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Lettera aperta alla Ministra dell’Istruzione Senatrice Valeria Fedeli sulla adeguatezza didattica del docu-film «Alessandro Manzoni, milanese d’Europa» • 21 settembre 2017

Os­ser­va­zioni cri­ti­che sulla ade­gua­tezza di­dat­tica del docu-film «Ales­san­dro Man­zoni, mi­la­nese d’Europa – L’immagine della pa­rola». Un film di Pino Fa­ri­notti. Re­gia di An­drea Bel­lati. Scritto da An­gelo Stella e Pino Fa­ri­notti. Pro­dotto dal Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani, con il con­tri­buto di Fon­da­zione Cariplo.

13 La casa del giovane Manzoni e il suo Monumento
Non si attribuisce l’opportuna importanza a due importanti testimonianze a Manzoni in Lecco, tra cui un Monumento Nazionale.

Im­ma­gini del docu-film – I nu­meri tra [pa­ren­tesi] si ri­fe­ri­scono ai fo­to­grammi so­pra riportati.

[10] Sem­pre in si­len­zio, Fa­ri­notti passa a fianco di un edi­fi­cio. La di­da­sca­lia in­forma: «Villa Man­zoni (Lecco)».
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[11] Una in­qua­dra­tura fissa mo­stra una sta­tua su ba­sa­mento. La di­da­sca­lia in­forma: «Piazza Man­zoni (Lecco)».

No­stre os­ser­va­zioni – Con que­ste due scene di 17 se­condi senza al­cun com­mento il docu-film del Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani (d’ora in poi CNSM) li­quida due te­sti­mo­nianze sto­ri­che e cul­tu­rali della vita e dell’opera di Man­zoni, uni­che nel no­stro Paese.

Una no­ta­zione cu­riosa. Nella prima scena, nella quale Fa­ri­notti passa lungo la fac­ciata di Villa Man­zoni, egli istin­ti­va­mente si ferma un at­timo, at­tratto dalla targa po­sta sulla fac­ciata da­gli Scola nel 1885 con te­sto di Cantù: «Ales­san­dro Man­zoni / in que­sta villa sua fino al 1818 / si ispi­rava agli Inni all’Adelchi / ai Pro­messi Sposi / ove i luo­ghi i co­stumi i fatti no­stri / e se stesso im­mor­ta­lava / la fa­mi­glia Scola / nel 1º cen­te­na­rio 7 marzo 1885 / a per­pe­tuo culto pose / C. Cantù dettò».

È da se­gna­lare che nel docu-film si evita di mo­strare que­sta targa. Sulla casa del gio­vane Man­zoni Ce­sare Cantù avrebbe po­tuto la­sciarci pa­role più utili e si­gni­fi­canti ma la targa (ve­dine più sotto la fo­to­gra­fia) è una te­sti­mo­nianza sto­rica pre­cisa che sa­rebbe do­ve­roso mo­strare sem­pre, so­prat­tutto alle gio­vani ge­ne­ra­zioni cui è an­che de­sti­nato il docu-film.

Ma di Villa Man­zoni al Ca­leotto di Lecco ve­diamo di dare noi qual­che notizia.

In­nan­zi­tutto un chia­ri­mento formale.

Re­gio De­creto 29 feb­braio 1940-XVIII, n. 1354.
Di­chia­ra­zione di mo­nu­menti na­zio­nali della casa na­tiva di Ales­san­dro Man­zoni in Mi­lano, della Villa del Ca­leotto a Lecco e dell’ex Con­vento dei Cap­puc­cini di Pe­sca­re­nico.
Vit­to­rio Ema­nuele III [ecc.] …
Vo­lendo che i luo­ghi dove nac­que, stu­diò e visse Ales­san­dro Man­zoni siano par­ti­co­lar­mente con­ser­vati all’ossequio de­gli Ita­liani, ol­tre che tu­te­lati come edi­fici di im­por­tante in­te­resse sto­rico; / Sulla pro­po­sta del No­stro Mi­ni­stro Se­gre­ta­rio di Stato per l’educazione na­zio­nale; / Ab­biamo de­cre­tato e decretiamo:

Sono di­chia­rati mo­nu­menti na­zio­nali i se­guenti im­mo­bili:
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1º Casa na­tiva di Ales­san­dro Man­zoni sita al n. 16 della via Uberto Vi­sconti di Mo­drone (ex via S. Da­miano) di Mi­lano;
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2º Villa del Ca­leotto a Lecco;
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3º Ex Con­vento dei Cap­puc­cini di Pe­sca­re­nico.
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Dato a Roma, addì 29 feb­braio 1940-XVIII / Vit­to­rio Ema­nuele III.

