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Note cri­ti­che a: «Viag­gio nel mondo dei Pro­messi Sposi» – 7 aprile 2018 – RAI3/Alberto Angela

18 giu­gno 2018
Let­tera aperta ad Al­berto An­gela – Terzo approfondimento

Quanto se­gue è uno de­gli otto al­le­gati della «Let­tera aperta ad Al­berto An­gela» di com­mento alla tra­smis­sione «Viag­gio nel mondo dei Pro­messi Sposi» an­data in onda il 7 aprile 2018 – RAI3, 21:30.
I col­le­ga­menti alle al­tre parti della let­tera sono ri­por­tati al piede di que­sta pa­gina o nel menù prin­ci­pale in testata.

Due diverse visuali sui “bravi” del Seicento.

Per Manzoni: prepotenti buoni a nulla, o professionisti della violenza al servizio della nobiltà.
Per RAI3-ANGELA: l’importante è il parrucchiere.

Sui “bravi” Manzoni scrive per indicare gli impotenti abusi della legge nonché l’impotente arroganza di Don Rodrigo.

Idee superate di RAI3-ANGELA sull’etimologia del lemma “bravo”.

Que­sta pa­gina è de­di­cata all’approfondimento “bravi”, che della tra­smis­sione oc­cupa 2:53 mi­nuti pari al 2,3% del tempo complessivo.

Come ve­dremo, ogni ap­pro­fon­di­mento ha una sua pe­cu­lia­rità. Que­sto sui “bravi” ha lo sviare l’attenzione del te­le­spet­ta­tore su aspetti del tutto mar­gi­nali ri­spetto ai temi trat­tati da Man­zoni, con la to­tale esclu­sione di ciò che in­vece gli stava più a cuore.

[05:50] – An­gela: «I bravi. Sono dav­vero esi­stiti?
Beh! Bi­so­gna dire che, in que­sto, il Man­zoni è molto pre­ciso.
I bravi esi­ste­vano ef­fet­ti­va­mente in quell’epoca. E que­sto strano nome – bravi – de­riva dal la­tino “pra­vus”, che si­gni­fi­cava mal­va­gio, cat­tivo. Ed ef­fet­ti­va­mente si ve­sti­vano in quel modo. E agi­vano in quel modo. E in que­sto Man­zoni è molto pre­ciso.
E lo sco­pri­remo nel corso della pun­tata, in ogni det­ta­glio del ro­manzo. Beh! lui ha fatto delle ri­cer­che e ha quindi delle de­scri­zioni che sono, più che da ro­manzo, ve­ra­mente da li­bro di sto­ria.
»

In se­quenza ven­gono mostrati:

uno spez­zone da “Pain&Gain”, il fil­metto ame­ri­cano di ot­tava ca­te­go­ria di un paio di anni fa, con il mas­sic­cio Dwayne John­son che pic­chia tutti (un promo a fa­vore della peg­giore pro­du­zione ci­ne­ma­to­gra­fica mon­diale, di cui non si sen­tiva il bi­so­gno);
.
spez­zoni dal fil­mato di No­cita (quello co­stato 3 mi­liardi di vec­chie lire – 5 mi­lioni di Euro – con Sordi, Lan­ca­ster, ecc.) da ri­cor­dare uni­ca­mente per una buona cura nei costumi.

Con l’idea forse di rien­trare nel trac­ciato, la tra­smis­sione ci pro­pone al­cune ani­ma­zioni cro­ma­ti­che su di­se­gni di fac­cine di “bravi”, che ri­cor­dano va­ga­mente (molto va­ga­mente) le il­lu­stra­zioni dell’edizione 1840 de “I Pro­messi Sposi”.

Da que­sta se­quenza RAI3-ANGELA il te­le­spet­ta­tore può farsi l’idea che a Man­zoni in­te­res­sasse molto il pro­blema dell’acconciatura e dell’abbigliamento dei bravi. È così?

O è una rap­pre­sen­ta­zione de­for­mante di RAI3-An­gela ai danni del pen­siero e del ro­manzo di Man­zoni? Vediamo.

Le due categorie dei “bravi” del Seicento per Manzoni:
— prepotenti pronti a tutto e buoni a nulla
— professionisti della violenza, al servizio della nobiltà indipendente.

