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Mi­lano, ve­nerdì 28 gen­naio 2022.

Riceviamo e pubblichiamo.

A ri­scon­tro della Nota che il let­tore trova pre­sen­tata più sotto, il Prof. An­gelo Stella, Pre­si­dente del Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani, ha vo­luto cor­te­se­mente tra­smet­terci il suo orien­ta­mento sulle que­stioni da noi sollevate.

«La ringrazio delle sue osservazioni. Credo che studiose e studiosi le prenderanno in considerazione, e che si potrà arrivare, su aspetti ancora giustamente dibattuti, a conclusioni serenamente condivise. 

Con i migliori auguri, Angelo Stella».

Rin­gra­ziamo il Pre­si­dente Prof. Stella per la sua sag­gia e lun­gi­mi­rante presa di po­si­zione; la con­si­de­riamo con­di­visa da tutto il Co­mi­tato Scien­ti­fico del Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani au­gu­ran­doci sia an­che pro­droma a una re­vi­sione dell’intera que­stione sol­le­vata dal no­stro Cen­tro Studi.

Mi­lano, mar­tedì 18 gen­naio 2022.

Con quanto se­gue espo­niamo ri­fles­sioni espli­ci­ta­mente cri­ti­che sul come è stato re­cen­te­mente pre­sen­tato al pub­blico il ma­no­scritto “Gli Sposi pro­messi”, con­ser­vato presso il Mu­seo Man­zo­niano di Lecco.
Quelle istanze ac­ca­de­mi­che che lo hanno re­cen­te­mente pro­po­sto come ele­mento por­tante di una “ri­vo­lu­zione” nella cri­tica man­zo­ni­sta (non­ché i re­spon­sa­bili cul­tu­rali e mu­seali della città di Lecco, che se ne sono fatti in­ge­nui mal­le­va­dori), hanno sdo­ga­nato una nuova fat­ti­spe­cie di co­mu­ni­ca­zione “cul­tu­rale”, tutta ba­sata sulla sciat­te­ria do­cu­men­tale an­cor­ché pro­po­sta da fi­gure di in­dub­bia espe­rienza e qua­lità in­tel­let­tuale: un pes­simo esem­pio per tutti e un cef­fone a piena mano alla cul­tura di ispi­ra­zione manzoniana.
Ami­che­vol­mente, sug­ge­riamo ai di­versi at­tori in campo di ri­co­min­ciare da capo, ma que­sta volta con ben al­tre me­to­do­lo­gie e con la com­pe­tenza che hanno già mo­strato in al­tre occasioni!

At­ten­zione!
A con­sen­tirne una più age­vole iden­ti­fi­ca­zione, in que­sta no­stra Nota, il ma­no­scritto con­ser­vato presso il Mu­seo Man­zo­niano di Lecco, sarà da noi in­di­cato come «Ma­no­scritto Lecco 170», dal nu­mero di in­gresso al Mu­seo stesso, se­gnato sul ri­sguardo Zr alla co­per­tina posteriore.

FILOLOGIA MANZONISTA
ALLO SBANDO?

A proposito del «Manoscritto Lecco 170» conservato presso il Museo Manzoniano di Lecco.

6 PAROLE

dette autografe di Manzoni con un ameno “fidatevi di noi”.

Valutate invece come apocrife dal

PARERE PRO VERITATE

della perizia grafologica da noi predisposta.

UN INCREDIBILE SILENZIO

su una più che probabile manipolazione dell’intero documento tra il 1964 e il 1988.

203 ERRORI

nella “trascrizione diplomatica” del «Manoscritto Lecco 170».

23 VISTOSE DIFFORMITÀ

di trama rispetto alla “Prima Minuta” di A. Manzoni.

Così una filologia distratta e pasticciona
si autocondanna all’impotenza e ridicolizza Lecco città di Manzoni e dei Promessi Sposi!

Chiediamo l’immediata riapertura dell’indagine conoscitiva sul «Manoscritto Lecco 170», garantita dal controllo pubblico.

Il 5 mag­gio scorso, con l’entusiastica col­la­bo­ra­zione dei mezzi di in­for­ma­zione lo­cali e na­zio­nali, è stata pub­bli­ciz­zata la let­tura in­te­grale su In­ter­net (con il ti­tolo “Gli Sposi pro­messi”) della “Prima Mi­nuta” del ro­manzo di Ales­san­dro Man­zoni, già pub­bli­cata con il me­de­simo ti­tolo da Giu­seppe Le­sca nel 1916 ma più co­no­sciuta come “Fermo e Lu­cia”, ti­tolo adot­tato nel 1953 da Ghi­sal­berti e Chiari, con­fer­mato da Sal­va­tore Sil­vano Ni­gro (2003) e, in ul­timo, da Bar­bara Colli, Paola Ita­lia e Giu­lia Ra­boni (2006).
A ga­ran­tire la scien­ti­fi­cità dell’iniziativa “Gli Sposi pro­messi su In­ter­net”, le Pro­fes­so­resse Paola Ita­lia e Giu­lia Ra­boni, note fi­lo­lo­ghe man­zo­ni­ste, cui si sono af­fian­cati ac­ca­de­mici man­zo­ni­sti di mezza Ita­lia, tra cui lo stesso Nigro.

Le ra­gioni del mu­ta­mento di ti­tolo (da “Fermo e Lu­cia” a “Gli Sposi pro­messi”) sta­reb­bero nel ma­no­scritto di 116 pa­gine, ac­qui­stato dal Co­mune di Lecco sul mer­cato an­ti­qua­rio nel 1989 e con­ser­vato oggi presso il Mu­seo Man­zo­niano della città.
La prima delle tre se­zioni di cui è com­po­sto il do­cu­mento (40 pa­gine) è ti­to­lata “Gli Sposi pro­messi / Sto­ria mi­la­nese epi­lo­gata nel 1824 / So­pra la prima com­po­si­zione ri­fatta con molte va­ria­zioni” (d’ora in poi la chia­me­remo l’Epilogo “Gli Sposi promessi”).

A evi­tare ma­lin­tesi an­che grot­te­schi, chia­riamo su­bito che il ma­no­scritto è stato re­datto da ignoti, in data ignota (il 1824 che vi si legge sul fron­te­spi­zio può es­sere stato ap­po­sto in qua­lun­que mo­mento, tra il 1824 e i suc­ces­sivi 130 anni).
Par­liamo di “ma­lin­tesi grot­te­schi” a ra­gione ve­duta: l’ANSA (l’Agenzia gior­na­li­stica cui si ri­fanno pra­ti­ca­mente tutte le te­state del no­stro Paese) ha in­fatti pre­sen­tato il te­sto dell’Epilogo “Gli Sposi pro­messi” come se fosse stato pen­sato e scritto da Man­zoni (vedi l’articolo del 10 mag­gio):

(ANSA) – LECCO, 10 MAG — “Cor­reva l’anno 1628, quando due gio­vani per­sone d’una terra presso Lecco, di bassa con­di­zione, do­ve­vano all’indomani pre­sen­tarsi al par­roco Don Ab­bon­dio per la ce­le­bra­zione del loro matrimonio”.
Era que­sto l’incipit della prima ste­sura, da­tata 24 aprile 1821, del ro­manzo di Ales­san­dro Man­zoni “I pro­messi sposi”.

Va da sé che si tratta di un gros­so­lano ab­ba­glio preso dall’ANSA: quello è l’inizio del ma­no­scritto re­datto da ignoti in data ignota.

Come ben noto, la “Prima Mi­nuta” di Man­zoni co­min­cia in­vece in tutt’altro modo: «Quel ramo del lago di Como d’onde esce l’Adda e che giace fra due ca­tene non in­ter­rotte di monti, ecc.»

Qui so­pra al­cune delle po­chis­sime im­ma­gini date al pub­blico del ma­no­scritto con­ser­vato al Mu­seo Man­zo­niano di Lecco.

Ma tor­niamo a noi.

È la ma­nina di Manzoni?
Nella terza se­zione del ma­no­scritto (ri­pe­tiamo, di mano ignota e oc­cu­pata dalla co­pia di una co­pia della con­ven­zio­nal­mente de­no­mi­nata “Let­tera sul Ro­man­ti­ci­smo”, scritta da Man­zoni a d’Azeglio pa­dre nel 1823) vi è una fra­setta ano­dina di sei parole

« di trovare, che quelle opinioni vi — »

che, sulla base della loro di­me­sti­chezza con la gra­fia dello scrit­tore, Paola Ita­lia e Giu­lia Ra­boni af­fer­mano ver­gata da Don Li­san­der.

Il quale Man­zoni, quindi (se­condo le Pro­fes­so­resse), avrebbe avuto ben pre­sente an­che l’Epilogo “Gli Sposi pro­messi”, po­sto po­che pa­gine prima di quella su cui egli avrebbe ver­gato quelle sei parole.

Il quale “Epi­logo” sa­rebbe stato ideato (a dire delle Ac­ca­de­mi­che) da fi­gura ap­par­te­nente alla cer­chia dei suoi più stretti amici, col­la­bo­ra­tori, parenti.
M
an­zoni lo avrebbe anzi sen­ti­ta­mente ap­prez­zato — e an­che ispi­rato — come me­mo­ria della “Prima Mi­nuta” del suo ro­manzo, da con­ser­vare per i posteri.

E in­fatti l’Epilogo (sono sem­pre le Pro­fes­so­resse ad ar­go­men­tare) è una ri­du­zione, anzi un Com­pen­dio, fe­dele della “Prima Mi­nuta” di Man­zoni come era prima che Man­zoni ci met­tesse le mani per farlo di­ven­tare il te­sto che poi pub­blicò con il ti­tolo “I Pro­messi Sposi” nel 1827.
Nell‘Epilogo ci sono solo al­cune di­scre­panze ono­ma­sti­che, do­vute an­che ad abi­tu­dini scrit­to­rie del co­pi­sta, si­cu­ra­mente di cul­tura lom­barda; da qui gli scem­pia­menti “Abon­dio”, “pa­roco”, ecc.


È quello il ti­tolo ori­gi­na­rio del romanzo?

Di più: “Gli Sposi pro­messi” (è sem­pre il pen­siero delle Prof.) sa­rebbe stato il primo vero e ori­gi­na­rio ti­tolo dato da Man­zoni al pro­prio ro­manzo fin dall’inizio del suo la­voro (aprile 1821), mu­tato poi in “I Pro­messi Sposi” solo nell’estate del 1825.
Da tutto ciò (con­ti­nuano le Pro­fes­so­resse) dob­biamo trarre che a quella “Prima Mi­nuta” Man­zoni era molto più le­gato di quanto si sia fino a ora pensato.


È la “Prima Mi­nuta” il vero romanzo?

E in ef­fetti (è sem­pre il loro pen­siero) quella “Prima Mi­nuta” è molto “più ro­man­ze­sca”, “più av­ven­tu­rosa”, “più eu­ro­pea” de “I Pro­messi Sposi” del 1827 o del 1840.

Quella “Prima Mi­nuta” (sono sem­pre Italia/Raboni ad ar­go­men­tare, in que­sto in piena sin­to­nia con il Prof. Ni­gro) è un ro­manzo a sé: un “noir” splen­di­da­mente go­tico (con tutta quella vi­cenda ter­ri­bil­mente rea­li­stica della Si­gnora mo­naca) che i let­tori di oggi — in par­ti­co­lare i più gio­vani tro­vano certo più af­fa­sci­nante di quello che gli stu­denti dell’Italia post-ri­sor­gi­men­tale sono co­stretti da ben ol­tre un se­colo a leg­gere di ma­la­vo­glia a scuola; un te­sto fran­ca­mente un po’ troppo ba­cia­pile e fi­nan­che pal­loso con tutti quei ri­fe­ri­menti alla Prov­vi­denza, ecc. ecc.


Ci sono se­rie basi scientifiche?
La so­li­dità di que­sto ar­go­men­tare delle Pro­fes­so­resse non è stato da loro af­fi­dato solo ai di­versi mo­menti pub­blici in cui hanno avuto modo di pre­sen­tare l’iniziativa (Con­ver­sa­zione on-line Ita­lia / Ra­boni / Ni­gro presso la Brai­dense di Mi­lano del 5 mag­gio 2021; in­ter­vi­sta di Paola Ita­lia a “La Pro­vin­cia di Lecco” del 6 mag­gio; in­ter­vi­sta della stessa a Lecco FM nella stessa giornata).

Il loro pen­siero è stato espresso in ter­mini pret­ta­mente ac­ca­de­mici in due studi cu­rati da Paola Ita­lia e pub­bli­cati (2018 / 2019) dal pre­sti­gioso Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani, punto di ri­fe­ri­mento per l’Italia e il Mondo per chiun­que vo­glia avere un qua­dro scien­ti­fi­ca­mente fon­dato della vita e dell’opera di Don Lisander.

I due studi della Pro­fes­so­ressa Ita­lia (“Gli Sposi pro­messi — Sto­ria mi­la­nese epi­lo­gata nel 1824” / “Un nuovo te­sti­mone della Let­tera sul Ro­man­ti­ci­smo”) con­den­sano in ol­tre 60 pa­gine sia la “di­plo­ma­tica” dell’intero «Ma­no­scritto Lecco 170» (os­sia la sua più scru­po­losa e at­ten­di­bile tra­scri­zione, a ser­vire chi non può con­sul­tare di­ret­ta­mente il do­cu­mento) sia una se­rie di ri­fles­sioni cri­ti­che della Pro­fes­so­ressa Ita­lia, Or­di­na­ria di Fi­lo­lo­gia alla Uni­ver­sità di Bologna.

Bene! Quindi, tutto a po­sto e sotto controllo?
Mica tanto!

Sa­pendo esat­ta­mente il si­gni­fi­cato delle pa­role, non pos­siamo che anticipare:

CHE RIDICOLO PASTICCIO!

In­fatti, quando il 5 mag­gio ab­biamo letto (sulla stampa lo­cale la­riana e su quella na­zio­nale) le die­cine di ar­ti­coli en­tu­sia­stici di elo­gio per l’iniziativa “Gli Sposi pro­messi su In­ter­net” e per la “sco­perta” della pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia (la frase detta au­to­grafa di Man­zoni), con tanto di ti­toli su una “ri­vo­lu­zione nella sto­ria della let­te­ra­tura ita­liana”, ci siamo detti: ca­spi­te­rina! Bi­so­gna che cer­chiamo di ag­gior­narci a que­ste stra­bi­lianti novità!
Tanto più che ave­vamo per­fet­ta­mente pre­sente quel «Ma­no­scritto Lecco 170», aven­dolo vi­sto espo­sto al Mu­seo Man­zo­niano di Lecco ma senza che nes­suno — al­meno fino al di­cem­bre 2016 — vi avesse an­nesso una qual­che importanza.

E quindi ab­biamo de­ciso di oc­cu­parci del tema cer­cando di farci una no­stra idea sulla ipo­tesi cri­tica pro­po­sta dalle Pro­fes­so­resse Ita­lia e Raboni.
Na­tu­ral­mente co­min­ciando con l’analizzare i due studi de­di­cati dalla Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia al documento.

Nel giro di un paio di mesi, con­sul­tate an­che le ri­prese fo­to­gra­fi­che del «Ma­no­scritto Lecco 170» presso i com­pu­ter del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco (gra­zie, Di­ret­tore Ros­setto, per la cor­tese ac­co­glienza), ci siamo fatti l’idea che tutto quel mo­vi­mento di idee, di ipo­tesi; tutta quella “ri­vo­lu­zione”, nata il 5 mag­gio 2021 all’insegna de “Gli Sposi pro­messi su In­ter­net”, aveva basi fra­gi­line e che era op­por­tuno fare qual­che se­gna­la­zione ai macchinisti.

In­fatti, per quanto ri­guarda l’apparato scien­ti­fico, ap­pron­tato da Paola Ita­lia e so­dali a so­ste­gno della loro iniziativa:

Abbiamo rilevato ben 203 errori nella trascrizione “diplomatica” del manoscritto.

Sulla base di una perizia grafologica forense da noi commissionata, siamo giunti alla conclusione che quella frasetta di sei parole NON È AUTOGRAFA di Manzoni.

Abbiamo registrato un grottesco silenzio su una più che probabile manipolazione della stessa struttura del «Manoscritto Lecco 170».

Su que­sta base, ri­te­niamo che il la­voro cri­tico fin qui pro­po­sto VALGA pra­ti­ca­mente NULLA e che l’indagine sulla na­tura del «Ma­no­scritto Lecco 170» debba es­sere ri­vi­sta ex-novo, con ben al­tri criteri.

Per quanto ri­guarda la na­tura del «Ma­no­scritto Lecco 170», non avendo po­tuto ana­liz­zarne l’originale, non siamo in grado di avan­zare ipo­tesi fon­date, né sulla sua pa­ter­nità né sulla sua datazione.

Sulla base di una ana­lisi esclu­si­va­mente testuale:

Abbiamo constatato che in ben 23 situazioni narrative l’Epilogo “Gli Sposi promessi”, contenuto nel «Manoscritto Lecco 170», è strutturalmente difforme dalla “Prima Minuta” di A. Manzoni e su molti temi in netta contrapposizione con il suo mondo etico.

Per il mo­mento ne ri­ca­viamo che Man­zoni mai avrebbe po­tuto ap­prez­zare né tan­to­meno spon­so­riz­zare o fa­vo­rire un do­cu­mento che (epi­logo, rias­sunto, sin­tesi, com­pen­dio che sia) fal­sasse la sua prima com­po­si­zione su tanti punti tanto ri­le­vanti non solo per l’impianto nar­ra­tivo ma so­prat­tutto per i con­te­nuti etico-spirituali.
L’ipotesi con­tra­ria di Paola Ita­lia è fran­ca­mente solo fan­ta­stica (stiamo sul leg­gero quanto a ver­ba­liz­za­zione del no­stro pensiero).

In ge­ne­rale ci sem­bra che il do­cu­mento cu­sto­dito a Lecco sia solo una tro­va­tina pseudo-do­cu­men­tale di nes­sun va­lore, rea­liz­zata a uso e con­sumo di col­le­zio­ni­sti di “me­mo­rie man­zo­niane” — ma di bocca buona.

No­no­stante ciò, pre­ci­siamo che, sulla base della do­cu­men­ta­zione a oggi di­spo­ni­bile, nulla può au­to­riz­zarci a de­fi­nire even­tual­mente un “falso” il do­cu­mento con­ser­vato al Mu­seo Man­zo­niano di Lecco.
In esso non vi è in­fatti nep­pure una pa­rola, o un se­gno, tesi a in­di­carvi un qual­che coin­vol­gi­mento di­retto di Man­zoni o una sua qual­si­vo­glia attenzione.

È in­vece gra­zie alla at­tri­bu­zione alla mano di Man­zoni di quella fra­setta — ga­ran­tita senza ri­serve da ben note ac­ca­de­mi­che, e sulla scorta an­che di ri­chia­mate so­fi­sti­cate ana­lisi stru­men­tali  — che si è aperta per quell’anonimo do­cu­mento una nuova sta­gione di va­lo­riz­za­zione an­che pecuniaria.

Le Prof. non se ne ren­dono si­cu­ra­mente conto ma è gra­zie alla loro au­to­re­vole cer­ti­fi­ca­zione che ora quel do­cu­mento po­trebbe es­sere con­si­de­rato un vero e pro­prio falso: sug­ge­riamo mag­giore prudenza!

Agli ar­go­menti ap­pena ac­cen­nati de­di­chiamo due di­stinti interventi.

In que­sta Prima Nota — quella che il let­tore trova espo­sta qui di se­guito — met­tiamo in luce:

a / La in­con­si­stenza scien­ti­fica della “tra­scri­zione di­plo­ma­tica” dell’Epilogo “Gli Sposi pro­messi”, prima se­zione (40 pa­gine) del “Ma­no­scritto Lecco 170”, pro­po­sta dalla Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia e vi­ziata da in­scu­sa­bili ce­cità e di­let­tan­te­sca superficialità.

b / La va­cuità dell’attribuzione “a oc­chio” della sup­po­sta au­to­gra­fia man­zo­niana delle sei pa­role alla carta 47r.

c / La nul­lità della di­chia­rata coe­renza di trama tra l’Epilogo “Gli Sposi Pro­messi” e “Prima Mi­nuta” di Manzoni.

Chie­diamo quindi che da parte delle Au­to­rità cul­tu­rali della città di Lecco, in primo luogo del suo As­ses­so­rato alla Cul­tura e del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco si av­vii una in­da­gine ex novo del «Ma­no­scritto Lecco 170» che coin­volga sia il mondo ac­ca­de­mico sia i cen­tri au­to­nomi di ri­cerca le­gati al mondo man­zo­niano (tra que­sti na­tu­ral­mente il no­stro Cen­tro Studi Abate Stop­pani), met­tendo prima di tutto a di­spo­si­zione del pub­blico al­meno una rap­pre­sen­ta­zione ad alta de­fi­ni­zione dell’insieme del «Ma­no­scritto Lecco 170».

Nella Se­conda Nota (che pub­bli­che­remo quanto prima) di­scu­te­remo sulle dif­fe­renze so­stan­ziali — quindi di ca­rat­tere etico, prima an­cora che ar­ti­stico e lin­gui­stico — che di­stin­guono la “Prima Mi­nuta” (mai resa nota da Man­zoni) dal ro­manzo “I Pro­messi Sposi”, da Don Li­san­der pub­bli­cato nel 1827 e poi nel 1840.

1. La cronaca più recente: maggio-ottobre 2021.

Ci pare che il modo mi­gliore per av­viare que­sta no­stra Nota sia col­le­garci alla cro­naca lec­chese, nel cuore di quello che Man­zoni scrisse es­sere “il più bel paese del mondo”.

1.1/ Le affermazioni inequivocabili di Paola Italia.

Nel qua­dro del Fe­sti­val “Lecco, città dei Pro­messi Sposi, 2021”, sa­bato 16 ot­to­bre si è svolto a Villa Man­zoni l’incontro (pren­diamo dal pro­gramma ufficiale):
«TEA TIME IN VILLA / Sa­lotto let­te­ra­rio / Vero o falso? Come de­ter­mi­niamo l’autenticità di un ma­no­scritto / Il com­pen­dio man­zo­niano di Lecco sve­lato al pub­blico / In­con­tro con Paola Ita­lia / (Uni­ver­sità de­gli studi di Bo­lo­gna)».

L’incontro, coor­di­nato da Mauro Ros­setto (Di­ret­tore del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco) ol­tre che della pro­gram­mata pre­senza di Paola Ita­lia, ha go­duto in via straor­di­na­ria della par­te­ci­pa­zione di Gian­luigi Daccò, ex Di­ret­tore del me­de­simo Museo.
L’incontro è stato a suo modo me­mo­ra­bile, an­che per­ché va­rio nei toni.

Sul fronte ac­ca­de­mico, la Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia, circa l’annunciato ar­go­mento “Come de­ter­mi­niamo l’autenticità di un ma­no­scritto / Il com­pen­dio man­zo­niano di Lecco sve­lato al pub­blico” non ha detto pur­troppo nulla di nuovo.

Sulla da lei af­fer­mata au­to­gra­fia man­zo­niana, si è in­fatti li­mi­tata a ri­pro­porre le ar­go­men­ta­zioni ge­ne­ri­che già espo­ste in al­tre pre­sen­ta­zioni a voce e in do­cu­menti da lei pub­bli­cati; ha inol­tre par­lato di un pro­getto uni­ver­si­ta­rio (in fase di de­fi­ni­zione) re­la­tivo alla in­di­vi­dua­zione dei falsi letterari.

Tutto in­te­res­sante certo! ma fru­strante per quei pre­senti che, come noi, pen­sa­vano che, a di­mo­strare non es­sere il «Ma­no­scritto Lecco 170» una vol­gare pa­tacca, la Prof. ci avrebbe fatto dono dei ri­sul­tati delle ana­lisi stru­men­tali re­la­tive al ma­no­scritto stesso cui ella aveva fatto ri­fe­ri­mento nella in­ter­vi­sta ri­la­sciata il 6 mag­gio 2021 alla emit­tente la­riana Lecco FM.

In quella oc­ca­sione (mi­nu­tag­gio 6:44) Paola Ita­lia era stata estre­ma­mente espli­cita (evi­den­zia­zioni nostre):
«Suc­ces­si­va­mente, pro­prio per­ché ho vo­luto stu­diare con più at­ten­zione que­sto ma­no­scritto, re­can­domi due anni fa al Mu­seo Man­zo­niano [lu­glio 2019, ndr], e stu­dian­dolo an­che con l’ausilio di tec­ni­che di ri­pro­du­zione di­gi­tale, ima­ging, di spet­tro­gra­fia, si è po­tuto ca­pire che la riga era stata in­te­grata pro­prio da Manzoni.»

Come può com­pren­dere chiun­que, in quella in­ter­vi­sta Paola Ita­lia aveva per così dire sve­lato il se­greto: a lei era ve­nuta una in­tui­zione le­gata alla sua sen­si­bi­lità ma è dall’alta tec­no­lo­gia che le era ve­nuta la cer­tezza: sì! quella frase è della mano di Man­zoni; lo hanno con­fer­mato le tec­ni­che di ri­pro­du­zione di­gi­tale, di ima­ging, la spet­tro­gra­fia cui il ma­no­scritto con­ser­vato al Mu­seo di Lecco è stato da lei sottoposto.

Que­ste af­fer­ma­zioni di Paola Ita­lia alla emit­tente la­riana il 6 mag­gio 2021 ci ave­vano ve­ra­mente colpito.
An­che per­ché quanto da lei lì detto dif­fe­riva di molto ri­spetto al come, solo il giorno prima, essa stessa, in due di­stinte co­mu­ni­ca­zioni, aveva ri­cor­dato la sua “sco­perta”.

1.2/ Dal tempio della documentazione manzoniana.

La Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia, par­lando alla Brai­dense di Mi­lano il 5 mag­gio 2021, in pub­blica con­ver­sa­zione at­tra­verso In­ter­net con Giu­lia Ra­boni e Sil­vano Ni­gro, a pro­po­sito del «Ma­no­scritto Lecco 170», così in­fatti si era espressa:

«Dove si trova? Si trova a Lecco, alla Villa il Caleotto […].
Ecco, que­sto ma­no­scritto era stato ac­qui­stato alla fine de­gli anni ’80 ma non era stato stu­diato e sem­brava poco interessante.
L’ho stu­diato io al­cuni anni fa e ho sco­perto che la prima parte aveva un rias­sunto, quindi “sto­ria mi­la­nese epilogata”.
[…]
In­fatti noi tro­viamo nel ma­no­scritto di Lecco che que­sta mezza riga vuota è stata com­ple­tata da una gra­fia per noi in­con­fon­di­bile per­ché è la gra­fia di Manzoni.
Que­sto ha dato ov­via­mente al ma­no­scritto non solo una grande im­por­tanza ma ha get­tato una nuova luce sull’idea che Man­zoni aveva della sua prima minuta.»

Quindi … il 5 mag­gio, pre­sen­tando su In­ter­net in an­te­prima as­so­luta la pro­pria “sco­perta” (e di­scu­ten­done la ge­nesi con due cam­pioni della fi­lo­lo­gia man­zo­ni­sta ita­liana, i Pro­fes­sori Ra­boni e Ni­gro), Paola Ita­lia — forse per non an­no­iare i col­le­ghi — non aveva ri­te­nuto op­por­tuno par­lare di “tec­ni­che di ri­pro­du­zione di­gi­tale, ima­ging, di spet­tro­gra­fia” e al­tre pal­lo­sità, pre­fe­rendo en­fa­tiz­zare il mo­mento della sua lunga espe­rienza e fa­mi­lia­rità con l’opera di Manzoni.

1.3/ Romanzo lariano.

Sulla me­de­sima li­nea nar­ra­tiva la Pro­fes­so­ressa si era man­te­nuta in una in­ter­vi­sta ri­la­sciata a “La pro­vin­cia di Lecco”, ap­parsa lo stesso 5 maggio:

«Una fe­lice in­tui­zione della do­cente Paola Ita­lia — «Ma quella è la scrit­tura di Man­zoni», mi sono detta. […]
Paola Ita­lia ri­corda bene l’estate del 2019, quando co­stretta a ri­tor­nare a Lecco per una pa­gina man­cante tra le co­pie di­gi­tali del ma­no­scritto, ha sco­perto qual­cosa che non si at­ten­deva di tro­vare. Avevo la­vo­rato per sei anni sulle ri­scrit­ture di Man­zoni, ci pas­savo in­tere gior­nate e la sua gra­fia la co­no­sco me­glio della mia. Per noi fi­lo­logi è come ri­tro­vare un volto noto.»

An­che in que­sto caso, quindi, Paola Ita­lia aveva pre­fe­rito igno­rare i grigi la­bo­ra­tori e le fredde mac­chine ri­cor­dando in­vece l’emozione di tro­vare, pro­prio lì a Lecco, nella casa di Man­zoni, una pa­gina del ma­no­scritto che le man­cava e — pro­prio in quella pa­gina — di avere im­me­dia­ta­mente ri­co­no­sciuto la gra­fia del grande ro­man­ziere; quasi come se Don Li­san­der la stesse a guar­dare da qual­che parte dei cieli e la avesse gui­data pa­ter­na­mente alla sco­perta di una sua an­cora ine­dita trac­cia terrena.

Una nar­ra­zione certo toc­cante (an­che se in­quie­tante per tanti aspetti — la Prof. si è in­fatti ac­corta che alle sue co­pie del ma­no­scritto man­cava una pa­gina dopo ben 27 mesi di stu­dio) ma de­ci­sa­mente lon­tana da quel ri­chiamo pe­ren­to­rio alle tec­no­lo­gie d’avanguardia ri­cor­date a Lecco FM il 6 mag­gio, il giorno suc­ces­sivo a que­sta in­ter­vi­sta ri­la­sciata a “La pro­vin­cia di Lecco”.

D’altra parte, an­che il let­tore più at­tento, nello stu­dio pub­bli­cato da Paola Ita­lia nel no­vem­bre 2019 (“Un nuovo te­sti­mone della Let­tera sul Ro­man­ti­ci­smo” — quello con il quale è stata uf­fi­cia­liz­zata la “sco­perta” dell’autografia man­zo­niana) non rie­sce a tro­vare nep­pure una mezza pa­rola su nes­su­nis­sima tec­no­lo­gia né di “ri­pro­du­zione di­gi­tale” né di “ima­ging”, né di “spet­tro­gra­fia”.

Il pro­blema è che noi, sa­pendo che, pro­prio nell’autunno del 2019 (men­tre stu­diava il ma­no­scritto con­te­nente “Gli Sposi pro­messi” e la “Let­tera sul ro­man­ti­ci­smo”), Paola Ita­lia era im­pe­gnata an­che nello stu­dio del ma­no­scritto de “L’infinito” di Leo­pardi (e que­sto pro­prio con quelle mi­ra­bo­lanti tec­no­lo­gie di ul­tima ge­ne­ra­zione — le Uni­ver­sità di Roma, Bo­lo­gna e Na­poli ne hanno pro­mosso in­te­res­santi convegni/ se­mi­nari con la par­te­ci­pa­zione an­che della no­stra Pro­fes­so­ressa), era­vamo con­vinti che il 16 ot­to­bre a Lecco, Paola Ita­lia ci sve­lasse i ri­sul­tati delle ana­lisi di cui ci aveva par­lato il 6 mag­gio 2021.
E in­vece no! Pen­sate che delusione!

Ci siamo quindi do­vuti con­vin­cere — certo a ma­lin­cuore — che i casi erano due:

— o nell’intervista del 6 mag­gio Paola Ita­lia aveva la­vo­rato di fan­ta­sia, tra­sfe­rendo sul ma­no­scritto “Gli Sposi pro­messi” re­la­tivo a Man­zoni, quanto da lei ef­fet­ti­va­mente fatto — ma su Leo­pardi! (e quindi la Prof. ri­sul­te­rebbe per que­sta vi­cenda pur­troppo del tutto inaf­fi­da­bile, cosa che ci sem­bra fran­ca­mente nep­pure pen­sa­bile); oppure …

— op­pure il «Ma­no­scritto Lecco 170» è stato ef­fet­ti­va­mente ana­liz­zato con le nuove tec­no­lo­gie e ne sono usciti ele­menti di un certo in­te­resse — ma per una qual­che ra­gione i ri­sul­tati ven­gono te­nuti nel cas­setto.

In en­trambi i casi, ne ver­rebbe una si­tua­zione ve­ra­mente spia­ce­vole (e per la scienza e per la pub­blica fede) ma co­mun­que fa­ci­lis­si­ma­mente sa­na­bile: è suf­fi­ciente che la Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia — o i suoi so­dali in que­sta ope­ra­zione (in pri­mis ov­via­mente i re­spon­sa­bili mu­seali di Lecco e l’Assessora alla Cul­tura della città) — ren­dano pub­blici (sug­ge­riamo sul sito isti­tu­zio­nale del Co­mune di Lecco) i ri­sul­tati delle ana­lisi che la Prof. af­ferma di avere svolto sul «Ma­no­scritto Lecco 170» «con l’ausilio di tec­ni­che di ri­pro­du­zione di­gi­tale, ima­ging, di spettrografia.»

Dal mo­mento che le ana­lisi con ap­pa­rec­chia­ture so­fi­sti­cate non ven­gono con­dotte di na­sco­sto nei sot­to­scala ma sono il mo­mento chiave di una ar­ti­co­lata tra­fila, co­sti­tuita prima di tutto dalle de­ci­sioni delle com­pe­tenti au­to­rità lec­chesi, di­scusse e prese uf­fi­cial­mente; poi dai per­messi ac­cor­dati dalla So­prin­ten­denza; poi dai que­siti for­mu­lati dalla Pro­fes­so­ressa Ita­lia ai re­spon­sa­bili delle in­da­gini; poi da una bella re­la­zione tec­nico-scien­ti­fica for­mu­lata dall’organismo com­pe­tente — il tutto ac­com­pa­gnato da una non pic­cola rac­colta di do­cu­menti for­mali, pro­to­colli, ecc. ecc. …
… dato tutto ciò, se le ana­lisi sono state ese­guite, la do­cu­men­ta­zione di certo non manca e per­ché non possa sor­gere il più pic­colo dub­bio sulla ve­ri­di­cità di quanto viene pro­po­sto al pub­blico (che è il vero pro­prie­ta­rio del «Ma­no­scritto Lecco 170») ba­sta mostrarla.

Per il mo­mento, in fi­du­ciosa at­tesa, noi ri­ma­niamo a ciò che è oggi pub­bli­ca­mente noto.
Os­sia che su quel do­cu­mento, pre­sen­tato il 5 mag­gio 2021 come ar­chi­trave di una “ri­vo­lu­zione” nella cri­tica man­zo­niana, non si è an­cora mosso un dito per ana­liz­zarne penne, gra­fie, can­cel­la­ture, carta, in­chio­stri, me­todi di con­fe­zione e le­ga­to­ria — il pre­li­mi­nare abc in caso di do­cu­menti di dub­bia provenienza.

E che, per as­se­gnare a Man­zoni la au­to­gra­fia di quella fra­setta di sei ano­dine pa­ro­lette, ci si è ba­sati non sulla spet­tro­gra­fia ma sull’occhio delle pro­fes­so­resse (ve­dremo più sotto, non par­ti­co­lar­mente acuto).

Tor­nando alla con­fe­renza di Lecco del 16 ot­to­bre 2021, sul fronte dell’intrattenimento lu­dico, ha in­vece prov­ve­duto l’ex Di­ret­tore del Mu­seo Man­zo­niano, il Dot­tor Gian­luigi Daccò che nel 1989 aveva pro­po­sto l’acquisto del ma­no­scritto in que­stione da parte del Co­mune di Lecco.

Pre­sen­tato da Ros­setto come suo in­di­men­ti­ca­bile Mae­stro, a ini­zio con­fe­renza l’ex Di­ret­tore, smen­tendo il suo al­lievo e sbu­giar­dando ca­val­le­re­sca­mente la Pro­fes­so­ressa se­duta pro­prio di fronte a lui, ha ri­ven­di­cato a sé l’avere per primo at­tri­buito a Man­zoni l’autografia di quella fa­mosa fra­setta; e que­sto già nel lon­tano 1988 (Ndr: quando Paola Ita­lia era an­cora lon­tana an­che dalla laurea).

Dalla tra­scri­zione fe­dele dell’intervento da noi re­gi­strato il 16/10/21:

«Una grossa li­bre­ria [di Mi­lano, ndr] che anni prima ci aveva for­nito il ma­no­scritto della au­to­bio­gra­fia di Bo­vara (di cui avevo ri­co­no­sciuto im­me­dia­ta­mente la gra­fia per­ché stavo la­vo­rando su sue carte in quel pe­riodo), nel 1988 — stiamo par­lando di 33 anni fa — mi aveva fatto pre­sente di avere a di­spo­si­zione il ma­no­scritto di tema man­zo­niano di cui par­liamo oggi.

C’erano note di due fa­mosi col­le­zio­ni­sti e stu­diosi man­zo­niani, cioè Bul­fe­retti e Pa­tetta; quindi era già ab­ba­stanza evi­dente che ci tro­va­vamo di fronte a qual­cosa di significativo.
.
Ma c’era poi evi­den­tis­sima una cor­re­zione, ap­por­tata nella se­conda parte del ma­no­scritto di­ret­ta­mente da Man­zoni: an­che la gra­fia di Man­zoni è ab­ba­stanza inconfondibile.
.

Con­sul­tato il Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani, con cui col­la­bo­ra­vamo, mi è sem­brato molto in­te­res­sante pro­porre l’acquisto di que­sto ma­no­scritto, di cui però non avevo as­so­lu­ta­mente ca­pito l’importanza.
Sem­pli­ce­mente a noi an­dava bene da un punto di vi­sta di­dat­tico-espo­si­tivo per­ché pro­vava una cosa: pro­vava che nel 1824, in al­cuni am­biti mi­la­nesi, del ro­manzo di Man­zoni cir­co­la­vano forme rias­sun­tive della prima re­da­zione, quella del Fermo e Lu­cia (i per­so­naggi vi com­pa­ri­vano con i me­de­simi nomi).
.

L’acquisizione è av­ve­nuta quindi in que­sto modo.
L’importanza del ma­no­scritto è emersa in­vece da­gli studi della Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia e la cosa mi ha reso par­ti­co­lar­mente fe­lice: mi aspet­tavo che fosse una cosa im­por­tante ma cer­ta­mente non di que­sto livello.»

La di­chia­ra­zione di Daccò è stata ac­colta con il do­vuto ri­spetto all’ex ruolo e all’età — ma an­che con stu­pore e me­ra­vi­glia.
Con le sue pa­role il Dot­tor Daccò ha in­fatti detto chiaro e tondo che la co­mu­nità scien­ti­fica, il pub­blico tutto e gli or­gani di in­for­ma­zione sono stati vit­time di quella che, stando alle sue pa­role, dob­biamo ri­te­nere una vera e pro­pria burla ideo­lo­gica (chia­mia­mola così!) con­dotta, at­tra­verso mol­te­plici qua­dri co­mu­ni­ca­tivi, dalle Pro­fes­so­resse Ita­lia e Ra­boni, cui avreb­bero te­nuto il sacco pa­rec­chie Isti­tu­zioni e fun­zio­nari pub­blici, tra cui il Dot­tor Ros­setto e l’Assessora alla Cul­tura Piazza.

E si sa che il Dot­tor Daccò — come il Bruto di Sha­ke­speare — è un uomo d’onore e, quindi, di quanto egli dice ci si può ve­ra­mente fidare.

Del re­sto, a que­sta mi­ra­bile ri­ve­la­zione dell’ex-Direttore, i suoi due co-re­la­tori, la Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia e il Dot­tor Ros­setto, da lui im­pli­ci­ta­mente in­di­cati come col­pe­vol­mente di­men­ti­chi di un per lui ben noto dato sto­rico, non hanno mosso un pelo, dando così ta­ci­ta­mente avallo a que­sto chia­ri­mento (Ros­setto si fis­sava la punta delle scarpe; la Pro­fes­so­ressa Ita­lia aveva quel sor­riso a mezz’asta che le donne sen­si­bili sfo­de­rano quando si sen­tono im­ba­raz­zate per le scioc­chezze che sono even­tual­mente co­strette a sentire).

D’altra parte, se il Dot­tor Daccò/ uomo d’onore avesse in que­sta oc­ca­sione stra­par­lato, i due stu­diosi lo avreb­bero certo au­to­re­vol­mente smen­tito — va là Gian­luigi, ca­scia no di bal!

Non lo hanno fatto, forse per sog­ge­zione (per Ros­setto, Daccò è un su­per Mae­stro; per Paola Ita­lia, in quanto mu­seo­logo na­tu­ra­liz­zato lec­chese, una ca­te­go­ria pro­tetta a li­vello nazionale).
Forse di­ranno qual­cosa in al­tro mo­mento. Non sap­piamo. Vedremo.

1.4/ Per la verità ci sarebbe una qualche cosina da considerare …

Dopo es­sere stato ac­qui­stato nel 1989, il ma­no­scritto di cui par­liamo è in­fatti ri­ma­sto nei cas­setti del Mu­seo per al­meno due de­cenni e ci sem­bra che nes­suno — tanto meno il suo Di­ret­tore di al­lora, Gian­luigi Daccò — ne ab­bia mai par­lato in al­cuna oc­ca­sione (ac­cet­tiamo vo­len­tieri even­tuali smen­tite — do­cu­men­tate grazie!).

È certo che nell’opuscolo a stampa di pre­sen­ta­zione del Mu­seo, edito nel 2008 pro­prio con la firma del me­de­simo Gian­luigi Daccò, non se ne fa al­cuna men­zione.

Ma, a un certo punto, il ma­no­scritto di cui ci oc­cu­piamo è stato espo­sto al pub­blico in una ab­ba­stanza squal­lida stan­zetta del Mu­seo, in­sieme a pub­bli­ca­zioni a stampa del ro­manzo di Manzoni.
Quando?
Ce lo po­trà dire — se lo vorrà — l’uomo d’onore stesso o il suo ri­co­no­scen­tis­simo al­lievo Ros­setto ma, in at­tesa, noi ipo­tiz­ziamo dopo il 2012.

Gli Sposi promessi”
Giuseppe Lesca
Edizioni Perrella
Napoli, 1916.

Nel corso della con­fe­renza di Lecco del 16 ot­to­bre 2021 la Pro­fes­so­ressa Ita­lia ha ri­pe­tuto un er­rore di da­ta­zione in cui era in­corsa già nel 2018, nel suo stu­dio de­di­cato al ma­no­scritto in que­stione “Sto­ria mi­la­nese epi­lo­gata nel 1824”, p. 144:
«Se si ag­giunge poi che la ver­sione in­te­grale del Fermo e Lu­cia (con ti­tolo Gli sposi pro­messi) viene resa nota solo a par­tire dall’edizione Le­sca del 1921».

Evi­den­te­mente nes­suno dei suoi col­le­ghi le ha fatto pre­sente que­sto svarione.
Giu­seppe Le­sca pub­blicò la prima edi­zione cri­tica della “prima mi­nuta” nel 1916, aven­done da­tato la Pre­sen­ta­zione al 1915.

In quell’anno venne in­fatti pub­bli­cato, a cura di Bar­bara Colli e Giu­lia Ra­boni, l’edizione cri­tica «Gli Sposi Pro­messi — Se­conda mi­nuta (1823-1827)» in cui viene pre­sen­tato il nuovo te­sto di Man­zoni prima che egli giun­gesse alla de­fi­ni­tiva ver­sione, pub­bli­cata nel 1827 con il ti­tolo “I Pro­messi Sposi”.
Non è im­pro­ba­bile che, in quel 2012, l’ex Di­ret­tore si sia sen­tito sti­mo­lato da quel ti­tolo “Gli Sposi pro­messi”, usato per la “prima mi­nuta” da Le­sca nel 1916 (1916, Pro­fes­so­ressa Ita­lia) e rie­su­mato dopo quasi un se­colo da Colli e Ra­boni ma per ciò che esse hanno chia­mato “se­conda minuta”.

Co­mun­que sia, il vo­lu­metto era espo­sto, senza al­cuna evi­den­zia­zione, al Mu­seo Man­zo­niano di Lecco il 1 di­cem­bre del 2016, quando ven­nero da noi scat­tate le foto po­ste ap­pena qui sopra.

A parte la po­si­zione de­ci­sa­mente in­fe­lice data al ma­no­scritto nella ba­checa (ri­sul­tava quasi im­pos­si­bile leg­gere al­cun­ché delle due pa­gine in vi­sta), può es­sere istrut­tivo (pen­sando an­che agli uo­mini d’onore) con­si­de­rare l’etichetta con cui il ma­no­scritto stesso ve­niva presentato:

«Ales­san­dro Man­zoni / Gli Sposi Pro­messi / Rias­sunto ma­no­scritto della se­conda ste­sura del ro­manzo, dopo il “Fermo e Lu­cia”, che cir­co­lava a Mi­lano nel 1824, tre anni prima della pub­bli­ca­zione dei “Pro­messi Sposi”».

Cu­rioso vero?

Nel 2016, al Mu­seo Man­zo­niano di Lecco, il ma­no­scritto ve­niva pre­sen­tato — con tanto di eti­chetta — come un rias­sunto «della “SECONDA ste­sura del ro­manzo, dopo il Fermo e Lu­cia”».

Cioè pro­prio il con­tra­rio di quanto, da qual­che tempo, viene so­ste­nuto da Paola Ita­lia, dal Mu­seo Man­zo­niano di Lecco e, dal 16 ot­to­bre 2021, dallo stesso Gian­luigi Daccò, esten­sore di quella eti­chetta, oggi an­che da lui contraddetta.
Straordinario!
Evi­den­te­mente, al­lora — ma te­miamo an­che oggi — né il Di­ret­tore del Mu­seo Gian­luigi Daccò, né il suo ri­co­no­scente al­lievo Mauro Ros­setto ave­vano con­fron­tato le 40 pa­gi­nette dell’Epilogo del “Ma­no­scritto Lecco 170” con la Prima e la Se­conda e le de­fi­ni­tive ste­sure del ro­manzo di Manzoni.

Ab­biamo l’impressione che a que­sto punto il let­tore sia piut­to­sto scon­for­tato: ma al­lora tutti que­sti man­zo­nian-man­zo­ni­sti par­lano a van­vera; rac­con­tano balle, si con­trad­di­cono l’uno con l’altro e con­trad­di­cono se stessi con la fa­ci­lità con cui respirano!
Ma di chi ci si può fi­dare? Ma al­lora, que­sto ma­no­scritto che cosa è veramente?

Com­pren­diamo e con­di­vi­diamo lo sconforto.
­Come al­meno par­ziale ri­me­dio, al let­tore sug­ge­riamo di con­ti­nuare a leg­gere la Nota che se­gue per avere non l’ennesima ri­ve­la­zione di­vina ma quanto meno un qua­dro esau­stivo della cosa, in modo da farsi una pro­pria idea.

Caro Let­tore, sta per fi­nire la ri­crea­zione … ma ab­biamo an­cora un paio di chicche.

1.5/ Su “Prima Minuta” e “Promessi Sposi” marasma manzonista del Comune e del Sistema Museale di Lecco.

Come già an­ti­ci­pato, il 5 mag­gio 2021, fa­cendo ri­fe­ri­mento ai 200 anni dalla ste­sura delle sue prime ri­ghe ma­no­scritte, da Pic­colo Tea­tro di Mi­lano, In­tesa San­paolo, Co­mune di Lecco, è stata data no­ti­zia che la “Prima Mi­nuta” del ro­manzo di Ales­san­dro Man­zoni sa­rebbe stata letta per la prima volta su In­ter­net — “in­te­gral­mente” e “con l’aggiunta della Sto­ria della Co­lonna In­fame” — in 37 pun­tate (5 mag­gio-30 giu­gno 2021) con il nuo­vis­simo ti­tolo “Gli Sposi pro­messi”, of­fi­cianti le Pro­fes­so­resse Paola Ita­lia e Giu­lia Raboni.

Con­di­vi­de­vano (e con­di­vi­dono) il pro­getto delle due Prof. gli “amici e col­le­ghi” del Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani (Ma­rio Ba­ren­ghi, Ma­ria De Las Nue­ves Muñiz Muñiz, Do­na­tella Mar­ti­nelli, Sil­vano Ni­gro, Mauro No­velli, An­gelo Stella).
Sono però ov­via­mente della par­tita an­che i Pro­fes­sori di va­rie Uni­ver­sità che hanno in­tro­dotto la let­tura sul Web di ogni sin­golo ca­pi­tolo della “Prima Mi­nuta”: Si­mone Al­bo­nico (Univ. de Lau­sanne) e Sil­via De Laude (Univ. di Gi­ne­vra); Mau­ri­zio Fer­ra­ris (Univ. di To­rino); Sil­via Con­ta­rini (Univ. di Udine); Mauro No­velli e Giu­seppe Po­li­meni (Univ. di Mi­lano); Pie­ran­to­nio Frare (Univ. Cat­to­lica di Mi­lano); Giu­seppe An­to­nelli, Ma­ria­rosa Bric­chi e Gior­gio Pa­nizza (Univ. di Pa­via); Mar­ghe­rita Cen­te­nari e Car­mela Mar­ran­chino (Univ. di Parma); Fran­ce­sco Sber­lati (Univ. di Bo­lo­gna); Da­niela Brogi (Univ. di Siena).

All’iniziativa hanno dato il loro en­tu­sia­stico Pa­tro­ci­nio il Co­mune e il Mu­seo Man­zo­niano di Lecco.

In que­sto qua­dro, con cui si può es­sere più o meno d’accordo (noi non lo siamo per nulla) ma che al­meno è ab­ba­stanza chiaro, si col­loca lo sba­lor­di­tivo Co­mu­ni­cato del 5 mag­gio 2021, a firma “Co­mune di Lecco” e “Si­stema Ur­bano Mu­seale Lec­chese“ (qui leggi l’integrale).

Co­de­ste strut­ture isti­tu­zio­nali lec­chesi, che do­vreb­bero es­sere i più ge­losi cu­stodi della me­mo­ria di Man­zoni, a pro­po­sito della let­tura su In­ter­net della “Prima Mi­nuta” di Man­zoni hanno così scritto (evi­den­zia­zioni nostre):

«Il 24 aprile 1821 Ales­san­dro Man­zoni dava ini­zio alla prima ste­sura di quello che sa­rebbe di­ven­tato il suo ca­po­la­voro: “I pro­messi sposi”.
200 anni dopo, in que­sta ri­cor­renza, il Pic­colo Tea­tro di Mi­lano inau­gura un ci­clo di in­con­tri on­line che com­pren­derà la let­tura in­te­grale, sud­di­visa in di­versi po­d­cast, del te­sto del ro­manzo nell’edizione del 1827.»

Il 7 mag­gio que­sto ge­niale brano è stato ri­pro­po­sto pari pari an­che nel set­ti­ma­nale news del Sin­daco Gattinoni.

For­mi­da­bile: a par­tire dal 5 mag­gio 2021, an­che con il Pa­tro­ci­nio del Co­mune di Lecco, è stata or­che­strata una mo­bi­li­ta­zione na­zio­nale tutta in­cen­trata sulla let­tura in­te­grale su In­ter­net della “Prima Mi­nuta”, no­to­ria­mente stesa (e mai resa nota) da Man­zoni nel 1821-23 e…
… e il Co­mune di Lecco con­fonde que­sta “Prima Mi­nuta” con “I Pro­messi Sposi”, pub­bli­cati da Man­zoni nel 1827!

Che il Sin­daco Gat­ti­noni non vo­glia per­dere tempo su Man­zoni non stu­pi­sce più di tanto.
Ma che il Di­ret­tore del Mu­seo Man­zo­niano e l’Assessore alla Cul­tura della “Lecco, città dei Pro­messi Sposi”, non siano an­cora riu­sciti a co­gliere la dif­fe­renza tra la “Prima Mi­nuta” del ro­manzo (stesa da Man­zoni nel 1821-23) e il suo te­sto de­fi­ni­tivo del 1827 è cosa ve­ra­mente mirabile.

Si com­prende come in que­sto clima di beata in­com­pe­tenza, pos­sano con­ti­nuare a tro­vare im­pu­ne­mente spa­zio pub­blico le balle dei già ri­cor­dati uo­mini più o meno d’onore e le “sco­perte” dell’accademia.

1.6 / L’Assessorato alla Fantasia.

A com­ple­ta­mento di que­sta se­zione, stesa an­che all’insegna del sor­riso, non pos­siamo non ci­tare il con­tri­buto dell’Assessora Piazza, pre­sen­tato nel già ci­tato co­mu­ni­cato 5-05-2021 con un ti­tolo ve­ra­mente cu­rioso (evi­den­zia­zioni nostre):

«Il com­mento dell’assessore [sic! ndr] alla Cul­tura del Co­mune di Lecco Si­mone [sic! ndr] Piazza»
.
«Il Mu­seo Man­zo­niano di Lecco, rial­le­stito nell’ottobre 2019 con un im­pianto for­te­mente in­no­va­tivo, non solo ha col­la­bo­rato con la Prof.ssa Paola Ita­lia e l’Università di Bo­lo­gna per con­sen­tirne lo stu­dio, ma ne ha evi­den­ziato l’importanza all’interno del nuovo al­le­sti­mento ar­ric­chendo la sala 8 in cui il pre­zioso re­perto è espo­sto an­che di un’installazione mul­ti­me­diale. Que­sto an­che se in quel mo­mento non si erano an­cora con­cluse le ri­cer­che che hanno suc­ces­si­va­mente por­tato alla sco­perta dell’inedita nota au­to­grafa di Ales­san­dro Manzoni.»