Per il let­tore che non co­no­sce Mi­lano, ri­cor­diamo che la “Casa na­tiva di Ales­san­dro Man­zoni sita al n. 16 della via Uberto Vi­sconti di Mo­drone”, in­di­cata come Mo­nu­mento Na­zio­nale nel De­creto ap­pena ci­tato, non è la “Casa Man­zoni” di Via Mo­rone 1, sede del CNSM e re­cen­te­mente ri­strut­tu­rata da In­tesa San­paolo, che è con­si­de­rata “Bene di in­te­resse sto­rico-ar­ti­stico par­ti­co­lar­mente importante”.

Ab­biamo quindi in Ita­lia tre mo­nu­menti na­zio­nali de­di­cati ad A. Man­zoni e due di essi sono in Lecco: il Con­vento de­gli ex-Cap­puc­cini a Pe­sca­re­nico, re­cen­te­mente ri­strut­tu­rato, e Villa Man­zoni al Ca­leotto.

Una do­manda espli­cita ai pro­fes­sori del CNSM: per­ché nel vo­stro docu-film non viene nep­pure ac­cen­nato che Villa Man­zoni al Ca­leotto di Lecco è Mo­nu­mento Na­zio­nale? Si com­prende che la que­stione in que­sto caso non è pu­ra­mente formale.

E in­fatti la mo­ti­va­zione del De­creto del 1940 è molto pre­cisa: «…i luo­ghi dove nac­que, stu­diò e visse Ales­san­dro Man­zoni …». Per­ché il pro­blema è pro­prio questo.

La Villa del Ca­leotto è il do­cu­mento sto­rico, im­me­dia­ta­mente per­ce­pi­bile da chiun­que, del le­game or­ga­nico e ne­ces­si­tante tra Man­zoni e Lecco. Che va a in­ci­dere sull’immagine di esclu­siva “mi­la­ne­sità” del Man­zoni che par­rebbe es­sere per­se­guita dal CNSM.

Lecco è stata po­sta da Man­zoni come sce­na­rio di una parte am­pia de «I Pro­messi Sposi» per­ché nella co­mu­nità di quel borgo, for­mata pre­va­len­te­mente da uo­mini e donne au­to­nomi e aperti al nuovo, egli ve­deva l’esempio di una so­cietà ba­sata sulla li­bertà in­di­vi­duale e di­retta, nelle sue ul­time istanze, da una non me­dio­cre vi­sione del de­stino dell’uomo.

Man­zoni iden­ti­ficò quella vi­sione in un cat­to­li­ce­simo aperto e li­be­rale. Al­tri lo iden­ti­fi­ca­rono in un lai­ci­smo non ir­ri­gi­dito dal po­si­ti­vi­smo dog­ma­tico. Ma alla base di en­trambe le scelte vi era quel ti­pico e ca­rat­te­ri­stico am­biente so­ciale non ser­vile, quell’inconfondibile am­biente na­tu­rale in­sieme aspro e dolce, in­fi­ni­ta­mente va­rio ma se­vero, per­fet­ta­mente coe­rente con le fi­gure – anch’esse ti­pi­che e ca­rat­te­ri­sti­che – di Lu­cia e Renzo.

E il Ca­leotto di Lecco (vedi a lato una pa­no­ra­mica del com­plesso) co­sti­tuì per Man­zoni la “casa” nella quale ma­tu­rare e fare pro­pri i mes­saggi della bel­lezza e “a be­vere a lar­ghi sorsi l’aura della li­bertà”, come scrisse l’Abate Stop­pani, che quell’aura co­no­sceva bene.

E di quel Ca­leotto il docu-film del CNSM si li­mita a mo­strare un’inquadratura ano­nima e a di­chia­rarne l’identità solo con una sin­te­tica e im­per­so­nale didascalia.

Villa Man­zoni al Ca­leotto di Lecco è un grande com­plesso, ri­strut­tu­rato nei primi anni del 1600 su pre­ce­denti edi­fici, dove per primo abitò Gia­como Ma­ria, il qua­dri­sa­volo di Ales­san­dro, spo­sta­tosi de­fi­ni­ti­va­mente a Lecco dall’originaria Barzio.