Nelle prime bat­tute del ro­manzo Man­zoni at­tira l’attenzione sul di­scorso “bravi”, ci­tando le grida go­ver­na­tive per due ragioni:

a) mo­strare l’impotenza del det­tato di qual­siasi legge o di­ret­tiva se non si va alla ra­dice ma­te­riale dei pro­blemi;
.
b) mo­strare come pro­prio da que­sta im­po­tenza delle leggi “astratte” na­sce l’arbitrio giuridico-poliziesco.

Leg­giamo Manzoni:

Sul primo punto — os­sia l’impotenza delle leggi se non si va alla ra­dice ma­te­riale dei pro­blemi — così Man­zoni scrive ne “I Pro­messi Sposi”, pag. 21 (nell’edizione Re­daelli del 1840, come sem­pre di seguito):

«Ora, quest’impunità mi­nac­ciata e in­sul­tata, ma non di­strutta dalle gride, do­veva na­tu­ral­mente, a ogni mi­nac­cia, e a ogni in­sulto, ado­pe­rar nuovi sforzi e nuove in­ven­zioni, per con­ser­varsi.
.
Così ac­ca­deva in ef­fetto; e, all’apparire delle gride di­rette a com­pri­mere i vio­lenti, que­sti cer­ca­vano nella loro forza reale i nuovi mezzi più op­por­tuni, per con­ti­nuare a far ciò che le gride ve­ni­vano a proi­bire.
.
Po­te­van ben esse in­cep­pare a ogni passo, e mo­le­stare l’uomo bo­na­rio, che fosse senza forza pro­pria e senza pro­te­zione; per­ché, col fine d’aver sotto la mano ogni uomo, per pre­ve­nire o per pu­nire ogni de­litto, as­sog­get­ta­vano ogni mossa del pri­vato al vo­lere ar­bi­tra­rio d’esecutori d’ogni ge­nere.
.
Ma chi, prima di com­met­tere il de­litto, aveva prese le sue mi­sure per ri­co­ve­rarsi a tempo in un con­vento, in un pa­lazzo, dove i birri non avreb­ber mai osato met­ter piede; chi, senz’altre pre­cau­zioni, por­tava una li­vrea che im­pe­gnasse a di­fen­derlo la va­nità e l’interesse d’una fa­mi­glia po­tente, di tutto un ceto, era li­bero nelle sue ope­ra­zioni, e po­teva ri­dersi di tutto quel fra­casso delle gride.»

Come è “pre­ciso” Manzoni!

Non può es­servi ef­fi­ca­cia della legge for­male se l’impalcatura po­li­tico-so­ciale com­ples­siva non è ben de­fi­nita e consolidata.

È un di­scorso che Man­zoni fa a pre­scin­dere dal Sei­cento e che ri­pren­derà nel suo “La ri­vo­lu­zione fran­cese del 1789 e la ri­vo­lu­zione ita­liana del 1859”.

Un di­scorso che è alla base an­che della sua scelta a fa­vore del Re­gno d’Italia nel 1861 e poi del tra­sfe­ri­mento della ca­pi­tale a Roma, in lotta aperta con il po­tere tem­po­rale del Va­ti­cano.

Su quest’ultimo punto una ri­fles­sione semi-umo­ri­stica. Al [3:50] An­gela dice di Man­zoni: «Era con­tro il po­tere dei Papi.» Al con­dut­tore è sfug­gito il det­ta­glio del “tem­po­rale”, una ine­zia, vi­sto che su que­sto in Ita­lia ci si è di­visi e odiati per sessant’anni (e la so­lu­zione del 1929 è stata tra le peg­giori pos­si­bili – Man­zoni sa­rebbe inorridito).

Sul se­condo punto – dall’impotenza all’arbitrio – (pag. 14, a com­mento della Grida del 12 aprile 1584):

«Che qual­si­vo­glia per­sona, così di que­sta Città, come fo­re­stiera, che per due te­sti­monj con­sterà es­ser te­nuto, e co­mu­ne­mente ri­pu­tato per bravo, et aver tal nome, an­cor­chè non si ve­ri­fi­chi aver fatto de­litto al­cuno … per que­sta sola ri­pu­ta­zione di bravo, senza al­tri in­dizj, possa dai detti giu­dici e da ognuno di loro es­ser po­sto alla corda et al tor­mento, per pro­cesso in­for­ma­tivo…. et an­cor­chè non con­fessi de­litto al­cuno, tut­ta­via sia man­dato alla ga­lea, per detto trien­nio, per la sola opi­nione e nome di bravo, come di sopra.»

