Venerdì 11 gennaio 2019
Ancora sul dipinto «La monaca», attribuito a Francesco Hayez ed esposto a Lecco alla mostra «Ottocento Lombardo» come “Omaggio a Manzoni”.
In attesa dei risultati di verifiche anche tecniche:
• facciamo il punto sul come due dipinti di Francesco Hayez titolati «Monaca» vennero trattati dalla critica a lui coeva e fino al 1995;
• ci interroghiamo sui possibili vantaggi del riconsiderare i presupposti per l’attribuzione a Hayez del dipinto presentato come «La monaca» a Milano nel 2009, a Monza nel 2016, a Lecco nel 2018.
________
Gentili Signori,
Da due mesi sono pubbliche (e riprese anche dalla stampa) le nostre osservazioni sulla mostra «Ottocento Lombardo» (Lecco, 20 ottobre 2018 – 20 gennaio 2019), patrocinata dal Comune di Lecco, organizzata da ViDi Srl, curata dalla storica dell’arte Simona Bartolena.
Della mostra mettevamo in luce sia una sua debolezza strutturale (erano del tutto assenti riferimenti a Manzoni e a Lecco, che invece sarebbero stati perfettamente coerenti con il tema dell’esposizione); sia rilevanti carenze nella comunicazione al pubblico; sia alcuni deprimenti errori di fatto, [vedi l’intervento, apparso sul nostro sito Web il 13 novembre 2018].
Le nostre osservazioni riguardavano anche un “Omaggio a Manzoni”, rappresentato da un dipinto, attribuito ad Hayez e denominato «La monaca» (vedi a lato l’immagine), di cui nella conferenza di inaugurazione del 20-10-18 si è suggerita enfaticamente una “ispirazione manzoniana”.
Di questo “Omaggio a Manzoni”, però, non si trova traccia in tutta la documentazione della mostra se non in poche anodine parole a firma di Virginio Brivio (Sindaco di Lecco) e di Simona Piazza (Assessore alla Cultura del Comune di Lecco), riportate esclusivamente nella Cartella stampa, riservata ai soli giornalisti:
«All’interno del percorso espositivo è presente un omaggio ad Alessandro Manzoni, dal quale parte l’esposizione che racconta l’Ottocento con tutte le sue declinazioni artistiche, dal romanticismo alla Scapigliatura, dal naturalismo al divisionismo.»
Nonostante questa anticipazione, nel Catalogo ufficiale della mostra, su genesi e storia di questo dipinto attribuito a Hayez, organizzatori e curatrice artistica non hanno scritto nulla, limitandosi a darne la riproduzione e una telegrafica didascalia: «Francesco Hayez / La monaca / Olio su tela, 54×40,5 cm / Collezione privata».
Del dipinto, inoltre, è del tutto assente anche quel minimo di bibliografia che, nonostante i suoi limiti, in oltre 130 anni è stata prodotta su quanto Hayez realizzò attorno al soggetto “Monaca”.
Infine, è ben curioso che, nelle 20 pagine fitte di testo introduttivo del Catalogo (13.000 parole), lo stesso lemma “monaca” non compare neppure una volta.
Nella giovane monaca rappresentata nel dipinto attribuito a Hayez manca qualsivoglia riferimento anche a una sola delle dettagliate caratteristiche del personaggio che ci volle lasciare Manzoni, nel testo e nelle illustrazioni dell’edizione 1840 del romanzo:
Manzoni: riccioli ribelli a “disprezzo della regola”
Dipinto: è perfettamente a posto e in ordine;
Manzoni: “vita attillata con cura secolaresca”
Dipinto: grazie alla posizione seduta, questa parte del corpo è celata;
Manzoni: “bellezza sbattuta, sfiorita e scomposta”
Dipinto: vi è la freschezza di una ragazza sana, che mangia e riposa bene;
Manzoni: occhi di “investigazione imperiosa”, anche “feroce”
Dipinto: sono chini al suolo, quasi chiusi;
Manzoni: labbra dai moti “subitanei, vivi, pieni d’espressione e di mistero”
Dipinto: guance tonde e boccuccia tenera;
Manzoni: con le giovani educande a lei affidate “sdegnosa nelle osservazioni”, “sregolata” nel partecipare ai loro giuochi, “provocatrice” nei discorsi, imitatrice delle superiori con “scena da commedia”, anche “sgangherata” nella risata
Dipinto: mostra un atteggiamento più che modesto;
Manzoni: nervosismo psico-fisico complessivo
Dipinto: fin troppo rilassata, pare quasi appisolata.
