­pra, la Scheda con­va­li­data nel 2008 dalla Re­fe­rente Scien­ti­fica Cat­ta­neo di Si­MUL (con­va­li­data dal Mi­ni­stero com­pe­tente — al­lora Mi­BACT) dice chiaro e tondo che:
l’autografia del di­pinto e la sua cro­no­lo­gia non sono de­fi­ni­bili in base ad al­cun do­cu­mento ve­ri­fi­ca­bile e con­di­vi­si­bile.

An­che un bam­bino com­prende in­fatti che, in man­canza di un qual­si­vo­glia loro con­te­nuto, le espressioni/etichetta “at­tri­bu­zione, in base all’analisi sti­li­stica”, “cro­no­lo­gia 1840-1860 in base al con­te­sto”, si­gni­fi­cano sem­pli­ce­mente che gli esten­sori della Scheda:

a. non ave­vano al­cun ele­mento do­cu­men­tale cui fare ri­fe­ri­mento;
.
b. si sono li­mi­tati a ri­pe­tere la in­sulsa fra­setta del Ca­ta­logo Mazzocca/Daccò guar­dan­dosi dal fare an­che il mi­nimo sforzo di ana­lisi cri­tico-sto­rica;
.
c. per la cro­no­lo­gia hanno adot­tato il cri­te­rio dell’assurdo.

Bi­so­gna però ri­co­no­scere che la de­bo­lezza cri­tico-do­cu­men­tale della boc­cia­tura della au­to­gra­fia mol­te­niana so­ste­nuta da Mazzocca/Daccò ha al­meno avuto come ri­sul­tato la con­ver­sione cri­tico-ar­ti­stica di quest’ultimo.
Non ci ri­sulta in­fatti che il Di­ret­tore del Mu­seo Man­zo­niano di al­lora, il dot­tor Gian Luigi Daccò, ab­bia av­viato un ri­corso am­mi­ni­stra­tivo con­tro la sua collega/collaboratrice (il Re­fe­rente scien­ti­fico dot­to­ressa Bar­bara Cat­ta­neo) per avere scritto chiaro e tondo — con l’avallo della Re­gione Lom­bar­dia e del Mi­ni­stero com­pe­tente — che le sue af­fer­ma­zioni (di Daccò) su au­to­gra­fia e cro­no­lo­gia del di­pinto erano solo aria fritta.

Pos­siamo quindi de­durne che:

l’ipotesi alla base del nuovo mar­chio del Mu­seo Man­zo­niano — os­sia es­sere il di­pinto “di” Mol­teni — con­di­visa nel 2019 dalla me­de­sima Bar­bara Cat­ta­neo che nel 2008 e nel 2014 la aveva ne­gata, non ha al­cun va­lore;
.
che, ri­por­tati cor­ret­ta­mente i ter­mini della que­stione, qua­lun­que ul­te­riore af­fer­ma­zione di au­to­gra­fia mol­te­niana non mo­ti­vata con do­cu­menti con­di­vi­si­bili non solo non ha al­cun va­lore ma ap­pare an­che una vo­luta men­zo­gna.

Ne ten­gano conto Mauro Ros­setto (Di­ret­tore scien­ti­fico del Mu­seo Man­zo­niano, e primo re­spon­sa­bile della ri­pro­po­si­zione al pub­blico della già ri­cor­data aria fritta); Si­mona Piazza (As­ses­sore alla Cul­tura, ga­rante po­li­tico-isti­tu­zio­nale della me­de­sima som­mi­ni­stra­zione); Vir­gi­nio Bri­vio, che come Sin­daco della città è ine­vi­ta­bil­mente il re­spon­sa­bile in capo di tutta la farsa re­la­tiva al nuovo marchio.

E dopo la “re­tro­ces­sione” de­cisa nel 2008 da Lom­bar­dia Beni Cul­tu­rali — Mi­BACT che è ac­ca­duto di quel di­pinto? Come è stato poi considerato?

2.7 / Tira e molla: nel 2014, il ritratto è sugli stendardi della città ma nel 2015 viene cancellato dalla sua simbologia pubblica.

Nel 2014, per la ras­se­gna “Lecco città del Man­zoni” (l’ultima con que­sta de­no­mi­na­zione), ven­nero rea­liz­zati al­cuni sten­dardi in tela la cui scritta era ap­punto “Lecco città del Man­zoni” e l’immagine il no­stro ri­tratto “at­tri­bui­bile a Mol­teni, 1840-60”.

Un paio di que­sti sten­dardi ven­nero po­sti ai lati del can­cello di in­gresso del Mu­seo (al­lora si en­trava dal cor­tile “ru­stico”).
Que­sti sten­dardi ri­ma­sero lì ap­pesi a lungo an­che quando la ras­se­gna mutò di nome, non sap­piamo se per iner­zia o come sot­ter­ra­nea forma di re­si­stenza al par­ri­ci­dio cul­tu­rale com­messo nel 2014.

Si ri­cor­derà in­fatti che in quell’anno, su ini­zia­tiva dell’allora As­ses­sore alla Cul­tura Mi­chele Ta­vola e in vi­sta di Expo 2015, venne ap­pro­vata in Co­mune la De­li­bera Nu­mero 161 del 18.9.2014 con cui si mu­tava il nome del fe­sti­val da “Lecco città del Man­zoni” in “Lecco, città dei Pro­messi Sposi” — una data da ri­cor­dare come l’inizio della li­qui­da­zione della fi­gura sto­rica di Man­zoni dalla cul­tura della città.

Da quel mo­mento quel ri­tratto, con­no­tante nel 2014 la ma­ni­fe­sta­zione, venne so­sti­tuito da un in­si­gni­fi­cante mar­chio stile fu­metto ri­si­bil­mente rap­pre­sen­tante Renzo e Lu­cia, a con­ferma che l’orizzonte man­zo­niano in Lecco ve­niva li­mi­tato al solo ro­manzo, can­cel­lando il con­tri­buto di Man­zoni alla poe­sia, alla lin­gua, alla sto­ria, al di­ritto, alla po­li­tica, alla religione.

Una scelta in­con­ce­pi­bile ispi­rata forse dall’idea di imi­tare Ve­rona che ve­leg­gia sul piano tu­ri­stico con il duo Giu­lietta e Ro­meo.
Di fatto un sui­ci­dio cul­tu­rale in piena regola.

Il ri­tratto di Man­zoni, di Mol­teni o no, venne co­mun­que can­cel­lato dalla sim­bo­lo­gia pub­blica della città.
E poi, che ne fu?

2.7 / Tira e molla: nel 2014, il ritratto è sugli stendardi della città ma nel 2015 viene cancellato dalla sua simbologia pubblica.

Nel 2014, per la ras­se­gna “Lecco città del Man­zoni” (l’ultima con que­sta de­no­mi­na­zione), ven­nero rea­liz­zati al­cuni sten­dardi in tela la cui scritta era ap­punto “Lecco città del Man­zoni” e l’immagine il no­stro ri­tratto “at­tri­bui­bile a Mol­teni, 1840-60”.

Un paio di que­sti sten­dardi ven­nero po­sti ai lati del can­cello di in­gresso del Mu­seo (al­lora si en­trava dal cor­tile “ru­stico”).
Que­sti sten­dardi ri­ma­sero lì ap­pesi a lungo an­che quando la ras­se­gna mutò di nome, non sap­piamo se per iner­zia o come sot­ter­ra­nea forma di re­si­stenza al par­ri­ci­dio cul­tu­rale com­messo nel 2014.

Si ri­cor­derà in­fatti che in quell’anno, su ini­zia­tiva dell’allora As­ses­sore alla Cul­tura Mi­chele Ta­vola e in vi­sta di Expo 2015, venne ap­pro­vata in Co­mune la De­li­bera Nu­mero 161 del 18.9.2014 con cui si mu­tava il nome del fe­sti­val da “Lecco città del Man­zoni” in “Lecco, città dei Pro­messi Sposi” — una data da ri­cor­dare come quella dell’inizio della li­qui­da­zione della fi­gura sto­rica di Man­zoni dalla cul­tura della città.

Da quel mo­mento quel ri­tratto, con­no­tante nel 2014 la ma­ni­fe­sta­zione, venne so­sti­tuito da un in­si­gni­fi­cante mar­chio stile fu­metto ri­si­bil­mente rap­pre­sen­tante Renzo e Lu­cia, a con­ferma che l’orizzonte man­zo­niano in Lecco ve­niva li­mi­tato al solo ro­manzo, can­cel­lando il con­tri­buto di Man­zoni alla poe­sia, alla lin­gua, alla sto­ria, al di­ritto, alla po­li­tica, alla religione.

Una scelta in­con­ce­pi­bile ispi­rata forse dall’idea di imi­tare Ve­rona che ve­leg­gia sul piano tu­ri­stico con il duo Giu­lietta e Ro­meo.
Di fatto un sui­ci­dio cul­tu­rale in piena regola.

Il ri­tratto di Man­zoni, di Mol­teni o no, venne co­mun­que can­cel­lato dalla sim­bo­lo­gia pub­blica della città.
E poi, che ne fu?

2.8 / Continua l’altalena.
Nel 2018 una volenterosa rianimazione: dalla critica d’arte Bartolena il ritratto è addirittura dichiarato «firmato da Molteni».

Dopo un lu­stro di me­lan­co­nico oblio, il ri­tratto “at­tri­buito a Mol­teni, 1840-1860” è stato ri­por­tato a nuova e più lu­mi­nosa vita.

A Lecco (dal 20 ot­to­bre 2019 al 20 gen­naio 2019) si è te­nuta la mo­stra “Ot­to­cento Lom­bardo”, pa­tro­ci­nata dal Co­mune di Lecco, or­ga­niz­zata dalla so­cietà ViDi Srl di Mi­lano e cu­rata dall’esperta d’arte Si­mona Bar­to­lena (su que­sta mo­stra vedi il no­stro com­mento, Ot­to­cento Lom­bardo a Lecco: oc­ca­sione spre­cata).

In que­sta mo­stra il no­stro di­pinto, dal Re­fe­rente scien­ti­fico Cat­ta­neo uf­fi­cial­mente solo “at­tri­bui­bile” a Mol­teni, è stato pre­sen­tato al pub­blico nuo­va­mente come “DI” Mol­teni, dan­do­gli il po­sto d’onore all’inizio della mo­stra nella se­zione “Omag­gio a Manzoni”.

È da no­tare che, evi­den­te­mente sulla base di una ana­lisi ben pon­de­rata, la cri­tica d’arte Si­mona Bar­lo­lena non solo ha igno­rato la Scheda uf­fi­ciale (in cui il di­pinto è de­fi­nito solo “at­tri­bui­bile” a Mol­teni) ma non si è ri­spar­miata e con sprezzo del ri­di­colo, sul pan­nello di pre­sen­ta­zione che mo­striamo ha scritto (sot­to­li­nea­tura nostra):

«Ac­canto al Ri­tratto di Man­zoni fir­mato da Giu­seppe Mol­teni è espo­sta la splen­dida ver­sione di Fran­ce­sco Hayez della Mo­naca di Monza, sog­getto ap­prez­za­tis­simo dai pit­tori del tempo.».

Il vi­si­ta­tore, leg­gendo que­ste pa­role, si è certo con­vinto che di fronte ai suoi oc­chi era espo­sto un ri­tratto ine­dito di Man­zoni che il pit­tore Mol­teni aveva vo­luto con­no­tare ap­po­nen­dovi la pro­pria firma (cosa per lui inu­suale).
È vero che an­che a guar­dare con at­ten­zione il vi­si­ta­tore non riu­sciva a di­stin­guere bene dove fosse quella firma di Mol­teni, ma se lo aveva scritto l’esperta d’arte Bar­to­lena, da qual­che parte quella firma do­veva si­cu­ra­mente es­serci (scher­ziamo na­tu­ral­mente, ma non troppo: in certi am­biti il tra­slato non può es­sere usato a vanvera).

In quella mo­stra “Ot­to­cento Lom­bardo” il di­pinto “La Mo­naca” era stato pre­sen­tato come “di” Hayez sulla base di una pe­ri­zia del Pro­fes­sor Maz­zocca.
Il ri­tratto di Man­zoni era in­vece di­chia­rato da Bar­to­lena come “fir­mato” da Molteni.

Gra­zie a una no­stra ana­lisi do­cu­men­tata e con­clu­siva (che per al­tri aspetti ci aveva at­ti­rato da parte della Bar­to­lena una mi­nac­cia di que­rela) quel di­pinto “La Mo­naca” è ri­sul­tato NON di Hayez ma di au­tore tutto da de­fi­nire (vedi qui il no­stro com­mento).

Chie­diamo al let­tore di se­guirci an­cora un poco per com­pren­dere come del pari l’autografia mol­te­niana del Ri­tratto di Man­zoni, ri­ba­dita ol­tre che da Maz­zocca e Daccò an­che da Bar­to­lena, sia de­sti­tuita di qual­si­vo­glia fondamento.

Nel caso il let­tore ri­tenga che da parte no­stra vi sia troppa in­si­stenza su que­sti “det­ta­gli” nel de­fi­nire l’autografia di un ri­tratto di cui tutto som­mato nes­suno parla, qui sotto mo­striamo come se­guendo l’esempio di sti­mati cri­tici e sto­rici dell’arte (come sono in­du­bi­ta­bil­mente Maz­zocca e Bar­to­lena) che enun­ciano at­tri­bu­zioni senza pre­oc­cu­parsi di por­tare il mi­nimo ar­go­mento a so­ste­gno, al­cuni sog­getti pos­sono sen­tirsi a loro volta au­to­riz­zati a que­sta o quella del tutto gra­tuita af­fer­ma­zione, in una pa­ros­si­stica gara a chi le spara più grosse.

2.9 / A oggi, fine luglio 2020, il “Millantato Molteni di Lecco” è stato arricchito di nuove fantastiche determinazioni proprio da chi, indipendentemente dall’autore, dovrebbe custodirne la corretta fisionomia culturale.

Forse con­for­tata dall’esempio dei noti cri­tici d’arte so­pra ci­tati, e con­sta­tato che a chi rac­conta fa­vole tutto som­mato non suc­cede nulla, la Di­re­zione Scien­ti­fica del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco ha pen­sato bene di non ri­ma­nere nelle ul­time po­si­zioni e di por­tarsi anzi un poco avanti nell’inventare panzane.

Sul sito di Si­MUL, nella pa­gina de­di­cata al Mu­seo Man­zo­niano è in­fatti scritto (evi­den­zia­zioni nostre):

«La sala 3 ri­co­strui­sce lo stu­dio di Man­zoni […]. Sono pre­senti al­cuni og­getti per­so­nali, come la fa­mosa ta­bac­chiera e il ri­tratto che Giu­seppe Mol­teni di­pinse per lo scrit­tore.»

Sì! avete letto bene: «al­cuni og­getti per­so­nali […] come il ri­tratto che Giu­seppe Mol­teni di­pinse per lo scrittore.»

Per chiun­que ma­sti­chi an­che un po­chino la lin­gua ita­liana, è chiaro che con que­sta fra­sina la Di­re­zione Scien­ti­fica del Mu­seo, rom­pendo fi­nal­mente gli in­dugi, non solo dice al pub­blico del Web (4,39 mi­liardi di utenti) che il ri­tratto è in­du­bi­ta­bil­mente “DI” Mol­teni, ma in­duce il let­tore an­che all’idea che fu pro­prio Man­zoni a com­mis­so­nar­glielo, cu­sto­den­dolo poi sem­pre come ca­ris­simo ri­cordo. .
Su que­sto po­vero e mo­de­sto di­pinto il Di­ret­tore Scien­ti­fico ha così inau­gu­rato la sta­gione delle palle all’ingrosso — tanto l’Assessore alla Cul­tura pensa ad al­tro e il Sin­daco pure.

A chi ci ri­te­nesse pre­ve­nuti e ten­den­ziosi, sug­ge­riamo di leg­gere il ca­pi­tolo fi­nale di que­sta no­stra nota, de­di­cato agli ul­timi “ag­gior­na­menti” sul “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” a opera della Di­re­zione Scien­ti­fica del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco.

Quanto lì scri­viamo non sarà forse gra­dito da tutti; ma quando si su­pera il se­gno, è ob­bligo per chiun­que ab­bia a cuore la cul­tura man­zo­niana della città dire pane al pane e cer­care di sti­mo­lare nei re­spon­sa­bili mu­seali al­meno un poco di buon senso.

Sa­rebbe ora di darci un ta­glio!
An­che per­ché certe bag­gia­nate sem­brano pen­sate e pro­po­ste quasi a ir­ri­sione dei let­tori / vi­si­ta­tori del Mu­seo, con­si­de­rati come al­loc­chi in­ca­paci di di­scer­nere il vero dalla fan­ta­sia da im­bo­ni­tori che sem­bra ani­marne la Di­re­zione scientifica.

2.9 / Intanto, riassumendo comunque questa seconda sezione, dedicata alla presunta rappresentatività del ritratto di Lecco, senza alcun argomento a sostegno spudoratamente detto “DI” Molteni ….

pos­siamo dire che in 32 anni (dal 1987, do­na­zione al Mu­seo Man­zo­niano di Lecco, al 2019), il ri­tratto in questione:

a. per 19 anni (1987-2006) è stato com­ple­ta­mente igno­rato da tutti (trat­tan­done mar­gi­nal­mente, Daccò lo dava come “at­tri­buito” a Mol­teni);
.
b. nel 2006 da Maz­zocca / Daccò è stato uf­fi­cial­mente pre­sen­tato in pub­blico come “DI” Mol­teni;
.
c. nel 2008 l’autografia mol­te­niana è stata ri­con­fer­mata da Daccò nella pre­sen­ta­zione a stampa del Mu­seo Man­zo­niano;
.
d. nello stesso 2008 è stata smen­tita da Cat­ta­neo a nome di Lom­bar­dia Beni Cul­tu­rali — Mi­BACT;
.
e. nel 2014 il ri­tratto è stato po­sto a sim­bolo della ma­ni­fe­sta­zione “Lecco, città di Man­zoni”;
.
f. nel 2015, can­cel­lata la ma­ni­fe­sta­zione, è stato in­vece so­sti­tuito dal fu­metto Renzo e Lu­cia come sim­bolo della nuova ma­ni­fe­sta­zione “Lecco, città dei Pro­messi Sposi”;
.
g. nel 2018 il ri­tratto è stato pre­sen­tato da Bar­to­lena alla mo­stra “Ot­to­cento Lom­bardo” come “fir­mato” da Mol­teni;
.
h. nel 2019 è stato di­chia­rato da Bri­vio-Piazza / Ros­setto-Cat­ta­neo-Ne­gri “sim­bolo del Mu­seo Man­zo­niano” e, na­tu­ral­mente, “DI” Mol­teni;
.
i. su di esso è stato esem­plato il nuovo mar­chio che ta­glia la fac­cia a Man­zoni;
.
l. sul sito Web di Si­MUL è ora so­ste­nuta la fan­ta­sia se­condo cui il di­pinto sa­rebbe stato da Man­zoni cu­sto­dito come uno dei più cari og­getti personali.

Come si vede, in solo tre de­cenni quel po­vero ri­tratto ne ha vi­ste di tutti i co­lori, gra­zie alla fan­ta­sia dei vari cu­ra­tori del Mu­seo Man­zo­niano e soci.
Ma non è fi­nita purtroppo.

Im­me­dia­ta­mente qui sotto il­lu­stre­remo per­ché quel ri­tratto, ora ver­go­gno­sa­mente spac­ciato come “DI” Mol­teni da quo­tati pro­fes­sio­ni­sti della cul­tura ar­ti­stica e fun­zio­nari pub­blici, non solo non può es­sere con­si­de­rato “DI” Mol­teni ma a lui nep­pure “at­tri­bui­bile”, con buona pace di Maz­zocca, Daccò, Bar­to­lena e com­pa­gnia di giro dei Mu­sei lecchesi.

Unica me­ri­to­ria ec­ce­zione alla mol­te­niana fre­gola at­tri­bu­tiva la re­cente (e tut­tora in corso) mo­stra “Man­zoni nel cuore” — Lecco, Pa­lazzo delle Paure, vo­luta e pro­mossa dalla As­so­cia­zione Bo­vara di Lecco.
Nel Ca­ta­logo della mo­stra (pe­ral­tro il di­pinto non è lì espo­sto) il ri­tratto di cui par­liamo è in­di­cato come “attr.” a Mol­teni, quanto meno col ri­spetto delle forme.

Lo di­ciamo solo come in­ciso: sa­rebbe stato au­spi­ca­bile che gli or­ga­niz­za­tori della mo­stra aves­sero man­te­nuto la me­de­sima pru­denza an­che per l’altro “ine­dito” ri­tratto di Man­zoni (que­sto in­vece espo­sto alla mo­stra), anch’esso di­chia­rato “DI” Mol­teni da Ser­gio Re­bora; anch’esso senza al­cuna do­cu­men­ta­zione a sup­porto ma con l’incoraggiamento en­tu­sia­stico di Maz­zocca e Casa del Man­zoni di Mi­lano, che forse vor­rebbe fregiarsene.

Ecco un al­tro caso di at­tri­bu­zione d’imperio, una abi­tu­dine pes­sima e poco com­men­de­vole an­che sotto il pro­filo mo­rale (ci sono però an­che aspetti di di­versa na­tura) cui sa­rebbe bene gli “esperti” si aste­nes­sero (l’unico con­ten­tone è na­tu­ral­mente il pro­prie­ta­rio del di­pinto).
Ma su que­sto a breve una no­stra cor­posa nota.

Pas­siamo ora a il­lu­strare per­ché il “ri­tratto di Lecco” non può es­sere detto “DI” Mol­teni e nep­pure a lui an­che solo “ATTRIBUIBILE”.