Con que­ste po­che pa­role Man­zoni sot­to­li­nea l’impotenza della legge ma in­sieme il suo ca­rat­tere ves­sa­to­rio quando non ri­posi su un po­tere condiviso.

Una legge im­po­tente verso i forti ma base for­male ef­fi­ca­cis­sima per san­gui­nari at­tac­chi ai de­boli, come nel caso dei due di­sgra­ziati, Gu­glielmo Piazza e Gian Gia­como Mora, con­dan­nati come un­tori sulla base di ac­cuse del tutto ca­suali e solo “di opinione”.

Cosa dice in­vece RAI3-An­gela a par­tire da que­ste ri­fles­sioni che Man­zoni pro­pone al let­tore già alle prime pa­gine del romanzo?

Nulla! RAI3-ANGELA igno­rano as­so­lu­ta­mente que­sto aspetto (can­cel­lano cioè il senso dell’intero ro­manzo) e ri­chia­mano in­vece l’attenzione del te­le­spet­ta­tore su una que­stione ve­ra­mente da nulla – l’acconciatura dei bravi.

Ma per so­pra mer­cato, an­zi­ché mo­strarci i di­se­gni vo­luti da Man­zoni per l’edizione 1840 del ro­manzo (ma­gari con qual­che gio­chino cro­ma­tico a rav­vi­vare la tra­smis­sione), An­gela ci pre­senta al­cuni di­se­gni con fac­cine di bravi fir­mate da Giu­seppe Rava, che ri­cor­dano va­ga­mente quelle vo­lute da Manzoni.

Pur­troppo però que­ste fac­cine non solo sul piano ar­ti­stico non di­cono pro­prio nulla di più ri­spetto ai di­se­gni pro­dotti da Go­nin e com­pa­gni con la ferma di­re­zione di Man­zoni (non ce ne vo­glia Rava, un gra­fico dei giorni no­stri spe­cia­liz­zato in il­lu­stra­zioni di am­bien­ta­zione mi­li­tare, che sap­piamo es­sere un ap­prez­zato professionista).

Sul piano della gra­fica quelle il­lu­stra­zioni di Man­zoni-Go­nin (ol­tre 400, e al­lora una vera no­vità), rea­liz­zate dopo ac­cu­rate ri­cer­che ico­no­gra­fi­che e con co­sti al­tis­simi, ave­vano detto pro­ba­bil­mente tutto ciò che c’era da dire sull’argomento.

Ma le fac­cine pro­po­ste da RAI3-ANGELA sono net­ta­mente fuori re­gi­stro so­prat­tutto per il contenuto.

Man­zoni raf­fi­gura i suoi bravi non dal par­ruc­chiere, come fanno RAI3-ANGELA, ma in azione.

I bravi de “I Pro­messi Sposi” sono in­fatti mo­strati in una delle fun­zioni cen­trali per gli sgherri di ieri e di oggi: ap­pa­rire sem­pre e co­mun­que te­mi­bili (vi pro­po­niamo a lato al­cune il­lu­stra­zioni, come ce le ha con­ser­vate l’utile «Im­ma­gini man­zo­niane: bozze delle il­lu­stra­zioni per l’edizione de “I Pro­messi sposi” del 1840», a cura di Guido Mura e Mi­chele Losacco).

Na­tu­ral­mente i bravi di Man­zoni mi­nac­ciano inermi e fra­gili cit­ta­dini: un sa­cer­dote pau­roso per scelta; il con­sole-con­ta­dino del paese ap­pog­giato alla sua zappa; un sem­plice oste. I mi­nac­ciati sono mo­strati a evi­denza come an­che fi­si­ca­mente non in grado di op­porsi loro in al­cun modo.

I mi­nac­cianti in­vece sono grandi grossi e con le facce sem­pre bur­bere – a guar­darle par di sen­tire an­che la voce pe­sante de­gli omac­cioni e il tono sem­pre bru­sco e pronto all’ira.

Na­tu­ral­mente, no­no­stante que­sta loro im­po­nenza ri­spetto ai de­boli, gli sgherri che Man­zoni ci mo­stra sono bravi di “se­conda scelta”, buoni solo per il la­voro di bassa lega, come ap­punto in­ti­mo­rire chi non può nep­pure rispondere.

