Osservazioni critiche sulla adeguatezza didattica del docu-film «Alessandro Manzoni, milanese d’Europa – L’immagine della parola». Un film di Pino Farinotti. Regia di Andrea Bellati. Scritto da Angelo Stella e Pino Farinotti. Prodotto dal Centro Nazionale Studi Manzoniani, con il contributo di Fondazione Cariplo.
Immagini del docu-film – I numeri tra [parentesi] si riferiscono ai fotogrammi sopra riportati.
[10] Sempre in silenzio, Farinotti passa a fianco di un edificio. La didascalia informa: «Villa Manzoni (Lecco)».
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[11] Una inquadratura fissa mostra una statua su basamento. La didascalia informa: «Piazza Manzoni (Lecco)».
Nostre osservazioni – Con queste due scene di 17 secondi senza alcun commento il docu-film del Centro Nazionale Studi Manzoniani (d’ora in poi CNSM) liquida due testimonianze storiche e culturali della vita e dell’opera di Manzoni, uniche nel nostro Paese.
Una notazione curiosa. Nella prima scena, nella quale Farinotti passa lungo la facciata di Villa Manzoni, egli istintivamente si ferma un attimo, attratto dalla targa posta sulla facciata dagli Scola nel 1885 con testo di Cantù: «Alessandro Manzoni / in questa villa sua fino al 1818 / si ispirava agli Inni all’Adelchi / ai Promessi Sposi / ove i luoghi i costumi i fatti nostri / e se stesso immortalava / la famiglia Scola / nel 1º centenario 7 marzo 1885 / a perpetuo culto pose / C. Cantù dettò».
È da segnalare che nel docu-film si evita di mostrare questa targa. Sulla casa del giovane Manzoni Cesare Cantù avrebbe potuto lasciarci parole più utili e significanti ma la targa (vedine più sotto la fotografia) è una testimonianza storica precisa che sarebbe doveroso mostrare sempre, soprattutto alle giovani generazioni cui è anche destinato il docu-film.
Ma di Villa Manzoni al Caleotto di Lecco vediamo di dare noi qualche notizia.
Innanzitutto un chiarimento formale.
Regio Decreto 29 febbraio 1940-XVIII, n. 1354.
Dichiarazione di monumenti nazionali della casa nativa di Alessandro Manzoni in Milano, della Villa del Caleotto a Lecco e dell’ex Convento dei Cappuccini di Pescarenico.
Vittorio Emanuele III [ecc.] …
Volendo che i luoghi dove nacque, studiò e visse Alessandro Manzoni siano particolarmente conservati all’ossequio degli Italiani, oltre che tutelati come edifici di importante interesse storico; / Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per l’educazione nazionale; / Abbiamo decretato e decretiamo:Sono dichiarati monumenti nazionali i seguenti immobili:
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1º Casa nativa di Alessandro Manzoni sita al n. 16 della via Uberto Visconti di Modrone (ex via S. Damiano) di Milano;
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2º Villa del Caleotto a Lecco;
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3º Ex Convento dei Cappuccini di Pescarenico.
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Dato a Roma, addì 29 febbraio 1940-XVIII / Vittorio Emanuele III.
Per il lettore che non conosce Milano, ricordiamo che la “Casa nativa di Alessandro Manzoni sita al n. 16 della via Uberto Visconti di Modrone”, indicata come Monumento Nazionale nel Decreto appena citato, non è la “Casa Manzoni” di Via Morone 1, sede del CNSM e recentemente ristrutturata da Intesa Sanpaolo, che è considerata “Bene di interesse storico-artistico particolarmente importante”.
Abbiamo quindi in Italia tre monumenti nazionali dedicati ad A. Manzoni e due di essi sono in Lecco: il Convento degli ex-Cappuccini a Pescarenico, recentemente ristrutturato, e Villa Manzoni al Caleotto.
Una domanda esplicita ai professori del CNSM: perché nel vostro docu-film non viene neppure accennato che Villa Manzoni al Caleotto di Lecco è Monumento Nazionale? Si comprende che la questione in questo caso non è puramente formale.