Di­vi­de­remo l’argomentazione in tre parti:

— il di­pinto non può es­sere di Mol­teni per evi­denti e note ra­gioni re­la­zio­nali;
.
— il di­pinto non può es­sere di Mol­teni per ra­gioni di stile pit­to­rico;
.
— il di­pinto non può es­sere di Mol­teni per ra­gioni cronologiche.

3. Quel dipinto non può essere di Molteni per evidenti e note ragioni relazionali.

3.1 / Questa la domanda: dopo la diffida ricevuta da Manzoni nel 1835, è verosimile che Molteni abbia continuato a produrre ritratti dello scrittore (ovviamente a sua insaputa)?

In man­canza di do­cu­menti di­retti che at­te­stino l’autografia mol­te­niana per il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” è op­por­tuno pro­ce­dere su di­versi livelli.

Prima di tutto chie­den­dosi con quali obiet­tivi e con­di­zioni di spi­rito Mol­teni avrebbe po­tuto pen­sare di rea­liz­zare nuovi ri­tratti di Man­zoni dopo l’esperienza non gra­de­vole del 1835.

Man­zoni a Mol­teni
(dal te­sto pub­bli­cato su Il Sole 24 Ore, 21/07/1996 — in [pa­ren­tesi qua­dra] le dif­for­mità ri­scon­tra­bili nel te­sto pre­di­spo­sto sem­pre da Maz­zocca per il Ca­ta­logo Mol­teni 2000).

«Chia­ris­simo e Pre­gia­tis­simo Si­gnore,
È per me un vero di­spia­cere il do­verle di­sub­bi­dire in che che sia, ma è il solo ch’io possa sen­tire in que­sta oc­ca­sione. Quanto alla co­scienza, me ne rido: e, a par­larne con quella li­bertà ch’Ella mi con­cede, non so qual sia più sin­go­lare, o l’errore della sua mo­de­stia che le fa cre­dere avere i suoi la­vori e la sua ri­pu­ta­zione bi­so­gno di aiuti estrin­seci, o l’errore della sua in­dul­genza che le fa im­ma­gi­nare che in [un] qual­che aiuto possa ve­nir da me a chi ne avesse real­mente bi­so­gno. Del ri­ma­nente, quando a d’Azeglio venne il ca­pric­cio di vo­lere su una tela un po­vero sog­getto e un la­voro squi­sito, io gli pro­te­stai che la cosa do­veva ri­ma­nere pri­va­tis­sima, e sem­pre che ne venne il di­scorso, ho escluso espres­sa­mente l’esposizione. Certo, co­de­sto ri­tratto è una gran bella cosa; ma che sono di gra­zia, l’altre ch’Ella sta per esporre? Lo do­mandi [do­mando] agli al­tri, non a sé; si con­tenti di ce­dere alle mie troppo [troppe] buone ra­gioni, e con­ti­nui a gra­dire i sen­ti­menti d’alta stima coi quali mi pre­gio di rassegnarmele.

Bru­su­glio, 6 sett.e 1835.
Dev​.mo ubb​.mo ser­vi­tore
Ales­san­dro Manzoni

Ab­biamo già ri­por­tato so­pra come Maz­zocca, nelle ri­cor­date mo­stre del 2000 e del 2006, ab­bia dato am­pio spa­zio alla let­tera con cui Man­zoni il 6 set­tem­bre 1835 dif­fi­dava Mol­teni dal pre­sen­tare al pub­blico il ri­tratto steso con d’Azeglio.

Qui pre­sen­tiamo l’ampia pa­gina de “Il Sole 24 Ore” del 21 lu­glio 1996 su cui Maz­zocca pub­blicò l’inedito do­cu­mento, met­tendo a te­sto la let­tera di Man­zoni; di que­sta ab­biamo ri­por­tato an­che una di­versa tra­scri­zione (tre le dif­for­mità) se­condo quanto ri­por­tato (sem­pre da Maz­zocca) nel Ca­ta­logo Mol­teni 2000.
Un in­ciso: non sa­rebbe male se Maz­zocca ren­desse pub­blico l’autografo di Man­zoni: fran­ca­mente la frase “Quanto alla co­scienza, me ne rido” ci la­scia un po’ per­plessi — ci sem­bra che sulla “co­scienza” Man­zoni non scher­zasse nep­pure a Carnevale.

Co­mun­que sia, nella sua ana­lisi Maz­zocca (pur dando col ti­tolo — “Don Li­san­der im­mor­ta­lato con­tro­vo­glia” — una sug­ge­stione tutta nel solco della ba­nale vul­gata di una idio­sin­cra­sia di Man­zoni al farsi ri­trarre — cosa con­tra­ria alla realtà dei fatti e ne­gata re­ci­sa­mente in do­cu­menti più che at­ten­di­bili) sot­to­li­neava giu­sta­mente la pre­oc­cu­pa­zione di Man­zoni di ve­dere il pro­prio ri­tratto ri­pro­dotto in mi­gliaia di co­pie cal­co­gra­fi­che (se avesse dato l’assenso alla pre­sen­ta­zione in pub­blico del suo ri­tratto, Man­zoni non avrebbe poi po­tuto im­pe­dirne la dif­fu­sione con qual­siasi al­tro mezzo — ri­cor­diamo che il com­mit­tente e pro­prie­ta­rio del di­pinto era d’Azeglio).

Maz­zocca però igno­rava com­ple­ta­mente un al­tro aspetto della que­stione (gli sto­rici dell’arte spesso si di­men­ti­cano di do­ver es­sere prima di tutto per l’appunto “sto­rici” e di do­vere guar­dare quindi an­che alle con­di­zioni po­li­ti­che nelle quali e delle quali l’arte vive a pieno titolo).

Se­condo i pro­grammi della cop­pia Mol­teni /d’Azeglio il ri­tratto di Man­zoni avrebbe in­fatti do­vuto es­ser espo­sto al pub­blico in un mo­mento par­ti­co­lare.
L’annuale espo­si­zione di Brera, che si te­neva tra set­tem­bre e ot­to­bre, quell’anno sa­rebbe stata ine­vi­ta­bil­mente ca­rat­te­riz­zata da un evento im­por­tan­tis­simo per l’intero Im­pero d’Austria: il 2 marzo 1835 era suc­ce­duto al de­funto Fran­ce­sco I d’Austria il fi­glio pri­mo­ge­nito Fer­di­nando I d’Asburgo Lo­rena (fra­tello di Ma­ria Luisa, la mo­glie di Na­po­leone Bo­na­parte), un mi­no­rato men­tale nel senso cli­nico dell’espressione, alla cui om­bra era stato po­sto a go­ver­nare un co­mi­tato se­greto di quat­tro per­sone tra cui Met­ter­nich e Ko­lo­w­rat, lo stesso che nel 1837 or­dinò a Mol­teni il fa­moso “Spaz­za­ca­mino”.

Mi­no­rato o meno, Fer­di­nando I era co­mun­que l’Imperatore d’Austria. E in­fatti Mol­teni, che per l’esposizione di Brera aveva pre­pa­rato ben 18 di­pinti, non aveva man­cato di pro­durre (ol­tre al ri­tratto di Man­zoni) an­che il ri­tratto del Go­ver­na­tore au­striaco della Lom­bar­dia, Conte Har­tig, na­tu­ral­mente su com­mis­sione, dando mano al suo so­lito ap­pa­rato di ten­daggi e grandi vasi.

Ab­biamo già ri­por­tato so­pra come Maz­zocca, nelle ri­cor­date mo­stre del 2000 e del 2006, ab­bia dato am­pio spa­zio alla let­tera con cui Man­zoni il 6 set­tem­bre 1835 dif­fi­dava Mol­teni dal pre­sen­tare al pub­blico il ri­tratto steso con d’Azeglio.

Qui sotto pre­sen­tiamo l’ampia pa­gina de “Il Sole 24 Ore” del 21 lu­glio 1996 su cui Maz­zocca pub­blicò l’inedito do­cu­mento, met­tendo a te­sto la let­tera di Man­zoni; di que­sta ab­biamo ri­por­tato an­che una di­versa tra­scri­zione (tre le dif­for­mità) se­condo quanto ri­por­tato (sem­pre da Maz­zocca) nel Ca­ta­logo Mol­teni 2000.
Un in­ciso: non sa­rebbe male se Maz­zocca ren­desse pub­blico l’autografo di Man­zoni: fran­ca­mente la frase “Quanto alla co­scienza, me ne rido” ci la­scia un po’ per­plessi — ci sem­bra che sulla “co­scienza” Man­zoni non scherzasse.

Man­zoni a Mol­teni
(dal te­sto pub­bli­cato su Il Sole 24 Ore, 21/07/1996 — in [pa­ren­tesi qua­dra] le dif­for­mità ri­scon­tra­bili nel te­sto pre­di­spo­sto sem­pre da Maz­zocca per il Ca­ta­logo Mol­teni 2000).

«Chia­ris­simo e Pre­gia­tis­simo Si­gnore,
È per me un vero di­spia­cere il do­verle di­sub­bi­dire in che che sia, ma è il solo ch’io possa sen­tire in que­sta oc­ca­sione. Quanto alla co­scienza, me ne rido: e, a par­larne con quella li­bertà ch’Ella mi con­cede, non so qual sia più sin­go­lare, o l’errore della sua mo­de­stia che le fa cre­dere avere i suoi la­vori e la sua ri­pu­ta­zione bi­so­gno di aiuti estrin­seci, o l’errore della sua in­dul­genza che le fa im­ma­gi­nare che in [un] qual­che aiuto possa ve­nir da me a chi ne avesse real­mente bi­so­gno. Del ri­ma­nente, quando a d’Azeglio venne il ca­pric­cio di vo­lere su una tela un po­vero sog­getto e un la­voro squi­sito, io gli pro­te­stai che la cosa do­veva ri­ma­nere pri­va­tis­sima, e sem­pre che ne venne il di­scorso, ho escluso espres­sa­mente l’esposizione. Certo, co­de­sto ri­tratto è una gran bella cosa; ma che sono di gra­zia, l’altre ch’Ella sta per esporre? Lo do­mandi [do­mando] agli al­tri, non a sé; si con­tenti di ce­dere alle mie troppo [troppe] buone ra­gioni, e con­ti­nui a gra­dire i sen­ti­menti d’alta stima coi quali mi pre­gio di rassegnarmele.

Bru­su­glio, 6 sett.e 1835.
Dev​.mo ubb​.mo ser­vi­tore
Ales­san­dro Manzoni

Co­mun­que sia, nella sua ana­lisi Maz­zocca (pur dando col ti­tolo — “Don Li­san­der im­mor­ta­lato con­tro­vo­glia” — una sug­ge­stione tutta nel solco della ba­nale vul­gata di una idio­sin­cra­sia di Man­zoni al farsi ri­trarre — cosa con­tra­ria alla realtà dei fatti e ne­gata re­ci­sa­mente in do­cu­menti più che at­ten­di­bili) sot­to­li­neava giu­sta­mente la pre­oc­cu­pa­zione di Man­zoni di ve­dere il pro­prio ri­tratto ri­pro­dotto in mi­gliaia di co­pie cal­co­gra­fi­che (se avesse dato l’assenso alla pre­sen­ta­zione in pub­blico del suo ri­tratto, Man­zoni non avrebbe poi po­tuto im­pe­dirne la dif­fu­sione con qual­siasi al­tro mezzo — ri­cor­diamo che il com­mit­tente e pro­prie­ta­rio del di­pinto era d’Azeglio).

Maz­zocca però igno­rava com­ple­ta­mente un al­tro aspetto della que­stione (gli sto­rici dell’arte spesso si di­men­ti­cano di do­ver es­sere prima di tutto per l’appunto “sto­rici” e di do­vere guar­dare quindi an­che alle con­di­zioni po­li­ti­che nelle quali e delle quali l’arte vive a pieno titolo).

Se­condo i pro­grammi della cop­pia Mol­teni /d’Azeglio il ri­tratto di Man­zoni avrebbe in­fatti do­vuto es­ser espo­sto al pub­blico in un mo­mento par­ti­co­lare.
L’annuale espo­si­zione di Brera, che si te­neva tra set­tem­bre e ot­to­bre, quell’anno sa­rebbe stata ine­vi­ta­bil­mente ca­rat­te­riz­zata da un evento im­por­tan­tis­simo per l’intero Im­pero d’Austria: il 2 marzo 1835 era suc­ce­duto al de­funto Fran­ce­sco I d’Austria il fi­glio pri­mo­ge­nito Fer­di­nando I d’Asburgo Lo­rena (fra­tello di Ma­ria Luisa, la mo­glie di Na­po­leone Bo­na­parte), un mi­no­rato men­tale nel senso cli­nico dell’espressione, alla cui om­bra era stato po­sto a go­ver­nare un co­mi­tato se­greto di quat­tro per­sone tra cui Met­ter­nich e Ko­lo­w­rat, lo stesso che nel 1837 or­dinò a Mol­teni il fa­moso “Spaz­za­ca­mino”.

Mi­no­rato o meno, Fer­di­nando I era co­mun­que l’Imperatore d’Austria. E in­fatti Mol­teni, che per l’esposizione di Brera aveva pre­pa­rato ben 18 di­pinti, non aveva man­cato di pro­durre (ol­tre al ri­tratto di Man­zoni) an­che il ri­tratto del Go­ver­na­tore au­striaco della Lom­bar­dia, Conte Har­tig, na­tu­ral­mente su com­mis­sione, dando mano al suo so­lito ap­pa­rato di ten­daggi e grandi vasi.

Ab­ba­stanza nor­male in­fatti che nell’augusto fran­gente po­li­tico il Go­ver­na­tore au­striaco te­nesse a che un pro­prio ri­tratto spic­casse nella fre­quen­ta­tis­sima espo­si­zione di Brera, a te­sti­mo­nianza della con­ti­nuità dell’aulico po­tere austriaco.

Se­condo lo stile il­lu­sio­ni­stico che gli era pro­prio, Mol­teni aveva steso a pre­ci­pi­zio un ac­cat­ti­vante ri­tratto di Har­tig, rin­gio­va­nen­dolo di dieci anni, dan­do­gli un aspetto an­cor più sim­pa­tico del reale e mo­stran­done vi­si­va­mente la grande vi­ci­nanza ed em­pa­tia nei con­fronti della Lom­bar­dia col met­tere in bella evi­denza sulla sua scri­va­nia la “Gaz­zetta di Mi­lano”.
Mol­teni di­pin­geva per tutti senza guar­dare alle que­stioni po­li­ti­che (ba­sta che pa­ghino bene!) e non si ri­spar­miava nel ri­trarre a ca­tena Im­pe­ra­tori, Re, Du­chesse, Prin­cipi, Ge­ne­rali, Go­ver­na­tori — che fos­sero poi de­spoti spesso stu­pidi e san­gui­nari non aveva una grande importanza.

Come noto, Man­zoni si era in­vece fatto un punto d’onore nel non per­met­tere che mai e per nes­suna ra­gione una qual­si­vo­glia di­visa au­striaca var­casse la so­glia della sua abi­ta­zione di Via Mo­rone; aveva quindi sem­pre re­spinto i ten­ta­tivi di coop­ta­zione cul­tu­rale messi in atto dai vari go­ver­nanti au­striaci di Mi­lano (tra cui per l’appunto Har­tig).
Si può quindi com­pren­dere con quale en­tu­sia­smo Man­zoni sarà ve­nuto a sa­pere nell’agosto del 1835 che il suo ri­tratto sa­rebbe stato espo­sto ma­gari a fianco di quello del Go­ver­na­tore au­striaco, per di più nel clima di fre­gola col­let­tiva ed os­se­quiante che ca­rat­te­riz­zava sem­pre l’arrivo di un nuovo Im­pe­ra­tore (la cosa vale an­che oggi).

An­che da qui cer­ta­mente la sua rea­zione così netta al pro­getto Molteni/d’Azeglio e la messa in guar­dia molto de­cisa nei con­fronti di Mol­teni: a esporre in pub­blico — e in quelle cir­co­stanze — il mio ri­tratto non ci pen­sare nean­che di sfuggita.

A fronte di una po­si­zione così netta da parte di Man­zoni, ri­spet­tato in Mi­lano an­che dai po­chi suoi av­ver­sari, ri­sulta molto dif­fi­cile pen­sare con quali obiet­tivi e con quale fac­cia il pur di­sin­volto ri­trat­ti­sta Mol­teni avrebbe po­tuto in qual­siasi mo­mento dei trent’anni suc­ces­sivi a quel poco sim­pa­tico 1835 an­che solo pen­sare di met­tere nuo­va­mente le mani sull’immagine di Manzoni.

Ab­biamo vi­sto che Daccò si è la­sciato an­dare a fis­sare una cro­no­lo­gia al 1845 — una cosa ri­di­cola come ve­dremo me­glio più avanti.

Ma nell’ipotesi as­surda che Mol­teni avesse rea­liz­zato na­sco­sta­mente quel ri­tratto dieci anni dopo il con­tra­sto con Man­zoni, che van­tag­gio ne avrebbe avuto?
Se la cosa fosse ri­ma­sta as­so­lu­ta­mente se­greta, avrebbe solo gua­da­gnato qual­che lira dal com­mit­tente — ma non ne aveva bi­so­gno: da un pezzo Mol­teni na­vi­gava alto in ter­mini di quattrini.

Se il ri­tratto fosse in­vece stato co­no­sciuto an­che da po­che per­sone, ine­vi­ta­bil­mente se ne sa­rebbe par­lato nella pic­cola Mi­lano di metà Ot­to­cento.
Non solo Mol­teni avrebbe fatto la parte del cial­trone (Man­zoni non ci avrebbe pen­sato due volte a scri­ver­gli un’altra let­te­rina delle sue, ma­gari sver­go­gnan­dolo pub­bli­ca­mente) ma il suo la­voro sa­rebbe stato im­me­dia­ta­mente pa­ra­go­nato all’eccellente ri­tratto “della ta­bac­chiera” che nel 1841 Hayez aveva rea­liz­zato pre­sen­tando una so­mi­glian­tis­sima im­ma­gine di Man­zoni (qui sotto met­tiamo a con­fronto sia i due di­pinti com­pleti sia il par­ti­co­lare dei volti).

Il raf­fronto tra i due la­vori avrebbe ri­di­co­liz­zato Mol­teni, fa­cen­dolo ca­pi­tom­bo­lare dal po­dio de­gli ar­ti­sti di primo li­vello. Par­lia­moci chiaro: a pre­scin­dere da qual­siasi con­si­de­ra­zione, il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” è in­fatti pro­prio una porcheriola.

Tra l’altro, in quel 1835 Man­zoni era en­trato in un forte con­tra­sto an­che con d’Azeglio — anzi, l’asprezza del con­tra­sto con Mol­teni era stata cer­ta­mente de­ter­mi­nata an­che dall’urto molto forte tra ge­nero e suo­cero.
Ma in fa­mi­glia la frat­tura si era ri­com­po­sta re­la­ti­va­mente in fretta e d’Azeglio era stato riam­messo (sep­pure con una certa cau­tela) nell’intimità dei Man­zoni (era pur sem­pre pa­dre della pic­cola ni­po­tina di Alessandro).

Dal mo­mento che Mol­teni con d’Azeglio man­tenne sem­pre fino alla morte di quest’ultimo (1866) un buon rap­porto di ami­ci­zia (d’Azeglio Mi­ni­stro gli fa­ceva bo­na­ria­mente da “agente” nell’ambiente po­li­tico-isti­tu­zio­nale del Re­gno di Sar­de­gna), è al­ta­mente im­pro­ba­bile che Mol­teni po­tesse la­sciarsi an­dare a una me­dio­cre ope­ra­zione com­mer­ciale, quale po­teva es­sere l’esecuzione di un ri­tratto di Man­zoni non solo “estorto” ma an­che steso in con­tra­sto con l’effigiato, che avrebbe tra l’altro messo in dif­fi­coltà l’amico nei con­fronti di tutta la fa­mi­glia Man­zoni, rin­ver­dendo gli ele­menti della vec­chia rottura.

3.2 / Riassumiamo le considerazioni relazionali che impongono di scartare decisamente l’idea che il ritratto sia opera di Molteni …

a. Nel 1835 Mol­teni aveva rea­liz­zato con d’Azeglio il ri­tratto di Man­zoni; il quale aveva con­sen­tito con l’intesa che il di­pinto sa­rebbe ri­ma­sto in am­bito famigliare.

b. Mol­teni e d’Azeglio ave­vano in­vece in mente di pro­porlo alla espo­si­zione an­nuale di Brera. Ciò avrebbe dato via li­bera alla sua ri­pro­du­zione cal­co­gra­fica in grandi ti­ra­ture.
Mol­teni avrebbe por­tato il ri­tratto di Man­zoni as­sieme a quello del Go­ver­na­tore au­striaco Har­tig in un mo­mento po­li­tico particolare.

c. Man­zoni, con­tra­ris­simo per ov­vie ra­gioni alla stampa in­di­scri­mi­nata della pro­pria im­ma­gine e an­cor più ad ap­pa­rire a fianco del Go­ver­na­tore au­striaco (sa­rebbe parsa una resa dell’inflessibile pa­triota lom­bardo), im­pose a Mol­teni di non farne nulla.

d. La cop­pia Mol­teni / d’Azeglio do­vette ab­boz­zare e il ri­tratto ri­mase nelle abi­ta­zioni dei d’Azeglio per ol­tre 120 anni. Mol­teni non ebbe più rap­porti con Manzoni.

e. Vi­sti i pre­ce­denti, un nuovo ri­tratto di Man­zoni rea­liz­zato da Mol­teni (o più di uno, come si vuole ora fare cre­dere), gli avrebbe at­ti­rato il di­scre­dito ge­ne­rale. L’inevitabile raf­fronto con l’eccellente ri­tratto di Hayez del 1841 lo avrebbe inol­tre umi­liato come ar­ti­sta: il ri­tratto di Lecco è di una scon­so­lante mediocrità.

