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6 ottobre 2016

Per una più grande Lecco con Manzoni e Stoppani.

11 ottobre 1891 – 11 ottobre 2016:

125º del Monumento a Manzoni in Lecco.

La fotografia è stata scattata a Lecco 125 anni fa, l’11 ottobre 1891. In quella giornata si celebrava l’inaugurazione del Monumento ad Alessandro Manzoni con la partecipazione non solo di tutta la cittadinanza ma anche di moltissimi cittadini provenienti da molte altre città e non solo della Lombardia. Le cronache parlano di una manifestazione riuscitissima, con una calorosa adesione dei partecipanti, in omaggio naturalmente ad Alessandro Manzoni, ma anche all’Abate Stoppani, che di quel monumento era stato per anni l’instancabile promotore e organizzatore ma che era scomparso pochi mesi prima che venisse realizzato quello che può ben dirsi – lo spieghiamo nell‘articolo che segue – un progetto pieno di contenuti culturali di tutta la città.

Presentazione della Redazione. L’11 ottobre 2016 si celebrava il 125º anniversario della inaugurazione del Monumento a Manzoni in Lecco, festeggiata il 11 ottobre 1891.
Il nostro Centro Studi Abate Stoppani, già a partire dal luglio del 2015, aveva avviato una ricerca del tutto inedita per tracciare, su base documentaria, la storia di questo bel monumento all’autore de “I Promessi Sposi”. Abbiamo già illustrato (vedi QUI) come i risultati di quella nostra indagine ci avessero consentito di valutare come inadeguata – e anzi fuorviante – l’analisi, prodotta dal Comune di Lecco e presentata pubblicamente nel corso della Conferenza Stampa dell’11 novembre 2015, che ha definito fino al 17 ottobre 2016 la posizione ufficiale del Comune su questo momento importante della sua storia culturale.
Nell’avviare la nostra ricerca intendevamo comprendere le ragioni del rilevante impegno assunto dall’Abate per la realizzazione del Monumento.

Cliccando sulle figure potete scaricare il pdf del foglio stampato dal Centro Studi Abate Stoppani in occasione del 125º dell’inaugurazione del Monumento a Manzoni in Lecco (11 ottobre 1891–11 ottobre 2016).

Apparentemente, e sulla base degli scarni accenni che in questi 125 anni se ne erano fatti, la vicenda avrebbe potuto essere catalogata come una piccola baruffa cittadina, ravvivata dalla polemica un po’ umorale tra radical-garibaldini e clericali di fine Ottocento. Una vicenda (diciamolo con un sorriso) sul tipo della lotta tra Don Camillo e l’onorevole Peppone, immortalata dai bravi Fernandel e Gino Cervi.
Strada facendo, però, consultando i documenti presenti presso l’Archivio del Comune di Lecco (un grazie per la collaborazione e la paziente disponibilità del Responsabile dell’Archivio, dottoressa Gilardi), ci siamo resi conto che le cose stavano in tutt’altro modo.
In effetti l’andamento reale della vicenda non aveva assolutamente mai avuto i connotati alla Don Camillo fatti propri, per esempio, dalla “Relazione Storica sul Monumento a Manzoni” proposta dal Comune (e presentata il 15 novembre 2015). Inoltre, appariva chiaro che per l’Abate Stoppani la realizzazione di un grande Monumento a Manzoni in Lecco era molto più di un semplice omaggio alla propria città natale.

Per Stoppani si trattava infatti del primo atto di un’azione a largo raggio per affermare due elementi nella coscienza dell’intera nazione. Da un lato confermare che tra Manzoni e Lecco vi era un legame molto più profondo del semplice dato anagrafico-genealogico. Dall’altro creare un ponte tra Milano e Lecco caratterizzato da una presenza significativa in entrambi i centri del rosminianesimo e del cattolicesimo liberale italiano.

Per presentare un primo quadro delle intenzioni di fondo di Stoppani e del significato vero del Monumento a Manzoni in Lecco, abbiamo quindi stampato un foglio (formato grande, tipo Sole 24 Ore) nel quale abbiamo cercato di esporre in modo discorsivo vicende vecchie di 125 anni sulle quali la ricerca storica non aveva mai riflettuto seriamente. Era nostra intenzione fare uscire il dibattito su questa vicenda dalla nicchia dei ricercatori, per farne elemento di dibattito all’interno della cittadinanza di Lecco, nel quadro di una ridefinizione dell’orizzonte culturale della città.

Il nostro foglio, intitolato «1891–2016 – Per una più grande Lecco, con Manzoni e Stoppani – Per il 125º anniversario della inaugurazione del Monumento a Manzoni in Lecco» è stato distribuito già a partire della mattina dell’11 ottobre 2016 e poi, nei giorni e nelle settimane successivi, anche nel corso degli incontri che – come ogni anno – hanno caratterizzano l’iniziativa autunnale di Lecco dedicata al Manzoni. Il giornale Resegoneonline ha ritenuto che il nostro contributo potesse essere di qualche utilità e lo ha quindi reso pubblico già il 6 ottobre, con la cortese ospitalità di cui ci onora (vedi QUI).

Di seguito riportiamo questo nostro primo contributo alla vicenda (ne seguirà un più corposo e documentato volume a stampa), in due forme grafiche. Qui di seguito come testo continuo, fruibile con i più diversi strumenti; come PDF del foglio di grande formato già presentato a stampa (125º_Monumento_Manzoni).