Per­ché Man­zoni, par­lando dei bravi, uti­lizza nel ro­manzo due di­stinti re­gi­stri, ri­flet­tendo la realtà sto­rica – que­sta volta sì, ma RAI3-ANGELA non se ne è accorto.

Certo! per­ché ne­gli anni tra metà ’500 e metà ’600 i bravi po­te­vano es­ser di­visi in due di­stinte categorie.

Da un lato i veri pro­fes­sio­ni­sti della forza e della vio­lenza sistematica.

Erano in gran parte sol­dati di me­stiere, già nei ruoli delle tante “bande” del Ri­na­sci­mento ita­liano spaz­zate dai più mo­derni eser­citi d’oltralpe e ri­ma­sti quindi a spasso. Erano im­pie­gati per le azioni di gruppo, quando c’era da op­porsi an­che alla forza pubblica.

Fra di loro na­tu­ral­mente an­che spa­dac­cini di ta­lento, ad­detti al re­parto ”omi­cidi mi­rati”, per eli­mi­nare gli av­ver­sari an­che alla luce del sole, ma­gari col pre­te­sto dell’onore.

Dall’altro lato in­vece le mezze fi­gure della so­praf­fa­zione “quanto basta”.

La­dri, truf­fa­tori, ruf­fiani, a di­spo­si­zione per azioni di in­ti­mi­da­zione o per pic­cole risse oc­ca­sio­nali, al soldo di chiun­que po­tesse pa­gare e vo­lesse fare il pre­po­tente in am­bienti ri­stretti, come Don Rodrigo.

Que­sti bravi da oste­ria ap­pena ap­pena tro­va­vano qual­che re­si­stenza se la da­vano a gambe e ve­ni­vano an­che presi a ba­sto­nate dai bravi di prima classe che non ama­vano quei cial­troni che at­ti­ra­vano troppo l’attenzione della po­li­zia per que­stioni da nulla.

È que­sta se­conda scelta della de­lin­quenza che Man­zoni rap­pre­senta nei bravi di Don Ro­drigo, in­ca­paci an­che di ra­pire una ra­gazza, e spa­ven­tati come gal­line dal solo suono di una cam­pana, come nella fa­mosa “notte de­gli imbrogli”.

Man­zoni usa il re­gi­stro del co­mico per fare me­glio emer­gere il drammatico.

I bravi gui­dati dal Griso sono della stessa pa­sta di Don Ro­drigo, una mezza fi­gura an­che come so­praf­fat­tore, pronto a tutto al ta­volo da pranzo ma buono a nulla nei fatti e sco­per­ta­mente sem­pre ti­mo­roso e os­se­quiente della legge, con solo qual­che me­dio­cre “fuori re­gi­stro” det­tato da in­tem­pe­ranza.
Un aspi­rante vio­len­ta­tore che per il ra­pi­mento dell’oggetto dei suoi de­si­deri non rie­sce che ad aprire la borsa per pa­gare chi gli ri­solva il pro­blema: i veri bravi.

È chiaro! i bravi di prima scelta – nel ro­manzo e nella sto­ria vera – sono in­fatti quelli dell’Innominato. E lo stesso In­no­mi­nato è lui stesso un bravo di prima qua­lità: as­sas­sino e vio­lento ma an­che so­cial­mente ben piaz­zato; non solo capo-banda ma an­che au­to­re­vole co­man­dante, con espe­rienza e men­ta­lità da mi­li­tare quando occorra.

Ma ba­sta su que­sto aspetto e sui suoi ri­svolti da “bar­bie­ria” e pas­siamo a un di­verso argomento.

Idee superate di RAI3-ANGELA sull’etimologia del lemma “bravo”. Le cose sono sempre più complicate di quanto appare a prima vista.

Ri­leg­giamo una frase dell’intervento di An­gela ri­por­tato all’inizio:

«Bi­so­gna dire che, in que­sto, il Man­zoni è molto pre­ciso. I bravi esi­ste­vano ef­fet­ti­va­mente in quell’epoca. E que­sto strano nome – bravi – de­riva dal la­tino “pra­vus”, che si­gni­fi­cava mal­va­gio, cat­tivo. Ed ef­fet­ti­va­mente si ve­sti­vano in quel modo. E agi­vano in quel modo. E in que­sto Man­zoni è molto pre­ciso

L’ipotesi eti­mo­lo­gica di RAI3-ANGELA in­se­rita tra quelle due frasi rei­te­rate – «Man­zoni era molto pre­ciso» – po­trebbe in­durre lo spet­ta­tore a ri­te­nere che quella stessa ipo­tesi eti­mo­lo­gica fosse con­di­visa da Manzoni.