No! È da esclu­dere, per que­ste e tante al­tre ra­gioni che ogni let­tore può pen­sare da sé, la pos­si­bi­lità che Mol­teni si sia la­sciato con­vin­cere da qual­cuno a fare un nuovo ri­tratto a Manzoni!

4. Quel dipinto non può essere di Molteni per evidenti incompatibilità di stile.

4.1 / Il “Millantato Molteni di Lecco” non ha nulla a che vedere con gli schemi ritrattistici di Molteni, il pittore delle ben definite campiture e dell’empatia.

Nei con­tri­buti di Maz­zocca e de­gli al­tri au­tori del Ca­ta­logo “Mol­teni 2000” già ci­tato, ven­gono ri­prese le espres­sioni con cui i com­men­ta­tori coevi de­scri­ve­vano le pro­du­zione di Mol­teni sulle gaz­zette, le ri­vi­ste, gli album.

I cri­tici suoi con­tem­po­ra­nei (an­che quelli che gli erano amici) lo am­mi­ra­vano per la bril­lante va­rietà della ta­vo­lozza e la fa­ci­lità del pen­nello ma in­sieme ne co­glie­vano la de­bo­lezza cul­tu­rale e la man­canza di pro­spet­tiva etica.

Caimi (che lo fre­quentò a lungo e per cui ebbe sim­pa­tia) nel suo di­scorso in me­mo­ria nel 1867 parla di un man­cato com­ple­ta­mento della for­ma­zione ac­ca­de­mica di Mol­teni. Era un modo con­ven­zio­nale (ma an­che molto ami­che­vole) per dire e non dire del vero li­mite di Mol­teni: la de­bo­lezza nell’esprimere con­te­nuti utili allo svi­luppo dello spet­ta­tore e non solo su­per­fi­cial­mente godibili.

Al­cuni os­ser­va­tori col­gono cer­ta­mente l’essenza del Mol­teni “crea­tivo” (per in­ten­derci, non quello im­pe­gnato nel re­stauro della crea­ti­vità al­trui) quando ne evi­den­ziano l’attenzione co­stante al det­ta­glio di or­na­mento, ab­bi­glia­mento o am­biente ca­rat­te­riz­zante l’effigiato.

E in ef­fetti come ri­trat­ti­sta Mol­teni sa­peva co­piare (ri-trarre, ap­punto) in modo ef­fi­cace; co­piare sia gli ele­menti della fi­sio­no­mia de­gli ef­fi­giati sia gli am­bienti del loro vi­vere sia i det­ta­gli tesi a ca­rat­te­riz­zarne l’appartenenza sociale.

Nel pre­sen­tare le donne ba­dava ai tes­suti, ai gio­ielli, agli ar­re­da­menti; con gli uo­mini sce­glieva ri­chiami più so­bri ma sem­pre con grande at­ten­zione al det­ta­glio (spille, na­stri di de­co­ra­zioni, ecc.) e una straor­di­na­ria ca­pa­cità di rap­pre­sen­tarli sulla tela.

Il suo era un modo di pit­tura cer­ta­mente ac­cat­ti­vante: sem­plice da ca­pire e tale che an­che i non in­ten­di­tori po­te­vano e pos­sono co­glierne age­vol­mente la strut­tura — e ap­prez­zarla: pos­siamo de­fi­nirlo un pit­tore dalla fa­cile ri­co­no­sci­bi­lità e dell’empatia.

Su­scita in noi quel pia­cere un poco in­fan­tile del rav­vi­sare gli og­getti del no­stro quo­ti­diano che, tra­sfor­mati dal pit­tore, ci ap­pa­iono molto più at­traenti che nella realtà o in fo­to­gra­fia: la ca­pa­cità dell’artista li rende vivi e sim­pa­te­tici con il no­stro es­sere nel mondo.

E que­sto vale an­che per le fi­sio­no­mie che of­friva ai suoi am­mi­ra­tori: quando ve­de­vano quel volto lo ri­co­no­sce­vano: era l’avvocato con cui ave­vano ogni tanto a che fare; era il si­gnore del pa­lazzo ac­canto, con quella mo­glie un po’ in carne ma così gra­ziosa; era il gio­va­notto ele­gante che in­con­tra­vano per via o in­trav­ve­de­vano al caffè; era la si­gnora già ma­tura e sem­pre af­fa­sci­nante che tro­va­vano ne­gli in­con­tri mon­dani o al teatro.

Erano tutte fi­gure che ap­par­te­ne­vano al vis­suto col­let­tivo di al­lora; e che an­cora ora ci danno si­cu­rezza e pia­cere per­ché in loro ri­co­no­sciamo il no­stro mondo e noi stessi.

I ri­tratti di Mol­teni sono inol­tre sem­pre ben de­fi­niti nella forma; le cam­pi­ture di co­lore ben di­stin­gui­bili; le espres­sioni non equi­vo­ca­bili; i volti che ci pre­senta sono vivi e ras­si­cu­ranti: per essi pro­viamo em­pa­tia an­che quando ap­par­ten­gono a uo­mini “se­riosi” per età e ruolo sociale.

Per que­sto il Mol­teni ri­trat­ti­sta era — ed è — un pit­tore che si fa amare.
Non ci in­se­gna nulla; non ci spinge a nulla ma ci piace ugualmente.

4.2 / Ritratti a confronto: da una parte luce, colore, vivacità, segno ben definito, brillanti dettagli — domina la simpatia.
Dall’altra grigiore, monotonia, segno indefinito, nessun elemento attrattivo — nessun coinvolgimento emotivo, anzi istintiva repulsione.

La ta­vo­lozza di Mol­teni era am­pia e so­lare; amava i con­tra­sti e i vi­vaci ac­co­sta­menti di colore.

A evi­den­ziare l’assurdità di at­tri­buire il “ri­tratto di Lecco” a Mol­teni, ac­canto a que­sto ne mo­striamo otto (que­sti sì di Mol­teni) anch’essi di fi­gure ma­schili, com­po­sti tra il 1829 e il 1852.
Di tutti que­sti otto ri­tratti mo­striamo sia l’opera nella sua in­te­rezza sia il par­ti­co­lare del volto dell’effigiato che af­fian­chiamo al “ri­tratto di Lecco” per un con­fronto forse non inutile.

Non bi­so­gna es­sere esperti per con­sta­tare im­me­dia­ta­mente come il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” sia agli an­ti­podi della at­traente ri­co­no­sci­bi­lità mol­te­niana, della sua di­stri­bu­zione delle cam­pi­ture di co­lore, della va­rietà e vi­va­cità della tavolozza.

Tranne l’imbarazzante ro­sato della car­na­gione, il ri­tratto di Lecco è in­vece pra­ti­ca­mente mo­no­cromo. Ap­pare inol­tre mo­no­tono, senza nep­pure uno de­gli ele­menti di at­tra­zione ot­tica con cui Mol­teni sa­peva cat­tu­rare l’occhio del ri­guar­dante e dare ai suoi ri­tratti quel tocco di at­trat­tiva in più che fa­ceva la differenza.

Pen­siamo non sia il caso di spen­dere al­tre pa­role per di­mo­strare che tra lo stile pit­to­rico del “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” e i ri­tratti rea­liz­zati dal vero Mol­teni nel corso della sua car­riera vi è un abisso di modi e qualità.

D’altra parte, è op­por­tuno ri­cor­dare che, no­mi­nato con­ser­va­tore delle II.RR. Gal­le­rie dell’Accademia di Brera, Mol­teni non si im­pe­gnò più nella ritrattistica.

Nel “Re­ge­sto delle opere” ela­bo­rato nel 2000 da Ser­gio Re­bora (Ca­ta­logo “Mol­teni 2000”, p. 227-240 — ci sem­bra un la­voro da con­si­de­rare quasi con­clu­sivo per la co­no­scenza dell’opera com­ples­siva di Mol­teni) an­cora al 1855 si danno otto ri­tratti ese­guiti dal pit­tore mi­la­nese.
Nel 1859 in­vece niente ri­tratti: solo una scena di ge­nere (“La pi­tocca della chiesa”) e “Una beata ver­gine orante”. Poi più nulla che si possa chia­mare di “in­ven­zione”.

Te­sti­mo­nianze af­fi­da­bili ci di­cono in­fatti che dopo il 1859 Mol­teni si de­dicò esclu­si­va­mente a in­ter­venti di re­stauro o per l’Accademia o per pri­vati come Poldi Pez­zoli (vedi Caimi nel suo di­scorso di fine 1867 in ri­cordo dell’artista).
E ciò co­mun­que fino al 1865 — dopo di al­lora la ma­lat­tia che lo portò con sof­fe­renza alla morte non gli con­sentì pra­ti­ca­mente di pro­durre più alcunché.

Ve­ra­mente dif­fi­cile pen­sare che Mol­teni, scelto di ab­ban­do­nare nel 1859 la ri­trat­ti­stica e in ge­ne­rale il la­voro di in­ven­zione, si de­di­casse a rea­liz­zare di na­sco­sto un pes­simo ri­tratto di Man­zoni che già un ven­ten­nio prima lo aveva aper­ta­mente dif­fi­dato dall’occuparsi ol­tre della sua figura.

Ma an­diamo avanti!

In­fatti, pur non sot­to­va­lu­tando le con­si­de­ra­zioni di stile (se con­dotte con se­rietà an­che que­ste sono os­ser­va­zioni del reale) è op­por­tuno evi­den­ziare al­tri ele­menti che so­sten­gono in modo se­rio il no­stro dis­senso ri­spetto alla mil­lan­tata au­to­gra­fia mol­te­niana del me­dio­cre ri­tratto di Man­zoni, re­cen­te­mente pro­mosso a “sim­bolo” e/o “icona” del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco.

4.3 / Procederemo quindi indicando prima di tutto il “modello” su cui è stato esemplato il “Millantato Molteni di Lecco”.

Escluso per troppo ov­vie ra­gioni che quello di Lecco sia un ri­tratto au­to­riz­zato da Man­zoni, dob­biamo va­lu­tare se esso
— è “opera di os­ser­va­zione di­retta” — quindi un ri­tratto “ru­bato” (dob­biamo però im­ma­gi­narci il pit­tore ap­po­stato ne­gli an­droni del cen­tro di Mi­lano o die­tro gli al­beri dei Giar­dini a fis­sare in­ten­sa­mente Man­zoni nelle sue pas­seg­giate quo­ti­diane) — op­pure se
— è una “opera di fan­ta­sia, esem­plata da al­tri di­pinti, in­ci­sioni — o da fo­to­gra­fie, cosa molto più sensata.

La que­stione non è di poco conto: nel caso si trat­tasse di un “ri­tratto ru­bato”’, do­vremmo pen­sare che l’artista fosse coevo al Man­zoni — forse più gio­vane ma co­mun­que at­tivo at­torno agli anni ’60 dell’Ottocento.

Nel caso si trat­tasse di co­pia da in­ci­sione o fo­to­gra­fia, ver­rebbe a ca­dere il li­mite tem­po­rale: il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” po­trebbe es­sere stato rea­liz­zato in un arco di tempo re­la­ti­va­mente am­pio — di­ciamo dall’ultimo tren­ten­nio dell’Ottocento al primo ven­ten­nio del Novecento.

In man­canza di do­cu­menti pro­banti, per la cro­no­lo­gia pos­siamo al mo­mento avan­zare solo ipo­tesi di buon senso: o in oc­ca­sione del primo an­ni­ver­sa­rio della morte di Man­zoni (1874) o nel de­cen­nale (1883) o nel cin­quan­te­simo (1923).

Da parte no­stra siamo co­mun­que con­vinti che il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” sia stato esem­plato dalla ma­ni­po­la­zione fo­to­gra­fica di un fo­to­ri­tratto di Man­zoni ben noto e molto co­piato per stampe e in­ci­sioni di ogni tipo an­che fino ai giorni no­stri.

A par­tire da que­sta con­vin­zione, vi sono do­mande cui pos­siamo ri­spon­dere in modo pun­tuale (nella Se­zione che se­gue im­me­dia­ta­mente qui sotto ne il­lu­striamo i perché):

Quale lo scatto fo­to­gra­fico ori­gi­nale? — As­sunto che come mo­dello del di­pinto venne presa una ri­pro­du­zione fo­to­gra­fica, siamo in grado di in­di­care sia chi era il fo­to­grafo au­tore del ne­ga­tivo ori­gi­nale (prima del di­gi­tale, lo scatto fo­to­gra­fico vero e pro­prio) sia il breve arco tem­po­rale in cui è ve­ro­si­mile sia stato rea­liz­zato.
.
Quale ri­pro­du­zione di quel ne­ga­tivo ori­gi­nale? — Una cosa è il ne­ga­tivo, al­tro le molte sue pos­si­bili stampe in po­si­tivo. Le quali, all’osservazione na­tu­rale, pos­sono ap­pa­rire molto di­verse in fun­zione di sup­porto, espo­si­zione, svi­luppo, ecc. ecc., tanto da fare pen­sare a scatti di­versi.
Pro­prio per que­sto dato di fatto, siamo in grado di in­di­care “quale” ri­pro­du­zione di “quel” ne­ga­tivo venne uti­liz­zata come mo­dello per il di­pinto e quindi di in­di­carne la data ante quem (1869).

Vi sono però do­mande cui al mo­mento non siamo in grado di rispondere:

Chi è l’autore del di­pinto? Quando fu rea­liz­zato?
.
Ri­spo­ste a que­ste do­mande po­treb­bero es­sere fa­vo­rite da una ana­lisi stru­men­tale del di­pinto, cosa al di fuori delle no­stre di­spo­ni­bi­lità.
Ve­dremo se i di­ri­genti del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco sa­pranno es­sere ab­ba­stanza re­spon­sa­bili per muo­versi con coe­renza e im­po­stare un per­corso co­no­sci­tivo ba­sato su cul­tura e scienza e non sulla li­nea de­pri­mente del “pren­dere o la­sciare” fino a oggi seguita.

Una cosa è certa: il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” non è opera di Mol­teni.
Il quale, po­ve­retto, morì l’11 gen­naio 1867, quasi due anni prima l’ante quem da noi definito.

E che co­mun­que — bi­so­gna dirlo in di­fesa dell’artista e dell’arte di cui il pit­tore mi­la­nese fu ef­fi­cace e spesso bril­lante in­ter­prete — mai avrebbe po­tuto di­pin­gere un ri­tratto così me­dio­cre e de­for­mante la per­so­na­lità dell’effigiato come quello ora por­tato alle stelle dal si­stema mu­seale lec­chese.

5. Di Duroni nel 1862-63 i primi fotoritratti negativo/positivo di Manzoni.

Ste­fano Stampa (“A. Man­zoni, la sua fa­mi­glia, i suoi amici”, 1885, pp. 420-421):

«Ne­gli ul­timi anni, per­duta la mo­glie [ago­sto 1861, ndr], tutti gli amici, e molti co­no­scenti, il Man­zoni non tro­vava al­tro ap­pog­gio che nel fi­glio Pie­tro, il quale per con­se­guenza aveva ac­qui­stata molta in­fluenza sull’animo del pa­dre.
Se ne ap­pro­fittò per far­gli fare molte fo­to­gra­fie dal Du­roni, sia da se­duto, sia d’in piedi, o solo in bu­sto, ecc., e per ot­te­nere che que­ste fo­to­gra­fie po­tes­sero es­sere espo­ste al pub­blico, ed an­che ven­dute, fece pre­sente al pa­dre che era una cosa che tutti fa­ce­vano, che era anzi un’originalità il non farla; ag­giunse inol­tre che per­met­tendo la ven­dita del suo ri­tratto, avrebbe be­ne­fi­cato un pa­dre di fa­mi­glia, il Du­roni, il quale avrebbe po­tuto ca­vare un buon gua­da­gno da quella ven­dita; e tanto in­si­stette che il Man­zoni si ras­se­gnò.
E da quel punto il suo ri­tratto, come ac­cade alle te­ste di Cri­sto o della Ver­gine, com­parve al pub­blico in com­pa­gnia di fi­gure di bal­le­rine, e peg­gio, di fi­gure pornografiche.»

Que­ste po­che ri­ghe di Ste­fano Stampa non sono certo sim­pa­tiz­zanti nei con­fronti del pro­prio fra­tel­la­stro Pie­tro Luigi, fi­glio mag­giore di Ales­san­dro Man­zoni e da lui fre­quen­tato quo­ti­dia­na­mente per ol­tre un trentennio.

Il ri­fe­ri­mento al Du­roni, fan­ta­sio­sa­mente spac­ciato da Pie­tro al pa­dre come bi­so­gnoso “pa­dre di fa­mi­glia”, era una bat­tuta pe­sante che an­cora nel 1885 in Mi­lano molti po­te­vano com­pren­dere: Du­roni era stato in­fatti per de­cenni uno dei fo­to­grafi più noti d’Italia, con un la­bo­ra­to­rio in Mi­lano tra i più av­viati, at­tivo in ogni campo di ap­pli­ca­zione della nuova tec­nica fotografica.

Le note di Stampa ci danno co­mun­que al­cuni ele­menti per col­lo­care cro­no­lo­gi­ca­mente i ri­tratti fo­to­gra­fici a par­tire dai quali a no­stro av­viso è stato esem­plato il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco”.

Ma a “Casa del Man­zoni” in Mi­lano, nella Sala IX de­di­cata agli amici dello scrit­tore, c’è un do­cu­mento che ci aiuta più delle no­ta­zioni di Stampa nel da­tare i primi ri­tratti fo­to­gra­fici di Man­zoni; ope­ra­zione su cui da parte del Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani vi è re­ti­cenza an­che solo nell’avanzare ipotesi.

Nel vo­lume “Casa Man­zoni”, re­per­to­rio certo af­fi­da­bile di quanto di­spo­ni­bile nel pa­lazzo di Via Mo­rone a Mi­lano (Mon­da­dori Electa, 2016, € 110,00, p. 252), Chiara Lam­pu­gnani, con ri­fe­ri­mento a un fo­to­ri­tratto di Man­zoni rea­liz­zato da Du­roni, scrive in­fatti: «Fo­to­gra­fia, scat­tata ne­gli ul­timi anni di vita dello scrit­tore […]», là dove il si­gni­fi­cato di “ul­timi anni” di Man­zoni è af­fi­dato al­trui­sti­ca­mente alla di­scre­zione del let­tore — un po’ pochino.

Tanto più che le in­di­ca­zioni cro­no­lo­gi­che sono pro­prio sotto il naso di chi guarda la fo­to­gra­fia.
Lam­pu­gnani ri­chiama in­fatti l’attenzione sul tim­bro ap­po­sto da Du­roni sul car­ton­cino di sup­porto alla fo­to­gra­fia — “Fo­to­grafo di S. M. il Re d’Italia” — ma non ne tira le con­se­guenze. Ve­diamo di farlo noi.

Si do­vrebbe sa­pere che Vit­to­rio Ema­nuele II di­venne Re d’Italia il 17 marzo 1861.

Du­roni, pre­su­mi­bil­mente nell’estate di quell’anno, fece al Re un ri­tratto fo­to­gra­fico, a gran­dezza na­tu­rale, rea­liz­zato con uno dei primi in­gran­di­tori (è l’immagine che ab­biamo ri­por­tato in aper­tura di ca­pi­tolo).
Un’impresa no­te­vole per i tempi, che a Du­roni fruttò una me­da­glia alla prima Espo­si­zione Na­zio­nale di Fi­renze (set­tem­bre 1861).
È si­cu­ra­mente dopo que­sto ri­co­no­sci­mento che Du­roni ri­tenne di po­tersi de­fi­nire “Fo­to­grafo di Sua Mae­stà” come ri­por­tato nel tim­bro ap­po­sto al ri­tratto di Man­zoni sche­dato da Lampugnani.

Al quale fo­to­ri­tratto pos­siamo quindi as­se­gnare come data “post quem” l’autunno 1861.

E per la data “ante quem”?
Ri­te­niamo che il ter­mine estremo sia il di­cem­bre 1863, se­guendo la trac­cia la­scia­taci dallo stesso Man­zoni.

La cu­ra­trice della Scheda Lam­pu­gnani ha op­por­tu­na­mente tra­scritto la de­dica au­to­grafa di Man­zoni, ap­po­sta in basso a de­stra sul car­ton­cino di sup­porto alla fo­to­gra­fia ma an­che in que­sto caso senza trarne le do­vute conseguenze:

«Alla Si­gnora Gio­van­nina Grossi | Ales­san­dro Man­zoni | par­te­cipa con lei di un gran do­lore, | come lo fu di un grande affetto.»

La Si­gnora Grossi era la mo­glie di Tom­maso Grossi, morto il 10 di­cem­bre 1853.
Ri­te­niamo di non for­zare le cose nel pen­sare che la foto con de­dica sia stata af­fi­data da Man­zoni alla mo­glie dell’amico nel de­cen­nale della morte, quindi il 10 di­cem­bre 1863.