Da notare in modo del tutto marginale che la realizzazione di questo nostro elaborato ha determinato nei quadri dell’Amministrazione del Comune di Lecco un certo scompiglio. Infatti nessuna struttura del Comune si era ricordata di questo 125º anniversario. Di fronte alla nostra iniziativa (per altro non un fulmine a ciel sereno – il testo era stato anticipato su Resegoneonline il 6 ottobre e bastava quindi leggere la stampa locale per non farsi cogliere impreparati – l’Amministrazione comunale si è lanciata in una rincorsa alla ricorrenza che, tra il ridicolo e il grottesco, ci ha anche costretto a richiamare l’Amministrazione stessa al rispetto delle regole del Codice Penale.
Riteniamo solo per ingenuità, il Comune aveva infatti violato il nostro copyright su una serie di immagini utilizzate da un redattore comunale frettoloso per dare corpo a un tardivo ricordo dell’evento, per la verità mediocre e con grossolani errori di fatto e concettuali.
La cosa in sé è ovviamente di scarso rilievo ma può essere utile tenerne traccia per avere un quadro realistico di cosa significhi non avere un quadro chiaro e di prospettiva sui temi culturali della città. Per il lettore che volesse approfondire questo episodio abbastanza ridicolo (ma fortunatamente conclusosi nel migliore dei modi) forniamo quindi questo rimando (vedi QUI).

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11 ottobre 1891 – 11 ottobre 2016
125º anniversario del Monumento a Manzoni in Lecco.

Martedì 11 ottobre 2016 ricorre il 125º anniversario (11 ottobre 1891) dell’inaugurazione in Lecco del monumento ad Alessandro Manzoni. Convinti della sua importanza per la città, vorremmo dare il nostro contributo perché si affermino due idee.

La prima – Quel monumento è una colonna portante della fisionomia di Lecco, poiché in esso convivono Manzoni e Stoppani, due figure fondamentali nella storia della città.
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La seconda – I valori e i temi etico-culturali sottesi al monumento sono di grande attualità. Attraverso una loro riproposizione – naturalmente con la sensibilità del nostro tempo – possiamo rendere migliori noi stessi e dare forza all’azione per una più grande Lecco, quella della cultura.

Per condividere questo nostro orientamento, vorremmo raccontare alcuni aspetti della storia e dei contenuti del monumento, così come emergono da una nostra ricerca su documenti inediti, dalla lezione di Manzoni, dalla biografia dell’Abate Stoppani. È un ‘racconto’, non una trattazione scientifica (per questo stiamo lavorando a un denso volume). Un semplice richiamo a uomini, fatti, idee, collegati al monumento, con un’attenzione particolare ad Antonio Stoppani, che di quel monumento fu l’ideatore e il tenace artefice.

Alessandro Manzoni e Antonio Stoppani, diversi per personalità ed esperienze, ma entrambi rappresentanti coerenti e forti di due generazioni del cattolicesimo liberale italiano.

Le due anime del monumento a Manzoni. Cominciamo col dire che nel monumento a Manzoni in Lecco convivono due anime: una – il Manzoni – geniale nella creatività e nel pensiero; l’altra – lo Stoppani – geniale nel farne un elemento di forza per la cultura nazionale e la nostra città.
Nella bella composizione in bronzo (è stata appena restaurata dalla mano sapiente del Maestro Giacomo Luzzana) vediamo la persona di Alessandro Manzoni. È un uomo sereno, tranquillamente seduto in poltrona, che guarda con simpatia i concittadini che gli passano accanto.
Ma se ne consideriamo la struttura, possiamo cogliere gli inconfondibili segni di un’altra figura. È quella dell’Abate Antonio Stoppani, che della realizzazione di quel monumento fu, per dieci anni, l’instancabile anima culturale e organizzativa.
Nel monumento a Manzoni si intrecciano quindi in modo forte le due maggiori personalità della Lecco dell’Ottocento.

Stoppani, più giovane di quarant’anni, fu grande ammiratore di Manzoni, stimandone la potenza poetica e il pensiero filosofico e civile. Non lo conobbe mai personalmente pur avendo in comune amici, intimi a entrambi, anche per legami famigliari.

All’indomani della morte di Manzoni (22 maggio 1873), l’Abate si era attivato in Lecco perché il Comune si facesse promotore della realizzazione di un monumento al poeta nella città lariana. Il colto e sensibile Sindaco Resinelli (tra l’altro consuocero dell’Abate) aveva prontamente coinvolto la Giunta comunale perché si desse corso al progetto. Stoppani intanto si impegnava per evidenziare alcuni aspetti della personalità di Manzoni e il suo stretto legame con Lecco. Nel novembre 1873 scrisse per “Le prime Letture” un lungo articolo, divenuto poi un libro, “I Primi anni di Alessandro Manzoni”, pubblicato nel gennaio 1874. Lì l’Abate sosteneva, unico intellettuale di peso in Italia, alcune verità che, nei circoli ufficiali della Milano ‘manzoniana’, si preferiva ignorare.
Stoppani voleva infatti divenisse consapevolezza pubblica che Manzoni era stato così insigne anche perché figlio di una terra particolare. Un luogo di cui, dall’infanzia all’adolescenza alla prima maturità, aveva potuto assorbire lo splendore di una natura ricca di suggestioni. Una città abitata da una popolazione attiva, franca e orgogliosa della propria indipendenza.