Anche quando ce la presenta nella fase del pentimento, Manzoni la vuole dire e mostrare genuflessa e impietrita (PS, Cap. XXXVII, p. 723): «la sua vita attuale era un supplizio volontario tale, che, nessuno, a meno di non togliergliela, ne avrebbe potuto trovare un più severo.»).
Inutile continuare: si tratta con evidenza di due monache completamente differenti e di certo l’idea della monaca manzoniana Manzoni era quanto mai lontana da chi realizzò il dipinto.
Vorremmo rassicurare il lettore, forse incuriosito per la nostra attenzione a questi dettagli, che l’analisi della fisionomia esteriore della monaca di Monza non è propedeutico a una nostra conversione alle pur degnissime professioni dedicate all’estetica femminile.
È del tutto chiaro che Manzoni volle trasferire, attraverso questa iconografia ben leggibile da chiunque, le sue riflessioni su una serie di problematiche relative alla costrizione interna al nucleo familiare; al conflitto uomo-donna; ai diversi modi di rispondere alla violenza individuale.
La tesi che egli volle esprimere sotto forma di narrazione facile è che chi subisce una violenza e non sa superarla con l’approdo a una visione più evoluta dei rapporti, è destinato a divenire violento sia nella propria dimensione psico-fisica sia verso il prossimo, in una perversa perpetuazione del ciclo violenza-subita / violenza-imposta.
Errori segnalati — ironicamente ricevuti ma non corretti.
Infatti, al 21-12-18, all’interno della sala espositiva, il dipinto di Gerolamo Induno riportava ancora il titolo fasullo “Primolano — Scontri tra soldati, ecc.” e, in merito, il catalogo della mostra non recava alcun “errata corrige”; i cartoncini distribuiti al pubblico erano ancora quelli da noi segnalati per la mancanza dell’anno di svolgimento, ingannevoli nel contenuto (promettono in mostra una inesistente “ricca iconografia manzoniana”) e come scarti di stampa (al posto dei loghi di Palazzo delle Paure e dello sponsor Trenord, ci sono dei bei rettangolini bianchi).
In compenso sono stati posti in vendita — a pro’ delle casse dell’organizzatore ViDi Srl — segnalibri (€ 2,00 cad.) e quadernetti (€ 2,00 cad.) con la riproduzione del dipinto attribuito ad Hayez, arricchito da una misteriosa dicitura: «La Monaca di Monza – Mostra».
Il personale alla reception, da noi richiesto a quale mostra ci si riferisse, segnalava diligentemente trattarsi di materiale della mostra «La Monaca di Monza» tenutasi a Villa Reale di Monza nel 2016.
Oltre a non avere nulla a che fare con la mostra di Lecco, il segnalibro reca anche un indicazione disinformante. La didascalia sul verso riporta: «Francesco Hayez / La monaca (particolare), olio su tela / collezione privata». Ma l’immagine sotto cui è posta quella didascalia è quella dell’intero dipinto (questa approssimazione redazionale ci sembra una cifra caratteristica degli organizzatori della mostra — su questo aspetto vedi le nostre osservazioni nell’articolo “Ottocento Lombardo”).
Su questo merchandising di risulta, erroneo, disinformante, drogato da impropri riferimenti a Manzoni e venduto a Lecco in forma anonima anziché consegnato agli archivi; sull’ignavia amministrativa con il timbro dell’Assessorato alla Cultura, lasciamo ai cittadini lecchesi ogni commento.
Là dove il dente duole.