L’Assessora, cioè, af­ferma im­pa­vi­da­mente che la da lei detta “in­stal­la­zione mul­ti­me­diale” è stata pen­sata in fun­zione e a va­lo­riz­za­zione del «Ma­no­scritto Lecco 170», “sco­perto” dalla Pro­fes­so­ressa Paola Italia.
Che bello!
Pec­cato non sia vero nulla: è tutta fantasia!

Il corto pro­iet­tato nella “in­stal­la­zione mul­ti­me­diale” (si tratta di un ba­na­lis­simo pro­iet­tore) è in­fatti «l’opera di vi­deo­map­ping di Igor Im­hoff, nella sala 8 de­di­cata alla Sto­ria della Co­lonna In­fame», così come in­di­cato nel Co­mu­ni­cato del Co­mune del 15 lu­glio 2020.

E in ef­fetti, al con­tra­rio di quanto vuole dare a in­ten­dere l’Assessora Piazza, il fil­mato di Im­hoff non fa nes­su­nis­simo ri­fe­ri­mento al ma­no­scritto “Gli Sposi pro­messi” (nel quale, per al­tro, la vi­cenda di Mora e Piazza è solo ac­cen­nata) ma esclu­si­va­mente al tema del pro­cesso della “Co­lonna Infame”.

Quousque tandem Simone?

Fi­nita la ri­crea­zione, pos­siamo ora pas­sare alle cose se­rie (si fa per dire) il­lu­strando il di­sa­stro della “di­plo­ma­tica” del «Ma­no­scritto Lecco 170», of­fer­toci dalla Pro­fes­so­ressa Paola Italia.

2. Una “diplomatica” da dimenticare.

Prima di en­trare nel me­rito, una pic­cola di­gres­sione su Fe­de­rico Pa­tetta e Do­me­nico Bul­fe­retti, i due stu­diosi di cui il «Ma­no­scritto Lecco 170», prima di es­sere ac­qui­sito dal Co­mune di Lecco, fu di pro­prietà, o co­mun­que da cui fu com­pul­sato e annotato.
Due in­tel­let­tuali che, di­versi quanto a for­ma­zione e orien­ta­mento esi­sten­ziale, eb­bero in co­mune la pas­sione e la com­pe­tenza nella ri­cerca sto­rica e ar­chi­vi­stica non­ché nella ana­lisi fi­lo­lo­gica dei do­cu­menti re­la­tivi ai loro campi di azione culturale.

Nei due studi de­di­cati da Paola Ita­lia al «Ma­no­scritto Lecco 170» si è fatto di que­ste due fi­gure un ac­cenno solo in­ci­den­tale. Una no­ta­zione troppo ra­pida so­prat­tutto nei con­fronti di Bul­fe­retti che, ol­tre a es­sere stato im­por­tan­tis­simo per la cul­tura della Va­rese con­tem­po­ra­nea, si è di­stinto so­prat­tutto come ap­pas­sio­nato man­zo­ni­sta / manzoniano.

Ne di­ciamo quindi qual­che cosa noi, pur se solo li­mi­tan­doci a cenni sulle com­pe­tenze fi­lo­lo­gi­che dei due stu­diosi, co­min­ciando da Pa­tetta, primo per vi­cenda bio­gra­fica e primo come an­no­ta­tore del ma­no­scritto di cui ci stiamo occupando.

2.1/ Patetta, raffinato filologo, raccoglitore di manoscritti d’ogni epoca.

Fe­de­rico Pa­tetta (1867-1945), dal 1892 al 1933 or­di­na­rio di sto­ria del di­ritto ita­liano nelle uni­ver­sità di Ma­ce­rata, Siena, Mo­dena, Pisa, To­rino e Roma non­ché so­cio na­zio­nale dei Lin­cei (1928) e Ac­ca­de­mico d’Italia (1933), fu una delle fi­gure di spicco della cul­tura giu­ri­dica ita­liana nella prima metà del ’900 con nu­me­ro­sis­sime ce­le­bri pub­bli­ca­zioni e in­ter­venti sulla sto­ria del di­ritto dall’antichità ai tempi nostri.

Di lui ri­cor­diamo la rac­colta la­sciata alla Bi­blio­teca apo­sto­lica Va­ti­cana (ol­tre 30.000 pezzi con do­cu­menti me­die­vali di ogni ge­nere e co­dici mem­bra­na­cei, al­cuni dei quali te­sti­mo­nianze uni­che per il di­ritto e per la let­te­ra­tura) non­ché le 100.000 opere (mol­tis­sime rare e di gran pre­gio, da lui ac­qui­site in de­cenni di in­stan­ca­bile ri­cerca bi­blio­gra­fica) che for­ma­rono nell’immediato do­po­guerra (e forma tut­tora) la base della Bi­blio­teca a lui in­te­stata presso l’Università di Torino.

For­ma­tosi nella si­ste­ma­tica esplo­ra­zione di co­dici e ma­no­scritti delle fonti del di­ritto ro­mano, ca­no­nico e ger­ma­nico, Pa­tetta si ca­rat­te­rizzò sem­pre per la pas­sione e la com­pe­tenza nello stu­dio dei do­cu­menti ori­gi­nali an­che alle aree della crea­zione ar­ti­stica e let­te­ra­ria, per le quali pure di­mo­strò una mar­cata sen­si­bi­lità: un uma­ni­sta a tutto tondo quindi, in­ten­di­tore non solo di pandette.

Pur non aven­doci la­sciato nulla di spe­ci­fico su Man­zoni (ci sem­bra, ma sa­remmo fe­li­cis­simi di es­sere smen­titi da mi­gliori co­no­sci­tori della sua opera), Pa­tetta se ne oc­cupò con com­pe­tenza nei suoi tanti studi sui primi de­cenni dell’Ottocento ita­liano, pro­prio quelli in cui si formò il no­stro poeta-ro­man­ziere (solo a ti­tolo esem­pli­fi­ca­tivo ri­cor­diamo: “Let­tere di Mas­simo d’Azeglio a Fe­de­rigo Sclo­pis”, 1923; “La ri­vo­lu­zione pie­mon­tese del 1821 giu­di­cata da Gia­como Gio­va­netti”, 1924; “La con­giura to­ri­nese del 1814 per la ri­na­scita dell’Impero ro­mano e per l’offerta del trono a Na­po­leone”, 1937; “Pel­le­grino Rossi e Vin­cenzo Monti”, sem­pre del 1937).

Dello stu­dioso, è op­por­tuno ri­cor­dare an­che la spic­cata e nota acri­bia nella con­sul­ta­zione dei ma­no­scritti, che ci au­to­rizza a ri­te­nere del tutto at­ten­di­bile l’indice da lui re­datto sul piatto della prima di co­per­tina del «Ma­no­scritto Lecco 170» di cui di­remo più sotto — ne an­ti­ci­piamo che siamo pronti a scom­met­tere i gio­ielli di fa­mi­glia circa la pre­ci­sione di Pa­tetta nell’indicare i nu­meri di carta delle tre Se­zioni com­po­nenti il fa­sci­colo!

2.2/ Domenico Bulferetti: competente conoscitore dei manoscritti di Manzoni, portatore di una visione non conformista della sua opera.

Se per Pa­tetta si può par­lare di un in­te­resse lato per Man­zoni, nel caso di Bul­fe­retti (1884-1969) è in­vece ob­bligo l’annoverarlo tra i più in­te­res­santi e ori­gi­nali man­zo­ni­sti del se­colo scorso, non ul­timo per le sue po­si­zioni po­li­tico-ideo­lo­gi­che di cri­stiano-so­ciale che gli co­sta­rono l’emarginazione an­che pro­fes­sio­nale nel Ven­ten­nio fa­sci­sta (fu ra­diato dall’insegnamento nelle scuole pubbliche).

Mes­sosi in luce fin da ado­le­scente per l’interesse e la sen­si­bi­lità per la crea­zione let­te­ra­ria (solo come cu­rio­sità, in una ac­ca­de­mia sco­la­stica di­mo­strò di co­no­scere a me­mo­ria l’intera Di­vina Com­me­dia) e allievo di G. Pa­scoli alla Nor­male di Pisa, a Bo­lo­gna si lau­reò con ri­cer­che sul Poliziano.

Vi­cino a To­niolo e a T. Gal­la­rati Scotti, fu se­guace di Ro­molo Murri e con Guido Za­dei fu nel 1909 tra i più at­tivi za­nar­del­liani (il me­de­simo fi­lone cui tre de­cenni prima aveva guar­dato con in­te­resse l’Abate Stop­pani), in po­le­mica con il mo­vi­mento cat­to­lico uf­fi­ciale bresciano.
In­se­gnante di scuola su­pe­riore a Va­rese, con l’imprenditore e as­ses­sore Luigi Zanzi, creò il pri­vato Li­ceo Clas­sico Cai­roli, poi sta­tiz­zato nel 1935. Fu parte at­tiva della Re­si­stenza (nella foto, del 1960, è al com­pleanno di Lan­ciotto Gi­gli as­sieme ad al­tri at­tivi an­ti­fa­sci­sti del ter­ri­to­rio di Varese).

Amico per­so­nale e ideal­mente vi­cino a Be­ne­detto Croce, si de­dicò in­ten­sa­mente a Fo­scolo, a Pa­rini e, so­prat­tutto, a Manzoni.
In nu­me­rosi ar­ti­coli (molti nel 1927), mise in luce le tra­sfor­ma­zioni — non solo lin­gui­sti­che e nar­ra­tive ma so­prat­tutto eti­che — del ro­manzo di Man­zoni, dalla “Prima Mi­nuta” del 1821-23 al “I Pro­messi Sposi” nelle due edi­zioni del 1827 e del 1840.
Di que­sto pro­cesso di tra­smu­ta­zione del ro­manzo egli mi­rava a met­tere in luce la de­ci­siva in­fluenza eser­ci­tata su Man­zoni da Ro­smini già a par­tire dal 1823 (su que­sto ar­go­mento tor­ne­remo in modo dif­fuso nella già an­ti­ci­pata Nota n. 2).

Gra­zie alla li­be­ra­lità di Ma­tilde Shiff Gior­gini (ni­pote abia­tica di Man­zoni) Bul­fe­retti ebbe ac­cesso a ma­no­scritti di Man­zoni de­di­cati a ri­fles­sioni sulla lin­gua da un punto di vi­sta an­che fi­lo­so­fico; li in­te­grò con al­tri ma­no­scritti rin­ve­nuti alla Brai­dense di Mi­lano e pub­blicò il tutto nel 1924 con il ti­tolo “Sen­tir Messa”.

In Bul­fe­retti ab­biamo quindi un ap­pas­sio­nato com­pe­tente di Man­zoni con in più una buona di­me­sti­chezza con i suoi ma­no­scritti; il che deve farci guar­dare con at­ten­zione alle sue pur la­pi­da­rie note trac­ciate sul «Ma­no­scritto Lecco 170» di cui ci oc­cu­piamo, al mo­mento le uni­che conosciute.
All’Archivio Sto­rico di Stato di Va­rese, dei 240 fal­doni che con­ser­vano il suo “fondo”, ab­biamo in­fatti con­sul­tato i sette nei quali è stata de­po­si­tata una parte dell’ingente pro­du­zione di Do­me­nico Bul­fe­retti de­di­cata a Man­zoni ma senza tro­vare al­cun ri­fe­ri­mento al «Ma­no­scritto Lecco 170».
Co­gliamo l’occasione non solo per rin­gra­ziare i re­spon­sa­bili dell’Archivio per la cor­dia­lis­sima col­la­bo­ra­zione ma an­che per ri­chia­mare l’attenzione de­gli stu­diosi su que­sto for­mi­da­bile de­po­sito di ap­punti, scritti, giu­dizi di uno de­gli uo­mini più ori­gi­nali e di­na­mici del man­zo­ni­smo del se­colo pas­sato, sen­si­bi­lis­simo al le­game tra Man­zoni e An­to­nio Rosmini.

Circa even­tuali le­gami tra Fe­de­rico Pa­tetta e Do­me­nico Bul­fe­retti, Ma­rio Cian­foni (cu­ra­tore della “Nota ar­chi­vi­stica” del primo stu­dio di Paola Ita­lia, “Gli Sposi pro­messi”, 2018) così ne ha scritto (p. 151): «Il solo do­cu­mento, con­ser­vato presso la Bi­blio­teca Apo­sto­lica Va­ti­cana che te­sti­mo­nia un con­tatto tra Pa­tetta e Bul­fe­retti è uno stam­pato che il­lu­stra le con­fe­renze che quest’ultimo tenne in di­verse città ita­liane fino al 1922. È pro­ba­bile che lo sto­rico della let­te­ra­tura ab­bia in­viato que­sto do­cu­mento a Pa­tetta in se­gno di ami­ci­zia, con l’auspicio forse di ve­der pre­sente il col­lega tra gli udi­tori di fu­ture conferenze.»

Da te­nere in conto, ma un po’ pochino!
Evi­den­te­mente Cian­foni non ha fatto caso a come tra i due stu­diosi ci fosse un le­game, in­di­retto ma non per que­sto meno si­gni­fi­ca­tivo, rap­pre­sen­tato da Luigi Bul­fe­retti (1915-1992).
Que­sti, fi­glio di Do­me­nico, si lau­reò nel 1936 in giu­ri­spru­denza all’Università di To­rino con Gioele So­lari con una tesi su “Il gio­vane Ro­smini” ma fu al­lievo an­che di Fe­de­rico Pa­tetta, con il quale sta­bilì un le­game di so­lida ami­ci­zia personale.
Dopo il 1945, Luigi Bul­fe­retti, come Di­ret­tore del Mu­seo del Ri­sor­gi­mento di To­rino, si at­tivò per ga­ran­tire un am­biente adatto all’ingente pa­tri­mo­nio bi­blio­gra­fico la­sciato da Pa­tetta (ne ab­biamo già ac­cen­nato so­pra). Nel 1947 curò l’edizione po­stuma del “Corso di Sto­ria del Di­ritto”, un te­sto fon­da­men­tale nella ela­bo­ra­zione sto­rico-giu­ri­dica del mae­stro, scri­ven­done una bene in­for­mata introduzione.

Non ne ab­biamo dati do­cu­men­tali ma ri­te­niamo ve­ro­si­mile che Do­me­nico Bul­fe­retti ab­bia avuto ac­cesso al «Ma­no­scritto Lecco 170» pro­prio at­tra­verso il pro­prio fi­glio Luigi, al­lievo e amico del suo pre­ce­dente pos­ses­sore: per sa­perne di più sul do­cu­mento in que­stione po­trebbe quindi ri­sul­tare utile in­di­riz­zare le ri­cer­che an­che in quella direzione.

Detto bre­ve­mente sui due stu­diosi di ieri — che in al­cun modo mai nep­pure va­gheg­gia­rono di un qua­lun­que le­game tra Man­zoni e il «Ma­no­scritto Lecco 170» — ve­niamo a quelli di oggi che in­vece sem­bra ne ab­biano fatto un ar­ti­colo di fede.

2.3/ La “diplomatica” di Paola Italia: un interessante caso di studio — ma al negativo.

La “di­plo­ma­tica” pro­po­sta da Paola Ita­lia / Uni­ver­sità di Bo­lo­gna / Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani / Co­mune e Mu­seo Man­zo­niano di Lecco me­ri­te­rebbe di es­sere por­tata a esem­pio di come NON si debba pro­ce­dere in que­ste operazioni.
Pur­troppo, il do­cu­mento, pro­po­sto dalla Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia e so­dali come base per una “ri­vo­lu­zione” nella cri­tica man­zo­niana, si pre­senta in­fatti come un raro cu­mulo di ce­cità cri­tica e di in­ca­pa­cità tra­scrit­to­ria.

Su quanto stiamo di­scu­tendo, Paola Ita­lia ha pub­bli­cato due studi.

Il primo (feb­braio 2018), è ti­to­lato «Gli Sposi pro­messi — Sto­ria mi­la­nese epi­lo­gata nel 1824»; 32 pa­gine; a cura di Paola Ita­lia / Uni­ver­sità di Bo­lo­gna; con “Note” (“ar­chi­vi­stica” e “all’Appendice”) di Mauro Cian­foni non­ché con “Pre­sen­ta­zione” di Mauro Ros­setto per il Si­stema Mu­seale Ur­bano Lec­chese; pub­bli­cato su «An­nali Man­zo­niani» (terza se­rie, n. 1, 2018, vedi qui il pdf, di pub­blico dominio).

Il se­condo, pub­bli­cato il 2 di­cem­bre 2019, è ti­to­lato «Un nuovo te­sti­mone della Let­tera sul Ro­man­ti­ci­smo»; 28 pa­gine; è della sola Paola Ita­lia / Uni­ver­sità di Bo­lo­gna; pub­bli­cato su «An­nali Man­zo­niani» (terza se­rie, n. 2, 2019, vedi qui il pdf, di pub­blico dominio).

Nelle due pub­bli­ca­zioni il con­tri­buto di Paola Ita­lia si è espresso sia con la “tra­scri­zione di­plo­ma­tica” dell’intero ma­no­scritto sia con un com­mento cri­tico a ca­rat­tere sto­rico-fi­lo­lo­gico, re­la­tivo so­prat­tutto alle Se­zioni n. 1 e n. 3 (“Epi­logo Gli Sposi pro­messi” / “Let­tera sul Romanticismo”).

Gli Sposi pro­messi — Sto­ria mi­la­nese epi­lo­gata nel 1824”.

Un nuovo te­sti­mone della Let­tera sul Romanticismo”.

2.4/ La “trascrizione diplomatica” come specchio di un documento.

Giu­sto per muo­verci con ri­fe­ri­menti con­di­visi, ri­cor­diamo che per “di­plo­ma­tica” si in­tende la de­scri­zione, di­ciamo così, “fo­to­gra­fica” di un ma­no­scritto, ma at­tuata at­tra­verso la scrittura.
Leg­gendo la “di­plo­ma­tica” di un dato do­cu­mento, chiun­que do­vrebbe cioè po­tere im­ma­gi­nar­selo per come è, an­che senza ve­derlo nella sua materialità.
Nella realtà, data la ov­via im­pos­si­bi­lità di darne una de­scri­zione per­fetta at­tra­verso la pa­rola scritta, la “di­plo­ma­tica” può ri­sul­tare ve­ra­mente utile quando è ac­com­pa­gnata dalla fo­to­gra­fia dell’oggetto stesso.

At­ten­zione! La “di­plo­ma­tica” di un do­cu­mento non ha nulla a che ve­dere con la ve­ste edi­to­riale che di volta in volta può es­sere de­cisa per un dato do­cu­mento, in fun­zione del pub­blico e dell’occasione.

Pur­troppo, in con­tro­ten­denza con le li­nee di con­sul­ta­bi­lità li­bera e im­me­diata dei ma­no­scritti di Man­zoni (già fe­li­ce­mente adot­tate dalla Bi­blio­teca Brai­dense di Mi­lano e da al­tre Isti­tu­zioni — una chiara com­pren­sione del ruolo con­ser­va­tore ma non pro­prie­ta­rio del pa­tri­mo­nio col­let­tivo), il Mu­seo Man­zo­niano di Lecco non mette in li­nea le im­ma­gini dei pur po­chi ma­no­scritti af­fi­dati dalla col­let­ti­vità alla sua cu­sto­dia.

Ciò rende im­pos­si­bile al pub­blico ve­ri­fi­care se e quanto le in­for­ma­zioni che gli ven­gono date sui me­de­simi do­cu­menti siano at­ten­di­bili — siamo con­vinti che se il «Ma­no­scritto Lecco 170» fosse li­be­ra­mente di­spo­ni­bile, gli ac­ca­de­mici che se ne sono oc­cu­pati sa­reb­bero stati meno su­per­fi­ciali nel loro operato.

Di que­sto «Ma­no­scritto Lecco 170», con cui ci si pro­pone di ri­vo­lu­zio­nare una im­por­tante pa­gina della cri­tica man­zo­niana, ab­biamo quindi solo la tra­scri­zione “di­plo­ma­tica” da­taci dalla Pro­fes­so­ressa Paola Italia.
Il let­tore com­pren­derà per­ché ab­biamo ri­te­nuto op­por­tuno con­si­de­rarla con attenzione.

Ecco quanto scrive Paola Ita­lia a pro­po­sito della tra­scri­zione da lei cu­rata per il «Ma­no­scritto Lecco 170» (An­nali Man­zo­niani, 2018, p. 126, evi­den­zia­zione nostra):

«Le­genda: nella tra­scri­zione di­plo­ma­tica del te­sto ven­gono uti­liz­zati i se­guenti sim­boli | (cam­bio carta); <…> pa­rola il­leg­gi­bile; il te­sto sot­to­li­neato è reso in cor­sivo; sono state con­ser­vate pe­cu­lia­rità di gra­fia e pun­teg­gia­tura, a loro luogo se­gna­late; le penne in­di­vi­duate nel te­sto: “a” (ste­sura base), “b” (prima se­rie di cor­re­zioni), “c” (se­conda se­rie di cor­re­zioni), sono volta a volta in­di­cate in ap­pa­rato e di­scusse nella Nota al testo.»

La Pro­fes­so­ressa ci ha così cor­ret­ta­mente in­for­mato di avere vo­luto tra­smet­terci an­che i più mi­nuti ele­menti della gra­fia e pun­teg­gia­tura dell’originale, quali i punti, le vir­gole, gli apo­strofi, ecc.

Prima di en­trare nel me­rito di “come” tale buon pro­po­ni­mento sia stato poi ef­fet­ti­va­mente man­te­nuto, è op­por­tuno se­gna­lare che la Pro­fes­so­ressa Ita­lia ha in­vece pres­so­ché igno­rato ele­menti di grande importanza.

3. Cinque incredibili casi di “cecità” critica.

Sono da se­gna­lare una se­rie di “det­ta­gli” igno­rati dalla Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia, come se la stessa e i suoi so­dali in tutta l’operazione fos­sero ca­duti preda di una col­let­tiva “ce­cità”.

Il più evi­dente di que­sti pone una ov­via ipo­teca sulla na­tura stessa del «Ma­no­scritto Lecco 170». 

3.1/ “Dettaglio ignorato” n. 1.
La numerazione di Patetta non corrisponde a quella del manoscritto.

Dopo es­sere stato com­pul­sato, prima da Fe­de­rico Pa­tetta (scom­parso nel 1945), e poi da Do­me­nico Bul­fe­retti (scom­parso nel 1969), il li­bretto ma­no­scritto è stato quasi cer­ta­mente ma­ni­po­lato in un qual­che mo­mento dei due de­cenni che ne hanno pre­ce­duto l’acquisizione da parte del Co­mune di Lecco nel 1988.

Ve­diamo perché.

A pro­po­sito della nu­me­ra­zione delle carte del do­cu­mento, Paola Ita­lia ha scritto (An­nali, 2018, p. 141):

«La nu­me­ra­zione qui uti­liz­zata se­gue la car­tu­la­zione mo­derna; il do­cu­mento viene nu­me­rato a la­pis da p. 1 a 58 in alto a dx.».

Rei­te­rando un suo si­ste­ma­tico er­rore, Paola Ita­lia ha in­di­cato con “p.” (come “pa­gina”) ciò che deve in­vece es­sere in­di­cato con “c.” (come carta): in­fatti la nu­me­ra­zione del «Ma­no­scritto Lecco 170» è alle “carte” che com­pon­gono il ma­no­scritto e non alle “pa­gine”.
Ma que­sto è il meno.

Paola Ita­lia non ci ha in­fatti se­gna­lato due ele­menti fon­da­men­tali re­la­tivi alla nu­me­ra­zione del manoscritto.

Leg­giamo sem­pre dalla “di­plo­ma­tica” della Prof. Paola Ita­lia (idem, p. 141):

«Di mano del Pa­tetta si legge l’indice del fa­sci­colo, qui sotto trascritto:

I°. Gli sposi pro­messi. c. 1.

An­no­ta­zione e ar­ti­colo tra­scritto dalla Gazz. Uf­fi­ciale di Mi­lano, n°. 112 del 1833. c. 19.

II°.Sopra di [sic, ndr] di­versi si­stemi di poe­sia. Let­tera di A. Man­zoni al march. Ce­sare d’Azeglio [ecc.]. c. 23.»

A parte la dop­pietta di er­rori di tra­scri­zione al punto IIº (fanno parte della larga fa­mi­glia dei 203 er­rori che ab­bel­li­scono que­sta “di­plo­ma­tica” — più sotto li elen­chiamo con la do­vuta com­ple­tezza), Paola Ita­lia ci rac­conta che Pa­tetta ha re­datto di suo pu­gno un in­dice dei con­te­nuti del «Ma­no­scritto Lecco 170», in­di­cando il nu­mero di carta di ini­zio di ognuna delle sue tre parti, così come segue:

— Sposi pro­messi, carta 1
— Gaz­zetta uf­fi­ciale, carta 19
— Let­tera ro­man­ti­ci­smo, carta 23.

Per­fetto: così è scritto nelle note di Patetta.
Pec­cato che c’entri poco con la di­spo­si­zione delle tre parti come la pos­siamo ve­dere noi oggi!

In­fatti, nel «Ma­no­scritto Lecco 170» ab­biamo una realtà diversa:
— è vero che gli “Sposi pro­messi” co­min­ciano alla carta 1r;

ma è al­tret­tanto vero che
— la “Gaz­zetta uf­fi­ciale” co­min­cia alla carta 21r, an­zi­ché 19, come in­di­cato da Patetta;
e che
— la “Let­tera sul ro­man­ti­ci­smo” co­min­cia alla carta 25r, an­zi­ché 23.

Os­sia, ab­biamo uno sfa­sa­mento di ben due carte (quat­tro pa­gine ma­no­scritte) tra quanto era sotto gli oc­chi di Pa­tetta e quello che ve­diamo noi oggi.

Quindi…
quindi i casi sono due:
— o Pa­tetta era preda di so­stanze psi­coat­tive men­tre re­di­geva quell’indice …

op­pure …
op­pure, dopo le sue no­ta­zioni qual­cuno ha messo le mani sul ma­no­scritto, fa­cen­done al­tra cosa da quanto con­sul­tato e an­no­tato dallo scru­po­loso stu­dioso.

E in­fatti …

3.2/ “Dettaglio ignorato” n. 2.
La numerazione delle carte del manoscritto è stata modificata.

Paola Ita­lia ci ha detto che le 58 carte (116 pa­gine) che for­mano il «Ma­no­scritto Lecco 170» sono nu­me­rate da 1 a 58.

Non ci ha però detto che, al­meno a par­tire dalla carta 6r, il nu­mero [6] è stato so­vra­scritto a un nu­mero pre­e­si­stente: sotto il [6] si legge in­fatti ab­ba­stanza di­stin­ta­mente il [5] di una pre­ce­dente nu­me­ra­zione; la cosa è pla­teale alla at­tuale carta 12 dove la se­conda ci­fra della pre­ce­dente nu­me­ra­zione [11] non è stata nep­pure som­ma­ria­mente cancellata.

Il cam­bio di nu­me­ra­zione a una unità suc­ces­siva, pro­cede si­cu­ra­mente fino alla at­tuale carta 25r (ini­zio della “Let­tera sul ro­man­ti­ci­smo”) nella quale è in­vece chia­ra­mente vi­si­bile la so­sti­tu­zione di un pre­ce­dente [23], quindi con un in­cre­mento di due unità (è pro­ba­bile — ma le tracce sono troppo de­bol­mente vi­si­bili nelle fo­to­gra­fie rea­liz­zate dal Mu­seo Man­zo­niano — che que­sto in­cre­mento di due unità sia ri­scon­tra­bile an­che a par­tire dalla carta [21] con cui ini­zia la co­pia dell’articolo di Ap­piani dalla “Gaz­zetta Ufficiale”).

Per tutto il re­sto del ma­no­scritto è co­mun­que vi­si­bile, più o meno chia­ra­mente, la can­cel­la­zione di una pre­ce­dente nu­me­ra­zione e la sua so­vra­scrit­tura con una nuova, con in­cre­mento di due unità.

Sot­to­li­neiamo quel no­stro “più o meno chia­ra­mente”.
Siamo co­stretti a non es­sere ca­te­go­rici quanto vor­remmo in quanto ab­biamo po­tuto con­sul­tare il do­cu­mento solo al com­pu­ter del Mu­seo di Lecco, e per poco tempo, at­tra­verso im­ma­gini di­gi­ta­liz­zate in modo ar­ti­gia­nale, con scatti an­che sfuo­cati, il­lu­mi­na­zione me­dio­cre, ecc.

Pur con que­ste do­ve­rose ri­serve, pos­siamo però pen­sare con un am­pio mar­gine di le­git­ti­mità che, in un mo­mento suc­ces­sivo a quello in cui il ma­no­scritto è stato nelle di­spo­ni­bi­lità di Pa­tetta qual­cuno ci ha messo le mani, to­gliendo, ag­giun­gendo, so­sti­tuendo, so­vra­scri­vendo, ecc. ecc.

Quando ciò sarebbe avvenuto?

Data la man­canza di se­gna­la­zioni in pro­po­sito, ci sem­bra di po­tere af­fer­mare che, al mo­mento in cui il do­cu­mento fu nelle di­spo­ni­bi­lità di Do­me­nico Bul­fe­retti (quindi, si­cu­ra­mente nell’agosto del 1964, quando egli lo an­notò), la nu­me­ra­zione delle carte fosse quale lo aveva vi­sto e an­no­tato Patetta.

Per il “quando” sa­rebbe av­ve­nuta la ma­ni­po­la­zione, stiamo quindi par­lando di un “mo­mento” che pos­siamo ipo­te­ti­ca­mente in­di­care tra il 1969 (scom­parsa di Bul­fe­retti) e il 1988, anno di ac­qui­si­zione del do­cu­mento da parte del Co­mune di Lecco sul mer­cato dell’antiquariato.

Si­cu­ra­mente Paola Ita­lia, che ha po­tuto con­sul­tare il ma­no­scritto in ori­gi­nale (e che as­si­cura avere uti­liz­zato at­trez­za­ture so­fi­sti­cate per la sua ana­lisi) sa­rebbe certo stata in grado di leg­gere an­che la trac­cia di te­sti can­cel­lati o abrasi e avrebbe po­tuto dirci qual­che cosa di più ri­spetto alle no­stre ne­ces­sa­ria­mente li­mi­tate osservazioni.

Ma evi­den­te­mente non si è accorta:

a/ della sfasatura nelle pagine a indice di Patetta;

b/ della riscrittura della numerazione sul manoscritto.

Come ognuno può com­pren­dere, la in­con­tro­ver­ti­bile ma­ni­po­la­zione nella nu­me­ra­zione delle carte del ma­no­scritto apre una au­to­strada all’idea che il ma­nu­fatto al cen­tro delle no­stre at­ten­zioni sia solo una vol­ga­ris­sima pa­tacca, or­che­strata da me­dio­cri pa­tac­cari, cer­ti­fi­cata da ac­ca­de­mici con la te­sta al­trove e le fette di sa­lame su­gli occhi.

Fa in­fatti spe­cie che la le­gione di raf­fi­nati ed esperti fi­lo­logi che hanno avuto modo di guar­dare quanto meno le ri­pro­du­zioni del ma­no­scritto, non si siano ac­corti di nulla — ci au­gu­riamo che il let­tore sap­pia ap­prez­zare la so­brietà con cui stiamo pre­sen­tando que­ste ab­nor­mità cri­ti­che, evi­denti a chiunque.

3.3/ “Dettaglio ignorato” n. 3.
Il sottotitolo “Storia milanese epilogata”.

Ram­men­diamo al let­tore che il fron­te­spi­zio della Se­zione n. 1 del «Ma­no­scritto Lecco 170» reca que­ste scritte:

Gli
Sposi promessi

Storia milanese epilogata

Al sot­to­ti­tolo “Sto­ria mi­la­nese epi­lo­gata” Paola Ita­lia non ha de­di­cato nep­pure una pa­rola; né sul “epi­lo­gata” né sul “Sto­ria milanese”.
Perché?

Se, gra­zie al mi­ra­co­loso «Ma­no­scritto Lecco 170», se­condo Paola Ita­lia, pos­siamo af­fer­mare che lo stesso Man­zoni uti­liz­zasse il ti­tolo “Gli Sposi pro­messi” già per la “Prima Mi­nuta”, allora …

… al­lora do­vremmo allo stesso modo af­fer­mare che ciò vale an­che per l’espressione “Sto­ria mi­la­nese” — e quindi sa­remmo a DUE ri­vo­lu­zioni par­to­rite dal «Ma­no­scritto Lecco 170»: ti­tolo e sot­to­ti­tolo.

Il che apre un problema.

Il sot­to­ti­tolo “Sto­ria mi­la­nese”, fino alla “sco­perta” del do­cu­mento di cui ci oc­cu­piamo, era ap­parso in­fatti solo ed esclu­si­va­mente nella ver­sione a stampa del ro­manzo, or­mai quasi de­fi­ni­tivo, ini­ziata nel lu­glio 1824 e re­cante in fron­te­spi­zio «Gli Sposi pro­messi / Sto­ria mi­la­nese del XVII se­colo».

An­che a metà del 1825, a stampa in corso, col mu­ta­mento di ti­tolo in “I Pro­messi Sposi”, il sot­to­ti­tolo era ri­ma­sto invariato.

Quel “Sto­ria mi­la­nese” non è in­vece MAI ap­parso,


— nella “Prima Mi­nuta” (nelle sue di­verse edi­zioni: Le­sca 1916, Ghi­sal­berti 1953, Ni­gro 2002, Colli/Italia/Raboni 2006);

NEPPURE
— nel ma­no­scritto della “Se­conda Mi­nuta” (pub­bli­cata nel 2012 da Colli/Raboni).

In quest’ultimo la­voro di Ra­boni il sot­to­ti­tolo “Sto­ria mi­la­nese” ap­pare solo una volta nella ci­ta­zione de­gli Atti della Cen­sura (G. Ra­boni, In­tro­du­zione a «Gli Sposi pro­messi — Se­conda mi­nuta», 2012, p. LXXVIII):
«Nota del lu­glio ’24 (ASMi, Atti di go­verno, Studi, parte mo­derna, cart. 79, n. 1832 del ’24) re­gi­strato sotto «MANZONI Ales­san­dro, Gli sposi pro­messi = Sto­ria mi­la­nese del se­colo XVII. Ad­mit­ti­tur […]».

Ri­pe­tiamo la do­manda: per­ché la Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia non ha detto UNA pa­rola su que­sto sot­to­ti­tolo? Non sa­rebbe stata an­che que­sta una suc­cu­lenta “sco­perta”?

Ma an­diamo avanti.

3.4/ “Dettaglio ignorato” n. 4.
Il “Lazzaretto” dimenticato.

Per quanto ri­guarda l’onomastica dell’Epilogo “Gli Sposi pro­messi”, la Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia svolge al­cune op­por­tune con­sta­ta­zioni sul nome dei vari per­so­naggi che se­guono la trac­cia della “Prima Mi­nuta” tranne un paio di ec­ce­zioni (“Lu­do­vico”, che è dell’edizione 1840 de “I Pro­messi Sposi”; Lu­cia Mon­delli, pre­sente solo in que­sto testo).

Svolge poi una ri­fles­sione circa il nome del pa­vido don Ab­bon­dio, nell’Epilogo in­di­cato sem­pre come “don Abon­dio”, con una “b”, di­stinta dal “Ab­bon­dio” di Man­zoni, con due “b”.
Di Abbondio/Abondio par­liamo poco più sotto.

Qui vo­gliamo in­vece se­gna­lare una ul­te­riore ma­ni­fe­sta­zione della “ce­cità” già ricordata.

Paola Ita­lia non si è in­fatti ac­corta che nell’Epilogo, per le 11 oc­cor­renze in cui com­pare, viene sem­pre usato il ter­mine “Laz­za­retto” (sem­pre con ini­ziale ma­iu­scola e con la “a”).

Man­zoni in­vece, nella “Prima Mi­nuta” (nell’edizione 2006, cu­rata an­che da Paola Ita­lia) per 65 oc­cor­renze, uti­lizza sem­pre il me­de­simo ter­mine in due di­zioni: per 54 oc­cor­renze “laz­ze­retto”, per 11 oc­cor­renze “Laz­ze­retto” (8 di que­ste con­cen­trate nel Tomo 4, cap. 1, 6d, 6d, 7a,7a, 7b, 7b, 7c, 8c).

Per gli amanti di que­sti aspetti, com­ple­tiamo il qua­dro con le suc­ces­sive edi­zioni: Ven­ti­set­tana: 41 “laz­ze­retto”, 1 “Laz­ze­retto” (ha l’aria di es­sere sfug­gito per caso alla cac­cia cor­ret­to­ria); Qua­ran­tana: 52 “laz­ze­retto”, nean­che uno con l’iniziale maiuscola.

Il let­tore non deve pen­sare che ci sia ve­nuta la fre­gola della fi­lo­lo­gia (per carità!).
Se quella con­cen­tra­zione sta­ti­sti­ca­mente ri­le­vante di ini­ziali ma­iu­scole al T. 4, cap. 1, ha un qual­che si­gni­fi­cato nel qua­dro della ste­sura del ro­manzo (c’è si­cu­ra­mente), ci pen­se­ranno gli spe­cia­li­sti a illuminarci.

Per parte no­stra, ci siamo qui li­mi­tati a ri­por­tare un dato di fatto, igno­rato da­gli esten­sori della “di­plo­ma­tica” (ci tor­niamo so­pra più avanti in quanto que­sta è una delle 23 dif­for­mità tra Epi­logo e “Prima Mi­nuta” che ab­biamo ana­liz­zato nella ap­po­sita Sezione).

È co­mun­que un ele­mento che ci è bal­zato all’occhio an­che per­ché, pro­prio re­cen­te­mente, ab­biamo rie­sa­mi­nato il breve ma sem­pre in­te­res­sante vo­lu­metto pub­bli­cato ai pri­mis­simi del 1874 dall’Abate Stop­pani, dal ti­tolo “I primi anni di A. Man­zoni — Spi­go­la­ture”.

In que­sta breve ma densa ana­lisi l’Abate, senza oc­cu­parsi nello spe­ci­fico né de “I Pro­messi Sposi” né tanto meno della “prima mi­nuta” (pro­ba­bil­mente ne sa­peva qual­cosa, ma nulla più, dall’amico don Na­tale Ce­roli, per do­dici anni e fino al 1873 as­si­stente cul­tu­rale di Man­zoni), par­lando della fi­gura di Frate Cri­sto­foro, per 4 volte si ri­fe­ri­sce al luogo di as­si­stenza agli ap­pe­stati di Mi­lano come al “Laz­za­retto” (con la ma­iu­scola ini­ziale e la “a”), in aperta dis­so­nanza con Man­zoni, la cui opera l’Abate co­no­sceva be­nis­simo e ap­prez­zava an­cor di più.

Ci sem­bra ve­ro­si­mile pen­sare che l’Abate pren­desse il ter­mine dalle cro­na­che che egli an­dava leg­gendo per avere idee più pre­cise sulla fi­gura an­che sto­rica di Pa­dre Cri­sto­foro — per esem­pio la cro­naca di Pio La Croce, ci­tata dallo stesso Man­zoni come sua fonte.

D’altra parte la forma usata da Man­zoni è meno pre­cisa ri­spetto a quella do­mi­nante al­lora e oggi. Il ter­mine usato da Man­zoni non è riu­scito in­fatti a im­porsi, pro­prio per il le­game evi­dente e strin­gente che ha “Laz­za­retto” con il nome del noto per­so­nag­gio del Vangelo.

3.5/ “Dettaglio ignorato” n. 5.
I non visti 40 segni di percontazione.

De­ci­sa­mente in­spie­ga­bile è la ce­cità sui 40 se­gni di per­con­ta­zione [⸮] in­se­riti dal co­pi­sta nella “Let­tera sul romanticismo”.

Per chi non ne fosse a co­no­scenza (cosa as­so­lu­ta­mente le­git­tima), il se­gno di per­con­ta­zione, spo­ra­di­ca­mente usato in ma­no­scritti me­die­vali, venne “in­ven­tato” a fine del XVI se­colo come ca­rat­tere per la stampa dal ti­po­grafo in­glese Henry Denham.

Noto agli ap­pas­sio­nati della pun­teg­gia­tura — e ap­prez­za­tis­simo — ne parla M.B. Par­kes nel suo «Pause and Ef­fect — An In­tro­duc­tion to the Hi­story of Punc­tua­tion in the West», del 1992 (pp. 53-54, 137, tra­du­zione nostra):

«Henry De­n­ham sem­bra es­sere stato in­te­res­sato alla pun­teg­gia­tura, poi­ché due dei li­bri che pub­blicò ne­gli anni 1580 con­ten­gono un al­tro nuovo, ma raro se­gno, il “per­con­ta­ti­vus”. Que­sto con­si­ste in un in­ter­ro­ga­ti­vus, ro­ve­sciato a spec­chio, ed è usato per con­tras­se­gnare una “per­con­ta­tio”, os­sia una do­manda “re­to­rica”, una do­manda che non ri­chiede risposta. […]

Il con­tra­sto tra l’indicazione di Ps. XVIII, 31 con per­con­ta­ti­vus nel te­sto di Gilby in ca­rat­teri ro­mani e l’indicazione dello stesso verso con in­ter­ro­ga­ti­vus nel “Mo­nu­ment of ma­tro­nes” di Ben­tley stam­pato da De­n­ham in ca­rat­tere ne­retto un anno dopo, sug­ge­ri­sce che l’aspetto del sim­bolo di­pen­deva dalla fonte im­pie­gata così come dalla scelta dell’autore.

Ciò con­si­de­rato, sem­bre­rebbe che il per­con­ta­ti­vus fosse li­mi­tato al suo font ro­mano. Per la mag­gior parte, gli au­tori e i com­po­si­tori del XVIXVII se­colo o omi­sero di mar­care una per­con­ta­tio, op­pure usa­rono l’interrogativus; ma il per­con­ta­ti­vus ap­pare di tanto in tanto nel XVII se­colo: per esem­pio, nelle olo­gra­fie di Ro­bert Her­rick e Tho­mas Midd­le­ton.
[…]
Al­tri esempi di per­con­ta­ti­vus ap­pa­iono in “The lo­gike of the mo­ste ex­cel­lent phi­lo­so­pher P. Ra­mus, mar­tyr, Newly trans­la­ted, and in di­vers pla­ces cor­rec­ted”(Lon­dra, Tho­mas Vau­trouil­ler, 1574); e “The pa­ra­dyse of daynty de­vi­ses, ap­tly fur­ni­shed with sun­dry pi­thie and lear­ned in­ven­tions” (Lon­dra, Henry Di­sle, 1576).»

Non vo­lendo in­fie­rire ol­tre, pen­siamo che que­ste po­che note siano suf­fi­cienti a far com­pren­dere come il punto per­con­ta­tivo, espresso con il sim­bolo del punto in­ter­ro­ga­tivo messo a spec­chio, è nato in In­ghil­terra nella prima ma­tu­rità dell’arte della stampa ma è poi ra­pi­da­mente de­funto, senza riu­scire a im­porsi nella co­mu­ni­ca­zione edi­to­riale corrente.

Da se­gna­lare che a fine ’800 il poeta e scrit­tore fran­cese Mar­cel Ber­n­hardt (1868-1942, in arte Al­can­ter de Brahm) con­cepì il “point d’ironie” (che può ri­cor­dare il no­stro punto per­con­ta­tivo) per mar­care il tono di scherno e scherzo.

Al­can­ter lo uti­lizzò per la stampa del suo ro­manzo «L’ostensoire des iro­nies» dove que­sta in­no­va­zione ti­po­gra­fica ci sem­bra però non ab­bia por­tato a grandi risultati.

Il se­gno di per­con­ta­zione, co­mun­que, gode di un suo sta­tuto di­gi­tale ed è reso con il se­guente codice:
Nu­mero Uni­code: U+2E2E.

In Ita­lia, a che ci ri­sulti (ma ciò si­gni­fica poco, bi­so­gne­rebbe sen­tire che ne di­cono gli amici ac­ca­de­mici im­pe­gnati ne­gli studi fi­lo­lo­gici) il punto per­con­ta­tivo non si è mai nep­pure af­fac­ciato ai ban­coni delle no­stre ti­po­gra­fie e tanto meno nelle penne dei no­stri scrit­tori di va­rio ordine.

Men che mai nella penna di A. Man­zoni: non siamo noi gli spe­cia­li­sti dei ma­no­scritti del no­stro au­tore ma ci sem­bra che egli mai ab­bia usato quel simbolo.
Da ri­cor­dare, co­mun­que, che Man­zoni era in­vece un grande esti­ma­tore — e uti­liz­za­tore — della do­manda re­to­rica, del re­sto molto usata nella co­mu­ni­ca­zione re­li­giosa, e da un bel pezzo.

E que­sto forse spiega quel se­mi­nare a piene mani il punto per­con­ta­tivo nel «Ma­no­scritto Lecco 170».
Se (come sem­pre più ci sem­bra le­cito pen­sare) quel fa­sci­co­letto è stato ap­pron­tato come piat­tino per ap­pas­sio­nati di ri­cordi man­zo­niani, è pos­si­bile che l’abbellimento della “Let­tera sul Ro­man­ti­ci­smo” con quei 40 per­con­ta­tivi, sia stato pen­sato come un ul­te­riore in­sa­po­ri­tore di ta­glio “ul­tra manzoniano”.

Co­mun­que sia, sic­come quel punto di per­con­ta­zione è una as­so­luta ra­rità nella no­stra lin­gua (forse in que­sto il «Ma­no­scritto Lecco 170» è un uni­cum) quei 40 se­gni di per­con­ta­zione sono da con­si­de­rarsi veri e pro­pri mar­ca­tori, uti­lis­simi per ri­sa­lire all’identità dello scri­vano o del com­mit­tente — o per de­durne il ca­rat­tere even­tual­mente ar­te­fatto dell’intero fascicoletto.

Ri­mane un mi­stero (come il quarto di Fa­tima) il per­ché di que­sta le­gione di per­con­ta­tivi non si siano as­so­lu­ta­mente ac­corti la Prof. Paola Ita­lia e tutti i suoi dot­tis­simi col­le­ghi che hanno (o avreb­bero do­vuto) dare al­meno un oc­chio alle scan­sioni del «Ma­no­scritto Lecco 170».

A meno che — in­vece — se ne siano per­fet­ta­mente ac­corti (i no­stri Prof. sono tutto tranne che tonti) e ab­biano pen­sato di te­nere la cosa al caldo per una pros­sima straor­di­na­ria “ri­ve­la­zione” — ma certo que­sta è cosa nep­pure da pensare!

Dopo que­sta pa­ren­tesi de­di­cata alla “ce­cità cri­tica”, an­diamo avanti, oc­cu­pan­doci però di un’altra patologia.

4. Marasma trascrittorio.

Pur­troppo sì!
Sono ben 203 gli er­rori veri e pro­pri da noi ri­scon­trati nella tra­scri­zione “di­plo­ma­tica” delle 116 pa­gine del “Ma­no­scritto Lecco 170”.

Al­cuni di que­sti 203 er­rori ci erano ap­parsi con evi­denza an­che senza avere vi­sio­nato gli ori­gi­nali: per tutti, un «cir­co­stanze in­di­centi» in luogo di un ov­vio «cir­co­stanze in­ci­denti»; nella let­tera sul ro­man­ti­ci­smo un di­ver­tente “fa­bulæ” al po­sto di “ta­bulæ” e una va­langa di ac­centi acuti (per­ché, ben­ché, poi­ché, né) in luogo dell’accento grave, usato nella gra­fia ottocentesca.

Que­ste evi­denze ci hanno in­dotto a un ri­scon­tro di­retto del ma­no­scritto, sep­pure me­diato dalle ri­prese di­gi­tali rea­liz­zate dal Mu­seo Man­zo­niano di Lecco (non un gran­ché ma suf­fi­cienti alla bi­so­gna), che ab­biamo po­tuto con­sul­tare at­tra­verso le po­sta­zioni di la­voro del Mu­seo stesso.

È dif­fi­cile com­pren­dere come sia pos­si­bile una tale massa di er­rori, forse do­vuti ad as­si­stenti distratti.
Sta di fatto, però, che Paola Ita­lia non ha evi­den­te­mente pro­ce­duto ad al­cuna ve­ri­fica, ba­san­dosi in­cau­ta­mente su que­sta selva di er­rori an­che per avan­zare pro­prie con­si­de­ra­zioni cri­ti­che e ri­ma­nen­done quindi essa stessa impaniata.

La Pro­fes­so­ressa ha in­fatti svolto al­cune sue ri­fles­sioni di ca­rat­tere fi­lo­lo­gico su ele­menti as­senti nel ma­no­scritto ma in­tro­dotti pro­prio dalla sua er­ro­nea tra­scri­zione.
In al­tri casi, in­vece, non ha svolto op­por­tune de­du­zioni o ap­pro­fon­di­menti a causa della man­cata se­gna­la­zione nella “di­plo­ma­tica” di evi­denti ano­ma­lie nel manoscritto.

Dei 203 er­rori che ab­biamo ri­le­vato, il let­tore tro­verà che al­cuni sono se­riali (per es. vir­gole che di­ven­tano punto e vir­gola o vi­ce­versa, op­pure la man­cata se­gna­la­zione de­gli in­ter­ro­ga­tivi re­to­rici ap­pena ri­cor­dati) ma è pur­troppo ob­bli­ga­to­rio evi­den­ziarli tutti.

Se­gna­liamo che al­tri even­tuali er­rori nella tra­scri­zione pos­sono es­serci sfug­giti per le non age­voli con­di­zioni in cui ab­biamo svolto la ve­ri­fica e il de­ci­sa­mente breve tempo di cui ab­biamo po­tuto fruire all’interno di Villa Man­zoni, con­for­tati co­mun­que dalla cor­diale ospi­ta­lità del Di­ret­tore Ros­setto e dei suoi collaboratori.

Prima di pas­sare al fatto, vor­remmo chia­rire che non ci di­verte met­tere in luce gli er­rori altrui.
In que­sto caso, però, dal mo­mento che l’analisi ac­ca­de­mica sul «Ma­no­scritto Lecco 170» ha ne­ces­sa­ria­mente preso nella do­vuta con­si­de­ra­zione an­che i det­ta­gli lin­gui­stici, ri­te­niamo che per po­tere for­mu­lare su di esso una qual­siasi va­lu­ta­zione qua­li­ta­tiva, sia ne­ces­sa­rio in via pre­li­mi­nare par­tire con la la­va­gna pu­lita, per non pren­dere can­to­nate do­vute all’imperizia della trascrizione.
Vor­remmo dire solo una cosa prima di pas­sare alla penna rossa e blu.

Come è pos­si­bile che que­sto in­cre­di­bile pa­stic­cio sia stato com­bi­nato dalla Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia? Ci sem­bra ve­ra­mente im­pos­si­bile.
Pre­fe­ri­remmo di gran lunga che la Pro­fes­so­ressa ci di­cesse fran­ca­mente: cari si­gnori, è vero! di que­sto la­voro mi sono oc­cu­pata molto alla lon­tana; ho af­fi­dato la cosa ai miei gio­vani col­la­bo­ra­tori dell’Università, non li ho con­trol­lati e l’hanno fatta fuori dal vaso.
Chiedo scusa a tutti! Az­ze­riamo que­sta brutta pagina!
Ora me ne oc­cu­però io e in un tempo che vi as­si­curo breve, vi pre­sen­terò qual­che cosa di serio!

Se la Prof. ci dirà un qual­che cosa del ge­nere, fa­remo finta di nulla e aspet­te­remo che si ri­scatti con un bel la­voro su que­sto be­ne­detto «Ma­no­scritto Lecco 170».

Ma se in­vece ri­sul­tasse che il pa­stic­cio è frutto del la­voro di­retto della Pro­fes­so­ressa Ita­lia, al­lora ci sa­rebbe ve­ra­mente da preoccuparsi!

4.1/ I 203 errori nella “diplomatica” del «Manoscritto Lecco 170».

Prima di darne il lungo elenco, fac­ciamo chia­rezza sul come leg­gerlo, par­tendo da un esem­pio preso dal vivo:

[9r] og­getti, en­trato] en­trato,

In que­sto caso, stiamo con­si­de­rando la carta 9 recto; «en­trato» della “di­plo­ma­tica” è se­gnato in rosso per­ché gli manca la vir­gola fi­nale; dopo la pa­ren­tesi qua­dra] è in­di­cato in blu il ter­mine del ma­no­scritto «en­trato,» — con la virgola.
Ma come? an­che se alla di­plo­ma­tica manca un vir­go­letta, si con­si­dera er­rore? Sì, è errore.