Pie­tro Man­zoni, il pa­dre di Ales­san­dro, pas­sava il pe­riodo in­ver­nale a Mi­lano ma il re­sto dell’anno a Lecco, a cu­rare re­la­zioni e af­fari. E il Ca­leotto, la villa di fa­mi­glia, era il cen­tro fi­sico della sua con­di­zione di pro­prie­ta­rio ter­riero del la­riano e di aspi­rante pa­tri­zio mi­la­nese.
E quando Ales­san­dro la ere­ditò, la ab­bellì per­ché con­ti­nuasse a es­sere sim­bolo di pre­sti­gio e di forza.

L’edificio si svi­luppa su circa 3.504 me­tri qua­dri co­perti, con un ap­pez­za­mento di 4.600 mq a parco.

Ne­gli anni in cui vi visse Ales­san­dro e fino al 1818, quando ven­dette l’intera pro­prietà agli Scola, la villa do­mi­nava un grande ap­pez­za­mento di ter­reno, col­ti­vato a vi­gneto e a gelso, al­lora fonte della ma­te­ria prima per la col­ti­va­zione dei ba­chi da seta.

Per que­sto gli Scola, im­pe­gnati nell’industria se­rica, ac­qui­sta­rono non a buon mer­cato – ol­tre 110.000 Lire (circa 12 mi­lioni di Euro) – il Ca­leotto e il suo terreno.

Qui, in que­sto am­biente, e più pre­ci­sa­mente nella Ca­scina Co­sta di Gal­biate, Ales­san­dro fu messo a ba­lia due giorni dopo la na­scita. E al­le­vato dalla si­gnora Ca­te­rina Pan­zeri (una con­ta­dina del luogo) che lo trattò per anni come fi­glio tra i pro­pri fi­gli. Dei quali Man­zoni man­tenne sem­pre un ri­cordo vivo e af­fet­tuoso, me­more delle li­bere gior­nate tra­scorse nella na­tura, a fis­sare ne­gli oc­chi e nel cuore quei par­ti­co­lari pae­saggi e quelle par­ti­co­lari fi­gure umane.

Lì Man­zoni visse fino alla prima ado­le­scenza, e poi per molti pe­riodi estivi e au­tun­nali, fino ai suoi 33 anni.
Lo scrisse egli stesso: «Lecco è la prin­ci­pale di que­ste terre e dà il nome alla ri­viera […] i con­torni, le vi­ste lon­tane, tutto con­corre a ren­derlo un paese che chia­me­rei uno dei più belli del mondo, se aven­dovi pas­sata una gran parte della in­fan­zia e della pue­ri­zia, e le va­canze au­tun­nali della prima gio­vi­nezza, non ri­flet­tessi che è im­pos­si­bile dare un giu­di­zio spas­sio­nato dei paesi a cui sono as­so­ciate le me­mo­rie di que­gli anni.» (“Fermo e Lu­cia”, Cap. I).

Un luogo che sen­tiva tal­mente suo da in­vi­tarvi, or­mai di­ciot­tenne, Vin­cenzo Monti, per pas­sare in­sieme qual­che giorno di vil­leg­gia­tura, con il pieno as­senso del pa­dre Pie­tro, ov­via­mente ben lieto che il fi­glio mo­strasse un tale ta­lento da po­tere at­trarre quello che era al­lora con­si­de­rato un nuovo Dante. Dove ac­colse i sa­cer­doti (come Tosi) che fu­rono al suo fianco nella scelta re­li­giosa. Dove con­dusse riu­sciti espe­ri­menti agrari.

Dove tenne stretti rap­porti di fi­du­cia e di col­la­bo­ra­zione eco­no­mica con per­so­na­lità come l’avvocato Fran­ce­sco Ti­cozzi (tra l’altro zio della ma­dre dell’Abate An­to­nio Stop­pani), uno dei primi espo­nenti della Re­pub­blica Ci­sal­pina e poi Pre­fetto na­po­leo­nico. Fran­ce­sco Ti­cozzi aveva una lunga fa­mi­lia­rità con i Man­zoni (fu l’estensore del te­sta­mento del pa­dre Pie­tro e per anni fi­du­cia­rio di Ales­san­dro per la ge­stione de­gli af­fari di fa­mi­glia nel Lariano).