Intanto (già ai primi del 1874) in Lecco si era deciso di sospendere pro tempore l’azione per il monumento, per non essere in concorrenza con l’analoga iniziativa avviata dal Comune di Milano per un monumento a Manzoni nella capitale lombarda.

Un discorso di libertà e di democrazia. Pensando al Monumento, ci viene poi in mente il discorso che l’Abate Stoppani (Presidente del Comitato Promotore per la sua realizzazione) scrisse nell’agosto 1890, mentre si stava lavorando alla fusione della statua. In esso Stoppani aveva voluto fissare i concetti chiave da sviluppare per l’inaugurazione, che si sarebbe dovuta tenere poco dopo, in ottobre.
Purtroppo la gettata del bronzo fallì, per la complessità strutturale della figura. Questa era infatti posta seduta e non nella posizione eretta, più semplice per la fusione. L’inaugurazione dovette essere rinviata.
Nei mesi successivi, la gettata fallì una seconda volta. Solo un anno dopo quel discorso la statua poté essere realizzata con successo dallo scultore Francesco Confalonieri e posta in Largo Manzoni in Lecco, dove è tuttora.

Ma intanto, piegato da una crisi cardiaca, l’1 gennaio del 1891, l’Abate era morto.

Il discorso, preparato da Stoppani in quell’agosto del 1890 – e pronunciato, lui scomparso, all’inaugurazione dell’11 ottobre 1891 – conta 126 anni ma potrebbe essere detto oggi.
Ne richiamiamo alcuni brani:

« II fuoco sacro, che spinse Garibaldi all’opera, era stato già per lungo tempo … nutrito nel petto di Alessandro Manzoni, e reso efficace dal suo grande ingegno a destare l’incendio nel cuore di quanti ascoltavano i suoi versi. Non sgorga in larga vena una sorgente, se prima non è generata e nutrita dal lento stillicidio delle acque circolanti in grembo alla terra; non scoppia un vulcano, se prima non è maturato dalla lenta energia accumulata nel silenzio dei secoli. »!
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« Lecco non poteva a lungo lasciare in oblio colui, da cui erano venuti dapprima il pensiero e il sentimento che danno vita all’azione, e che vantava tanti titoli di benemerenza verso questa terra da lui prediletta, dove veniva, fin dagli anni della sua prima giovinezza, a bevere a larghi sorsi l’aura della libertà. »!

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« Una popolazione intelligente, attiva, fervida, pronta all’ammirazione di tutto ciò che si presenta di bello, di buono e di grande, facile agli entusiasmi, liberale per tradizione, riottosa a qualunque genere di tirannia … Or eccoli ambedue – Garibaldi e Manzoni – questi uomini grandi. Lo sguardo fulmineo del primo non è meno parlante dell’occhio pacato e sereno del secondo. Qui venga la nostra gioventù e attinga da ambedue quei guardi ciò che può ad un tempo elevare lo spirito a grandi pensieri e infiammar gli animi a grandi imprese. »!

Forse qualcuno stupirà per il calore con cui Stoppani parla di Garibaldi e del debito di pensiero e suggestioni dell’audace e anticlericale condottiero nei confronti di Manzoni. Ma Stoppani fu convinto e dichiarato sostenitore dell’impresa dei Mille del 1860. E lo stesso Garibaldi riconobbe sempre in Manzoni l’ispiratore dei suoi sentimenti democratici – ricordate la visita privata che gli fece in Milano il 25 marzo 1862 e che destò tanto dibattito?

Questo è il dato storico, anche se spesso travisato, come in documenti ufficiali del nostro Comune dove si parla ancora di una “guerra delle statue” che si sarebbe svolta tra un “Comitato di garibaldini e mazziniani” (esistito e realizzatore del monumento a Garibaldi) e un mai esistito “comitato cattolico, promotore del monumento a Manzoni”, che sarebbe stato contrario alla statua a Garibaldi.
Il discorso di Stoppani è rivelatore esplicito dello spirito che animava l’Abate e il Comitato lecchese. Ma perché ne siano ancora più evidenti i risvolti, dobbiamo invitare il lettore a seguirci in un racconto, stringato ma denso di fatti importanti. Ecco! questo è quanto vorremmo evidenziare: quel monumento a Manzoni in Lecco porta in sé momenti non secondari della storia del nostro Paese. È una esplicita fonte di indicazioni etiche e culturali rivolte a tutta Italia.

Un progetto culturale di respiro nazionale. L’Abate aveva ripreso il suo impegno per il monumento a Manzoni in Lecco fin dal 1880 – prendete nota di questa data! Ma nei suoi progetti quello in Lecco era UNO dei monumenti da realizzare. L’altro doveva essere innalzato in Milano, dedicato a Rosmini. Perché il lettore possa meglio orientarsi in queste vicende di 130 anni fa dobbiamo gettare uno sguardo ai rapporti tra Vaticano e Regno d’Italia, così come si presentavano otto anni dopo la presa di Porta Pia.

Ai primi del 1878, e a distanza di un mese, erano morti il Re Vittorio Emanuele II e il Papa Pio IX, i due principali protagonisti dello scontro tra lo Stato risorgimentale e lo Stato pontificio.
La nomina di Papa Leone XIII, di cui non apparve subito chiaro l’orientamento, riaccese le tensioni sia tra lo Stato e il Vaticano sia tra le diverse componenti del mo­vimento cattolico. Decisi a non venire a patti con lo Stato unitario, gli ‘intransigenti’ del Vaticano, erano ostilissimi alla tendenza ‘conciliatorista’. D’altro canto i ‘conciliatoristi’ non stavano a guardare.