Al­tro esempio:

[13v] A que­sta epoca] quest’epoca

In que­sto caso con­si­de­riamo in­vece la carta 13 verso; «que­sta epoca» della “di­plo­ma­tica” è se­gnato in rosso per­ché tra le due pa­role do­vrebbe es­serci l’apostrofo; dopo la pa­ren­tesi qua­dra] è in­di­cato in blu l’espressione cor­retta del ma­no­scritto ori­gi­nale «quest’epoca» — con l’apostrofo.

Una unica se­gna­la­zione: là dove scri­viamo <non se­gna­lato>, in­ten­diamo che: nel ma­no­scritto ori­gi­nale è stato scritto con er­rore; che il com­pi­la­tore della “di­plo­ma­tica” ha cor­retto l’errore ma senza se­gna­lare la cosa — il che, dal punto di vi­sta della re­da­zione di una “di­plo­ma­tica”, è ov­via­mente un er­rore.

Co­min­ciamo.

«Sposi pro­messi, sto­ria mi­la­nese compendiata».
[40 pa­gine ma­no­scritte / 17 er­rori di trascrizione]

1. [1v] <La pa­gina è bianca — ne manca l’indicazione>
2. [2v] rien­tri] onde rien­tri
3. [3v] in­cli­nando] in­cli­nato
4. [3v] dov­vreb­ber] do­vreb­bero
5. [4r] Ab­bon­dio] Abon­dio
6. [6v] conte] Conte
7. [9r] en­trato] en­trato,
8. [9v] con­vento] Con­vento
9. [10r] quella.] quella <si è ag­giunto un punto di fine frase, là dove è evi­dente es­sere stato la­sciato dal co­pi­sta uno spa­zio vuoto da riem­pire in una se­conda fase>
10. [13v] pe­ste.] pe­ste <non se­gna­lato>
11. [13v] que­sta epoca,] quest’epoca,
12. [15v] so­prav­vis­suta] so­pra­vis­suta
13. [16v] à] a
14. [18r] que­sti vi fosse] que­sti fosse
15. [18v] quando] quanto
16. [19r] per­ché] per­chè
17. [21r] in­di­centi] in­ci­denti

«Ap­pen­dice — Rin­ve­ni­mento dell’Effigie della Si­gnora di Monza.
[8 pa­gine ma­no­scritte / 15 er­rori di trascrizione]

18. [21r] Appen­dice] <è in­di­cata come es­sere parte del ma­no­scritto, il che non è>
19. [21r] Leyva] Leyva,
20. [21r] ac­cioc­ché] ac­cioc­chè
21. [21v] L’autore] L’Autore
22. [21v] Monza] Monza.
23. [22r] avea] aveva
24. [23r] quasi] quasi di
25. [23r] 37] 37.
26. [23r] 25] 25.
27. [23r] quasi pien] quasi di pien
28. [23v] già lun­ga­mente] lun­ga­mente
29. [23v] in­ten­dere,] in­ten­dere
30. [24r] es­sere stato il] es­sere il
31. [24r] Senza] senza
32. [24r] per­ché] per­chè

«So­pra i di­versi si­stemi di Poesia»
(Un nuovo te­sti­mone della Let­tera sul Romanticismo).
[66 pa­gine ma­no­scritte / 162 er­rori di trascrizione]

  1. [25v] <la pa­gina è bianca; non se­gna­lato>
  2. [27r] poi­ché] poi­chè
  3. [27r] pen­sando] pen­sando,
  4. [27r] =] =;
  5. [27v] fatto?] fatto⸮
  6. [28r] vi in­tendo] v’intendo
  7. [29r] &.] &c.
  8. [29v] su la] sulla
  9. [30r] studj] studj,
  10. [30r] so­prav­vi­vere] so­pra­vi­vere
  11. [31r] pro’] pro
  12. [31v] per­so­naggi,] per­so­naggi
  13. [32r] all’adorazione:] all’adorazione;
  14. [32v] ido­la­tria?] ido­la­tria⸮
  15. [32v] rac­co­man­darla?] rac­co­man­darla⸮
  16. [32v] mi­to­lo­gia?] mi­to­lo­gia⸮
  17. [32v] cose:] cose;
  18. [33r] di­strug­gere,] di­strug­gere;
  19. [33r] esprime?] esprime⸮
  20. [33r] sim­pa­tia?] sim­pa­tia⸮
  21. [33r] parla?] parla⸮
  22. [33r] fare?] fare⸮
  23. [33r] guerra che,] guerra, che
  24. [33v] ]
  25. [33v] ]
  26. [34r] l’ignora?] l’ignora⸮
  27. [34r] dell’ingegno] dell’ingeno <non se­gna­lato>
  28. [34r] al­tre,] al­tre
  29. [34r] no­stro,] no­stro;
  30. [34r] im­ma­gini] im­ma­gini,
  31. [34r] gu­sta] gu­sta,
  32. [34r] dell’antichità que­gli] dell’antichità, quelli,
  33. [34r] e che] e
  34. [34v] ado­pe­rato,] ado­pe­rato;
  35. [34v] let­tere:] let­tere;
  36. [34v] co­loro] co­loro,
  37. [34v] cen­su­rarli:] cen­su­rarli,
  38. [35v] dei] de’
  39. [35v] ciò] ciò,
  40. [35v] v’era] vi era
  41. [36r] esem­pio,] per esem­pio
  42. [36r] com­me­die] co­me­die
  43. [36r] sieno] siano
  44. [36r] la­sciare?] la­sciare⸮
  45. [36r] ec­cel­lenti] più ac­cel­lenti
  46. [36v] mo­dello.] mo­dello,
  47. [36v] pa­role, ] pa­role; nè
  48. [37r] per­sua­dere fa] per­sua­dere, fa,
  49. [37r] sin­go­lari:] sin­go­lari;
  50. [37r] que­stione] qui­stione
  51. [37v] pa­role;] pa­role,
  52. [37v] hanno;] hanno,
  53. [37v] sen­ti­menti] sen­ti­menti,
  54. [38r] una am­mi­ra­zione] un’ammirazione
  55. [38r] ] se
  56. [39r] foss’anche] fors’anche
  57. [39r] at­ten­zione,] at­ten­zione
  58. [39v] ciar­lato] par­lato
  59. [39v] do­lermi o ral­le­grarmi] ral­le­grarmi o dolermi
  60. [39v] of­frirle] of­fe­rirle
  61. [39v] m’ha] mi ha
  62. [40r] no?] no⸮
  63. [40v] in­fatti] in fatti
  64. [41r] re­gole?] re­gole⸮
  65. [41r] ma­ni­fe­sto?] ma­ni­fe­sto⸮
  66. [41r] vo­lere] vo­ler
  67. [41r] pe­danti?] pe­danti⸮
  68. [41r] av­ve­nuto?] av­ve­nuto⸮
  69. [41v] con­fu­sione?] con­fu­sione⸮
  70. [41v] d’ingegno?] d’ingegno⸮
  71. [41v] bi­so­gno?] bi­so­gno⸮
  72. [41v] lode?] lode⸮
  73. [41v] ori­gi­na­lità?] ori­gi­na­lità⸮
  74. [42r] sco­prirla?] sco­prirla⸮
  75. [42r] bene?] bene⸮
  76. [42r] per­ché] per­chè
  77. [42r] del] per
  78. [42r] detto] detto:
  79. [42v] m’è] mi è
  80. [43r] elle] esse
  81. [43r] ]
  82. [43v] modo.] modo. <senza ac­capo>.
  83. [43v] pra­tica?] pratica⸮
  84. [43v] fatto?] fatto⸮
  85. [43v] grand’uomo?] grand’uomo⸮
  86. [43v] poi?] poi⸮
  87. [43v] essi?] essi⸮
  88. [43v] Ella?] Ella⸮
  89. [44v] que­gli] quelli
  90. [45r] ob­bie­zione] ob­b­je­zione
  91. [45v] ch’elle] ch’esse
  92. [45v] campo;] campo:
  93. [45v] vec­chie?] vec­chie⸮
  94. [46r] mai?] mai⸮
  95. [46v] nuove?] nuove⸮
  96. [46v] av­ver­tirle;] av­ver­tirle:
  97. [46v] si­stema?] si­stema⸮
  98. [46v] me­ri­tata?] me­ri­tata⸮
  99. [46v] pos­si­bile?] pos­si­bile⸮
  100. [46v] scrit­tori?] scrit­tori⸮
  101. [47r] po­le­mi­che,] po­le­mi­che
  102. [47r] ro­man­tico,] ro­man­tico
  103. [47r] sta­bili,] sta­bili
  104. [47r] strano,] strano;
  105. [47r] im­por­tante,] im­por­tante;
  106. [48r] dif­fon­dersi] dif­fun­dersi <non se­gna­lato>
  107. [48r] ]
  108. [48v] in­vece] in vece
  109. [48v] vi] si
  110. [48v] stata] fatta
  111. [48v] per] a
  112. [48v] cosa] cosa,
  113. [48v] l’ingegno umano non] l’ingegno non
  114. [49r] for­mole] fo­mole <non se­gna­lato>
  115. [49r] ] se
  116. [49r] E] Ed
  117. [49v] della] dalla
  118. [49v] mo­mento] mo­mento,
  119. [49v] esi­ste,] esi­ste;
  120. [49v] prin­cipi] prin­cipj
  121. [50r] Omet­tendo [>Om­met­tendo]] Omet­tendo
  122. [50r] pre­cetti] pre­cetti,
  123. [50v] pos­sano] pos­sono
  124. [50v] sen­tita, ma ra­gio­nata, ma ri­ce­vuta] sen­tita, ma ricevuta
  125. [51r] bello,] bello;
  126. [51r] cose,] cose
  127. [51r] l’interesse,] l’interesse
  128. [51r] l’impossibilità] l’impossibilità,
  129. [51r] sto­rico] sto­rico,
  130. [51v] me­glio,] me­glio
  131. [51v] l’interesse;] l’interesse,
  132. [52r] vi­va­mente] vi­va­mente,
  133. [52r] stu­pirsi] stu­pirsi,
  134. [52r] ar­ti­fi­cio] ar­ti­fi­zio
  135. [52r] in­certo] in­certo,
  136. [52r] vo­ca­boli] vo­ca­bili <non se­gna­lato / pre­sente in Tom­ma­seo>
  137. [52r] E] E,
  138. [52r] di essi] d’essi
  139. [52v] da ciò che,] da ciò, che
  140. [52v] quello] quello,
  141. [53r] ge­ne­rale,] ge­ne­rale;
  142. [53r] tutti;] tutti,
  143. [53r] ap­pro­vato?] ap­pro­vato⸮
  144. ]53v] uno] un
  145. [53v] Ba­sta] Ba­sta,
  146. [53v] pa­trio­tica,] pa­trio­tica;
  147. [54r] sem­bra] sem­bra,
  148. [54r] gli in­se­gna­menti] gl’insegnamenti
  149. [55v] d’averle] di averle
  150. [55v] non so] non so,
  151. [55v] preso] presa
  152. [56r] fa­bulæ] ta­bulæ
  153. [56r] io?] io⸮
  154. [56r] par­larne] par­lare
  155. [56r] so­cietà al­cuno ve­nisse] so­cietà veniste
  156. [56r] chie­dere] chie­dere,
  157. [56r] ve­drebbe] ve­drebbe,
  158. [56r] in­tende un non] in­tende non
  159. [56r] al­cuno;] al­cuno,
  160. [56v] at­tin­gere] at­ti­gnere
  161. [56v] dell’idea] dell’idea,
  162. [57v] &.] &c.
  163. [58r] come Ella] com’Ella

Fo­glio di ri­sguardo A — Ap­punti Patetta.

196. [AV] IIº.Sopra di] IIº. So­pra i

È op­por­tuno se­gna­lare che a que­sti 196 veri e pro­pri er­rori di tra­scri­zione, vanno ag­giunti al­tri 7 er­rori (tutti dello stesso tipo, forse do­vuti a una di­stra­zione nella for­mat­ta­zione ti­po­gra­fica del te­sto) re­la­tiva alla man­cata se­gna­la­zione del se­gno di ac­capo per le pa­role di fine pagina:

197. isgo­men | tare [5r]
198. Mo­na­ste | ro, [6r]
199. di ab­bon | danza, [9v]
200. e di | cendo [10v]
201. il tu | multo [11v]
202. con­teso va | cante [12v]
203. pro­messo perdo | no [20r]

Al let­tore che do­vesse con­si­de­rare vi­ziata da ec­ces­siva acri­bia il ri­chiamo di que­sti ul­timi er­rori, se­gna­liamo che non ab­biamo fatto al­tro che at­te­nerci ai cri­teri uti­liz­zati dalla at­tuale fi­lo­lo­gia d’autore.
Per esem­pio, dalla stessa Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia che nel “Fermo e Lu­cia”, da lei edito nel 2006 in cor­data an­che con Giu­lia Ra­boni, ha cor­ret­ta­mente uti­liz­zato il [-|] quando occorrente:
> i loro contem-|poranei (p. 17)
> ci riman-|gono (p. 141)
> di rispon-|dermi (p. 173)
> rac­co­glier rim-|brotti. (p. 202)
> antici-|patamente (p. 207).

4.2/ Vittima di fuoco amico?

Si di­ceva più so­pra che la stessa Paola Ita­lia è ri­ma­sta vit­tima della in­ge­nua su­per­fi­cia­lità con cui è stata con­dotta que­sta “tra­scri­zione diplomatica”.
Ne diamo solo qual­che esem­pio, re­la­tivo alla terza se­zione del ma­no­scritto, oc­cu­pata dalla let­tera di Man­zoni a d’Azeglio padre.

UNO/ Là dove (An­nali Man­zo­niani 2019, p. 196, n. 68) ana­lizza nel te­sto l’uso delle forme elise, Paola Ita­lia in­dica, tra i vari, come ele­mento di di­stin­zione tra il “ma­no­scritto di Lecco” [L] e l’autografo [A], an­che il «m’ha/mi ha».

Il pro­blema è che la forma “m’ha” in [L] è una in­ven­zione del com­pi­la­tore della di­plo­ma­tica: in realtà in [L] si trova “mi ha”, esat­ta­mente la forma dell’autografo [A]:«[39v] «Ma la bontà, ch’Ella m’ha] mi ha» (in prima po­si­zione e in rosso, se­guito da], l’errore di tra­scri­zione del compilatore).

DUE/ Lo stesso per l’elisa «come Ella/com’Ella».
An­che in que­sto caso il “come Ella” è in­ven­zione del com­pi­la­tore e non di [L] che in­vece reca: «[58r] be­ne­vo­lenza, come Ella] com’Ella».

TRE/ D’altra parte, sem­pre nella ana­lisi delle forme elise, e sem­pre per il ma­lac­corto ope­rato del tra­scrit­tore, Ita­lia non ha po­tuto evi­den­ziare al­tri casi in cui non vi è af­fatto di­scor­danza tra [L] e [A], per­ché in [L] è tra­scritto con errore:

«52r] E per non par­lare che d’uno di essi] d’essi»;
«[54r] con gli in­se­gna­menti] gl’insegnamenti»;
«[55v] Dopo d’averle] di averle»;
«[58r] be­ne­vo­lenza, come Ella] com’Ella».

QUATTRO/ Stesso di­scorso (n. 68, p. 197) circa l’uso di al­cune forme dis­si­mi­late come «in vece/invece». Ma in [L] ab­biamo pro­prio “in vece” «[47r/48v] per me­glio dire, se in­vece] in vece».

CINQUE/ Al­tro caso: “principj/principii”.
Ita­lia scrive (“Un nuovo te­sti­mone”, p. 197):

«uso si­ste­ma­tico della «j» (ca­rat­te­ri­stico della prima mi­nuta, poi cor­retto in “ii”) e spesso già cor­retto da Man­zoni nell’autografo della Let­tera: varj / va­rii, giudizj/giudizii, principj/principii [ma: principi/principii]».

Con quell’ultimo [ma: prin­cipi / prin­ci­pii], Ita­lia in­dica come ec­ce­zione un caso in cui, se­condo quanto essa ha sotto mano dalla tra­scri­zione di­plo­ma­tica, in [L] vi sa­rebbe l’uso di “prin­cipi”.
An­che que­sto però è un falso pro­blema, es­sendo “prin­cipi” una in­ven­zione del com­pi­la­tore della “di­plo­ma­tica”. [L] in­fatti reca “prin­cipj”: «[49v] di­ver­sità dei prin­cipi] prin­cipj».

SEI/ Al­tro caso ancora.
Ita­lia scrive (idem) di «uso si­ste­ma­tico della forma: “que­stione“, ri­spetto a “qui­stione“, tranne nel caso: «il mio modo par­ti­co­lare di ve­dere in quella qui­stione».
Qui Paola Ita­lia si ri­fe­ri­sce a una oc­cor­renza pre­sente in [28v].
La Prof. non ha po­tuto ac­cor­gersi che il caso, da lei se­gna­lato come unico, ha in­vece un ge­mello: in [37r] del ma­no­scritto si trova in­fatti «che nes­sun uomo d’ingegno pi­glierà a trat­tare la qui­stione,» (non “que­stione” come in­fe­del­mente tra­scritto dal compilatore).

SETTE/ E ancora.
Scrive Ita­lia (p. 197): «Solo in po­chi casi, im­pu­ta­bili piut­to­sto a er­rore, la co­pia Fi­nazzi [F] di­scorda dal ma­no­scritto lec­chese [L] e dall’autografo [A]: «ciar­lato [L e A] / par­lato [F]».
Pec­cato che in [L] sia “par­lato” e non “ciar­lato”, come ri­por­tato dal com­pi­la­tore: «[39v] an­che troppo ciar­lato] par­lato» — l’errore c’è ma è stato fatto dal gruppo di la­voro della Pro­fes­so­ressa, la­sciato senza briglie.

OTTO/ Idem: «do­lermi o ral­le­grarmi [L e A] / ral­le­grarmi o do­lermi [F]».
Spiace per Ita­lia ma in [L] non è pre­sente “do­lermi o ral­le­grarmi” ma “ral­le­grarmi o do­lermi”, come in [F]: «[39v] s’io debba do­lermi o ral­le­grarmi] ral­le­grarmi o do­lermi».

4.3 / Un suggerimento alla Prof.

Al let­tore che do­vesse chie­dersi come è pos­si­bile una tale massa di er­rori, ri­spon­diamo che il re­spon­sa­bile della tra­scri­zione del ma­no­scritto nella di­plo­ma­tica deve avere avuto una bella pen­sata: prendo il te­sto della let­tera già di­gi­tato (su In­ter­net se ne tro­vano nu­me­rosi esem­plari) e mo­di­fico il già scritto sulla base del ri­scon­tro sul ma­no­scritto affidatomi.
In que­sto modo, con l’idea di sem­pli­fi­carsi il la­voro, ha in­vece solo imi­tato Ta­fazzi, met­tendo in dif­fi­coltà la sua Prof. (che ap­pare come una in­ge­nua sprov­ve­duta); met­tendo fuori pi­sta tutti gli stu­diosi che si sono ba­sati su quella “di­plo­ma­tica” per trarne even­tual­mente delle con­si­de­ra­zioni (che si sen­tono presi per i fon­delli); pren­dendo in giro tutti i let­tori che, come noi, hanno pen­sato di im­pa­rare qual­che cosa su Man­zoni e hanno in­vece solo im­pa­rato che nelle ac­ca­de­mie si può ec­cel­lere an­che in bischeraggine.

Sug­ge­riamo alla Prof. di sot­to­porre il di­stratto as­si­stente a una vi­go­rosa lustratio!

In at­tesa, toc­chiamo un al­tro aspetto di que­sta di­sa­strata “di­plo­ma­tica”.

5. Diplomatica deformante.

Ab­biamo ap­pena vi­sto come la “di­plo­ma­tica” of­fer­taci dalla Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia è pur­troppo af­fetta da gravi pa­to­lo­gie (al­cune cose non le vede pro­prio, al­tre le vede male) ne­fa­ste per una cor­retta vi­sione cri­tica del «Ma­no­scritto Lecco 170».

È op­por­tuno se­gna­larne an­che un’altra ca­rat­te­ri­stica, si­cu­ra­mente più ne­ga­tiva, emersa nella ipo­tesi for­mu­lata dalla Pro­fes­so­ressa Ita­lia circa la da­ta­zione del ma­no­scritto in esame.

5.1/ Quando è stato composto il Manoscritto?

Ab­biamo già se­gna­lato come il 6 mag­gio 2021, nell’intervista alla emit­tente Lecco FM, la Pro­fes­so­ressa Ita­lia as­si­cu­rasse gli ascol­ta­tori di avere sot­to­po­sto il «Ma­no­scritto Lecco 170» ad ana­lisi stru­men­tali so­fi­sti­cate (tra que­ste la “spet­tro­gra­fia”), gra­zie alle quali aveva po­tuto at­tri­buire alla mano di Man­zoni la fa­mosa fra­setta di sei pa­role, su cui si basa l’intero di­se­gno cri­tico re­cen­te­mente av­viato dalla Pro­fes­so­ressa sulla ge­nesi del ro­manzo di Manzoni.

Di­ciamo noi che, sulla base delle ana­lisi cui ha fatto ri­fe­ri­mento, la Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia do­vrebbe avere rac­colto dati pro­banti an­che sulla da­ta­zione del «Ma­no­scritto Lecco 170».
Si sa in­fatti che la “spet­tro­gra­fia” of­fre un va­li­dis­simo aiuto ai ri­cer­ca­tori (e an­che agli in­ve­sti­ga­tori e ai giu­dici) per in­di­care con buona pre­ci­sione la da­ta­zione de­gli in­chio­stri uti­liz­zati per la scrit­tura di un dato documento.

La Prof. do­vrebbe quindi es­sere in grado di dirci — quan­to­meno — se il «Ma­no­scritto Lecco 170» è stato ap­pron­tato nella prima parte dell’Ottocento, op­pure un se­colo dopo (di­ciamo così, tanto per dire).
Forse per non an­no­iare il let­tore con gra­fici, ta­belle o al­tri tec­ni­ci­smi, la Prof., sulla pos­si­bile da­ta­zione del «Ma­no­scritto Lecco 170», non ha però né scritto né detto nulla di più di quanto essa stessa aveva già pub­bli­cato ai primi del 2018, nel suo stu­dio «Gli Sposi Pro­messi», edito dal Cen­tro Na­zio­nale Studi Manzoniani.

Per farci una idea su que­sto im­por­tante aspetto della que­stione, non pos­siamo quindi che ri­farci a quanto lì scrisse la Pro­fes­so­ressa (“Gli Sposi pro­messi”, p. 143, evi­den­zia­zioni nostre):

«La da­ta­zione più pro­ba­bile di tutto il ma­no­scritto è quella in­di­cata dal Bul­fe­retti, che in­di­vi­dua il ter­mi­nus post quem nel 1824, anno del ri­fa­ci­mento “con molte va­ria­zioni” della “prima com­po­si­zione” (che, per l’intero ma­no­scritto, può ar­re­trare al 1823, se­gnato a penna “b”, ac­canto al fron­te­spi­zio della Let­tera al d’Azeglio) (47) e il ter­mi­nus ante quem del sup­porto car­ta­ceo nel 1835, data della morte di Fran­ce­sco I, dopo la quale non venne più stam­pata carta fi­li­gra­nata con le sue iniziali.»

Sulla que­stione chiave della da­ta­zione del «Ma­no­scritto Lecco 170», Paola Ita­lia, quindi, si rifà alla au­to­rità di Do­me­nico Bul­fe­retti, il quale — sono sue pa­role — la avrebbe in­di­cata tra il 1824 e il 1835.

Cu­rioso vero?
In tutta l’operazione cri­tica lan­ciata il 5 mag­gio 2021 dalle Pro­fes­so­resse Ita­lia e Ra­boni (con il con­senso di no­tis­simi ac­ca­de­mici man­zo­nian-man­zo­ni­sti) non è mai stato ci­tato (nep­pure di sfug­gita) il nome di Bulferetti.
Quando però si tratta di pren­dere una po­si­zione im­pe­gna­tiva, come l’indicare la da­ta­zione del «Ma­no­scritto Lecco 170», è pro­prio al nome di Bul­fe­retti che ci si rifa come a un pa­dre della pa­tria man­zo­nian-man­zo­ni­sta, da tutti sti­mato e onorato.

Sa­rebbe una bella sod­di­sfa­zione per il buon Bul­fe­retti, ac­cu­ra­ta­mente si­len­ziato (in vita e poi) per le sue po­si­zioni ete­ro­dosse circa la for­ma­zione del ro­manzo di Man­zoni (di tutto ciò ci oc­cu­pe­remo per esteso nella Nota n. 2 che pro­dur­remo sul pas­sag­gio del ro­manzo di Man­zoni dalla “Prima Mi­nuta” all’edizione del 1827).

Peccato, però, che tutto ciò sia solo una fantasia della professoressa Paola Italia!

Bulferetti, infatti, mai si sognò di indicare alcuna possibile data per il «Manoscritto Lecco 170», come andiamo a indicare qui di seguito.

5.2/ A proposito del “ante quem”: le annotazioni di Domenico Bulferetti.

Sul «Ma­no­scritto Lecco 170» Bul­fe­retti si è li­mi­tato a due brevi interventi:

sul piatto della prima di co­per­tina (uti­liz­zato da Pa­tetta per l’indice delle tre parti del ma­no­scritto e per sue no­ta­zioni) con 3-4 sot­to­li­nea­ture; le quali sono pre­sen­tate da Paola Ita­lia come in­di­ca­zioni di Bul­fe­retti sulla data “en­tro la quale / ante quem”, il «Ma­no­scritto Lecco 170» sa­rebbe stato compilato;

sul fron­te­spi­zio, dove, a com­mento della frase «So­pra la prima com­po­si­zione ri­fatta con molte va­ria­zioni» (po­sta da un ignoto, in data ignota) ha scritto po­che pa­role; le quali sono a loro volta pre­sen­tate da Paola Ita­lia come in­di­ca­zioni di Bul­fe­retti sulla data “dopo la quale / post quem” sa­rebbe stato com­pi­lato il me­de­simo manoscritto.

Per l’intelligenza del tema “da­ta­zione”, di cui stiamo di­scu­tendo, può es­sere quindi utile vi­sua­liz­zare sia il “piatto di co­per­tina” sia il “fron­te­spi­zio”, col­lo­cati nella ve­tri­netta de­di­cata al «Ma­no­scritto Lecco 170», Sala 8, Mu­seo Man­zo­niano di Lecco; da noi fo­to­gra­fati nel 2019.

Come ogni let­tore può age­vol­mente con­sta­tare, su que­sta fac­ciata ma­no­scritta da Pa­tetta, sono di­stin­gui­bili 7 sottolineature:

1 / “Gazz. ufficiale”
2 / “nel 1871”
3 / “Let­tera sul Romanticismo”
4 / “1846”
5 / “L’Ausonio”
6 / “ar­ci­duca Ranieri”
7 / “1835”

Ab­biamo poi una no­ta­zione: “Au­to­grafo | Scritto di Fe­de­rico Pa­tetta” cui se­gue una si­gla che Paola Ita­lia in­dica come “DB” [Do­me­nico Bulferetti].
A noi pare che que­sta no­ta­zione sia di gra­fia di­versa da quella di Do­me­nico Bul­fe­retti e che la si­gla debba es­sere letta come LB (Luigi Bul­fe­retti, il già ri­cor­dato fi­glio di Do­me­nico, pro­ba­bile tra­mite tra que­sti e Pa­tetta) ma la cosa non cam­bia gran­ché ri­spetto a no­stro tema, cui tor­niamo immediatamente.

Chie­diamo al let­tore: nelle 7 sot­to­li­nea­ture so­pra ri­por­tate, è pos­si­bile in­di­vi­duare al­cun­ché in base al quale ri­ca­vare che se­condo Do­me­nico Bul­fe­retti (o chiun­que al­tro) il «Ma­no­scritto Lecco 170» sa­rebbe stato esem­plato tra il 1824 e il 1835?
La ri­spo­sta è scon­tata: NULLA.

Qual­cuno (tutto au­to­rizza a pen­sare che sia stato lo stesso Pa­tetta), a due te­state gior­na­li­sti­che (Gazz. Uf­fi­ciale / L’Ausonio) e al ti­tolo di una com­po­si­zione (Let­tera sul Ro­man­ti­ci­smo) ha po­sto una sot­to­li­nea­tura, come usava (e usa) nei ma­no­scritti per in­di­carne la let­tura come corsivi.
Qual­cuno (lo stesso Pa­tetta, Bul­fe­retti, un qual­siasi si­gnor X) ha poi sot­to­li­neato “nel 1871” / “1846” / “ar­ci­duca Ra­nieri” / “1835”.

E al­lora?
Da quando una ba­na­lis­sima sot­to­li­nea­tura con un ba­na­lis­simo la­pis ha as­sunto il va­lore di un in­tero di­scorso sto­rico-cri­tico di si­cura rilevanza?
È que­sta la nuova fron­tiera della rin­no­vata fi­lo­lo­gia d’autore cal­deg­giata da Paola Ita­lia e sodali?
Siamo un poco seri, si­gnori dell’Accademia!

E pas­siamo quindi al “fron­te­spi­zio”.

5.3/ «Sopra la prima composizione rifatta con molte variazioni».

Per chia­rezza del let­tore, ri­por­tiamo il com­mento di Bul­fe­retti alle due ri­ghe «So­pra la prima com­po­si­zione con molte va­ria­zioni» che chiu­dono ti­tolo e sot­to­ti­toli del frontespizio:

«(ag­giunta d’altra mano) Da no­tare che della “prima com­po­si­zione” que­sto epi­logo rias­sume un te­sto as­sai di­verso da quello dato dal Ghi­sal­berti, per­ché in ef­fetto il Man­zoni ve­niva nel 1824 di­spo­nendo in or­dine va­rio le scene, i dia­lo­ghi, ecc.
Va­rese, 1 ago­sto 1964 | D. Bulferetti»

Que­ste pa­role ven­gono da Paola Ita­lia ci­tate come se con esse Bul­fe­retti si fosse li­mi­tato a in­di­care la data dopo la quale sa­rebbe stato ap­pron­tato il «Ma­no­scritto Lecco 170», os­sia dopo il 1824.

Il “dopo cui”, in que­sto caso è ov­via­mente in sé irrilevante.
Ciò che in que­sto caso conta è la data “en­tro cui” sa­rebbe stato ap­pron­tato il do­cu­mento, os­sia se quelle 116 pa­gine ma­no­scritte sono una ri­si­bile pa­tacca con­fe­zio­nata ma­gari a metà ’900 e non — come so­ste­nuto da Paola Ita­lia e com­pa­gni — en­tro il 1835.

Sta però di fatto che, con il col­le­gare le pa­role di Bul­fe­retti alla que­stione della data, Paola Ita­lia ne ha ste­ri­liz­zato il senso più in­te­res­sante (non im­porta qui se con in­ten­zione o meno).

Il com­mento di Bul­fe­retti, in­fatti, è una scon­fes­sione in piena re­gola dell’assunto base di Paola Ita­lia e so­dali, se­condo cui l’Epilogo “Gli Sposi pro­messi” sa­rebbe un rias­sunto fe­dele della “Prima Mi­nuta”, per come era PRIMA che Man­zoni ci met­tesse le mani per ar­ri­vare al te­sto de “I Pro­messi Sposi” del 1827.

Bul­fe­retti scrive chiaro e tondo: at­ten­zione! quell’epilogo è stato pen­sato e com­po­sto sul te­sto della “prima com­po­si­zione” di Man­zoni (quella che co­no­sciamo da ol­tre un se­colo at­tra­verso Le­sca, Ghi­sal­berti, Ni­gro e la stessa Paola Ita­lia) DOPO che Man­zoni stesso vi aveva messo le mani, ap­por­tan­dovi molte va­rianti, a par­tire dal 1824.

È del tutto chiaro che, an­che da solo, quel com­mento di Bul­fe­retti è suf­fi­ciente a de­sti­nare al ma­cero tutta l’operazione messa in piedi at­torno al quel do­cu­mento con­ser­vato a Lecco (e non è certo un caso che su quel com­mento non si sia fatta al­cuna os­ser­va­zione da parte de­gli at­tuali cri­tici “ri­vo­lu­zio­nari”).

Da parte no­stra, se­gna­liamo che l’osservazione di Bul­fe­retti è cor­retta ma in­com­pleta.
Se Bul­fe­retti fosse an­dato più in fondo nel suo ra­gio­na­mento, si sa­rebbe fa­cil­mente ac­corto come l’Epilogo “Gli Sposi pro­messi”, non solo non è stato esem­plato sulla “prima com­po­si­zione” di Man­zoni, an­cora in­tonsa, ma non ha — in molti ele­menti nar­ra­tivi — nulla a che ve­dere con nes­su­nis­sima opera di Man­zoni (ma di que­sto ci oc­cu­piamo a fondo più avanti in que­sta Nota).

5.4/ In realtà è la Prof. Paola Italia a caldeggiare l’idea che il «Manoscritto Lecco 170» sia stato realizzato tra il 1824 e il 1835.

Se­condo Paola Ita­lia il “prima di” (l’ante quem) della rea­liz­za­zione del «Ma­no­scritto Lecco 170» è da col­lo­care nel 1835, in fun­zione del suo sup­porto cartaceo.

An­che se ha avuto la pru­denza di non dirlo in chiaro, il ra­gio­na­mento di Paola Ita­lia (tutto suo, an­cor­ché messo in bocca a Bul­fe­retti) è questo:
… sic­come il “Ma­no­scritto” è su carta fi­li­gra­nata con le ini­ziali di Fran­ce­sco I d’Austria …
… sic­come que­sto au­gu­sto si­gnore morì il 2 marzo 1835 … allora …
… al­lora il “Ma­no­scritto” non può es­sere stato rea­liz­zato se non en­tro il 2 marzo 1835.

Quindi, se­condo Paola Ita­lia, con la morte dell’Imperatore Fran­ce­sco I sa­reb­bero come per ma­gia spa­riti dalla cir­co­la­zione tutti i fo­gli con le sue ini­ziali in filigrana!
Formidabile!
Ci vo­leva pro­prio un Or­di­na­rio di Fi­lo­lo­gia di chiara fama per una de­du­zione così brillante!

Par­lando se­ria­mente, è ov­vio che, alla morte di Fran­ce­sco I, sarà stata in­ter­rotta la pro­du­zione dei fo­gli fi­li­gra­nati con le sue ini­ziali e av­viata la pro­du­zione di al­tri fo­gli con al­tre filigrane.
Al­tret­tanto ov­via­mente, più o meno da quel mo­mento, gli uf­fici go­ver­na­tivi avranno uti­liz­zato i fo­gli di nuova produzione.

Ma le mi­gliaia di fo­gli messi in cir­co­la­zione prima della morte dell’augusto so­vrano non sono stati certo por­tati in di­sca­rica, pena la fu­sti­ga­zione in piazza — non era certo carta va­luta: quan­to­meno per gli usi pri­vati sa­ranno stati uti­liz­zati fino al loro esaurimento.

O te­nuti da parte, con cura e per ogni eve­nienza, da con­ta­bili, am­mi­ni­stra­tori, no­stal­gici fe­deli al ri­cordo dell’Imperatore, ecc. ecc.
E na­tu­ral­mente da co­mu­ni­ca­tori di va­rio or­dine e grado, tra cui one­stis­simi si­gnori con pro­getti vari di co­mu­ni­ca­zione e — al­tret­tanto na­tu­ral­mente — da di­so­ne­stis­simi fal­sari, truf­fa­tori, ecc. ecc.
Non è dif­fi­cile né pen­sarlo né comprenderlo!

Ri­cordi inol­tre il let­tore che l’intero «Ma­no­scritto Lecco 170» di 116 pa­gine è com­po­sto da soli 29 fo­gli: 29 … non 29.000!
Per l’intera ope­ra­zione era quindi suf­fi­ciente una mo­de­stis­sima scorta di fo­gli con l’effige del de­funto Im­pe­ra­tore, un pic­colo avanzo di risma.

Co­mun­que sia, li­bera Paola Ita­lia di espri­mere suoi pa­reri su qua­lun­que ma­te­ria (ci man­che­rebbe!) — ma senza al­cun di­ritto di at­tri­buire a terzi (nel caso in que­stione, al buon Do­me­nico Bul­fe­retti, non in grado di ri­spon­derle per le rime) con­clu­sioni sto­rico-cri­ti­che senza fondamento.

6. La perizia a “occhio”.

6.1/ Quella righetta di sei parole non è di mano del Manzoni!

Come si vede dall’immagine so­pra ri­por­tata (è tratta dall’articolo del 5 mag­gio 2021, de­di­cato da “La Pro­vin­cia di Lecco” al «Ma­no­scritto Lecco 170»), la fra­setta di sei pa­role trac­ciata da mano ignota sulla carta 47r, è pre­sen­tata come au­to­grafa di Man­zoni senza se e senza ma.

Il gior­nale e il gior­na­li­sta non ne hanno una gran colpa: hanno ri­fe­rito quanto ha reso pub­blico una fi­gura con un ruolo an­che for­male come la Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia, or­di­na­ria di Fi­lo­lo­gia presso l’Università di Bo­lo­gna — più di così!
Avreb­bero però po­tuto farsi qual­che do­man­dina: è nor­male che una at­tri­bu­zione così im­por­tante per la no­stra cul­tura venga data esclu­si­va­mente “a occhio”?

Il gior­nale e il gior­na­li­sta avreb­bero po­tuto con­si­de­rare che ogni anno in Ita­lia ven­gono di­scussi a li­vello giu­di­zia­rio ol­tre 500.000 casi di fal­si­fi­ca­zione di firme su as­se­gni — solo un seg­mento dell’universo delle fal­si­fi­ca­zioni olo­grafe nel quale sono al­tret­tanto bene rap­pre­sen­tati: con­traf­fa­zione di cam­biali, al­te­ra­zione e fal­si­fi­ca­zione di firma su let­tera o do­cu­mento, falsa pre­scri­zione me­dica, mo­di­fica di do­cu­menti con­trat­tuali, ecc. ecc., ba­sati pro­prio sulla im­pos­si­bi­lità di di­stin­guere “a oc­chio” que­sta o quella grafia.

Non a caso, a fronte della troppo bassa at­ten­di­bi­lità dei ri­sul­tati, da ol­tre 20 anni i Tri­bu­nali ita­liani hanno de­ciso di non ri­cor­rere più alla tra­di­zio­nale “pe­ri­zia cal­li­gra­fica” ba­sata sulla com­pa­ra­zione pu­ra­mente este­riore delle gra­fie (quella, per in­ten­derci, che pos­sono fare esperti di cal­li­gra­fia per l’appunto, o per­sone abi­tuate a leg­gere te­sti ma­no­scritti, come — per esem­pio — la Pro­fes­so­ressa Paola Italia).

I Tri­bu­nali hanno in­vece de­ciso di av­va­lersi di al­tri cri­teri di ana­lisi, che uti­liz­zano mezzi e pa­ra­me­tri del tutto al di là della ca­pa­cità dell’occhio umano di “ri­co­no­scere” que­sta o quella grafia.
Gli stru­menti uti­liz­zati per que­sto tipo di ana­lisi della scrit­tura sono mi­cro­scopi, mi­su­ra­tori di lun­ghezze ed am­piezze dei ca­rat­teri al­fa­be­tici, spe­ci­fici lu­cidi a tra­spa­renza per l’esatto cal­colo de­gli in­dici gra­fici al de­cimo di mil­li­me­tro, ap­pa­rec­chi scan­ner per la va­lu­ta­zione delle im­ma­gini di­gi­ta­liz­zate e pro­grammi ad hoc per la messa a con­fronto de­gli ele­menti utili all’individuazione di ca­rat­te­ri­sti­che do­mi­nanti (o di even­tuali si­gni­fi­ca­tive con­trad­di­zioni) all’interno della scrit­tura studiata.
Que­sto ap­proc­cio al pro­blema ha net­ta­mente mi­glio­rato la qua­lità delle ana­lisi gra­fo­lo­gi­che fo­rensi, as­si­cu­rando una at­ten­di­bi­lità non as­so­luta ma vi­cina al 95% — per un certo tipo di in­da­gine ab­ba­stanza accettabile.

Pro­prio al con­tra­rio della Prof. Ita­lia, noi ri­te­niamo che quella frase non sia af­fatto da at­tri­buire alla mano di Man­zoni, per tutta quella am­pia e va­rie­gata se­rie di mo­tivi cri­tico-sto­rici che ven­gono pre­sen­tati nel corso di que­sta Nota.

Ne siamo stati così certi fin da su­bito da es­serci as­sunti l’onere di ri­chie­dere una pe­ri­zia gra­fo­lo­gica a una nota e sti­ma­tis­sima “Gra­fo­loga Fo­rense in Ana­lisi e Com­pa­ra­zione della Gra­fia Cer­ti­fi­cata AICQ-SICEVpe­rita del Tri­bu­nale di Man­tova — la dot­to­ressa Ma­ria­luisa Ia­russi — il cui “Pa­rere pro Ve­ri­tate” pro­po­niamo poco più sotto — rin­gra­zian­dola pub­bli­ca­mente an­che per la li­be­ra­lità con cui, per amore della cul­tura, ha vo­luto ve­nire in­con­tro alle mo­de­ste ri­sorse del no­stro Cen­tro Studi.

In­vi­tiamo quindi il let­tore a leg­gersi con at­ten­zione quel “Pa­rere pro Ve­ri­tate” della Dot­to­ressa Ia­russi la cui con­clu­sione è che “ap­pare poco pro­ba­bile che quella frase sia au­to­grafa di Man­zoni”.
Espressa nel lin­guag­gio ne­ces­sa­ria­mente non dog­ma­tico e de­fi­ni­to­rio de­gli scien­ziati seri, quella con­clu­sione dice che la fra­setta «di tro­vare, che quelle opi­nioni vi» non è di mano di Manzoni.

Sug­ge­riamo però al let­tore di leg­gere quella pe­ri­zia tec­nica da noi com­mis­sio­nata, dopo avere preso vi­sione del come i so­ste­ni­tori della au­to­gra­fia man­zo­niana — la pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia e il suo gruppo di so­dali — hanno pre­sen­tato al pub­blico la loro convinzione.

6.2 / In via preliminare dobbiamo porci la domanda: è così immediatamente riconoscibile la grafia del Manzoni?

Ri­spo­sta: mica tanto: al Mu­seo Man­zo­niano di Lecco non ci ha pen­sato pro­prio nes­suno per 30 anni.
E la spe­cia­li­sta dei ma­no­scritti di Man­zoni, Paola Ita­lia, ce ne ha messi quasi tre.

Per­ché il let­tore possa farsi un’idea ba­sata su dati della realtà e non su fan­ta­sie più o meno di­let­te­voli, è ne­ces­sa­rio che co­no­sca un poco la sto­ria della “sco­perta” della pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia, i cui primi passi sono stati mossi all’inizio del 2017.
Ne ab­biamo una chiara con­sa­pe­vo­lezza per­ché nel feb­braio di quell’anno ave­vamo pro­po­sto noi al Dot­tor Ros­setto (Di­ret­tore del Mu­seo Man­zo­niano) di stu­diare in­sieme il «Ma­no­scritto Lecco 170», ri­ce­ven­done un cor­diale per­ché no? non se­guito da alcunché.
Ce ne siamo resi conto dopo, ma l’amico Ros­setto, forse sti­mo­lato dalla no­stra pro­po­sta, si era ri­volto altrove.

6.3/ L’ottobre manzoniano del 2017: tra le più allettanti “novità”, il manoscritto “Gli Sposi promessi”.

Tra le ini­zia­tive più evi­den­ziate dell’Ot­to­bre man­zo­niano del 2017 a Lecco, deve in­fatti ri­cor­darsi una con­fe­renza pub­blica che si tenne a Pa­lazzo della Paure gio­vedì 19 ot­to­bre 2017, re­la­trice Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia, con la pre­senza an­che del Prof. An­gelo Stella (Pre­si­dente del Cen­tro Na­zio­nale Studi Manzoniani).

Og­getto della con­fe­renza il «Ma­no­scritto Lecco 170», pre­sen­tato come “mi­ste­rioso” e “af­fa­sci­nante”: dopo 30 anni di pol­vere e in­dif­fe­renza il brutto ana­troc­colo aveva co­min­ciato a tra­sfi­gu­rarsi in ci­gno, in­can­te­vole — ma non an­cora di­chia­rato spe­cie pro­tetta da Man­zoni.

Ri­cor­diamo bene quel 19 ot­to­bre 2017, per­ché alle 20:30, ora pre­vi­sta per l’inizio con­fe­renza, due mem­bri della no­stra re­da­zione erano pre­senti a Pa­lazzo delle Paure, per­fet­ta­mente puntuali.
Aspetta, aspetta … alle 21:15 era­vamo in 4 spet­ta­tori (sì, quat­tro! noi due della re­da­zione + una cop­pia di ma­turi ap­pas­sio­nati di Man­zoni), esat­ta­mente quanti erano i pre­sen­ta­tori e relatori.
Co­mun­que sia, la con­fe­renza ebbe fi­nal­mente ini­zio e venne con­dotta con com­pe­tenza da Paola Ita­lia che svi­scerò l’analisi da lei fatta del ma­no­scritto sul piano linguistico.

Pos­siamo as­si­cu­rare che in quella oc­ca­sione Paola Ita­lia non parlò nep­pure di sfug­gita di una qual­si­vo­glia riga au­to­grafa di Man­zoni pre­sente nel manoscritto.
Co­mun­que, da parte di nes­suno dei me­dia lo­cali — e co­mun­que da nes­suno, in nes­sun modo — venne data al­cuna no­ti­zia a com­mento di quella con­fe­renza dei quat­tro gatti.

Come già an­ti­ci­pato, qual­che mese dopo, ai primi del 2018, Paola Ita­lia pub­blicò su An­nali Man­zo­niani il primo stu­dio ti­to­lato “Gli Sposi pro­messi — Sto­ria mi­la­nese epi­lo­gata nel 1824”.

Nello stu­dio di Paola Ita­lia non si fa al­cun ri­fe­ri­mento a una qual­si­vo­glia frase au­to­grafa di Manzoni.
Non ci ri­sulta che la pub­bli­ca­zione sia stata in al­cun modo ri­presa da al­cun or­gano di stampa. Si­cu­ra­mente non dal Co­mune di Lecco o dal Si­stema Ur­bano Mu­seale della città.

Dob­biamo pre­su­mere che Paola Ita­lia, nel pre­pa­rare la sua con­fe­renza del 17 ot­to­bre 2017 e nel pub­bli­carne il re­la­tivo stu­dio ai primi del 2018, ab­bia com­pul­sato con at­ten­zione tutto il ma­no­scritto che con­sta di 116 pa­gine scritte con gra­fie molto ben leg­gi­bili: tempo di let­tura — an­che molto, molto at­tenta — 80 mi­nuti al massimo.

Do­man­dina: dal mo­mento che (se­condo quanto più volte di­chia­rato da Paola Ita­lia in pub­bli­che oc­ca­sioni) la gra­fia di Man­zoni è fa­cil­mente ri­co­no­sci­bile da chiun­que ab­bia la­vo­rato sui suoi ma­no­scritti, come mai la Pro­fes­so­ressa non ha im­me­dia­ta­mente col­le­gato a Man­zoni la fra­setta «di tro­vare, che quelle opi­nioni vi», tra l’altro molto evi­dente nella carta 47r del «Ma­no­scritto Lecco 170»?

Era di­stratta? men­tre leg­geva quel rias­sun­tino re­la­tivo al ro­manzo, di cui lei stessa si è oc­cu­pata a tempo pieno per sei anni; men­tre leg­geva co­pia della fa­mo­sis­sima let­tera sul ro­man­ti­ci­smo di Don Li­san­der al d’Azeglio, la Prof. non pen­sava a Manzoni?
La do­manda, non cap­ziosa ma del tutto le­git­tima, avrebbe po­tuto es­serle ri­volta ai primi di mag­gio 2021 da un qual­siasi gior­na­li­sta con un mi­nimo di curiosità.

6.4/ Una edificante storia lariana.

La Pro­fes­so­ressa Ita­lia, ren­den­do­sene forse conto, nel pre­sen­tare lo scorso 5 mag­gio la sua “sco­perta” circa l’autografia man­zo­niana sul «Ma­no­scritto Lecco 170» ha pen­sato bene di ri­spar­miare ai gior­na­li­sti la fa­tica del porre do­mande for­nendo loro una in­tri­gante nar­ra­zione, ri­por­tata dal già ci­tato ar­ti­colo de “La Pro­vin­cia di Lecco” del 5 mag­gio 2021.

Que­sto l’inizio di uno dei tre ar­ti­coli di Bo­nini de­di­cati alla pre­sen­ta­zione della “sco­perta” (evi­den­zia­zioni nostre):

«Paola Ita­lia, do­cente del di­par­ti­mento di Fi­lo­lo­gia clas­sica dell’Università di Bo­lo­gna ri­corda bene l’estate del 2019 quando, co­stretta a ri­tor­nare a Lecco per una pa­gina man­cante tra le co­pie di­gi­tali del ma­no­scritto, ha sco­perto qual­cosa che non si at­ten­deva di tro­vare.
“Avevo la­vo­rato per sei anni sulle ri­scrit­ture di Man­zoni, ci pas­savo in­tere gior­nate e la sua gra­fia la co­no­sco me­glio della mia. Per noi fi­lo­logi è come ri­tro­vare un volto noto. Quella riga au­to­grafa sta pro­prio nel cuore della se­conda parte del ma­no­scritto lec­chese, la co­pia della let­tera a D’Azeglio”.
Da quel mo­mento Paola Ita­lia av­via un per­corso de­dut­tivo de­gno di un detective. […]»

Ri­leg­giamo l’avvio della frase:
«Paola Ita­lia ri­corda bene l’estate del 2019 quando, co­stretta a ri­tor­nare a Lecco per una pa­gina man­cante tra le co­pie di­gi­tali del ma­no­scritto, ha sco­perto qual­cosa che non si at­ten­deva di tro­vare.»

Cosa ne re­ce­pi­sce il lettore?
Ine­vi­ta­bil­mente che Paola Ita­lia, nell’estate del 2019 (ci sem­bra 27 mesi dopo avere co­min­ciato a “stu­diare” il ma­no­scritto in que­stione) si è im­prov­vi­sa­mente ac­corta di non avere mai avuto la co­pia di­gi­tale di una delle sue 116 pa­gine (per pura com­bi­na­zione, pro­prio quella dove poi tro­verà la frase da lei at­tri­buita alla mano di Man­zoni!).
La Pro­fes­so­ressa si pre­ci­pita a Lecco, trova la pa­gina mai avuta: in essa ri­co­no­sce im­me­dia­ta­mente la a lei ben nota e in­con­fon­di­bile gra­fia di Man­zoni!

Ecco sve­lato al pub­blico, at­to­nito ma com­mosso per la se­rena con­clu­sione, il per­corso di una “sco­perta” di grande ri­lievo cri­tico a par­tire da una pa­gina mai avuta/vista ma poi, nella estiva ca­lura la­riana, fe­li­ce­mente tro­vata, sotto lo sguardo be­ne­volo che un grande ro­man­ziere può ac­cor­dare a una sua stu­diosa, più gio­vane di due­cento anni ma anch’essa ben do­tata per l’affabulazione.

La ri­spo­sta data da Paola Ita­lia at­tra­verso le pa­gine de “La Pro­vin­cia di Lecco” del 6 mag­gio 2021 è in­fatti da grande ro­manzo: non ho ri­co­no­sciuto prima la gra­fia di Man­zoni sem­pli­ce­mente per­ché mi man­cava quella pagina!

Que­sto si­pa­rietto è in­te­res­sante an­che per al­tri aspetti.

6.5/ Una vicenda piena di misteri.

Primo — Se Paola Ita­lia si è ac­corta dopo 27 mesi che le man­cava la co­pia di­gi­tale di una pa­gina, per­ché ha do­vuto an­dare a Lecco per averla? non po­teva più co­mo­da­mente far­sela man­dare via e-mail dal Di­ret­tore del Mu­seo Man­zo­niano, Dot­tor Mauro Rossetto?

Op­pure si vuole dire che quella pa­gina non era mai stata fotografata?
Che quindi quella carta 47r è stata fo­to­gra­fata solo nel lu­glio 2019 a se­guito della se­gna­la­zione della pro­fes­so­ressa Italia?
È così?

Se­condo — Sem­pre il 5 mag­gio 2021, in un al­tro ar­ti­colo di Bo­nini, ri­por­tando un duetto Paola Ita­lia / Si­mona Piazza (As­ses­sora alla Cul­tura del Co­mune di Lecco), si scrive che il ma­no­scritto è stato ana­liz­zato con le ap­pa­rec­chia­ture del Fra­me­lab di Ra­venna dell’Università de­gli Studi di Bo­lo­gna:

«A ri­sul­tare de­ci­sivo sul me­todo di la­voro del team di Paola Ita­lia sul ma­no­scritto (un me­todo che ne­ces­si­tava di ri­spo­ste certe sulle va­rie ri­scrit­ture, su­gli in­chio­stri e sulle cal­li­gra­fie) è stato in­fatti il trat­ta­mento di ima­ging post pro­du­zione or­che­strato gra­zie al Fra­me­lab di Ra­venna.
Il soft­ware in que­stione ha di fatto se­pa­rato le va­rie ri­scrit­ture, re­cu­pe­rando quella che può de­fi­nirsi come la stra­ti­gra­fia del ma­no­scritto. Ecco al­lora che le pa­gine di­ven­tano og­getti a tre di­men­sioni, com­pren­dendo a pieno an­che la se­di­men­ta­zione delle cor­re­zioni nel tempo.
«Era ne­ces­sa­rio — chia­ri­sce Paola Ita­lia — ve­dere gli ele­menti di que­sto ma­no­scritto per quello che sono, le di­verse penne che sono in­ter­ve­nute, le tracce di pe­cette, os­sia delle pic­cole stri­sce di carta in­col­lati per ri­scri­vere una pa­rola o una frase».