Ales­san­dro certo co­no­sceva an­che il di lui fra­tello Ste­fano, già bril­lante al­lievo a Mi­lano di Pa­rini e lau­reato in Teo­lo­gia all’Università di Pa­via, an­che se è pro­ba­bile non lo fre­quen­tasse per la par­ti­co­lare vi­cenda di que­sta fi­gura di spicco della sto­ria lecchese.

All’arrivo dei Fran­cesi nel 1796 Ste­fano Ti­cozzi era in­fatti da dieci anni ap­prez­zato sa­cer­dote a Ca­stello di Lecco; la­sciata la to­naca fu ora­tore di ta­lento della po­li­tica gia­co­bina; col breve ri­torno de­gli Au­striaci nel 1798 emi­grò a Pa­rigi dove fu in stretti rap­porti con Vin­cenzo Monti (che fre­quen­tava abi­tual­mente il sa­lotto Im­bo­nati-Bec­ca­ria); poi, con Na­po­leone, spo­sata Do­me­nica Gian­none (ni­pote del ce­le­bre Pie­tro), come il fra­tello fu alto fun­zio­na­rio del Re­gno Ita­lico. Con la Re­stau­ra­zione per cam­pare do­vette met­tere a frutto i pro­pri ta­lenti cri­tico-let­te­rari e così, nel 1818 tra­dusse in ita­liano l’opera del Si­smondi sulle Re­pub­bli­che ita­liane, dalla quale aveva tratto spunto Man­zoni per la ela­bo­ra­zione delle sue «Os­ser­va­zioni sulla Mo­rale Cattolica».

Lì, a Lecco, Man­zoni nella pue­ri­zia av­viò una grande ami­ci­zia (che durò inal­te­rata tutta la vita) con Giu­seppe Bo­vara, il noto ar­chi­tetto cui si de­vono tante opere del ter­ri­to­rio lec­chese, ni­pote del non meno noto Gio­vanni Bo­vara, Mi­ni­stro per il culto del Re­gno Italico.

Come più fa­col­toso pro­prie­ta­rio del ter­ri­to­rio, tra il 1814 e il 1816 fu an­che il primo de­pu­tato (un sin­daco ante-lit­te­ram) in al­cuni “Con­vo­cati Ge­ne­rali” di Lecco.

Vi com­pose cer­ta­mente al­cuni de­gli «Inni Sa­cri», che inau­gu­ra­rono il “modo nuovo” della sua poe­tica e gran parte della tra­ge­dia «Adel­chi», che lo col­locò all’attenzione europea.

Lì, de­finì in sé quel va­sto mondo na­tu­ra­li­stico-so­ciale-esi­sten­ziale che co­sti­tui­sce lo sfondo di gran parte de «I Pro­messi Sposi».

Dal 14 di­cem­bre 1963 Villa Man­zoni è pro­prietà del Co­mune di Lecco ed è sede sia del “Mu­seo Man­zo­niano” sia del “Fondo Man­zo­niano” (com­prende tutte le edi­zioni ori­gi­nali delle opere man­zo­niane, le più im­por­tanti edi­zioni ita­liane e stra­niere dei Pro­messi Sposi, saggi cri­tici di ar­go­mento man­zo­niano pub­bli­cati dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri).

Il Ca­leotto è an­che sede della “Gal­le­ria d’Arte Co­mu­nale”, che ospita im­ma­gini lec­chesi di Mas­simo d’Azeglio, Carlo Pizzi e Gio­van Bat­ti­sta To­de­schini, ni­pote dell’Abate Stoppani.

Ma su tutto ciò si­len­zio nel docu-film del CNSM. Che pro­pone un Man­zoni solo “mi­la­nese”. Sul punto l’amministrazione lec­chese do­vrebbe at­ti­varsi per­ché il Ca­leotto di­venti ciò che po­trebbe es­sere: un cen­tro di coor­di­na­mento in­ter­na­zio­nale di studi manzoniani.

Il mo­nu­mento a Man­zoni in Lecco – Nel docu-film del CNSM, al mo­nu­mento a Man­zoni in Lecco è ri­ser­vata una ri­presa fissa di cin­que se­condi, senza al­cun com­mento di Fa­ri­notti. Una di­da­sca­lia in­forma: «Piazza Man­zoni (Lecco)», senza nep­pure in­di­care la pa­rola “mo­nu­mento”.