Sta­bi­liti i due estremi (au­tunno 1861 / in­verno 1863), ri­cor­diamo che, per vi­vere con il pa­dre Ales­san­dro in via Mo­rone, Pie­tro Luigi si tra­sferì da Bru­su­glio a Mi­lano nel tardo au­tunno 1861.
Pos­siamo quindi ra­gio­ne­vol­mente pen­sare che il suo la­vo­rio su Ales­san­dro a pro’ dei ri­tratti fo­to­gra­fici sia co­min­ciato a fine 1861 e an­dato in cre­scendo col nuovo anno, fa­vo­rito certo da un evento che coin­volse emo­ti­va­mente Man­zoni pre­di­spo­nen­dolo a una mag­giore vi­si­bi­lità pub­blica, certo più delle ri­si­bili fan­ta­sie del fi­glio Pie­tro sul “Du­roni, po­vero pa­dre di fa­mi­glia” (che avrà pen­sato Man­zoni di que­ste balle-fan­ta­sie del figlio?).

Per la com­me­mo­ra­zione delle 5 Gior­nate del 1848 Ga­ri­baldi era giunto in Mi­lano il 21 marzo 1862 ac­colto da folle en­tu­sia­ste e fa­vo­re­voli a nuove azioni pa­triot­ti­che. Il 24 il con­dot­tiero aveva inau­gu­rato, vi­ci­nis­simo a quella che sarà Piazza Ca­dorna e con un cen­tro ma­gi­strale da 100 me­tri con la ca­ra­bina, il nuovo Tiro a Se­gno Na­zio­nale della città.

Il 25 Ga­ri­baldi andò a tro­vare Man­zoni in Via Mo­rone e in­con­tran­dolo gli donò un maz­zetto di vio­lette (grande at­tore l’eroe dei due Mondi!).
Il primo scam­bio di bat­tute tra i due da­vanti all’ingresso della casa di Via Mo­rone, cir­con­dati da una pic­cola folla, è noto (an­che Man­zoni come at­tore non scherzava):

Per­met­tete — disse il ge­ne­rale — ch’io venga a pre­stare un omag­gio a un uomo che onora tanto l’Italia”.
.
“Non siete voi — ri­spose il Man­zoni — che do­vete pre­stare omag­gio a me; sì io, che mi trovo ben pic­cino an­che da­vanti all’ultimo dei Mille e più an­cora di­nanzi al loro Duce, che ha re­denta tanta parte d’Italia”.

L’incontro ebbe grande eco an­che sulla stampa: la scia­bola e la penna del pa­triot­ti­smo ita­liano si mo­stra­vano al­leati per nuovi passi verso l’unità na­zio­nale — da evi­den­ziare il ri­fe­ri­mento espli­cito e pub­blico di Man­zoni alla spe­di­zione dei Mille, in vi­sta di una sua riedizione.

Po­chi giorni dopo Ga­ri­baldi pro­se­guiva il suo tour po­li­tico-pa­triot­tico (a Cre­mona ve­niva fo­to­gra­fato dal sem­pre pre­sente Du­roni con lo scatto che ab­biamo ri­por­tato a ini­zio ca­pi­tolo).
A Tre­score ve­ni­vano però ar­re­stati ga­ri­bal­dini so­spet­tati (a ra­gione) di vo­lere pro­vo­care un in­ci­dente con l’Austria. Gli ar­re­sti eb­bero un epi­logo di san­gue: il 16 mag­gio a Bre­scia la truppa fece fuoco sui di­mo­stranti ga­ri­bal­dini uc­ci­den­done quattro.

In realtà il viag­gio di Ga­ri­baldi, svol­tosi con la co­per­tura delle com­me­mo­ra­zioni o dei Tiri a Se­gno, in­ten­deva rac­co­gliere il mag­gior con­senso col­let­tivo per una nuova mossa sulla strada dell’unità nazionale.

Dopo va­rie vi­cende che qui non è il luogo di il­lu­strare, il 27 giu­gno 1862 Ga­ri­baldi si im­barcò da Ca­prera per Pa­lermo con l’idea di ri­pe­tere l’avventura di due anni prima, que­sta volta con l’obiettivo di pren­dere Roma, pre­mendo sul go­verno con una lar­ga­mente pub­bli­ciz­zata azione di­mo­stra­tiva.
Il suo pro­getto fallì: come noto, il 29 ago­sto la sua mar­cia fu fer­mata con la forza ad Aspro­monte dall’esercito na­zio­nale e il com­bat­tente di tante bat­ta­glie, fino ad al­lora ri­ma­sto sem­pre il­leso, nel giro di po­chi mi­nuti venne fe­rito due volte dal fuoco amico (le foto di Ga­ri­baldi fe­rito sono an­cora una volta di Duroni).

Tor­nando a Man­zoni, è fa­cile pen­sare che in quelle set­ti­mane tra marzo e aprile la pres­sione di Pie­tro sul pa­dre per­ché si fa­cesse fo­to­gra­fare poté tro­vare ter­reno fa­vo­re­vole. Non è in­ve­ro­si­mile pen­sare che Man­zoni, certo par­te­cipe della mo­bi­li­ta­zione col­let­tiva in vi­sta di grandi fatti, ab­bia ac­cet­tato di farsi fi­nal­mente ri­trarre dal Du­roni, già da al­tre per­so­na­lità sin­to­ni­che con lo scrit­tore ri­co­no­sciuto come co­strut­tore dell’immagine del pa­triot­ti­smo militante.

Pos­siamo quindi pen­sare che la gior­nata fo­to­gra­fica nello stu­dio di Du­roni po­trebbe es­sere col­lo­cata nell’aprile del 1862, in gior­nate già luminose.

Per non abu­sare co­mun­que delle sug­ge­stioni e ri­ma­nere con i piedi per terra, d’ora in avanti de­fi­ni­remo i ri­tratti di Du­roni come del “1862-63”, as­se­gnando co­mun­que un mar­gine ab­ba­stanza ri­stretto alla loro cronologia.

5.1 / «Se ne approfittò per fargli fare molte fotografie dal Duroni, sia da seduto, sia d’in piedi, o solo in busto, ecc.»

Nei fo­to­ri­tratti di Du­roni Man­zoni ap­pare del tutto na­tu­rale, a ri­prova della ca­pa­cità del fo­to­grafo non solo di ben ma­neg­giare la­stre e col­lo­dio ma an­che di sa­per met­tere a pro­prio agio gli effigiati.

Nel pa­trio ter­zetto “Re / Con­dot­tiero / Scrit­tore” fo­to­gra­fato da Du­roni nei pri­mis­simi mo­menti del nuovo Re­gno (i loro ri­tratti sono ri­por­tati all’apertura di que­sto ca­pi­tolo) Man­zoni vince alla grande il primo premio.

Nel 1861 Vit­to­rio Ema­nuele aveva 41 anni e li por­tava male; nel 1862 Ga­ri­baldi ne aveva 55 e li por­tava be­nis­simo con quel suo fare scan­zo­nato di atleta na­tu­rale; ma Man­zoni, con i suoi 77-78 anni, era il me­glio dei tre: ele­gante, l’aria se­riosa dell’età e dei pen­sieri ma con un’aura di con­sa­pe­vole vitalità.

La foto più grande, di rap­pre­sen­tanza, è ri­ca­vata da un ne­ga­tivo (lo chia­miamo “B”).

Come il let­tore può con­sta­tare qui sotto, le due fo­to­gra­fie più pic­cole sono in­vece en­trambe ri­ca­vate da un al­tro me­de­simo ne­ga­tivo (lo chia­miamo “A”): la “carta da vi­sita” (poco più grande dei no­stri bi­glietti at­tuali) con solo il volto e parte del bu­sto in un ovale; un car­ton­cino tipo i no­stri “with the com­pli­ments” con la fi­gura quasi di tre/quarti, anch’esso in un ovale.

Da no­tare che, come in que­sto caso, po­si­tivi di­versi dallo stesso ne­ga­tivo pos­sono fare pen­sare a ne­ga­tivi di­versi: es­sendo la stampa rea­liz­zata con la luce na­tu­rale era suf­fi­ciente una an­che de­bole va­ria­zione di in­ten­sità lu­mi­nosa per dare con gli stessi tempi di espo­si­zione ri­sul­tati an­che molto di­versi all’osservazione; i vari pas­saggi chi­mici per lo svi­luppo e il fis­sag­gio po­te­vano poi dare to­na­lità cro­ma­ti­che molto di­stanti, come evi­dente nel no­stro caso.

Di que­ste due stampe dal me­de­simo ne­ga­tivo chie­diamo al let­tore di te­nere a mente so­prat­tutto quella con la fi­gura di tre quarti — è in­fatti dalla ma­ni­po­la­zione di que­sta per mano di un al­tro fo­to­grafo che verrà esem­plato il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco”.

Vor­remmo che que­sta mini-gal­le­ria Manzoni/Duroni fosse più am­pia: è co­mun­que suf­fi­ciente ad avere un’idea pre­cisa della fi­sio­no­mia di Man­zoni a 77-78 anni.
Il no­stro ap­pare estre­ma­mente gio­va­nile (del re­sto egli stesso si van­tava di go­dere di una ro­bu­sta vec­chiaia) e con una espres­sione decisa.

I ri­tratti si­cu­ra­mente piac­quero e pre­su­mi­bil­mente ven­nero ven­duti bene (con sod­di­sfa­zione del fi­glio Pie­tro che ne ri­ca­vava certo una provvigione).

Ma so­prat­tutto die­dero modo agli ar­ti­sti di po­tere fi­nal­mente usare ma­tite, pen­nelli e bu­lino su un sog­getto bene iden­ti­fi­ca­bile e non così an­guil­le­sco come era stato con la ca­te­go­ria il no­stro Man­zoni fino a quel 1862-63.

Già che siamo in ar­go­mento, un pic­colo in­ciso: nel ci­tato vo­lume “Casa Man­zoni” del 2016, a pp. 90-91 si pre­senta un ri­tratto fo­to­gra­fico f.to cm 65,5×50, fir­mato “Gui­doni e Bossi”.

Nella re­la­tiva Scheda il­lu­stra­tiva Chiara Lam­pu­gnani scrive che i due ave­vano ri­le­vato lo sta­bi­li­mento fo­to­gra­fico da Ici­lio Cal­zo­lari nel 1888; il quale a sua volta lo aveva ri­le­vato nel 1867 [sic!] da Du­roni, au­tore dell’altra fo­to­gra­fia espo­sta nel vo­lume a p. 252 [ne ab­biamo par­lato ap­pena so­pra]; che quindi «si può con­get­tu­rare che si tratti di una fo­to­gra­fia rea­liz­zata a par­tire da uno dei ne­ga­tivi dello stesso Duroni».

Solo per de­fi­nire il me­glio pos­si­bile il qua­dro di que­sti ri­fe­ri­menti ico­no­gra­fici del Man­zoni, è op­por­tuno se­gna­lare es­sere molto im­pro­ba­bile che la fo­to­gra­fia di “Gui­doni e Bossi” (la mo­striamo a lato) fac­cia parte di quella se­rie di ri­tratti che noi ri­te­niamo ese­guiti da Du­roni nel 1862-63 e di cui ab­biamo mo­strato so­pra tre ri­pro­du­zioni positive.

In­nan­zi­tutto la fi­sio­no­mia di Man­zoni ap­pare de­ci­sa­mente più “in­vec­chiata” (si può pen­sare ad al­meno 5-6 anni in più) e ri­flette un di­verso stato d’animo esi­sten­ziale: ri­spetto a quello se­rio ma se­re­na­mente vi­tale dei ri­tratti di Du­roni, in que­sta fo­to­gra­fia Man­zoni ap­pare solo e psi­co­lo­gi­ca­mente preso da pen­sieri non lieti e senza futuro.

Vi è inol­tre un det­ta­glio nell’abbigliamento dell’effigiato da non tra­scu­rare ai fini ico­no­gra­fici: nella fo­to­gra­fia “Gui­doni e Bossi”, sul ri­svolto di co­per­tura della ab­bot­to­na­tura all’inglese della ca­mi­cia è ap­po­sta una spilla, as­sente nei ri­tratti del Duroni.

Per con­clu­dere una pic­cola se­gna­la­zione per do­vere d’ufficio: Du­roni ce­dette lo stu­dio a Cal­zo­lari non nel 1867, come in­di­cato da Lam­pu­gnani, ma nel marzo 1866 come da co­mu­ni­ca­zione dello stesso Cal­zo­lari alla Ca­mera di Com­mer­cio di Mi­lano del 25 ot­to­bre suc­ces­sivo (R. Cac­cia­lanza, “Lean­dro Cro­zat”, 2015, p. 112, n. 69).

5.2 / L’evoluzione tecnica della fotografia spinge gli artisti a usarla anche per la ritrattistica.
Quelli di talento ne arricchiscono il proprio stile; i mediocri si limitano a copiare mediocremente il lavoro dei Duroni, Alinari, Rossi che ormai governano la scena dell’immagine.

Nei primi anni ’60 dell’800 l’introduzione del pro­ce­di­mento negativo/positivo e poi delle la­stre pre-sen­si­bi­liz­zate con­sente l’affermazione su larga scala della fo­to­gra­fia e i pit­tori ov­via­mente ne fanno uso.

Quanto alla qua­lità delle si­ner­gie con l’arte tra­di­zio­nale, è in fun­zione della qua­lità de­gli ar­ti­sti. In In­ghil­terra Rey­nolds e in Fran­cia Mo­net o De­gas (solo per ci­tare i più noti) ne fanno un ele­mento di po­ten­zia­mento del pro­prio ta­lento, usando la fo­to­gra­fia per in­no­vare le pro­prie tec­ni­che pit­to­ri­che an­che at­tra­verso l’assimilazione delle nuove di­men­sioni chia­ro­scu­rali che la fo­to­gra­fia propone.

In Ita­lia forse que­sto pro­cesso è meno im­me­diato e per­ché si ab­bia un uti­lizzo si­ste­ma­tico della fo­to­gra­fia da parte de­gli ar­ti­sti ci vorrà qual­che anno in più, verso la fine de­gli anni ’60.

Ne ab­biamo co­mun­que un esem­pio in­te­res­sante nel ri­tratto di Carlo Dossi ese­guito da Tran­quillo Cre­mona nel 1867.
Da ciò che si può ar­guire dalla ri­pro­du­zione (bi­so­gne­rebbe ve­dere l’originale) la ma­niera del di­pin­gere di Cre­mona ci pare in que­sto caso an­cora ab­ba­stanza tra­di­zio­nale. Così come ap­pare de­ci­sa­mente con­for­mi­sta la vo­lontà del pit­tore di “ab­bel­lire” l’effigiato cor­reg­gen­do­gli ele­menti fi­sio­gno­mici ca­rat­te­ri­stici an­che se su­per­fi­cial­mente antiestetici.

Nel ri­tratto l’orecchio di Dossi è sem­pre ben evi­dente ma Cre­mona ha pen­sato di ri­fi­lar­gliene uno tutto or­di­na­tino, in so­sti­tu­zione di quello de­ci­sa­mente ag­gro­vi­gliato che Dossi si por­tava in giro nella realtà.

Gli oc­chi un poco stretti del Dossi reale, nel ri­tratto sono di­ven­tati tondi e quasi in­fan­tili.
An­che la bocca del gio­vane scrit­tore, larga e con le lab­bra strette ar­cuate verso il basso, non è pia­ciuta a Cre­mona che ha pre­fe­rito ap­pic­ci­car­gli una boc­cuc­cia tu­mida e tutta graziosa.

Giu­sto per com­ple­tezza, no­tiamo che an­che nello zi­gomo dell’amico Cre­mona è in­ter­ve­nuto pe­san­te­mente: nel ri­tratto è molto più in evi­denza ed è an­che spo­stato ri­spetto al dato fo­to­gra­fico.
Così come è stata mo­di­fi­cata la li­nea della ma­scella e la forma del mento, en­trambe più “or­di­nate” ri­spetto alla realtà. O me­glio della realtà fo­to­gra­fica.
Viene da pen­sare che la fo­to­gra­fia ap­pa­risse a Cre­mona de­for­mante ri­spetto alla carne viva che egli ben co­no­sceva. Cre­mona era in­fatti ami­cis­simo di Dossi: lo ve­deva pra­ti­ca­mente tutti i giorni e sa­peva quindi per­fet­ta­mente come fosse fatta la fac­cia dell’amico.

È come se Cre­mona avesse vo­luto cor­reg­gere di­fetti del mezzo fo­to­gra­fico, vi­sto come de­for­mante della realtà: pro­prio il con­tra­rio di quanto si pensa usualmente.

O forse Cre­mona ha ce­duto a una ri­chie­sta dell’amico di farlo più “ca­rino”. Chissà!

Giu­sto per com­ple­tezza, no­tiamo che an­che nello zi­gomo dell’amico Cre­mona è in­ter­ve­nuto pe­san­te­mente: nel ri­tratto è molto più in evi­denza ed è an­che spo­stato ri­spetto al dato fo­to­gra­fico.
Così come è stata mo­di­fi­cata la li­nea della ma­scella e la forma del mento, en­trambe più “or­di­nate” ri­spetto alla realtà. O me­glio della realtà fo­to­gra­fica.
Viene da pen­sare che la fo­to­gra­fia ap­pa­risse a Cre­mona de­for­mante ri­spetto alla carne viva che egli ben co­no­sceva. Cre­mona era in­fatti ami­cis­simo di Dossi: lo ve­deva pra­ti­ca­mente tutti i giorni e sa­peva quindi per­fet­ta­mente come fosse fatta la fac­cia dell’amico.

È come se Cre­mona avesse vo­luto cor­reg­gere di­fetti del mezzo fo­to­gra­fico, vi­sto come de­for­mante della realtà: pro­prio il con­tra­rio di quanto si pensa usualmente.

O forse Cre­mona ha ce­duto a una ri­chie­sta dell’amico di farlo più “ca­rino”. Chissà!

Un al­tro esem­pio del pas­sag­gio fo­to­gra­fia / pen­nello ci viene da Hayez ma con mo­da­lità dif­fe­renti ri­spetto a quanto ab­biamo vi­sto per Cre­mona — siamo già ai primi del de­cen­nio successivo.

Nel 1870 viene com­mis­sio­nato ad Hayez il ri­tratto di Ros­sini, morto due anni prima (il di­pinto è presso la Pi­na­co­teca di Brera, Mi­lano). Il pit­tore usa una fo­to­gra­fia del com­po­si­tore che que­sti gli aveva man­dato come se­gno di ami­ci­zia, ma la usa solo come trac­cia.
Il ri­tratto che ne esce è in­fatti ba­sato sulla me­mo­ria che Hayez aveva di Ros­sini, da lui lun­ga­mente fre­quen­tato: a dif­fe­renza di Cre­mona, Hayez non ha as­so­lu­ta­mente “ab­bel­lito” Ros­sini; il quale nel di­pinto è in­du­bi­ta­bil­mente Ros­sini ma non è la sua fo­to­gra­fia ri­co­piata col pen­nello: è un vero ri­tratto di Hayez.

Hayez quindi, sep­pure solo come sup­porto alla me­mo­ria per­so­nale, nel 1870 uti­lizzò la fo­to­gra­fia per ar­ri­vare al ri­tratto di Rossini.

E Mol­teni? Noi non ab­biamo mai letto nulla a pro­po­sito di un pos­si­bile uti­lizzo della fo­to­gra­fia da parte del pit­tore mi­la­nese per la rea­liz­za­zione dei suoi ri­tratti. Ma noi ci oc­cu­piamo d’arte solo come ri­flesso dell’interesse verso Man­zoni: c’è qual­cuno tra i let­tori che ne ha mai avuto no­ti­zia?
Se sì, sa­rebbe uti­lis­simo lo ren­desse noto al pub­blico: siamo a sua com­pleta di­spo­si­zione per darne la più am­pia diffusione.

Tor­nando a Man­zoni, dob­biamo dire che il no­stro au­tore è stato meno for­tu­nato di Ros­sini o an­che di Dossi.
So­prat­tutto dopo la morte dello scrit­tore (22 mag­gio 1873) le sue fo­to­gra­fie scat­tate da Du­roni (e poi da al­tri) di­ven­nero ele­menti di ri­fe­ri­mento per gli ar­ti­sti ma con ri­sul­tati deludenti.

Sem­pre presso la “Casa del Man­zoni” ab­biamo due esempi di pit­tura ri­ca­vati dai fo­to­ri­tratti di Du­roni so­pra ri­por­tati. Il primo è di Carlo De No­ta­ris, com­mis­sio­na­to­gli nel 1875.

La po­stura di Man­zoni è ri­presa (ma in modo spe­cu­lare) dalla fo­to­gra­fia di Du­roni (lo ab­biamo già detto, un po­si­tivo era stato do­nato da Man­zoni alla mo­glie di Grossi) ma am­bien­tata in una delle stanze di Via Mo­rone (le im­ma­gini sono prese dal vo­lume “Casa Man­zoni” già citato).

Nel trat­teg­giare il volto dello scrit­tore, De No­ta­ris si è in­vece de­ci­sa­mente stac­cato dalla fo­to­gra­fia di Du­roni: ha pur­troppo can­cel­lato dal Man­zoni quell’espressione così ot­ti­mi­sti­ca­mente vi­tale che è il pre­gio della ri­presa del fo­to­grafo, la­scian­done solo una le­gnosa seriosità.

L’altro di­pinto ri­ca­vato da uno de­gli scatti di Du­roni del 1862-63 è un mini-ri­tratto (cm 13×10, am­pli­fi­cato da una cor­nice fa­rao­nica, de­gna di mi­glior con­te­nuto) che più che esem­plato è stato pro­prio preso di peso dalla fotografia.

Come ci dice Ales­sia Schiavi (“Casa Man­zoni”, p. 92), si tratta in­fatti di «una fo­to­gra­fia ap­pli­cata su ta­vola» e poi di­pinta, opera di Au­gu­sto La­fo­ret del 1884, come da di­chia­ra­zione di chi ac­quisì il dipinto.