E infatti la motivazione del Decreto del 1940 è molto precisa: «…i luoghi dove nacque, studiò e visse Alessandro Manzoni …». Perché il problema è proprio questo.
La Villa del Caleotto è il documento storico, immediatamente percepibile da chiunque, del legame organico e necessitante tra Manzoni e Lecco. Che va a incidere sull’immagine di esclusiva “milanesità” del Manzoni che parrebbe essere perseguita dal CNSM.
Lecco è stata posta da Manzoni come scenario di una parte ampia de «I Promessi Sposi» perché nella comunità di quel borgo, formata prevalentemente da uomini e donne autonomi e aperti al nuovo, egli vedeva l’esempio di una società basata sulla libertà individuale e diretta, nelle sue ultime istanze, da una non mediocre visione del destino dell’uomo.
Manzoni identificò quella visione in un cattolicesimo aperto e liberale. Altri lo identificarono in un laicismo non irrigidito dal positivismo dogmatico. Ma alla base di entrambe le scelte vi era quel tipico e caratteristico ambiente sociale non servile, quell’inconfondibile ambiente naturale insieme aspro e dolce, infinitamente vario ma severo, perfettamente coerente con le figure – anch’esse tipiche e caratteristiche – di Lucia e Renzo.
E il Caleotto di Lecco (vedi a lato una panoramica del complesso) costituì per Manzoni la “casa” nella quale maturare e fare propri i messaggi della bellezza e “a bevere a larghi sorsi l’aura della libertà”, come scrisse l’Abate Stoppani, che quell’aura conosceva bene.
E di quel Caleotto il docu-film del CNSM si limita a mostrare un’inquadratura anonima e a dichiararne l’identità solo con una sintetica e impersonale didascalia.
Villa Manzoni al Caleotto di Lecco è un grande complesso, ristrutturato nei primi anni del 1600 su precedenti edifici, dove per primo abitò Giacomo Maria, il quadrisavolo di Alessandro, spostatosi definitivamente a Lecco dall’originaria Barzio.
Pietro Manzoni, il padre di Alessandro, passava il periodo invernale a Milano ma il resto dell’anno a Lecco, a curare relazioni e affari. E il Caleotto, la villa di famiglia, era il centro fisico della sua condizione di proprietario terriero del lariano e di aspirante patrizio milanese.
E quando Alessandro la ereditò, la abbellì perché continuasse a essere simbolo di prestigio e di forza.
L’edificio si sviluppa su circa 3.504 metri quadri coperti, con un appezzamento di 4.600 mq a parco.
Negli anni in cui vi visse Alessandro e fino al 1818, quando vendette l’intera proprietà agli Scola, la villa dominava un grande appezzamento di terreno, coltivato a vigneto e a gelso, allora fonte della materia prima per la coltivazione dei bachi da seta.
Per questo gli Scola, impegnati nell’industria serica, acquistarono non a buon mercato – oltre 110.000 Lire (circa 12 milioni di Euro) – il Caleotto e il suo terreno.
Qui, in questo ambiente, e più precisamente nella Cascina Costa di Galbiate, Alessandro fu messo a balia due giorni dopo la nascita. E allevato dalla signora Caterina Panzeri (una contadina del luogo) che lo trattò per anni come figlio tra i propri figli. Dei quali Manzoni mantenne sempre un ricordo vivo e affettuoso, memore delle libere giornate trascorse nella natura, a fissare negli occhi e nel cuore quei particolari paesaggi e quelle particolari figure umane.
Lì Manzoni visse fino alla prima adolescenza, e poi per molti periodi estivi e autunnali, fino ai suoi 33 anni.
Lo scrisse egli stesso: «Lecco è la principale di queste terre e dà il nome alla riviera […] i contorni, le viste lontane, tutto concorre a renderlo un paese che chiamerei uno dei più belli del mondo, se avendovi passata una gran parte della infanzia e della puerizia, e le vacanze autunnali della prima giovinezza, non riflettessi che è impossibile dare un giudizio spassionato dei paesi a cui sono associate le memorie di quegli anni.» (“Fermo e Lucia”, Cap. I).