Sì, per­ché in Ita­lia, di vie, piazze, ecc., in­ti­to­late a Man­zoni ve ne sono esat­ta­mente 1.000. Ma, all’aperto, di veri “mo­nu­menti” al no­stro scrit­tore ve ne sono solo due.

Il primo è a Mi­lano, in Piazza San Fe­dele, opera dell’artista Fran­ce­sco Bar­za­ghi, inau­gu­rato il 22 mag­gio 1883. Il se­condo è a Lecco, in Piazza Man­zoni ap­punto, opera dell’artista Fran­ce­sco Con­fa­lo­nieri, inau­gu­rato l’11 ot­to­bre 1891.

Forse il CNSM, la cui mis­sione (vedi Sta­tuto, Art. 1) è di «pro­muo­vere e coor­di­nare gli studi e le ri­cer­che in­torno alla vita ed alle opere di Ales­san­dro Man­zoni e ai mo­vi­menti cul­tu­rali che si con­net­tono alla sua per­so­na­lità di let­te­rato e di pen­sa­tore», avrebbe po­tuto, nel “tour” lec­chese del suo docu-film de­di­cato a Man­zoni, spen­dervi qual­che pa­rola. Tanto più che que­sti due unici mo­nu­menti all’aperto del no­stro poeta sono pro­fon­da­mente di­versi sia per la loro sto­ria sia per la loro fi­sio­no­mia artistica.

Quello di Mi­lano fu de­li­be­rato dalla Giunta mu­ni­ci­pale il 23 mag­gio 1873 (giorno suc­ces­sivo alla morte di Man­zoni), come parte delle di­verse ini­zia­tive adot­tate per la scom­parsa del poeta.

Il mo­nu­mento di Lecco fu de­li­be­rato il 24 mag­gio, anch’esso dalla Giunta lo­cale, che isti­tuì un Co­mi­tato ad hoc di cin­que per­so­na­lità, tra le quali il lec­chese Abate Stop­pani, ele­mento in­fluente del gruppo dei ro­smi­niani di Mi­lano (da sem­pre molto vi­cino a Man­zoni, an­che nelle scelte po­li­ti­che) che poco prima della morte dello scrit­tore, nel 1872, si era at­ti­vato con ini­zia­tive pub­bli­che a di­fesa di Man­zoni dall’attacco di Set­tem­brini, molto pub­bli­ciz­zato dalla stampa.

La con­tem­po­ra­neità delle ini­zia­tive dei due Co­muni creò un ov­vio pro­blema, di cui si prese atto im­me­dia­ta­mente. Data la “prio­rità” tem­po­rale (an­che se di 24 ore) di Mi­lano, per non creare inop­por­tune con­cor­renze, la rac­colta fondi per il mo­nu­mento in Lecco venne in­ter­rotta; il de­naro rac­colto de­po­si­tato su un conto ban­ca­rio; lo stan­zia­mento de­li­be­rato dal Co­mune so­speso, in at­tesa che si rea­liz­zasse il mo­nu­mento a Man­zoni nella ca­pi­tale lom­barda. Il che si ri­te­neva do­vesse av­ve­nire in un tempo ra­gio­ne­vol­mente breve. Ma così non fu.

Per va­rie ra­gioni, an­che eco­no­mi­che, il pro­getto mi­la­nese si di­latò nel tempo e prese ben dieci anni, co­strin­gendo i lec­chesi a rin­viare la loro ini­zia­tiva.
Quando a Mi­lano si inau­gurò il mo­nu­mento di Piazza San Fe­dele, il pro­getto dei lec­chesi subì un al­tro ar­re­sto. Nel 1882 era morto Ga­ri­baldi e i tanti ga­ri­bal­dini di Lecco chie­sero si pro­ce­desse im­me­dia­ta­mente alla rea­liz­za­zione di un mo­nu­mento in città al con­dot­tiero (con il pieno ac­cordo dell’Abate Stop­pani, nel 1860 con­vinto so­ste­ni­tore dell’impresa dei Mille). Il mo­nu­mento venne inau­gu­rato nell’ottobre 1884.

All’indomani, l’Abate Stop­pani si fece pro­mo­tore per la ri­presa del pro­getto del mo­nu­mento a Man­zoni e venne no­mi­nato Pre­si­dente del Co­mi­tato pro­mo­tore, com­po­sto da trenta per­so­na­lità della città, ap­par­te­nenti a tutti gli orien­ta­menti po­li­tici, tranne il clero rea­zio­na­rio. Il 10 feb­braio 1885 il Co­mi­tato lan­ciò la cam­pa­gna di rac­colta fondi con un’azione al li­vello na­zio­nale, che po­trebbe es­sere presa a modello.