È così? O si tratta di una sem­plice suggestione?

Man­zoni ne “I Pro­messi Sposi” non for­ni­sce al­cuna idea sull’etimologia della pa­rola “bravo”. Sem­pli­ce­mente la uti­lizza (una set­tan­tina di volte, al sin­go­lare e plu­rale, per in­di­care i “bravi-sgherri”).

Man­zoni si li­mita a scri­vere che “bravi“ vi erano nel 1583 (prima Grida da lui ci­tata) e che “bravi“ vi erano nel 1632 (un­di­ce­sima Grida citata).

E nep­pure ri­chiama il let­tore a una ap­pa­rente “stra­nezza”: egli stesso nel ro­manzo uti­lizza in­fatti la pa­rola “bravo” (una tren­tina di volte) nel senso che è oggi in uso e che co­min­ciò ad ap­pa­rire a par­tire dalla metà del ’700: “bravo gio­vane”, “bravi si­gnori”, “eh bravo”, ecc. Pro­prio al con­tra­rio del si­gni­fi­cato che la pa­rola aveva ai primi del Sei­cento e che lo stesso Man­zoni uti­lizza per in­di­care gli sgherri dei si­gnori, di prima o se­conda scelta che fos­sero (su que­sto vedi più avanti la no­stra ci­ta­zione del Pro­fes­sor Patota).

E quindi l’etimologia pro­po­sta da An­gela («de­riva dal la­tino “PRAVUS”, che si­gni­fi­cava mal­va­gio, cat­tivo») è da con­si­de­rarsi un con­tri­buto ori­gi­nale di RAI3 alla cul­tura del pub­blico del sa­bato sera, del tutto estra­nea a Manzoni.

Il che sa­rebbe da ap­prez­zare se An­gela non avesse fatto un’affermazione ap­pa­ren­te­mente pre­cisa ma per niente scon­tata, es­sen­dovi sull’etimologia della pa­rola “BRAVO” al­tre ipotesi.

Per esem­pio quella so­ste­nuta dal pro­fes­sor Giu­seppe Pa­tota (Or­di­na­rio di Lin­gui­stica Ita­liana presso l’Università di Siena) che a que­sta pa­rola ha de­di­cato un li­bro di 133 pa­gine (Il Mu­lino, 2016) nel quale sug­ge­ri­sce come ori­gine “BARBARU (M)>BRAVO” con un di­scorso la cui let­tura è un dovere/piacere sia per la va­rietà de­gli ar­go­menti trat­tati sia per la leg­ge­rezza della pa­rola, unita a un so­lido im­pianto scientifico.

da Giuseppe Patota, «Bravo!»

(pag. 36 e succ.): «Il ter­mine ha il suo an­te­ce­dente nel la­tino BARBARUS ‘stra­niero’, che a sua volta ri­flette il gr. βαρβαρος [bàr­ba­ros] ‘stra­niero, in­ci­vile’ e che na­tu­ral­mente ha dato ori­gine, come è fa­cile in­tuire, an­che a barbaro.

Il Les­sico Eti­mo­lo­gico Ita­liano c’informa che bar­baro è at­te­stato, sia come ag­get­tivo sia come nome, dalla se­conda metà del Due­cento in te­sti d’area to­scana, me­diana (cioè dell’Italia cen­trale senza la To­scana) e me­ri­dio­nale, e dai primi del Tre­cento in te­sti d’area set­ten­trio­nale. Sulla sua va­lenza ge­ne­ral­mente ne­ga­tiva (o, se si pre­fe­ri­sce, non po­si­tiva) ne­gli usi an­ti­chi e an­che mo­derni, i di­zio­nari sto­rici e quelli dell’uso non la­sciano spa­zio a dubbi. Presso i Greci dell’antichità, e in se­guito presso i Ro­mani, l’antecedente greco e la­tino di bar­baro in­dicò lo ‘stra­niero’ che non ap­par­te­neva alla loro stirpe e ci­viltà e che, in quanto stra­niero, era da una parte rozzo e in­ci­vile (a), dall’altra cru­dele e fe­roce (b); en­trambe que­ste se­rie di si­gni­fi­cati dal greco e dal la­tino pas­sa­rono, in­sieme ad al­tre, agli an­ti­chi vol­gari ita­liani ed europei.