Ma al­lora, se­condo quanto dice la stessa Ita­lia, dal Fra­me­lab di Ra­venna è stato ana­liz­zato l’intero ma­no­scritto originale.
Si­cu­ra­mente quindi an­che la pa­gina 47r, per­fetto cam­pione per lo svi­luppo delle in­da­gini fu­tu­ri­sti­che del Fra­me­lab di Ravenna.
La pa­gina 47r ri­porta in­fatti sia la fra­setta da Ita­lia at­tri­buita a Man­zoni sia (tre ri­ghe più sotto) una di quelle pe­cette ri­cor­date dalla Prof. (“pa­ra­dos­saj”, ri­cor­data alla nota 31, p.186, del suo stu­dio del 2019).

Quindi Paola Ita­lia, gra­zie alle ap­pa­rec­chia­ture del Fra­me­lab, ha un’idea ab­ba­stanza pre­cisa an­che dei rap­porti tem­po­rali che in­ter­cor­rono tra le va­rie parti del «Ma­no­scritto Lecco 170».
Ed è certo in grado di dirci se la fra­setta at­tri­buita a Man­zoni è stata ap­po­sta prima o dopo — e di quanto — ri­spetto alle già ri­cor­date “pe­cette”.
E lo stesso può certo dirci per quei nu­meri di pa­gina, can­cel­lati e poi di­ver­sa­mente so­vra­scritti, di cui ab­biamo detto più sopra.

Ma que­sta ana­lisi del Fra­me­lab quando è stata condotta?
Prima o dopo che la Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia si ac­cor­gesse man­carle l’immagine di­gi­tale della pa­gina 47r dove com­pare la frase di sei pa­role da lei detta au­to­grafa di Manzoni?
Con quali pro­ce­dure e per ri­spon­dere a quali do­mande? Quali sono i ri­sul­tati di que­sta analisi?

Im­ma­gi­niamo che al Fra­me­lab di Ra­venna non tra­sfe­ri­scano i ri­sul­tati delle loro af­fa­sci­nanti ana­lisi al bar dell’Università. Ci sarà una re­la­zione scritta e for­mal­mente pro­to­col­lata su que­sti ri­sul­tati, o no?

Sa­rebbe bello averne co­pia — quante cose si po­treb­bero ap­pren­dere da quelle pe­cette, fi­nal­mente par­lanti nella loro tridimensionalità!

6.6/ E i colleghi accademici, che ne hanno detto?

Terzo — La Prof. Ita­lia, nel suo stu­dio del 2018 (An­nali Man­zo­niani, p. 141, n. 41), rin­gra­zia i col­le­ghi «che hanno letto il ma­no­scritto e sono stati pro­di­ghi di con­si­gli e sug­ge­ri­menti».

Ma a que­sti col­le­ghi cosa ha dato da leg­gere la Prof.?
Ha dato loro solo le prime 40 pagine/immagini (20 carte r/v) re­la­tive all’Epilogo “Gli Sposi pro­messi”, op­pure ha dato tutte le pagine/immagini del ma­no­scritto in suo possesso?

E se ha dato loro tutto il ma­no­scritto in sue mani, al­lora ha dato loro non 116 im­ma­gini, ma 115, per­ché 1 im­ma­gine (la 47r) non la aveva mai avuta essa stessa e se la era pro­cu­rata solo nel lu­glio del 2019, pre­ci­pi­tan­dosi a Lecco, come da lei nar­rato il 5 mag­gio 2021.

Ma di que­sti suoi col­le­ghi, tutti ac­ca­de­mici di chiara fama, nes­suno nel leg­gere il ma­no­scritto nel pe­riodo 2017-2018 si era ac­corto che man­cava una pagina?

Nes­suno si è ac­corto che nella nu­me­ra­zione delle pre­ziose carte c’era un buco? (si pas­sava da 46 a 48). Non bi­so­gna avere una do­cenza in ma­te­ma­tica per ri­le­vare un salto di nu­me­ra­zione in quelle carte, su in alto a destra!

E nes­suno si è ac­corto che la carta 46v (quella che pre­cede la 47r) ter­mina con la frase

Ora noi vi ab­biamo co­stretti ad av­ver­tirle; quando non aves­simo fatto al­tro, que­sto al­meno è qual­che cosa di nuovo.

che ha un bel punto fi­nale, di chiu­sura del discorso.

E che in­vece la pa­gina 47v (che se­gue la 47r – la pa­gina mai vi­sta da Ita­lia e poi da lei fe­li­ce­mente ri­tro­vata nell’estate del 2019) co­min­cia così:

esempj, e prove di que­ste os­ser­va­zioni, se non te­messi di troppo trat­te­nerla, e se non pen­sassi, che, quando Ella le creda de­gne d’esser ve­ri­fi­cate, tro­verà nella sua me­mo­ria più ab­bon­dante e più op­por­tuna ma­te­ria, ch’io non sa­prei somministrarlene.

Non bi­so­gna es­sere ac­ca­de­mici con trent’anni di ana­lisi lin­gui­sti­che alle spalle per com­pren­dere che tra i due te­sti manca un qual­che cosa!

E in­vece la pro­fes­so­ressa Ita­lia se ne è ac­corta dopo più di due anni di stu­dio su quelle im­ma­gini e i suoi col­le­ghi non se ne sono ac­corti af­fatto. Ve­ra­mente curioso!
Ma tutti que­sti ac­ca­de­mici non sono spe­cia­li­sti della let­tura e della com­pren­sione dei te­sti? Non è per que­sta loro pre­ziosa espe­rienza e com­pe­tenza che sono sti­mati e pagati?

E quando la Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia avrebbe con­se­gnato loro la im­ma­gine man­cante, la fa­mosa carta 47r?
Nella tarda estate del 2019?
E i suoi esimi col­le­ghi, quando hanno ri­ce­vuto (pre­su­miamo per e-mail) quella pa­gi­netta, che hanno fatto?
Im­ma­gi­niamo che le ab­biano tutti scritto: ca­ris­sima Paola, ho ri­ce­vuto quella pa­gina man­cante; sai che ti dico: ap­pena l’ho guar­data, ho ca­pito a colpo d’occhio che lì c’è una frase scritta pro­prio da Man­zoni; te ne sei ac­corta an­che tu?
È così Professoressa?

6.7/ Il contributo del Direttore del Museo Manzoniano di Lecco.

Sem­bra più che in­for­mato di una co­ra­lità di pe­ri­zie fa­vo­re­voli alla tesi della au­to­gra­fia man­zo­niana, Mauro Ros­setto, Di­ret­tore del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco.

In­ter­vi­stato il 6 mag­gio 2021 dalla gior­na­li­sta Bar­bara Ge­rosa per Te­leU­nica Lecco, così si è espresso, an­che sulle pe­ri­zie, il Di­ret­tore Rossetto:

«A un certo punto il co­pi­sta che ha ri­co­piato tutto si ac­corge che, aven­dolo ri­co­piato da un al­tro co­pi­sta, manca una riga e va da Man­zoni, pro­ba­bil­mente, e gli chiede: ma cosa c’era scritto?
A que­sto punto una mano ignota verga que­sta parte di te­sto che manca.
Ma è stato or­mai di co­mune, di­ciamo pa­rere, ve­ri­fi­cato tra tutti i mag­giori stu­diosi, che que­sta scrit­tura possa es­sere la scrit­tura au­to­grafa di Man­zoni dal mo­mento che tutte le pe­ri­zie ne hanno dato con­ferma.»

In­te­res­san­tis­simo! Quindi il Di­ret­tore del Mu­seo Man­zo­niano di Lecco ci as­si­cura es­servi non una, non due ma “tante” pe­ri­zie che as­se­ve­rano es­sere di Man­zoni quella frasetta.
Non ve­diamo l’ora di po­terle con­sul­tare e di avere i nomi de­gli il­lu­stri man­zo­ni­sti che hanno così espresso il loro pre­zioso parere.
A meno che Mauro Ros­setto non sia uomo d’onore come quel suo Mae­stro di cui si di­ceva all’inizio.

Tran­quillo, Mauro! Scher­ziamo naturalmente!

6.8/ La “perizia grafica”, che la Professoressa Italia indica essere in sue mani, può essere vista dal pubblico? o è secretata?

Pur con­for­tati dall’autorevole in­for­ma­zione da­taci da Ros­setto sulla esi­stenza di “più pe­ri­zie”, rac­colte tra “tutti i mag­giori stu­diosi”, dob­biamo co­mun­que se­gna­lare che la pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia ha fatto le cose come si deve.

Nel già ci­tato stu­dio “Un nuovo te­sti­mone della let­tera sul ro­man­ti­ci­smo” (An­nali Man­zo­niani, 2019, p. 198), Ita­lia scrive:

«[…] si trova una la­cuna che viene in­te­grata suc­ces­si­va­mente con gra­fia di­versa, […] gra­fia che, sulla base di una pe­ri­zia gra­fica, è pos­si­bile iden­ti­fi­care con quella man­zo­niana

A parte la mo­de­sta scien­ti­fi­cità di quella qua­li­fi­ca­zione “gra­fica” alla pe­ri­zia, la Pro­fes­so­ressa Ita­lia, quindi, è sem­pre stata d’accordo con noi sulla in­con­si­stenza di una au­to­gra­fia ba­sata sul “ri­co­no­sci­mento” da parte di un fre­quen­ta­tore an­che as­si­duo dei ma­no­scritti man­zo­niani (come può es­sere certo con­si­de­rata essa stessa).
Con­se­guen­te­mente, per dare forza alle sue va­lu­ta­zioni cri­ti­che, ha pen­sato bene di avere il con­forto di una vera “pe­ri­zia gra­fica” — è lei stessa che ce lo dice — la quale te­sti­mo­nie­rebbe l’autografia man­zo­niana con ri­co­no­sciute mo­da­lità tecnico-scientifiche.

La Prof. — forse per non an­no­iare i suoi let­tori — non ha scritto a chi e quando ha com­mis­sio­nato la pe­ri­zia, né quando ne ha avuto la con­ferma dell’autografia man­zo­niana.
Ma cer­ta­mente è stato tra la tarda estate del 2019 e il di­cem­bre di quell’anno, quando pub­blicò il suo studio.
Ci fa co­mun­que molto pia­cere sa­pere che que­sta “pe­ri­zia gra­fica”, se­gna­la­taci dalla Pro­fes­so­ressa Ita­lia, esi­ste; che è un do­cu­mento di tot pa­gine, fir­mato dal tale pe­rito, nella tale data.

Così le pe­ri­zie sa­ranno due: quella com­mis­sio­nata da Paola Ita­lia e quella com­mis­sio­nata dal no­stro Cen­tro Studi — ol­tre na­tu­ral­mente tutte quelle se­gna­late dal Di­ret­tore Rossetto.

La no­stra noi la ab­biamo com­mis­sio­nata il 31 ago­sto 2021 alla dot­to­ressa Ma­ria­luisa Ia­russi e nella Se­zione po­sta im­me­dia­ta­mente qui sotto ne pre­sen­tiamo i ri­sul­tati ai lettori.

Ci farà na­tu­ral­mente molto pia­cere di co­no­scere il nome della fi­gura pro­fes­sio­nale che ha re­datto la pe­ri­zia per conto di Paola Ita­lia e — an­cor di più — di po­terla compulsare.
At­ten­diamo con vero in­te­resse in­di­ca­zioni sul dove e come re­pe­rirla — gra­zie an­ti­ci­pa­ta­mente Professoressa!

Anzi! fac­cia una cor­te­sia a tutti!
Chieda al Co­mune di Lecco di ca­ri­carla sul sito isti­tu­zio­nale del Municipio!

7. La vera perizia grafologica, da noi richiesta.

Il parere del perito Marialuisa Iarussi:
«Riservandomi l’esame dei manoscritti in originale per l’analisi del tratto e della pressione, per tutto quanto precedentemente illustrato, ritengo probabile che la frase oggetto del quesito non sia stata vergata dal noto scrittore Alessandro Manzoni.»

Tra­spo­sta nel lin­guag­gio HTLM per la sua più age­vole con­sul­ta­zione su In­ter­net, qui sotto, ri­por­tiamo la re­la­zione, re­datta il 29 set­tem­bre 2021 dalla dot­to­ressa Ma­ria­luisa Ia­russi, pe­rito del Tri­bu­nale di Man­tova, in­ca­ri­cata dal no­stro Cen­tro Studi di ve­ri­fi­care se la frase della carta 47r del «Ma­no­scritto Lecco 170» sia o meno da con­si­de­rare au­to­grafa di A. Manzoni.

7.1 / Parere tecnico pro veritate.

Stu­dio di Con­su­lenza Gra­fo­lo­gica dott.ssa Ma­ria­luisa Iarussi
Gra­fo­loga Fo­rense in Ana­lisi e Com­pa­ra­zione della Gra­fia Cer­ti­fi­cata AICQ-SICEV
Esperta Fo­rense in Firme Gra­fo­me­tri­che cer­ti­fi­cata AICQ-SICEV
Iscritta agli Albi dei CTU e dei Pe­riti del Tri­bu­nale di Mantova
So­cio or­di­na­rio A.G.I. di­sci­pli­nata ai sensi della Legge n. 4/2013
Stu­dio in Via Ma­ria Mon­tes­sori n. 63 – Asola (Mn) – cell. 3357098964
consulenzegrafologiche1@gmail.com – consulenzegrafologiche@pec.it
C.F. RSSMLS66P59A470J – P.I. 02402350207

Parere tecnico pro veritate.

Analisi comparativa su frase manoscritta di sei parole attribuita ad Alessandro Manzoni.

7.2/ Incarico.

In data 31.08.2021 ho ri­ce­vuto dal Cen­tro Studi Abate Stop­pani di Mi­lano l’incarico di va­lu­tare ed espri­mere un pa­rere tec­nico pro ve­ri­tate sulla ri­con­du­ci­bi­lità di una frase com­po­sta da sei pa­role e ver­gata su un ma­no­scritto con­ser­vato presso il Mu­seo di Lecco, alla mano dello scrit­tore Ales­san­dro Manzoni.

Il Pre­si­dente del Cen­tro Studi Abate Stop­pani Sig. Fa­bio Stop­pani mi ha in­viato una fo­to­gra­fia dalla di­screta ri­so­lu­zione della frase da ana­liz­zare, de­no­mi­nata [Q] per co­mo­dità espositiva.

Per ri­spon­dere al que­sito ho esa­mi­nato le im­ma­gini di buona qua­lità di nu­me­rosi ma­no­scritti, ap­punti e let­tere del noto scrit­tore Ales­san­dro Man­zoni, re­pe­rite sul sito della Bi­blio­teca Na­zio­nale Brai­dense www​.ales​san​dro​man​zoni​.org/​m​a​n​o​s​c​r​i​tti.

— «Ap­punti au­to­grafi sulla ser­vitù di casa Man­zoni», privi di ti­tolo e data, (Rif. Manz.Ant.IX.B.1.II/4), de­no­mi­nati K1 nel pre­sente ela­bo­rato per co­mo­dità espositiva;
— «I pro­messi sposi, nella prima ste­sura au­to­grafa», (Rif. Manz.B.II), ver­gata dal 24.04.1821 al 17.9.1823, de­no­mi­nata K2;
— «Let­tera n. 596» del 20.02.1841 a Gia­como Bec­ca­ria (Rif. bi­blio­gra­fico Manz.B.I.12/3), de­no­mi­nata K3;
— «Let­tera n. 1472» del 26.05.1868 a Emi­lio Bro­glio (Rif. Manz.B.I.16/9), de­no­mi­nata K4;
— «La Ri­vo­lu­zione Fran­cese del 1789 e la Ri­vo­lu­zione Ita­liana del 1859», do­cu­mento au­to­grafo par­ziale di prima e se­conda ste­sura, da­tato 1861 – 1867 (Rif. Manz.B.XI.1c), de­no­mi­nato K5.

7.3/ Premessa metodologica.

L’analisi fo­rense di ma­no­scrit­ture è l’esame scien­ti­fico volto a de­ter­mi­nare se due o più trac­ciati siano stati re­datti dalla stessa mano. Com’è noto, la trac­cia gra­fica rap­pre­senta il com­por­ta­mento neu­ro­mu­sco­lare di un sog­getto ed è al­ta­mente individualizzante.

L’accertamento tec­nico si basa sui se­guenti po­stu­lati, ri­co­no­sciuti dalla co­mu­nità scientifica:

1. non ci sono due per­sone che scri­vono esat­ta­mente nell’identica maniera;
.
2. nes­suna per­sona scrive esat­ta­mente nello stesso iden­tico modo due volte e due firme ver­gate con na­tu­ra­lezza non sono mai esat­ta­mente iden­ti­che e sovrapponibili;
.

3. nella com­pa­ra­zione il va­lore di cia­scuna ca­rat­te­ri­stica gra­fica, come prova di iden­tità o di non iden­tità, di­pende dalla sua fre­quenza, com­ples­sità, ve­lo­cità re­la­tiva e naturalezza;
.
4. nes­suno è in grado di imi­tare i ca­rat­teri della scrit­tura di un’altra per­sona man­te­nendo con­tem­po­ra­nea­mente la stessa ve­lo­cità re­la­tiva e l’abilità gra­fica di chi sta cer­cando di imitare;
.
5. nei casi in cui chi scrive dis­si­mula la pro­pria scrit­tura abi­tuale o imita la scrit­tura di un’altra per­sona, non sem­pre sarà pos­si­bile iden­ti­fi­carne l’autore.

Uno scritto o una firma va­riano a se­conda della loro com­ples­sità e grado di au­to­ma­zione: una mag­giore com­ples­sità scrit­to­ria, a pre­scin­dere dal grado di leg­gi­bi­lità, rende pa­le­se­mente dif­fi­col­tosa l’imitazione.

L’autenticità di una scrit­tura non si evince dalle forme fi­nali che as­sume il trac­ciato ma dai mo­vi­menti e dal ritmo con cui la gra­fia è stata rea­liz­zata. Non è la sin­gola let­tera so­mi­gliante o uguale a de­ter­mi­nare l’identità di mano, poi­ché le ugua­glianze for­mali pos­sono es­sere og­getto d’imitazione, ma tutto un com­plesso di ele­menti tec­nici che in­sieme se­gna­lano la ti­pi­cità di una scrittura.

Per quanto sug­ge­stive pos­sano es­sere le so­mi­glianze ri­le­vate tra due gra­fie, esse non sono suf­fi­cienti per di­mo­strare l’identità, oc­corre al­tresì che non esi­stano dif­fe­renze qua­li­ta­tive o, se esi­stono, pos­sano es­sere spie­gate con de­ter­mi­nate cir­co­stanze di fatto.

La forma è l’elemento più fa­cile da imi­tare; dif­fi­cile è la ri­pro­du­zione della di­re­zione, dei rap­porti di­men­sio­nali, della con­ti­nuità scrit­to­ria, della pres­sione, della ve­lo­cità, del li­vello gra­fico e dei det­ta­gli che sfug­gono all’osservatore.
Tali ele­menti sono pre­pon­de­ranti ri­spetto ai dati mor­fo­lo­gici nel bi­lan­cio con­clu­sivo a fa­vore dell’autenticità o dell’apocrifia.

Per ga­ran­tire scien­ti­fi­cità all’accertamento l’esperto in ana­lisi e com­pa­ra­zione di scrit­ture at­tua un ap­proc­cio si­ste­ma­tico, or­ga­niz­zato in un pre­ciso pro­to­collo: l’analisi e la de­ter­mi­na­zione de­gli ele­menti di­stin­tivi delle gra­fie in ve­ri­fica e in com­pa­ra­zione, il suc­ces­sivo raf­fronto e la clas­si­fi­ca­zione og­get­tiva dei dati tec­nici emersi.

Nel caso in esame ho con­si­de­rato il mo­dello cor­sivo ita­liano del 1800, trat­tan­dosi di una gra­fia ap­pa­ren­te­mente ri­fe­rita al noto scrit­tore (n. 07.03.1785 – m. 22.05.1873) e gli stru­menti in uso in quel pe­riodo storico.

Non avendo ac­cesso alla ve­ri­fi­canda e alle au­to­grafe in ori­gi­nale, non ho po­tuto esa­mi­nare e con­fron­tare la pres­sione e il tratto (2).

Note:
2) La pres­sione è il solco più o meno pre­muto la­sciato sul fo­glio dallo stru­mento scrittorio.
Non va con­fusa con il tratto, de­fi­nito come il seg­mento che forma la let­tera o al­tro se­gno, quindi la trac­cia d’inchiostro sul sup­porto cartaceo.

7.4/ Breve descrizione e analisi della dicitura in verifica.

Fi­gura 1: frase in ve­ri­fica de­no­mi­nata Q, evi­den­ziata in rosso.
[im­ma­gine tratta da An­nali Man­zo­niani, II, 2019, p. 285 — ndr]

La frase og­getto del que­sito è pic­cola nel ca­li­bro e pro­lun­gata in basso (di­men­sione [3]), ade­rente all’ipotetica li­nea di base (di­re­zione [4]), in­cli­nata a de­stra, con au­mento dalla terza pa­rola del grado di in­cli­na­zione e con gli assi lon­gi­tu­di­nali delle let­tere “ll” pa­ral­leli (in­cli­na­zione [5]) e le­gata con stac­chi in “d-i”, “tro-vava” e in “opi-ni-oni” (con­ti­nuità [6]).

Il bianco tra pa­role è obli­te­rato dal gramma a fine pa­rola (im­po­sta­zione [7]).

La forma è sem­pli­fi­cata e spo­glia. Gli oc­chielli delle “e” sono cie­chi, gli ovali sono an­ne­riti (“a”, “q” e ul­tima “o”).

La ve­lo­cità [8] di ste­sura è po­sata, il mo­vi­mento è barré, cioè ri­gido e con­trol­lato e l’inclinazione a de­stra non è suf­fi­ciente per con­fe­rire di­na­mi­cità al tracciato.

La frase in esame è ca­rat­te­riz­zata dai se­guenti pic­coli se­gni [9]: la barra della “T” leg­ger­mente con­vessa e il tratto fi­nale on­du­lato che se­gue l’ultima lettera.

Il li­vello gra­fico è me­dia­mente evoluto.

Note:

3) Di­men­sione: va­luta il corpo cen­trale di una gra­fia, privo di aste in­fe­riori e su­pe­riori, per sta­bi­lire il ca­li­bro. Le spe­cie più co­muni sono: pic­cola, molto pic­cola o mi­cro­gra­fia, me­dia, grande, esa­ge­rata o molto grande, bassa, stretta, pro­lun­gata in alto, pro­lun­gata in basso, cre­scente, de­cre­scente, sobria.

4) Di­re­zione: in­dica la tra­iet­to­ria si­ni­stro­gira o de­stro­gira del mo­vi­mento e la te­nuta delle ri­ghe (ret­ti­li­nea, ascen­dente, di­scen­dente, con­cava, con­vessa, si­nuosa, ca­val­cante e danzante).

5) In­cli­na­zione: pie­ga­mento de­gli assi delle let­tere ri­spetto alla li­nea di base, trac­ciata o ipo­te­tica (gra­fia in­cli­nata, cou­chèe, ver­ti­cale, ro­ve­sciata, rad­driz­zata, variabile).

6) Con­ti­nuità: mo­da­lità di col­le­ga­mento tra le let­tere di una pa­rola. La gra­fia può es­sere le­gata, iper­le­gata, stac­cata, rag­grup­pata, rit­mata, omo­ge­nea, fluida, ini­bita, a di­verse andature.

7) Im­po­sta­zione: in­dica la di­stri­bu­zione dello scritto o della firma in una pa­gina, or­di­nata, di­sor­di­nata, ri­gi­da­mente im­po­stata, ti­po­gra­fi­ca­mente im­po­stata, in­su­lare, ariosa, spa­ziata, bu­cata, mer­lata, com­patta, in­tri­cata, ecc.

8) Ve­lo­cità: la ra­pi­dità o la len­tezza del ge­sto gra­fico (lenta, po­sata, ac­ce­le­rata, ra­pida, mo­vi­men­tata, di­na­mo­ge­nica, pre­ci­pi­tata, tu­mul­tuosa, calma, lan­ciata, spon­ta­nea, ral­len­tata, trat­te­nuta, ri­so­luta, ri­la­sciata, ineguale).

9) Pic­coli se­gni: par­ti­co­lari gra­fici ver­gati in­vo­lon­ta­ria­mente che sfug­gono all’attenzione di chi scrive e di co­lui che osserva.

7.5/ Breve descrizione e analisi delle manoscritture autografe.

La gra­fia di Ales­san­dro Man­zoni è ben co­struita nel corpo cen­trale e pro­lun­gata in alto e in basso (di­men­sione), in­cli­nata, or­di­nata, ra­pida e lan­ciata (ve­lo­cità). Il mo­vi­mento del filo gra­fico è dinamico.

Le au­to­grafe esa­mi­nate sono va­ria­bili nella di­re­zione sull’ipotetica li­nea di base (ascen­dente, con­cava, ret­ti­li­nea e mor­bida), nella con­ti­nuità gra­fica (pa­role le­gate, rag­grup­pate e stac­cate) e nella morfografia.
I ca­rat­teri sono pro­tei­formi (si os­servi ad esem­pio la “n”, la “t”, la “p”, la “s” e la “g”).

La gra­fia è ri­com­bi­nata (forme e le­ga­menti fun­zio­nali, agili e ri­creati), ori­gi­nale e al con­tempo man­tiene la chia­rezza, an­che ne­gli scritti ver­gati di getto.

I grammi fi­nali sono anch’essi ca­rat­te­riz­zati da va­ria­bi­lità nella di­re­zione, di­men­sione e forma (brevi e ret­ti­li­nei, curvi, ampi e ri­volti a de­stra ma an­che a si­ni­stra, in alto e in basso). Le barre delle “t” sono ret­ti­li­nee, le­gate basse alla let­tera che se­gue (pic­coli se­gni) e tal­volta leg­ger­mente concave.

Le ma­no­scrit­ture au­to­grafe sono com­plesse e de­no­tano un li­vello gra­fico evoluto.

7.6/ Confronto tra verificanda e comparative.

La frase in ve­ri­fica e le com­pa­ra­tive sono dif­fe­renti nei dati tec­nici di se­guito riepilogati.

Di­men­sione: la zona me­dia è pic­cola in Q, me­dia e strut­tu­rata nelle Kn. La zona
in­fe­riore è mag­gior­mente pro­lun­gata nella frase in ve­ri­fica ri­spetto alle autografe.
I rap­porti di­men­sio­nali sono quindi differenti.

La ve­ri­fi­canda è di­la­tata in oriz­zon­tale men­tre le au­to­grafe sono più com­patte (la di­ver­genza è qua­li­ta­ti­va­mente rilevante).

La “d” in ve­ri­fica ha l’ovale mer­lato (aperto), nelle com­pa­ra­tive è abi­tual­mente chiuso.

Fi­gura 2: dif­fe­renza so­stan­ziale nel ca­li­bro in zona me­dia, nei rap­porti di­men­sio­nali e nello svi­luppo in oriz­zon­tale. Q è “sti­rata” men­tre le K sono com­patte e più costruite.

Fi­gura 3: dif­fe­renza nell’ovale della “d”, mer­lato in Q, chiuso nelle Kn (di­men­sione).

Di­re­zione del gra­fi­smo: la frase in esame è ri­gida e con­trol­lata, al con­tra­rio, le ma­no­scrit­ture au­to­grafe sono ca­rat­te­riz­zate da una evi­dente pro­ie­zione verso de­stra (di­re­zione pro­gres­siva), rap­pre­sen­tata in un am­pio arco temporale.

Ve­lo­cità: Q è po­sata (lenta per ap­pli­ca­zione), le com­pa­ra­tive sono ra­pide e lanciate.

Mo­vi­mento: nella ve­ri­fi­canda è barrè, al con­tra­rio, nelle au­to­grafe è dinamico.

Ritmo: il ritmo gra­fico in Q è poco evo­luto, nelle com­pa­ra­tive è vi­vace e vitale.

Fi­gura 4: so­stan­ziali dif­fe­renze nella di­re­zione, nella ve­lo­cità, nel mo­vi­mento e nel ritmo.

Di­re­zione sul rigo: ade­rente all’ipotetico rigo in Q, più mor­bida e spesso con­cava o ascen­dente nelle comparative.

Fi­gura 5: dif­fe­renza nell’allineamento scrit­tu­rale, ade­rente in Q, più mor­bida, con­cava e ascen­dente nelle Kn.

Forma: Q ha forme sem­pli­fi­cate e spo­glie, al con­tra­rio, le Kn hanno un corpo cen­trale strut­tu­rato e forme ri­com­bi­nate, ori­gi­nali e va­riate nei per­corsi ideativi.

Fi­gura 6: dif­fe­renze nello stile e nella mor­fo­gra­fia, spo­glia in Q, ri­creata e ori­gi­nale nelle Kn.

Pic­coli se­gni: le barre delle “t” nei ma­no­scritti del Man­zoni sono abi­tual­mente ret­ti­li­nee o con­cave, non con­vesse come in Q.

Fi­gura 7: di­ver­genze nella barra della “t”, con­vessa in Q (ovale fuc­sia), con­cava o ret­ti­li­nea nelle au­to­grafe (frecce rosse).

Inol­tre, nelle mi­nute e nelle let­tere ma­no­scritte non vi sono a fine riga li­nee on­du­late a oc­cu­pare lo spa­zio bianco sino al mar­gine de­stro, si­mili a quella che con­clude la frase in verifica.

Fi­gura 8: dif­fe­renza nella li­nea on­du­lata a fine frase in Q (ri­qua­dro rosso), non rap­pre­sen­tata nelle nu­me­rose com­pa­ra­tive esaminate.

Li­vello gra­fico: il li­vello gra­fico delle au­to­grafe è più evo­luto (dif­fe­renza di na­tura so­stan­ziale) di quello os­ser­vato nella frase in verifica.

7.7/ Conclusioni e risposta al quesito.

Nel con­fronto tra la frase in ve­ri­fica e le ma­no­scrit­ture au­to­grafe sono emerse po­che ana­lo­gie nella forma, nella con­ti­nuità e nell’inclinazione a de­stra, quest’ultima con­forme al mo­dello cor­sivo in uso.

Le nu­me­rose dif­fe­renze ri­scon­trate sono qua­li­ta­ti­va­mente ri­le­vanti nel bi­lan­cio con­clu­sivo e non sono spie­ga­bili con par­ti­co­lari cir­co­stanze di fatto, come ad esem­pio, la carta, lo stru­mento scrit­to­rio, l’emozione o l’ambiente circostante.

Q e le Kn de­no­tano inol­tre dif­for­mità sti­li­sti­che e nella forma ge­ne­rale dei grafemi.

Le dif­fe­renze og­get­tive nel ritmo, nel mo­vi­mento, nella ve­lo­cità e nella di­re­zione tra la frase ve­ri­fi­cata e i ma­no­scritti del Man­zoni fanno ra­gio­ne­vol­mente pro­pen­dere per la di­ver­sità di mano.

Il giu­di­zio di apo­cri­fia è con­fer­mato al­tresì dalle di­scor­danze nel ca­li­bro, nel li­vello gra­fo­mo­to­rio e nei pic­coli segni.

Ri­ser­van­domi l’esame dei ma­no­scritti in ori­gi­nale per l’analisi del tratto e della pres­sione, per tutto quanto pre­ce­den­te­mente illustrato,

ritengo probabile [10] che la frase oggetto del quesito non sia stata vergata dal noto scrittore Alessandro Manzoni.

Asola – Mi­lano, lì 17.09.2021

Il con­su­lente Tecnico

10) Bruno Vet­to­razzo scrive che “è pre­fe­ri­bile espri­mere il li­vello di cer­tezza, po­si­tivo o ne­ga­tivo, non in ter­mini per­cen­tuali ma se­condo una scala ri­stretta di va­lori: cer­tezza, alta pro­ba­bi­lità, bassa pro­ba­bi­lità, pos­si­bi­lità e im­pos­si­bi­lità con­clu­siva” (pag. 137).

Vet­to­razzo B. – Me­to­do­lo­gia della pe­ri­zia gra­fica su base gra­fo­lo­gica – Mi­lano – Giuf­frè 1998.

7.8/ Nostre considerazioni sul “Parere pro Veritate” della dottoressa Marialuisa Iarussi.

Non ab­biamo molto da ag­giun­gere a quanto espresso dal pe­rito gra­fo­logo dot­to­ressa Ia­russi, se non che con­ferma, sotto un di­verso pro­filo, la con­vin­zione da noi già ma­ni­fe­stata circa la non at­ten­di­bi­lità di una at­tri­bu­zione alla mano di Man­zoni di quella ano­dina fra­setta alla carta 47r del «Ma­no­scritto Lecco 170».

Na­tu­ral­mente la va­lu­ta­zione di un esperto non può e non deve es­sere vi­sta come un as­so­luto su cui non po­tere espri­mere una di­versa posizione.

Rin­no­viamo per­tanto l’invito alla Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia a ren­dere pub­blica la “pe­ri­zia gra­fica” da lei as­se­rita es­sere stata rea­liz­zata a con­va­lida della sua tesi se­condo cui, in­vece, quella fra­setta deve es­ser con­si­de­rata au­to­grafa di Manzoni.

Siamo certi che il no­stro pe­rito di parte, la dot­to­ressa Ia­russi, non si sot­trarrà ad al­cun tipo di con­fronto e ne sarà anzi felice.

Va da sé che, per po­tere ag­giun­gere ele­menti di cer­tezza a una ul­te­riore even­tuale va­lu­ta­zione, sarà ne­ces­sa­rio po­tere avere ac­cesso all’originale del «Ma­no­scritto Lecco 170».
Siamo certi che il Co­mune di Lecco e il Mu­seo Man­zo­niano della città sa­pranno co­gliere l’opportunità, of­ferta da que­sto con­fronto, per dare un esem­pio di come debba es­sere in­tesa la ri­cerca della ve­rità sto­rica (quan­to­meno quella che è pos­si­bile co­gliere nel no­stro tempo attuale).

La no­stra Nota pro­se­gue ora con la sua ul­tima Se­zione, de­di­cata al tema “Prime mi­nute a con­fronto”.

8. “prime minute” a confronto.

8.1/ Una solo vantata fedeltà di trama.

Nelle se­zioni pre­ce­denti ab­biamo messo in luce la pre­oc­cu­pante su­per­fi­cia­lità con cui sono stati af­fron­tati al­cuni aspetti re­la­tivi al «Ma­no­scritto Lecco 170» e, in par­ti­co­lare, all’Epilogo “Gli Sposi pro­messi” che ne co­sti­tui­sce la prima sezione:

a/ la di­sa­strosa tra­scri­zione di­plo­ma­tica del ma­no­scritto stesso ha ri­dotto Paola Ita­lia a com­men­tare an­che sul nulla quando non su dati per­fet­ta­mente fasulli;

b/ la su­per­fi­cia­lità dell’analisi del ma­no­scritto con le di­verse ce­cità (per es. sull’alterazione della nu­me­ra­zione delle pa­gine) mette in non cale le con­vin­zioni espresse dalla studiosa;

c/ la sup­po­sta au­to­gra­fia man­zo­niana della fra­setta alla carta 47r, ba­sata su una ine­vi­ta­bil­mente ri­si­bile pe­ri­zia “a oc­chio”, pone evi­den­te­mente una se­ris­sima ipo­teca a tutta la co­stru­zione cri­tica cal­deg­giata dalla stessa Paola Ita­lia e so­dali nell’operazione: ap­pare chiaro a chiun­que che se Man­zoni non ha mai scritto quelle sei pa­role su quel fa­sci­co­letto è de­ci­sa­mente im­pro­ba­bile che lo ab­bia vi­sto o ne ab­bia mai avuto al­cun sen­tore, men­tre ap­pare pro­ba­bi­lis­simo che il fa­sci­co­letto stesso sia stato re­datto e com­po­sto in tutt’altri mo­menti da quelli ipo­tiz­zati — ma­gari più di mezzo se­colo dopo la morte di Manzoni.

Ora, in que­sta ul­tima se­zione, an­diamo a ve­ri­fi­care — do­cu­menti alla mano — se e in che modo l’Epilogo “Gli Sposi pro­messi” è da con­si­de­rarsi fe­dele o meno alla “Prima Minuta”.

Di­ciamo su­bito che — co­mun­que — si tratta di una fe­deltà alla Don Gio­vanni, e ciò per due macro-ragioni:

la prima è che nell’Epilogo è ac­cu­ra­ta­mente igno­rata l’intera in­te­la­ia­tura de­scrit­tiva / ri­fles­siva del ro­manzo, po­ten­do­visi rin­trac­ciare ri­fe­ri­menti alla sua sola di­men­sione pu­ra­mente narrativa;

la se­conda è che gli stessi ri­fe­ri­menti alla sola di­men­sione ba­nal­mente nar­ra­tiva sono in ben 23 si­tua­zioni dif­formi dalla Prima Minuta.

Diamo su­bito inol­tre al­cune al­tre informazioni:

CINQUE di que­ste 23 dif­for­mità dalla “Prima Mi­nuta” sono coe­renti con le suc­ces­sive ste­sure del ro­manzo (“Se­conda Mi­nuta”, “I Pro­messi Sposi” editi nel 1827): come noto Man­zoni ap­portò nu­me­rose va­rianti tra la “Prima Mi­nuta” — da lui mai resa pub­blica — e la ela­bo­ra­zione data alle stampe nel 1825-27);

DICIOTTO sono in­vece, per così dire, “ori­gi­nali” e non tro­vano ri­scon­tro in do­cu­menti di mano manzoniana.
Di que­ste di­ciotto so­lu­zioni “ori­gi­nali”, quat­tro non hanno al­cun ri­scon­tro con il mondo man­zo­niano ma — cosa ve­ra­mente cu­riosa — sono coe­renti con la ri­du­zione che del ro­manzo di Man­zoni fece il re­gi­sta Ma­rio Ca­me­rini nel suo film “I Pro­messi Sposi” del 1941.
Sì! avete letto bene! Non è una no­stra bat­tuta: leg­gere e guar­dare per credere!

Per av­va­lo­rare la no­stra tesi, ci ri­fac­ciamo ai testi:

— della “Prima Mi­nuta”, nel 2006 pub­bli­cata con il ti­tolo “Fermo e Lu­cia”, gra­zie al la­voro an­che di due ben note e sti­mate fi­lo­lo­ghe man­zo­ni­ste: la stessa Paola Ita­lia e Giu­lia Raboni;
— della “Se­conda Mi­nuta”, nel 2012 pub­bli­cata an­che con il so­stan­ziale con­tri­buto di Giu­lia Ra­boni, che con­di­vide in toto le tesi di Paola Ita­lia in me­rito al «Ma­no­scritto Lecco 170».

Nel se­guire que­sta ul­tima parte della no­stra espo­si­zione — in ve­rità il suo nu­cleo meno im­me­dia­ta­mente evi­dente — chie­diamo al let­tore di con­si­de­rare con una certa at­ten­zione al­cuni ca­pi­to­letti in­tro­dut­tivi con i quali toc­chiamo que­stioni di me­todo (non ir­ri­le­vanti ai fini di una cor­retta com­pren­sione del no­stro per­corso espo­si­tivo) o diamo in­for­ma­zioni di ca­rat­tere cri­tico sto­rico, forse non per­fet­ta­mente pre­senti a molti lettori.

8.2 / “Compendio” di Paola Italia versus “epilogo” del Manoscritto.

A pro­po­sito della de­fi­ni­zione di cosa siano le prime 40 pa­gine del «Ma­no­scritto Lecco 170», Paola Ita­lia com­pie una cu­riosa operazione.

In prima pa­gina il «Ma­no­scritto Lecco 170» reca come sot­to­ti­tolo “Sto­ria mi­la­nese epi­lo­gata”.
Viene cioè in­di­cato con pre­ci­sione ciò che il suo esten­sore aveva in­teso pro­porre al let­tore: un “epi­logo”.

Osten­ta­ta­mente, in­vece, nei suoi due studi sul ma­no­scritto, Paola Ita­lia non usa mai il ter­mine “epi­logo”.
Per quasi trenta volte, e nelle sue va­rie de­cli­na­zioni, la Prof. uti­lizza in­vece il ter­mine “Com­pen­dio” (con la “C” ma­iu­scola), senza mo­ti­vare il per­ché di que­sta scelta, an­ni­chi­lente del dato di fatto documentale.

In modo in­con­fu­ta­bile, in­fatti, “com­pen­dio” ed “epi­logo” non sono per nulla sinonimi.

8.3/ “Epilogo”.

Il ter­mine “epi­logo” ha as­sunto nel tempo di­versi si­gni­fi­cati ma sem­pre coe­renti con la sua etimologia.

Per ri­ma­nere nell’ambito tem­po­rale di Man­zoni, ve­dia­mone una de­fi­ni­zione di Ni­colò Tommaseo:

«[T.] S. m. Dal gr. ̓Επὶ, Λέγω; aveva senso più ge­ne­rale ai La­tini che a noi; e a’ Greci, an­cora più ge­ne­rale. Il verbo va­leva e Dir poi, e Dire di più; Sce­gliere, e Ri­pen­sare, e Com­pu­tare, e Im­pu­tare; Epi­logo va­leva anco Rassegna.
Ci­ce­rone gli dá il senso di pe­ro­ra­zione da muo­vere gli affetti.
A noi è il Rac­co­gliere, alla fine d’un di­scorso o d’una parte di quello, i fatti e le prove, fa­cen­done ras­se­gna, ma con iscelta e ra­gio­na­mento, se­condo l’origine greca».

Epi­logo può in­di­care an­che la con­clu­sione di un di­scorso, di uno scritto, di una rap­pre­sen­ta­zione tea­trale, ecc. ecc., come ri­corda an­cora Tommaseo:

«3. T. Nel tea­tro an­tico, Epi­logo, Le pa­role dell’autore agli spet­ta­tori nella fine del dramma co­mico o tra­gico. Gl’Inglesi l’usano tuttavia.»

In que­sta ul­tima ac­ce­zione, con l’epilogo l’autore o:
— tira le con­clu­sioni “mo­rali” dell’opera (al caso, di­fen­den­dola in an­ti­cipo dalle cri­ti­che), oppure …
— si con­geda dal pub­blico con bat­tute spiritose.

Su que­sta trac­cia, ma in al­tro con­te­sto, an­cora Tommaseo:

« L’Amen, o Così sia è con­clu­sione delle cri­stiane pre­ghiere; con­clu­sione che le epi­loga in una, e dá loro il sug­gello della ferma speranza.»

Rias­su­mendo: per i clas­sici, e an­che oggi, “epi­logo” non è mai il mero “rias­sunto” di un te­sto ma se ne può di­sco­stare in fun­zione de­li­be­ra­ta­mente orien­ta­tiva se non an­che suggestiva.

Come ve­dremo me­glio più avanti, l’Epi­logo” pro­po­sto nel «Ma­no­scritto Lecco 170» è pro­prio tutto tranne che un “epi­logo” nelle ac­ce­zioni so­pra indicate.

Per il mo­mento ci li­mi­tiamo a se­gna­lare che il suo esten­sore ha co­mun­que scelto di uti­liz­zare que­sto ter­mine a in­di­care il suo la­voro e che, sul piano dell’analisi cri­tica, non è molto sen­sato cam­biare la carte in ta­vola come ha fatto, in­fluendo sui suoi let­tori in modo ine­vi­ta­bil­mente sug­ge­stivo, la Pro­fes­so­ressa Paola Italia.

8.4/ “Compendio”.

Ha in­vece tutto un al­tro si­gni­fi­cato, come bene in evi­denza nella sua eti­mo­lo­gia, per esem­pio, an­cora da Tommaseo:

«[T.] S. m. Di­scorso che rac­co­glie in poco il va­lore in­trin­seco di di­scorso più lungo. L’aureo lat., per l’orig. Pendo, aveva senso più gen. Gua­da­gno di ri­spar­mii: e l’uso trasl., che no­tiamo per primo, ha ra­gione in que­sto, che il ri­spar­mio di pa­role e di tempo è de’ più veri guadagni. […]
T. Fare, Scri­vere, Stam­pare un Com­pen­dio. Po­trebbe anco dirsi Com­porlo; ed è tra le com­po­si­zioni più dif­fi­cili e più pro­fi­cue se buono.»

e quindi:

«Com­pen­dio delle Re­gole de’ Trian­goli, con le loro di­mo­stra­zioni. Bo­lo­gna, Monti, 1638, in-12°.»

e an­cora:

«Com­pen­dio d’un Trat­tato ele­men­tare di Chi­mica, di Giu­seppe Gaz­zeri. Fi­renze, Piatti, 1833, vol. 2, in-8°.»

Non c’è bi­so­gno di ag­giun­gere al­tro: “com­pen­dio“, oggi come per i no­stri bi­snonni, esprime la espo­si­zione fe­dele, e pos­si­bil­mente di buon li­vello, di un’opera, ma in forma abbreviata.
Chi com­pen­dia può even­tual­mente sfron­dare l’originale da esempi, ecc. ma pre­ser­van­done fe­del­mente la struttura.

Il “com­pen­dio” cioè né to­glie al­cun­ché di strut­tu­rale al te­sto di ri­fe­ri­mento né ag­giunge al­cun­ché di nuovo — a netta dif­fe­renza dall’ “epi­logo” che in­vece ela­bora l’originale e ne sug­ge­ri­sce an­che al­tro, lì non indicato.

Tor­nando a noi, in sede di ri­fles­sione cri­tica po­tremmo na­tu­ral­mente con­si­de­rare se la no­stra “sto­ria mi­la­nese”, con­ser­vata a Lecco, è ef­fet­ti­va­mente “epi­lo­gata”, come di­chia­rato dal suo au­tore, op­pure “com­pen­diata”, come im­po­sto da Paola Italia.
Ve­dremo più sotto come que­sto “coso” non è né un “epi­logo” né tanto meno un “com­pen­dio”.

Non è epi­logo per­ché privo di una qual­si­vo­glia ri­fles­sione o “mo­rale” o sug­ge­stione o qual­siasi al­tra cosa vi venga in mente come “al­tro dal di­scorso”, come in­dica il suo nome.

Non è “com­pen­dio” per­ché della “Prima Mi­nuta” di Man­zoni tiene — e quanto ma­la­mente e par­zial­mente! — solo ed esclu­si­va­mente al­cuni ele­menti della trac­cia nar­ra­tiva, cen­su­rando TUTTE le parti del ro­manzo nelle quali l’autore volle tra­smet­tere al let­tore la pro­pria vi­sione del mondo, delle re­la­zioni so­ciali e umane, delle mo­ti­va­zioni dell’agire umano sia alla scala col­let­tiva che individuale.
Quelle parti cioè che co­sti­tui­scono la ra­gion d’essere di qual­siasi com­po­si­zione ar­ti­stica e culturale.

Sotto que­sto pro­filo l’Epi­logo del «Ma­no­scritto Lecco 170» po­trebbe es­sere con­si­de­rato un pro­me­mo­ria, una sca­letta, stesa per chissà quale occasione.
Tutt’al più po­trebbe es­sere pa­ra­go­nato a quei som­ma­rietti dei vari ca­pi­toli che (an­che nell’Ottocento) ve­ni­vano po­sti a ini­zio vo­lume per at­trarne il po­ten­ziale acquirente.

Ma pas­siamo a un al­tro tema.

8.5/ Più di un secolo di “Prima Minuta” e dintorni: 1905-2012.

Per­ché il let­tore possa ri­tro­varsi nelle molte ci­ta­zioni di “prima mi­nuta”, “se­conda mi­nuta”, “Fermo e Lu­cia”, “Sposi pro­messi”, “I Pro­messi Sposi”, che se­gui­ranno in que­sta no­stra Nota, è op­por­tuno fare un breve rie­pi­logo delle tappe at­tra­verso cui la cri­tica ha ana­liz­zato ge­nesi e scrit­tura del ro­manzo di Man­zoni in ol­tre un se­colo di studi.

Come noto, la “Prima Mi­nuta” del ro­manzo di Man­zoni, dal me­de­simo non venne mai né ti­to­lata, né resa pub­blica, né tanto meno stam­pata: nel suo am­bito a essa si fa­ceva ri­fe­ri­mento sem­pli­ce­mente come “prima mi­nuta” o “prima stesura”.

Le carte ma­no­scritte lungo le quali si di­panò la com­plessa ste­sura del ro­manzo ri­ma­sero fino alla morte di Man­zoni nella sua esclu­siva di­spo­ni­bi­lità, vi­ste e lette solo da un ri­stret­tis­simo gruppo di pa­renti e amici/ col­la­bo­ra­tori dello scrittore.

Alla morte di Man­zoni (mag­gio 1873), or­di­nate da Gio­vanni Rizzi, Na­tale Ce­roli e Vi­sconti Ve­no­sta, ven­nero con­sul­tate da non molti stu­diosi (per esem­pio l’Abate Stop­pani, gra­zie all’entratura di Na­tale Ce­roli e alla li­be­ra­lità di Vit­to­rina Bram­billa potè con­sul­tare i ma­no­scritti di Man­zoni e lì rin­venne quel “Na­tale del 1833” che egli rese pub­blico per la prima volta nel suo “I primi anni di A. Man­zoni” del 1874).

Per quanto ri­guarda la “prima mi­nuta”, solo nel 1905 Gio­vanni Sforza ne ri­portò i brani che egli de­finì “sop­pressi o ri­fatti nella se­conda”, stam­pan­doli con l’editore Hoe­pli col ti­tolo “Brani ine­diti dei Pro­messi Sposi”.

Il la­voro di Sforza venne ac­colto con ri­serva da­gli stu­diosi che non ne ap­prez­za­rono la scarsa at­ten­zione filologica.
Venne però molto letto dal pub­blico ed è gra­zie a que­sta edi­zione del 1905 che di­ven­nero fa­mi­liari i nomi di “Fermo”, co­no­sciuto fino ad al­lora esclu­si­va­mente come “Renzo”, e del “Conte del Sa­grato”, già noto come “l’innominato”; che si co­nobbe la parte ero­tico-cri­mi­nale della vi­cenda della Si­gnora di Monza, for­te­mente ri­di­men­sio­nata ne “I Pro­messi Sposi”.

Nel 1905 il pub­blico, cioè, non aveva an­cora un qua­dro or­ga­nico della “prima mi­nuta” ma non ne era af­fatto all’oscuro ed era anzi cu­rioso di sa­perne di più, sti­mo­lando così gli stu­diosi a darsi da fare.

8.6/ In oltre un secolo, sostanziale identità nel testo.

Una do­manda che le­git­ti­ma­mente può porsi ogni let­tore è se tra il te­sto della prima pub­bli­ca­zione della “prima mi­nuta” di Le­sca del 1916 (ti­tolo, “Gli Sposi pro­messi”) e quello dell’ultima del 2006 di Colli, Ita­lia, Ra­boni (ti­tolo, “Fermo e Lu­cia”) vi sono dif­fe­renze strut­tu­rali o se le even­tuali va­rianti sono si­gni­fi­ca­tive solo sul piano fi­lo­lo­gico (im­por­tan­tis­simo, si intende).

Giu­sto per ras­si­cu­rare il let­tore (pen­sie­roso forse per i 140,00 Euro di co­sto di co­per­tina dell’ultima edi­zione del 2006), se­gna­liamo che il te­sto fis­sato da Le­sca (di­spo­ni­bile gra­tui­ta­mente su In­ter­net) è ri­ma­sto so­stan­zial­mente in­va­riato nelle edi­zioni suc­ces­sive, con­dotte con cri­teri fi­lo­lo­gici si­cu­ra­mente più rigorosi.

Tra i di­versi com­men­ta­tori vi sono na­tu­ral­mente state di­scus­sioni — an­che se­rie, an­che im­por­tanti — su que­sta o quella pa­rola; su dis­so­nanze, più o meno si­gni­fi­ca­tive, per es. circa la cro­no­lo­gia della com­po­si­zione della “prima” e della “se­conda” Introduzione.
Per quanto at­tiene però la suc­ces­sione delle parti nar­ra­tive, de­scrit­tive, dia­lo­gi­che e ri­fles­sive tra gli esperti c’è da sem­pre una so­stan­ziale unità di giu­di­zio — ai no­stri fini an­che il te­sto di Le­sca è più che valido.