Il memorandum/manifesto della cam­pa­gna, scritto dall’Abate, venne ap­prez­zato una­ni­me­mente per i con­te­nuti non re­to­rici e per­ché vi si evi­den­ziava il le­game pro­fondo tra la fi­sio­no­mia de­mo­cra­tica di Man­zoni e l’ambiente so­ciale lecchese.

Tra l’altro, vi si legge: «i fran­chi abi­ta­tori di que­sta val­lata, non umi­liati dal ser­vag­gio della gleba, né in­fiac­chiti dal lusso delle cor­rotte me­tro­poli, fin da se­coli eman­ci­pati e no­bi­li­tati dal ge­nio fe­con­da­tore delle in­du­strie se­rica e si­de­rur­gica, sentì na­scersi nell’animo i primi no­bili sde­gni con­tro i pre­po­tenti pic­coli e grandi, e le prime aspi­ra­zioni alla ri­ven­di­ca­zione dei di­ritti con­cul­cati dalla co­darda ti­ran­nia dei ric­chi e dei po­tenti oppressori».

Il “Me­mo­ran­dum” – sup­por­tato dall’azione in­ci­siva del Co­mi­tato – sti­molò il con­corso di sot­to­scrit­tori da tutta Ita­lia. “Né il ricco re­puti troppo ge­ne­roso il suo oro, né il po­polo troppo me­schino il suo soldo”, così con­clu­deva l’appello dell’Abate.

E gli fa­ceva eco il lec­che­sis­simo An­to­nio Ghi­slan­zoni (anch’egli in­spie­ga­bil­mente igno­rato dal docu-film del CNSM), il ge­niale li­bret­ti­sta di Verdi e della ri­du­zione ope­ri­stica de «I Pro­messi Sposi» di Er­rico Petrella.

Que­sti, in una let­tera aperta a Stop­pani (venne pub­bli­cata sulla stampa lo­cale) scri­veva:
«[…] all’illustre amico Don An­to­nio […] Il ge­nio è ciò che vi ha di più emi­nen­te­mente de­mo­cra­tico, qua­lora la sua gran luce si espanda su tutti. Tutti gli ope­rai del ter­ri­to­rio do­vreb­bero dare una pal­lanca ad onore di chi ha creato quel bel tipo di one­sto ri­belle che era Renzo Tra­ma­glino

Am­mi­ni­stra­zioni co­mu­nali, bor­ghesi, mae­stri e pro­fes­sori, sa­cer­doti, osti, ma­no­vali, Ca­mere di com­mer­cio, Cir­coli ope­rai di mu­tua as­si­stenza, si­gnore di ogni con­di­zione ed età, in tre­mila die­dero il loro obolo (ne ab­biamo i no­mi­na­tivi). E fu­rono cen­ti­naia gli alunni delle ele­men­tari di Lecco e di tante città d’Italia a dare il con­tri­buto, an­che di po­chi centesimi.

E con 500 lire (10.000 Euro) a dare la sve­glia ai pi­gri no­bili d’Italia e su sol­le­ci­ta­zione di Stop­pani, si at­tivò Don Pe­dro d’Alcantara, il li­be­rale-in­tel­let­tuale Im­pe­ra­tore del Bra­sile, tra­dut­tore in por­to­ghese del “5 Mag­gio”, per anni in cor­ri­spon­denza con Man­zoni, che lo sti­mava per la sua azione con­tro la schia­vitù. In al­cuni mesi di in­tensa at­ti­vità ven­nero rac­colte ol­tre 40.000 lire (circa 900.000 Euro), con cui si poté dar corso al pro­getto (per ap­pro­fon­di­menti, vedi un no­stro re­cente do­cu­mento [in­di­rizzo Web].

Per rea­liz­zare in Lecco un mo­nu­mento im­po­nente e ar­ti­sti­ca­mente va­lido, sim­bolo di un patto d’amore e fe­deltà al poeta, a ri­cam­bio del dono che Man­zoni aveva vo­luto dare alla “sua quasi città na­tale” (lo di­ceva sor­ri­dendo l’Abate Stop­pani) col farne l’epicentro geo­gra­fico ed etico del suo romanzo.