Schiavi boc­cia ov­via­mente que­sta fan­ta­stica cro­no­lo­gia del ri­trat­tino (nel 1884 La­fo­ret aveva tre anni) ma porta a sua volta fuori strada il let­tore sulla cro­no­lo­gia della foto di Du­roni, an­ti­ci­pan­dola a circa il 1855: «Il 1884 è una data troppo pre­coce per il ri­tratto, non opera ori­gi­nale ma rea­liz­zato in­ter­ve­nendo su una fo­to­gra­fia di A. Du­roni di Man­zoni set­tan­tenne, molto di­vul­gata [ecc.]».
Come ab­biamo vi­sto, in­vece, lo scatto di Du­roni è del 1862-63 es­sendo Man­zoni di 77-78 anni.

Ales­sia Schiavi sot­to­li­nea co­mun­que un aspetto utile al no­stro di­scorso: «Per il ri­tratto di Man­zoni La­fo­ret la­vorò sulla fo­to­gra­fia di Du­roni con ver­nici ac­cen­tuando i con­tra­sti chia­ro­scu­rali in di­re­zione di una mag­giore dram­ma­ti­cità dell’immagine.»

L’altro di­pinto ri­ca­vato da uno de­gli scatti di Du­roni del 1862-63 è un mini-ri­tratto (cm 13×10, am­pli­fi­cato da una cor­nice fa­rao­nica, de­gna di mi­glior con­te­nuto) che più che esem­plato è stato pro­prio preso di peso dalla fotografia.

Come ci dice Ales­sia Schiavi (“Casa Man­zoni”, p. 92), si tratta in­fatti di «una fo­to­gra­fia ap­pli­cata su ta­vola» e poi di­pinta, opera di Au­gu­sto La­fo­ret del 1884, come da di­chia­ra­zione di chi ac­quisì il dipinto.

Schiavi boc­cia ov­via­mente que­sta fan­ta­siosa cro­no­lo­gia del ri­trat­tino (nel 1884 La­fo­ret aveva tre anni) ma porta a sua volta fuori strada il let­tore sulla cro­no­lo­gia della foto di Du­roni, an­ti­ci­pan­dola a circa il 1855: «Il 1884 è una data troppo pre­coce per il ri­tratto, non opera ori­gi­nale ma rea­liz­zato in­ter­ve­nendo su una fo­to­gra­fia di A. Du­roni di Man­zoni set­tan­tenne, molto di­vul­gata [ecc.]».
Come ab­biamo vi­sto, in­vece, lo scatto di Du­roni è del 1862-63 es­sendo Man­zoni di 77-78 anni.

Ales­sia Schiavi sot­to­li­nea co­mun­que un aspetto utile al no­stro di­scorso: «Per il ri­tratto di Man­zoni La­fo­ret la­vorò sulla fo­to­gra­fia di Du­roni con ver­nici ac­cen­tuando i con­tra­sti chia­ro­scu­rali in di­re­zione di una mag­giore dram­ma­ti­cità dell’immagine.»

In realtà La­fo­ret non uti­lizzò una stampa po­si­tiva di Du­roni ma un suo in­gran­di­mento rea­liz­zato in una data non de­fi­nita (qui mo­striamo l’originale di Du­roni e l’ingrandimento di La­fo­ret nelle ri­spet­tive proporzioni).

La “dram­ma­tiz­za­zione” della fi­sio­no­mia di Man­zoni ope­rata da La­fo­ret ci sem­bra di­penda dall’unico di­fetto dei po­si­tivi di Du­roni: i tratti del volto ri­sul­tano in­fatti quasi eva­ne­scenti ed era in­vece utile per il pit­tore ti­rare fuori, con l’opportuna espo­si­zione e tempo di svi­luppo, tutti gli ele­menti atti a me­glio evi­den­ziare la fi­sio­no­mia dell’effigiato.

Ri­cor­diamo co­mun­que che fino agli anni ’80 dell’800 i ri­sul­tati di un in­gran­di­mento da ne­ga­tivo con le prime “mac­chine so­lari” (così erano chia­mati i nonni de­gli in­gran­di­tori) non erano un gran­ché e quindi si adot­tava un’altra pro­ce­dura.
Per in­gran­dire una fo­to­gra­fia se ne fo­to­gra­fava il po­si­tivo in­gran­den­dolo nella ri­presa. Dai vari pas­saggi a un nuovo po­si­tivo era ab­ba­stanza ine­vi­ta­bile l’alterazione delle ca­rat­te­ri­sti­che chia­ro­scu­rali de­gli ori­gi­nali e la ten­denza a quella “dram­ma­ti­cità” ri­le­vata da Schiavi, de­ter­mi­nata dalla pro­gres­siva per­dita dei det­ta­gli e dall’aumento del contrasto.

Ciò detto, è op­por­tuno evi­den­ziare che non sono stati solo i pit­tori di se­condo or­dine a ispi­rarsi ai fo­to­ri­tratti man­zo­niani di Duroni.

In realtà La­fo­ret non uti­lizzò una stampa po­si­tiva di Du­roni ma un suo in­gran­di­mento rea­liz­zato in una data non de­fi­nita (a lato mo­striamo l’originale di Du­roni e l’ingrandimento di La­fo­ret nelle ri­spet­tive proporzioni).

La “dram­ma­tiz­za­zione” della fi­sio­no­mia di Man­zoni ope­rata da La­fo­ret ci sem­bra di­penda dall’unico di­fetto dei po­si­tivi di Du­roni: i tratti del volto ri­sul­tano in­fatti quasi eva­ne­scenti ed era in­vece utile per il pit­tore ti­rare fuori, con l’opportuna espo­si­zione e tempo di svi­luppo, tutti gli ele­menti atti a me­glio evi­den­ziare la fi­sio­no­mia dell’effigiato.

Ri­cor­diamo co­mun­que che fino agli anni ’80 dell’800 i ri­sul­tati di un in­gran­di­mento da ne­ga­tivo con le prime “mac­chine so­lari” (così erano chia­mati i nonni de­gli in­gran­di­tori) non erano un gran­ché e quindi si adot­tava un’altra pro­ce­dura.
Per in­gran­dire una fo­to­gra­fia se ne fo­to­gra­fava il po­si­tivo in­gran­den­dolo nella ri­presa. Dai vari pas­saggi a un nuovo po­si­tivo era ab­ba­stanza ine­vi­ta­bile l’alterazione delle ca­rat­te­ri­sti­che chia­ro­scu­rali de­gli ori­gi­nali e la ten­denza a quella “dram­ma­ti­cità” ri­le­vata da Schiavi, de­ter­mi­nata dalla pro­gres­siva per­dita dei det­ta­gli e dall’aumento del contrasto.

Ciò detto, è op­por­tuno evi­den­ziare che non sono stati solo i pit­tori di se­condo or­dine a ispi­rarsi ai fo­to­ri­tratti man­zo­niani di Duroni.

Lo hanno fatto an­che bravi fo­to­grafi suoi con­cor­renti; i quali hanno uti­liz­zato gli scatti del col­lega per dare corpo, per esem­pio, a pro­pri pro­dotti edi­to­riali, anch’essi “nello spi­rito di una mag­giore dram­ma­ti­cità dell’immagine”.

È il caso di G.B. Gan­zini, udi­nese di ori­gine (de­ci­sa­mente più gio­vane di Du­roni ma ne­gli anni ’60 dell’Ottocento già af­fer­mato fo­to­grafo in Mi­lano) che per una pa­gina del suo al­bum fo­to­gra­fico “Ve­dute dei Pro­messi Sposi”, ap­pron­tato nell’ottobre 1869, ha uti­liz­zato uno dei fo­to­ri­tratti di Man­zoni rea­liz­zati da Du­roni, in­gran­den­dolo di circa il 210%. 

Ag­gan­cian­doci alle con­si­de­ra­zioni di poco so­pra sui chiaro-scuri del ri­trat­tino di La­fo­ret, in­vi­tiamo il let­tore a con­sta­tare come, molti anni prima di lui, an­che Gan­zini, nell’ingrandire la fo­to­gra­fia di Du­roni, scelse di con­tra­starla for­te­mente ren­dendo do­mi­nanti le parti più scure.

La cosa è par­ti­co­lar­mente evi­dente per gli ele­menti più pro­pria­mente espres­sivi — oc­chi e bocca. Le om­bre delle ar­cate so­pra­ci­liari e il ta­glio duro delle lab­bra strette in una bocca certo non pic­cola ren­dono più in­ci­siva la fi­sio­no­mia di Man­zoni fa­cendo pre­va­lere il tratto se­vero su quello an­che lie­ta­mente gio­va­nile do­mi­nante nei po­si­tivi di Duroni.

Nella ri­pro­du­zione di Gan­zini, l’espressione di Man­zoni ap­pare così quasi “al­tra” ri­spetto all’originale di Du­roni: forse per scelta con­sa­pe­vole di Gan­zini, che ha così vo­luto ma­sche­rare l’utilizzo (forse non con­cor­dato) dell’opera di un collega/concorrente; o forse come scelta di stile verso una mag­giore drammatizzazione.

Sta di fatto che la ri­pro­du­zione di Gan­zini ap­pare come una foto nuova, quasi Gan­zini avesse fo­to­gra­fato egli stesso Man­zoni di per­sona; cosa non vera ma che ve­ro­si­mil­mente il fo­to­grafo po­teva de­si­de­rare di fare credere.

Su que­sto al­bum di Gan­zini stiamo pro­du­cendo una pa­gi­netta a sé di ap­pro­fon­di­mento (uscirà a giorni). L’argomento ha un certo in­te­resse per con­sta­tare come il pen­siero e l’opera di Man­zoni ven­nero in­ter­pre­tati (spesso an­che molto ma­la­mente) da molti ar­ti­sti, fi­gu­ra­tivi e non.

6. Quindi dal fotografo Duroni al fotografo Ganzini. E da questi al “Millantato Molteni di Lecco”, copiator dei copiatori.

6.1 / La trasposizione dalla fotografia: fedele sul piano geometrico, negativamente deformante su quello pittorico.

L’esecutore del “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” è stato pre­ciso per quanto ri­guarda la tra­spo­si­zione dalla foto alla ta­vola per la pit­tura a olio con un in­gran­di­mento del 400%.

Il ri­tratto su ta­vola mi­sura in­fatti mm 330×500. La parte della ri­pro­du­zione fo­to­gra­fica che è ser­vita da mo­dello è un ret­tan­golo pari a circa 81 mil­li­me­tri per 125.

L’ingrandimento ap­pare pre­ciso ma con cu­riose va­rianti “crea­tive”: la co­pia è in­fatti estre­ma­mente fe­dele sul piano geo­me­trico, men­tre pre­senta evi­denti dif­for­mità su par­ti­co­lari del volto di Manzoni.

Il pit­tore inol­tre è in­cap­pato in com­por­ta­menti contraddittori.

Da un lato è ma­lau­gu­ra­ta­mente in­ter­ve­nuto con la pro­pria “crea­ti­vità” su al­cuni ele­menti fon­da­men­tali per la de­fi­ni­zione della fi­sio­no­mia di Man­zoni, fal­san­done inu­til­mente i tratti.

Dall’altro è ri­ma­sto troppo vin­co­lato al mo­dello fo­to­gra­fico di Gan­zini, ac­co­glien­done pe­dis­se­qua­mente an­che le om­bre troppo ac­cen­tuate, sul di­pinto di­ve­nute vere e pro­prie “mac­chie”.

Pec­cato! se il no­stro sco­no­sciuto pit­tore avesse avuto un poco più di ta­lento, avremmo un bel ri­tratto di Man­zoni nel pieno della sua molto gio­va­nile vec­chiaia (an­cor­ché non di mano del Mol­teni) e non in­vece quella me­dio­cris­sima opera — per di più per nulla fe­dele né ai tratti fi­sici né alla psi­co­lo­gia dell’effigiato Man­zoni — che il vi­si­ta­tore guarda con scarso en­tu­sia­smo da 37 anni a Villa Man­zoni e che ora è stato preso a base per il nuovo mar­chio dai vari “esperti del Man­zoni” che ge­sti­scono — scien­ti­fi­ca­mente si in­tende — il Mu­seo che reca il suo nome.

Ma ve­diamo di­stin­ta­mente i due aspetti del pas­sag­gio dalla fo­to­gra­fia al di­pinto co­min­ciando dalla tra­spo­si­zione dimensionale.

Qui sotto ri­por­tiamo un par­ti­co­lare di fo­to­gra­fia e di­pinto, per­ché il let­tore ci possa se­guire con mag­giore facilità.

Ab­biamo po­sto in trian­go­la­zione la fo­to­gra­fia e il di­pinto esem­plato su di essa; a par­tire dalle im­ma­gini ci li­mi­tiamo a sug­ge­rire al­cuni det­ta­gli.
Il let­tore po­trà fa­cil­mente ve­ri­fi­care da sé come il di­pinto sia una quasi per­fetta tra­spo­si­zione dell’assetto geo­me­trico del volto di Man­zoni ri­preso nella fotografia.

.
Sul piano oriz­zon­tale …
ab­biamo uti­liz­zato gli al­li­nea­menti [1] e [2] per gli oc­chi; il [3] per la punta del naso; il [4] per la punta del col­letto; il [5] per la con­giun­zione delle lab­bra; il [6] per un al­tro al­li­nea­mento del col­letto all’incrocio con il papillon.

Sul piano ver­ti­cale …
con [B] ab­biamo de­fi­nito il mar­gine de­stro del volto; con [C-D] la lar­ghezza dell’occhio de­stro (no­tare in [D] l’allineamento per­fetto con l’inizio dell’arcata so­pra­ci­liare de­stra); con [E] il punto cen­trale della bocca; con [F-H] la lar­ghezza dell’occhio si­ni­stro; con [I] l’allineamento in [M] tra col­letto e pa­pil­lon; con [L] la chiu­sura di­men­sio­nale del capo con il bordo dell’orecchio si­ni­stro; con la dia­go­nale [A-N], l’allineamento tra il punto [M] già ci­tato e la curva dell’arcata so­pra­ci­liare destra.

Il let­tore può di­ver­tirsi a cer­care al­tri al­li­nea­menti — con quelli in­di­cati ci sem­bra però di avere dato suf­fi­cienti ele­menti per po­tere tran­quil­la­mente con­clu­dere que­sta parte dell’analisi col con­sta­tare che — senza om­bra di dub­bio e in­di­pen­den­te­mente dal nome del pit­tore — il “ri­tratto di Lecco” è stato esem­plato da quella fotografia.

6.2 / Veniamo ora al deformante e insieme troppo fedele intervento pittorico.

La tra­spo­si­zione geo­me­trica dalla ri­pro­du­zione fo­to­gra­fica alla ta­vola del di­pinto può es­sere re­la­ti­va­mente sem­plice, an­che uti­liz­zando la ben col­lau­data qua­dret­ta­tura delle im­ma­gini — a li­mite è un la­voro che può svol­gere egre­gia­mente an­che chi non ca­pi­sce nulla di pittura.

Il pas­sag­gio dal bianco e nero della fo­to­gra­fia al di­pinto a olio com­porta però scelte qua­li­ta­tive che ri­chie­dono espe­rienza e com­pe­tenza ti­pi­che dell’arte pit­to­rica.
Non è il caso di en­trare in det­ta­gli ma è in­fatti evi­dente an­che a chi non se ne oc­cupa abi­tual­mente che gli ele­menti cro­ma­tici hanno una loro par­ti­co­lare va­lenza di­men­sio­nale: un’area del di­pinto, o un det­ta­glio, cui viene data una luce ec­ces­siva, all’occhio del ri­guar­dante ap­pare come in­gran­dito, e viceversa.

Il modo con cui il pit­tore ha ope­rato sul ri­tratto di cui ci oc­cu­piamo è ab­ba­stanza curioso.

Primo / Da un lato è in­cap­pato in er­rori pac­chiani che hanno de­ci­sa­mente peg­gio­rato la fi­sio­no­mia del mo­dello — naso, zi­gomo.

Se­condo / Dall’altro (lo si ac­cen­nava so­pra) si è sen­tito au­to­riz­zato a rein­ter­pre­tare al­cuni det­ta­gli ana­to­mici del volto di Man­zoni — la bocca — pen­sando forse di fare un fa­vore allo scrit­tore che aveva no­to­ria­mente lab­bra molto sottili/arcuate verso il basso.

Terzo / Dall’altro an­cora — e pro­prio al con­tra­rio — si è in­vece ri­gi­da­mente at­te­nuto agli ele­menti chia­ro­scu­rali della ri­pro­du­zione fo­to­gra­fica, an­che quando que­sti avreb­bero potuto/dovuto es­sere mo­di­fi­cati per una mag­giore coe­renza pittorica.

Ma an­diamo per gradi.

6.3 / Gli errori dilettanteschi.

Zi­gomo — Guar­da­telo quel gnocco ro­sato: con quelle luci troppo vive ha preso un ri­lievo ec­ces­sivo: dà l’impressione che al po­vero Man­zoni ab­biano dato un caz­zot­tone pro­prio lì (forse è per quello che il poeta sem­bra così irritato).

Naso — L’ombra che de­li­mita la cre­sta del setto na­sale è stata ap­pli­cata ma­la­mente.
Nella ri­pro­du­zione fo­to­gra­fica che ha fatto da mo­dello al di­pinto, il pro­filo del naso si in­tra­vede sol­tanto e il no­stro ignoto pit­tore ha do­vuto met­terci del suo.
Ma così il naso di Man­zoni, in na­tura non pic­colo ma piut­to­sto sot­tile, è stato tra­sfor­mato in un al­bero di maestra.

6.4 / Censurati i tratti caratteriali di Manzoni: inventata la boccuccia di rosa.

Man­zoni aveva la bocca ge­ne­ro­sa­mente larga (tutto mamma Giu­lia!) ma con lab­bra sot­tili e ten­denti al basso — una piega ca­rat­te­riale come per tutti ac­cen­tua­tasi col pas­sare de­gli anni.

Che ha fatto il no­stro pit­tore dell’ingranditore?
Si­cu­ra­mente con la buona in­ten­zione di to­gliere qual­che anno allo scrit­tore è in­ter­ve­nuto dra­sti­ca­mente: l’ha resa meno larga e ha avuto la bella idea di di­se­gnar­gliela a boc­cuc­cia di rosa, at­te­nuando di molto le pie­ghe verso il basso.

Per com­ple­tare il mi­sfatto ha ag­giunto un po’ di cic­cia al lab­bro in­fe­riore — tra l’altro, a lui o a qual­che scia­gu­rato re­stau­ra­tore è scap­pato il pen­nello e ne è ve­nuto un ri­gon­fia­mento ano­malo sul lab­bro su­pe­riore sinistro.

Ave­vamo già vi­sto so­pra come an­che Tran­quillo Cre­mona, an­che lui pre­oc­cu­pato delle sup­po­ste “im­per­fe­zioni” dell’amico Dossi, avesse messo pa­rec­chio del suo per “mi­glio­rarne” la fi­sio­no­mia — evi­den­te­mente a quei tempi le pul­sioni chi­rur­gico-pit­to­ri­che erano nell’aria.

Sap­piamo che qual­che let­tore at­tento po­trebbe sen­tirsi sol­le­ti­cato da que­sti det­ta­gli a farsi un’idea sull’autore del ri­tratto.
Ma at­ten­zione: al mo­mento gli in­dizi sono troppo la­bili per pen­sare a Cre­mona come au­tore del “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” — sem­mai pos­sono es­sere uti­liz­zati per av­viare un la­voro di scavo in quell’ambiente ar­ti­stico-fo­to­gra­fico per cer­care un an­cora acerbo emulo di Cremona.

6.5 / Al contrario, ottusa fedeltà alle eccessive ombre dell’originale fotografico.

La stampa fo­to­gra­fica che è ser­vita da mo­dello per il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” ha le luci de­ci­sa­mente chiuse: là dove nel fo­to­ri­tratto di Du­roni le om­bre delle ar­cate or­bi­tali erano ap­pena ac­cen­nate, ren­dendo il ri­tratto un poco eva­ne­scente, Gan­zini, nel ma­neg­giare il ne­ga­tivo per una nuova com­po­si­zione tutta sua, le ha al con­tra­rio ac­cen­tuate, “dram­ma­tiz­zando” l’espressione di Manzoni.

Il no­stro pit­tore dell’ingranditore, an­zi­ché con­si­de­rare cri­ti­ca­mente que­sto aspetto e at­te­nuare le om­bre ec­ces­sive di Gan­zini, le ha ri­pro­dotte con straor­di­na­ria pre­ci­sione, come il let­tore può age­vol­mente con­sta­tare — sem­bra anzi che il pit­tore ne ab­bia fatto una sua scelta sti­li­stica. Pur­troppo con ri­sul­tati ne­ga­tivi sul piano pittorico.

In ef­fetti, se guar­date il di­pinto, ciò che rende l’espressione di Man­zoni quasi in­quie­tante è pro­prio l’ammasso di quelle om­bre, di­se­gnate con pe­dis­se­qua fe­deltà all’originale fo­to­gra­fico ma come per una di­scus­sione di geo­me­tria piana sui po­li­goni con­cavi — nulla a che ve­dere né con un qual­si­vo­glia ri­tratto né tanto meno con la fi­sio­no­mia di Manzoni.

Pre­ghiamo il let­tore di fis­sare nella me­mo­ria que­sto aspetto per­ché è la prova pro­vata a con­ferma della no­stra con­vin­zione se­condo cui il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco”:

a. non solo è stato esem­plato da una spe­ci­fica ri­pro­du­zione fo­to­gra­fica (il che già non è poco per po­tere even­tual­mente in­di­vi­duarne il vero au­tore);
.
b. ma an­che che quella spe­ci­fica ri­pro­du­zione fo­to­gra­fica, con quelle om­bre così ca­rat­te­riz­zanti, è stata rea­liz­zata da Gan­zini nel 1869. Il che — sia detto per in­ciso — esclude per ov­vie ra­gioni Mol­teni, morto ai primi di gen­naio del 1867.