A parte questi curiosi dettagli di sotto-cultura espositiva, eravamo rimasti meravigliati dalla reazione della dottoressa Bartolena, decisamente insolita in una professionista (la sappiamo mediamente attrezzata sul piano culturale) che avrebbe potuto seppellirci nel ridicolo con mezza paginetta di replica documentata.
E invece, in risposta alle nostre osservazioni, né da parte degli Amministratori di Lecco, degli organizzatori o della curatrice artistica Bartolena è stata detta UNA SOLA PAROLA sulla storia del dipinto «La monaca»; sui suoi rapporti con l’opera di Manzoni; sulle ragioni della sua attribuzione ad Hayez; sulla bibliografia al riguardo, ecc. ecc.
Abbiamo quindi pensato che, dietro la stupefacente quanto impotente reazione di Bartolena, si potesse leggere qualche cosa di più di un sempre possibile sbotto bilioso: per esempio che la curatrice della mostra non avesse letteralmente nulla con cui risponderci sul piano critico e storico.
Ed abbiamo quindi deciso di saperne di più.
Una rivelazione avviata nel 2009 al Castello Sforzesco di Milano e ribadita nel 2016 a Villa Reale di Monza.
Castello Sforzesco di Milano
Il Castello ha ospitato una mostra «La Monaca di Monza» (25 novembre 2009-21 marzo 2010 / Curatrice Lorenza Tonani / Organizzatore Alef Srl, divenuta a breve ViDi Srl), di cui, in realtà, la vicenda della monaca era piccola parte, essendo la mostra dedicata alla violenza subita nella storia moderna dalle donne, anche di condizione elevata.
Nel Catalogo della mostra (la prima in cui — in assoluto da 130 anni — il dipinto veniva esposto al pubblico) la curatrice artistica Lorenza Tonani aveva fornito, a sostegno della attribuzione del dipinto a Hayez, uno stringatissimo quanto vago riferimento storico-bibliografico, abbozzando solo una timida ipotesi cronologica (Catalogo della mostra, pag. 40):
«Anche Francesco Hayez si dedicò alla rappresentazione di una Monaca, realizzando due oli negli ultimi anni della sua vita. Si tratta di studi dal vero, uno forse compiuto nel 1879 e uno, di quegli stessi anni, esposto alla retrospettiva milanese del 1883.
(nota n. 70: Cfr. F. Mazzocca, Francesco Hayez. Catalogo ragionato, Milano, 1994, pag. 373, nn. 424-425.»).
Da noi interpellata sui tre aspetti della questione, la dottoressa Mori (che per quella mostra appariva come rappresentante dell’Istituzione) ha girato il problema al dottor Cucciniello, come Conservatore della Galleria d’Arte Moderna e, immaginiamo, come esperto dell’Ottocento.
Castello Sforzesco di Milano
Il Castello ha ospitato una mostra «La Monaca di Monza» (25 novembre 2009-21 marzo 2010 / Curatrice Lorenza Tonani / Organizzatore Alef Srl, divenuta a breve ViDi Srl), di cui, in realtà, la vicenda della monaca era piccola parte, essendo la mostra dedicata alla violenza subita nella storia moderna dalle donne, anche di condizione elevata.
Nel Catalogo della mostra (la prima in cui — in assoluto da 130 anni — il dipinto veniva esposto al pubblico) la curatrice artistica Lorenza Tonani aveva fornito, a sostegno della attribuzione del dipinto a Hayez, uno stringatissimo quanto vago riferimento storico-bibliografico, abbozzando solo una timida ipotesi cronologica (Catalogo della mostra, pag. 40):
«Anche Francesco Hayez si dedicò alla rappresentazione di una Monaca, realizzando due oli negli ultimi anni della sua vita. Si tratta di studi dal vero, uno forse compiuto nel 1879 e uno, di quegli stessi anni, esposto alla retrospettiva milanese del 1883.
(nota n. 70: Cfr. F. Mazzocca, Francesco Hayez. Catalogo ragionato, Milano, 1994, pag. 373, nn. 424-425.»).
Da noi interpellata sui tre aspetti della questione, la dottoressa Mori (che per quella mostra appariva come rappresentante dell’Istituzione) ha girato il problema al dottor Cucciniello, come Conservatore della Galleria d’Arte Moderna e, immaginiamo, come esperto dell’Ottocento.