Il 15 marzo 1879 l’Abate Stoppani venne ricevuto in udienza privata da Leone XIII. Il Papa lodò Stoppani per le sue opere di geologia e concordò con lui sull’opportunità di porre su nuove basi l’insegnamento scientifico nei Seminari. Di questo scambio di idee vi è chiara traccia nell’Enciclica Aeterni Patris del 4 agosto 1879, pochi mesi dopo l’incontro. Sappiamo inoltre che in Vaticano si discusse seriamente sull’opportunità di nominare Cardinale lo Stoppani.
Questa attenzione del Papa non era certo da sottovalutare, data la nota sintonia dell’Abate per le imprese garibaldine (l’eroe di Caprera continuava a essere la bestia nera del Vaticano) e la sua ferma adesione alle posizioni di Rosmini. Di tutta evidenza Leone XIII stava cercando, apparentemente senza preconcetti, di chiarirsi le idee circa la strada da percorre. A partire dal 1880, gli ‘intransigenti’ cominciarono quindi ad attaccare Rosmini e i rosminiani – naturalmente, tra i primi Stoppani ma anche Manzoni che, con Rosmini, era stato l’intellettuale di punta del cattolicesimo liberale italiano.

L’Abate – contando di potere contrastare gli ‘intransigenti’ presso Leone XIII – non si fece intimidire e a fine del 1880 avviò il progetto per realizzare – contemporaneamente – i monumenti a Manzoni in Lecco e a Rosmini in Milano. L’obiettivo immediato dell’Abate era avviare con grande risalto mediatico (allora i monumenti facevano la parte della nostra televisione) un’azione che perseguisse in tutto il Paese una politica di più larga democrazia, di cultura diffusa, di stimolo alle conquiste scientifiche, di dialogo tra le diverse componenti politico-sociali.
L’obiettivo di medio-lungo periodo era riuscire ad affermare in Vaticano una linea di conciliazione con lo Stato unitario, per una affermazione della Chiesa, spoglia del potere temporale, ma coerente con la nuova realtà sociale. Come si vede, il programma sotteso al “progetto monumenti” dell’Abate era assai vasto e impegnativo.
La risposta dei sottoscrittori all’iniziativa di Stoppani del 1880 fu positiva. Gli ‘intransigenti’ reagirono però così aspramente contro il nome di Rosmini, da spaventare molti sacerdoti, indecisi sul da farsi. L’Abate ritenne quindi tatticamente opportuno fare un piccolo passo indietro, e dividere il progetto in due tempi, concentrandosi inizialmente sul monumento a Manzoni in Lecco.

Questa, nelle grandi linee, l’origine dell’iniziativa di Stoppani per il nostro monumento, che sarebbe stato inaugurato undici anni dopo, l’11 ottobre 1891.

Il 10 febbraio 1885 il Comitato Promotore, Presidente l’Abate Stoppani, invitava la cittadinanza ad attivarsi per il successo dell’iniziativa.

Il lancio dell’iniziativa. Per avviare la parte organizzativa di questa prima fase del progetto, Stoppani dovette però aspettare. Nel 1878, a causa delle polemiche che l’ambiente milanese gli riservava per le vicende legate alle elezioni dell’autunno del 1876 (ne parliamo più avanti), l’Abate si era trasferito a Firenze, per insegnare all’Istituto di Studi Superiori, il che non gli facilitava l’attività su Lecco.
Inoltre voleva vedere come il Comune di Milano avrebbe realizzato la statua di Manzoni (quella tuttora in Piazza San Fedele).
Rientrato a Milano nel 1882 (su insistenze di Brioschi, Rettore del Politecnico), l’Abate si trovò nella posizione di riprendere le fila dell’azione. Dovette però attendere che si realizzasse in Lecco (ottobre 1884) il monumento a Garibaldi, verso il quale non aveva avuto ovviamente alcuna riserva.

È solo nel novembre del 1884 che l’Abate poté quindi lanciare in modo operativo l’iniziativa, cominciando con lo stimolare la formazione di un Comitato Promotore che riattivasse l’iniziativa del 1873. Nel Comitato (composto da trenta personalità della città) si esprimeva un vasto fronte culturale. Si andava dai garibaldini come Tomaso Torri Tarelli ai liberali moderati come Angelo Villa-Pernice, ai repubblicano-mazziniani come Antonio Ghislanzoni, ai cattolici democratici come lo stesso Stoppani.

Nei confronti dell’iniziativa di questo Comitato si manifestarono alcune opposizioni, rappresentate da personalità di scuola manzoniana.

Tra queste lo storico e opinionista Cesare Cantù (un tempo intimo di Alessandro – ma poi dallo stesso allontanato per dissonanze personali) e il professore di lettere Giuseppe Rizzini (già membro del Comitato – ma da questo staccatosi, ritenendosi non sufficientemente apprezzato). Entrambi tenevano alla memoria di Manzoni, ma con prospettive non coincidenti rispetto a quelle suggerite dall’Abate e fatte proprie dal Comune e dai cittadini più influenti.