Un luogo che sentiva talmente suo da invitarvi, ormai diciottenne, Vincenzo Monti, per passare insieme qualche giorno di villeggiatura, con il pieno assenso del padre Pietro, ovviamente ben lieto che il figlio mostrasse un tale talento da potere attrarre quello che era allora considerato un nuovo Dante. Dove accolse i sacerdoti (come Tosi) che furono al suo fianco nella scelta religiosa. Dove condusse riusciti esperimenti agrari.
Dove tenne stretti rapporti di fiducia e di collaborazione economica con personalità come l’avvocato Francesco Ticozzi (tra l’altro zio della madre dell’Abate Antonio Stoppani), uno dei primi esponenti della Repubblica Cisalpina e poi Prefetto napoleonico. Francesco Ticozzi aveva una lunga familiarità con i Manzoni (fu l’estensore del testamento del padre Pietro e per anni fiduciario di Alessandro per la gestione degli affari di famiglia nel Lariano).
Alessandro certo conosceva anche il di lui fratello Stefano, già brillante allievo a Milano di Parini e laureato in Teologia all’Università di Pavia, anche se è probabile non lo frequentasse per la particolare vicenda di questa figura di spicco della storia lecchese.
All’arrivo dei Francesi nel 1796 Stefano Ticozzi era infatti da dieci anni apprezzato sacerdote a Castello di Lecco; lasciata la tonaca fu oratore di talento della politica giacobina; col breve ritorno degli Austriaci nel 1798 emigrò a Parigi dove fu in stretti rapporti con Vincenzo Monti (che frequentava abitualmente il salotto Imbonati-Beccaria); poi, con Napoleone, sposata Domenica Giannone (nipote del celebre Pietro), come il fratello fu alto funzionario del Regno Italico. Con la Restaurazione per campare dovette mettere a frutto i propri talenti critico-letterari e così, nel 1818 tradusse in italiano l’opera del Sismondi sulle Repubbliche italiane, dalla quale aveva tratto spunto Manzoni per la elaborazione delle sue «Osservazioni sulla Morale Cattolica».
Lì, a Lecco, Manzoni nella puerizia avviò una grande amicizia (che durò inalterata tutta la vita) con Giuseppe Bovara, il noto architetto cui si devono tante opere del territorio lecchese, nipote del non meno noto Giovanni Bovara, Ministro per il culto del Regno Italico.
Come più facoltoso proprietario del territorio, tra il 1814 e il 1816 fu anche il primo deputato (un sindaco ante-litteram) in alcuni “Convocati Generali” di Lecco.
Vi compose certamente alcuni degli «Inni Sacri», che inaugurarono il “modo nuovo” della sua poetica e gran parte della tragedia «Adelchi», che lo collocò all’attenzione europea.
Lì, definì in sé quel vasto mondo naturalistico-sociale-esistenziale che costituisce lo sfondo di gran parte de «I Promessi Sposi».
Dal 14 dicembre 1963 Villa Manzoni è proprietà del Comune di Lecco ed è sede sia del “Museo Manzoniano” sia del “Fondo Manzoniano” (comprende tutte le edizioni originali delle opere manzoniane, le più importanti edizioni italiane e straniere dei Promessi Sposi, saggi critici di argomento manzoniano pubblicati dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri).
Il Caleotto è anche sede della “Galleria d’Arte Comunale”, che ospita immagini lecchesi di Massimo d’Azeglio, Carlo Pizzi e Giovan Battista Todeschini, nipote dell’Abate Stoppani.
Ma su tutto ciò silenzio nel docu-film del CNSM. Che propone un Manzoni solo “milanese”. Sul punto l’amministrazione lecchese dovrebbe attivarsi perché il Caleotto diventi ciò che potrebbe essere: un centro di coordinamento internazionale di studi manzoniani.
Il monumento a Manzoni in Lecco – Nel docu-film del CNSM, al monumento a Manzoni in Lecco è riservata una ripresa fissa di cinque secondi, senza alcun commento di Farinotti. Una didascalia informa: «Piazza Manzoni (Lecco)», senza neppure indicare la parola “monumento”.
Sì, perché in Italia, di vie, piazze, ecc., intitolate a Manzoni ve ne sono esattamente 1.000. Ma, all’aperto, di veri “monumenti” al nostro scrittore ve ne sono solo due.