Villa Reale di Monza
Villa Reale ha ospitato a sua volta una mostra denominata anch’essa «La Monaca di Monza» (1 ottobre 2016-19 febbraio 2017 / Curatrici Lorenza Tonani, Simona Bartolena / Organizzatore ViDi Srl, già Alef Srl), più propriamente centrata sul problema della monacazione.
Da noi interpellata (e solo dopo qualche insistenza), la Direzione ci ha così risposto:
«in riferimento alla Vostra nota […] siamo a comunicare che l’esposizione “La Monaca di Monza” presso il Serrone è stata promossa e realizzata da Vidi Cultural con la curatela della Dott.ssa Simona Bartolena. Gli spazi sono stati concessi in uso per il periodo di realizzazione della mostra, l’Ente consortile non è intervenuto nel progetto scientifico valutando l’alta professionalità e le esperienze accumulate della Dott.ssa Simona Bartolena.».
Nel Catalogo della mostra di Villa Reale la questione della autografia hayeziana del dipinto è stata liquidata (sulla traccia di quanto già scritto nel 2009 al Castello Sforzesco, ma molto più vagamente) con queste parole di Simona Bartolena, riportate in nota (n. 15, pag. 117), tanto centellinate (sono trentasei) quanto nebulose:
Villa Reale di Monza
Villa Reale ha ospitato a sua volta una mostra denominata anch’essa «La Monaca di Monza» (1 ottobre 2016-19 febbraio 2017 / Curatrici Lorenza Tonani, Simona Bartolena / Organizzatore ViDi Srl, già Alef Srl), più propriamente centrata sul problema della monacazione.
Da noi interpellata (e solo dopo qualche insistenza), la Direzione ci ha così risposto:
«in riferimento alla Vostra nota […] siamo a comunicare che l’esposizione “La Monaca di Monza” presso il Serrone è stata promossa e realizzata da Vidi Cultural con la curatela della Dott.ssa Simona Bartolena. Gli spazi sono stati concessi in uso per il periodo di realizzazione della mostra, l’Ente consortile non è intervenuto nel progetto scientifico valutando l’alta professionalità e le esperienze accumulate della Dott.ssa Simona Bartolena.».
Nel Catalogo della mostra di Villa Reale la questione della autografia hayeziana del dipinto è stata liquidata (sulla traccia di quanto già scritto nel 2009 al Castello Sforzesco, ma molto più vagamente) con queste parole di Simona Bartolena, riportate in nota (n. 15, pag. 117), tanto centellinate (sono trentasei) quanto nebulose:
I contributi critici, coevi e successivi ad Hayez, sui suoi due dipinti da egli stesso denominati «Monaca». Una grande confusione, sanata in parte nel 1995 da Mazzocca.
«Monaca-Morosini»
Al dipinto “copia”, realizzato da Hayez a partire dal luglio 1879 e, si presume, donato entro l’anno all’amica Morosini, diamo invece il nome di «Monaca-Morosini».
Questo dipinto «Monaca Morosini» ebbe più fortuna del fratello maggiore sia perché alla nascita se ne fece una fotografia sia perché la proprietaria Giuseppina Morosini non se la tenne solo per sé.
Ricordate quel «Vedi tav. XXIV» di Carotti, in nota alla lettera di Hayez?
Quella tavola XXIV è posta tra p. 230 e p. 231 delle “Memorie” e riporta la riproduzione (di discreta qualità, ovviamente in bianco e nero) della foto del «Monaca-Morosini», ben riconoscibile dalla scritta autografa «Studio dal vero / Hayez». [vedi illustrazione]
La riproduzione è protetta da una velina su cui è stampato:
«Tavola XXIV / Francesco Hayez / Studio dal vero / 1879 // Era modesto, perché aveva sempre guardato al meglio ed era andato via via perfezionando e riformando il suo stile. Camillo Boito. // Non provò mai invidia, anzi amava che sorgessero buoni artisti. Giuseppina Negroni Prati Morosini.»