Il 7 Marzo 1885, per il primo centenario della nascita del Manzoni, la famiglia Scola organizzò al Caleotto (lo aveva acquistato dal poeta nel 1818) una cerimonia, con recite e musica, affidandone la gestione culturale a Cantù e Rizzini.
In quell’occasione fu apposta all’edificio la targa con parole di Cantù (che ancora lì si leggono, in verità un poco rozze e non perspicaci), ma alla cerimonia il Comitato, guidato da Stoppani, non fu invitato. Va da sé che questa componente dell’opinione cittadina non contribuì in alcun modo alla realizzazione del monumento.
Bisogna anche dire che Monsignor don Pietro Galli (Prevosto della città di Lecco) e don Giuseppe Cavanna (animatore del primo Il Resegone) – certo non teneri con i risorgimentali e con l’orientamento rosminiano di Stoppani – si fecero promotori di concorrenziali raccolte fondi, ma tennero un tono moderato sull’attività del Comitato Promotore.

3.000 le sottoscrizioni da tutta Italia. Per quanto riguarda l’atteggiamento delle diverse componenti sociali, giova ricordare le molte sottoscrizioni al monumento da parte di tanti circoli di mutuo soccorso. Furono molti poi gli insegnanti di tutta Italia a dare il loro contributo. E molti anche gli studenti di ogni grado (ben 500 degli alunni delle elementari di Lecco) che diedero il loro obolo, più o meno grande.
Rilevanti le sottoscrizioni di sacerdoti (soprattutto della Lombardia e del Lariano), di artigiani, professionisti, nobili di ogni grado e modesti cittadini. Vi fu, in breve, un’adesione significativa da parte della collettività nazionale per l’iniziativa, che portò alla fine a raccogliere 40.000 Lire (un po’ meno di un milione degli Euro di oggi).

Si può ben dire che la collettività aveva raccolto con favore il messaggio lanciato dall’Abate nel manifesto di promozione del 10 febbraio 1885: «Né il ricco reputi troppo generoso il suo oro, né il povero troppo meschino il suo soldo!» La Casa Reale dal canto suo – oltre a denaro e oggetti preziosi da porre in palio nelle lotterie organizzate dal Comitato – diede un sostegno di immagine piuttosto consistente.

L’atteggiamento delle Istituzioni governative fu invece tiepido. Il Ministero della Pubblica Istruzione erogò un contributo di 500 Lire (circa 10.000 Euro di oggi), giudicato dall’Abate poco consono al ruolo svolto da Manzoni nella cultura nazionale. Inoltre non si impegnò in alcun modo nella promozione dell’iniziativa.
Stoppani, che si era speso in quella direzione, ne fu molto deluso e non mancò di farlo rilevare.
Se guardate il pannello posto sul retro del monumento, potete leggere questa scritta: «I Cittadini di Lecco / nel volere e nell’opera / con tutta Italia concordi / qui / dove, ecc.».
Ma il 6 giugno 1890, su proposta dell’Abate, il Comitato aveva approvato un’altra dicitura, un po’ puntualizzante: «I Cittadini di Lecco / concordi nel volere e nell’opera / coi loro connazionali / qui dove, ecc.». Nella versione ‘Stoppani’ risultava chiaro che non “tutta Italia” ma “i connazionali”, si erano dati da fare, che è cosa ben diversa.
ìMa l’Abate morì, prima che si componesse in scultura questa dicitura. Lui mancante, il Comitato preferì smussare il tono voluto dal proprio Presidente, notoriamente poco incline ai compromessi (su questa epigrafe ci sarebbe ancora da dire, ma ne parleremo in altra occasione).

Anche fuori d’Italia si ebbero consensi da parte dei circoli italiani (notevole quello di Londra). E vi fu una personalità – di rango elevato, intellettuale di buon livello, per un ventennio in rapporti epistolari e personali con Manzoni (di cui tradusse in portoghese l’ode «Il Cinque Maggio», scritta per la morte di Napoleone), che diede un suo cospicuo contributo – era Don Pedro II de Alcântara, Imperatore del Brasile. Ripetiamo: “Brasile” – non “Messico”!

Un obiettivo subordinato ma fortemente voluto. Abbiamo visto perché l’Abate tenesse a rimarcare il legame tra Manzoni e Lecco – voleva evidenziare l’ambiente in cui si era formata una personalità eccezionale: Manzoni era speciale anche perché figlio di Lecco.
Ma ciò comportava necessariamente anche la riflessione speculare: Lecco era speciale in quanto “quasi città natale” del Manzoni. Con questa connotazione, Lecco poteva aspirare, nel nome del suo geniale figlio, a occupare un posto di rilievo nel contesto culturale del Paese. L’Abate, fin dall’inizio, fu molto attento a sottolineare anche questo lato della questione.

Stoppani perseguì quindi, all’interno del progetto generale di carattere politico-ideologico, un obiettivo subordinato, cui però teneva moltissimo: fare di Lecco un simbolo nazionale della cultura, della poetica, del sentimento della natura.
Quella Lecco dove Manzoni infante, adolescente, giovane uomo, si era formato come poeta, filosofo e politico attivo per l’unità e la libertà d’Italia. Ma anche come innovatore nelle colture agrarie, proprietario di numerosi fondi non esoso e liberale, infine (nel 1816) rappresentante ufficiale (qual è oggi un nostro Sindaco) della collettività di Lecco.
L’Abate conosceva bene i diversi legami sociali di Manzoni in Lecco. Vi erano state personalità della città, intrinseche a Manzoni, con cui l’Abate aveva avuto anche rapporti di parentela. Su questo tema Stoppani aveva in mente di realizzare uno studio speciale, ma gli mancò il tempo – lo faremo noi, con gli storici della città interessati al vero.