Il primo è a Milano, in Piazza San Fedele, opera dell’artista Francesco Barzaghi, inaugurato il 22 maggio 1883. Il secondo è a Lecco, in Piazza Manzoni appunto, opera dell’artista Francesco Confalonieri, inaugurato l’11 ottobre 1891.
Forse il CNSM, la cui missione (vedi Statuto, Art. 1) è di «promuovere e coordinare gli studi e le ricerche intorno alla vita ed alle opere di Alessandro Manzoni e ai movimenti culturali che si connettono alla sua personalità di letterato e di pensatore», avrebbe potuto, nel “tour” lecchese del suo docu-film dedicato a Manzoni, spendervi qualche parola. Tanto più che questi due unici monumenti all’aperto del nostro poeta sono profondamente diversi sia per la loro storia sia per la loro fisionomia artistica.
Quello di Milano fu deliberato dalla Giunta municipale il 23 maggio 1873 (giorno successivo alla morte di Manzoni), come parte delle diverse iniziative adottate per la scomparsa del poeta.
Il monumento di Lecco fu deliberato il 24 maggio, anch’esso dalla Giunta locale, che istituì un Comitato ad hoc di cinque personalità, tra le quali il lecchese Abate Stoppani, elemento influente del gruppo dei rosminiani di Milano (da sempre molto vicino a Manzoni, anche nelle scelte politiche) che poco prima della morte dello scrittore, nel 1872, si era attivato con iniziative pubbliche a difesa di Manzoni dall’attacco di Settembrini, molto pubblicizzato dalla stampa.
La contemporaneità delle iniziative dei due Comuni creò un ovvio problema, di cui si prese atto immediatamente. Data la “priorità” temporale (anche se di 24 ore) di Milano, per non creare inopportune concorrenze, la raccolta fondi per il monumento in Lecco venne interrotta; il denaro raccolto depositato su un conto bancario; lo stanziamento deliberato dal Comune sospeso, in attesa che si realizzasse il monumento a Manzoni nella capitale lombarda. Il che si riteneva dovesse avvenire in un tempo ragionevolmente breve. Ma così non fu.
Per varie ragioni, anche economiche, il progetto milanese si dilatò nel tempo e prese ben dieci anni, costringendo i lecchesi a rinviare la loro iniziativa.
Quando a Milano si inaugurò il monumento di Piazza San Fedele, il progetto dei lecchesi subì un altro arresto. Nel 1882 era morto Garibaldi e i tanti garibaldini di Lecco chiesero si procedesse immediatamente alla realizzazione di un monumento in città al condottiero (con il pieno accordo dell’Abate Stoppani, nel 1860 convinto sostenitore dell’impresa dei Mille). Il monumento venne inaugurato nell’ottobre 1884.
All’indomani, l’Abate Stoppani si fece promotore per la ripresa del progetto del monumento a Manzoni e venne nominato Presidente del Comitato promotore, composto da trenta personalità della città, appartenenti a tutti gli orientamenti politici, tranne il clero reazionario. Il 10 febbraio 1885 il Comitato lanciò la campagna di raccolta fondi con un’azione al livello nazionale, che potrebbe essere presa a modello.
Il memorandum/manifesto della campagna, scritto dall’Abate, venne apprezzato unanimemente per i contenuti non retorici e perché vi si evidenziava il legame profondo tra la fisionomia democratica di Manzoni e l’ambiente sociale lecchese.
Tra l’altro, vi si legge: «i franchi abitatori di questa vallata, non umiliati dal servaggio della gleba, né infiacchiti dal lusso delle corrotte metropoli, fin da secoli emancipati e nobilitati dal genio fecondatore delle industrie serica e siderurgica, sentì nascersi nell’animo i primi nobili sdegni contro i prepotenti piccoli e grandi, e le prime aspirazioni alla rivendicazione dei diritti conculcati dalla codarda tirannia dei ricchi e dei potenti oppressori».
Il “Memorandum” – supportato dall’azione incisiva del Comitato – stimolò il concorso di sottoscrittori da tutta Italia. “Né il ricco reputi troppo generoso il suo oro, né il popolo troppo meschino il suo soldo”, così concludeva l’appello dell’Abate.