Qui, in due pa­role, di­ciamo che per l’Abate e com­pa­gni il mo­nu­mento a Man­zoni in Lecco co­sti­tuiva sia la prima fase di un più va­sto pro­getto di af­fer­ma­zione della pro­po­sta po­li­tica rosminiano/conciliatorista (di cui Man­zoni era stato punta di lan­cia nell’ambito cul­tu­rale), sia un mo­mento forte per il po­si­zio­na­mento di Lecco sulla scena della cul­tura nazionale.

Il primo aspetto si in­franse con­tro la chiu­sura del Va­ti­cano. Ma riu­scì a rea­liz­zare il mo­nu­mento a Ro­smini in Mi­lano nel 1896 (es­sendo però lo Stop­pani già scom­parso il 1 gen­naio 1891). Il se­condo – ren­dere sen­tire co­mune della na­zione il le­game in­dis­so­lu­bile tra Man­zoni e Lecco – ebbe in­vece un grande suc­cesso. Che fece sen­tire i suoi ef­fetti a lungo e che fino agli anni 1970 fece di Lecco il punto di ri­fe­ri­mento della cul­tura man­zo­niana in Ita­lia, gra­zie an­che alla con­sa­pe­vo­lezza delle Am­mi­ni­stra­zioni di al­lora.
Pur­troppo l’attuale Am­mi­ni­stra­zione co­mu­nale tende a fare iden­ti­fi­care Lecco esclu­si­va­mente con «I Pro­messi Sposi», met­tendo in sot­tor­dine il le­game con la fi­gura esi­sten­ziale e sto­rica di Manzoni.

Fa­cendo così di Lecco un sem­plice sfondo di scena, at­traente sul piano este­tico ma privo di so­lidi con­te­nuti cul­tu­rali. Che solo una at­tenta va­lo­riz­za­zione dei le­gami strut­tu­rali tra Man­zoni e la sua “quasi città na­tale” po­trebbe for­nire, con svi­luppi, an­che or­ga­niz­za­tivi ed eco­no­mici, di straor­di­na­ria im­por­tanza per la città.

Senza que­sto an­co­rag­gio alla sto­ria per­so­nale di Man­zoni e al suo mondo com­ples­sivo, etico, cul­tu­rale, po­li­tico, i ci­clici e scoor­di­nati ten­ta­tivi dell’Amministrazione di ri­dare lu­stro al “pa­tri­mo­nio man­zo­niano” della città sono de­sti­nati a fi­nire nel nulla, la­sciando solo “gad­get”, “piat­ta­forme in­for­ma­ti­che”, ecc. ecc., fa­vo­rendo l’arruolamento for­zato del Man­zoni a una sua esclu­siva “mi­la­ne­sità”, di cui è esem­pio il docu-film del CNSM, di cui ci stiamo oc­cu­pando.
Ma prima di con­clu­dere que­sta pa­ren­tesi, a tu­tela della fi­sio­no­mia “man­zo­niana” della città di Lecco, vor­remmo tor­nare alla ri­le­vante dif­fe­renza – di forma ar­ti­stica e di con­te­nuti – tra i due mo­nu­menti a Man­zoni di Mi­lano e Lecco.

Quando in Mi­lano si di­scusse di come strut­tu­rare il mo­nu­mento a Man­zoni, così si espresse Giu­lio Car­cano, con­si­de­rato uno dei più lu­cidi in­tel­let­tuali del tempo: «La po­si­zione sia se­duta o in piedi, se­condo le scelte dell’artista … L’insieme sia di forma ele­gante ma se­vera, esclu­dendo ogni ele­mento fi­gu­rato, sia sim­bo­lico, sia allegorico.»

E in­fatti il mo­nu­mento di Mi­lano è di­gni­toso sul piano for­male ma non tra­smette un gran­ché. Man­zoni è raf­fi­gu­rato in piedi (Bar­za­ghi co­no­sceva bene le dif­fi­coltà della fu­sione di una fi­gura se­duta) e at­torno a lui non vi è al­cun ele­mento con­te­nu­ti­stico. Parte della stampa dell’epoca non ne fu en­tu­sia­sta e ne ri­levò il ca­rat­tere “in­na­tu­rale e di posa”, lon­tano dall’immagine del Man­zoni, ben pre­sente alla me­mo­ria dei milanesi.