L’Abate Stoppani vide in Lecco l’ambiente più consono a ospitare la statua di Alessandro Manzoni per una serie di motivi. In primo luogo per il legame profondo tra la città e Manzoni, scritto in evidenza nella biografia del poeta e ne I Promessi Sposi, riconosciuto riferimento culturale e morale per tanti lettori, italiani e stranieri.
Ma vi è altro: l’Abate vedeva in Lecco un simbolo, un esempio per una nuova Italia. Una città democratica, non solo per gli ideali politici ma anche per la diffusa tradizione al produrre e dai molti talenti tecnologici. Una città dalle grandi ma anche tante piccole realtà imprenditoriali, vera condizione e baluardo delle libertà e del progresso.
E infine perché Lecco e il suo territorio – la magica grande valle d’acqua, le infinitamente varie montagne, gli incessanti torrenti – costituivano uno stupendo museo a cielo aperto in cui chiunque poteva leggere le manifestazioni degli ultimi 200 milioni d’anni del pianeta. Un incredibile spettacolo naturale da offrire all’attenzione di una nuova società, curiosa, aperta al bello e alla cultura.

Per dare maggior forza a questa valorizzazione di Lecco, l’Abate Stoppani – appoggiato senza esitazioni da tutto il Comitato – volle che il monumento fosse, sul piano artistico (e anche tecnico) del più alto livello, e in piena evidenza.

Che il monumento venisse quindi collocato nel punto di convergenza delle vie di collegamento tra la città e la grande pianura.
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Che Manzoni vi fosse rappresentato in forma solenne – quindi seduto, come si conviene, secondo la tradizione, a un maestro del pensiero.
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Che nei tre altorilievi del basamento venissero rappresentati in forma didascalica tre dei più incisivi messaggi de “I Promessi Sposi”: il ruolo della donna per la qualità etica della società; il carattere normativo ma temperato della giustizia; il ruolo dei ceti popolari nella tutela delle libertà per tutti.

Il Monumento a Manzoni in Lecco è concepito come contenitore di precisi messaggi: il ruolo della donna per la qualità etica della società; il carattere normativo ma temperato della giustizia; il ruolo dei ceti popolari nella tutela delle libertà per tutti.

I tre messaggi etico-sociali del monumento a Manzoni. Fermiamoci un istante su questo aspetto, che differenzia nettamente il monumento di Lecco da quello di Milano.

Quando si discusse di come strutturare il monumento a Manzoni nella città meneghina (venne inaugurato il 22 maggio 1883, in Piazza San Fedele), così si espresse Giulio Carcano, amico di Manzoni e considerato uno dei più lucidi intellettuali del tempo: «La posizione sia seduta o in piedi, secondo le scelte dell’artista … L’insieme sia di forma elegante ma severa, escludendo ogni elemento figurato, sia simbolico, sia allegorico.»

E infatti il monumento di Milano è lì. È dignitoso sul piano formale ma certo non trasmette un granché. Manzoni è raffigurato in piedi (lo scultore Barzaghi conosceva bene le difficoltà della fusione di una figura seduta) e attorno a lui non vi è alcun elemento contenutistico.

Parte della stampa dell’epoca non ne fu entusiasta e ne rilevò anche il carattere “innaturale e di posa”, lontano dall’immagine del Manzoni vivo, ben presente alla memoria dei milanesi, che ogni giorno lo vedevano passeggiare mentre a passo svelto chiaccherava con il suo accompagnatore di turno.

Stoppani volle invece realizzare un monumento che fosse spontaneo, vicino alla sensibilità popolare. Suggerì quindi a Confalonieri di proporre due bozzetti, uno con la figura in piedi e uno seduta (quella che poi venne scelta).

Ma l’Abate si impegnò anche perché il monumento parlasse alla mente – che esprimesse cioè esplicitamente dei contenuti. Insistette quindi col Comitato perché si aggiungessero al basamento del monumento tre altorilievi, non previsti nel progetto iniziale. I pannelli dovevano, attraverso le vicende narrate da Manzoni, trasmettere un preciso orientamento ideale.

Del ruolo liberatorio della donna. Il pannello alla sinistra di Manzoni illustra il rapimento di Lucia. Qui è rappresentato uno degli elementi portanti del romanzo: la sopraffazione contro i deboli – e quindi contro le donne, le più deboli tra i deboli. Una realtà deprimente dei rapporti che può esprimersi in forme diverse.

Lucia viene rapita dai bravi – subisce una violenza brutale. Ma la brutalità è favorita dalla monaca Gertrude, già vittima di una violenza famigliare, più sottile ma non meno schiacciante, che la induce a usarne a sua volta. La vittima diventa carnefice – questo è l’aspetto più abietto della sopraffazione. Manzoni ci rende evidente il meccanismo pervasivo della violenza, che si insinua in tutti i rapporti e si perpetua in una catena annichilente.

Questo meccanismo coinvolge certo anche gli uomini. Ma, se ricordate, a Renzo non viene usata una violenza diretta – è giovane, non mite di carattere, fisicamente prestante, porta il pugnale alla cintura.

Lucia vince il violento con l’inflessibilità della propria volontà.