Na­tu­ral­mente gli esperti po­tranno tac­ciarci di su­per­fi­cia­lità e re­dar­guirci: voi del Cen­tro Studi di quell’Abate Stop­pani ci date l’impressione di sot­to­va­lu­tare il la­voro che si è svolto in ol­tre un se­colo di oc­chi con­su­mati sulle carte e di im­piego diu­turno di cer­velli si­cu­ra­mente molto efficienti.
Sa­remo lie­tis­simi di es­sere re­dar­guiti — ma nulla di più lon­tano in noi dal sot­to­va­lu­tare il la­voro de­gli esperti.

Se­gna­liamo anzi che sa­rebbe utile po­tere di­sporre di un qual­che stu­dio, ri­volto al pub­blico dei “nor­mali let­tori”, de­di­cato pro­prio al gran la­voro fatto nel pas­sag­gio delle va­rie edi­zioni, dal Le­sca 1916 al Colli-Ita­lia-Ra­boni del 2006.

(Qui sotto, da si­ni­stra, Gio­vanni Sforza, Giu­seppe Le­sca, Fau­sto Ghi­sal­berti, Sil­vano Ni­gro, Bar­bara Colli, Giu­lia Ra­boni, Paola Ita­lia.)

Ciò detto per la cro­naca pas­sata, pos­siamo pas­sare all’oggetto della no­stra ana­lisi, rias­su­mi­bile nella do­manda: l’Epilogo la rac­conta in modo fe­dele alla “Prima Mi­nuta” di Man­zoni o no?

— Paola Italia assicura che sì.
— Noi sosteniamo che no! E nel modo più assoluto.

Come già an­ti­ci­pato, l’Epilogo, in­fatti, non solo ta­glia ta­glia e ta­glia il grande arazzo del po­vero Man­zoni ma quel poco che ri­porta della trama, in ben 23 si­tua­zioni nar­ra­tive lo fa in modo dif­forme dalla “Prima Mi­nuta” di Don Li­san­der quando non ad­di­rit­tura OPPOSITIVE.
Leg­gere per credere!

9. Trame e censure.

9.1/ Conformità di struttura e di trama? Proprio per niente!

Come è or­mai ben chiaro al let­tore, alla base della “ri­vo­lu­zione” nella cri­tica man­zo­niana, pro­po­sta da Paola Ita­lia con l’iniziativa “Gli Sposi pro­messi su In­ter­net”, è l’idea che l’Epilogo “Gli Sposi pro­messi”, con­te­nuto nel «Ma­no­scritto Lecco 170», sia una ri­pro­po­si­zione “ri­dotta”, “rias­sunta”, “com­pen­diata” ma co­mun­que “fe­dele” della “Prima Mi­nuta” di Man­zoni qual era PRIMA che a fine 1823 Man­zoni ci met­tesse le mani per tra­sfor­marla nel te­sto che poi pub­blicò nel 1827 con il ti­tolo “I Pro­messi Sposi”.

Per la ve­rità, circa la qua­lità di que­sta sup­po­sta “fe­deltà” dell’Epilogo alla “Prima Mi­nuta”, Paola Ita­lia sta ab­ba­stanza sulle generali.

Dopo averci me­ri­to­ria­mente se­gna­lato che la di­vi­sione de­gli ar­go­menti tra le 4 parti dell’Epilogo è dif­fe­rente da quella della “Prima Mi­nuta”, la Pro­fes­so­ressa Ita­lia si li­mita in­fatti a dirci che (“Gli Sposi pro­messi”, 2018, p. 143):

«la pre­senza di det­ta­gli ono­ma­stici e to­po­no­ma­stici pre­ci­pui della prima ste­sura e la coe­renza della trama […], con­forme alla strut­tura ori­gi­na­ria che, come è noto, pre­sen­tava le vi­cende del ra­pi­mento di Lu­cia e della con­ver­sione del Conte del Sa­grato prima di quelle di Fermo, an­ti­ci­pate, a par­tire dalla re­vi­sione della Se­conda mi­nuta e poi nella Ven­ti­set­tana al ca­pi­tolo XI, di­ve­nuto così il cen­tro di smi­sta­mento di tutta la com­plessa mac­china narrativa».

Op­pure che (idem, p. 147):

«Al­cuni par­ti­co­lari della trama, pe­cu­liari di FL, mo­strano una di­retta di­pen­denza dall’originale. Il pat­teg­gia­mento per il ra­pi­mento di Lu­cia tra Don Ro­drigo e il Conte del Sa­grato, ad esem­pio, è di “due­cento dop­pie”, ele­mento che in SP cade […] E an­cora: […] in par­ti­co­lare la vi­sita del Conte ad Agnese, le scuse e la con­se­gna del danaro.»

O an­cora (idem):

«Al­cuni par­ti­co­lari, nei ca­pi­toli della parte IV, sono di di­retta de­ri­va­zione da FL, come la pre­sen­ta­zione delle false no­ti­zie, pro­ve­nienti dalla “Corte di Ma­drid”, sulle mo­da­lità di pro­pa­ga­zione della peste».

Come il let­tore può ab­ba­stanza age­vol­mente ri­le­vare, Paola Ita­lia, più che di­mo­strarci la “fe­deltà” dell’Epilogo alla “Prima Mi­nuta”, si li­mita a in­di­carne al­cuni punti di con­tatto, il che è evi­den­te­mente al­tra cosa.

Ciò fa pen­sare: dal mo­mento che Paola Ita­lia so­stiene es­sere stato Man­zoni non solo a co­no­scenza ma ad­di­rit­tura mal­le­va­dore di quell’Epilogo (che la Prof. si ostina a de­fi­nire “Com­pen­dio”), è certo utile ve­ri­fi­care se e in che mi­sura l’Epilogo è fe­dele alla “Prima Mi­nuta” e se nella sua strut­tura (la trama) po­teva ri­co­no­scersi Manzoni.

Di­cia­mone noi qual­che cosa.

9.2/ L’Epilogo considera esclusivamente le parti narrative. E anche queste, grossolanamente.

Per farci una prima idea, pos­siamo ve­dere come l’Epilogatore ha pro­ce­duto nella sua ri­du­zione del Tomo 1, Cap. 1.
Nella edi­zione del 2006 (cu­rata an­che da Paola Ita­lia) que­sto ca­pi­tolo oc­cupa 12 pa­gine per 5.090 pa­role, con una me­dia di 424 pa­role a pagina.
Nell’Epilogo il con­te­nuto di que­ste 5.090 pa­role è pro­po­sto rias­sunto in 65 pa­role, pari al 1,28% dell’originale (1 pa­rola dell’Epilogo ne rias­sume 78 di Manzoni).

Il let­tore non si af­fligga per que­sta con­ta­mi­na­zione tra let­te­ra­tura e nu­meri: con­si­deri che spesso an­che le ta­bel­line delle ele­men­tari pos­sono aiu­tare a chia­rirsi le idee.

Come sa be­nis­simo chiun­que ci ab­bia pro­vato al­meno una volta, il rias­sunto (an­cor più un “com­pen­dio”) ap­pena ap­pena fe­dele di un te­sto com­plesso come quello del ro­manzo di Man­zoni, ri­chiede un im­piego di pa­role più o meno del 10% ri­spetto all’originale (ri­cor­diamo che il “com­pen­dio”, per es­sere tale, deve quanto meno ri­chia­mare tutti gli ele­menti dell’originale, al­tri­menti bi­so­gna par­lare di “scelta”, di “cer­nita” — o di “cen­sura”).
Con que­sto cri­te­rio, per com­pen­diare il Cap. 1 della “Prima Mi­nuta” di Man­zoni, l’Epilogatore del «Ma­no­scritto Lecco 170» avrebbe do­vuto uti­liz­zare più o meno 510 pa­role.

In­vece ne ha usate 65!
Il let­tore si chie­derà: ma come ha fatto il no­stro sco­no­sciuto Epi­lo­ga­tore per riu­scire in co­tanta im­presa? Era egli un Mago?

Si pos­sono forse dare più ri­spo­ste: la più sem­plice, ve­ri­tiera e ve­ri­fi­ca­bile da chiun­que, è che della “Prima Mi­nuta” di Man­zoni il no­stro Epi­lo­ga­tore ha fatto come i beccai:
— ha messo il Ca­pi­tolo 1 sul suo ta­volo di lavoro;
— con un ben af­fi­lato man­na­rino lo ha fatto a pezzi;
— fa­cendo ciò che nes­sun cen­sore au­stria­cante aveva osato con Man­zoni, ha te­nuto quel poco che gli fa­ceva co­modo, dando il re­sto ai cani.

Ma ve­diamo il beccaio/censore al la­voro co­min­ciando col ri­por­tare le sue 65 pa­role con cui ha in­teso “com­pen­diare” il Ca­pi­tolo 1 della “Prima Mi­nuta” manzoniana:

Epi­logo “Gli Sposi pro­messi” — carta 2r:
«Cor­reva l’anno 1628., quando due gio­vani per­sone d’una terra presso Lecco, di bassa con­di­zione, do­ve­vano all’indomani pre­sen­tarsi al Pa­roco D. Abon­dio per la ce­le­bra­zione del loro matrimonio.
In que­sto mezzo, verso la sera pre­ce­dente, D. Abon­dio, men­tre pas­seg­giava lungo il lago re­ci­tando il Bre­via­rio, s’incontra in due Bravi, che bru­sca­mente lo in­ve­stono, e lo mi­nac­ciano di peg­gio, se as­si­sta a quel matrimonio.
Il Cu­rato s’intimorisce […]»

Come può com­pren­dere a colpo d’occhio an­che il let­tore più di­stratto (che lo ab­bia, però, al­meno una volta scorso), que­ste 65 pa­role dell’Epilogatore sono tutto tranne che un “Com­pen­dio” del Ca­pi­tolo 1 della “Prima Mi­nuta” di Manzoni).

A vo­lere es­sere ge­ne­rosi pos­sono forse es­sere con­si­de­rate come la rap­pre­sen­ta­zione (par­ziale) di una delle cin­que se­quenze nar­ra­tive in cui è ideal­mente pos­si­bile di­vi­dere il Cap. 1 della “Prima Minuta”.
A vo­lere es­sere an­che solo og­get­tivi sono in­vece una “cen­sura” pe­san­tis­sima del come Man­zoni ab­bia in­teso av­viare il suo romanzo.
In ogni caso la no­stra va­lu­ta­zione è cer­ta­mente non molto be­ne­vola: ci sem­bra pro­prio che l’Epilogo possa es­sere con­si­de­rato tutto tranne che un te­sto che Man­zoni avrebbe po­tuto in qual­che modo ap­prez­zare.

Dal mo­mento però che siamo abi­tuati a di­mo­strare con dati con­di­vi­si­bili ciò che af­fer­miamo, chie­diamo al let­tore di se­guirci un po­chino nel det­ta­glio, per com­pren­dere che non stiamo par­lando sulla base di pre­giu­dizi ma solo a par­tire da una sem­plice os­ser­va­zione del dato di fatto.

9.3/ Cinque parti costitutive del Capitolo 1 della “Prima Minuta”.

Per com­pren­dere a ra­gion ve­duta il ca­rat­tere della cen­sura ope­rata dall’Epilogatore sulla “Prima Mi­nuta” di Man­zoni, ne ab­biamo preso il Ca­pi­tolo 1 (in Man­zoni, 5.085 pa­role) e lo ab­biamo ri­par­tito in 5 “se­quenze” con­cet­tuali da cui ab­biamo tratto un no­stro rias­sunto (o “com­pen­dio” se vi piace di più), per un to­tale di 564 pa­role (poco più di quel 10% di cui si diceva).

Va da sé che il no­stro rias­sunto non ha al­cuna pre­tesa ar­ti­stica: è sem­pli­ce­mente strut­tu­rato per­ché ri­prenda TUTTI gli ele­menti del Ca­pi­tolo (ov­via­mente svi­lup­pati in tutt’altro modo da Man­zoni) a mo­strare come avrebbe po­tuto / do­vuto es­sere ar­ti­co­lato l’Epilogo se fosse stato con­ce­pito (e rea­liz­zato) come una vera ri­du­zione fe­dele della “Prima Mi­nuta”, come so­ste­nuto da Paola Ita­lia e so­dali — ri­cor­diamo che stiamo di­scu­tendo su que­sto aspetto.

Sequenza 01.
I luoghi in cui nasce il romanzo.

In Man­zoni, 1.212 pa­role (no­stre, 147) — L’Autore de­scrive quel ramo del lago di Como da cui esce l’Adda che sotto il ponte, nel suo punto più stretto, ha un dop­pio ri­suo­nare. A si­ni­stra, da tre tor­renti la ri­viera è stata ri­dotta a piano e, dall’uomo, a prati e vi­gneti; sa­lendo trovi ulivi; ca­sta­gni; poi massi e pa­scoli ver­dis­simi; poi an­cora, vigneti.
Dal lago alla nuda mon­ta­gna, case e vil­laggi, il prin­ci­pale dei quali è Lecco, un borgo con ca­stello e guar­ni­gione spagnola.
Molte le stra­dic­ciuole: dalla ri­viera ve n’è una che tira al monte tra muri e siepi; vi si ve­dono vette o ampi oriz­zonti: a set­ten­trione l’acqua si fonde in az­zurro col cielo; a mez­zo­giorno, l’Adda, ri­di­ven­tato lago e poi an­cora fiume, scorre nella lon­tana pia­nura; ol­tre il ponte, il Monte Barro e la sua piana: per l’Autore “è uno dei paesi più belli del mondo”, aven­dovi pas­sato in­fan­zia, pue­ri­zia e giovinezza.

Sequenza 02.
I Bravi di Don Rodrigo fermano Don Abbondio.

In Man­zoni, 891 pa­role (no­stre, 100) — Su quella stra­dic­ciuola nell’autunno 1628, pas­seg­giava il Cu­rato di *** di­cendo l’ufizio; le mani al bre­via­rio, l’occhio alle cime im­por­po­rate dal tramonto.
A una ri­volta (vi era una cap­pel­letta di­pinta con fi­gure del pur­ga­to­rio) di­stin­gue, uno in piedi, l’altro se­duto sul mu­ric­ciolo, due uo­mini ina­spet­tati ma ri­co­no­sci­bi­lis­simi. Re­ti­cella in capo; pi­stole, car­tucce, corno di pol­vere al collo, col­tel­lac­cio e spada: due Bravi.
Di evi­denza aspet­ta­vano pro­prio lui, il Cu­rato; que­sti, fin­gendo let­tura, pensa a ini­mi­ci­zie tra­scu­rate e se vi è una via di fuga; l’indice al col­lare guarda di lato e die­tro: nes­suno. Cer­cando di sor­ri­dere, si av­vi­cina ai due.

Sequenza 03.
Ordine minaccioso dei Bravi. Servile assenso del Curato.

In Man­zoni, 384 pa­role (no­stre, 53) — Bravi: il ma­tri­mo­nio tra Fermo Spo­lino e Lu­cia Za­rella non si farà né do­mani né mai, altrimenti …
— io non c’entro …
— è av­vi­sato; il no­stro pa­drone D. Ro­drigo la ri­ve­ri­sce, ma zitto! Altrimenti …
— sem­pre di­spo­sto all’obbedienza …
I Bravi si al­lon­ta­nano in­to­nando una can­zo­nac­cia; il Cu­rato, scon­volto, rien­tra alla pro­pria casa.

Sequenza 04.
La condizione della società e del Clero. Opportunismo di Don Abbondio.

In Man­zoni, 1.598 pa­role (no­stre, 165) — Con­tro la dif­fusa vio­lenza, l’Autore ri­corda nu­me­rose “grida” (che non ri­porta): fonte di ar­bi­trio per gli one­sti e inu­tili con­tro i di­so­ne­sti per i tanti birri e giu­dici loro conniventi.
Tutta la so­cietà era so­spet­tosa e in armi, or­ga­niz­zata in con­fra­ter­nite per la di­fesa e l’offesa. Te­ne­vano alle pro­prie im­mu­nità gli ec­cle­sia­stici am­bi­ziosi, vio­lenti, avari ma an­che i buoni e pii, a ciò in­dotti dalla con­di­zione ge­ne­rale; quindi tri­bu­nali del clero e la forza per ese­guirne gli ordini.
A que­sto male tutto con­ta­mi­nante, Ab­bon­dio si ade­guava, vaso di terra tra vasi di bronzo. Prete per con­ve­nienza vi­veva e la­sciava vi­vere; am­mic­cando al de­bole ma sem­pre col più forte. Sen­ten­dosi si­curo, cri­ti­cava: il morto era sem­pre un im­pru­dente; l’omicida un senza di­fetti. Ir­ri­tato dai sa­cer­doti di­fen­sori dei de­boli chia­mava scon­si­de­rati gli an­ga­riati e uo­mini d’oro i po­tenti / pre­po­tenti. La sua ban­diera: a un ga­lan­tuomo che bada ai fatti suoi, non ac­ca­dono mai brutti incontri.
Si im­ma­gini come si sen­tisse dopo quei visi e quelle minacce.

Sequenza 05.
Malanimo di Don Abbondio verso gli sposi. Discussione con la serva Vittoria (Perpetua).

In Man­zoni, 980 pa­role (no­stre, 100) — Ab­bon­dio ri­mu­gina sulla vio­lenza su­bita: Fermo non si con­ten­terà di un no, po­trebbe ri­cor­rere. E Don Ro­drigo? Lo aveva sem­pre ri­ve­rito e di­feso e ora co­stui… Ma l’ira è tutta per gli sposi, in­cu­ranti dei fa­stidi pro­cu­rati ai galantuomini.
Giunto fra­stor­nato alla casa, è in­ter­ro­gato dalla go­ver­nante Vit­to­ria che lo pressa e, pur su­bendo rim­brotti per pas­sate pe­tu­lanze, gli cava l’accaduto:
— pre­po­tenti, cal­pe­sta­tori dei po­ve­relli; e lei che farà? si ri­cordi che il cane che ab­ba­jia non morde…
— zitta, zitta! son io nei guai!
La go­ver­nante lo spinge a man­giare un boc­cone; Don Ab­bon­dio si co­rica pen­sando al da farsi.

Ri­leg­giamo ora il già pro­po­sto “Com­pen­dio” (con la “C” ma­iu­scola, se­condo Paola Ita­lia) che di que­sto Cap. 1 della “Prima Mi­nuta” di Man­zoni è pro­po­sto nel «Ma­no­scritto Lecco 170»:

Epi­logo “Gli Sposi pro­messi” — carta 2r:
«Cor­reva l’anno 1628., quando due gio­vani per­sone d’una terra presso Lecco, di bassa con­di­zione, do­ve­vano all’indomani pre­sen­tarsi al Pa­roco D. Abon­dio per la ce­le­bra­zione del loro matrimonio.
In que­sto mezzo, verso la sera pre­ce­dente, D. Abon­dio, men­tre pas­seg­giava lungo il lago re­ci­tando il Bre­via­rio, s’incontra in due Bravi, che bru­sca­mente lo in­ve­stono, e lo mi­nac­ciano di peg­gio, se as­si­sta a quel matrimonio.
Il Cu­rato s’intimorisce […]»

Come chiun­que può age­vol­mente com­pren­dere, delle cin­que se­quenze in cui ab­biamo di­viso il Cap. 1 della “Prima Mi­nuta”, l’Epilogatore ha man­te­nuto (ma­la­mente) un qual­che ri­fe­ri­mento esclu­si­va­mente alla

— Se­quenza 3 / Or­dine mi­nac­cioso dei Bravi. Ser­vile as­senso del Cu­rato;

Ha in­vece com­ple­ta­mente can­cel­lato ogni ri­fe­ri­mento alle al­tre quat­tro:

— Se­quenza 1 / I luo­ghi da cui na­sce il ro­manzo;
— Se­quenza 2 / I Bravi di Don Ro­drigo fer­mano Don Ab­bon­dio;
— Se­quenza 4 / La con­di­zione della so­cietà e del Clero. Op­por­tu­ni­smo di Don Ab­bon­dio;
— Se­quenza 5 / Ma­la­nimo di Don Ab­bon­dio verso gli sposi. Di­scus­sione con la go­ver­nante.

Ri­chia­miamo l’attenzione del let­tore su due di que­ste quat­tro se­quenze, come par­ti­co­lar­mente ca­rat­te­riz­zanti di que­sto Ca­pi­tolo Primo del ro­manzo di Man­zoni, an­cor­ché com­ple­ta­mente igno­rate dall’Epilogo del «Ma­no­scritto Lecco 170».

9.4/ Sequenza 1.
I luoghi da cui nasce il romanzo.

Il qua­dro de­scrit­tivo con cui Man­zoni dà ini­zio al suo ro­manzo è ri­ma­sto in­va­riato (salvo mo­di­fi­che sti­li­sti­che) in tutte le sue ver­sioni, dalla “Prima Mi­nuta” del 1821 al “I Pro­messi Sposi — Sto­ria della Co­lonna In­fame” del 1840.

Nel leg­gerne le ol­tre tre pa­gine fitte, non c’è let­tore che non com­prenda come Man­zoni non vo­lesse scri­vere l’introduzione a una guida del Tou­ring Club del ter­ri­to­rio lariano.
È evi­dente a tutti che nella sua de­scri­zione vi sono molti ele­menti che lo scrit­tore con­si­de­rava im­por­tante porre all’inizio del suo la­voro per­ché il let­tore si im­mer­gesse im­me­dia­ta­mente in un de­ter­mi­nato am­biente spiritual-naturalistico.

Ve­dia­mone gli ele­menti più evi­denti e immediati.

Primo — Il risvolto autobiografico.

Sono note le pa­role con cui Man­zoni chiude que­ste prime tre pa­gine del ro­manzo, con un ri­fe­ri­mento espli­cito al va­lore esi­sten­ziale del pae­sag­gio la­riano nella vita dello scrittore:

«La gia­ci­tura della ri­viera, i con­torni, e le vi­ste lon­tane, tutto con­corre a ren­derlo un paese che chia­me­rei uno dei più belli del mondo, se aven­dovi pas­sata una gran parte della in­fan­zia e della pue­ri­zia, e le va­canze au­tun­nali della prima gio­vi­nezza, non ri­flet­tessi che è im­pos­si­bile dare un giu­di­zio spas­sio­nato dei paesi a cui sono as­so­ciate le me­mo­rie di que­gli anni.»

In aper­tura ro­manzo, Man­zoni ci dice quindi: per l’anagrafe sono nato a Mi­lano ma sono di fa­mi­glia la­riana e mi sono for­mato (dai due giorni di vita in poi) nel ter­ri­to­rio la­riano; quando parlo del ramo del lago di Como da cui esce l’Adda, parlo di casa mia; fin dall’infanzia ho colto e col­ti­vato quell’aura par­ti­co­lare che fa di que­sto ter­ri­to­rio non solo un in­canto pae­sag­gi­stico ma l’evidenza del rap­porto tra la na­tura e il di­vino.

Secondo — La visione dell’universo.

Certo! Per­ché per Man­zoni la na­tura è ma­ni­fe­sta­zione del di­vino, in quell’angolo di mondo cosa che può ap­pa­rire par­ti­co­lar­mente evidente.

Ciò che rende af­fa­sci­nanti le prime tre pa­gine della “Prima Mi­nuta” (e delle suc­ces­sive ver­sioni del ro­manzo) è in­fatti la raf­fi­gu­ra­zione spa­zio-tem­po­rale del mondo che ci circonda.
La na­tura non è solo l’oggetto della no­stra vi­sione e azione: è essa stessa azione, mo­vi­mento, pas­sag­gio, trasformazione.
È ma­ni­fe­sta­zione di un lungo pro­cesso geo­lo­gico e in­sieme te­leo­lo­gico: monti sor­genti dall’acque ed in­nal­zati al cielo.

Quelle tre pa­gine sono una se­quenza pret­ta­mente de­scrit­tiva e in­sieme di in­di­rizzo mo­rale at­tra­verso cui Man­zoni de­ter­mina nel let­tore un pre­cisa sug­ge­stione che verrà ri­presa con l’altrettanto fa­moso ad­dio not­turno di Lu­cia in barca, in fuga con il pro­messo e la madre.

Nella “Prima Mi­nuta” era «Ad­dio, monti po­sati su­gli abissi dell’acque ed ele­vati al cielo».

L’immagine ma­turò poi in una più me­di­tata con­ce­zione sia geo­lo­gica sia teo­lo­gica nella Ven­tis­set­tana («Ad­dio, mon­ta­gne sor­genti dalle ac­que, ed erette al cielo»), in coe­renza con le or­mai af­fer­mate con­ce­zioni sulla for­ma­zione dei con­ti­nenti e in­sieme con l’idea della ma­te­ria come espres­sione di uno spi­rito on­ni­com­pren­sivo e sem­pie­terno (sia chiaro che que­sto è l’approccio di Man­zoni, non ne­ces­sa­ria­mente con­di­vi­si­bile — ma noi stiamo cer­cando di esporre Man­zoni, non la no­stra vi­sione del mondo).

L’immagine della Ven­ti­set­tana venne in­fine resa per­fetta sul piano ar­ti­stico nella Qua­ran­tana («Ad­dio, monti sor­genti dall’acque, ed ele­vati al cielo»).

Ri­le­vando la to­tale as­senza nell’Epilogo dei con­te­nuti di que­sta prima se­quenza e ri­cor­dando le pre­tese cri­ti­che di Paola Ita­lia, ci sem­bra ap­paia fin troppo evi­dente che:

In primo luogoUn fre­quen­ta­tore dell’ambiente di Man­zoni e — anzi — un suo in­trin­seco (come ipo­tizza Paola Ita­lia es­sere stato l’estensore dell’Epilogo) non avrebbe mai po­tuto igno­rare la de­scri­zione am­bien­tale di av­vio del ro­manzo sia per un troppo scon­tato ri­spetto del ma­ni­fe­sto ri­chiamo au­to­bio­gra­fico sia per l’altrettanto evi­dente suo va­lore “mo­rale”, di cui gli in­trin­seci di Man­zoni erano per­fet­ta­mente con­sa­pe­voli e consentanei.

Non a caso An­to­nio Ro­smini, co­no­sciuto di per­sona Man­zoni nel 1826, in quello stesso anno gli de­dicò il suo scritto «Del Di­vino nella Na­tura» (Bor­to­lotti 1869):

Del Di­vino nella Natura
ad
Ales­san­dro Manzoni

«Se non co­no­scessi per lunga espe­rienza quanto può l’amicizia nell’anima vo­stra, o Ales­san­dro, te­me­rei di sem­brarvi in­di­screto ed in­tem­pe­rante ri­vol­gen­dovi il di­scorso in iscritto, non con­tento de’ lun­ghi col­lo­qui, ne’ quali voi con­di­scen­dete a meco in­trat­te­nervi. Ma d’una parte l’amicizia m’assicura di po­terlo osare im­pu­ne­mente, dall’altra parte non parrà strano a nes­suno, se non fosse a voi solo, che io brami così di pro­vo­care il vo­stro giu­di­zio so­pra que­ste mie ri­cer­che in­torno al di­vino nell’ordine della na­tura, il quale si può dire co­mun pa­tri­mo­nio della Poe­sia e della Fi­lo­so­fia.
Qua­lora me lo ne­ga­ste, io mi ri­vol­ge­rei all’Italia, e le do­man­de­rei chi mai sia co­lui che, tra tutti i suoi fi­gli, ab­bia più al­ta­mente pen­sato e sen­tito il nesso e l’intima unione di quelle due no­bi­lis­sime fi­glie del pen­siero umano, e gliel’abbia fatto sen­tire me­glio di chic­ches­sia e in modo novo e suo pro­prio

In se­condo luogo Mai Man­zoni avrebbe “ap­pro­vato” o fi­nan­che “vo­luto” (come im­pru­den­te­mente scrive Paola Ita­lia) un Epi­logo / Com­pen­dio / Rias­sunto / Sca­letta — chia­ma­telo come vo­lete — della prima ste­sura del suo ro­manzo nel quale si fos­sero am­pu­tati in modo così rozzo la sua crea­zione ar­ti­stica e la sua vi­sione del creato.

9.5/ Sequenza 4.
La condizione della società e del Clero.
Etica opportunistica di Don Abbondio.

Con que­sta se­quenza Man­zoni, at­tra­verso Don Ab­bon­dio, con­se­gna sia perle al re­per­to­rio della let­te­ra­tura mon­diale sia una let­tura de­ci­sa­mente evo­luta dei mec­ca­ni­smi so­ciali, va­lidi per il Sei­cento ma — è troppo ov­vio — per il 1821 e per il 2021.

Pur con la man­canza del te­sto delle “grida” (Man­zoni nella “Prima Mi­nuta” non ne aveva tra­scritto il con­te­nuto) que­sta se­quenza del Ca­pi­tolo 1 è ve­ra­mente notevole.
Ma evi­den­te­mente non ab­ba­stanza per­ché l’Epilogatore pen­sasse di farvi il ben­ché mi­nimo riferimento.

Per­ché è no­te­vole que­sta parte del Ca­pi­tolo 1?
Per­ché con essa Man­zoni in­dica con pre­ci­sione uno dei pro­blemi della so­cietà del XVII se­colo ma con un ov­vio ri­chiamo alla so­cietà dei suoi tempi, all’Italia 1821, agi­tata da pro­blemi enormi, ri­solti (di­ciamo così) solo dopo 40 anni di san­gui­nose lotte risorgimentali.

Il ruolo della Chiesa. Nel XVII secolo ma anche nel XIX.

Man­zoni mette qui in luce il ca­rat­tere ri­belle e di­sgre­gante di buona parte dell’ordine no­bi­liare, in ri­volta con­tro il po­tere cen­trale (stra­niero!) e in con­flitto con le al­tre for­ma­zioni della società.

Tra que­ste for­ma­zioni Man­zoni evi­den­zia la Chiesa.
Ne mo­stra i gua­sti, pro­dotti dalla ge­ne­rale de­ge­ne­ra­zione della so­cietà (la “Chiesa cat­tiva”), ma ne mo­stra an­che gli ele­menti po­si­tivi (la “Chiesa buona”).
E in ef­fetti, uno dei due assi por­tanti del suo ro­manzo è dato dalla ca­pa­cità della “Chiesa buona” di in­ter­ve­nire a col­mare le la­cune del po­tere cen­trale, riu­scendo a di­ve­nire ele­mento di ri­fe­ri­mento della col­let­ti­vità nelle crisi (ca­re­stia e pe­ste) e in­sieme mo­de­ra­tore del di­sfa­ci­mento di cui è por­ta­trice la classe nobiliare.

Alle an­ghe­rie del no­bile Don Ro­drigo si piega la “Chiesa cat­tiva” (Don Ab­bon­dio) ma alza la fronte la “Chiesa buona” (Pa­dre Cristoforo).
E chi fa­vo­ri­sce il ri­torno alla nor­ma­lità so­ciale il de­lin­quente Conte del Sa­grato? An­cora la “Chiesa buona”, at­tra­verso la fi­gura del Car­di­nale Fe­de­rigo Bor­ro­meo.

Non è dif­fi­cile ve­dere in que­sta rap­pre­sen­ta­zione del ruolo sto­rico (os­sia, ef­fet­ti­va­mente at­tuato) della Chiesa ai primi del ’600, l’idea col­ti­vata da Man­zoni di una Chiesa del XIX se­colo in grado di porsi come ele­mento di equi­li­brio e di ri­fe­ri­mento dell’intera collettività.

Si può es­sere d’accordo o meno sulla va­li­dità sto­rica di que­sta pro­spet­tiva col­ti­vata da Man­zoni fin dal 1808 ma è ine­vi­ta­bile ri­co­no­scere che que­sta è la sua pro­spet­tiva ed è uno de­gli ele­menti por­tanti del suo ro­manzo.
Se non si com­prende que­sto, non si com­prende nulla né di Man­zoni né del suo “I Pro­messi Sposi” né tanto meno della sua “Prima Minuta”.

Non è co­mun­que dif­fi­cile ve­dere come le fi­gure sto­ri­che di 200 anni prima po­tes­sero ap­pa­rire at­tuali pro­prio nella cer­chia dei so­dali di Manzoni.
Bi­so­gna ri­cor­dare che il sa­cer­dote An­to­nio Ro­smini (lo stesso che, tra­sci­nato dalle rap­pre­sen­ta­zioni ar­ti­sti­che dell’amico, aveva de­di­cato nel 1826 a Man­zoni il suo “Del di­vino nella Na­tura”) nel qua­dro della crisi del 1848, fu uno dei più at­tivi e in­fluenti at­tori della po­li­tica na­zio­nale cer­cando di spin­gere per una so­lu­zione fe­de­ra­tiva de­gli Stati ita­liani, con la Chiesa come ga­rante etico-politico.

Tor­nando a noi, il pro­blema è che di tutto ciò, nell’Epilogo non vi è nep­pure il più lon­tano riferimento.

E si vuole — ci ri­pe­tiamo, ma a volte è pro­prio il caso — che que­sto pa­te­rac­chio lungo qua­ranta pa­gine ma­no­scritte fosse co­no­sciuto, ap­prez­zato e vo­luto da Manzoni?

Si­gnore Pro­fes­so­resse, se non la scienza, al­meno un poco di buon senso, per favore!

Ab­biamo già ri­pe­tuto e ri­pe­tuto che l’Epilogo del «Ma­no­scritto Lecco 170» ignora TOTALMENTE gli ele­menti di ca­rat­tere etico-so­ciale che Man­zoni pone all’inizio del suo ro­manzo at­tra­verso le se­quenze 1, 2, 4 e 5.
Dob­biamo ora evi­den­ziare come an­che della se­quenza 3 (l’unica con­si­de­rata nell’Epilogo) ven­gono ri­presi solo gli ele­menti più ba­nal­mente de­scrit­tivi e igno­rati in­vece quelli even­tual­mente utili alla stessa com­pren­sione della narrazione.

9.6/ Sequenza 3.
Ordine minaccioso dei Bravi. Servile assenso del Curato.

No­stro riassunto:
Bravi: il ma­tri­mo­nio tra Fermo Spo­lino e Lu­cia Za­rella non si farà né do­mani né mai, altrimenti …
— io non c’entro …
— è av­vi­sato; il no­stro pa­drone D. Ro­drigo la ri­ve­ri­sce, ma zitto! Altrimenti …
— sem­pre di­spo­sto all’obbedienza …
I Bravi si al­lon­ta­nano in­to­nando una can­zo­nac­cia; il Cu­rato, scon­volto, rien­tra alla pro­pria casa.

Epi­logo “Gli Sposi pro­messi” — carta 2r:

«[…] Bravi che bru­sca­mente lo in­ve­stono, e lo mi­nac­ciano di peg­gio, se as­si­sta a quel matrimonio.
Il Cu­rato s’intimorisce […]

Que­sta è l’unica se­quenza del Ca­pi­tolo 1 di cui si trova una qual­che trac­cia nell’Epilogo.
Ma si tratta, per l’appunto, solo di “tracce” — e la cosa è ve­ra­mente grave!

A ini­zio ro­manzo, con que­sto dia­logo e at­tra­verso la bocca dei Bravi, Man­zoni con­se­gna in­fatti al let­tore il nome e in­sieme l’identità so­ciale dei suoi pro­ta­go­ni­sti: da una parte Don Ro­drigo (un no­bile), dall’altra Fermo Spo­linoLu­cia Za­rella (po­po­lani, en­trambi tes­si­tori — lo dice il loro nome).
Ri­le­viamo che nell’Epilogo que­sti ele­menti, de­ci­sa­mente orien­ta­tivi del senso com­ples­sivo del ro­manzo, non ven­gono nem­meno lon­ta­na­mente menzionati.

La cosa non è mar­gi­nale: senza l’indicazione del man­dante che senso ha l’appostamento dei Bravi e le loro mi­nacce al Cu­rato?
Se­guendo l’Epilogo, il let­tore che non avesse avuto co­no­scenza dell’originale di Man­zoni (e quelli che lo co­no­sce­vano si con­ta­vano sulle due mani, prima della pub­bli­ca­zione del 1827) do­veva ine­vi­ta­bil­mente pen­sare che fos­sero i Bravi stessi ad avere una qual­che ra­gione con­tro il ma­tri­mo­nio tra i due gio­vani di bassa condizione.

Senza l’indicazione del man­dante, per­ché il Cu­rato avrebbe do­vuto “in­ti­mo­rirsi”, come scrive l’Epilogatore?
Se si fosse trat­tato solo di cani sciolti, il Cu­rato, uscito dalla si­tua­zione con­tin­gente, li avrebbe im­me­dia­ta­mente de­nun­ciati e fatti arrestare!
Tutto il pro­blema stava nella fi­gura del man­dante Don Ro­drigo, cui il Cu­rato in­fatti (in Man­zoni, si in­tende, non in quel tonto dell’Epilogatore) non manca di di­chia­rarsi “sem­pre pronto all’obbedienza”!
Sotto que­sto pro­filo l’Epilogatore si mo­stra un ve­ra­mente pes­simo nar­ra­tore e l’Epilogo del «Ma­no­scritto Lecco 170» solo un “coso”, va­lido a nulla.

E Man­zoni avrebbe do­vuto – è que­sto che so­stiene Paola Ita­lia e la sua cor­data — ap­pro­vare e ap­prez­zare que­sta cia­batta bu­cata di pseudo-riassuntino?

9.7/ Bilancio sul come l’Epilogatore abbia inteso la “riduzione” del Capitolo 1 della “Prima Minuta” di Manzoni.

Per rias­su­mere an­che vi­si­va­mente il rap­porto tra il Ca­pi­tolo Primo della “Prima Mi­nuta” di Man­zoni e quella parte dell’Epilogo che ne ri­chiama i con­te­nuti, pro­po­niamo un gra­fico sem­plice semplice.

Le barre rap­pre­sen­tano le cin­que se­quenze nelle quali ab­biamo di­viso il Cap. 1 della “Prima Mi­nuta” di Man­zoni con l’indicazione dello spa­zio, in ter­mini di pa­role, che ri­spet­ti­va­mente oc­cu­pano nella strut­tura del capitolo.
La barra evi­den­ziata in gri­gio in­dica l’unica se­quenza di cui si è oc­cu­pato l’Epilogatore (e ab­biamo vi­sto con quanta superficialità).

Quindi?

Quindi, l’Epilogatore del «Ma­no­scritto Lecco 170» ha im­pie­gato 65 pa­role per riassumere:

non il Ca­pi­tolo 1 della “Prima Mi­nuta” di Man­zoni ma …

… esclu­si­va­mente quella sua parte delle mi­nacce dei Bravi al Cu­rato — pari al 7% del te­sto di tutto il Ca­pi­tolo 1 — e an­che que­sto in modo monco e fuorviante.

Nulla nell’Epilogo del «Ma­no­scritto Lecco 170» ri­guar­dante il Ca­pi­tolo 1 della “Prima Mi­nuta” di Man­zoni, ri­chiama — nep­pure lon­ta­na­mente — il for­mi­da­bile im­pianto di que­sta aper­tura del ro­manzo, nella quale Man­zoni ha tra­sfuso la sua ge­nia­lità di ar­ti­sta e in­sieme la pro­fon­dità del pen­siero sto­rico e so­ciale: in una pa­rola ciò che ha fatto de “I Pro­messi Sposi” una crea­zione let­te­ra­ria atta a muo­vere menti e co­scienze verso una più con­sa­pe­vole vi­sione del mondo.

Quindi — di tutta evi­denza — le prime 40 pa­gine del «Ma­no­scritto Lecco 170», che Paola Ita­lia vor­rebbe farci pen­sare come co­no­sciute, ap­prez­zate e fi­nan­che vo­lute da Ales­san­dro Man­zoni come te­sti­mo­nianza della prima ste­sura del ro­manzo, non solo nulla hanno che ve­dere con una qual­che forma di “com­pen­dio” o “rias­sunto” o “ri­du­zione” della “Prima Mi­nuta” ma sono di fatto un ri­fiuto delle parti più si­gni­fi­ca­tive del ro­manzo fon­da­tivo della lin­gua ita­liana del no­stro tempo a fa­vore di una sua mi­sera vol­ga­riz­za­zione, in­de­gna an­che della più scal­ci­nata scuola ele­men­tare non dell’Italia ma di qual­siasi parte del Mondo.

Il let­tore in­cre­dulo certo si chie­derà: ma que­sto svi­li­mento del la­voro di Man­zoni da parte dell’Epilogatore vale per tutto lo svol­gi­mento della “Prima Minuta”?
Dob­biamo pur­troppo ri­spon­dere che sì!

Ma la que­stione è an­cora più grave: non solo l’Epilogo del «Ma­no­scritto Lecco 170» si fa un baffo dei temi che hanno fatto grande Man­zoni e più ma­turi i suoi let­tori, e si li­mita a rac­con­tare solo brani della sto­riella ma della sto­riella stessa ha an­che fal­sato i più ba­nali fatti in ben 23 punti.

È quanto ci pro­po­niamo di di­mo­strare con la pros­sima sezione.

10. Le 23 difformità di fatto.

Più so­pra ab­biamo svolto l’analisi del Ca­pi­tolo 1 della “Prima Mi­nuta”, evi­den­ziando come l’Epilogo “Gli Sposi pro­messi” ne ha igno­rati tutti gli ele­menti che pos­siamo de­fi­nire “mo­rali” in senso lato.
L’Epilogo si è cioè li­mi­tato a ri­pren­derne solo al­cune delle se­quenze più stret­ta­mente nar­ra­tive.

Ora vo­gliamo il­lu­strare come, nell’Epilogo del «Ma­no­scritto Lecco 170», molte di quelle stesse se­quenze nar­ra­tive sono rap­pre­sen­tate in modo dif­forme ri­spetto alla “Prima Mi­nuta” di Manzoni.

Detto alla buona: in molti — troppi — punti l’Epilogo rac­conta gli av­ve­ni­menti in modo di­verso da come li aveva scritti Man­zoni nella prima ste­sura del romanzo.
E non par­liamo di dettagli.
Si tratta di ele­menti si­gni­fi­ca­tivi per lo stesso mec­ca­ni­smo nar­ra­tivo che, nell’Epilogo, ri­sulta dis­si­mile, quando non di­ver­gente, da quello trac­ciato da Man­zoni, e ciò in al­meno tre modalità.

10.1/ Le molte facce della infedeltà.

Più sotto il let­tore trova il­lu­strate 23 dif­for­mità di fatto tra Epi­logo e “Prima Mi­nuta”.
Prima di pas­sare alla ras­se­gna, può es­sere utile rias­su­merne le tre mo­da­lità con cui le 23 dif­for­mità si manifestano.

A/ Come “invenzione originale”.

In 15 se­quenze la nar­ra­zione pro­po­sta dall’Epilogo è as­so­lu­ta­mente ori­gi­nale: non ha cioè ri­scon­tro in al­tri te­sti o rap­pre­sen­ta­zioni di qual­si­vo­glia na­tura o qual­si­vo­glia da­ta­zione (na­tu­ral­mente sulla base alle co­no­scenze di chi scrive — ben ven­gano smen­tite documentate).

B/ Come “ripresa da altri scritti di Manzoni”.

In 4 se­quenze la nar­ra­zione dell’Epilogo è ri­presa da “I Pro­messi Sposi” del 1827 (Man­zoni ap­portò nu­me­rose va­rianti tra la “Prima Mi­nuta” — da lui mai resa pub­blica — e la ela­bo­ra­zione data alle stampe nel 1825-27).

C/ Concorde con il film di Mario Camerini “I Promessi Sposi” del 1941.

Quat­tro se­quenze nar­ra­tive dell’Epilogo, non hanno al­cuna re­la­zione con scritti di Man­zoni ma sono con­cordi con quelle pro­po­ste da Ca­me­rini nel suo film del 1941, a loro volta dif­formi dal te­sto di Man­zoni.
Im­ma­gi­niamo che ciò può la­sciare per­plesso il let­tore ma è pro­prio così: leg­gere e ve­dere per cre­dere.

Viene ine­vi­ta­bil­mente da pen­sare che l’Epilogatore, cro­no­lo­gi­ca­mente molto vi­cino a noi, fosse un gran­dis­simo cial­trone in vena di burle, ispi­ra­tosi an­che al film di Ca­me­rini per sol­le­vare un po’ di polvere.

Op­pure che, at­tivo a metà Ot­to­cento, avesse preso a ri­fe­ri­mento per il suo rias­sun­tino te­sti di­versi da quella che noi con­si­de­riamo la “Prima Mi­nuta” scritta da Man­zoni, ai quali avrebbe at­tinto an­che il re­gi­sta Camerini.

In­da­gare più a fondo que­sta se­conda ipo­tesi (per al­tro de­ci­sa­mente in­te­res­sante) esula dal no­stro at­tuale obiet­tivo; per il mo­mento ci li­mi­tiamo quindi a se­gna­lare le 23 più evi­denti dif­for­mità di fatto ri­spetto alla “Prima Mi­nuta” man­zo­niana quale ci è stata con­se­gnata dalla cri­tica, in par­ti­co­lare come pos­siamo leg­gerla nella edi­zione del 2006, cu­rata an­che dalla già am­pia­mente ci­tata Pro­fes­so­ressa Paola Italia.

Difformità n. 1 — Invenzione originale.

10.2/ “Presentandosi gli Sposi” …

La si­tua­zione — Don Ab­bon­dio, mi­nac­ciato dai Bravi di Don Ro­drigo, nella notte in­sonne pensa con quali ar­go­menti con­vin­cere Fermo Spo­lino e Lu­cia Mon­della a rin­viare le nozze. E al mat­tino, che succede?

Ve­diamo come la cosa è pre­sen­tata nell’Epilogo (carta 2r, p. 3, evi­den­zia­zioni nostre):

«Il Cu­rato s’intimorisce, e, pre­sen­tan­dosi gli Sposi, muove dif­fi­coltà per ti­rare in lungo, e si finge po­scia ammalato».

Aiu­tooo! Per due motivi.

Primo — Nella “Prima Mi­nuta” di Man­zoni (e poi, senza va­ria­zioni, nella Ven­ti­set­tana e nella Qua­ran­tana) è il solo Renzo a pre­sen­tarsi da Don Ab­bon­dio.

Egli deve sem­pli­ce­mente chie­der­gli fra quanto (mezz’ora? una ora?) il par­roco po­trà ce­le­brare le nozze.
Lu­cia non ha al­cuna ra­gione per re­carsi anch’essa dal sa­cer­dote per fis­sare l’ora del ma­tri­mo­nio — ov­vio no? Essa è nella pro­pria abi­ta­zione (poco di­stante dalla chiesa), in­daf­fa­rata a met­tere a punto l’abito da sposa con la ma­dre e le ami­che; at­tende che Fermo, l’ormai quasi suo sposo, torni a dirle: su an­diamo, il par­roco è pronto, ci aspetta!

Con quel plu­rale «gli Sposi», l’Epilogatore mo­stra o una ben cu­riosa di­sat­ten­zione o di avere rias­sunto un te­sto di­verso dalla “Prima Mi­nuta” di Man­zoni cui, se­condo Paola Ita­lia, egli avrebbe in­vece fatto fe­dele riferimento.

Se­condoL’Epilogatore ignora lo scon­tro tra Fermo e Don Ab­bon­dio, uno dei to­pos dell’intero romanzo.

L’episodio è ov­via­mente im­por­tante in Man­zoni per­ché gli con­sente di:
pre­sen­tare il por­ta­mento franco e an­che di bra­ve­ria di Fermo, bo­na­rio ma pronto a tra­sfor­marsi in iroso an­che vio­lento; una ca­rat­te­riz­za­zione del pro­messo sposo che sarà una co­stante in tutto il romanzo;
pre­sen­tare il ca­rat­tere dop­pia­mente vile di Don Ab­bon­dio che, prono all’obbedienza verso il forte, punta sulla pro­pria su­pe­rio­rità cul­tu­rale per ren­dere a sua volta ob­be­diente Fermo, gra­zie all’uso del latino;
ren­dere im­me­dia­ta­mente espli­cito l’impedimento al ma­tri­mo­nio, os­sia l’imposizione del pre­po­tente Don Ro­drigo e l’ubbidienza del par­roco vile: è in­fatti in quei po­chi mi­nuti bur­ra­scosi in casa del Cu­rato che Fermo viene a sa­pere dal par­roco stesso che è il si­gno­rotto a es­sersi messo di tra­verso al matrimonio.

In po­che die­cine di ri­ghe Man­zoni evi­den­zia così al let­tore al­cuni de­gli ele­menti base del romanzo.
E che fa l’Epilogatore? Con quel suo in­con­gruo “pre­sen­tan­dosi gli Sposi”, pe­scato chissà dove, can­cella il la­voro di Man­zoni e raf­fi­gura una si­tua­zione as­so­lu­ta­mente estra­nea al romanzo.

Difformità n. 2 — Invenzione originale.

10.3/ “Gli Sposi sono in ismania. Sospettano, che D. Rodrigo” …

La si­tua­zione — Rin­viato dal par­roco il ma­tri­mo­nio, che suc­cede? che ne pen­sano i pro­messi sposi?

Ve­diamo come la cosa è rac­con­tata nell’Epilogo (carta 2v, p. 4):

«Gli Sposi sono in isma­nia. So­spet­tano, che D. Ro­drigo, Si­gnore pre­po­tente, che abi­tava un vi­cino [2v] ca­stello, il quale aveva adoc­chiata Lu­cia per ra­pir­sela, ne ab­bia fatte mi­nacce al Paroco.»

Lo ab­biamo già an­ti­ci­pato: l’Epilogatore sta evi­den­te­mente sun­teg­giando un al­tro testo.

So­spet­tano” — In Man­zoni gli Sposi non “so­spet­tano“ pro­prio nulla: sono as­so­lu­ta­mente certi che vi è stata da parte di Don Ro­drigo la mi­nac­cia al par­roco: è stato lo stesso Don Ab­bon­dio a con­fes­sarlo a Fermo.

ra­pir­sela” — Che c’entra? Nella “Prima Mi­nuta” Don Ro­drigo, all’inizio della vi­cenda, non aveva as­so­lu­ta­mente al­cuna idea di ra­pire pro­prio nes­suno: vo­leva solo cer­care di spas­sar­sela con Lu­cia, come già av­ve­nuto con suc­cesso con al­tre ra­gazze della fi­landa (è la stessa Lu­cia a rac­con­tarlo alla Si­gnora monaca).

Per so­pram­mer­cato l’Epilogo ignora i pro­po­siti omi­ci­diari che Fermo è quasi sul punto di por­tare a com­pi­mento, ap­pena sa­puto dell’intrusione di Don Ro­drigo nella sua vi­cenda d’amore.

Come si vede, l’Epilogatore dà un qua­dro nar­ra­tivo de­ci­sa­mente dif­forme dalla “Prima Mi­nuta” — e siamo solo agli inizi!
Il pro­sie­guo dell’Epilogo stra­volge in­fatti ra­di­cal­mente sia la suc­ces­sione dei fatti come espo­sti da Man­zoni sia i con­te­nuti vei­co­lati dai fatti stessi.

Difformità n. 3 — Invenzione originale.

10.4/ “Se e come possa il Paroco obbligarsi ad unirli” …

Per orien­tarsi — A fronte della pre­po­tenza di Don Ro­drigo sul cu­rato, su sug­ge­ri­mento di Agnese (la ma­dre della sposa), Fermo con­sulta l’avvocato Pet­tola di Lecco per averne consiglio.
Come si svolge l’incontro?

Sulla na­tura del con­si­glio ri­chie­sto, leg­giamo l’Epilogo (carta 2v, p. 4, evi­den­zia­zioni nostre):

«Con­sul­tano un le­gale, se e come possa il Pa­roco ob­bli­garsi ad unirli».

Come si vede, l’Epilogatore con­ti­nua con il suo pri­va­tis­simo per­corso, estra­neo alla “Prima Mi­nuta”: ci sta di­cendo che Fermo chiede all’avvocato Pet­tola se e in che modo è pos­si­bile ob­bli­gare il Par­roco a fare il suo do­vere, os­sia a unire lui e Lu­cia in matrimonio.

Tutt’altra cosa scrive Man­zoni (Tomo 1º, cap. 3, p. 37, evi­den­zia­zioni nostre):

«Ella ha da scu­sarmi si­gnor dot­tore = noi al­tri po­veri non ab­biamo stu­dio. Vor­rei dun­que sa­pere se a mi­nac­ciare un cu­rato, per­chè non fac­cia un ma­tri­mo­nio c’è pe­nale.»

È chiaro no?
Se­condo l’Epilogatore, Fermo chiede all’avvocato se c’è un modo per ob­bli­gare Don Ab­bon­dio a ce­le­brare le nozze.
Se­condo Man­zoni, Fermo chiede in­vece all’avvocato se è pos­si­bile per­se­guire Don Ro­drigo per le sue mi­nacce a Don Ab­bon­dio per co­strin­gerlo a NON ce­le­brare le nozze!

Man­zoni pone cioè espli­ci­ta­mente per bocca di un mem­bro del po­polo mi­nuto un pro­blema, non del XVII se­colo ma di tutti i se­coli pas­sati, pre­senti e buona parte dei fu­turi: il cit­ta­dino con­cul­cato nei suoi di­ritti dalla vio­lenza può ri­cor­rere alla legge per di­fen­dersi e uscirne vittorioso?

Non è una co­sina da poco ma l’Epilogatore batte tutt’altra strada!
Inu­tile in­si­stere: il let­tore ha già com­preso come molti dei con­te­nuti tra­smessi dell’Epilogatore sono non solo di­versi ma an­che di­ver­genti da quelli pre­sen­tati da Manzoni.