Bravobar­baro, dun­que, sono pa­role so­relle: sic­ché non me­ra­vi­glia che la prima, nella sua sto­ria re­mota, ab­bia con­di­viso con la se­conda la va­lenza ne­ga­tiva dell’antecedente greco e latino.

Che dif­fe­renza c’è, in ter­mini di fo­ne­tica sto­rica, tra una pa­rola e l’altra? Bravo è una voce co­sid­detta «po­po­lare»: pre­sente nel la­tino par­lato, ha su­bito le tra­sfor­ma­zioni ti­pi­che di una pa­rola pas­sata di bocca in bocca, di luogo in luogo, di ge­ne­ra­zione in ge­ne­ra­zione; bar­baro, in­vece, è una voce co­sid­detta «dotta»: as­sente dal la­tino par­lato, è ri­ma­sta de­po­si­tata per se­coli nei soli te­sti la­tini scritti (sto­rie, cro­na­che, poe­sie, ecc.) ed è stata as­sunta di­ret­ta­mente nei te­sti ita­liani an­ti­chi ad opera di scri­venti che l’avevano tro­vata nei te­sti latini.

La sto­ria fo­ne­tica di bar­baro è tra­spa­rente. Pas­sando dal la­tino scritto all’italiano, la pa­rola ha man­te­nuto la forma fo­nica ori­gi­na­ria, adat­tando sem­pli­ce­mente la sua parte fi­nale — tec­ni­ca­mente, i mor­femi –o, –a, –i, –e, di­stin­tivi del ma­schile, del fem­mi­nile, del sin­go­lare e del plu­rale — alla mor­fo­lo­gia dell’italiano.

Come si è ar­ri­vati, in­vece, da BARBARUSbravo? L’ipotesi ri­co­strut­tiva avan­zata da Ju­les Cornu (16) e ac­colta da quasi tutti i fi­lo­logi ro­manzi — per­ché di ipo­tesi si tratta: le forme che ri­porto non sono do­cu­men­tate in te­sti scritti, e per­ciò sono con­ven­zio­nal­mente mar­cate da un aste­ri­sco — pro­pone per­sua­si­va­mente que­sti pas­saggi:
.
– da BARBARU(M), per sin­cope della a po­sto­nica (= ca­duta in­terna della a col­lo­cata dopo la sil­laba ac­cen­tata), si è avuto *BARBRU;
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— *BARBRU è di­ven­tato *BABRU per dis­si­mi­la­zione: dato che pro­nun­ciare la se­quenza rbr era dif­fi­cile, i par­lanti hanno la­sciato ca­dere la prima [r];
.
— *BABRU è di­ven­tato *BRABU per me­ta­tesi, cioè per un’inversione della po­si­zione dei due fo­nemi [b] e [r], an­che que­sta do­vuta all’esigenza di ren­dere più age­vole la pro­nun­cia della pa­rola;
.
— il pas­sag­gio a [v] della [b] in­ter­vo­ca­lica di *BRABU (= *BRABU > *bravu) è un in­de­bo­li­mento ar­ti­co­la­to­rio noto agli stu­diosi come «spi­ran­tiz­za­zione dell’occlusiva la­biale so­nora in­ter­vo­ca­lica»: lo stesso che da pa­role la­tine come BABA(M), PLEBE(M), AMABA(T) ecc. ha por­tato alle voci ita­liane bava, pieve, amava ecc.;
.
— la -u di *bravu è di­ven­tata o, dando bravo: nel cam­mino che dal la­tino ha por­tato all’italiano, que­sto è un pas­sag­gio co­mune a tutte le pa­role ter­mi­nanti con que­sta stessa u non ac­cen­tata, come per esem­pio LACU(M), LUPU(M), AMICU(M), che hanno dato lago, lupo, amico.

La ri­co­stru­zione che ho ap­pena pre­sen­tato, ben­ché non do­cu­men­tata di­ret­ta­mente, è dif­fi­cil­mente con­fu­ta­bile. Esi­stono ipo­tesi al­ter­na­tive, come quella pro­po­sta da Ja­kob Mal­kiel, che parte da un pro­to­tipo ger­ma­nico *braw, forma espres­siva che evo­che­rebbe il grido di guerra di in­va­sori fe­roci, ma si sono di­mo­strate infondate.