6.6 / Riassumendo sul modello del “Millantato Molteni di Lecco” …

a. Nel 1862-63 (per pru­denza man­te­nia­moci su que­sto arco tem­po­rale ma noi ri­te­niamo nella pri­ma­vera del 1862) Du­roni rea­lizzò una se­rie di fo­to­ri­tratti di Man­zoni (lo scrit­tore aveva 72-73 anni).
.
b. So­prat­tutto dopo la metà de­gli anni ’60 co­min­ciò a dif­fon­dersi tra i pit­tori l’uso della fo­to­gra­fia come ri­fe­ri­mento an­che nella ri­trat­ti­stica.
.
c. Alla fine del de­cen­nio (e poi ol­tre) le fo­to­gra­fie di Du­roni ven­nero usate per ri­tratti di Man­zoni da al­cuni pit­tori (De No­ta­ris, La­fo­ret) ma an­che ri­tratti fo­to­gra­fici, come da G.B. Gan­zini.
.
d. Nell’ottobre 1869 que­sti pro­dusse l’album “Ve­dute dai Pro­messi Sposi” ac­clu­den­dovi un ri­tratto fo­to­gra­fico di Man­zoni frutto della rie­la­bo­ra­zione di Gan­zini di una delle foto di Du­roni.
.
e. Il “Ri­tratto di Man­zoni” cu­sto­dito a Lecco e detto senza al­cuna ar­go­men­ta­zione “DI” Mol­teni , è stato di evi­denza esem­plato su que­sta rie­la­bo­ra­zione di Gan­zini: ne se­gue con as­so­luta pre­ci­sione non solo il pro­filo geo­me­trico ma an­che le ca­rat­te­ri­sti­che chia­ro­scu­rali, for­te­mente con­tra­state ri­spetto all’originale di Du­roni.
.
f. Il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” è quindi stato rea­liz­zato dopo la morte di Mol­teni (gen­naio 1867), ve­ro­si­mil­mente al primo an­ni­ver­sa­rio della morte di Man­zoni (1874) o nel de­cen­nale (1883).
Solo una ana­lisi stru­men­tale po­trebbe darci ele­menti per una ri­spo­sta più certa e per in­di­vi­duarne l’autore.

Ma pas­siamo ad altro.

7. Iconografia talebano-lariana: come trasformare un dipinto mediocre in un marchio deformante.

Fino a que­sto punto ab­biamo trat­tato due aspetti del nuovo mar­chio del Mu­seo Man­zo­niano: esso si ispira a un dipinto

la cui mil­lan­tata sim­bo­li­cità del Mu­seo Man­zo­niano è ine­si­stente;
.
la cui mil­lan­tata au­to­gra­fia mol­te­niana è frutto di pura fantasia.

È op­por­tuno ora ana­liz­zare il pit­to­gramma del mar­chio, quella sua parte pro­pria­mente gra­fica che si vor­rebbe es­sere sim­bolo per­fetto del Mu­seo Man­zo­niano. È opportuno:

Primo — Ve­ri­fi­carne la coe­renza ri­spetto all’originale ri­tratto di cui è una rie­la­bo­ra­zione.
.
Se­condo — Va­lu­tare se ap­pare coe­rente ri­spetto al pen­siero di Man­zoni circa il tema della “fi­sio­no­mia” — è que­sto un aspetto da nes­suno de­gli esten­sori del “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano” ri­cor­dato ma che è ov­via­mente fondamentale.

Ri­leg­giamo il brano del “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano” re­la­tivo al come si è giunti a ela­bo­rare il pit­to­gramma del nuovo mar­chio (evi­den­zia­zioni nostre):

«Ab­biamo quindi de­ciso di pro­ce­dere at­tra­verso la sti­liz­za­zione dell’icona per ec­cel­lenza del Mu­seo, ov­vero il ri­tratto di Man­zoni ad opera del Mol­teni che ri­sulta fa­mi­liare sia sul ter­ri­to­rio che ol­tre; le ca­rat­te­ri­sti­che pe­cu­liari del Man­zoni ma­turo e an­ziano — la ca­pi­glia­tura, le ba­sette, il pa­pil­lon, l’ottocentesca ie­ra­ti­cità — sono im­me­dia­ta­mente ri­co­no­sci­bili a li­vello na­zio­nale e pro­ba­bil­mente an­che in­ter­na­zio­nale.»

Quindi se­condo gli esten­sori del “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano”, in tutta Ita­lia e “pro­ba­bil­mente” nel Mondo, quando qual­cuno vede ba­sette, pa­pil­lon, ot­to­cen­te­sca ie­ra­ti­cità (qua­lun­que cosa si vo­glia in­ten­dere con que­sta espres­sione) pensa ine­vi­ta­bil­mente a Manzoni.

È dif­fi­cile pen­sare che si­mili scioc­chezze pos­sano co­sti­tuire l’asse por­tante di un pro­getto di co­mu­ni­ca­zione in­cen­trato su Man­zoni — ma è pro­prio così.

Sic­come la sto­ria, e la no­stra espe­rienza quo­ti­diana, ci in­se­gnano che die­tro ciò che ap­pare come solo ri­di­colo vi sono spesso pro­grammi e pro­getti ter­ri­bil­mente seri nella loro me­dio­crità, è op­por­tuno cer­care di com­pren­dere cosa vi possa es­sere di pro­gram­ma­tico die­tro que­sta fan­ta­sia in li­bertà a base di ba­sette e papillon.

7.1 / L’assunto “basette, papillon, ottocentesca ieraticità” come elemento distintivo dell’immagine di Manzoni è solo una chiacchiera da fumetto.

Ab­biamo già vi­sto come il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” si ca­rat­te­rizza per una ben mi­sera notorietà.

Sap­piamo in­vece che la ri­co­no­sci­bi­lità fi­sica di cui gode oggi Man­zoni è vei­co­lata da tre al­tre im­ma­gini.

1. In primo luogo, in assoluto, il ritratto eseguito da Hayez nel 1841 e da lui replicato nel 1874 in modo quasi perfetto.

Que­sto ri­tratto gode di una gran­dis­sima no­to­rietà in Ita­lia ed è certo co­no­sciuto a li­vello internazionale.

Ol­tre alla sua qua­lità ar­ti­stica — è ve­ra­mente un ec­cel­lente ri­tratto — bi­so­gna ri­cor­dare che una co­pia per­fetta dell’opera è espo­sta al pub­blico da quasi un se­colo e mezzo; ciò gra­zie al me­ce­na­ti­smo di Ste­fano Stampa (fi­glia­stro di Man­zoni e pro­prie­ta­rio dell’originale) e di Hayez che la rea­lizzò nel 1874 do­nan­dola all’Accademia di Mi­lano.
Sono quindi 146 anni che que­sto di­pinto è pre­sente alla Pi­na­co­teca di Brera, una delle più co­no­sciute rac­colte d’arte del Mondo.

Que­sto ri­tratto è stato uti­liz­zato in­nu­me­re­voli volte nelle pub­bli­ca­zioni de­di­cate a Man­zoni; può es­sere — que­sto sì — con­si­de­rato l’icona di Man­zoni (non della Pi­na­co­teca di Brera che lo ospita).

1. In primo luogo, in assoluto, il ritratto eseguito da Hayez nel 1841 e da lui replicato nel 1874 in modo quasi perfetto.

Que­sto ri­tratto gode di una gran­dis­sima no­to­rietà in Ita­lia ed è certo co­no­sciuto a li­vello internazionale.

Ol­tre alla sua qua­lità ar­ti­stica — è ve­ra­mente un ec­cel­lente ri­tratto — bi­so­gna ri­cor­dare che l’opera è espo­sta al pub­blico dal 1874, gra­zie al me­ce­na­ti­smo in­tel­li­gente di Ste­fano Stampa, fi­glia­stro di Man­zoni, che con­sentì nel 1874 allo stesso Hayez di rea­liz­zare una co­pia del ri­tratto del 1841 (di sua pro­prietà) per­ché fosse espo­sto al pub­blico.
Sono quindi 146 anni che que­sto di­pinto è pre­sente alla Pi­na­co­teca di Brera, in una delle più co­no­sciute rac­colte d’arte del Mondo.

Que­sto ri­tratto è stato uti­liz­zato in­nu­me­re­voli volte nelle pub­bli­ca­zioni de­di­cate a Man­zoni; può es­sere — que­sto sì — con­si­de­rato l’icona di Man­zoni (non della Pi­na­co­teca di Brera che lo ospita).

In que­sto ri­tratto haye­ziano, l’unico ele­mento dei tre ri­chia­mati da Ne­gri come di­stin­tivi di Man­zoni sono le “ba­sette”, de­ci­sa­mente però meno folte di quanto non ap­paia nel “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco”.

IERATICITÀ = ZERO.
Nel ri­tratto di Hayez non vi è trac­cia al­cuna della fan­to­ma­tica “ie­ra­ti­cità” di Man­zoni (at­tri­bui­ta­gli dall’architetto Ne­gri e dal Di­ret­tore scien­ti­fico Ros­setto) da lui mai avuta, per for­tuna sua e no­stra.
Man­zoni ha la sua espres­sione, sem­pre ri­cor­data da amici e pa­renti, un poco di­stac­cata e in­ter­ro­ga­tiva ma sem­plice e indulgente.

PAPILLON = ZERO.
Nel ri­tratto di Hayez non vi è trac­cia di “pa­pil­lon”, che si­gni­fica nodo a “far­falla”. La sciarpa di Man­zoni (non è una cra­vatta) è qui fer­mata con un sem­plice nodo singolo.

In que­sto ri­tratto haye­ziano, l’unico ele­mento dei tre ri­chia­mati da Ne­gri come di­stin­tivi di Man­zoni sono le “ba­sette”, de­ci­sa­mente però meno folte di quanto non ap­paia nel “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco”.

IERATICITÀ = ZERO.
Nel ri­tratto di Hayez non vi è trac­cia al­cuna della fan­to­ma­tica “ie­ra­ti­cità” di Man­zoni (at­tri­bui­ta­gli dall’architetto Ne­gri e dal Di­ret­tore scien­ti­fico Ros­setto) da lui mai avuta, per for­tuna sua e no­stra.
Man­zoni ha la sua espres­sione, sem­pre ri­cor­data da amici e pa­renti, un poco di­stac­cata e in­ter­ro­ga­tiva ma sem­plice e indulgente.

PAPILLON = ZERO.
Nel ri­tratto di Hayez non vi è trac­cia di “pa­pil­lon”, che si­gni­fica nodo a “far­falla”. La sciarpa di Man­zoni (non è una cra­vatta) è qui fer­mata con un sem­plice nodo singolo.

2. Nel secondo ritratto di Manzoni per notorietà (almeno in Italia) di tutto si può accusare lo scrittore tranne che di “ieraticità”.

An­che que­sto ri­tratto è ab­ba­stanza noto, non foss’altro che per com­pa­rire (ma­lau­gu­ra­ta­mente) sulla co­per­tina delle ul­time rie­di­zioni di “La fa­mi­glia Man­zoni” della Ginz­burg (cer­ta­mente con suo grande cruc­cio — se qual­cuno vuol sa­pere per­ché, legga qui).
Venne ese­guito, si ri­tiene, nel 1805; un tempo era at­tri­buito alla Co­sway; ora è senza un pa­dre riconosciuto.

Qui il ven­tenne Man­zoni non ha ov­via­mente nulla di “ie­ra­tico” (ri­corda piut­to­sto El­vis Pre­sley nei suoi mo­menti mi­gliori) e al collo non ha pro­prio nulla con cui farsi un qual­siasi tipo di nodo.

Le ba­sette si fer­mano a fine orec­chio, come sug­ge­rito an­che oggi da­gli esperti di este­tica ma­schile per i volti lunghi.

3. Il terzo ritratto per notorietà (ma anche questo di gran lunga dietro il primo di Hayez) è il ritratto Molteni/d’Azeglio del 1835.

Que­sto è l’unico in cui Man­zoni sfoggi un nodo a far­falla. Ma at­ten­zione: non è il pa­pil­lon li­neare del “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco”.
È un nodo a far­falla di una sciarpa piut­to­sto alta, con dop­pio giro at­torno al collo, come por­tato da quasi tutti gli uo­mini del tempo per pro­teg­gersi la gola (fre­quenti al­lora i raf­fred­dori e senza tachipirina).

È cioè tutto tranne che un par­ti­co­lare di­stin­tivo dell’abbigliamento di Man­zoni, come pre­ten­de­reb­bero i “crea­tivi” che al poeta hanno ta­gliato la faccia.

Qui in­vece le ba­sette sono piut­to­sto spe­lac­chiate, in coe­renza con l’espressione di ac­co­rata in­ter­ro­ga­zione del ri­trat­tato in una delle fasi più cri­ti­che della vita dell’effigiato.

Riassumendo su questo aspetto possiamo bene affermare che il “Millantato Molteni di Lecco” non solo è il peggiore dei pochi ritratti di Manzoni ma è fortunatamente anche il meno conosciuto.

a. Il più noto ri­tratto di Man­zoni, que­sto sì an­che a li­vello in­ter­na­zio­nale, è quello rea­liz­zato da Hayez nel 1841. La sua no­to­rietà si deve a di­versi fat­tori: ha una alta qua­lità ar­ti­stica ac­com­pa­gnata da una grande fe­deltà sia ai tratti fi­sio­gno­mici dell’effigiato sia alla sua im­ma­gine psi­co­lo­gica; gra­zie al me­ce­na­ti­smo di Ste­fano Stampa e dello stesso Fran­ce­sco Hayez è of­ferto al pub­blico dal 1874 (146 anni a oggi) alla Pi­na­co­teca di Brera, una delle rac­colte più co­no­sciute al mondo.

b. Per no­to­rietà se­guono il ri­tratto gio­va­nile di Man­zoni pro­ba­bil­mente del 1805, già at­tri­buito alla Co­sway (di di­screto li­vello an­che se vi­ziato da una posa del gio­vane troppo “ro­man­tica”).
Se­guito dal ri­tratto Molteni/d’Azeglio del 1835, forse il più in­te­res­sante dei tre per lo sfondo rap­pre­sen­tante il ter­ri­to­rio la­riano ma poco noto sia per­ché reso pub­blico solo nel 1952 sia per l’esposizione certo non ot­ti­male alla Sala Man­zo­niana della Brai­dense di Milano.

c. È quindi una ab­norme de­for­ma­zione della realtà pre­sen­tare il “Mil­lan­tato Mol­teni di Lecco” come rap­pre­sen­ta­tivo dell’immagine di Man­zoni. Pro­prio al con­tra­rio que­sto ri­tratto è po­chis­simo noto e po­chis­simo rap­pre­sen­tato a tutti i li­velli.
Si ca­rat­te­rizza inol­tre per una me­dio­cre qua­lità ar­ti­stica, le­gata an­che all’essere co­pia ine­sperta di una fo­to­gra­fia, ma so­prat­tutto per la lon­ta­nanza abis­sale ri­spetto alla fi­gura psi­co­lo­gica di Man­zoni, ben nota per i molti e con­cordi ri­cordi sia delle per­sone che lo fre­quen­ta­rono con con­ti­nuità sia di quelli che con lui eb­bero an­che solo un breve incontro.

7.2 / Chirurghi estetici dal bisturi senza controllo.

Ma ve­niamo all’operazione di chi­rur­gia fac­ciale che, ci sem­bra, debba es­sere at­tri­buita esclu­si­va­mente alla fan­ta­sia e alla mano dello stu­dio dell’architetto Ne­gri, an­cor­ché con la piena e con­sa­pe­vole ap­pro­va­zione di tutta la ca­tena de­ci­sio­nale del Co­mune di Lecco.

Sulla pa­gina Fa­ce­book dello stu­dio dien­ne­pierre del 25 ot­to­bre scorso tro­viamo il per­corso crea­tivo che ha por­tato a can­cel­lare i li­nea­menti di Man­zoni dal pit­to­gramma che do­vrebbe sim­bo­liz­zare il Mu­seo a lui dedicato.

Così Ne­gri ne ha de­scritto il pro­cesso crea­tivo (“Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano”, p. 41):

«La sa­goma del logo mette in evi­denza le sud­dette ca­rat­te­ri­sti­che [ca­pi­glia­tura, ba­sette, ie­ra­ti­cità — ndr] ri­du­cendo il ri­tratto ai mi­nimi ter­mini di una im­ma­gine positivo/negativo, senza i tratti del volto. Nes­sun al­tro ele­mento o co­lore in­ter­ven­gono nella sa­goma per non per­dere im­me­dia­tezza co­mu­ni­ca­tiva e ri­pro­du­ci­bi­lità a qual­siasi scala di rappresentazione.»

Come si vede, viene de­scritto il per­corso tec­nico ma nes­suna idea del per­ché si sia scelto di rap­pre­sen­tare la fi­sio­no­mia di un uomo can­cel­lan­done i lineamenti.

Qui a lato (ri­pren­dendo dalla già ri­cor­data pa­gina Fa­ce­book dello Stu­dio dien­ne­pierre) ri­por­tiamo le tappe del per­corso con cui in Pho­to­shop Ne­gri, o chi per esso, ha pre­ce­duto a evi­den­ziare le parti a suo av­viso ca­rat­te­ri­stici di Manzoni.

Nell’entusiasmo il pennello/bisturi è sfug­gito di mano all’operatore che è an­dato ol­tre le ba­sette e ha com­preso nella se­le­zione an­che il col­letto della ca­mi­cia di Man­zoni.
Il crea­tivo ha quindi fatto onore al ter­mine: per Man­zoni ha creato ex-novo una barba, an­che se “alla Ca­vour”. Il re­sto è poi ve­nuto da sé.

Sulla pa­gina Fa­ce­book dello stu­dio dien­ne­pierre del 25 ot­to­bre scorso tro­viamo il per­corso crea­tivo (si fa per dire) che ha por­tato a can­cel­lare i li­nea­menti di Man­zoni dal pit­to­gramma che do­vrebbe sim­bo­liz­zare il Mu­seo a lui dedicato.

Così Ne­gri ne ha de­scritto il pro­cesso crea­tivo (“Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano”, p. 41):

«La sa­goma del logo mette in evi­denza le sud­dette ca­rat­te­ri­sti­che [ca­pi­glia­tura, ba­sette, ie­ra­ti­cità — ndr] ri­du­cendo il ri­tratto ai mi­nimi ter­mini di una im­ma­gine positivo/negativo, senza i tratti del volto. Nes­sun al­tro ele­mento o co­lore in­ter­ven­gono nella sa­goma per non per­dere im­me­dia­tezza co­mu­ni­ca­tiva e ri­pro­du­ci­bi­lità a qual­siasi scala di rappresentazione.»

Come si vede, viene de­scritto il per­corso tec­nico ma nes­suna idea del per­ché si sia scelto di rap­pre­sen­tare la fi­sio­no­mia di un uomo can­cel­lan­done i lineamenti.

Qui a lato (ri­pren­dendo dalla già ri­cor­data pa­gina Fa­ce­book dello Stu­dio dien­ne­pierre) ri­por­tiamo le tappe del per­corso con cui in Pho­to­shop Ne­gri, o chi per esso, ha pre­ce­duto a evi­den­ziare le parti a suo av­viso ca­rat­te­ri­stici di Manzoni.

Nell’entusiasmo il pennello/bisturi è sfug­gito di mano all’operatore che è an­dato ol­tre le ba­sette e ha com­preso nella se­le­zione an­che il col­letto della ca­mi­cia di Man­zoni.
Il crea­tivo ha quindi fatto onore al ter­mine: per Man­zoni ha creato ex-novo una barba, an­che se “alla Ca­vour”. Il re­sto è poi ve­nuto da sé.

Dob­biamo dire che il crea­tivo dello stu­dio Ne­gri e as­so­ciati se l’è ca­vata a buon mer­cato: do­veva ri­ca­vare una fi­gura sti­liz­zata da quel me­dio­cre di­pinto? e lui lo ha fatto, sep­pure con un piz­zico di crea­ti­vità for­nendo a Man­zoni una barba da lui mai sfog­giata.
Tro­van­dosi però poi a di­sa­gio sul come sti­liz­zare la “ie­ra­ti­cità”, ha de­ciso che era inu­tile per­dere troppo tempo e che la so­lu­zione mi­gliore era di can­cel­lare tutto il volto del rap­pre­sen­tato — chisseneimporta!

Ecco, que­sto è il pro­cesso crea­tivo gra­zie al quale nel “Pro­getto Mu­seo Man­zo­niano” si è creato il pit­to­gramma del nuovo marchio.

Ma non è fi­nita.
Il pit­to­gramma di cui ab­biamo ap­pena de­scritto la ge­nesi, ol­tre a es­sere una cosa in sé senza senso, è an­che una ma­ni­fe­sta­zione at­tiva di aperto con­tra­sto con tutto ciò che Man­zoni ha espresso con lo scritto e con le im­ma­gini sulla “fi­sio­no­mia” dell’essere umano.

7.3 / La “fisionomia” nel romanzo di Manzoni.

La va­lo­riz­za­zione della fi­sio­no­mia (an­che quella fi­sica) è l’espressione della uni­cità di ogni in­di­vi­duo; del suo es­sere in­con­fon­di­bile te­sti­mone dell’umanità.