Difformità n. 4 — Invenzione originale.

10.5/ “Si fanno progetti di sorprendere il paroco”…

Per orien­tarsi (leg­gendo Manzoni):

— men­tre Fermo è dall’avvocato Pet­tola, Lu­cia pensa di con­sul­tarsi con il Pa­dre Cri­sto­foro (suo con­fes­sore) e lo con­voca at­tra­verso il frate questuante;
— Cri­sto­foro si pre­senta su­bito prima che torni Fermo; tor­nato il gio­vane, si im­pe­gna con i tre a par­lare con Don Rodrigo;
— men­tre il Pa­dre è al col­lo­quio con il pre­po­tente, Agnese e Fermo (con esi­ta­zioni di Lu­cia) pen­sano al ma­tri­mo­nio di sor­presa e Fermo, im­me­dia­ta­mente, esce dalla casa e ar­ruola i due testimoni;
— quando Pa­dre Cri­sto­foro ri­torna con il ri­sul­tato ne­ga­tivo del col­lo­quio con Don Ro­drigo, i tre (com­presa Lu­cia) non gli di­cono pa­rola del piano ai danni del cu­rato, con­cor­dato e già avviato.

Ve­diamo come in­vece la cosa è rac­con­tata nell’Epilogo (carta 2v, p. 4):

«Si fanno quindi pro­getti di sor­pren­dere il Pa­roco. Di­spu­tan­dosi però fra la ma­dre di Lu­cia Agnese, Fermo, e la sposa, se fos­sero pra­ti­ca­bili, e se le­citi, si ri­sol­vono d’invocare l’assistenza d’un santo Ca­puc­cino / Pa­dre Cri­sto­foro / con­fes­sore della sposa.»

L’Epilogatore ci dice: tor­nato Fermo scor­nato dall’avvocato, i tre pen­sano a come gab­bare Don Ab­bon­dio; in di­sac­cordo se ciò è bene o meno, de­ci­dono di af­fi­darsi a Pa­dre Cristoforo.
Dalle pa­role dell’Epilogatore sem­bre­rebbe quindi che si ri­chieda l’intervento del frate per di­ri­mere la que­stione: è le­cito gab­bare e for­zare il parroco?
Come si vede, dopo l’inversione di senso nel rap­porto con l’avvocato, an­che la for­za­tura del par­roco a spo­sare i due, dall’Epilogatore viene po­sta in modo net­ta­mente di­ver­gente da Man­zoni.

In­fatti (lo ab­biamo ap­pena so­pra ri­cor­dato) nella “Prima Mi­nuta” di Man­zoni le cose vanno in modo molto di­verso: men­tre Fermo è in mis­sione dall’avvocato (un com­po­nente della strut­tura giu­ri­dica, lon­tana ed estra­nea ai tre po­po­lani) Lu­cia pensa di ri­cor­rere a un al­tro tipo di au­to­rità, che a lei pare più vi­cina: quella mo­rale in­car­nata nella Chiesa e, nello spe­ci­fico, in Pa­dre Cri­sto­foro (il Cap­puc­cino suo con­fes­sore), noto per la pro­bità, lo spi­rito di giu­sti­zia e la di­spo­ni­bi­lità verso la gente del popolo.

Man­zoni, at­tra­verso la fi­gura di Lu­cia (e in op­po­si­zione a Fermo e ad Agnese) pro­pone quindi una so­lu­zione “mo­rale”, a pre­scin­dere da quanto dirà l’avvocato (an­cora Lu­cia non sa dell’esito ne­ga­tivo dell’abboccamento di Fermo con Pettola).

È una prima ca­rat­te­riz­za­zione del ruolo giuo­cato da Lu­cia nell’intero ro­manzo — ma l’Epilogatore se­gue una trac­cia tutta sua.

Difformità n. 5 — Invenzione originale.

10.6/ “Rispettando nondimeno il carattere” …

A pro­po­sito del col­lo­quio tra Pa­dre Cri­sto­foro e Don Ro­drigo, leg­giamo l’Epilogo (carta 3v, p. 6, evi­den­zia­zioni nostre):

«Con­ge­dati i com­men­sali, D. Ro­drigo ri­ceve in di­sparte il Frate. Que­sti en­tra in pro­po­sito, e cerca di trar­gli il se­greto, e, trat­tolo, di scon­si­gliare l’opposizione al ma­tri­mo­nio di Fermo, e Lu­cia. D. Ro­drigo [4r] si adira; rim­brotta il Frate, e, ri­spet­tando non­di­meno il ca­rat­tere, lo rimanda.
Giunto il P. Cri­sto­foro alla casa di Agnese narra il cat­tivo suc­cesso. Quindi sma­nie, fu­rie, pro­getti. Il Frate cerca di met­ter calma; e, ri­ser­van­dosi a me­glio con­si­gliare, torna al Con­vento

È l’ennesima sin­tesi in­fe­dele della “Prima Mi­nuta” di Manzoni:
— nell’Epilogo il frate è pre­sen­tato come de­bole: “cerca di scon­si­gliare”;
— con quella frase «ri­spet­tando non­di­meno il ca­rat­tere, lo ri­manda» an­che Don Ro­drigo è pre­sen­tato come, in fondo, ri­spet­toso della fi­gura del religioso.

Nel mec­ca­ni­smo nar­ra­tivo in Man­zoni, le cose vanno però in tutt’altr’altro modo.

Nella “Prima Mi­nuta” (e poi, senza mu­ta­menti, nella Ven­ti­set­tana e nella Qua­ran­tana) il dia­logo tra i due è un urto in cre­scendo che cul­mina con la pre­di­zione di sven­tura e dan­na­zione da parte del frate (T. 1º, cap. 6º, p. 81):

«Ho com­pas­sione di que­sta casa = ella è se­gnata dalla ma­le­di­zione. State a ve­dere che la giu­sti­zia di Dio avrà ri­spetto a quat­tro pie­tre e a quat­tro sche­rani! Voi avete cre­duto che Dio ab­bia fatta una crea­tura a sua im­ma­gine per darvi il di­letto di tor­men­tarla! voi avete cre­duto che Dio non sa­prebbe di­fen­derla con­tra voi! Vi siete giu­di­cato. Ne ho vi­sti di più si­curi, di più po­tenti, di più te­muti di voi; e men­tre ag­guan­ta­vano la loro preda, men­tre non ave­vano al­tro ti­more che di ve­derla fug­gire, la mano di Dio si al­lun­gava in si­len­zio die­tro alle loro spalle per co­glierli. Lu­cia è si­cura di voi, ve lo dico io po­vero frate, | e quanto a voi, verrà un giorno…»

e con la mi­nac­cia espli­cita di vie di fatto da parte di don Ro­drigo (T. 1º, cap. 6º, p. 82):

«Vil­lan ri­fatto! pro­se­guì D. Ro­drigo: così ri­me­riti ac­co­glienze alle quali non sei av­vezzo, e che non son fatte per te: ma tu ado­peri da par tuo. Rin­gra­zia quel sajo che ti co­pre quelle spalle di pal­to­niere, e ti salva dalle ca­rezze che si fanno ai pari tuoi per in­se­gnar loro a par­lare. Esci colle tue gambe per que­sta volta; e la vedremo.»

In Man­zoni, il dia­logo tra i due per­so­naggi dram­ma­tizza la si­tua­zione e la pre­senta come senza via di uscita (tale co­mun­que da au­to­riz­zare mo­ral­mente l’iniziativa di­retta da parte dei pro­messi sposi).
Nell’Epilogo, in­vece, il con­tra­sto è de­ci­sa­mente am­mor­bi­dito.

L’Epilogatore manca inol­tre di ri­cor­dare due ele­menti della mac­china nar­ra­tiva di Man­zoni: all’uscita dal col­lo­quio tem­pe­stoso con Don Ro­drigo, Pa­dre Cri­sto­foro è av­vi­ci­nato da un servo di casa che gli pro­mette di in­for­marlo de­gli svi­luppi della si­tua­zione (sarà que­sto servo ad av­ver­tire che al pa­lazzo di Don Ro­drigo si pre­para per la notte suc­ces­siva il ra­pi­mento di Lu­cia, gui­dato dal Griso e poi fallito).

In Man­zoni que­sto par­ti­co­lare ha una im­por­tanza non solo nar­ra­tiva: è la prima oc­ca­sione in cui lo scrit­tore ci pro­pone la sua idea di Prov­vi­denza: il servo an­ziano di Don Ro­drigo è un se­gnale di con­ferma della bontà dell’impegno del Frate a fa­vore dei pro­messi sposi.
È que­sto ov­via­mente un ele­mento che una fi­gura vi­cina a Man­zoni (quale viene pre­sen­tato da Paola Ita­lia l’Epilogatore) non avrebbe po­tuto ignorare.

Il se­condo ele­mento è la ri­chie­sta da parte di Pa­dre Cri­sto­foro ai tre di man­dare al con­vento di Pe­sca­re­nico un loro mes­sag­gero che possa ri­por­tare le sue in­di­ca­zioni sul da farsi. Que­sto mes­sag­gero sarà Me­nico che svol­gerà po­che ore dopo un ruolo importante.

Senza que­sti due ele­menti, ap­pa­ren­te­mente mar­gi­nali, non si com­prende nulla de­gli svi­luppi della notte de­gli inganni.
E in­fatti l’Epilogatore an­che sull’andamento di quella notte tra­di­sce in più punti l’opera che, se­condo Paola Ita­lia, egli in­vece ri­por­te­rebbe in sin­tesi fe­de­lis­sima.

Difformità n. 6 — Dalla “Seconda Minuta”.

10.7/ “D’altra parte viene avviso dalla casa di Agnese” …

Rias­su­miamo i pre­ce­denti (pren­den­doli da Man­zoni): nell’imminenza del ma­tri­mo­nio a sor­presa, all’imbrunire, Fermo porta all’osteria i due fratelli/testimoni per una breve cena. Qui tro­vano rac­colti i Bravi di Don Ro­drigo (fatti gli op­por­tuni so­pra­luo­ghi la mat­tina, il loro piano è di en­trare di notte nella casa di Lu­cia e di rapirla).
Ter­mi­nata la breve cena, Fermo e Lu­cia con i due te­sti­moni (men­tre Agnese di­strae Per­pe­tua) en­trano nella casa di Don Ab­bon­dio per spo­sarsi da sé; quasi ci rie­scono; per la pronta rea­zione del par­roco de­vono però svi­gnar­sela in strada; Fermo, Lu­cia e Agnese si muo­vono di fretta verso la casa di Agnese; il sa­gre­stano suona la cam­pana a martello…

Ve­diamo come pro­se­gue l’Epi­logo (carta 4v/5r, p. 8 / 9):

«Que­sto im­pro­viso ro­more viene op­por­tuno per isgo­men­tare [5r] i Bravi di D. Ro­drigo ap­po­stati quella sera per ra­pire Lu­cia, onde fug­gono te­men­dosi sco­perti, e che si suoni l’allarme con­tro di essi. D’altra parte viene av­viso dalla casa d’Agnese, che non vi si vada, e si vada in­vece al Con­vento de’ Capuccini.»

L’Epilogatore ci dice quindi:

    1. che i Bravi ap­po­stati fug­gono;
    2. che dalla casa di Agnese si av­ver­tono gli sposi (in fuga verso quella stessa casa) di non tor­narvi e di an­dare in­vece al con­vento di Pescarenico.

Ognuno sa che il ter­mine “ap­po­stati” sta a in­di­care chi, na­sco­sto, pre­para una in­si­dia (si ap­po­stano gli ani­mali in cerca di preda, così come si ap­po­stano gli uo­mini per un’aggressione o uno scon­tro): l’Epilogatore non ci dice dove fos­sero ap­po­stati i Bravi ma il suo ri­chiamo “all’avviso dalla casa di Agnese” fa com­pren­dere come per lui i Bravi fos­sero “ap­po­stati” nella casa di Agnese o nelle sue im­me­diate vi­ci­nanze (la casa era un poco iso­lata dal paese).

L’Epilogatore non ci dice nep­pure chi av­verte gli sposi, se non che que­sto qual­cuno viene dalla casa di Agnese (e che quindi lì — o lì vi­cino — ha vi­sto i Bravi “ap­po­stati”) — grande con­fu­sione quindi.

Man­zoni è in­vece molto chiaro (“Prima Mi­nuta”, T. 1º, cap. 8º, p. 110)

«Ma in mezzo ai pae­sani si vi­dero pas­sare in or­dine di bat­ta­glia al­cuni ar­mati e di si­ni­stro aspetto: erano gli amici che ab­biam già ve­duti all’osteria. […]
Ma i tre per­so­naggi che c’interessano na­scon­den­dosi quanto po­te­vano, non ri­spon­dendo alle in­chie­ste e fug­gendo la folla erano sulla via che con­du­ceva alla casa di Lu­cia; quando un gar­zon­cello che an­dava guar­dando at­ten­ta­mente tutti quelli che pas­sa­vano, al ve­derli, mise un so­spiro che pa­reva vo­lesse dire: gli ho tro­vati una volta; si pose di­nanzi a loro, pi­gliò Agnese pel lembo della ve­ste, e disse con voce bassa e af­fan­nata: Tor­nate in­die­tro per amor del cielo. Era Me­nico, e fu to­sto ri­co­no­sciuto. – Per­chè? dis­sero tutti e tre. – In­die­tro, in­die­tro, vi dico non tor­nate a casa, ve­nite al con­vento; così mi ha detto il pa­dre Cri­sto­foro

Se­condo Man­zoni quindi:

— quando suona l’allarme cam­pa­naro, i Bravi erano an­cora all’osteria (non alla casa di Agnese o in qual­che luogo lì vicino);
— Me­nico dice agli Sposi di non an­dare a casa — per­ché lo ha detto Pa­dre Cri­sto­foro! — non per­ché egli vi ab­bia vi­sto al­cun­ché di sospetto.

Il let­tore sa che su que­sto punto già nella “Se­conda Mi­nuta” (quella che Ra­boni nel 2012 pub­blicò con il ti­tolo “Gli Sposi pro­messi” — che ri­di­cola gi­ran­dola di ti­toli!) Man­zoni ap­por­terà una op­por­tuna mo­di­fica: man­dato dal Pa­dre Cri­sto­foro, Me­nico va alla casa di Agnese per av­ver­tire che lì vi sarà l’aggressione dei Bravi; si ac­corge che i Bravi sono già nella casa; da loro non vi­sto si pre­ci­pita dal cam­pa­naro per dare l’allarme; per strada in­con­tra Agnese e su­bito dopo gli Sposi, usciti a pre­ci­pi­zio dalla casa del curato.

Nella Ven­ti­set­tana (e nella Qua­ran­tana) Man­zoni mo­di­fica an­cora: man­dato dal Frate, Me­nico va alla casa di Agnese per av­ver­tire che vi sarà l’aggressione dei Bravi; qui è preso da­gli sgherri già in ag­guato den­tro la casa; rie­sce a sfug­gire per la loro sor­presa al sen­tire la cam­pana; per strada in­con­tra i tre che stanno ri­tor­nando verso quella stessa casa.

Nel corso della ste­sura Man­zoni quindi cam­bia il qua­dro nar­ra­tivo ma — ri­pe­tiamo — nella “Prima Mi­nuta” Me­nico NON è af­fatto an­dato alla casa di Agnese né tan­to­meno ci erano an­dati i Bravi, cosa che in­vece è adom­brata (ma in con­fuso) dall’Epilogatore.

Fa­cile pen­sare che que­sti co­no­scesse al­meno la ver­sione della vi­cenda data da Man­zoni nella “Se­conda Mi­nuta” nella quale (ri­pe­tia­molo) Me­nico si af­fac­cia alla casa di Agnese; si ac­corge della pre­senza dei Bravi; ne esce e corre verso la chiesa in­con­trando i tre in fuga.

Ine­vi­ta­bile pen­sare che l’Epilogo sia stato steso non PRIMA delle cor­re­zioni della “Prima Mi­nuta” (come so­ste­nuto da Paola Ita­lia) ma DOPO di esse.
Quando?
al­meno quando già Man­zoni aveva co­min­ciato a mo­di­fi­care lo schema dell’episodio, os­sia a Se­conda Mi­nuta già bene avviata.

Ma non è finita.

Difformità n. 7 — Invenzione originale.

10.8/ “e i testimoni si recano al Convento”

L’Epilogo con­ti­nua (carta 5r, p. 9):

«Quindi Agnese con Fermo, e Lu­cia, ed i te­sti­moni si re­cano al Con­vento po­sto in di­sparte, ed ivi, fatti en­trare in Chiesa, tro­vano il P. Cri­sto­foro, che gli av­verte di sal­varsi colla fuga, e gli in­di­rizza, dove aveva già di­spo­sta una barca per tra­git­tarli, av­ver­ten­doli dove tro­ve­reb­bero guida per re­carsi a sal­vezza, dove egli con let­tera gli scortava.

Par­tono dun­que Agnese, Fermo, e Lu­cia pieni di do­glia, dopo avere rac­co­man­dato ai te­sti­moni di nulla ri­ve­lare dell’occorso.

Fermi tutti!
Da dove sal­tano fuori que­sti “te­sti­moni” che, se­condo l’Epilogatore, sa­reb­bero an­dati al Con­vento as­sieme ai due ten­tati sposi e ad Agnese, per es­serne poi rac­co­man­dati di tacere?

Dalla “Prima Mi­nuta”, alla “Se­conda”, alla Ven­ti­set­tana, alla Qua­ran­tana, Man­zoni ci ha sem­pre detto che nella fuga dal paese verso il con­vento di Pe­sca­re­nico, i no­stri tre per­so­naggi (i quasi sposi + Agnese) erano ac­com­pa­gnati solo da Me­nico. Il quale era te­sti­mone solo di un pezzo della vi­cenda: Me­nico (così come Pa­dre Cri­sto­foro del re­sto — e tutto il paese) non sa nulla del ten­tato ma­tri­mo­nio fai-da-te.

E quindi?

È chiaro che que­sta ul­te­riore ma­cro­sco­pica dif­fe­renza tra Epi­logo del «Ma­no­scritto Lecco 170» e tutto ciò che su que­sto par­ti­co­lare della notte de­gli in­ganni ci ha la­sciato Man­zoni, pone un bel problema.

Ma an­diamo avanti e ar­ri­viamo al ra­pi­mento di Lu­cia su cui ab­biamo due ri­le­vanti dif­for­mità di fatto.

11. Difformità sul rapimento di Lucia.

Difformità n. 8 — Invenzione originale.

11.1/ La lettera inesistente …

Per orien­tarsi — Lu­cia è ri­co­ve­rata presso il con­vento di clau­sura di Monza, teo­ri­ca­mente sotto la pro­te­zione della Si­gnora mo­naca. La quale in realtà è amante e com­plice di Egi­dio, so­dale del Conte del Sa­grato, as­sol­dato da Don Ro­drigo per il ratto della gio­vane pro­messa sposa.
Il quale ratto, come viene architettato?

Nell’Epilogo è scritto (carta 7r):

«Lu­cia frat­tanto, spe­dita colla let­tera al Ca­puc­cino viene ar­re­stata per via, messa in vet­tura per forza, e con­dotta dai Bravi del Conte Sa­grato al di lui Castello.»

L’Epilogatore ci dice, quindi, che Lu­cia viene in­dotta (im­ma­gi­niamo dalla Si­gnora, l’Epilogo ne tace) a uscire dal con­vento per­ché con­se­gni una let­tera al Pa­dre Ca­puc­cino che po­chi giorni prima ve l’ha condotta.

Nella “Prima Mi­nuta” (e in tutte le suc­ces­sive ver­sioni del ro­manzo) di que­sta let­tera non si fa mai al­cuna men­zione.

Nella “Prima Mi­nuta” Man­zoni ri­porta in det­ta­glio il tra­di­mento di Lu­cia da parte della Si­gnora: deve par­lare con il pa­dre guar­diano dei Cap­puc­cini; non ha nes­suno di fi­dato per chia­marlo; vada Lu­cia a fare l’ambasciata.

Leg­giamo il te­sto (T. 2, cap. 9, 93b, p. 243):

«Gel­trude ri­pe­tendo la le­zione del suo in­fer­nale mae­stro co­min­ciò ad im­pa­stoc­chiarla con una sto­ria mi­ste­riosa, […] e ter­minò con dire che le bi­so­gnava in quel mo­mento un uomo da cui po­tesse aspet­tarsi un con­si­glio fi­dato, […] era quel pa­dre guar­diano dal quale Lu­cia era stata scorta al mo­na­stero; che ella aveva bi­so­gno di par­lare con lui ma che le man­cava il mezzo di farlo av­ver­tire con si­cu­rezza,[…] era ne­ces­sa­rio che Lu­cia pren­desse un po’ di ri­so­lu­zione, si sni­ghit­tisse, e fa­cesse to­sto, e se­gre­ta­mente e sola que­sta commissione.»

Nella “Prima Mi­nuta” Man­zoni quindi non dice in chiaro come si do­vrà estrin­se­care que­sta am­ba­sciata, non scrive né di let­tera né di altro.
Ma in tutte le suc­ces­sive rie­la­bo­ra­zioni, forse co­gliendo una più che pre­ve­di­bile do­manda su que­sto det­ta­glio, chia­ri­sce che l’ambasciata sarà a voce.

In “Gli Sposi pro­messi” (T. 2, cap. 20, c. 104d; p. 292) e in “Pro­messi Sposi” 1827 (p. T.2, p. 230), ce lo scrive esat­ta­mente allo stesso modo (p. 292):

«An­date al con­vento de’ cap­puc­cini,» e le de­scrisse la strada di nuovo: «fate chia­mare il pa­dre guar­diano, di­te­gli che venga da me to­sto tosto.»

In “I Pro­messi Sposi” 1840 (p. 385), lo ri­pete, con lieve variante:

«An­date al con­vento del cap­puc­cini» e le de­scrisse la strada di nuovo: «fate chia­mare il pa­dre guar­diano, di­te­gli, da solo a solo, che venga da me su­bito subito».

Lu­cia è quindi in­viata dalla Si­gnora per un’ambasciata: dire al Pa­dre, da parte della Si­gnora, di re­carsi al Con­vento per par­lare con la Si­gnora stessa di cose im­por­tanti per Lucia.

In “Prima Mi­nuta” senza al­cuna spe­ci­fi­ca­zione del come; in tutte le al­tre ver­sioni, espli­ci­ta­mente, con una am­ba­sciata a voce.

L’Epilogatore, quindi, o si è in­ven­tato egli stesso que­sto par­ti­co­lare della let­tera, op­pure ha rias­sunto da un qual­che cosa dove si par­lava di lettera.
Op­pure, da epi­lo­ga­tore scal­ca­gnato, ha mal ri­cor­dato cose sen­tite o lette distrattamente.

In­fatti nella “Prima Mi­nuta” si parla sì di una “let­tera al Pa­dre Cap­puc­cino” — ma si tratta della let­tera di rac­co­man­da­zione del Pa­dre Cri­sto­foro all’amico e cor­re­li­gio­na­rio di Monza, cui af­fida Lu­cia e Agnese, da Man­zoni ci­tata 120 pa­gine prima:

(T. 2, cap. 2, 5b, p. 128):

«La ma­dre e la fi­glia si tro­va­vano dun­que, dopo la par­tenza di Fermo, so­lette in una oste­ria di Monza, senza al­cuna pra­tica del paese, senza al­cuna co­no­scenza, non avendo in così alto mare al­tra bus­sola che la let­tera del Pa­dre Cri­sto­foro. La let­tera era di­retta al Pa­dre Guar­diano dei Cap­puc­cini

Siamo quindi, even­tual­mente, di fronte a un con­cla­mato caso di ma­ra­sma epilogatorio.

D’altra parte, sul piano nar­ra­tivo (e della sem­plice lo­gica del tra­di­mento), l’Epilogatore non dà in que­sta oc­ca­sione (come in al­tre) prova di grande perspicuità.
È in­fatti un evi­dente non senso pen­sare che la Si­gnora po­tesse avere dato a Lu­cia uno scritto di pro­prio pu­gno, dal quale avrebbe po­tuto emer­gere lam­pante la sua com­pli­cità nel rapimento.

Ri­cor­diamo che Man­zoni, an­che quando avrà op­tato de­ci­sa­mente per la “am­ba­sciata a voce”, ri­chia­merà l’attenzione su que­sto aspetto: quando la Si­gnora viene a sa­pere del mu­ta­mento del Conte, il suo primo pen­siero sarà pro­prio che Lu­cia po­trà de­nun­ciarla come evi­dente com­plice del ratto.

E in ef­fetti, quando Fe­de­rigo in­ter­ro­gherà Lu­cia su quanto av­ve­nuto, ben­ché la gio­vane non esprima una chiara ac­cusa, al Car­di­nale ap­pa­rirà su­bito so­spetto il ruolo della Signora.

Sarà certo an­che que­sto uno dei mo­tivi per cui, come il­lu­strato in det­ta­glio poco più avanti da Man­zoni nella “Prima Mi­nuta”, egli an­drà a fare vi­sita al con­vento della Si­gnora, av­viando la sco­perta dell’intreccio ero­tico-cri­mi­nale svi­lup­pa­tosi nel Con­vento; il tra­sfe­ri­mento della Si­gnora; l’epilogo de­lit­tuoso di tutta la tre­sca a opera di Egi­dio; la morte vio­lenta di quest’ultimo.

Ov­vio che se, at­tra­verso il Conte, fosse giunta al Car­di­nale una let­tera di pu­gno della Si­gnora (una pa­tente con­fes­sione di cor­reità nel ra­pi­mento), lo schema nar­ra­tivo se­guito da Man­zoni sa­rebbe stato tutto un altro.

E ve­niamo alla se­conda dif­for­mità nell’episodio del ra­pi­mento di Lu­cia (ma siamo al n. 9 nell’elenco generale).

Difformità n. 9 — Ripresa da “I Promessi Sposi”.

11.2/ Un fiume scomparso e una vecchia fuori tempo.

In Epi­logo, Lu­cia ra­pita è:

«con­dotta dai Bravi del Conte Sa­grato al di lui Ca­stello. Qui viene con­se­gnata ad una tri­sta vec­chia».

Que­sta ver­sione è la me­de­sima che tro­viamo già in “Gli Sposi Pro­messi” (Ra­boni, 2012), poi nella Ven­ti­set­tana (e nella Quarantana).

Ma nella “Prima Mi­nuta” la sto­ria è in­vece pa­rec­chio di­versa: ab­biamo in più l’Adda e la vec­chia che vi com­pare an­zi­tempo (T. 2, Cap. 10, c. 17):

«Era l’Adda in­fatti a cui la car­rozza si av­vi­ci­nava […] Lu­cia | ve­dendo che si stava per fare qual­che cosa da cui do­veva de­ci­dersi il suo de­stino, ri­co­min­ciò le sue pre­ghiere, […] La car­rozza si fermò presso la riva, quel della serpe fece un se­gno a cui fu ri­spo­sto dal bat­tello, e to­sto ne usci­rono tre bravi con una vec­chia, e si av­via­rono verso la carrozza.»

(T. 2, Cap. 10, c. 26):

«Guardò in­torno e non vide al­tro che la bo­sca­glia la riva e il fiume e il bat­tello; alzò gli oc­chi, e vide al di so­pra delle cime dei monti la cima ta­gliata a sega del Re­se­gone […] quasi fuor di se, fu po­sta a se­dere nel bat­tello sotto la tenda: la vec­chia le si pose acanto: il capo di quelli che erano ve­nuti in car­rozza saltò pure nel bat­tello, stette al di fuori coi bravi ve­nuti per ac­qua; i quali to­sto pun­tati i remi alla riva ne fe­cero al­lon­ta­nare il bat­tello, pi­glia­rono l’alto del fiume, die­dero dei remi nell’acqua e il bat­tello partì.»

(T. 2, Cap. 10, c. 28):

«Lu­cia ri­co­min­ciò a pre­gare Co­lui che ode an­che quando non ri­sponde, si ab­ban­donò alla sua prov­vi­denza. Dopo forse due al­tre ore di viag­gio il bat­tello ap­prodò: la notte pre­ci­pi­tava, e Lu­cia sbi­got­tita, tre­mante […] fu tolta in que­sto stato dal bat­tello, po­sta in una let­tiga, e por­tata al ca­stello del Conte del Sagrato.
La vec­chia ac­com­pa­gnava la let­tiga, en­trò in­sieme in casa, la fece de­porre in una stanza, dove ri­mase sola con Lucia».

Quindi, nella “Prima Mi­nuta”, Lu­cia, vec­chia e Bravi ri­sal­gono in barca l’Adda per un paio d’ore; sbar­cano; sal­gono al ca­stello del Conte in lettiga.

Pa­rec­chio di­verso, vero, dall’Epilogo? E da tutte le suc­ces­sive ver­sioni del ro­manzo, dove mai l’Adda è ac­co­stato al ra­pi­mento di Lucia.

An­che per que­sta dif­for­mità, l’Epilogatore ha ri­preso forse il rac­conto di Man­zoni quale è ri­por­tato nelle tre ver­sioni suc­ces­sive — ma di si­curo NON dalla “Prima Mi­nuta”.

Pas­siamo ora al Conte del Sagrato.

Nel lungo epi­so­dio ri­guar­dante il mu­ta­mento del Conte e la li­be­ra­zione di Lu­cia, ab­biamo ben tre dif­for­mità di fatto tra l’Epilogo e la “Prima Mi­nuta” di Man­zoni.

12. Sul Conte, marasma epilogatorio.

Difformità n. 10 — Omogenea al film di Camerini, 1941

12.1/ La terrazza inventata.

La si­tua­zione — Siamo alle so­glie del mu­ta­mento d’animo del Conte del Sa­grato; dopo il dia­logo con Lu­cia il Conte passa una notte in­sonne ri­mu­gi­nando pen­sieri già suoi da tempo; al mat­tino guarda nella valle l’accorrere del po­polo a in­con­trare il Car­di­nale Borromeo.
Da dove guarda il Conte?

Nell’Epilogo è scritto (carta 7v, evi­den­zia­zioni nostre):

«Al­za­tosi il Conte, […] vede dalla ter­razza la folla del po­polo, che trae a far omag­gio al Card.le Fe­de­rico Bor­ro­meo in vi­sita a Chiuso».

Do­manda: cosa è una ter­razza? Ve­diamo che ne dice Treccani:
«ter­razza s. f. [dal fr. ter­rasse, che ha lo stesso etimo dell’ital. ter­razzo]. – 1. Ri­piano sco­perto d’un edi­fi­cio, per lo più pra­ti­ca­bile, de­li­mi­tato in tutto o in parte dal suo pe­ri­me­tro; in par­tic., il ri­piano di co­per­tura dell’edificio […]»

E che dice Trec­cani per “fi­ne­stra”:
«fi­nè­stra (ant. fe­nè­stra) s. f. [lat. fe­nĕ­stra]. – 1. a. Aper­tura nei muri esterni di un edi­fi­cio, de­sti­nata a dare luce e aria agli am­bienti in­terni e a con­sen­tire la vi­sta da que­sti ul­timi verso l’esterno […]».

Nell’esperienza plu­ri­mil­le­na­ria delle strut­ture edi­li­zie, quindi, “fi­ne­stra” e “ter­razza” non sono as­si­mi­la­bili, nep­pure alla lon­tana: si tratta di ele­menti né con­fron­ta­bili né confondibili.
Ciò chia­rito, tor­niamo a noi.

L’ambiente da cui — se­condo l’Epilogo — il Conte del Sa­grato, in pro­cinto di cam­biar vita, guarda la valle sot­to­stante al suo ca­stello, va be­nis­simo in sé: una ter­razza è per­fetta per guar­dare dall’alto di un castello.

Il pro­blema è che in tutta la “Prima Mi­nuta” di Man­zoni non c’è nep­pure un cenno a ter­razze di al­cun tipo e, nel caso del Conte del Sa­grato in pro­cinto di mu­tar vita, si parla solo di una “fi­ne­stra” (T. 2, cap. 10, c. 108c; p. 267):
«Si alzò, si ve­stì ra­pi­da­mente, e prima d’andare alla stanza di Lu­cia (che la ri­so­lu­zione gliene era ri­ma­sta) si fece alla fi­ne­stra della sua stanza»;

idem, 108d, p. 267:
«Il Conte con­gedò con un cenno del capo il fi­dato, e ri­mase an­cora un mo­mento alla fi­ne­stra a guar­dare; di­cendo fra se: Come sono con­tenti co­storo! E perchè?»

Nella “Prima Mi­nuta, quindi, “fi­ne­stra”, non “ter­razza”.
D’altra parte, an­che in tutte le suc­ces­sive di­verse ver­sioni del ro­manzo, ab­biamo sem­pre fi­ne­stre e mai terrazze.

— “Gli Sposi pro­messi” (Colli, Ra­boni, 2012):
«andò ad aprire le im­po­ste d’una fi­ne­stra e guardò giù.».

— “I Pro­messi Sposi”, Fer­ra­rio 1825-27, Tomo 2, p. 268:
«andò ad aprire le im­po­ste d’una fi­ne­stra, e guardò.»

— “I Pro­messi Sposi — Edi­zione ri­ve­duta”, Re­daelli 1840:
«Saltò fuori da quel co­vile di pruni; e ve­sti­tosi a mezzo, corse a aprire una fi­ne­stra, e guardò.»

Da dove salta fuori quindi quella “terrazza” dell’Epilogo?

Chie­diamo al let­tore un at­timo di at­ten­zione in quanto la que­stione è meno ba­nale di quanto sembri.

Se sul piano fun­zio­nale è chiaro che una ter­razza vale quanto — e an­che più — di una fi­ne­stra per guar­dare al­cun­ché dall’alto, è al­tret­tanto chiaro che la di­ver­sità nella frui­zione, in una opera let­te­ra­ria può im­pli­care una di­ver­sità di con­te­nuti narrativi.

12.2/ “Finestre” e “finestra” in Manzoni.

Nella “Prima Mi­nuta” di Man­zoni il ter­mine “fi­ne­stre” (al plu­rale quindi) com­pare per 22 oc­cor­renze; per 33 oc­cor­renze al sin­go­lare: “fi­ne­stra”.

Al plu­rale — FINESTRE — il ter­mine in­dica il più delle volte (con ov­vie ec­ce­zioni na­tu­ral­mente) gli ele­menti di un edi­fi­cio (ne­go­zio, con­vento, abi­ta­zione che sia) con­si­de­rati dal punto di vi­sta di chi “sta fuori” dall’edificio stesso e vuole en­trarvi, il più delle volte con cat­tive in­ten­zioni: sono una delle vie pre­fe­rite per chi vo­glia in­tro­dur­visi di forza e vio­larne l’intimità.
Che siano ma­ni­fe­stanti all’assalto dei forni; aspi­ranti omi­cidi alla cac­cia del Vi­ca­rio di Prov­vi­sione; re­clusi al laz­ze­retto che rim­pian­gono di non po­tere get­tare schi­fezze car­ne­va­le­sche nelle case dei si­gnori, è sem­pre alle fi­ne­stre che pen­sano o guar­dano per una azione negativa.

Al sin­go­lare — FINESTRA — ha in­vece il più delle volte la fun­zione op­po­sta: è il mezzo at­tra­verso cui chi è all’interno dell’edificio si mette in co­mu­ni­ca­zione con l’esterno.

Fa­cendo cosa?

O get­tando nell’ambiente sot­to­stante pol­veri ve­ne­fi­che (e an­che ca­da­veri) come nella Mi­lano appestata.
O af­fac­cian­dosi per in­te­ra­gire con l’esterno (Per­pe­tua e Don Ab­bon­dio nella notte de­gli im­bro­gli; la si­gnora Ghita con Fermo alla ri­cerca di Lu­cia, ecc.).
O per ru­bare il tempo alle no­vità (Don Ro­drigo che si fa alla fi­ne­stra per ve­dere se com­pare il Griso con la preda).

Op­pure …

Op­pure guar­dando at­tra­verso di essa un al­cun­ché di esterno ma ri­ma­nendo in se stessi: guardo fuori per ve­dere che suc­cede o cosa vi è al di là del ve­tro; ma io sono den­tro, al chiuso, al si­curo; posso guar­dare senza es­sere visto.

È il caso della Gel­trude mo­naca all’inizio dell’innamoramento per Egi­dio: la fi­ne­stra le con­ferma (senza es­serne vi­sta) dell’interesse per lei del bel gio­va­notto senza scrupoli.

Ed è il caso del Conte del Sa­grato / l’innominato: egli è nella sua stanza (nella me­de­sima dove ha pas­sato in ras­se­gna il suo ver­go­gnoso pas­sato) ed è an­cora preso dai suoi pen­sieri angosciosi.
At­tra­verso la fi­ne­stra egli vede la valle, il mo­vi­mento de­gli uo­mini, la luce del giorno per tutti e la spe­ranza della luce per sé.
Ma non è an­cora all’aperto e aperto agli al­tri; è an­cora al chiuso, in se stesso, sep­pure con una prima aper­tura all’esterno, sim­bo­liz­zata da quella finestra.

È fa­cile no­tare da que­sti due esempi come in Man­zoni la “fi­ne­stra” possa dun­que avere una fun­zione di me­dia­zione tra una con­di­zione psi­co­lo­gica di chiu­sura e un’altra di­versa, di aper­tura verso l’esterno — che sia un uomo da amare come nel caso della Si­gnora, o una vita nuova come per il Conte, poco importa.

E allora perché nell’Epilogo si parla di “terrazza” e non di “finestra”?

La cosa è cu­riosa per­ché nella sto­ria della “ri­du­zioni”, più o meno ar­ti­sti­che, del ro­manzo di Man­zoni, c’è un caso (si­cu­ra­mente più noto dell’Epilogo del «Ma­no­scritto Lecco 170») nel quale viene ope­rata la me­de­sima sostituzione.

12.3/ “La “terrazza” ne “I Promessi Sposi” di Mario Camerini del 1941.

Nel suo film “I Pro­messi Sposi” del 1941, pro­dotto e di­stri­buito dalla Lux Film in oc­ca­sione del 100esimo della pub­bli­ca­zione della Qua­ran­tana, Ca­me­rini si muove lungo quella che a prima vi­sta sem­bra solo la strada più co­moda per un re­gi­sta ci­ne­ma­to­gra­fico ma nella quale — a più at­tenta ana­lisi — è più che evi­dente uno sco­sta­mento strut­tu­rale da Manzoni.

Allo spet­ta­tore sono pro­po­ste al­cune se­quenze de­ci­sa­mente “in­no­va­tive” ri­spetto al ro­manzo (in qual­si­vo­glia delle sue redazioni):

a/ im­me­dia­ta­mente dopo avere par­lato con Lu­cia, l’innominato esce dalla stanza e, per­corso un breve cor­ri­doio, ar­riva sul ter­razzo alla som­mità del suo ca­stello; lo se­gue l’anziana serva;
b/ ri­ma­sta sola,
Lu­cia pro­nun­cia il voto di castità;
c/ dalla ter­razza l’innominato guarda la mol­ti­tu­dine che si snoda verso Chiuso;
d/ lo rag­giunge l’anziana serva: «non an­date a dor­mire si­gnore?» — «dove va quella ca­na­glia?» — «vanno in­con­tro al Car­di­nale Bor­ro­meo»; l’innominato la con­geda bruscamente;
d/ gran scam­pa­nio da tutte le chiese della zona; l’innominato con­ti­nua a guar­dare nella valle; la folla si con­cen­tra at­torno alla chiesa nella quale il Car­di­nale è mo­strato in­gi­noc­chiato; l’innominato è mo­strato già nella sagrestia.

Guar­dando que­ste scene, an­che il più di­stratto let­tore di Man­zoni com­prende che Ca­me­rini più che la ci­ne­presa ha usato le for­bici: nulla, né nel volto del bur­bero Carlo Nin­chi né nei suoi at­teg­gia­menti, fa pen­sare che nel ma­sna­diero vi sia non di­ciamo un mu­ta­mento d’animo ma nep­pure una qual­si­vo­glia riflessione.

E, in ef­fetti, da Ca­me­rini l’innominato non è mai rap­pre­sen­tato, nep­pure per un istante, nel chiuso della pro­pria stanza (os­sia solo con se stesso).
È rap­pre­sen­tato esclu­si­va­mente all’aperto, nel suo fis­sare la valle, che sia ap­pena spun­tata la de­serta alba op­pure nel primo mat­tino, quando la po­po­la­zione si muove verso Chiuso

E la sempre citata lunga notte insonne dell’innominato, descritta da Manzoni in sei fitte pagine, dove è andata finire?

12.4/ Come nasce e si afferma il mutamento?

In Man­zoni (in tutte le di­verse ste­sure, a parte le va­rianti sti­li­sti­che o di ac­cen­tua­zione — per esem­pio nella “Prima Mi­nuta” non com­pare af­fatto l’idea del sui­ci­dio) il mu­ta­mento dell’innominato è — come tutti i moti pro­fondi nell’uomo — un pro­cesso lungo, an­che se a lungo inconsapevole.

L’innominato già da tempo sente il peso della sua scelta di vita e la spinta verso un cambiamento.
Quel suo es­sere at­tore e com­plice nel de­litto gli ap­pare sem­pre più come un tra­di­mento del suo es­sere uomo; sente con­fu­sa­mente che così non può an­dare avanti.

L’incontro con Lu­cia, così estra­nea a qual­siasi colpa, così in ba­lia di vo­lontà pre­va­ri­ca­trici da lei in­con­tra­sta­bili, gli fa scat­tare il mec­ca­ni­smo di re­vi­sione; è una spinta ad af­fron­tare quanto egli già da tempo me­dita nel suo in­timo.

Nella notte in­sonne, tutti i pen­sieri ma­tu­rati nel tempo rie­mer­gono e si im­pon­gono per una so­lu­zione che egli an­cora non sa quale possa essere.
Guarda dalla fi­ne­stra e vede la col­let­ti­vità fe­stante, da cui si sente escluso: forse là, in quel nu­cleo di po­si­ti­vità, è la soluzione.

La fi­ne­stra è quindi il punto di col­le­ga­mento tra il pro­prio stato in­te­riore e la so­lu­zione che può es­ser data solo dall’appartenenza one­sta e pu­lita alla collettività.

Ecco per­ché la fi­ne­stra — in sé e per sé as­so­lu­ta­mente ano­nima — in que­sto pro­cesso è così im­por­tante ed è con­sa­pe­vol­mente uti­liz­zata da Manzoni.

12.5/ La censura di Camerini, a pro’ dell’autorità esclusiva della Chiesa?

In Ca­me­rini si ha quindi un ta­glio ra­di­cale nella nar­ra­zione di Man­zoni: è stata can­cel­lata la lunga e com­plessa de­scri­zione del pro­cesso in­te­riore di mu­ta­mento at­tra­verso cui l’innominato giunge da sé alla nuova vita, prima an­cora di avere in­con­trato il Car­di­nale, il quale è solo l’autorevole tra­mite che rende so­ciale e col­let­tivo il pro­cesso di ma­tu­ra­zione interna.
Al pro­cesso di mu­ta­mento in­te­riore e au­to­nomo dell’innominato, Ca­me­rini so­sti­tui­sce in­vece l’intervento sal­vi­fico del Car­di­nale Borromeo.

In Ca­me­rini — e in tutti i suoi ispi­ra­tori, col­la­bo­ra­tori e so­dali di al­lora e di oggi — il mu­ta­mento dell’innominato è po­sto quindi come pro­ma­nare esclu­si­va­mente dall’autorità della Chiesa: l’innominato cat­tivo si pre­senta al Car­di­nale e di­venta istan­ta­nea­mente buono (sem­pli­fi­chiamo, na­tu­ral­mente, ma il mec­ca­ni­smo pro­po­sto è questo).

È chiaro che si tratta di una in­ver­sione ri­spetto a Man­zoni che vede nell’autorità della Chiesa la con­ferma di un pro­cesso di ma­tu­ra­zione in­te­riore che non può che es­sere individuale.
Non si tratta quindi di fi­ne­stre o di ter­razze: si tratta di due modi di­versi di rap­pre­sen­tare il ruolo della Chiesa e del rap­porto del fe­dele con essa.

Non è dif­fi­cile pen­sare che Ca­me­rini e col­la­bo­ra­tori alla sce­neg­gia­tura non fos­sero per nulla con­sa­pe­voli delle im­pli­ca­zioni del loro so­sti­tuire in quel modo “ter­razza” a “fi­ne­stra”.
Ed è del tutto pos­si­bile che essi fos­sero mossi solo dall’uso più fa­cile e spet­ta­co­lare della ter­razza come luogo di vi­sione dall’alto.

Ma pos­siamo dire lo stesso dell’Epilogatore del «Ma­no­scritto Lecco 170»?
Stando alla Prof. Paola Ita­lia l’estensore dell’Epilogo sa­rebbe stato della cer­chia stretta ami­cale e fa­mi­liare di Manzoni.

E quindi, per­ché, ha ope­rato quella del tutto gra­tuita sostituzione?
La do­me­nica, dopo es­sersi ri­creato con Don Li­san­der, an­dava forse al cinema?
Scher­ziamo na­tu­ral­mente (ma non troppo).

Ma men­tre scher­ziamo, a mar­gine, pos­siamo no­tare che de­gli al­tri tre film de­di­cati a “I Pro­messi Sposi” nel se­colo scorso:

Bon­nard (1922) è ri­ma­sto fe­dele a Man­zoni (la notte agi­tata dell’innominato; la ten­ta­zione del sui­ci­dio e poi, lo sguardo at­tra­verso la finestra);

Bol­chi (1969) si è mosso sulla scia di Ca­me­rini (an­che Salvo Ran­done guarda da una ter­razza, agi­tato da pensieri);

No­cita (1989) ha igno­rato il pro­blema: né ter­razza né fi­ne­stra: dopo avere lun­ga­mente il­lu­strata l’angoscia not­turna di Mur­ray Abra­ham, ce lo fa ve­dere già in paese, a cavallo.

Difformità n. 11 — Ripresa da “I Promessi Sposi”.

12.6/ “Viene onestamente congedata” …

Sulla li­be­ra­zione di Lu­cia da parte del Conte del Sa­grato, in Epi­logo così si scrive (carta 8r):

«De­sta­tasi la vec­chia cu­stode cerca frat­tanto di ral­le­grare Lu­cia, ma in­vano, fin­ché giunge l’avviso della li­bertà con­cessa, e so­pra­giunge la scorta, che dee con­durla. Essa parte one­sta­mente con­ge­data

Cosa ogni let­tore è in­dotto a in­ten­dere con que­sto “parte one­sta­mente con­ge­data”, pro­po­sto dall’Epilogo?

Più o meno che il Conte, di­ve­nuto buono, fac­cia ve­nire a pren­dere Lu­cia con un taxi dell’epoca, a ca­valli; si scusi con lei per il di­sturbo ar­re­ca­tole; le dia dei quat­trini per ri­sar­cirla delle tri­bo­la­zioni; la sa­luti con af­fetto, as­si­cu­ran­dole an­che in fu­turo la sua pro­te­zione, e arrivederci!

Ma è così che il Man­zoni pre­senta la vi­cenda nella “Prima Minuta”?
Niente af­fatto: nella “Prima Mi­nuta” le cose ven­gono rac­con­tate pro­prio all’opposto.

È fa­cile ve­ri­fi­carlo leg­gendo le due pa­gine che Man­zoni de­dica al come Lu­cia rie­sce ad uscire dal ca­stello del Conte (T. 3, cap. 2, c. 15; p. 300) ed è an­cora più fa­cile leg­gendo que­sta no­stra bre­vis­sima sin­tesi che ri­prende i pen­sieri del Conte men­tre ri­torna al pro­prio ca­stello dopo il col­lo­quio con Fe­de­rigo e la con­se­guente de­ter­mi­na­zione di la­sciare li­bera Lucia:

«Guaj se co­storo, cre­dono ch’io non sia più quello da sten­dere in terra co­lui che ar­disse re­si­stermi! […] pose mac­chi­nal­mente la mano al luogo dov’era so­lito te­nere una pi­stola, e si ri­cordò di averle la­sciate con le al­tre armi in casa del cu­rato […] quello che im­porta è di non far pa­role, di non per­der tempo […] Se in que­sta casa […] cessa la di­sci­plina, il ter­rore del pa­drone, di­venta un in­ferno! […] Bi­so­gna dis­si­mu­lare […]. Così pen­sando […] si av­vi­cinò alla let­tiga, e […] disse sot­to­voce: non dite pa­rola che a quella po­ve­retta […]. Voi en­tre­rete nella stanza […] le di­rete che siete ve­nuta a li­be­rarla; […] la let­tiga verrà nella stanza, e ri­par­ti­remo to­sto. Il Conte […] si av­vi­cinò alla mula di D. Ab­bon­dio […] e gli disse sotto voce: Si­gnor Cu­rato […] è ne­ces­sa­ria una pru­denza che io solo pur troppo posso co­no­scere ap­pieno. Se le sta a cuore la riu­scita […] non dica pa­rola […] nè di quello che si vuol fare, nè di quello ch’io penso. […] .
Il Conte salì di nuovo su la mula, e volto ai let­ti­ghieri, e ai pa­la­fre­nieri disse loro: Si­len­zio, e ob­be­dienza: non dite nè ri­spon­dete una pa­rola in quel ca­stello: […] non fia­tate, per­chè po­tre­ste far molto male a voi e ad al­tri. An­diamo. I let­ti­ghieri che de­po­sta la let­tiga ave­vano ascol­tata a bocca aperta que­sta ar­ringa, ri­pre­sero le cin­ghie su le spalle, con­ti­nua­rono la loro strada, le mule se­gui­rono; e si giunse alla porta del castello.»

(T. 3, cap. 2, c. 60; p. 308):

«[…] ma quello che por­tava al sommo il loro stu­pore si era di ve­dere il loro pa­drone senz’armi. Quella par­tenza aveva dato luogo a molte con­get­ture, […] ma il ri­torno in­vece di sod­di­sfare la cu­rio­sità la cre­sceva […] Alla porta […] il Conte […] si av­viò alla stanza dov’era Lu­cia, in quella che le era vi­cina […] co­mandò che la let­tiga fosse po­sta a terra. […] disse sotto voce, in modo da non es­sere in­teso che da quelli che lo ve­de­vano: In quella stanza è la gio­vane da con­dursi via […] voi en­trate, e voi pure Sig.r Cu­rato. […] la cosa deve pas­sare quie­ta­mente; non per­dete tempo […] quando è di­spo­sta, […] la let­tiga verrà nella stanza = fa­tela se­dere in essa, po­ne­tevi al suo fianco, ti­rate le cor­tine, […] io vi aspetto = an­drò in­nanzi, poi la let­tiga, poi il si­gnor cu­rato; dritto alla porta; quivi sa­li­remo sulle no­stre mule, e ri­par­ti­remo. E voi, disse ri­volto ai let­ti­ghieri: zitti. […] Lu­cia vi en­trò, e la buona donna dopo lei, si ti­ra­rono le cor­tine, i let­ti­ghieri usci­rono, il cu­rato die­tro […] Nel cor­tile, alla porta del ca­stello, il Conte e il Cu­rato a ca­vallo, la let­tiga da­vanti, giù per la di­scesa, e dritto a Chiuso. […] la buona donna rac­co­mandò a Lu­cia di non par­lare finch’ella non gliene desse av­viso. Ma poi che dallo scal­pito delle mule che se­gui­vano s’accorse che era var­cata la so­glia, co­min­ciò a guar­dare un po’ fuori delle cor­tine, e vi­sta la strada li­bera, ruppe ella stessa il si­len­zio di­cendo a Lu­cia: Po­vera gio­vane! l’avete pas­sata brutta! Ma Dio ha pen­sato a voi, e tutto è finito.»

Manca solo la mu­sica di En­nio Mor­ri­cone, in vi­sta di uno scanna scanna all’arma bianca.

Lu­cia quindi la­scia il ca­stello na­sco­sta in una let­tiga, all’insaputa di tutti tranne che del Conte, della buona donna, di Don Ab­bon­dio e dei lettighieri.
Lu­cia non è af­fatto “one­sta­mente con­ge­data”, ma na­sco­sta­mente fatta fug­gire; ra­pita un’altra volta, que­sta volta dal ra­pi­tore fatto nuovo e buono che la ra­pi­sce al vec­chio se stesso.

In realtà l’Epilogatore, per tutto que­sto epi­so­dio di non poco conto, si è ri­fatto non alla “Prima Mi­nuta” ma a “I Pro­messi Sposi” del 1827 e poi del 1840.

Nella ste­sura de­fi­ni­tiva del ro­manzo Lu­cia è in­fatti li­be­rata dall’innominato non di na­sco­sto ma in modo “nor­male”, pro­prio come in­di­cato nell’Epilogo.

In­fatti ne “I Pro­messi Sposi” (del 1827 e del 1840) l’innominato, con Ab­bon­dio e la buona donna in­ca­ri­cata dal Car­di­nale, torna al ca­stello ar­mato come era quando ne era uscito al mat­tino, il che im­pe­di­sce ogni idea strana nei suoi uo­mini sulla si­tua­zione; senza al­cun sot­ter­fu­gio fa sa­lire sulla let­tiga Lu­cia e l’accompagnatrice (dà an­che loro il brac­cio per aiuto); fa uscire dal ca­stello la co­mi­tiva alla luce del sole.