E gli faceva eco il lecchesissimo Antonio Ghislanzoni (anch’egli inspiegabilmente ignorato dal docu-film del CNSM), il geniale librettista di Verdi e della riduzione operistica de «I Promessi Sposi» di Errico Petrella.
Questi, in una lettera aperta a Stoppani (venne pubblicata sulla stampa locale) scriveva:
«[…] all’illustre amico Don Antonio […] Il genio è ciò che vi ha di più eminentemente democratico, qualora la sua gran luce si espanda su tutti. Tutti gli operai del territorio dovrebbero dare una pallanca ad onore di chi ha creato quel bel tipo di onesto ribelle che era Renzo Tramaglino.»
Amministrazioni comunali, borghesi, maestri e professori, sacerdoti, osti, manovali, Camere di commercio, Circoli operai di mutua assistenza, signore di ogni condizione ed età, in tremila diedero il loro obolo (ne abbiamo i nominativi). E furono centinaia gli alunni delle elementari di Lecco e di tante città d’Italia a dare il contributo, anche di pochi centesimi.
E con 500 lire (10.000 Euro) a dare la sveglia ai pigri nobili d’Italia e su sollecitazione di Stoppani, si attivò Don Pedro d’Alcantara, il liberale-intellettuale Imperatore del Brasile, traduttore in portoghese del “5 Maggio”, per anni in corrispondenza con Manzoni, che lo stimava per la sua azione contro la schiavitù. In alcuni mesi di intensa attività vennero raccolte oltre 40.000 lire (circa 900.000 Euro), con cui si poté dar corso al progetto (per approfondimenti, vedi un nostro recente documento [indirizzo Web].
Per realizzare in Lecco un monumento imponente e artisticamente valido, simbolo di un patto d’amore e fedeltà al poeta, a ricambio del dono che Manzoni aveva voluto dare alla “sua quasi città natale” (lo diceva sorridendo l’Abate Stoppani) col farne l’epicentro geografico ed etico del suo romanzo.
Qui, in due parole, diciamo che per l’Abate e compagni il monumento a Manzoni in Lecco costituiva sia la prima fase di un più vasto progetto di affermazione della proposta politica rosminiano/conciliatorista (di cui Manzoni era stato punta di lancia nell’ambito culturale), sia un momento forte per il posizionamento di Lecco sulla scena della cultura nazionale.
Il primo aspetto si infranse contro la chiusura del Vaticano. Ma riuscì a realizzare il monumento a Rosmini in Milano nel 1896 (essendo però lo Stoppani già scomparso il 1 gennaio 1891). Il secondo – rendere sentire comune della nazione il legame indissolubile tra Manzoni e Lecco – ebbe invece un grande successo. Che fece sentire i suoi effetti a lungo e che fino agli anni 1970 fece di Lecco il punto di riferimento della cultura manzoniana in Italia, grazie anche alla consapevolezza delle Amministrazioni di allora.
Purtroppo l’attuale Amministrazione comunale tende a fare identificare Lecco esclusivamente con «I Promessi Sposi», mettendo in sottordine il legame con la figura esistenziale e storica di Manzoni.
Facendo così di Lecco un semplice sfondo di scena, attraente sul piano estetico ma privo di solidi contenuti culturali. Che solo una attenta valorizzazione dei legami strutturali tra Manzoni e la sua “quasi città natale” potrebbe fornire, con sviluppi, anche organizzativi ed economici, di straordinaria importanza per la città.
Senza questo ancoraggio alla storia personale di Manzoni e al suo mondo complessivo, etico, culturale, politico, i ciclici e scoordinati tentativi dell’Amministrazione di ridare lustro al “patrimonio manzoniano” della città sono destinati a finire nel nulla, lasciando solo “gadget”, “piattaforme informatiche”, ecc. ecc., favorendo l’arruolamento forzato del Manzoni a una sua esclusiva “milanesità”, di cui è esempio il docu-film del CNSM, di cui ci stiamo occupando.