Ed è la via at­tra­verso cui la cul­tura clas­sica oc­ci­den­tale (e lo stesso cri­stia­ne­simo, a parte le pa­ren­tesi ico­no­cla­ste) ha de­di­cato tante ener­gie nella rap­pre­sen­ta­zione di oc­chi, lab­bra, volti come sim­boli del mondo in­te­riore di ogni es­sere umano.
Tanto da farne in am­bito re­li­gioso i ca­nali pri­vi­le­giati del rap­porto tra uomo e per­fe­zione, tra uomo e inef­fa­bile sen­ti­mento, tra uomo e fi­na­lità all’uomo via via sco­no­sciute — da qui la enorme pro­du­zione ar­ti­stica “umana” e “fi­sio­gno­mica” che ca­rat­te­rizza la no­stra cultura.

Si può na­tu­ral­mente an­che non es­sere d’accordo con nes­suno di que­sti ri­fe­ri­menti della cul­tura oc­ci­den­tale e con i suoi modi espres­sivi.
E in­fatti, per esem­pio, il mondo isla­mico in ge­ne­rale con­si­dera bla­sfema la rap­pre­sen­ta­zione fi­nan­che del pro­prio fon­da­tore Mao­metto.
A par­tire da lì, i suoi peg­giori epi­goni — i ta­le­bani, tanto per ri­cor­dare i più noti nell’attualità — si fanno un ob­bligo del di­strug­gere ogni opera d’arte in cui sia rap­pre­sen­tato al­cun­ché in forma umana.

Ma ci sem­bra che Man­zoni non fosse mu­sul­mano e fosse anzi un com­piuto rap­pre­sen­tante della cul­tura oc­ci­den­tale.
E che nel suo ro­manzo “I Pro­messi Sposi — Sto­ria della Co­lonna In­fame” ab­bia coe­ren­te­mente fatto am­pio uso dei ca­rat­teri fi­sio­gno­mici per la rap­pre­sen­ta­zione di sen­ti­menti e azioni dei suoi per­so­naggi.

L’innominato è per l’appunto senza nome; ma Man­zoni ce ne ha dato una fi­sio­no­mia fi­sica in­con­fon­di­bile. Una fi­sio­no­mia che con­sente di mo­strarne an­che pla­sti­ca­mente il per­corso mo­rale.
E così è per tutte le al­tre fi­gure che po­po­lano l’intera narrazione.

Ma chi ha pen­sato, e rea­liz­zato, e ap­pro­vato quel logo che can­cella i li­nea­menti di Man­zoni, ha mai letto “I Pro­messi Sposi”? Sem­bre­rebbe pro­prio di no!
E al­lora, pren­den­doli ca­ri­ta­te­vol­mente per mano, mo­striamo loro se e come Man­zoni è ri­corso con ab­bon­danza an­che a volti, oc­chi, lab­bra per coin­vol­gerci nel suo romanzo.

7.4 / I riferimenti agli elementi fisionomici nel romanzo di Manzoni.

I Pro­messi Sposi — Sto­ria della Co­lonna In­fame”, Re­daelli, 1840, p. 309:

«[…] in tali strette, Renzo do­vette fare forse dieci giu­dizi fi­sio­no­mici, prima di tro­var la fi­gura che gli pa­resse a pro­po­sito. Quel gras­sotto, che stava ritto sulla so­glia della sua bot­tega, […] aveva un viso di ci­ca­lone cu­rioso, che, in vece di dar delle ri­spo­ste, avrebbe fatto delle in­ter­ro­ga­zioni. Quell’altro che ve­niva in­nanzi, con gli oc­chi fissi, e col lab­bro in fuori, non che in­se­gnar pre­sto e bene la strada a un al­tro, ap­pena pa­reva co­no­scer la sua. Quel ra­gaz­zotto, che, a dire il vero, mo­strava d’esser molto sve­glio, mo­strava però d’essere an­che più ma­li­zioso; e pro­ba­bil­mente avrebbe avuto un gu­sto matto a far an­dare un po­vero con­ta­dino dalla parte op­po­sta a quella che desiderava. […]»

Cu­rioso come Man­zoni fa­cesse caso e sot­to­li­neasse la ve­rità già enun­ciata in Ec­cle­sia­ste 19/26.
Ma an­diamo più nel dettaglio.

Ab­biamo messo a data-base l’edizione 1840-42 della Qua­ran­tana e ne ab­biamo ti­rato fuori al­cune ricorrenze.

Vo­lete sa­pere quante volte nel suo ro­manzo Man­zoni cita fi­gure del mondo di so­pra, Dio/Signore? 225+73 = 298!

E Renzo? 585 — Lu­cia? 397 — Don Ab­bon­dio? 234 — Agnese? 219 — Don Ro­drigo? 170 – Pa­dre Cri­sto­foro? 136 — l’in­no­mi­nato? 93 — il Car­di­nale Fe­de­rigo? 68, e via a discendere.

Per an­dare su al­tri ri­fe­ri­menti, quante volte ri­corre la pa­rola “pe­ste” con i vari col­le­gati (pe­sti­lenza / pe­sti­fero / pe­sti­len­ziale / pe­sti­lente)? 133.
morte/morto e con­nessi? 125 — Bravo/bra­vac­cio, ecc.? 117.

In­cu­rio­siti, siamo pas­sati a in­ter­ro­garci su­gli stru­menti di cui il no­stro svi­luppo ani­male ci ha do­tato per co­mu­ni­care sia con i no­stri più o meno si­mili sia (per chi lo vuole, non è ob­bli­ga­to­rio) con la divinità.

Oc­chio / oc­chiata / oc­chietti / oc­chiacci / oc­chioni e con­nessi? 306. Però!
viso / volto? 186.
lab­bra / lin­gua / denti / orec­chio / ci­glia / ca­pelli? 179.

Guarda, guarda …
Nel ro­manzo del Man­zoni l’apparato fi­sico del co­mu­ni­care umano nelle sue di­verse ar­ti­co­la­zioni com­pare per 671 volte!

Quindi più del dop­pio di quanto non com­paia lo stesso de­sti­na­ta­rio (Dio/Signore) di parte di quella co­mu­ni­ca­zione, che nella no­stra clas­si­fica ini­ziale ave­vamo messo al terzo po­sto, dopo Renzo e Lucia.

Que­sto è pro­prio curioso!
Per la ve­rità, guar­dando il nuovo mar­chio di Villa Man­zoni e/o del Mu­seo Man­zo­niano ave­vamo pen­sato che la fi­gura rap­pre­sen­tata solo con barba e ca­pelli, fosse un cam­pione della in­co­mu­ni­ca­bi­lità quanto meno tra gli uo­mini (fi­gu­ria­moci con la divinità!).

7.5 / La fisionomia individuale asse portante delle illustrazioni de “I Promessi Sposi — Storia della Colonna Infame”.

Il ro­manzo “I Pro­messi Sposi – Sto­ria della Co­lonna in­fame” (1840-1842) è com­po­sto da 38 ca­pi­toli per “I Pro­messi Sposi” e da un unico lungo ca­pi­tolo (di­viso in 7 sotto-ca­pi­toli) per la “Sto­ria della Co­lonna In­fame”, quindi com­ples­si­va­mente 39 capitoli.

La prima pa­gina di ogni ca­pi­tolo ri­porta una in­te­sta­zione e un ca­po­let­tera di­se­gnati: ab­biamo quindi 78 di­se­gni tra in­te­sta­zioni e ca­po­let­tera che, sep­pure ne espri­mono in modo si­gni­fi­ca­tivo il con­te­nuto, non hanno un le­game di­retto con il te­sto (an­che i sette sotto-ca­pi­toli della “Sto­ria della Co­lonna In­fame” hanno una il­lu­stra­zione come ca­po­let­tera ma è solo un gra­fi­smo ornamentale).

Nell’intera opera, le im­ma­gini (di qual­siasi tipo) sono 425.
Ac­can­to­nate le 78 di cui ab­biamo ap­pena detto, ab­biamo quindi 347 il­lu­stra­zioni che sono di­retta espres­sione gra­fica del te­sto e per le quali Man­zoni si era mol­tis­simo im­pe­gnato per in­di­carne la ri­go­rosa col­lo­ca­zione all’interno delle pagine.

Di que­ste 347 il­lu­stra­zioni (tutte or­ga­ni­che al te­sto del ro­manzo) 35 (pari al 10%) sono “ri­tratti fi­sio­gno­mici” a “mezzo bu­sto”, os­sia con­ce­piti e rea­liz­zati per mo­strare al let­tore pro­prio la fac­cia dell’effigiato.

Que­sti “ri­tratti fi­sio­gno­mici” riguardano:

• 10 fi­gure più o meno im­por­tanti dello svol­gi­mento della vi­cenda chia­mia­mola così “per­so­nale” dei due pro­messi sposi;
.
• 25 per­so­naggi rap­pre­sen­ta­tivi del mo­mento sto­rico in cui si svolge la vi­cenda per­so­nale di Renzo e Lucia.

Ab­biamo così 10 ri­tratti raffiguranti:
Don Ab­bon­dio; don Ro­drigo; Renzo; Lu­cia, Pa­dre Cri­sto­foro; la Si­gnora di Monza; il Conte zio; l’innominato, il Car­di­nale Bor­ro­meo; don Ferrante.

Per il mo­mento sto­rico ab­biamo in­vece com­ples­si­va­mente 25 ri­tratti così divisi:

10 per la grande po­li­tica: Luigi XIII, Fi­lippo IV, il conte di Oli­va­res, il Car­di­nale di Ri­che­lieu, Am­bro­gio Spi­nola, Carlo I Gon­zaga, Ur­bano VIII, Ma­ria de’ Me­dici, Carlo Ema­nuele, Fer­di­nando II Im­pe­ra­tore;
.
1 per la me­di­cina: Lu­do­vico Set­tala;
.
8 per il di­ritto: Gi­ro­lamo Car­dano; Ma­chia­velli; Gio­vanni Bo­tero; Baldo de­gli Ubaldi; Bar­tolo da Sas­so­fer­rato; Pro­spero Fa­ri­nacci; Ce­sare Bec­ca­ria; Egi­dio Bossi;
.
6 per l’analisi sto­rica ed etica: Giu­seppe Ri­pa­monti, Ba­ti­sta Nani, Lu­do­vico Mu­ra­tori, Pie­tro Gian­none, Giu­seppe Pa­rini, Pie­tro Verri.

Ac­canto a que­sti ri­tratti a “mezzo bu­sto” (quasi foto-tes­sera per la carta di iden­tità) nel ro­manzo vi sono al­meno 35 im­ma­gini nelle quali l’attenzione del let­tore è stata dall’artista fo­ca­liz­zata sull’espressione del volto delle pur pic­cole illustrazioni.

Inol­tre, pos­siamo in­di­vi­duare 202 im­ma­gini raf­fi­gu­ranti sin­gole per­sone, o a cop­pie, o a pic­coli gruppi, tutti con volti per­fet­ta­mente di­stin­gui­bili e ben caratterizzati.

Ab­biamo quindi su 347 il­lu­stra­zioni ben 274 im­ma­gini (os­sia il 79%) nelle quali la fi­sio­no­mia gioca un ruolo o de­ci­sivo o im­por­tante nello svi­luppo del romanzo.

Pos­siamo quindi tran­quil­la­mente af­fer­mare che il ro­manzo di Man­zoni, così come ce lo ha vo­luto con­se­gnare nel 1840-42, può es­sere de­fi­nito an­che come il ro­manzo della “fi­sio­no­mia umana”.

7.6 / Dite che per Manzoni la fisionomia umana è importante?
E chiseneimpippa: nel marchio a nome suo noi la tagliamo proprio a lui!

Per­ché Man­zoni ha vo­luto evi­den­ziare con que­sta in­si­stenza i ca­rat­teri della fi­sio­no­mia umana sia nel te­sto del suo ro­manzo che nelle il­lu­stra­zioni? Su cosa vo­leva ri­chia­mare l’attenzione del lettore?

La ri­spo­sta è ab­ba­stanza sem­plice: per­ché in Man­zoni la fi­sio­no­mia dell’individuo è la ma­ni­fe­sta­zione del suo es­sere “fatto a im­ma­gine e so­mi­glianza” dell’Essere supremo.

L’Essere su­premo ha quindi per Man­zoni la barba o i baffi delle molte fi­gure ma­schili del ro­manzo o le sem­bianze di una gio­vane mo­de­sta o di una vec­chia serva o di una mo­naca sban­data? Ov­via­mente no.

Per Man­zoni nella in­fi­nita uni­cità della fi­sio­no­mia umana si ri­flette la in­fi­ni­tezza dell’essere su­premo, il suo es­sere in­sieme ge­ne­ra­lità e unicità.

Per il cat­to­lico Man­zoni ogni uomo è im­ma­gine dell’Onnipotente; e quando egli nel suo ro­manzo ne di­se­gna il volto — qua­lun­que esso sia — in­tende che vi sia spec­chiata sia la straor­di­na­ria mol­te­pli­cità del tutto sia quelle parti del di­vino che sono in ogni individuo.

Il quale, come “im­ma­gine di Dio” ha fa­coltà di in­ten­dere, sce­gliere, vo­lere, creare.

La que­stione non è di poco conto.
Ne di­scende che l’individuo, qua­lun­que sia il suo ruolo nella col­let­ti­vità o nelle re­la­zioni per­so­nali, ha re­spon­sa­bi­lità sue pro­prie che non può elu­dere e a cui non può es­sere sottratto.

Il di­bat­tito è vec­chio: l’uomo è in ba­lia del cieco de­stino op­pure ne è il prin­ci­pale costruttore?

Per il cat­to­lico Man­zoni la ri­spo­sta è scon­tata: l’uomo ha il com­pito di go­ver­nare se stesso con mo­da­lità con­formi al pro­prio es­sere pro­ie­zione del di­vino.
Inu­tile ri­cor­dare che an­che per il ma­te­ria­li­smo dia­let­tico (di­vino a parte) la vita de­gli uo­mini è solo ed esclu­si­va­mente nelle loro mani e che in que­sto pro­cesso hanno grande im­por­tanza an­che le sin­gole per­so­na­lità con tutte le loro de­ter­mi­na­zioni soggettive.

Ma­te­ria­li­smo a parte, se siamo d’accordo sull’importanza che Man­zoni as­se­gnava alla fi­sio­no­mia umana, al­lora dob­biamo chie­derci che senso ab­bia avere can­cel­lato pro­prio la sua fi­sio­no­mia, nel mar­chio che, al­meno nelle di­chia­ra­zioni, vor­rebbe ri­cor­darlo.

In appendice alla nostra Nota sul marchio talebano e il fasullo Molteni, rivolgiamo un invito (amaro) ai funzionari museali di Lecco e ai loro referenti Assessore alla Cultura e Sindaco: mettete le cose a posto in quel museo!

Così non va bene! 

Ora che il let­tore ha un qua­dro do­cu­men­tato sulla sto­ria del “Ri­tratto di Man­zoni” e sulla sua com­pleta estra­neità a Mol­teni, pos­siamo ri­pren­dere un ar­go­mento cui so­pra ave­vamo solo accennato.

Al punto 2.9, ave­vamo an­ti­ci­pato una vol­gare balla della Di­re­zione scien­ti­fica del Mu­seo Man­zo­niano messa sul sito Web del Co­mune de­di­cato al Mu­seo stesso.

Lì è scritto, in­fatti (sot­to­li­nea­ture nostre):

«La sala 3 ri­co­strui­sce lo stu­dio di Man­zoni […]. Sono pre­senti al­cuni og­getti per­so­nali, come la fa­mosa ta­bac­chiera e il ri­tratto che Giu­seppe Mol­teni di­pinse per lo scrit­tore.»

Os­sia, prima di tutto si ri­ba­di­sce al let­tore (e al vi­si­ta­tore del Mu­seo) che il “Ri­tratto di Man­zoni”, cu­sto­dito nella Sala 3 del Mu­seo, è in­du­bi­ta­bil­mente “DI” Mol­teni.
Ma in se­condo luogo si avanza sug­ge­sti­va­mente l’idea che il di­pinto fosse uno de­gli “og­getti per­so­nali” dello scrit­tore e tra le cose a lui emo­ti­va­mente più vi­cine (come ap­punto la “fa­mosa ta­bac­chiera”); così da fare pen­sare al let­tore non al cor­rente delle vi­cende man­zo­niane che il di­pinto sia stato ad­di­rit­tura com­mis­sio­nato a Mol­teni dallo stesso Manzoni.

Da tutto ciò che il let­tore ha po­tuto leg­gere fin qui ap­pare chiaro come que­sta sia una in­cre­di­bile pan­zana, buona forse per un fu­metto de­sti­nato ai mar­ziani ma in­de­gna di un Mu­seo de­di­cato a Man­zoni.
Qui non si tratta di opi­nioni ma di fatti ben noti e solo vo­lu­ta­mente ta­ciuti dalla Di­re­zione Scien­ti­fica del Mu­seo Manzoniano.

La quale però non si è ri­te­nuta sod­di­sfatta della palla con cui ha spor­cato la pa­gina uf­fi­ciale del Co­mune de­di­cata a Man­zoni ma ha ri­te­nuto op­por­tuno rin­ca­rare la dose, se­guendo il prin­ci­pio che quando si co­min­cia coll’inventare non bi­so­gna es­sere ti­midi ma in­ven­tare, in­ven­tare sem­pre di più.

La Di­re­zione Scien­ti­fica si è in­fatti im­pe­gnata e ha tra­sfor­mato una ri­si­bile fan­ta­sia su un pes­simo di­pinto in una ri­scrit­tura in­te­grale di mo­menti della vita di Man­zoni e an­che della sto­ria patria.

Ve­diamo in che modo.

Sulla pa­gina Fa­ce­book del Si­stema Mu­seale Ur­bano di Lecco, il 27 e il 28 giu­gno alle ore 18:30 sono state po­state le due in­for­ma­zioni sotto riportate.

Que­sti i due te­sti (li ri­por­tiamo in­te­gral­mente, er­rori or­to­gra­fici inclusi).

27 giu­gno:

«[Giu­seppe Mol­teni, ri­tratto di Ales­san­dro Man­zoni] / Giu­seppe Mol­teni di­pinse que­sto ri­tratto quando lo scrit­tore fu no­mi­nato Se­na­tore del Re­gno d’Italia.
L’opera è espo­sta nella sala 3 del Mu­seo Man­zo­niano, vi­cino alla fa­mosa ta­bac­chiera.
Nella sala 9 in­vece po­tete tro­vare il De­creto di no­mina del 9 ago­sto 1859, di cui ab­biamo ri­por­tato un par­ti­co­lare nella se­conda foto. / Ve­nite a ve­derli in museo!»

28 giu­gno:

«[Bozza au­to­grafa di Ales­san­dro Man­zoni, aprile 1860] / “Mae­stà! La ca­mera dei de­pu­tati […]” / È que­sto l’inizio della bozza del di­scorso di Sa­luto al Re Vit­to­rio Ema­nuele II, a nome della Ca­mera dei De­pu­tati, nel giorni dell’naugurazione del par­la­mento.
Al mo­mento della sua ste­sura lo scrit­tore era stato da poco no­mi­nato Se­na­tore del Re­gno d’Italia.
Quando fu il mo­mento di de­cla­marlo in­dossò lo stesso smo­king che po­tete ve­dere nel ri­tratto di­pinto da G. Mol­teni (l’opera pub­bli­cata ieri). / Que­sto do­cu­mento è espo­sto nel Mu­seo Man­zo­niano all’interno della sala 9, il ri­tratto in sala 3. / Ve­nite a vederli!»

Le nostre osservazioni.

Dai te­sti ap­pena ri­por­tati ri­pren­diamo due affermazioni:

27-06 — «Giu­seppe Mol­teni di­pinse que­sto ri­tratto quando lo scrit­tore fu no­mi­nato Se­na­tore del Re­gno d’Italia
28-06 — «Nella sala 9 in­vece po­tete tro­vare il De­creto di no­mina del 9 ago­sto 1859 [si in­tende la no­mina a Se­na­tore ci­tata il 27-06 NdR]».

Pen­siamo che que­ste due in­for­ma­zioni siano la di­mo­stra­zione inop­pu­gna­bile del pre­oc­cu­pante ma­ra­sma cul­tu­rale e or­ga­niz­za­tivo pre­sente al Mu­seo Man­zo­niano, cui è OBBLIGO por­tare im­me­dia­ta­mente ri­me­dio op­por­tuno, in­di­vi­duan­done al con­tempo i re­spon­sa­bili a tutti i livelli.

Le frasi in­sul­tanti l’intelligenza che stiamo ana­liz­zando non sono state ri­por­tate su Fa­ce­book da un qual­che pra­ti­cante alle prime armi che ha preso luc­ciole per lan­terne: sono parte della co­mu­ni­ca­zione uf­fi­ciale of­ferta al vi­si­ta­tore del Museo.

Qui mo­striamo la ve­trina della Sala 9 dove sono cu­sto­diti i do­cu­menti in que­stione.
Il se­condo e il terzo da si­ni­stra co­sti­tui­scono ciò su Fa­ce­book la Di­re­zione Scien­ti­fica del Mu­seo in­dica come la no­mina di Man­zoni a Se­na­tore; le di­da­sca­lie po­ste a po­chi cen­ti­me­tri dai do­cu­menti stessi (per­fet­ta­mente leg­gi­bili) ri­por­tano la me­de­sima in­for­ma­zione: «De­creto di no­mina di Ales­san­dro Man­zoni a Se­na­tore del Re­gno d’Italia [Mi­lano, 9 ago­sto 1859]»

Il vi­si­ta­tore che ab­bia fatto al­meno le me­die in­fe­riori ri­mane per­plesso: il 9 ago­sto 1859 non esi­steva an­cora il Re­gno d’Italia, co­sti­tui­tosi il 17 marzo 1861.