Sul piano “ro­man­ze­sco” la so­lu­zione della “Prima Mi­nuta” è forse più sti­mo­lante; c’è su­spense; se qual­cosa an­dasse storto, il Conte si tro­ve­rebbe a com­bat­tere — e a mani nude! — con­tro i suoi stessi sgherri; al­lora sì che Don Ab­bon­dio se la ve­drebbe brutta!

Ma l’Epilogatore stava leg­gen­dosi non la “Prima Mi­nuta” ma il te­sto che sa­rebbe poi di­ven­tato quello della Ven­ti­set­tana, op­pure una delle tante ri­stampe del romanzo.

Ed ec­coci alla ul­te­riore dif­for­mità tra Epi­logo e “Prima Mi­nuta” di Man­zoni nell’episodio del Conte del Sagrato.

Difformità n. 12 — Ripresa da “I Promessi Sposi”.

12.7/ A chi rende visita il Conte “ricomparso”? E a chi dà i quattrini?

Per am­bien­tarsi — Dopo avere in Chiuso aiu­tato il Conte del Sa­grato nel suo per­corso esi­sten­ziale, il Car­di­nale Fe­de­rigo Bor­ro­meo pro­se­gue nel viag­gio pa­sto­rale, toc­cando vari paesi fino a giun­gere a quello di Renzo e Lu­cia. In tutti i suoi spo­sta­menti viene se­guito dal Conte che, ogni giorno, gli fà vi­sita per con­fer­marsi nel suo mu­ta­mento. Così il Conte fà an­che nel paese de­gli sposi e lì …

Ma ve­diamo che scrive l’Epilogo (carta 8v):

«Ri­com­pa­ri­sce il Conte per rin­no­vare le di­mo­stra­zioni di pen­ti­mento, e si porta a vi­si­tare la ma­dre della ra­pita; le fa scusa, e le la­scia danaro.»

In Epi­logo, quindi, nelle po­che pa­role già ri­por­tate so­pra si dice:

  1. che il Conte “ri­com­pa­ri­sce”, dando per sup­po­sto che fosse in un qual­che mo­mento scomparso;
  2. che di per­sona porta del de­naro alla ma­dre di Lu­cia, dando per sup­po­sta l’assenza della stessa Lucia.

Nella “Prima Mi­nuta” di Man­zoni, le cose sono però ben di­verse.

Primo — È con­ti­nua­mente ri­pe­tuto che il Conte — ogni giorno, per tutti i giorni dal suo rav­ve­di­mento — si pre­senta a Fe­de­rigo, nell’ora che pre­cede il pranzo; in­sieme par­lano a lungo: in “Prima Mi­nuta” il Conte quindi non “ri­com­pa­ri­sce”, dal mo­mento che non è mai scomparso.

Se­condo — In quel par­ti­co­lare giorno in cui Lu­cia torna al paese; pro­prio in quel giorno, il Conte chiede a Federigo:

— se può ve­dere Lucia;
— se può chie­derle il perdono;
— se può in qual­che modo sdebitarsi.

Man­zoni è quindi pre­ciso nell’indicare che Lu­cia è sotto la pro­te­zione e tu­tela del Car­di­nale, po­tenza spi­ri­tuale ma con an­che ampi po­teri tem­po­rali; è pre­ciso nell’indicare che il Conte, nei con­fronti di Lu­cia, non può fare di te­sta sua ma solo avendo il con­senso del Car­di­nale; è pre­ciso inol­tre nel nar­rare come il Conte non vada a tro­vare la ma­dre di Lu­cia, ma Lu­cia stessa (ov­via­mente con essa vi è an­che Agnese); per­ché è Lu­cia che deve dar­gli il per­dono.

Se non si co­glie que­sto in­sieme di ele­menti, non si com­prende nulla del di­scorso di Manzoni.

Al so­lito, i casi quindi sono due: o l’epilogatore non ca­piva un ac­ci­dente di Man­zoni — e quindi non po­teva né es­serne vi­cino né averne la sim­pa­tia, come scritto dalla Pro­fes­so­ressa Ita­lia — op­pure non co­no­sceva pra­ti­ca­mente nulla dello svol­gi­mento della “Prima Mi­nuta” e ha sem­pli­ce­mente ri­por­tato, an­che in que­sto caso, un sem­plice pro­me­mo­ria, po­che pa­role per se­gnare una riflessione.

Op­pure — lo ab­biamo già an­ti­ci­pato ma con­viene co­min­ciare a far­sene un qua­dro più pre­ciso, è un fur­bone che ha vo­luto pro­durre un te­sto colmo di la­cune a te­sti­mo­niarne la ge­nui­nità — vec­chio trucco di qual­siasi imbonitore.

A pro­po­sito di im­bo­ni­tori, giova ri­cor­dare che è ne “I Pro­messi Sposi” del 1827 che Man­zoni pre­senta la cosa in un modo cui va­ga­mente si av­vi­cina l’Epilogo: Donna Pras­sede (nella “Prima Mi­nuta” com­pa­rirà molto più avanti) è in vil­leg­gia­tura vi­cino a Chiuso; si è of­ferta di avere con sé Lu­cia in Mi­lano; Lu­cia e Agnese quindi si se­pa­rano, la prima per fer­marsi da Donna Pras­sede, la se­conda per tor­nare al paese. È in que­sto mo­mento che l’innominato (il Conte della “Prima Mi­nuta”) fa avere ad Agnese un ro­tolo di denaro:

«Il car­di­nale era anch’egli sulle mosse, per por­tarsi ad un’altra par­roc­chia, quando ca­pitò, e chiese di par­lar­gli, il cu­rato di quella in cui era il ca­stello dell’innominato. In­tro­messo, pre­sentò un gruppo e una let­tera di quel si­gnore, la quale pre­gava Fe­de­rigo di fare ac­cet­tare alla ma­dre di Lu­cia un cento scudi d’oro che erano nel gruppo, per ser­vir di dote alla gio­vane, o per quell’uso che ad en­trambe sa­rebbe pa­ruto migliore;»

Ab­biamo quindi una en­ne­sima ri­prova delle am­pie e ri­pe­tute dif­for­mità tra l’Epilogo del «Ma­no­scritto Lecco170» e “Prima Mi­nuta” di Manzoni.

Ma pas­siamo ora alle dif­for­mità ri­scon­tra­bili nella lunga parte de­di­cata a Fermo: sono an­che in que­sto caso bene evidenti.

13. Cinque difformità su Fermo nella rivolta del pane.

Difformità n. 13 — Invenzione originale.

13.1/ Perché l’assalto ai forni?

Ri­cor­dando al let­tore che in tutta que­sta se­zione stiamo sol­tanto ve­ri­fi­cando se e in che mi­sura l’Epilogo “Gli Sposi pro­messi” del «Ma­no­scritto Lecco 170» è fe­dele alla “Prima Mi­nuta” del ro­manzo (siamo co­mun­que alla dif­for­mità n. 13 e solo a metà per­corso), ve­diamo che suc­cede quando Fermo ar­riva in Mi­lano a San Mar­tino (sa­bato 11 no­vem­bre 1628), giorno in cui esplode la ri­volta del pane con l’assalto ai forni, e come que­gli av­ve­ni­menti sono de­scritti — nell’Epilogo da una parte e in Man­zoni dall’altra.

Nell’Epilogo così è scritto (carta 9v, evi­den­zia­zioni nostre):

«il po­polo in tu­multo sac­cheg­gia e de­va­sta il Pre­stino delle Scan­sce, e ne ra­pi­sce il pane, le farine […]
I re­go­la­menti im­pro­vidi di D. An­to­nio Fer­rer Can­cel­liere dell’assente Go­ver­na­tore ave­vano tas­sati i prezzi, onde, non tro­van­dosi chi vo­lesse ven­der pane al prezzo tas­sato, il pane era man­cato ed il po­polo s’era messo in fu­rore, in­col­pan­dosi l’avidità de’ For­naj d’avere co­stretto il Can­cel­liere a de­ro­gare a quel primo re­go­la­mento cie­ca­mente applaudito».

In poco meno di 30 pa­role (a sin­tesi delle 4.600 di Man­zoni), l’Epilogatore ha in­fi­lato due ma­cro­sco­pi­che dif­for­mità ri­spetto a quanto scritto da Don Li­san­der nella “Prima Mi­nuta”, in 11 pa­gine fitte di fatti e riflessioni:

«Re­go­la­menti im­pro­vidi» … «Il pane era man­cato».
Se­condo l’Epilogatore, Fer­rer sa­rebbe stato “im­pro­vido”, in quanto:
a/ il cal­mie­ra­mento del prezzo del pane da lui vo­luto (la “tassa sul prezzo”), avrebbe spinto i for­nai a in­ter­rom­pere la pro­du­zione e a non ven­dere più il pane;
b/ il po­polo af­fa­mato avrebbe quindi ri­spo­sto sac­cheg­giando e de­va­stando il “Pre­stino delle Scan­sce” e gli al­tri forni della città.

La “im­pre­vi­denza” di Fer­rer sa­rebbe quindi con­si­stita nel non avere pre­vi­sto la ri­volta po­po­lare, sca­te­nata dalla man­cata ven­dita del pane, de­ter­mi­nata dal cal­mie­ra­mento da egli stesso proclamato.
Po­trebbe es­sere la trac­cia per una fic­tion ga­ran­tita cul­tu­ral­mente dai no­stri amici dell’Accademia: pec­cato però non ab­bia nulla a che ve­dere con la vi­cenda rac­con­ta­taci da Man­zoni — e con la sto­ria vera.

Nella “Prima Mi­nuta”, in­fatti, le cose vanno in tutt’altro modo:

a/ Il cal­mie­ra­mento di Fer­rer sul prezzo del pane su­scita l’opposizione sorda dei for­nai che, con­fi­dando in un ri­pen­sa­mento di Fer­rer,  con­ti­nuano a in­for­nare e ven­dere il pane (Prima Mi­nuta, T. 3, cap. 6, 65b, p. 376): «I for­naj ave­vano pro­te­stato fin da prin­ci­pio, che se la legge non ve­niva tolta, essi avreb­bero get­tata la pala nel forno, e ab­ban­do­nate le | bot­te­ghe; e non lo ave­vano an­cor fatto, per­chè sono di quelle cose alle quali gli uo­mini si ap­pi­gliano solo all’estremo, e per­chè spe­ra­vano di dì in dì che An­to­nio Fer­rer gran can­cel­liere sa­rebbe re­stato ca­pace, o qual­che al­tro in vece sua.»);
b/ di fronte al per­si­stere di Fer­rer nella po­li­tica di cal­mie­ra­mento, i for­nai pre­mono sul Con­si­glio dei Ses­santa De­cu­rioni [ma­gi­strati pa­trizi, molti dei quali pro­prie­tari di grandi forni, an­no­ta­zione nostra];
c/ que­sto sul Go­ver­na­tore Gon­za­les;
d/ il quale (troppo im­pe­gnato nella guerra at­torno a Ca­sale per oc­cu­parsi di si­mili ine­zie) isti­tui­sce una Com­mis­sione;
e/ la quale abo­li­sce il cal­mie­ra­mento sta­bi­lito da Fer­rer, la­sciando li­bero il prezzo di ven­dita del pane.

La ri­volta po­po­lare, quindi, si sca­tena non per­ché i for­nai hanno chiuso bot­tega — come ci dice l’Epilogo — ma per­ché nelle bot­te­ghe dei for­nai il prezzo del pane è tor­nato al li­bero mer­cato — come detto da Manzoni.
Lo sce­na­rio nar­ra­tivo svolto da Don Li­san­der è per­fet­ta­mente coe­rente con il dato sto­rico: in “Prima Mi­nuta”, in­fatti, pro­dromo de­gli as­salti ai forni è l’appropriazione, da parte della folla in agi­ta­zione fin dall’alba, del pane che i fat­to­rini dei for­nai di primo mat­tino por­tano ai pos­si­denti e ai conventi.
Quindi con forni nor­mal­mente aperti e in pro­du­zione — ma il pane co­sta troppo per la po­vera gente.

Di­ciamo noi che l’assalto ai forni (“spesa pro­le­ta­ria” ante lit­te­ram) è un cal­mie­ra­mento sui ge­ne­ris che il Man­zoni (al­lora iper-li­be­ri­sta alla Say: “la­sciate li­bero il prezzo del pane, ar­ri­verà da dove co­sta meno”; e in­sieme in­ter­ven­ti­sta alla Bor­ro­meo: “si at­tivi la Chiesa at­tra­verso una ca­pil­lare po­li­tica dell’elemosina”) giu­di­cava ov­via­mente vano nel lungo pe­riodo ma che, da sto­rico se­rio, non po­teva non rap­pre­sen­tare nella sua di­na­mica reale, com­ple­ta­mente de­for­mata dalla nar­ra­zione dell’Epilogo.

Come sem­plice cu­rio­sità, ri­cor­diamo che fino al 1993, nel no­stro paese, il pane co­mune era cal­mie­rato (a Mi­lano, in ven­dita a “prezzo tas­sato”, stile Fer­rer, era la “mi­chetta”).

E ve­niamo alla se­conda dif­for­mità, re­la­tiva al com­por­ta­mento di Fermo nel som­mo­vi­mento generale.

Difformità n. 14 — Invenzione originale.

13.2/ Ma Fermo è un rivoltoso omicidiario o un rigoroso legalitario?

Dopo l’assalto ai forni, la folla si pro­pone di giu­sti­ziare il Vi­ca­rio di prov­vi­sione, im­pu­tato sia di com­pli­cità con i for­nai sia di col­lu­dere con i fran­cesi per af­fa­mare Milano.
La di­mora del ma­gi­strato viene as­se­diata e la si­tua­zione non de­ge­nera nel san­gue solo per l’intervento di Fer­rer: at­torno alla sua azione rie­sce a com­pat­tarsi il “par­tito della legge” che, nella si­tua­zione di aspra ten­sione, rie­sce a pre­va­lere sul “par­tito della vio­lenza di­retta” — un tema ri­cor­rente nella ela­bo­ra­zione com­ples­siva di Man­zoni che, pur di­spo­ni­bile a giu­sti­fi­care le azioni po­po­lari dal basso, la­menta la man­canza di una di­re­zione che le sap­pia man­te­nere in un qua­dro di legalità.
Come si com­porta Fermo sia di fronte all’assalto ai forni sia nella cac­cia al Vicario?

Nell’Epilogo, così se ne scrive (carta 10v, evi­den­zia­zioni nostre):

«Fermo con­fuso colla mol­ti­tu­dine si me­sce in di­scorsi, e grida egli pure con chi grida ab­bon­danza, giu­sti­zia, morte al Vi­ca­rio, viva Fer­rer, e si­mili cose.
Quindi, stanco, di­manda di un albergo […]»

Se le pa­role non sono far­falle, l’Epilogatore mette quindi Fermo nella schiera — bat­tuta di mi­sura — dei ma­ni­fe­stanti de­cisi a una san­gui­nosa azione di­retta e im­me­diata con­tro il Vi­ca­rio di Provvigione.

Ma nella “Prima Mi­nuta” di Man­zoni le cose sono pro­prio all’opposto:
— Fermo, che in­vita alla mo­de­ra­zione e al ri­spetto della legge, è in­di­cato dai ri­vol­tosi come so­ste­ni­tore del Vi­ca­rio e viene mi­nac­ciato a sua volta di fare la stessa fine;
— è tra quelli che ap­pog­giano Fer­rer per­ché sot­tragga il Vi­ca­rio alla vio­lenza e lo metta sotto la tu­tela della legge;
— alla fine della gior­nata è tra i so­ste­ni­tori di una giu­sti­zia senza com­pro­messi e so­fi­smi di­la­tori ma nel qua­dro di un di­ritto ri­co­no­sciuto dalla collettività.

Ve­diamo il te­sto di Man­zoni (T. 3, Cap. 6, 71d, p. 385):

«Fermo si tro­vava in mezzo alla calca, ma que­sta volta stra­sci­nato e as­sor­bito dal vor­tice piut­to­sto che ve­nuto di sua vo­glia; le grida che chie­de­vano il san­gue, i volti che ne mo­stra­vano la ab­bo­mi­ne­vole sete lo ave­vano riem­piuto di tur­ba­mento e di or­rore; egli de­te­stava in quel mo­mento quella che gli era pa­ruta giu­sti­zia del po­polo, la tro­vava più atroce della fame. – An­diamo an­diamo, di­ceva egli ai suoi vi­cini; è una ver­go­gna! vo­gliamo noi fare il boja? as­sas­si­nare un cri­stiano? Come vo­lete che Dio ci dia il pane a buon mer­cato se com­met­tiamo di que­ste iniquità?
Ah! tra­di­tore della pa­tria! disse uno che era vi­cino a Fermo ri­vol­gen­dosi a lui con un viso d’indemoniato: aspetta, aspetta, tu sei un amico del Vi­ca­rio, e dei ti­ranni […]

Men­tre la si­tua­zione sta pre­ci­pi­tando verso la tra­ge­dia, a trarre in salvo il Vi­ca­rio (e Fermo) giunge in car­rozza il vice-go­ver­na­tore Fer­rer, ben vi­sto dal po­polo per aver giorni prima cal­mie­rato il pane.

L’anziano po­li­tico, lan­cia­tosi con co­rag­gio in una mis­sione im­pos­si­bile, tiene ot­ti­ma­mente la scena; rie­sce a farsi so­ste­nere dalla parte le­ga­li­ta­ria dei ma­ni­fe­stanti e salva il Vi­ca­rio (idem, 73b, p. 387):

«– Sì fi­gliuoli miei cari! di­ceva il vec­chio, al­zando la voce quanto po­teva: co­man­derò io = si farà giu­sti­zia = il pane a buon mercato.
In­tanto, fa­temi un pia­cere, da­temi un po’ di pas­sag­gio. Vengo per met­tere in pri­gione il vi­ca­rio di provvisione.
Que­sta nuova pa­rola fu pure tra­smessa di bocca in bocca. – Sì sì = bravo! in pri­gione!nò nò! lo vo­gliamo morto!Nò in pri­gione! giu­sti­zia! largo! largo! […]
I più, pla­cati in parte e rad­dol­citi dal ve­dere che un alto ma­gi­strato ve­niva a ri­co­no­scere la giu­sti­zia della loro causa, e a com­pirla le­gal­mente, […] gri­da­vano che gli si fa­cesse luogo, e che il vi­ca­rio gli fosse rilasciato.
Fermo era tra que­sti, e gri­dava a te­sta: pri­gione e giu­sti­zia!»

Fer­rer rie­sce a far sa­lire il Vi­ca­rio in car­rozza, cui fanno largo i più le­ga­li­tari della folla; tra que­sti è il no­stro pro­messo sposo (T. 3, cap. 7, c. 78d; p. 397):

«Fermo, dopo avere fin­chè potè, se­guita la car­rozza che aveva sal­vato il Vi­ca­rio dal fu­rore del po­polo e lo con­du­ceva le­gal­mente in pri­gione, si fermò a ria­versi un poco […]»

Ri­solta da Fer­rer la dif­fi­cile si­tua­zione del Vi­ca­rio (or­mai è sera) la folla si di­sperde, salvo croc­chi, dove si di­scute. Fermo vi si ferma, ascolta, poi si fa ora­tore ma con un ben pre­ciso in­di­rizzo. Prima di farlo par­lare Man­zoni ne de­scrive i sen­ti­menti, tutti da brava per­sona (T. 3, cap. 7, 78d, p. 397):

«Quel di­sgu­sto che gli ave­vano re­cato le grida del san­gue, e i pre­pa­ra­tivi della car­ni­fi­cina, aveva dato luogo alla gioja di ve­dere la giu­sti­zia, e l’umanità vit­to­riose, il de­litto pu­nito senza de­litti, e la di­gnità del ma­gi­strato, il po­tere le­gale unito col voto pub­blico, e di­ve­nuto suo amico e suo ministro.»

E quando poi lo fa par­lare gli fa dire solo cose di buon senso co­mune, pre­sen­tan­dolo come lon­ta­nis­simo da ogni idea di ri­volta san­gui­na­ria (T. 3, cap. 7, 80a, p. 399):

«e dirlo al Fer­rer, ma dir­glielo in piazza, e in molti, che fac­cia fare il pro­cesso a tutti co­storo, e poi, per­chè ci vuol al­tro che una car­rozza a con­dur pri­gione tutti co­storo, bi­so­gnerà far ve­nir ol­tre tutti quelli che sono come Fer­rer, che hanno il ti­more di Dio e vo­gliono le cose giu­ste, e con­durli alle case di que­sti ti­ranni […] e farli met­ter tutti allo scuro, e far loro un buon pro­cesso, e giu­sti­zia som­ma­ria, e poi far lo stesso an­che fuori dalle porte di Mi­lano […] . Dico bene, si­gnori miei?»

Rias­su­mendo: se­condo l’Epilogo, Fermo è uno dei fa­vo­re­voli al lin­ciag­gio del Vi­ca­rio; se­condo la “Prima Mi­nuta” di Man­zoni, in­vece, nel mo­mento cri­tico, quando ba­ste­rebbe poco a tra­sfor­mare la pro­te­sta in omi­ci­dio e aperta ri­volta, Fermo:

— si batte per l’osservanza della legalità;
è con­tro il ri­corso all’azione di­retta e vio­lenta del po­polo nelle piazze;
— è in­vece in fa­vore di una vera giu­sti­zia, som­mi­ni­strata cioè a se­guito di un re­go­lare pro­cesso, an­cor­ché “som­ma­ria” (os­sia, nel lin­guag­gio dell’epoca, un re­go­lare pro­ce­di­mento giu­di­zia­rio nel quale, per dirla con le pa­role di Tom­ma­seo nel suo Di­zio­na­rio: «i giu­di­zii non sieno in­gar­bu­gliati da false in­ter­pre­ta­zioni.»).

A con­ferma della di­stanza strut­tu­rale tra la nar­ra­zione dell’Epilogo e quella della “Prima Mi­nuta”, ri­cor­diamo che la so­lu­zione “im­pic­chiamo for­nai e af­fa­ma­tori” viene da Man­zoni messa in bocca ai “ne­mici” di Fermo, all’origine delle sue tri­bo­la­zioni; al cu­gino At­ti­lio e ai com­men­sali di Don Ro­drigo, nell’incontro-scontro tra il pre­po­tente e Pa­dre Cri­sto­foro; e ciò alla di­stanza di 329 pa­gine nel ro­manzo ma solo due giorni prima dell’arrivo di Fermo in Milano.
A ri­ba­dire il sen­tire di Fermo, in modo an­che troppo di­dat­tico, Man­zoni ci dice chiaro e tondo che mai il pro­messo sposo avrebbe po­tuto espri­mersi come i suoi pre­va­ri­ca­tori (T1, Cap. 5, 58°, p. 75):

«– Io de­cido e sen­ten­zio, disse il Dot­tore, che le cene di Elio­ga­balo sa­reb­bero vinte al con­fronto dei pransi del no­bile sig.r D. Ro­drigo, e che la ca­re­stia non ar­di­sce ap­pros­si­marsi a que­sta casa […] Ca­re­stia! di­ceva uno, non c’è ca­re­stia sono gli ac­cap­par­ra­tori, bir­banti. – I for­naj, i for­naj – gri­dava un al­tro. – Im­pic­carli! dei buoni esempj, senza pietà. […] Im­pic­carli, im­pic­carli! sono i peg­giori = | tutte in­ven­zioni per na­scon­dere gli ac­cap­par­ra­menti. […] Oh scel­le­rati! im­pic­carli! […] Dov’è tutto il male? nella ca­rezza del pane: e chi lo vende caro? i for­naj = e per farli mu­tar vezzo, im­pic­carne uno o due. […] Im­pic­carli, im­pic­carli! »

Tor­nando a noi, dopo que­sta Dif­for­mità n. 14, non pos­siamo più li­mi­tarci a dire che l’Epilogo si di­sco­sta in molti punti im­por­tanti dalla “Prima Mi­nuta” di Man­zoni: siamo pur­troppo co­stretti a dire chiaro e tondo che l’Epilogo svi­luppa a tratti una li­nea dif­forme e fi­nan­che ostile al pen­siero e alla espe­rienza esi­sten­ziale di Manzoni.

Difformità n. 15 — Invenzione originale.

13.3/ L’oste denuncia Fermo al mattino o alla sera?

In Mi­lano, a sera inol­trata e al ter­mine della gior­nata dell’assalto ai forni (sa­bato 11 no­vem­bre 1628), Fermo, stanco e af­fa­mato, chiede dove può tro­vare da man­giare e dor­mire a un pas­sante — in realtà un agente di po­li­zia in bor­ghese che lo te­neva d’occhio già da un po’. Que­sti lo ac­com­pa­gna a un’osteria; beve con lui un bic­chiere di vino; gli fa dire abil­mente pro­ve­nienza, nome e pro­fes­sione; lo sa­luta e va di­ritto al pa­lazzo del Ca­pi­tano di Giu­sti­zia a de­nun­ciarlo come uno dei ca­po­rioni della gior­nata. Fermo si ubriaca; è por­tato a letto dall’oste il quale … e poi che succede?

Nell’Epilogo così si scrive (c. 11r):

«Il com­pa­gno lo la­scia; ed egli con­ti­nua be­vendo; s’inebria, ed è con­dotto a letto dall’albergatore, che di buon mat­tino il de­nun­zia al Ca­pi­tano di Giu­sti­zia, di­cendo, ch’egli non aveva vo­luto no­ti­fi­carsi, e trova, che l’amico, il quale era un bar­gello tra­ve­stito, lo aveva già de­nun­ziato per nome.»

Quindi, se­condo l’Epilogatore, l’oste si reca al pa­lazzo di giu­sti­zia per de­nun­ciare Fermo il mat­tino suc­ces­sivo alla gior­nata del ten­tato lin­ciag­gio del Vi­ca­rio di Provvisione.

Ma nella Prima Mi­nuta (e nella Ven­ti­set­tana e Qua­ran­tana) la cosa non è così raccontata.
Rias­su­miamo noi le due pa­gine di Man­zoni de­di­cate all’episodio: Fermo beve e ciarla, ciarla e beve; or­mai ubriaco, su per una scala è por­tato alla sua stanza dall’oste. Si­ste­ma­tolo, que­sti si co­pre d’un man­tello, si rac­co­manda alla mo­glie per una av­ve­duta ge­stione de­gli av­ven­tori e, mu­nito di un ran­dello, se ne esce su­bito in strada, nella notte or­mai fonda, bor­bot­tando tra sé: «E tu prega il cielo che do­mani tiri l’aria d’oggi, se nò, stai fre­sco. Hai vo­luto af­fo­gare, af­foga […] mi vo­levi esporre a tre­cento scudi di pena, o a cin­que anni di galera.»
E va dritto al pa­lazzo del Ca­pi­tano di Giu­sti­zia a de­nun­ciare Fermo, già re­gi­strato ai birri da quel tale ac­com­pa­gna­tore sco­no­sciuto, anch’egli birro, che lo aveva di poco preceduto.

Dal mo­mento che per l’Epilogatore non avrebbe fatto al­cuna dif­fe­renza scri­vere “che alla sera stessa il de­nun­zia”, an­zi­ché “che di buon mat­tino il de­nun­ziacome in­vece leg­giamo nel suo ma­no­scritto, è evi­dente an­che da que­sta dif­for­mità che egli:
— o non ha fatto ri­fe­ri­mento alla “Prima Mi­nuta” quale la co­no­sciamo ma a un qual­che cosa d’altro, nel quale l’oste va a de­nun­ciare Fermo al mat­tino; oppure
— aveva anch’egli be­vuto un bic­chier di troppo.

Co­mun­que, ev­viva la filologia!

Difformità n. 16 — Ripresa da “I Promessi Sposi”.

13.4/ A Gorgonzola, Fermo viene richiesto su quanto avviene in Milano? O invece viene ignorato?

Siamo a do­me­nica 12 novembre.
Con l’aiuto della folla nuo­va­mente in fer­mento, Fermo è riu­scito a sot­trarsi all’arresto; es­sendo ri­cer­cato dalla po­li­zia, fugge da Mi­lano per ri­fu­giarsi a Ber­gamo; cam­mina tutto il giorno e giunge a Gor­gon­zola all’imbrunire; per un boc­cone, si ferma in una lo­canda dove gli av­ven­tori di­scu­tono dei fatti di Milano.

In que­sta si­tua­zione che suc­cede a Fermo, se­condo l’Epilogo e se­condo la “Prima Mi­nuta” di Manzoni?

Nell’Epilogo così se ne scrive (c. 11v, evi­den­zia­zioni nostre):

«Giunto a Gor­gon­zola, si ferma all’osteria, dove molti cu­riosi con­tano, e di­man­dano delle cose di Mi­lano: ma egli finge di non ve­nire da quella parte, e di non sa­pere; e ascolta in si­len­zio il rac­conto d’un mer­cante ca­pi­tato al mo­mento a nar­rarvi le cose del giorno stesso […]»

Quindi, se­condo l’Epilogatore, alla lo­canda di Gor­gon­zola Fermo viene in­ter­ro­gato dai pre­senti su quanto suc­cesso a Mi­lano, ma egli finge di non sa­pere.

Ma nella “Prima Mi­nuta” di Man­zoni le cose sono pre­sen­tate in modo ben di­verso (T. 3, cap. 8, 94c; p. 419):

«Si sa­peva in cento ma­niere […] il guaz­za­bu­glio del giorno an­te­ce­dente, e s’era pur bu­ci­nato che il mat­tino la pen­tola aveva co­min­ciato a ri­bol­lire; sic­chè la cu­rio­sità era in­fiam­mata. Gli oc­chi fu­rono to­sto ad­dosso a Fermo, ma vi­sto ch’egli era un fo­rese, nes­suno pensò a lui, per sua buona ven­tura […] In vece, senza es­sere im­por­tu­nato di ri­chie­ste potè egli men­tre man­giava sa­po­ri­ta­mente, sen­tire i di­scorsi che si facevano […]»

Se­condo Man­zoni, quindi, nes­suno ri­volge pa­rola a Fermo ed egli può ascol­tare indisturbato.

Guarda, guarda: è in­vece ne “I Pro­messi Sposi” del 1827 e del 1840 che le cose vanno come dice l’Epilogo (T. 2, p. 122):

«Tutti gli oc­chi si ri­vol­sero a quel ch’era en­trato; e uno della bri­gata, spic­cia­to­sene, gli si fece ac­canto, e gli do­mandò se ve­niva da Milano.
«Io?» disse Renzo sor­preso, per pi­gliar tempo a ri­spon­dere. «Voi, se la do­manda è le­cita.» Renzo, sco­tendo il capo, stri­gnendo le lab­bra, e fa­cen­done uscire un suono inar­ti­co­lato, disse: « Mi­lano, per quel che sento … così, a dire della gente non debb’essere paese da an­darvi al pre­sente, fuori d’un gran caso di ne­ces­sità.» «Con­ti­nua dun­que an­che oggi il fra­casso?» do­mandò con più istanza il cu­rioso. «Bi­so­gne­rebbe es­ser colà, per sa­perlo» disse Renzo.
«Ma voi, non ve­nite da Mi­lano?» «Vengo da Li­scate,» ri­spose netto il gio­vane, che in­tanto aveva pen­sata la sua risposta.»

Ma al­lora, l’Epilogatore per il suo rias­sun­tino è an­dato a pe­scare nella Ven­ti­set­tana (o nella Qua­ran­tana)! o che al­tro gli è pas­sato tra le mani?

In at­tesa di au­to­re­voli ri­spo­ste da parte de­gli at­tuali spon­sor ac­ca­de­mici dell’Epilogatore, stiamo an­cora un at­timo a Gor­gon­zola, in quella tale osteria.

Difformità n. 17 — Omogenea al film di Camerini, 1941

13.5/ Perché si fermano i tumulti in Milano?

Lo ab­biamo ap­pena vi­sto: Fermo è all’osteria di Gor­gon­zola; senza che nes­suno si oc­cupi di lui ascolta i rac­conti di un mer­cante ap­pena giunto da Milano.
Che dice que­sto mer­cante, se­condo l’Epilogo e se­condo la “Prima Mi­nuta” di Manzoni?

Nell’Epilogo è così scritto:

«[Fermo] ascolta in si­len­zio il rac­conto d’un mer­cante ca­pi­tato al mo­mento a nar­rarvi le cose del giorno stesso, nel quale erasi rin­no­vato il tu­multo, se­dato coll’intervento del Ca­pi­tolo della Me­tro­po­li­tana a Croce al­zata, e colla im­pic­ca­tura di quat­tro ca­pi­po­polo, e con prov­ve­di­menti an­no­narj, della stra­va­ganza ed inef­fi­ca­cia de’ quali l’Autore rende conto in esteso.
Fermo passa a Ber­gamo, e vi resta.»

Quindi, se­condo l’Epilogatore, il mer­cante giunto da Mi­lano aveva ri­fe­rito che il tu­multo era stato se­dato at­tra­verso tre di­stinti passaggi:

— per l’intervento del Ca­pi­tolo della Me­tro­po­li­tana;
— colla im­pic­ca­tura di quat­tro capipopolo;
— con stra­va­ganti e inef­fi­caci prov­ve­di­menti an­no­nari, bene il­lu­strati dall’Autore.

Senza ag­giun­ger al­tro, l’Epilogatore dà poi Fermo come ar­ri­vato a Ber­gamo — e vada a farsi be­ne­dire il tanto ci­tato at­tra­ver­sa­mento dell’Adda!

A parte la biz­zar­ria di in­di­care come “inef­fi­caci” prov­ve­di­menti an­no­nari po­che pa­role prima in­di­cati come ri­so­lu­tivi nel “se­dare il tu­multo”, la nar­ra­zione dell’Epilogatore ap­pare non tanto “dif­forme” quanto de­ci­sa­mente op­po­sta e op­po­si­tiva a quella di Manzoni.
Tanto da far pen­sare a una sua qual­che osti­lità nei con­fronti di Don Li­san­der — la si di­rebbe scritta da un rap­pre­sen­tante di quel clero rea­zio­na­rio, tutto “preci e ca­pe­stro”, con­tro cui l’autore della “Prima Mi­nuta” si batté tutta la vita.

In­fatti, nella “Prima Mi­nuta” di Man­zoni, le cose sono pre­sen­tate in modo ben di­verso per tutti e tre i pas­saggi evi­den­ziati nell’Epilogo.
Per ve­dere il come, dob­biamo in­ver­tirne l’ordine espositivo.

a/ Prov­ve­di­menti annonari.
Nella “Prima Mi­nuta”, tra i primi prov­ve­di­menti utili — anzi in­di­spen­sa­bili — a spe­gnere la ri­volta, Man­zoni (che non era un min­chione) mette al primo po­sto pro­prio quei “prov­ve­di­menti an­no­nari” che l’Epilogatore dice da lui cri­ti­cati “per esteso”, in quanto “inef­fi­caci” (T. 3, Cap. 8, 88a, p. 410):

«Ma quando sul de­cli­nar del giorno venne la re­la­zione, che il Vi­ca­rio era in salvo […] Si or­dinò che fos­sero man­date guar­die ai forni ri­ma­sti in­tatti fin al­lora, per as­si­cu­rarli, e per ob­bli­gare i for­naj a far pane in ab­bon­danza per l’indomani […] e il prezzo del pane fu riab­bas­sato a quella prima tassa im­ma­gi­nata dal Fer­rer.»

b/ In­ter­vento Ca­pi­tolo della Metropolitana.
Man­zoni, pur es­sendo un fer­vente cat­to­lico (più che ri­spet­toso del ruolo della Chiesa an­che nella vita so­ciale) non era certo un tonto e pre­senta quindi in modo rea­li­stico l’intervento dei pre­sbi­teri mi­la­nesi in quelle ore di ri­volta: de­gli au­to­re­voli ca­no­nici del Duomo evi­den­zia la fun­zione di “ga­ranti” dei “prov­ve­di­menti an­no­nari” presi dal po­tere po­li­tico, pro­prio quelli che l’Epilogatore de­fi­ni­sce “stra­va­ganti e inef­fi­caci” (T. 3, cap. 8, 96c; p. 423):

«In­tanto venne tutto il ca­pi­tolo del duomo in pro­ces­sione, a croce al­zata, […] e co­min­cia­rono a pre­di­care: fi­gliuoli dab­bene, che cosa fate? è una ver­go­gna, dove è il ti­mor di Dio? […] Via, tor­nate a casa, da bravi, che quel che è stato è stato. Avrete ab­bon­danza = il pane di otto once ad un soldo = la grida è stampata.
– Era vero poi? do­mandò uno de­gli ascoltanti.
– Vero come il Van­gelo. Vo­lete voi che i ca­no­nici ve­nis­sero in pa­ra­menti a dir bugie?»

Man­zoni ci dice cioè chiaro e tondo che il po­polo in ri­volta, per l’immediato, ha vinto la par­tita: il prezzo del pane è stato nuo­va­mente cal­mie­rato, come fatto da Fer­rer prima dell’intervento della Com­mis­sione del Con­si­glio dei De­cu­rioni; a ga­ran­tire non si tratta di un in­ganno della po­li­tica è il fior fiore del clero della città.

c/ Im­pic­ca­tura di quat­tro capipopolo.
Nel rac­conto del mer­cante giunto da Mi­lano, l’Epilogatore dà come av­ve­nuta l’impiccagione di quat­tro uo­mini, ri­te­nuti ca­po­rioni della rivolta.
Ma, ri­por­tando il rac­conto del mer­cante, Man­zoni la dice di­ver­sa­mente (idem):

«Ma ecco che venne l’ultima me­di­cina che fece l’effetto.
– E fu?…
– E fu, un­guento di ca­nape = ba­stò no­mi­narlo, per far gua­rire tanti matti. Si fece pub­bli­care, ed è vera an­che que­sta, che quat­tro capi erano stati presi jer sera, e sa­ranno im­pic­cati. Ah! ah! vi dico io che ognuno stu­diava la via più corta per an­dar­sene a casa, per non di­ven­tare il nu­mero cin­que. Quando io sono uscito da Mi­lano, pa­reva un monastero.
Dun­que gli im­pic­che­ranno? do­mandò un al­tro uditore.
Senza fallo, e pre­sto, ri­spose il mercante.
– E la gente che cosa farà? do­mandò an­cora quegli.
– An­derà a ve­dere, ri­spose an­cora il mercante.»

Quindi, men­tre se­condo l’Epilogo, i quat­tro capi sono stati im­pic­cati nel corso della gior­nata del 12, se­condo Man­zoni, ben­ché giu­di­cati e con­dan­nati alla im­pic­ca­gione, il 12 no­vem­bre i quat­tro mal­ca­pi­tati sono an­cora per­fet­ta­mente vivi.

Per quei po­veri di­sgra­ziati ciò contò poco, per­ché ef­fet­ti­va­mente ven­nero im­pic­cati qual­che tempo dopo.
Ma per noi la cosa ha una sua valenza.
Non es­sendo né capi po­polo, né mer­canti, né fi­la­tori di seta co­stretti alla fuga su e giù per la Lom­bar­dia, da in­no­centi let­tori, fi­denti nella com­pe­tenza e se­rietà de­gli ac­ca­de­mici, siano solo de­si­de­rosi di capire.

Se­condo il rac­conto del mer­cante, per come lo ri­porta l’Epilogo, i pre­sunti capi della ri­volta sa­reb­bero stati im­pic­cati pro­prio nel pieno del suo di­spie­garsi e in aperta con­trad­di­zione con l’opera di se­da­zione, a base di pane a buon mer­cato, ac­cor­ta­mente adot­tata dai po­li­tici — e scru­po­lo­sa­mente ri­fe­rita da Manzoni.

Come va­dano que­ste cose nella vita reale Man­zoni lo aveva sen­tito rac­con­tare in lungo e in largo dai suoi amici di Pa­rigi, al­cuni dei quali pro­ta­go­ni­sti della sta­gione ri­vo­lu­zio­na­ria fran­cese (l’amico Fau­riel, per esem­pio, aveva fatto parte della po­li­zia po­li­tica di Fou­chet); an­che per ciò mai avrebbe scritto la fes­se­ria messa nero su bianco dall’Epilogatore.
E, in­fatti, nella Ven­ti­set­tana, Man­zoni in­dica nel 24 di­cem­bre 1628 la gior­nata in cui i di­sgra­ziati giu­di­cati re­spon­sa­bili dei tu­multi ven­nero im­pic­cati (Buon Na­tale, ragazzi!).

A que­sto punto il let­tore si starà chie­dendo: per­ché que­sti del Cen­tro Studi dell’Abate stanno così in­si­stendo sul quando ef­fet­ti­va­mente venne ese­guita la condanna?

E al­lora di­cia­molo su­bito: la cosa ha un suo va­lore in re­la­zione a cu­riose coin­ci­denze tra al­cuni ele­menti pre­senti dell’Epilogo:
as­so­lu­ta­mente dif­formi da quanto scritto da Man­zoni sia nella “Prima Mi­nuta” sia nelle suc­ces­sive edizioni;
ma cu­rio­sa­mente coin­ci­denti con il già ci­tato film di Ca­me­rini del 1941.

Vediamo come.

Ca­me­rini, nel pre­sen­tare le 36 ore pas­sate da Renzo a Mi­lano (la gior­nata di sa­bato 11 no­vem­bre e la mat­ti­nata di do­me­nica) le con­densa in sole 12 (dalla mat­tina alla sera dell’11).
Ignora del tutto la vi­cenda se­rale e not­turna dell’osteria e pre­senta il ten­ta­tivo di ar­re­sto di Renzo come av­ve­nuto in pieno giorno; fa tra­scor­rere qual­che ora (si pre­sume con Renzo na­sco­sto da qual­che parte) e, a sera già ini­ziata, mo­stra mo­menti delle due di­stinte im­pic­ca­gioni (al forno delle scan­sce e alla abi­ta­zione del Vi­ca­rio di Prov­vi­sione) dei ri­te­nuti re­spon­sa­bili delle vio­lenze della gior­nata; im­me­dia­ta­mente dopo, fa uscire Renzo dalla città in un carro, sotto falso nome; salta del tutto la se­quenza di Gor­gon­zola e ce lo fa ri­tro­vare men­tre si ap­pre­sta a pas­sare l’Adda di primo mattino.

Se­condo Ca­me­rini quindi, Renzo esce da Mi­lano men­tre sono in corso (o sono state ap­pena ese­guite) le con­danne a morte — in que­sto, in modo dif­forme da Man­zoni ma esat­ta­mente come nar­rato nell’Epilogo.

E al­lora?
Non sa­premmo che dire.

Bi­so­gne­rebbe gi­rare la do­manda a chi so­stiene che l’Epilogo sia stato re­datto e com­po­sto al­meno 100 anni prima del film di Camerini.
Au­guri!

14. Difformità sugli sposi ricongiunti.

Difformità n. 18 — Invenzione originale.

14.1/ Se vi fosse Lucia Mandelli” …

Col­pito in Ber­gamo dalla pe­ste e gua­ri­tone, Fermo si reca al paese pro­prio e di Lu­cia; in­con­tra Don Ab­bon­dio e Agnese che gli nar­rano dei fatti av­ve­nuti. Per ri­tro­vare Lu­cia, Fermo torna a Mi­lano nel colmo del con­ta­gio. Cerca e trova la casa di Don Fer­rante presso cui do­vrebbe es­sere Lucia.

Ve­diamo come la cosa è rac­con­tata nell’Epilogo (carta 16r, p. 31):

«giunge alla porta chiusa di D. Fer­rante; vi batte; e la ca­me­riera di D.a Pras­sede, tratta al ro­more, e spinto il capo fuori della fi­ne­stra, ri­sponde alla di­manda, se ivi fosse Lu­cia Man­delli, che essa era ca­duta in­ferma di pe­ste, e con­dotta al Lazzaretto.»

Nuova in­con­gruenza, quindi, que­sta volta di tipo ono­ma­stico.
Op­por­tu­na­mente Paola Ita­lia ha se­gna­lato la cosa — ma molto su­per­fi­cial­mente e li­mi­tan­dosi a in­di­carla come l’unico dei punti di di­sco­sta­mento tra Epi­logo e Prima Mi­nuta.
Ab­biamo in­vece vi­sto che è solo una delle 23 (ven­ti­tré) dif­for­mità tra i due scritti e che quindi è forse op­por­tuno con­si­de­rarla con al­tri oc­chi, di­cen­done qual­che cosa di più.

È que­sta l’unica volta in cui nell’Epilogo si fa il co­gnome di Lu­cia e — guarda caso — ri­sulta al­tro da “Mon­della”, in­di­cato da Man­zoni nella “Prima Mi­nuta” per ben quat­tro volte:
— «Il Conte cavò la sua vac­chetta, e dopo aver ri­volta qual­che carta, lesse: Lu­cia Mon­della» (p. 225, im­me­dia­ta­mente dopo il mu­ta­mento d’animo del masnadiero];
— «Fe­de­rigo a Don Ab­bon­dio: come, non co­no­scete Lu­cia Mon­della, vo­stra par­roc­chiana, che era scom­parsa…?» (p. 291, il Car­di­nale si ado­pera per ri­con­giun­gere Lu­cia alla madre);
— «Si­gnora, disse Fermo con voce tre­mante, sta qui una fo­rese, che si chiama Lu­cia Mon­della?» (p. 536, Fermo è in Mi­lano, alla casa di D. Ferrante);
— «Son qui, ri­spose Fermo [a Don Ab­bon­dio], gra­zie a Dio, e sono ad av­ver­tirla che pre­sto sarà qui an­che Lu­cia Mon­della» (p. 574, ap­pena tor­nato da Mi­lano, Fermo a Don Abbondio).

La su­per­fi­cia­lità che ab­biamo se­gna­lato in Paola Ita­lia è l’avere igno­rato il dato di fatto delle quat­tro “Mon­della” — certo non ir­ri­le­vante — la­sciando il let­tore a bocca asciutta e co­strin­gen­dolo ad ar­ran­giarsi da sé per le op­por­tune ve­ri­fi­che (ma a che ser­vono al­lora gli specialisti?).

Già che siamo ca­pi­tati sulla ono­ma­stica, può es­sere op­por­tuno toc­care un’altra dif­for­mità di tipo lin­gui­stico, per­fet­ta­mente igno­rata dalla Pro­fes­so­ressa.

Difformità n. 19 — Invenzione originale.

14.2/ “Lazzaretto” dell’Epilogo versus “lazzeretto” di Manzoni.

Come an­ti­ci­pato, da parte della fi­lo­loga Paola Ita­lia non se ne è fatto nep­pure un vago ac­cenno ma, ri­spetto alla “Prima Mi­nuta” di Man­zoni (e an­che in tutte le suc­ces­sive ver­sioni del ro­manzo), nell’Epilogo del «Ma­no­scritto Lecco 170» è ri­scon­tra­bile una vi­sto­sis­sima dif­for­mità to­po­no­ma­stica re­la­tiva alla de­no­mi­na­zione del luogo di ri­co­vero in Mi­lano dei col­piti dalla peste.

Ve­diamo di che si tratta:

— nell’Epi­logo la pa­rola “Laz­za­retto” si ri­pete per 11 volte, tutte con l’iniziale maiuscola;
— nella “Prima Mi­nuta” di Man­zoni, in­vece, “Laz­za­retto” non com­pare mai;
— com­pare in­vece, per 71 oc­cor­renze “Laz­ze­retto / laz­ze­retto”, 14 volte con l’iniziale ma­iu­scola (12 delle quali con­cen­trate nel T. 4, cap. 1);
— nelle due edi­zioni del 1827 e del 1840, Man­zoni usa sem­pre “laz­ze­retto” con l’iniziale minuscola.

È quindi un dato di fatto che tra Epi­logo e “Prima Mi­nuta” di Man­zoni ab­biamo an­che que­sta dif­for­mità, ci pare non at­tri­bui­bile a cu­riose abi­tu­dini scrit­to­rie del co­pi­sta ma a una pre­cisa scelta to­po­no­ma­stica che ha au­to­re­voli te­sti­moni, tutti dif­formi dalla le­zione cui si rifà Manzoni:

Lan­dino nel suo “Ra­gua­glio” del 1648 (on­ni­pre­sente in Man­zoni) usa sem­pre il ter­mine “La­za­retto” (una “z”);
— usa co­stan­te­mente “Laz­za­retto” Fran­ce­sco Cu­sani (1841), nella sua tra­du­zione dal la­tino del “De pe­ste” di Ri­pa­monti (anch’egli di casa in Man­zoni) che usa a sua volta sem­pre “La­za­re­tus”;
— “Laz­za­retto” è usato co­stan­te­mente da Pio La Croce il cui “Me­mo­rie delle cose no­ta­bili suc­cesse in Mi­lano” (1730) Man­zoni te­neva bene in vi­sta nella sua bi­blio­teca di Via Morone;
— nel di­zio­na­rio di Tom­ma­seo tro­vano spa­zio en­trambe le le­zioni ma se­gna­liamo che “Laz­za­retto” è ri­por­tato per au­tori sia ve­neti sia emi­liani sia to­scani, a in­di­carne l’indipendenza dalle par­late locali;
— per quello che può va­lere in ter­mini fi­lo­lo­gici, ri­cor­diamo che an­che l’Abate Stop­pani (fer­vente man­zo­nian-man­zo­ni­sta) nel suo “I primi anni di A. Man­zoni” usa sem­pre il ter­mine “Laz­za­retto”.

D’altra parte nel Di­zio­na­rio della Cru­sca, ri­cor­dato che nel Van­gelo si scrive di “La­za­rus” (e non “La­ze­rus”), sono ri­por­tate en­trambe le le­zioni con schiere di te­sti­moni illustri.

Ad abun­dan­tiam (e no­no­stante la sua pro­ver­biale inaf­fi­da­bi­lità — vo­luta e non) ri­cor­diamo che Ce­sare Cantù nel suo “Sulla Sto­ria Lom­barda del Se­colo XVII / Ra­gio­na­menti per com­mento ai Pro­messi Sposi” (Mi­lano, 1832), sta ab­bot­to­na­tis­simo a Man­zoni e usa per 11 oc­cor­renze “laz­ze­retto” (con ini­ziale sia ma­iu­scola che minuscola).
A p. 116 gli sfugge solo un “Laz­za­retto”, pro­ba­bil­mente auto-sug­ge­stio­nato da al­tre due uguali oc­cor­renze pre­senti in ci­ta­zioni da lui stesso evi­den­ziate (p. 118, da una “pa­tente” del Tri­bu­nale di Sa­nità del 1632; p. 122, dal So­ma­glia, “Al­leg­gia­mento dello Stato”, 1653), po­ste nelle im­me­diate vi­ci­nanze con­cet­tuali e fi­si­che del volume.

Ci fer­miamo qui ma è co­mun­que ben cu­rioso che la fi­lo­loga Ita­lia non ab­bia fatto caso a quella selva di “Laz­za­retto”, che di­stin­gue così net­ta­mente l’Epilogo del “Ma­no­scritto Lecco 170” dalla “Prima Mi­nuta” di Manzoni.
Tra l’altro, lo no­tiamo solo per do­vere, il ter­mine pro­po­sto da Man­zoni non riu­scì mai ad at­tec­chire e a scal­zare il già af­fer­ma­tis­simo “Laz­za­retto”, che do­mina tuttora.

Da Paola Ita­lia “Gli Sposi pro­messi”, sto­ria mi­la­nese epi­lo­gata nel 1824”:

«Al­tret­tanto in­giu­sti­fi­cato (e as­sente ge­ne­ti­ca­mente) è lo scem­pia­mento “don Abon­dio”, co­stante nel te­sto (e ab­ba­stanza dif­fuso sin da prima della Qua­ran­tana, at­tra­verso i Ra­gio­na­menti di Ce­sare Cantù sulla sto­ria lom­barda: “La par­ro­chia di Don Abon­dio e la pa­tria de’ due pro­messi sposi vol­lero met­terla ad Ac­quate”, Sulla sto­ria lom­barda del se­colo XVII, Mi­lano, presso l’editore dell’Indicatore, 1832, p. 35).

A dif­fe­renza che per “Ab­bon­dio” (con 2 [b]), pro­prio gra­zie a Man­zoni di­ve­nuto stan­dard ono­ma­stico na­zio­nale a di­sca­pito del cor­retto nome che in ita­liano è “Abon­dio” — ci pare senza nes­su­nis­simo rap­porto con la ten­denza allo scem­pia­mento delle dop­pie, ri­chia­mata da Paola Italia.
La quale si è ap­pog­giata molto di­strat­ta­mente al già ci­tato Cantù — oc­chio Pro­fes­so­ressa: nei tre ri­fe­ri­menti al cu­rato di Ac­quate, Ce­sare usa sì UNA volta “Abon­dio” (ma a pag. 55, non 35) ma DUE volte “Ab­bon­dio”: «Il D. Ab­bon­dio di Man­zoni “fin da’ primi suoi anni aveva do­vuto ac­cor­gersi”» (p. 17); «que’ ter­ri­bili lan­zi­chi­nec­chi che fe­cero una sì brutta paura a D. Ab­bon­dio» (p. 91).