In espli­cita dif­for­mità con gli orien­ta­menti di Giu­lio Car­cano, Stop­pani volle in­vece rea­liz­zare in Lecco un mo­nu­mento spon­ta­neo e vi­cino alla sen­si­bi­lità po­po­lare. Si im­pe­gnò inol­tre per­ché il mo­nu­mento espri­messe espli­ci­ta­mente i con­te­nuti etici del ro­manzo. In­si­stette quindi col Co­mi­tato lec­chese per­ché si ag­giun­ges­sero al ba­sa­mento del mo­nu­mento tre al­to­ri­lievi (non pre­vi­sti nel pro­getto ini­ziale). I pan­nelli do­ve­vano tra­smet­tere un pre­ciso orien­ta­mento ideale tra­sfe­rendo tre mes­saggi etico-sociali.

1. Il pan­nello alla de­stra (per chi guarda) il­lu­stra il ra­pi­mento di Lu­cia. È la rap­pre­sen­ta­zione della so­praf­fa­zione con­tro i de­boli, che de­vono es­sere tu­te­lati. Ma qui Man­zoni at­tua un ro­ve­scia­mento. Lu­cia non viene li­be­rata da un in­ter­vento esterno: piega l’Innominato di­mo­stran­dosi più forte del vio­lento e fa­vo­ren­done la ma­tu­ra­zione. Man­zoni esprime una idea evo­luta del ruolo della donna nella so­cietà, e della sua fun­zione nella li­be­ra­zione sociale.

2. Il se­condo pan­nello raf­fi­gura il mo­mento in cui Renzo ac­corda il per­dono a Don Ro­drigo. Qui Man­zoni rap­pre­senta lo scio­gli­mento dei con­flitti at­tra­verso l’accettazione della co­mune na­tura umana. La giu­sti­zia (ine­lu­di­bile e ga­ran­tita dalla di­vi­nità) deve es­sere in­fles­si­bile ma non an­ni­chi­lente. Il rap­porto di Renzo con la giu­sti­zia è fal­li­men­tare: un av­vo­cato ven­duto; una po­li­zia pronta a col­pire un in­no­cente; un Po­de­stà (com­plice del suo per­se­cu­tore) che gli manda i birri, i quali gli sac­cheg­giano la casa. An­che qui Man­zoni opera un ro­ve­scia­mento. Renzo, vit­tima di una giu­sti­zia ma­lata, ne ri­sta­bi­li­sce la di­gnità, eser­ci­tan­done la fun­zione fon­da­men­tale – la ria­bi­li­ta­zione del col­pe­vole – at­tra­verso il per­dono a don Rodrigo

3. Il terzo pan­nello del mo­nu­mento (quello del ma­tri­mo­nio), lan­cia un ul­te­riore mes­sag­gio forte: qua­lun­que sia l’oppressione, se sa­premo im­pe­gnarci con one­stà e uma­nità, trion­fe­remo. Renzo e Lu­cia hanno vinto per­ché si sono bat­tuti per ciò che con­si­de­ra­vano giu­sto – nel loro caso il ma­tri­mo­nio. Non è però dif­fi­cile leg­gere die­tro la ‘can­ta­fa­vola’ del Man­zoni al­tri espli­citi ri­fe­ri­menti. Il ro­manzo dice della in­vin­ci­bi­lità de­gli umili quando si muo­vono per la giu­sti­zia e la libertà.

Non solo, ma dice che i due vin­cono pro­prio per­ché sono umili: non hanno vin­coli se non quelli dell’onestà e dell’amore. Non piani di po­tere; non ob­bli­ghi di re­la­zioni in­te­res­sate da sal­va­guar­dare. Non solo. Que­sti due umili vin­cono ma in­sieme edu­cano: l’Innominato, che si fa tu­tore dei de­boli; il Mar­chese (erede di Don Ro­drigo), umile, al­meno per un giorno; Don Ab­bon­dio, che ri­trova la sua di­gnità col ce­le­brare quel ma­tri­mo­nio im­pe­dito con malizia.

Quante cose da dire su que­sto mo­nu­mento, su cui il docu-film del CNSM non ha speso nep­pure una pa­rola. Quante cose utili alla ri­fles­sione, so­prat­tutto per que­gli stu­denti cui è pro­gram­mata la sua diffusione!

Re­cen­te­mente, il Mo­nu­mento a Man­zoni in Lecco è stato molto ben re­stau­rato dal Mae­stro Gia­como Luzzana.

PDF dell’Analisi cri­tica
in­dice dei venti epi­sodi