Il vi­si­ta­tore che ab­bia poi una qual­che idea delle vi­cende man­zo­niane ri­mane due volte per­plesso: Man­zoni in­fatti venne no­mi­nato Se­na­tore (del Re­gno di Sar­de­gna) il 29 feb­braio 1860.

Quando il vi­si­ta­tore alza lo sguardo di 20 cen­ti­me­tri non ri­mane per­plesso ma al­li­bito: i do­cu­menti che legge per­fet­ta­mente non hanno nulla a che ve­dere con la no­mina di Man­zoni a Se­na­tore.

Sono la pro­po­sta di De­creto avan­zata da Rat­tazzi in data 9 ago­sto 1859 per l’erogazione a Man­zoni (che an­cora non era Se­na­tore) di una pen­sione vi­ta­li­zia di lire 12.000 — leg­gere per credere.

Il let­tore si chie­derà come è pos­si­bile che nel Mu­seo de­di­cato a Man­zoni e inau­gu­rato in una nuova con­fi­gu­ra­zione il 26 ot­to­bre 2019 con la spesa di circa un mi­lione di Euro, siano pro­po­ste al pub­blico si­mili castronate.

Evi­den­te­mente NESSUNO ha mai letto cosa ef­fet­ti­va­mente fos­sero quei do­cu­menti in­di­cati come “De­creto di no­mina a Se­na­tore di Man­zoni del 9 ago­sto 1859”.
Non ci ha pen­sato chi li ha di­spo­sti a ve­trina (lo Stu­dio dien­ne­pierre dell’architetto Ne­gri); non ci hanno pen­sato i rin­gra­ziati nell’ingenuo vi­deo (pro­pa­gan­di­stico solo di que­sto o quel fun­zio­na­rio in an­sia di vi­si­bi­lità — il re­gi­sta An­to­nio Losa è l’unico in­col­pe­vole) che si mi­nac­cia di uti­liz­zare a li­vello na­zio­nale per “pro­muo­vere” il Mu­seo; non ci ha pen­sato l’Assessore alla Cul­tura, Si­mona Piazza; non ci ha pen­sato il Sin­daco Vir­gi­nio Bri­vio, anch’essi troppo im­pe­gnati ad ar­ro­ton­dare le frasi per la­sciare un’impronta ne­gli an­nali della città.

Ma so­prat­tutto non ci ha pen­sato la Di­re­zione scien­ti­fica. La quale evi­den­te­mente ha con­trol­lato quanto è stato di­spo­sto nel Mu­seo (di cui ha la piena re­spon­sa­bi­lità) pen­sando a tutt’altro — il let­tore ap­prez­zerà senz’altro la no­stra asten­sione dal turpiloquio.

La cosa straor­di­na­ria è che que­sta ca­stro­nata è stata ri­pe­tuta, a cura della me­de­sima Di­re­zione scien­ti­fica del Mu­seo, su Fa­ce­book, un so­cial uti­liz­zato da 2,5 mi­liardi di per­sone: una bella pub­bli­cità mon­diale per il Mu­seo Man­zo­niano! Com­pli­menti! Al­tro che il vi­deo di Losa!

E nes­suno della ca­tena de­ci­sio­nale in area cul­tu­rale del Co­mune di Lecco se ne è ac­corto: forse an­che in quei giorni erano tutti troppo im­pe­gnati ad au­to­pro­muo­versi, in un modo o nell’altro (ci tor­ne­remo con una no­ti­cina ad hoc a pro­po­sito dell’utilizzo im­pro­prio del Sa­lone delle Gri­sa­glie di Villa Man­zoni).

La cosa è pre­oc­cu­pante: c’è evi­den­te­mente qual­cosa che non va nella strut­tura e nel modo con cui ven­gono scelti i re­spon­sa­bili dell’intera area cul­tu­rale del Co­mune — bi­so­gna cam­biare.

Ma non il passo: bi­so­gna cam­biare de­ci­sa­mente rotta. E in­sieme cam­biare an­che il cuore!
An­che il cuore. Certo!

Per­ché di tutta evi­denza i fun­zio­nari di ogni li­vello pre­po­sti alla tu­tela della cul­tura man­zo­niana della città non solo sono igno­ranti (con­di­zione co­mun­que re­la­tiva — an­che il più sa­piente è igno­rante) ma pro­prio se ne fot­tono (il let­tore scu­serà il francesismo).

Ma non è fi­nita.
Per­ché an­che quanto af­fer­mato sulla “Bozza del di­scorso al Re” è un’altra so­lenne ca­stro­nata, frutto della sfre­nata fan­ta­sia della Di­re­zione Scien­ti­fica del Mu­seo e della in­si­pienza /indifferenza di tutti i con­su­lenti del Museo.

Uscendo dal marasma museal/museografico, vediamo di individuare il vero contesto cui si riferisce la “Bozza” autografa di Manzoni.

Mai si era sen­tito par­lare di un “Sa­luto al Re” nell’aprile 1860 non solo sug­ge­rito ma an­che de­cla­mato da Man­zoni, per di più ad­dob­bato dallo stesso smo­king sfog­giato nel “Ri­tratto” di cui ci oc­cu­piamo (que­sta dello smo­king è pro­prio umo­ri­stica, come ve­dremo poi).

La­sciando la fan­ta­sia for­mato fu­metto alla Di­re­zione scien­ti­fica del Mu­seo, par­liamo un po­chino delle vi­cende sto­ri­che, quelle vere.

Il 2 aprile 1860 a Pa­lazzo Ma­dama di To­rino venne inau­gu­rata la VII (e ul­tima) Le­gi­sla­tura del Re­gno di Sar­de­gna, cui par­te­cipò an­che Man­zoni, no­mi­nato Se­na­tore il 29 feb­braio ap­pena passato.

Ma il Se­na­tore Man­zoni non fece nes­su­nis­simo di­scorso di “Sa­luto al Re”; anzi non ci fu pro­prio nes­sun di­scorso di “Sa­luto al Re” da parte di chicchessia.

Pren­diamo dalla cro­naca “Se­duta reale d’inaugurazione della ses­sione del 1860” a cura della Ca­mera dei deputati:

«Alle 10 pre­ciso il suono dei tam­buri e l’eco de­gli ev­viva an­nun­zia­vano l’arrivo di S. M. il Re. Muo­ve­vano ad in­con­trare la M. S. i mi­ni­stri e le de­pu­ta­zioni delle due Ca­mere, quella dei se­na­tori avente a capo S. E. il mar­chese Al­fieri di So­ste­gno, e quella dei de­pu­tati il ge­ne­rale Ze­none Qua­glia, pre­si­dente se­niore.
All’entrare di S. M. il Re nell’aula tutti i se­na­tori e de­pu­tati si sono le­vati in piedi bat­tendo le mani e gri­dando: Viva il Re! Gli ap­plausi sono du­rati pa­rec­chi minuti.»

Nella cro­naca uf­fi­ciale o gior­na­li­stica non si fa al­cun ri­fe­ri­mento a un “di­scorso di sa­luto” da parte del ge­ne­rale Qua­glia (Pre­si­dente se­niore della Ca­mera e quindi even­tual­mente l’unico de­pu­tato a ciò). Né tan­to­meno al fatto che un tale di­scorso sa­rebbe stato steso da Manzoni.

L’informazione data a li­vello mon­diale dalla Di­re­zione scien­ti­fica del Mu­seo Man­zo­niano è sem­pli­ce­mente una palla!

In realtà il do­cu­mento au­to­grafo di Man­zoni si ri­fe­ri­sce a tutt’altra occasione.

Ca­mera dei de­pu­tati — Nella tor­nata del 19 ot­to­bre 1860 (os­sia 6 mesi dopo), venne letto dal De­pu­tato Gior­gini un “In­di­rizzo al Re” (cosa ben di­versa da un “Sa­luto”), re­la­tivo all’imminente scio­gli­mento della VII Legislatura.

Il ruolo di por­ta­voce della Ca­mera di Gior­gini può spie­gare il per­ché dell’intervento di Man­zoni nella ste­sura di una bozza dell’Indirizzo (come noto Gior­gini era ge­nero di Man­zoni e con lui in ot­timi e stret­tis­simi rapporti).

Que­sto co­mun­que il te­sto dell’Indirizzo a Vit­to­rio Ema­nuele II, letto a nome della Ca­mera da Gior­gini – come si vede, quanto meno nell’incipit che è mo­strato ai vi­si­ta­tori del Mu­seo Man­zo­niano, il di­scorso pro­nun­ciato da Gior­gini non ha nulla delle pa­role scritte nella “Bozza” da Manzoni.

SIRE !

Que­sta Ca­mera, che deve la sua ori­gine alle re­centi an­nes­sioni dell’Emilia e della To­scana, sarà pre­sto sciolta da un evento ugual­mente for­tu­nato, l’annessione di nuove e più estese pro­vin­cie, per la quale po­trà dirsi, se non in fatto, certo vir­tual­mente com­pita la li­be­ra­zione e l’unificazione dell’intera penisola.

Così nes­sun Par­la­mento avrà mai una sto­ria più glo­riosa di que­sto, per­chè i ter­mini tra i quali si trova com­presa la sua breve esi­stenza sono ve­ra­mente e re­ste­ranno i fatti più grandi del no­stro na­zio­nale ri­sor­gi­mento, per­chè a lui fu dato di ra­ti­fi­care il primo di que­sti due fatti, e di ap­pa­rec­chiare il se­condo, me­diante il pieno e leale con­corso che si glo­ria di aver pre­stato alla po­li­tica del vo­stro Governo.

Ma i De­pu­tati delle pro­vin­cie che già si chia­mano, o pre­sto si chia­me­ranno, an­ti­che, non po­treb­bero se­pa­rarsi senza pen­sare che a Voi prin­ci­pal­mente, o Sire , si deve il me­rito dei ma­ra­vi­gliosi suc­cessi ai quali eb­bero l’onore di cooperare.

Nè essi cre­de­reb­bero di es­sere stati in­ter­preti fe­deli della na­zione che rap­pre­sen­tano, se il loro forse ul­timo atto non fosse un’espressione so­lenne di quella pro­fonda e de­vota ri­co­no­scenza che in tutti i modi e in tutte le oc­ca­sioni vi ha ma­ni­fe­stata l’Italia.

E nes­sun mo­mento per far giun­gere sino a Voi l’omaggio della na­zio­nale ri­co­no­scenza po­trebbe es­sere più op­por­tuno di quello nel quale la Mae­stà Vo­stra, alla te­sta del suo va­lo­roso Eser­cito, af­fretta il com­pi­mento dell’alta im­presa, che as­si­cu­rando coll’unità del re­gno l’indipendenza della na­zione ita­liana, e il li­bero e re­go­lare svol­gi­mento delle sue grandi fa­coltà, apre all’Europa una nuova èra di pro­spe­rità, di pro­gresso e di pace.

Possa, o Sire, l’affetto e la fede che l’Italia ri­pone in Voi so­ste­nere il vo­stro e il no­stro co­rag­gio tra le dif­fi­cili prove, che forse ci di­vi­dono an­cora dal giorno, in cui un nuovo e mag­giore Par­la­mento, riu­nito in­torno a Voi, ac­clami il Li­be­ra­tore col ti­tolo au­gu­sto che deve as­so­ciare in­dis­so­lu­bil­mente i de­stini d’Italia a quelli della vo­stra no­bile Stirpe.

______

De­pu­ta­zione estratta a sorte per pre­sen­tare l’indirizzo a S. M.: de­pu­tati Mo­retti, Ca­vour Ca­millo, Mas­sa­rani, Ca­bella, Ro­bec­chi Giu­seppe, Lo­reta, Spe­rino, Car­bo­nieri, Ri­ca­soli Vin­cenzo. — Sup­plenti Ver­tea, Mo­ran­dini, Testa.

Il de­pu­tato Gior­gini fu dalla Ca­mera chia­mato a farne parte.

Il giallo del papillon nero.

Per con­clu­dere que­sta ul­tima parte della no­stra Nota, sol­le­ci­tata dalle im­prov­vide uscite della Di­re­zione Scien­ti­fica del Mu­seo Man­zo­niano su Fa­ce­book, ci è ri­ma­sto da il­lu­strare la fan­ta­sia solo ve­ra­mente umo­ri­stica dello “smo­king”.

Di­ciamo “umo­ri­stica” per­ché è l’unico modo non per­se­gui­bile pe­nal­mente con cui riu­sciamo a par­lare della mo­da­lità sar­to­riale con cui la Di­re­zione Scien­ti­fica del Mu­seo Man­zo­niano ha cer­cato di dare un senso e una sto­ria a quel me­dio­cris­simo Ri­tratto di Man­zoni che dopo la no­stra ana­lisi ri­sulta evi­den­te­mente senza pa­dre riconoscibile.

Con la sua umo­ri­stica uscita la Di­re­zione Scien­ti­fica dice: la au­to­gra­fia mol­te­niana del Ri­tratto è in­di­scussa; dopo de­cenni di si­len­zio sulla sua cro­no­lo­gia noi ci met­tiamo un punto fermo, dan­dolo al 1860: Mol­teni ese­guì il ri­tratto in oc­ca­sione della no­mina di Man­zoni a Se­na­tore; ce lo ha vo­luto rap­pre­sen­tare ve­stito con lo stesso smo­king con cui pro­nun­ciò il di­scorso di Sa­luto al Re.

La cosa umo­ri­stica è nell’idea bal­zana che alle 10 del mat­tino del 2 aprile 1860 all’inaugurazione del Par­la­mento (dove Man­zoni non pro­nun­ciò nes­sun di­scorso di nes­sun tipo) i par­la­men­tari con­ve­nuti a To­rino fos­sero ve­stiti con lo “smo­king”, os­sia con un ve­stito da sera (tra l’altro “in­ven­tato” da una sar­to­ria in­glese nel 1865, quindi a “sa­luto” già pas­sato da un pezzo).

È que­sta una tale fes­se­ria che ha co­stretto una fi­gura nota in Lecco (e di so­lito molto sim­pa­tiz­zante con la nuova Di­re­zione) a pren­dere le di­stanze. Se an­date poco so­pra a ri­ve­dere la nota su Fa­ce­book, po­trete in­fatti no­tare un unico commento.

È di Gian Luigi Daccò (già Di­ret­tore del Mu­seo Man­zo­niano) il quale butta là un iro­nico «In­dossò lo smo­king? Si­curi?».
È ov­vio, di Daccò tutto si può dire tranne che sia così sprov­ve­duto come mo­stra di es­sere l’attuale Direttore.

Chiun­que si oc­cupi an­che mar­gi­nal­mente delle sto­rie pa­trie ri­sor­gi­men­tali sa in­fatti che tutti i par­te­ci­panti ci­vili alla ce­ri­mo­nia di inau­gu­ra­zione del Par­la­mento erano ve­stiti con la mar­sina, o frac, se vi piace di più. E ave­vano ov­via­mente la cra­vatta BIANCA!
BIANCA! non nera come il pa­pil­lon del Ri­tratto dello sco­no­sciuto di Lecco.

Sve­gliarsi si­gnori!
Come aiu­tino al ri­sve­glio pro­po­niamo il no­tis­simo di­pinto di Pie­tro Te­tar van El­ven (“Inau­gu­ra­zione del Par­la­mento a Pa­lazzo Ma­dama il 2 aprile 1860”) nel quale il pit­tore (che fu te­sti­mone di­retto della ce­ri­mo­nia) fa ve­dere con grande pre­ci­sione come tutti i ci­vili pre­senti fos­sero in mar­sina e cra­vatta bianca e non in smo­king col far­fal­lino nero come fan­ta­sti­cato dalla Di­re­zione Scien­ti­fica del Mu­seo (i com­messi del Par­la­mento li avreb­bero presi a male pa­role e non li avreb­bero fatti entrare).

Qui pro­po­niamo sia il di­pinto di Te­tar van El­ven sia suoi par­ti­co­lari con Man­zoni e al­tri per­so­naggi stra­noti, tutti ri­go­ro­sa­mente con la cra­vatta bianca (per la cro­naca: Ales­san­dro Man­zoni, Mas­simo d’Azeglio, Ce­sare Al­fieri di So­ste­gno, Giu­seppe Ga­ri­baldi, Ur­bano Rat­tazzi, Pier Carlo Bog­gio, Al­fonso Fer­rero de La Mar­mora, Fi­lippo Gal­va­gno, Luigi Des Am­brois de Nevâche).
Con il che ci au­gu­riamo di non do­vere tor­nare più su que­ste fes­se­rie sartoriali.

A pre­sto con la Nota n. 2 de­di­cata al pes­simo fil­mato, pro­dotto da Kar­ma­china Srl, che nella Sala 1 del Mu­seo ac­co­glie (si fa per dire) il visitatore.

Post Scriptum:

nella Nota so­pra pro­po­sta ri­te­niamo siano rin­ve­ni­bili con fa­ci­lità al­cuni ele­menti di ri­fles­sione per una ge­stione della “cul­tura man­zo­niana” della città; di­versa da quella miope, raf­faz­zo­nata (e an­che cial­tro­ne­sca — lo ab­biamo ap­pena evi­den­ziato con do­cu­menti com­pren­si­bili a tutti) che i cit­ta­dini lec­chesi (e in ge­ne­rale tutti gli in­te­res­sati a Man­zoni e alle sue vi­cende) hanno do­vuto su­bire in que­sti ul­timi anni.

In que­sto pe­riodo a Lecco è in corso la cam­pa­gna per le ele­zioni co­mu­nali (si ter­ranno alla fine di set­tem­bre) e il tema “cul­tura” do­vrebbe teo­ri­ca­mente es­sere tra i primi dell’agenda elet­to­rale di ogni schie­ra­mento.
Il che pur­troppo non è.

Nelle due set­ti­mane pas­sate il no­stro Cen­tro Studi ha in­con­trato i due prin­ci­pali can­di­dati: prima Gat­ti­noni, poi Ci­resa (Val­sec­chi già ci co­no­sce, da quando col­ti­vava le buone idee della me­mo­ria sto­rica della città, ora ci sem­bra perse per strada).

A en­trambi i can­di­dati ab­biamo ri­cor­dato che ne­gli ul­timi tre anni il no­stro Cen­tro Studi ha svolto una si­ste­ma­tica azione di chia­ri­mento (ol­tre 50 saggi, an­che piut­to­sto com­plessi) sul modo in­de­gno con cui i temi man­zo­niani sono stati ge­sti­titi (se ne è oc­cu­pata an­che la stampa lo­cale) ma senza al­cun ri­scon­tro da parte di nes­suna delle forze po­li­ti­che di Lecco.

La cosa è cu­riosa: le forze al go­verno della città avreb­bero po­tuto fare te­soro delle no­stre os­ser­va­zioni per evi­tare di ap­pa­rire come gli af­fos­sa­tori della cul­tura man­zo­niana (ciò che in realtà sono stati).

L’opposizione, per co­strin­gere le forze alla guida dell’Amministrazione a fare al­meno il loro do­vere; mo­strando al con­tempo di avere idee an­che su que­sto im­por­tante aspetto della vita cittadina.

In­vece nulla, né da una parte né dall’altra.

A en­trambi i can­di­dati ab­biamo fatto al­tresì pre­sente che nei pros­simi quat­tro anni il no­stro Cen­tro Studi si con­cen­trerà an­che a li­vello pub­blico sulla fi­gura e l’opera dell’Abate Stop­pani, in vi­sta del bi­cen­te­na­rio della sua na­scita — 15 ago­sto 2024.

Di quell’Abate Stop­pani su cui da quat­tro anni (guarda caso, in coin­ci­denza con la no­stra pub­blica at­ti­vità re­da­zio­nale) è ca­lato il più pe­sante si­len­zio da parte delle strut­ture cit­ta­dine pre­po­ste alla cul­tura: per un cit­ta­dino di Lecco (ve­ra­mente di grande spes­sore in vita e oggi an­cora ec­ce­zio­nal­mente at­tuale), un vero e pro­prio ostra­ci­smo, con­fer­mato an­che dalla ver­go­gnosa de­for­ma­zione della sua azione a pro’ di Man­zoni rin­ve­ni­bile nella nuova con­fi­gu­ra­zione del Mu­seo Manzoniano.

Il bi­cen­te­na­rio è un grosso im­pe­gno che con­dur­remo avanti con o senza ap­poggi isti­tu­zio­nali da parte del Co­mune.
Va da sé che se la nuova Am­mi­ni­stra­zione vorrà con­si­de­rare que­sta ri­cor­renza come or­ga­nica alla cul­tura della città, sarà tanto di gua­da­gnato per tutti.

Fino a oggi ai temi della cul­tura e delle ra­dici sto­ri­che della città i due can­di­dati non hanno de­di­cato pra­ti­ca­mente nep­pure una pa­rola.
Ne­gli in­con­tri cor­diali che ab­biamo avuto con loro ci è stato as­si­cu­rato che que­sti temi sa­ranno ben pre­senti nella loro azione: ve­dremo pre­sto dai loro pro­grammi de­fi­ni­tivi se si tratta di pa­role di cir­co­stanza o di con­vin­ci­menti consolidati.

Siamo un po­chino scet­tici, vi­sto il si­len­zio di que­sti anni (tra l’altro, al po­sto loro, avremmo fatto al no­stro Cen­tro Studi un terzo grado di mezza gior­nata per rac­co­gliere al­meno qual­che idea sul bi­cen­te­na­rio — nulla può es­sere improvvisato).

Nell’attesa, buona cam­pa­gna elet­to­rale a tutti (an­che a Val­sec­chi naturalmente).

Fa­bio Stoppani