Con lui si dovrebbe ricorrere ai mezzi estremi, con le inevitabili ripercussioni. Lucia invece è considerata facile da sopraffare e quindi è lei a subire la violenza più aperta. Ma qui Manzoni attua un rovesciamento.

Lucia piega l’Innominato dimostrandosi più forte della forza brutale. Col voto di castità e di solitudine indirizzato alla Madonna (simbolo di assoluta purezza), Lucia si fa padrona inviolabile di se stessa. E costringe l’uomo, temuto da tutti e che la tiene prigioniera, a rinnovare dal profondo la propria personalità.

Abbiamo qui rappresentata, e Manzoni lo fa in forme magistrali, una idea molto evoluta del ruolo della donna nella società, e della funzione liberatoria – per tutti – della sua indipendenza. Collocate questo primo messaggio del monumento nel contesto dell’epoca e vi accorgerete di quanto allora potesse essere incisivo.

Da qualche anno si faceva sempre più strada nel dibattito politico-culturale la “questione femminile” (costituì uno dei temi nella nascita del Partito Socialista, 1892).
Nel campo laico la questione era posta soprattutto sotto il profilo dei diritti del lavoro e della rappresentanza (la donna aveva paghe più basse degli uomini e non godeva di alcun diritto in campo elettorale). Sul piano culturale e civile la cosa non era però ancora posta in termini chiari. Negli stessi ambienti della sinistra erano ancora forti i pregiudizi contro la donna.
Il messaggio veicolato dal monumento dice invece chiaramente che la donna può e deve essere autonoma perché garante dell’educazione e dei sentimenti fondanti della società.

Questa rivendicazione di un primato civile della donna detta da un sacerdote scienziato, nel nome di un filosofo cattolico come Manzoni – ma col sostegno di un vasto schieramento politico-culturale quale era rappresentato dal Comitato di Lecco, assumeva una forza che è facile cogliere.
D’altro canto l’Abate era noto per la considerazione di cui godeva presso figure femminili socialmente rilevanti. Erano queste che lo introducevano nei salotti esclusivi della borghesia e della nobiltà per le sue richieste di fondi e di appoggi a questa o quella iniziativa assistenziale o culturale. E con molte donne, colte e impegnate nell’istruzione o nell’assistenza, l’Abate collaborò per anni con grande sintonia, come nella redazione della rivista educativa Le Prime Letture.

Giustizia e sentimento di umanità. Strettamente collegato ai contenuti del primo pannello, il secondo (alla destra di Manzoni) raffigura il momento in cui Renzo accorda il perdono a Don Rodrigo. Qui Manzoni rappresenta lo scioglimento dei conflitti attraverso l’accettazione della comune natura umana. La giustizia (ineludibile e garantita dalla divinità) deve essere inflessibile ma non cieca né annichilente. Quando essa viene esercitata, dobbiamo sempre ricordare che nel suo potere è un nostro simile, del quale dobbiamo rispettare i diritti imprescrittibili dell’umanità.

Nell’ultima edizione da lui curata de “I Promessi Sposi”, Manzoni aveva dedicato la sezione conclusiva “Storia della Colonna Infame” (colpevolmente esclusa in molte moderne riedizioni del romanzo) ai problemi della giustizia e delle abnormi prevaricazioni del potere nei confronti del reo (vero o presunto).

Il perdono di Renzo simboleggia la giustizia temperata dall’umanità.

Il rapporto di Renzo con la giustizia è fallimentare: prima un avvocato venduto ai potenti; poi una polizia subdola, pronta a colpire un innocente pur di avere un colpevole; poi un Podestà (complice del suo persecutore) che per arrestarlo manda i birri, i quali, non trovandolo, gli saccheggiano la casa.
Anche qui Manzoni opera un rovesciamento. Renzo, vittima di una giustizia malata, ne ristabilisce la dignità, esercitandone la funzione fondamentale – la riabilitazione del colpevole – attraverso il perdono a don Rodrigo. Anche in questo caso, dobbiamo contestualizzare questo secondo messaggio di Manzoni, espresso nella fisicità del monumento.

Anche in questo caso non è difficile leggere in filigrana. Quando nell’autunno 1876 aveva progettato di presentarsi alle elezioni nei quadri della Sinistra, l’Abate aveva reso pubblico il proprio programma politico.
Al centro, oltre naturalmente le prospettive per una cultura scientifica diffusa, era posta con precisione anche la richiesta di suffragio universale – l’espressione giuridica della capacità degli umili di essere fonte di libertà e giustizia per tutti.

Il popolo come mallevadore di una società più umana
Il terzo pannello del monumento, quello centrale, rappresenta un ulteriore messaggio forte di Manzoni: qualunque sia l’oppressione di cui soffriamo, se sapremo impegnarci con onestà e umanità, trionferemo.

Renzo e Lucia hanno vinto perché si sono battuti per ciò che consideravano giusto – nel loro caso il matrimonio. Non è però difficile leggere dietro la ‘cantafavola’ del Manzoni altri espliciti riferimenti. La vicenda di Renzo e Lucia dice della invincibilità degli umili quando si muovono per la giustizia e la libertà. Non solo, ma dice che i due vincono proprio perché sono umili: non hanno vincoli che non siano quelli dell’onestà e dell’amore. Non piani di potere; non relazioni interessate da salvaguardare; non obblighi di elevati ranghi sociali. Ma vi è dell’altro.