Ma chiu­diamo que­sta pa­ren­tesi to­po­no­ma­stica e tor­niamo alle dif­for­mità tra Epi­logo e “Prima Mi­nuta” di Man­zoni nella nar­ra­zione de­gli aspetti più ele­men­tari della vicenda.

Difformità n. 20 — Omogenea al film di Camerini, 1941

14.3/ Per cosa Lucia è riconosciuta da Fermo?

Fermo, in­con­trato Pa­dre Cri­sto­foro al Laz­za­retto, dà il per­dono a Don Ro­drigo e così può porsi alla ri­cerca di Lu­cia; a un dato mo­mento la ri­co­no­sce: da cosa?

Leg­giamo che ne dice l’Epilogo (carta 18r, evi­den­zia­zioni nostre):

«S’avvolge in quel la­bi­rinto; e, cer­cando da tutti i lati, fi­nal­mente [18v] in una ca­pan­nuc­cia ri­mota ri­trova due donne, una sorta dalla in­fer­mità, e l’altra am­ma­lata. Os­serva at­ten­ta­mente; ed ai tratti ri­co­no­sce nella con­va­le­scente la sua Lu­cia, e n’è da essa riconosciuto.»

La de­scri­zione è pun­tuale ma con nulla ha a che ve­dere con la “Prima Mi­nuta” di Man­zoni che, dal canto suo, de­scrive in po­che ri­ghe lo svol­gi­mento del ri­tro­va­mento con tutt’altre mo­da­lità, dando al con­tempo una be­nis­simo scritta rap­pre­sen­ta­zione del sen­ti­mento d’amore.

Prima Mi­nuta (T. 4, cap. 8, 98c, p. 559, evi­den­zia­zioni nostre):

«Le ca­panne in quel luogo eran tutte abi­tate da donne; ed egli pro­ce­deva len­ta­mente d’una in al­tra, guar­dando. Or men­tre pas­sando, come per un vi­colo, tra due di que­ste, l’una delle <quali> aveva l’apertura sul suo pas­sag­gio, e l’altra ri­volta dalla parte op­po­sta, egli met­teva il capo nella prima, sentì ve­nire dall’altra, per lo fesso delle as­sacce ond’era con­nessa, sentì ve­nire una voce… una voce, giu­sto cielo! che egli avrebbe di­stinta in un coro di cento can­tanti, e che con una mo­du­la­zione di te­ne­rezza e di con­fi­denza ignota an­cora al suo orec­chio, ar­ti­co­lava pa­role che forse in al­tri tempi erano state pen­sate per lui, ma che cer­ta­mente non gli erano mai state pro­fe­rite: Non du­bi­tate = son qui tutta per voi = non vi ab­ban­do­nerò mai. […]
In tre balzi girò la ca­panna, fu su la porta, vide una donna in­cli­nata sur un letto che an­dava assestando.
Lu­cia! chiamò Fermo con gran forza e sot­to­voce ad un tempo: Lu­cia!»

Con quasi le me­de­sime pa­role Man­zoni ri­pro­pone que­sta scena nella Ven­ti­set­tana e nella Qua­ran­tana (unica va­riante, la frase di Lu­cia che di­venta: «paura di che? Ab­biamo pas­sato ben al­tro che un tem­po­rale; il Si­gnore che ci ha cu­sto­dite fi­nora, ci cu­sto­dirà an­che adesso»).

Ab­biamo quindi due rap­pre­sen­ta­zioni net­ta­mente difformi:
— nell’Epi­logo il ri­co­no­sci­mento av­viene at­tra­verso uno scru­tare in­tenso;
— in Man­zoni at­tra­verso il ri­co­no­sci­mento della voce.

Non c’è let­tore ap­pena ap­pena at­tento che non sap­pia il va­lore che Man­zoni at­tri­bui­sce ai suoni della na­tura: che siano tor­renti o fiumi è la loro “voce” che si sente, prima di ogni al­tra cosa; così come gli es­seri amati che si ri­co­no­scono all’udito (dai passi per esem­pio) prima che alla vista.
Que­sta è l’esperienza ma­tu­rata dal gio­vane Man­zoni in una terra dove an­cora erano ben di­stin­gui­bili i suoni della na­tura, ed è ov­vio che egli tra­sfe­ri­sca su Fermo/Renzo l’abitudine e la ca­pa­cità di co­glierne le di­verse modulazioni.

Ma allora, perché nell’Epilogo si parla di “vedere” e non di “udire”, come scritto da Manzoni?

La cosa è cu­riosa per­ché nella sto­ria della “ri­du­zioni”, più o meno ar­ti­sti­che, del ro­manzo di Man­zoni, c’è un caso, già ci­tato, nel quale viene ope­rata la me­de­sima so­sti­tu­zione — e siamo a tre!

14.4/ Camerini/Epilogo: ti riconosco perché ti vedo, ti guardo e ti riguardo.

Per in­ten­derci me­glio, scor­riamo al­cune im­ma­gini dal film di Ca­me­rini, co­min­ciando da un passo in­die­tro ri­spetto al mo­mento in cui Fermo / Renzo ri­trova Lu­cia (per non ap­pe­san­tire l’esposizione d’ora in poi ci ri­chia­me­remo al pro­messo sposo solo col nome di Renzo).

14.4/ Camerini/Epilogo: ti riconosco perché ti vedo, ti guardo e ti riguardo.

Per in­ten­derci me­glio, scor­riamo al­cune im­ma­gini dal film di Ca­me­rini, co­min­ciando da un passo in­die­tro ri­spetto al mo­mento in cui Fermo / Renzo ri­trova Lu­cia (per non ap­pe­san­tire l’esposizione d’ora in poi ci ri­chia­me­remo al pro­messo sposo solo col nome di Renzo).

Al Laz­za­retto Renzo in­con­tra Pa­dre Cri­sto­foro che lo sol­le­cita a dare il per­dono a Don Ro­drigo, ap­pe­stato e lì ri­co­ve­rato. Il gio­vane ac­con­sente, in­sieme vanno alla ca­panna ove è il mo­rente (que­sta è una se­quenza in­tro­dotta da Man­zoni con la Ven­ti­set­tana — nella “Prima Mi­nuta” non vi è rap­porto di­retto con Don Ro­drigo e il per­dono è ga­ran­tito da P. Cristoforo).
Renzo dà il per­dono al persecutore.
Il Pa­dre Cri­sto­foro lo in­vita quindi a cer­care Lu­cia: nel per­dono da lui dato a Don Ro­drigo è la chiave per la fe­lice so­lu­zione; la cer­chi con fi­du­cia e con ras­se­gna­zione; Renzo gli ba­cia le mani in atto di ri­co­no­scenza e consenso.
Fin qui Ca­me­rini se­gue il te­sto manzoniano.

Il pro­blema viene adesso.
Sa­lu­tato Pa­dre Cri­sto­foro, Renzo co­min­cia ad ag­gi­rarsi nel Laz­za­retto ma inu­til­mente: dove è fi­nita Lu­cia? … A un certo punto vede un gruppo di donne con­va­le­scenti che si pre­pa­rano a la­sciare il lu­gu­bre luogo …

Ma ve­diamo come pro­pone la cosa la già ci­tata sce­neg­gia­tura del film (i nu­meri in­di­cano le scene, evi­den­zia­zioni nostre):

585. (P.P.) Renzo os­serva l’uscita delle con­va­le­scenti. Va con l’occhio dall’una all’altra. È in preda a una ner­vosa agitazione.
586. (P.A.) Le con­va­le­scenti escono, con esa­spe­rante len­tezza. Lu­cia non è tra di esse.
587. (P.P.) Renzo impaziente.
588. (P.A.) La folla di­venta sem­pre più rada. Sono le ul­time convalescenti.
589. (P.P.) L’impazienza di Renzo si muta in di­spe­ra­zione. Sta per al­lon­ta­narsi, de­luso, quando un nuovo ru­more di passi l’arresta. L’espressione di Renzo su­bi­sce un re­pen­tino cam­bia­mento. Egli non crede più ai suoi oc­chi. Guarda me­glio. Si slan­cia in avanti. Il suo volto è rag­giante di felicità.
RENZO: — Lu­cia!.»

Quindi an­che per Ca­me­rini (come per l’Epilogo) Renzo ri­trova Lu­cia per­ché ne vede la fi­sio­no­mia.
Ma — lo ab­biamo già in­di­cato so­pra — per Man­zoni, Renzo ri­trova Lu­cia per­ché ne sente la voce!

At­ten­zione! Non siamo a un se­mi­na­rio di ana­to­mia: stiamo par­lando di una dif­fe­renza so­stan­ziale, con am­pie im­pli­ca­zioni dot­tri­nali.
Non siamo evi­den­te­mente una suc­cur­sale del Va­ti­cano: è però ov­vio che, do­ven­doci oc­cu­pare di Man­zoni e di un mo­mento del suo ro­manzo nel quale vi è un no­te­vole di­spie­ga­mento di ele­menti etico-re­li­giosi, non pos­siamo chiu­dere gli oc­chi e fare finta di nulla.

14.5/ Manzoni: ti riconosco immediatamente perché mi giunge la tua VOCE!

Per com­pren­dere quanto sia di­scor­dante la nar­ra­zione di Camerini/Epilogo da quella di Man­zoni, dob­biamo ri­pren­dere ciò quest’ultimo scrive sull’intero pro­cesso vis­suto da Renzo / Fermo dal mo­mento in cui trova Pa­dre Cri­sto­foro al Laz­za­retto e in­sieme af­fron­tano il tema del rap­porto con Don Ro­drigo (T. 4, cap. 7, 92d, p. 553):

«[Pa­dre Cri­sto­foro] Fermo! giuri tu il perdono?…
– Ah! lo giuro, ri­spose Fermo in tuono solenne. […]
– Sì, Fermo, a Don Ro­drigo = […] Vedi tu que­sto pane? Lo con­servo da quarant’anni; l’ho men­di­cato nella casa di quello sven­tu­rato… l’ho avuto dai suoi come un pe­gno di pace, e di per­dono. […] Prendi, – e porse il pane a Fermo – con­ser­valo ora tu: è il dono ch’io posso la­sciarti per mia memoria. […]
Fermo non disse nulla, ma il suo volto espri­meva il pentimento.
– Or va, disse il pa­dre al­zan­dosi, Id­dio be­ne­dica le tue ricerche.»

In Man­zoni, quindi, Fermo dà senz’altro il per­dono a Don Ro­drigo PRIMA di met­tersi alla ri­cerca di Lu­cia e di im­pe­trare per que­sto l’intervento divino.
La que­stione (per Man­zoni, si in­tende, e per la dot­trina cri­stiana) è im­por­tante: solo es­sen­dosi pu­ri­fi­cato con l’avere dato il per­dono (pre­ro­ga­tiva di­vina che però è alla por­tata an­che di ogni es­sere umano) Fermo può aspi­rare a es­sere ascol­tato da Dio nella sua in­vo­ca­zione di ri­tro­vata serenità.

La in­vo­ca­zione di Renzo viene rap­pre­sen­tata da Man­zoni con tutti i cri­smi (T. 4, cap. 8, 97d, evi­den­zia­zioni nostre):

«Si pro­strò su gli sca­glioni del tem­pio, fece a Dio una pre­ghiera, o per dir me­glio, un vi­luppo di pa­role scom­pi­gliate, di frasi in­ter­rotte, di escla­ma­zioni, di do­mande, di pro­te­ste, di di­sdette, uno di quei di­scorsi che non si fanno agli uo­mini, per­ché non hanno ab­ba­stanza pe­ne­tra­zione per in­ten­derli, nè sof­fe­renza per ascol­tarli; non sono ab­ba­stanza grandi per sen­tirne com­pas­sione senza di­sprezzo. Si levò di là più rin­co­rato e si avviò.»

È su­bito dopo que­sta in­vo­ca­zione a Dio che Renzo ri­trova Lucia.
E come vo­lete che ri­sponda Dio all’invocazione di un fe­dele se non at­tra­verso la pro­pria VOCE?

14.6/ In Epilogo/Camerini è l’umano ad agire; in Manzoni è il divino.

Par­liamo un po’ in punto di dot­trina: nel Cri­stia­ne­simo (a dif­fe­renza che nell’Ebraismo e nell’Islamismo, le al­tre due grandi re­li­gioni ri­ve­late nelle quali Dio co­mu­nica con l’uomo esclu­si­va­mente at­tra­verso la pa­rola) la ri­ve­la­zione di Dio all’uomo passa an­che at­tra­verso la vi­sta e le im­ma­gini — la co­mu­ni­ca­zione non è ani­co­nica come le al­tre due.
Ma ciò non to­glie il ri­lievo as­so­luto della Pa­rola (Lo­gos) in­tesa come mo­da­lità pri­ma­ria ed eterna della Creazione/Rivelazione, che pur si è ma­ni­fe­stata vi­si­va­mente nella sto­ria con l’Evento della Incarnazione.

Detto al­tri­menti: an­che se nel Cri­stia­ne­simo l’immagine ha un ruolo po­si­tivo, lo ha solo nella mi­sura in cui “dice” un ri­chiamo che echeg­gia da sem­pre, per­ché tra­smette il rap­por­tarsi e re­la­zio­narsi di Dio con l’uomo, fa­cen­dosi da lui sen­tire e non re­stando muto.
Ed è quindi del tutto ov­vio che, a Renzo, Man­zoni fac­cia ri­tro­vare Lu­cia at­tra­verso la VOCE.

Si in­tende che è Dio che parla a Fermo at­tra­verso Lu­cia; e in­fatti la frase che Renzo sente è a dop­pio re­gi­stro: «Non du­bi­tate = son qui tutta per voi = non vi ab­ban­do­nerò mai.», dove, ol­tre che la donna fe­dele al suo amato, è ov­via­mente la di­vi­nità che as­si­cura: non ab­ban­do­nerò mai co­lui che non dubita!

Ba­date che, a dif­fe­renza della ne­ces­sità di uno sguardo rei­te­rato come nel duo Epi­lo­ga­tore / Ca­me­rini, in Man­zoni, Renzo non ha bi­so­gno di sen­tire ri­pe­tere la in­di­ca­zione di­vina, per de­fi­ni­zione per­fetta: «sentì ve­nire una voce… una voce, giu­sto cielo! che egli avrebbe di­stinta in un coro di cento can­tanti».

Qui Man­zoni scrive a prova di tonti: è inequivocabile!

È quindi chiaro: per la cop­pia Epi­lo­ga­tore / Ca­me­rini Renzo trova Lu­cia at­tra­verso un pro­prio im­pulso, ri­ma­nendo in un am­bito esclu­si­va­mente umano.

Per Man­zoni, in­vece, è Dio che, da lui pre­gato, con­sente a Renzo di ri­tro­vare Lu­cia: i teo­logi ci con­sen­tano il lin­guag­gio un po’ alla mano: all’uomo spetta il com­pito gra­voso (ma an­che esal­tante) di non es­sere un pu­pazzo in ba­lia della di­vi­nità ma di po­tere in­fluire su se stesso e sulla col­let­ti­vità con la pro­pria in­tel­li­genza, mo­ra­lità e vo­lontà — il che è per­fet­ta­mente in li­nea con la con­ce­zione di Prov­vi­denza che pro­prio in quel torno di tempo Man­zoni viene ela­bo­rando: que­sta go­verna l’Universo ma l’uomo non ne è af­fatto un ele­mento passivo.

A pre­scin­dere dal pro­filo esi­sten­ziale che ognuno di noi può avere, è chiaro a chiun­que che, quella in­di­cata dal duo Epi­lo­ga­tore / Ca­me­rini da una parte e Man­zoni dall’altra, non è dif­for­mità di det­ta­glio ma va al cuore dell’intero im­pianto del ro­manzo di Manzoni.

Non siamo in grado di af­fer­mare su base do­cu­men­tale a cosa sia do­vuto que­sto si­gni­fi­ca­tivo al­lon­ta­na­mento da Man­zoni da parte di Ca­me­rini: più che a una vo­lontà di re­vi­sione del pen­siero dello scrit­tore, ci sem­bra si debba ascri­vere a sem­plice in­con­sa­pe­vo­lezza.

Vi­sta la for­ma­zione fa­mi­liare di Ma­rio Ca­me­rini (aqui­lano e di una fa­mi­glia di ma­gi­strati, il pa­dre Ca­millo era un noto av­vo­cato, ai primi del ’900 con ruoli di re­spon­sa­bi­lità nel Par­tito So­cia­li­sta in Roma — il che però non si­gni­fica molto), è pro­ba­bile che il suo sguardo (ci sem­bra ten­den­zial­mente laico e con non evi­denti in­te­ressi per gli aspetti teo­lo­gici) non ab­bia nep­pure per­ce­pito l’opportunità di va­lu­tare con at­ten­zione que­sti aspetti, non ap­pa­ri­scenti ma in­vece ri­le­vanti sul piano culturale-religioso.

Del pari, uno de­gli sce­neg­gia­tori del film, il gio­va­nis­simo Ga­briele Bal­dini (nel 1950 con lui si spo­serà in se­conde nozze Na­ta­lia, dal 1944 ve­dova di Leone Gin­sburg), con tutto il suo ta­lento let­te­ra­rio non sem­bra avere avuto al­cuna con­sa­pe­vo­lezza dei con­te­nuti dot­tri­nali del ro­manzo di Manzoni.

Ciò che in­vece fa spe­cie è l’es­sere esat­ta­mente sulla sua stessa trac­cia nar­ra­tiva l’Epilogatore che (ce lo dice come al­ta­mente pro­ba­bile la Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia) do­veva es­sere sia un in­trin­seco di Man­zoni sia — ad­di­rit­tura — un ec­cle­sia­stico.

Non è che, an­che in que­sto caso, l’Epilogatore, di­men­ti­cando di es­sere sia un in­trin­seco di Man­zoni sia un ec­cle­sia­stico, sia ri­ma­sto così preso da Ca­me­rini da ri­pro­durre con la sua penna (su fo­gli even­tual­mente pro­dotti en­tro il 1835) ciò che aveva vi­sto sullo schermo, in un qual­che mo­mento dopo il di­cem­bre 1941?

Scher­ziamo, naturalmente!
Ma, in­tanto, mo­striamo come hanno ri­solto la cosa gli al­tri tre registi:

Bon­nard (1922) ha an­ti­ci­pato Ca­me­rini, tra­dendo Man­zoni: Renzo e Pa­dre Cri­sto­foro si ag­gi­rano per il Laz­za­retto; Renzo vede dalla porta di una ca­panna la sua Lu­cia. Il film era muto e forse po­teva ri­sul­tare mac­chi­noso il mo­strare il suono di una voce (tutto si può fare co­mun­que! e anzi ne sa­rebbe ve­nuta una cosa rimarchevole).

Bol­chi (1969), in­vece, per que­sta se­quenza è stato fe­dele a Man­zoni, mo­strando bene che il pro­blema non era di ca­rat­tere tec­nico-sce­nico: Ca­stel­nuovo sente alle sue spalle la voce di Lu­cia, en­tra nella ca­panna: vi ritrovo!.

No­cita (1989), in­fine, ha scelto di dare un colpo al cer­chio e uno alla botte (Quinn sentevede in­sieme la sua Lucia).

14.7/ Sempre nel Lazzaretto, un grappolo di difformità.

A con­clu­sione di que­sto re­ge­sto delle dif­for­mità tra Epi­logo del «Ma­no­scritto Lecco 170» e “Prima Mi­nuta” di Man­zoni, dob­biamo evi­den­ziarne un grap­polo, tutto re­la­tivo alla parte con­clu­siva del ri­tro­va­mento di Lu­cia al Laz­za­retto da parte di Fermo.

Le dif­for­mità sono tre e si sus­se­guono l’un l’altra. Me­ri­tano però di es­sere evi­den­ziate par­ti­ta­mente per le im­por­tanti im­pli­ca­zioni di ognuna di esse sui con­te­nuti “mo­rali” (usiamo que­sto ter­mine sem­pre in senso lato) della no­stra discussione.

Ri­te­niamo quindi op­por­tuno, pre­sen­tare prima di tutto il te­sto dell’Epilogo a esse re­la­tivo per poi esa­mi­nare ogni sin­gola difformità.

Ve­diamo in­tanto come le cose sono pre­sen­tate nell’Epilogo (carta 19r-19v-20r, p. 37-38-39, evi­den­zia­zioni nostre):

«[Pa­dre Cri­sto­foro] si rende alla ca­panna di Lu­cia. E qui la per­suade, ed in nome della Chiesa la scio­glie dal voto. Quindi si con­geda, dando agli sposi pro­messi un ad­dio, che bene si av­vi­sano es­sere l’ultimo.
Ri­mane Fermo; e con­sente, che Lu­cia re­sti ad as­si­stere la com­pa­gna, donna fa­col­tosa, fin­ché sia ri­sta­bi­lita. E per­chè lo scro­scio d’immensa piog­gia se­guito all’apparso nembo mi­nac­cioso fece [19v] ral­len­tare la pe­ste, vi ri­mase esso pure.
In que­sto mezzo, ecco fu­rio­sa­mente av­ven­tarsi, e pre­sen­tarsi alla ca­panna un ap­pe­stato fre­ne­tico, la­cero, li­vido, pre­sago di morte vi­cina; ed era / oh spet­ta­colo! / D. Ro­drigo, il quale, seb­bene tra­so­gnato, aveva raf­fi­gu­rati nel pas­sag­gio il P. Cri­sto­foro, e Fermo. Egli, sbar­rando due oc­chi mezzo fra istu­pi­diti e fu­riosi, ri­balza in­die­tro, e, da­tosi a cor­rere pel campo, af­ferra un ca­vallo de’ Mo­natti, e get­ta­tosi d’un salto so­pra, come fu­rio­sa­mente in­se­guito da’ Mo­natti, per­duta ogni lena, cade e muore, ed è con­dotto alla fossa.
Fermo, e Lu­cia colla com­pa­gna, ve­duta la tri­sta fine di quel pre­po­tente, gli pre­gano pace, avendo Fermo ob­bliata la ven­detta, e pro­messo per­dono [20r] all’esortazione del P. Cristoforo.
Ma, ces­sando or­mai do­vun­que il fla­gello della pe­ste, sor­tono da Laz­za­retto; e la com­pa­gna si of­fre a scor­tarli alla loro terra, ed a for­nire un equi­pag­gio di ve­sti a Lu­cia, vo­lendo pren­der parte alla di Lei consolazione.»

Que­sto brano dell’Epilogo sem­bra es­sere stato strut­tu­rato per dire chiaro e tondo an­che al let­tore più di­stratto: guarda che quanto leggi qui ha poco a che ve­dere con la “Prima Mi­nuta” di Don Lisander.

Per ca­pire per­ché, ve­diamo in­tanto di ren­derne più in­tel­li­gi­bile il te­sto, de­ci­sa­mente ingarbugliato.

1/ Fa­cendo in­ten­dere sia l’ultimo in­con­tro, P. Cri­sto­foro si con­geda dai due sposi e la­scia la ca­panna.

2/ Fermo in­vece vi ri­mane; con­corda che Lu­cia as­si­sta la com­pa­gna [è la ve­dova as­si­stita da Lu­cia] fino a gua­ri­gione completa.

3/ Ini­zia l’acquazzone che farà ral­len­tare la pe­ste; Fermo ri­mane al Laz­za­retto.

4/ “Nel mezzo” [non è chiaro fra quale dei tre punti so­pra espo­sti], alla ca­panna si pre­senta un esa­gi­tato Don Ro­drigo; squa­dra con fu­ria gli Sposi; fa die­tro-front; in­forca un ca­vallo dei Mo­natti; in­se­guito da­gli stessi lo lan­cia al ga­loppo; cade, muore, è sepolto.

5/ Fermo, Lu­cia e la ve­dova pre­gano per lui, avendo Fermo, sol­le­ci­tato da P. Cri­sto­foro [non è detto quando], pro­messo il perdono.

6/ Esau­ri­tasi la pe­ste, en­trambi gli sposi la­sciano il Laz­za­retto per il loro paese; li ac­com­pa­gna l’amica di Lu­cia che le dona il corredo.

L’Epilogo mette a dura prova la pa­zienza del let­tore ma so­prat­tutto non la­scia dubbi sulla sua estra­neità ri­spetto a Man­zoni che nella sua “Prima Mi­nuta” la rac­conta ben diversamente:

1/ Sciolta Lu­cia dal voto di ca­stità, P. Cri­sto­foro rac­co­manda agli sposi l’unità nell’amore.

2/ Men­tre egli parla di amore e ri­spetto, ap­pare Don Ro­drigo, stra­volto e la­cero, che guata con fu­rore e paura: vi­sti pas­sare, non vi­sto, Fermo e il Pa­dre, gli era ri­nato il de­si­de­rio di ven­detta; in­tra­vi­stili nella ca­panna aveva udito la voce del Pa­dre Cri­sto­foro, che già in al­tra oc­ca­sione (all’inizio del ro­manzo) aveva disprezzata.

3/ Lu­cia ne è ter­ro­riz­zata; Pa­dre Cri­sto­foro e Fermo hanno in­vece un moto di com­pas­sione e gli si av­vi­ci­nano per aiu­tarlo; lo se­guono per un tratto men­tre il de­li­rante fugge cor­rendo fre­ne­tico verso la chiesa.

4/ Don Ro­drigo si ap­pro­pria di un ca­vallo dei mo­natti, vi sale e lo lan­cia al ga­loppo, pro­vo­cando lo scom­pi­glio generale.

5/ I due uo­mini tor­nano alla ca­panna; P. Cri­sto­foro in­vita a pre­gare per l’infelice; dopo un mo­mento di si­len­zio, con­cer­tano il da farsi: Fermo par­tirà im­me­dia­ta­mente, tro­verà ri­co­vero lungo il cam­mino; an­drà al paese a dare le nuove ad Agnese; an­drà a Ber­gamo a pre­di­sporre per la fa­mi­glia; tor­nerà al paese in at­tesa di Lu­cia per ce­le­brare le nozze con Don Abbondio.

6/ Lu­cia vuole at­ten­dere che l’amica sia gua­rita; es­sendo una­nime l’accordo, que­sta pro­mette di ac­com­pa­gnare Lu­cia e di do­narle il corredo.

7/ Es­sendo or­mai pros­sima la notte, P. Cri­sto­foro in­vita Fermo a met­tersi in cam­mino; al gio­vane spiace so­prat­tutto di la­sciare il buon frate che in­tui­sce non ri­ve­drà; lo ri­ve­ri­sce; sa­luta Lu­cia e la ve­dova; or­mai col buio, esce dal Laz­za­retto di­retto a Lecco.

8/ Il P. Cri­sto­foro as­si­cura Lu­cia che Don Ro­drigo non tor­nerà; rac­co­manda le donne a un frate e la­scia la ca­panna; Lu­cia lo se­gue; ve­dono Don Ro­drigo morto por­tato da un gruppo di mo­natti che lo get­tano su un carro com­men­tan­done con scherno la fine; il Pa­dre rac­co­manda a Lu­cia di pre­gare per il po­ve­retto; si al­lon­tana de­fi­ni­ti­va­mente; com­mossa, Lu­cia rien­tra alla capanna.

9/ Nella notte si sca­tena la tem­pe­sta; lungo il cam­mino Renzo al­log­gia come può e il terzo giorno, sem­pre sotto l’acqua bat­tente, giunge al paese; poi va a Ber­gamo; ri­torna al paese, ecc. ecc.

10/ Gua­rita la ve­dova, Lu­cia passa la qua­ran­tena in casa di que­sta la­vo­rando al cor­redo; alla fine ven­gono a sa­pere che il P. Cri­sto­foro è morto; le due donne vanno in­sieme al paese de­gli sposi, dove Renzo è in at­tesa della pro­messa per ce­le­brare il ma­tri­mo­nio, ecc. ecc.

Ri­spetto al te­sto di Man­zoni (che Paola Ita­lia so­stiene es­sere reso fe­del­mente dal ma­no­scritto in esame) l’Epilogo in 198 pa­role con­tiene quindi tre dif­for­mità strut­tu­rali, si­gni­fi­ca­tive an­che sul piano dei con­te­nuti etici del ro­manzo di Manzoni:

— che P. Cri­sto­foro sia as­sente du­rante l’incursione di Don Rodrigo;

— che du­rante e dopo lo “scro­scio d’immensa piog­giaFermo se ne stia tran­quillo al Laz­za­retto, as­sieme alla sua Lu­cia e alla vedova;

— che, or­mai esau­ri­tasi la pe­ste, i due sposi e la ve­dova par­tano in­sieme per Lecco.

Ana­liz­ziamo que­ste tre difformità.

Difformità n. 21 — Invenzione originale.

14.8/ “Padre Cristoforo quindi si congeda” …

Lo ab­biamo già evi­den­ziato: se­condo l’Epilogo Don Ro­drigo ir­rompe quando Pa­dre Cri­sto­foro “si è già con­ge­dato”, os­sia non è più con i pro­messi sposi.
Il che non è tanto un di­verso modo di pre­sen­tare fatti (cosa am­mis­si­bi­lis­sima in qual­siasi ri­du­zione di un’opera let­te­ra­ria) ma è un di­verso modo di rap­pre­sen­tarne i contenuti.

Padre Cristoforo e Don Rodrigo: si chiude il cerchio.

Ri­pe­tia­molo: se­condo l’Epilogo, la ap­pa­ri­zione di Don Ro­drigo av­ver­rebbe quando già P. Cri­sto­foro si è con­ge­dato de­fi­ni­ti­va­mente dai quasi sposi.
Come ab­biamo poco so­pra sin­te­tiz­zato, in Man­zoni il Pa­dre è in­vece pre­sen­tis­simo e, come sem­pre, svolge un ruolo de­ci­sa­mente attivo.

Da no­tare che Man­zoni, con que­sta se­quenza, chiude il cer­chio del rap­porto tra Pa­dre Cri­sto­foro e Don Ro­drigo, av­viato a ini­zio rac­conto nel troppo noto in­con­tro al pa­lazzo di Don Ro­drigo, fi­nito con ma­le­di­zioni da una parte e mi­nacce di ba­sto­na­tura dall’altra.

Da no­tare, inol­tre, che Man­zoni ci pro­pone que­sta con­clu­sione ri­chia­mando il ruolo della VOCE, che ab­biamo già svi­lup­pato nel ca­pi­tolo pre­ce­dente a pro­po­sito delle mo­da­lità di ri­tro­va­mento di Lu­cia da parte di Fermo (T. 4, cap. 9, 110b, p. 571, evi­den­zia­zioni nostre):

«Quell’infelice da una ca­panna, […] aveva ve­duto pas­sarsi da­vanti Fermo, e poi il Pa­dre Cri­sto­foro; senza es­ser ve­duto da loro. Quella com­parsa aveva su­sci­tato […] l’antico fu­rore, e il de­si­de­rio della ven­detta […] in un tale de­li­rio […] aveva te­nuto die­tro da lon­tano a quei due. […] met­tendo il capo su la porta aveva ri­ve­dute in iscor­cio quelle fi­gure. Quivi […] udì quella voce ben co­no­sciuta che nel suo ca­stello aveva in­tuo­nata al suo orec­chio una pre­dica tron­cata al­lora da lui con rab­bia e con di­sprezzo ma che aveva però la­sciata nel suo animo una im­pres­sione che s’era ri­sve­gliata nel tri­sto so­gno pre­cur­sore della ma­lat­tia. […] Quella voce lo te­neva im­mo­bile a quel modo che al­tre volte si cre­deva che le bi­scie stes­sero all’incanto.»

Nella ri­cerca di Lu­cia, la di­vi­nità si ri­vela a Fermo at­tra­verso la voce della amata; a Don Ro­drigo in de­li­rio (anch’egli alla ri­cerca di Lu­cia ma con ben al­tre in­ten­zioni) la di­vi­nità si ri­vela at­tra­verso la voce del sacerdote/frate, in ine­vi­ta­bile con­ti­nuità op­po­si­tiva al suo animo ot­te­ne­brato dalla prepotenza.

È ov­vio an­che a un bimbo che, in as­senza di P. Cri­sto­foro, ri­sul­te­rebbe im­pos­si­bile rap­pre­sen­tare que­sto snodo espo­si­tivo, de­ci­sa­mente ar­ti­co­lato sul piano concettuale,
Ma l’Epilogo si fa un baffo della coe­renza nar­ra­tiva e dot­tri­nale e sco­della il suo in­con­sa­pe­vole mi­ne­strone di pa­role in libertà.

Difformità n. 22 — Omogenea al film di Camerini, 1941

14.9/ “Fermo vi rimase egli pure” …

È que­sta dell’Epilogo una tro­vata nar­ra­tiva ve­ra­mente “in­no­va­tiva” ri­spetto a Man­zoni che — lo ab­biamo vi­sto in sin­tesi più so­pra — la rac­conta in modo ra­di­cal­mente diverso.

Se­condo l’Epilogo, il P. Cri­sto­foro se ne va; si sca­tena la tem­pe­sta; Fermo ri­mane.
Dove ri­mane? Nella ca­panna di Lu­cia e della ve­dova, po­sta nell’area del Laz­za­retto ri­ser­vata alle donne?
Il Pro­messo sposo aspetta lì non solo che spiova ma an­che che “sia ces­sato ovun­que il fla­gello della pe­ste”; quindi 2 giorni di piog­gia + al­meno 20 giorni di qua­ran­tena =  tre settimane?
È così?

Il let­tore non si deve in­quie­tare per il no­stro uso del ca­len­da­rio: quando ci si trova di fronte a con­cla­mate ma­ni­fe­sta­zioni di ma­ra­sma nar­ra­tivo e in­tel­let­tivo, bi­so­gna pure fis­sare dei ter­mini di ri­fe­ri­mento con­di­vi­si­bili! o no?

Co­mun­que, l’Epilogatore, an­cora una volta — e siamo a quat­tro — alla com­pa­gnia di Man­zoni pre­fe­ri­sce quella di Camerini.

Alla piog­gia, e al modo con cui viene ac­colta da chi era al Laz­za­retto, Ca­me­rini de­dica una car­rel­lata lunga 110 se­condi tutta ar­ti­co­lata sul rin­gra­zia­mento alla di­vi­nità per il nu­bi­fra­gio (c’è an­che un ma­lato che — la scena ri­sulta ine­vi­ta­bil­mente grot­te­sca — muore sotto l’acquazzone fa­cen­dosi il se­gno della croce).

Si dirà: e che c’è di strano? la po­po­la­zione in Mi­lano era molto re­li­giosa e quindi …
Be­nis­simo!
Qui però non stiamo di­scu­tendo su se e come fos­sero re­li­giosi i mi­la­nesi ma in che modo Man­zoni ri­tenne di rap­pre­sen­tare quel de­ter­mi­nato fe­no­meno nel qua­dro del più am­pio evento della pe­ste e della vi­cenda dei due pro­messi sposi.

La­sciando per il mo­mento da parte il tema tempesta/peste (di­scorso me­ri­te­vole di ri­fles­sioni ma estra­neo a que­sta Nota) dob­biamo ri­cor­dare che, co­mun­que sia, in Ca­me­rini, men­tre si sca­tena la tem­pe­sta, Renzo è al Laz­za­retto con Lu­cia, os­sia, come scritto nell’Epilogori­mane esso pure”.
Il re­gi­sta Ca­me­rini ha in­fatti la bella tro­vata di fare ter­mi­nare pro­prio lì, al Laz­za­retto, il ro­manzo di Man­zoni as­sieme col suo film: con Renzo e Lu­cia che, fianco a fianco, in gi­noc­chio, esta­tici rin­gra­ziano il Signore.

E poi che fanno? Ca­me­rini non lo mo­stra per­ché ci mette la pa­rola FINE.
Ma ogni spet­ta­tore, ine­vi­ta­bil­mente, ne ri­cava che, di fatto, in quel mo­mento i pro­messi si sono ri­con­giunti — anzi si pos­sono con­si­de­rare come sposati.
Ca­me­rini in­fatti non ci dice nulla sul ca­pi­tolo con­clu­sivo de “I pro­messi Sposi”, in Man­zoni denso di con­te­nuti etici, tra cui — fon­da­men­tale — la ce­le­bra­zione del ma­tri­mo­nio.

Più sotto il­lu­striamo in det­ta­glio come que­sta in­ven­zione nar­ra­tiva di Ca­me­rini (e dell’Epilogatore) non solo non se­gue Man­zoni (in una ri­du­zione non è ob­bli­ga­to­rio un ri­calco in ghisa dell’originale) ma è in op­po­si­zione con lui su una que­stione molto se­ria: il rap­porto tra Renzo e Lucia.

E allora vediamo come la racconta Manzoni: è una storia tutta diversa!

At­tra­verso la penna di Don Li­san­der, Pa­dre Cri­sto­foro in­si­ste per­ché Fermo si al­lon­tani su­bito dal Laz­za­retto (e da Lu­cia) (T. 4, cap. 9, 111c, p. 572):

«Dopo un mo­mento di si­len­zio, il pen­siero che venne a tutti fu di con­cer­tare in­sieme quello che era da farsi: e i con­certi fu­ron que­sti: che Fermo par­ti­rebbe to­sto, giac­chè ivi non v’era ospi­ta­lità da of­fe­rir­gli, cer­che­rebbe un ri­co­vero per la notte in qual­che al­bergo e all’indomani si ri­met­te­rebbe in via pel suo paese, […]»

non solo, ma al pro­messo sposo fa an­che dire che ne è con­tento (T. 4, cap. 9, 112a, p. 573):

«E tu, disse poi a Fermo, che stai qui tar­dando? il tempo, come vedi, si fa più nero, e la notte si av­vi­cina = af­fret­tati di cer­care un ri­co­vero.
Con­vien dire an­cora ad onore di Fermo che in quel mo­mento non gli do­leva tanto lo stac­carsi da Lu­cia ap­pena tro­vata, è vero, ma ch’egli con­tava di ri­ve­der pre­sto, quanto dal Pa­dre Cri­sto­foro, che re­stava lì a morire.»

Alla luce di que­ste ine­qui­vo­ca­bili espres­sioni di Man­zoni ri­sulta ve­ra­mente cu­rioso ciò che in­vece ci dice l’Epilogo — ri­pe­tia­molo — se­condo cui Fermo si sa­rebbe fer­mato per tre set­ti­mane al Laz­za­retto con Lu­cia — per so­pram­mer­cato, es­sen­dosi il Pa­dre Cri­sto­foro da loro “de­fi­ni­ti­va­mente congedato”.

Il let­tore po­trebbe pen­sare che sì, ef­fet­ti­va­mente, que­sta nar­ra­zione dell’Epilogo non c’entra pro­prio nulla con Man­zoni; ma forse la “Prima Mi­nuta” in que­sto punto non era ben leg­gi­bile e quindi il po­vero Epi­lo­ga­tore ha preso in­vo­lon­ta­ria­mente un abbaglio.

Spiace dire che non è af­fatto così: il ma­no­scritto di Man­zoni in que­sta se­quenza è per­fet­ta­mente leg­gi­bile, come può con­sta­tare ogni let­tore scor­rendo i ma­no­scritti di Man­zoni messi molto op­por­tu­na­mente a di­spo­si­zione del pub­blico.

La dif­for­mità n. 22 che ab­biamo ap­pena evi­den­ziato, è si­cu­ra­mente la più si­gni­fi­ca­tiva sul piano dei con­te­nuti mo­rali ed etici e ci con­ferma della lon­ta­nanza abis­sale tra l’estensore dell’Epilogo e Man­zoni.
At­ten­zione: di­ciamo pro­prio lon­ta­nanza da Man­zoni, non solo dalla sua “Prima Mi­nuta” del romanzo.

L’Epilogatore, in per­fetta li­nea con Ca­me­rini (cui, in que­sto, si al­li­neò più tardi Sal­va­tore No­cita nel suo “I Pro­messi Sposi” del 1989) con quella bella tro­vata di un Fermo che “ri­mase egli pure” al Laz­za­retto per tre set­ti­mane con Lu­cia, ci in­dica in­fatti una to­tale estra­neità al mondo manzoniano.

Per come Don Li­san­der ve­deva il senso e il si­gni­fi­cato della vita di cop­pia (il ma­tri­mo­nio è la via per la san­ti­fi­ca­zione), gli sa­rebbe parsa in­con­ce­pi­bile an­che solo l’idea che Fermo/Renzo, prima del ma­tri­mo­nio, po­tesse star­sene con Lu­cia per tre set­ti­mane, come scritto a chiare let­tere nell’Epilogo.

Ma pas­siamo all’ultima dif­for­mità: il let­tore si tenga forte per­ché que­sta è pro­prio for­mi­da­bile e in­sieme ridicola!

Difformità n. 23 — Invenzione originale.

14.10/ “Sortono da Lazzaretto e la compagna si offre a scortarli alla loro terra” …

Delle 23 dif­for­mità tra Epi­logo e “Prima Mi­nuta” que­sta è si­cu­ra­mente la più biz­zarra e an­che la più lon­tana da qua­lun­que ela­bo­ra­zione di Manzoni.

Per rin­fre­scare la me­mo­ria del let­tore ri­pren­diamo l’intera nar­ra­zione dell’Epi­logo (carta 19r-19v-20r, p. 37-38-39, evi­den­zia­zioni nostre):

«Ri­mane Fermo; e con­sente, che Lu­cia re­sti ad as­si­stere la com­pa­gna, […] E per­chè lo scro­scio d’immensa piog­gia se­guito all’apparso nembo mi­nac­cioso fece [19v] ral­len­tare la pe­ste, vi ri­mase esso pure. […] Ma, ces­sando or­mai do­vun­que il fla­gello della pe­ste, sor­tono da Laz­za­retto; e la com­pa­gna si of­fre a scor­tarli alla loro terra.»

Quindi, se­condo l’Epilogo, Fermo se ne sta al Laz­za­retto, aspet­tando non solo che spiova ma an­che che si esau­ri­sca la peste.
Dopo di che, pas­sata la qua­ran­tena, con la sua Lu­cia e con la nuova amica di que­sta se ne vanno tutti e tre a Lecco, per il ma­tri­mo­nio, ecc.

Ci sa­rebbe da farsi una ri­sata e mol­larla lì ma dob­biamo an­dare fino in fondo!

Come ap­pare an­che al let­tore più di­stratto, l’Epilogo si è qui mosso come quei fal­sari che, ap­po­si­ta­mente, pro­du­cono ban­co­note con im­per­fe­zioni evi­denti, al fine di fruire di uno sconto di pena in caso di arresto.

Man­zoni ov­via­mente la rac­conta in modo to­tal­mente dif­fe­rente e an­che con im­pli­ca­zioni eti­che non irrilevanti.
È in que­sto snodo della nar­ra­zione che Man­zoni pre­senta in­fatti, in sin­tesi e in modo molto di­scor­sivo, la pro­pria idea di Prov­vi­denza at­tra­verso i pen­sieri e gli at­teg­gia­menti di Fermo/Renzo che, la­sciato il Laz­za­retto e Mi­lano, sotto la piog­gia bat­tente cam­mina verso Lecco (an­che sal­tel­lando come un ra­gaz­zino tra le tante pozze d’acqua che co­stel­lando il suo cam­mino — nella Ven­ti­set­tana Man­zoni lo pa­ra­gona a un cane bar­bone che si scuote), in una più che tra­spa­rente me­ta­fora di un mu­ta­mento ra­di­cale di vita, più con­sa­pe­vole e più maturo.

Ci sa­reb­bero ov­via­mente molte al­tre cose da dire ma qui è suf­fi­ciente avere ri­le­vato que­sta pac­chiana e ul­tima dif­for­mità tra Epi­logo e “Prima Minuta”.

Utile an­che a chie­dere ai vari Prof. che si sono ac­co­dati alla au­dace in­ven­zione cri­tica della loro col­lega Paola Ita­lia: ma che ne dite di que­ste due doz­zine di in­sa­na­bili di­co­to­mie tra Epi­logo del «Ma­no­scritto Lecco 170» e “Prima Mi­nuta” di Manzoni?
Tutto regolare?

Ringraziamenti.

Per que­sta se­zione, de­di­cata an­che al trat­ta­mento ci­ne­ma­to­gra­fico de “I Pro­messi Sposi”, vo­gliamo rin­gra­ziare il gen­ti­lis­simo Sal­va­tore No­cita per avere ac­cet­tato di in­con­trare chi scrive, non­ché il caro amico Giu­lio Mar­tini, cri­tico ci­ne­ma­to­gra­fico di lungo corso, che ha reso pos­si­bile l’incontro dan­dovi, come suo so­lito, un pre­zioso con­tri­buto di idee e di stimoli.

Senza il me­de­simo amico (an­che pre­pa­ra­tis­simo stu­dioso della in­tri­cata al­ge­bra teo­lo­gica) sa­remmo an­ne­gati come gat­tini cie­chi nelle tante que­stioni dot­tri­nali im­pli­cite nel ro­manzo di Man­zoni: gra­zie an­cora per la pa­zienza e la com­pe­tenza con cui ha ri­spo­sto alle tante ri­chie­ste di chia­ri­mento (al­cune si­cu­ra­mente an­che biz­zarre) che gli ab­biamo ri­volto in que­sti mesi.

Va da sé che Giu­lio Mar­tini non è in nulla e per nulla re­spon­sa­bile di quanto ab­biamo scritto in que­sta lunga Nota, se non in quanto ci ha dato ami­che­vol­mente corda a espri­mere quanto ave­vamo in mente.

15. Per concludere.

Non avendo an­cora po­tuto ana­liz­zare dal vivo il «Ma­no­scritto Lecco 170» e non avendo il ri­scon­tro di se­rie ana­lisi stru­men­tali, tese quanto meno a in­di­care non trat­tarsi di un vol­gare pseudo-do­cu­mento, con­fe­zio­nato da qual­che fur­bone a metà del se­colo scorso, con la Nota che ab­biamo so­pra pre­sen­tato, ci era­vamo pre­fissi po­chi e ben cir­co­scritti obiettivi:

a / Di­mo­strare la in­con­si­stenza della “tra­scri­zione di­plo­ma­tica” del «Ma­no­scritto Lecco 170», pro­po­sta dalla Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia e vi­ziata da ine­scu­sa­bili ce­cità e di­let­tan­te­sca superficialità.

b/ Evi­den­ziare la nul­lità della di­chia­rata coe­renza di trama tra l’Epilogo “Gli Sposi Pro­messi” e “Prima Mi­nuta” di Man­zoni, os­sia del pre­sup­po­sto su cui è stata co­struita la ope­ra­zione “Gli Sposi pro­messi su Internet”.

c/ In­di­care la va­cuità dell’attribuzione “a oc­chio” della sup­po­sta au­to­gra­fia man­zo­niana delle sei pa­role « di tro­vare, che quelle opi­nioni vi — » alla carta 47r, os­sia la “prova forte” con cui dare cre­di­bi­lità alla me­de­sima operazione.

Ci sem­bra che sui due primi ar­go­menti nes­suno possa avere da dire circa le no­stre con­clu­sioni — sono ele­menti og­get­tivi sui quali c’è poco da discettare.

Circa la sban­die­rata “au­to­gra­fia man­zo­niana” di quella in­sulsa fra­setta di sei pa­role alla carta 47r, ab­biamo in­di­cato il ca­rat­tere pu­ra­mente fa­vo­li­stico della at­tri­bu­zione a Man­zoni da parte di Paola Ita­lia e pre­sen­tato in­vece una no­stra vera pe­ri­zia fo­rense che in­dica come “al­ta­mente im­pro­ba­bile” che la fra­setta sia di mano di Manzoni.
Circa que­sto ul­timo ele­mento, non avendo il no­stro pe­rito Dot­to­ressa Ia­russi po­tuto ope­rare sul ma­no­scritto ori­gi­nale, la ana­lisi ha do­vuto ne­ces­sa­ria­mente ri­ma­nere li­mi­tata ad al­cuni aspetti, tra­scu­ran­done al­tri — molto im­por­tanti — ri­scon­tra­bili solo ad una ana­lisi di­retta del documento.
Sa­remo ov­via­mente ben lieti di po­tere com­ple­tare an­che que­sta parte della perizia.

Ri­te­niamo così di avere creato i pre­sup­po­sti per­ché, in una pros­sima Nota già in pre­pa­ra­zione, si possa af­fron­tare il tema real­mente in­te­res­sante, os­sia il pas­sag­gio dalla “Prima Mi­nuta” a “I pro­messi Sposi” da un punto di vi­sta etico e non solo ar­ti­stico o linguistico.

Per chiu­dere vor­remmo però ri­chia­mare l’attenzione del let­tore su un aspetto importante.

Ma che valore ha il controllo della comunità scientifica?

A con­clu­sione di que­sta Nota, in­cen­trata so­prat­tutto sulla “di­plo­ma­tica co­la­brodo”, po­niamo un pro­blema di ca­rat­tere generale.

I due studi di Paola Ita­lia sono stati in­fatti pub­bli­cati (nel 2018 e nel 2019) sulla ri­vi­sta “An­nali Man­zo­niani” edita dal Cen­tro Na­zio­nale Studi Manzoniani.
La quale ri­vi­sta ha una po­li­tica edi­to­riale espo­sta con chia­rezza (vedi qui) e in ap­pa­renza piut­to­sto rigorosa:

Per la se­le­zione dei con­tri­buti è pre­vi­sta la se­guente procedura:

— L’autore in­via il suo contributo.

— Il te­sto viene va­lu­tato in forma ano­nima, se­condo il si­stema dou­ble blind, da due re­vi­sori (re­fe­rees), un esterno e un com­po­nente del Co­mi­tato Scien­ti­fico, che avranno due mesi di tempo per for­mu­lare la loro valutazione.

— La ri­vi­sta co­mu­nica all’autore la ri­spo­sta fi­nale, che con­tiene la va­lu­ta­zione ano­nima dei revisori.

E que­sto è quanto pre­vi­sto per il Pro­cesso di re­vi­sione (Peer-re­view process):

«La ri­vi­sta, che ha ca­denza an­nuale, adotta il si­stema di re­vi­sione del dop­pio cieco (dou­ble blind peer re­view pro­cess). I con­tri­buti pro­po­sti ven­gono tra­smessi ai re­vi­sori ano­nimi solo dopo es­sere stati ap­pro­vati da al­meno due com­po­nenti del Co­mi­tato Scientifico.»

A pro­po­sito di “Co­mi­tato Scien­ti­fico” può es­sere utile co­no­scerne i com­po­nenti: Ma­rio Ba­ren­ghi (Uni­ver­sità di Mi­lano Bi­cocca, di­ret­tore re­spon­sa­bile), Giu­seppe An­to­nelli (Uni­ver­sità di Cas­sino), Ma­ria­rosa Bric­chi, Ma­ría de las Nie­ves Muñiz Muñiz (Uni­ver­sità di Bar­cel­lona), Paola Ita­lia (Uni­ver­sità di Bo­lo­gna), Sal­va­tore Sil­vano Ni­gro (Uni­ver­sità di Zu­rigo), Mauro No­velli (Uni­ver­sità Sta­tale di Mi­lano), Giu­lia Ra­boni (Uni­ver­sità di Parma), An­gelo Stella (Uni­ver­sità di Pa­via, pre­si­dente del Cen­tro Na­zio­nale Studi Manzoniani).

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Sa­rebbe in­te­res­sante, per i due studi della Pro­fes­so­ressa Ita­lia, co­no­scere la “va­lu­ta­zione ano­nima” sia dei mem­bri del “Co­mi­tato Scien­ti­fico” (di cui fa parte l’autrice Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia) sia de­gli “esterni” che hanno dato il via li­bera alla loro pubblicazione.

Viene in­fatti spon­ta­neo chie­dersi: ma con quali cri­teri / stru­menti hanno va­lu­tato quel co­la­brodo di “tra­scri­zione di­plo­ma­tica” del ma­no­scritto con­ser­vato a Lecco?

E con quali stru­menti hanno giu­di­cato at­ten­di­bile l’attribuzione delle sei pa­role alla scrit­tura au­to­grafa di Manzoni?

Detto al­tri­menti: se il Cen­tro Na­zio­nale Studi Man­zo­niani, de­pu­tato dal 1937 alla con­ser­va­zione della me­mo­ria e della fi­gura di Man­zoni, non è in grado di in­ter­cet­tare al­meno que­ste evi­denti ca­stro­nate, a chi deve af­fi­darsi il cit­ta­dino che vo­glia avere una in­for­ma­zione pun­tuale sull’autore de “I Pro­messi Sposi” — pos­si­bil­mente senza in­ge­nuità da ma­tri­cole alle prime armi?

Gi­riamo la do­manda so­prat­tutto ai re­spon­sa­bili della cul­tura man­zo­niana della città di Lecco, in­vi­tan­doli — una volta an­cora — a non af­fi­darsi come pe­co­relle smar­rite alle di­ret­tive / sug­ge­stioni di que­sto o quell’organismo più o meno de­pu­tato alla con­ser­va­zione e va­lo­riz­za­zione della me­mo­ria di Man­zoni ma a svi­lup­pare una pro­pria ca­pa­cità di ana­lisi e di ve­ri­fica: ben ven­gano i con­tri­buti esterni ma il Mu­seo Man­zo­niano di Lecco deve es­sere in grado al­meno di se­pa­rare la pula dal grano!

Fa­bio Stoppani