Ma prima di concludere questa parentesi, a tutela della fisionomia “manzoniana” della città di Lecco, vorremmo tornare alla rilevante differenza – di forma artistica e di contenuti – tra i due monumenti a Manzoni di Milano e Lecco.
Quando in Milano si discusse di come strutturare il monumento a Manzoni, così si espresse Giulio Carcano, considerato uno dei più lucidi intellettuali del tempo: «La posizione sia seduta o in piedi, secondo le scelte dell’artista … L’insieme sia di forma elegante ma severa, escludendo ogni elemento figurato, sia simbolico, sia allegorico.»
E infatti il monumento di Milano è dignitoso sul piano formale ma non trasmette un granché. Manzoni è raffigurato in piedi (Barzaghi conosceva bene le difficoltà della fusione di una figura seduta) e attorno a lui non vi è alcun elemento contenutistico. Parte della stampa dell’epoca non ne fu entusiasta e ne rilevò il carattere “innaturale e di posa”, lontano dall’immagine del Manzoni, ben presente alla memoria dei milanesi.
In esplicita difformità con gli orientamenti di Giulio Carcano, Stoppani volle invece realizzare in Lecco un monumento spontaneo e vicino alla sensibilità popolare. Si impegnò inoltre perché il monumento esprimesse esplicitamente i contenuti etici del romanzo. Insistette quindi col Comitato lecchese perché si aggiungessero al basamento del monumento tre altorilievi (non previsti nel progetto iniziale). I pannelli dovevano trasmettere un preciso orientamento ideale trasferendo tre messaggi etico-sociali.
1. Il pannello alla destra (per chi guarda) illustra il rapimento di Lucia. È la rappresentazione della sopraffazione contro i deboli, che devono essere tutelati. Ma qui Manzoni attua un rovesciamento. Lucia non viene liberata da un intervento esterno: piega l’Innominato dimostrandosi più forte del violento e favorendone la maturazione. Manzoni esprime una idea evoluta del ruolo della donna nella società, e della sua funzione nella liberazione sociale.
2. Il secondo pannello raffigura il momento in cui Renzo accorda il perdono a Don Rodrigo. Qui Manzoni rappresenta lo scioglimento dei conflitti attraverso l’accettazione della comune natura umana. La giustizia (ineludibile e garantita dalla divinità) deve essere inflessibile ma non annichilente. Il rapporto di Renzo con la giustizia è fallimentare: un avvocato venduto; una polizia pronta a colpire un innocente; un Podestà (complice del suo persecutore) che gli manda i birri, i quali gli saccheggiano la casa. Anche qui Manzoni opera un rovesciamento. Renzo, vittima di una giustizia malata, ne ristabilisce la dignità, esercitandone la funzione fondamentale – la riabilitazione del colpevole – attraverso il perdono a don Rodrigo
3. Il terzo pannello del monumento (quello del matrimonio), lancia un ulteriore messaggio forte: qualunque sia l’oppressione, se sapremo impegnarci con onestà e umanità, trionferemo. Renzo e Lucia hanno vinto perché si sono battuti per ciò che consideravano giusto – nel loro caso il matrimonio. Non è però difficile leggere dietro la ‘cantafavola’ del Manzoni altri espliciti riferimenti. Il romanzo dice della invincibilità degli umili quando si muovono per la giustizia e la libertà.
Non solo, ma dice che i due vincono proprio perché sono umili: non hanno vincoli se non quelli dell’onestà e dell’amore. Non piani di potere; non obblighi di relazioni interessate da salvaguardare. Non solo. Questi due umili vincono ma insieme educano: l’Innominato, che si fa tutore dei deboli; il Marchese (erede di Don Rodrigo), umile, almeno per un giorno; Don Abbondio, che ritrova la sua dignità col celebrare quel matrimonio impedito con malizia.
Quante cose da dire su questo monumento, su cui il docu-film del CNSM non ha speso neppure una parola. Quante cose utili alla riflessione, soprattutto per quegli studenti cui è programmata la sua diffusione!
Recentemente, il Monumento a Manzoni in Lecco è stato molto ben restaurato dal Maestro Giacomo Luzzana.
• PDF dell’Analisi critica
• indice dei venti episodi⇓