Il dop­pio cam­mino di BARBARUS non ha ri­guar­dato sol­tanto le an­ti­che lin­gue d’Italia, anzi: in al­tre va­rietà ro­manze i con­ti­nua­tori del la­tino vol­gare *BRABU sono at­te­stati an­che prima che nelle no­stre. Il ca­sti­gliano ha bravo dal 1030; il pro­ven­zale ha brau dalla se­conda metà dell’XI se­colo; il por­to­ghese do­cu­menta bravo dal 1124; il ca­ta­lano pre­senta brau dal 1284. Spe­cu­lar­mente, la pa­rola bar­ba­rus as­sunse, nel la­tino tardo e me­die­vale, i vari si­gni­fi­cati di cui i suc­ce­da­nei di *bra­bus si fe­cero por­ta­tori in quasi tutta l’Europa romanza.

Lo scarto di centocinquant’anni fra il pro­ven­zale e l’italiano ha fatto ri­te­nere ad al­cuni stu­diosi che l’italoromanzo bravo sia un pre­stito dal pro­ven­zale brau. Su que­sto punto non so pro­nun­ciarmi: è un’ipotesi pos­si­bile, ma è al­tret­tanto pos­si­bile che il no­stro bravo sia il di­retto suc­ce­da­neo di *BRABU in area ita­liana, che pe­ral­tro è l’unica in cui l’aggettivo è usato molto per tempo an­che in ri­fe­ri­mento a es­seri umani: nelle al­tre lin­gue neo­la­tine men­zio­nate, in­fatti, fino al Quat­tro­cento, la pa­rola si usa solo in ri­fe­ri­mento ad ani­mali (nell’accezione di ‘fe­roce’), a piante (nell’accezione di ‘sel­vag­gio’) e a ter­reni (nell’accezione di ‘in­colto’).»

Nelle 133 pa­gine del li­bro di Pa­tota de­di­cato al lemma BRAVO non si rin­viene nep­pure una ci­ta­zione dell’ipotesi “PRAVUS>BRAVO”, pro­po­sta da RAI3-ANGELA.

Sol­le­ci­tato da un in­se­gnante di Lecco (in­sieme let­tore del li­bro del pro­fes­sore e te­le­spet­ta­tore di An­gela) che chie­deva lumi utili ai suoi al­lievi, Pa­tota in una co­mu­ni­ca­zione pri­vata ha risposto:

«Gen­tile dot­tore, l’ipotesi di una de­ri­va­zione di bravo da “pra­vus” (ori­gi­na­ria­mente so­ste­nuta da vari eti­mo­lo­gi­sti) va scar­tata, ol­tre che per le ra­gioni sto­rico-cul­tu­rali che fanno pre­fe­rire la tra­fila BARBARU(M) > BRAVO, an­che per il sem­plice fatto che la so­no­riz­za­zione dell’occlusiva la­biale so­nora in po­si­zione ini­ziale (la P di PRAVUS) non trova spie­ga­zione. Buon la­voro.»

Non avendo in ma­te­ria al­cuna com­pe­tenza qui ci fer­miamo. Ri­le­vando solo come die­tro ogni ma­ni­fe­sta­zione dell’agire umano vi siano com­pe­tenze va­ste e raf­fi­nate, fon­da­men­tali per cer­care di ca­pire in che mondo viviamo.

E che, quindi, ar­go­menti solo ap­pa­ren­te­mente mar­gi­nali non si pos­sono li­qui­dare con sbri­ga­tivi ac­cenni de­fi­ni­tori – al­meno per pru­denza bi­so­gne­rebbe pre­ve­dere di­verse elaborazioni.

Ve­ra­mente in con­clu­sione ci chie­diamo con cu­rio­sità per­ché An­gela, nella sua tra­smis­sione de­di­cata al “mondo dei Pro­messi Sposi”, del pro­fes­sor Pa­tota, oggi punta di lan­cia dell’italianistica ita­liana e de­gli studi lin­gui­stici su Man­zoni, non ab­bia nep­pure ci­tato il li­bro già ri­cor­dato che dal marzo 2016 è bene in vi­sta in tutte le li­bre­rie d’Italia.