Carotti, 1890
I due dipinti — il «Monaca-Annoni» e il «Monaca-Morosini» — vennero nuovamente citati nel 1890.
Giulio Carotti redasse, come Appendice alle “Memorie”, un “Elenco” cronologico di 418 opere attribuite a Hayez, dal 1807 al 1881 (l’artista nacque il 10 febbraio 1791 e morì il 20 dicembre 1882).
Nella introduzione all’Elenco, Carotti (pag. 95-101) precisa che esso «Fu composto colla scorta di numerosi elenchi già compilati nel 1882 e nel 1883 dal compianto mio predecessore. [Mongeri, ndr] — Parecchie di quelle liste eran state fatte dall’Hayez direttamente, altre sotto la sua direzione. Ritenni perciò doveroso rispettare le descrizioni ed indicazioni senza preoccuparmi se per certe opere eran spese più parole che per altre. Così la nomenclatura stessa, le parole usate son per lo più quelle dell’epoca dell’artista.»
Nell’Elenco poi (pag. 282-283), malauguratamente così scrive Carotti:
«1879. Monaca (studio dal vero) v. documenti) [sic] del conte Aldo Annoni, di Milano.
«1879. Lo steso [sic] soggetto, di Donna Giuseppina Negroni Prati Morosini, di Milano.
Mazzocca, 1994.
Venti anni dopo, nel suo ampio «F. Hayez. Catalogo Ragionato» (Motta, 1994) il Professor Fernando Mazzocca fa riferimento ai due dipinti ma con una vistosa svista. Scrive nelle proprie due distinte schede:
Scheda 424 (pag. 373) — «Monaca, 1879 / Olio su tela / Firmato in basso a destra “Studio dal vero / Hayez” / Ubicazione ignota. / Segnalato dal Carotti al 1879, presso il conte Aldo Annoni, veniva riconsiderato dal Nicodemi, che lo indicava nella raccolta degli eredi del senatore Alessandro Casati. / Bibliografia: Carotti, 1890, p. 282; Nicodemi, 1962. p. 265. tav. 221; Coradeschi, 1971 p. 109 n. 383a. fig.»
A questa descrizione Mazzocca associa un’immagine a evidenza ripresa dalla fotografia della “Monaca-Morosini”, già utilizzata da Coradeschi, ma con vistosi interventi per ovviare alla progressiva chiusura delle luci dovuta a una copia fotografica di non grande qualità.
Il fotolitista, trovandosi l’immagine fortemente contrastata e quindi quasi illeggibile, è certo intervenuto manualmente inserendo un retino meccanico nella parte posteriore del capo della monaca e cancellando del tutto le scritte autografe, certo per lui quasi illeggibili (succede!).
Mazzocca, 1994.
Venti anni dopo, nel suo ampio «F. Hayez. Catalogo Ragionato» (Motta, 1994) il Professor Fernando Mazzocca fa riferimento ai due dipinti ma con una vistosa svista. Scrive nelle proprie due distinte schede:
Scheda 424 (pag. 373) — «Monaca, 1879 / Olio su tela / Firmato in basso a destra “Studio dal vero / Hayez” / Ubicazione ignota. / Segnalato dal Carotti al 1879, presso il conte Aldo Annoni, veniva riconsiderato dal Nicodemi, che lo indicava nella raccolta degli eredi del senatore Alessandro Casati. / Bibliografia: Carotti, 1890, p. 282; Nicodemi, 1962. p. 265. tav. 221; Coradeschi, 1971 p. 109 n. 383a. fig.»
A questa descrizione Mazzocca associa un’immagine a evidenza ripresa dalla fotografia della “Monaca-Morosini”, già utilizzata da Coradeschi, ma con vistosi interventi per ovviare alla progressiva chiusura delle luci dovuta a una copia fotografica di non grande qualità.
Il fotolitista, trovandosi l’immagine fortemente contrastata e quindi quasi illeggibile, è certo intervenuto manualmente inserendo un retino meccanico nella parte posteriore del capo della monaca e cancellando del tutto le scritte autografe, certo per lui quasi illeggibili (succede!).