Questi due umili vincono ma insieme educano.
L’Innominato si fa difensore dei deboli; il Marchese, erede di Don Rodrigo, si fa umile (almeno per un giorno); Don Abbondio, servo dei potenti, ritrova la sua dignità, col celebrare onestamente quel matrimonio che aveva impedito con malizia.

Questo è il terzo messaggio che Manzoni – e con lui Stoppani e il Comitato e i nostri vecchi – vollero lanciare alla nazione dalla nostra città.

Il popolo è mallevadore di una società più umana.

Non solo gli umili possono ottenere giustizia, ma sono in grado anche di correggere gli ignobili, gli insolenti, i sopraffattori e ricondurli nella concordia della vita collettiva.

Del resto, in questo orientamento l’Abate non era solo. Il 4 dicembre 1884, il repubblicano-mazziniano Antonio Ghislanzoni, così rispondeva a una lettera inviatagli dal cattolico-democratico, di preferenze monarchiche, Antonio Stoppani, che lo invitava a fare parte del Comitato per il monumento: «… all’illustre amico Don Antonio … Il genio è ciò che vi ha di più eminentemente democratico, qualora la sua gran luce si espanda su tutti. Tutti gli operai del territorio dovrebbero dare una pallanca ad onore di chi ha creato quel bel tipo di onesto ribelle che era Renzo Tramaglino.»I due Antonio – Ghislanzoni e Stoppani – erano cugini (lo ha bene documentato il lecchese e amico Francesco D’Alessio, valente storico della città) ed erano stati per anni compagni al Seminario di Castello, prima che Ghislanzoni ne venisse allontanato per “indisciplina”. Nella loro diversissima posizione culturale e di orientamento, erano d’accordissimo nel considerare Manzoni il genio della poesia italiana. Non solo, ma anche nell’impegnarsi fianco a fianco perché questi stessi ideali di democrazia giungessero al cuore dell’intero Paese.

Un preciso indirizzo etico-sociale. Da quanto fin qui detto – ci pare di essere rimasti rigorosamente fedeli alla lezione di Manzoni e alla biografia dell’Abate – riteniamo si possa trarre una considerazione di fondo.
Il monumento a Manzoni in Lecco ispirato da Stoppani, realizzato dal Comitato, sostenuto dalla gran parte della cittadinanza, può essere considerato un vero manifesto di indirizzo etico-sociale, rivolto all’intero Paese.

Manzoni in Lecco e “Il Bel Paese”. Stoppani lavorò molto per inseminare nella coscienza nazionale le caratteristiche di Lecco e della sua gente.
Giova ricordare che alcune delle “Serate”, aggiunte alla terza edizione de Il Bel Paese (ricordiamo per inciso che quest’anno cade il 140º anniversario della prima edizione dell’opera – 1876), sono esplicitamente dedicate a Lecco e al suo territorio, così caratteristico per il profondissimo lago, le sue immani rocce, gli spumeggianti torrenti, gli improvvisi impetuosi venti, proprio per rendere familiare al pubblico di tutto il Paese il nome di questa realtà che, pur essendo – sono le parole dell’Abate – “minima tra le città d’Italia”, poteva però essere citata a esempio del sapere “levarsi ai più grandi, ai più nobili, ai più puri ideali”.
Vi sarebbero da dire molte altre cose su questo argomento – è da tempo al centro dei nostri studi, assieme a una inedita analisi di contestualizzazione storica de Il Bel Paese – ma richiederebbe troppo spazio.

Vittorie e sconfitte. Il lettore a questo punto si chiederà a che punto fossero i rapporti tra l’attività sviluppata per il monumento a Manzoni in Lecco e i conflitti – molto seri – tra le due anime del cattolicesimo italiano, da cui nel 1880 era partito l’Abate nella sua battaglia conciliatorista, con la speranza di avere l’appoggio di Papa Leone XIII.

Gli anni che vanno dal 1885 alla morte dell’Abate (1 gennaio 1891) sono densi di eventi, che si intrecciano con le vicende del monumento. Nel 1886, stante la sostanziale inerzia di Leone XIII di fronte al fuoco di sbarramento degli ‘intransigenti’ contro i rosminiani, l’Abate avviò una partita difficile. A fronte dei continui attacchi, superficiali e anche volgari, dell’ “Osservatore Cattolico” di Milano, uno degli organi degli ‘intransigenti’, diretto da Don Albertario, l’Abate denunciò il giornale per diffamazione.
Nel giugno 1887 (mentre a Lecco si facevano i preparativi per esporre al pubblico i bozzetti predisposti dagli artisti in gara per il monumento), a Milano si celebrò il processo. Dopo parecchie udienze, anche animate, seguite da un folto pubblico appassionato, l’Abate vinse su tutta la linea e il giornale di Don Albertario venne condannato a una pesantissima ammenda.

Da alcuni quel processo venne (e viene) presentato in modo folcloristico per il suo aspetto straniante – un sacerdote che denuncia un altro sacerdote al rappresentante di quello stesso Re che aveva abbattuto il potere del Papa, cui entrambi i sacerdoti si riferivano come alla suprema autorità. In realtà il processo fu importantissimo nei suoi aspetti generali in quanto affermava de facto e de iure l’autorità dello Stato sui sacerdoti-cittadini. Questa vittoria dell’Abate però determinò una svolta negativa nel suo confronto con gli ‘intransigenti’.

Subito dopo il processo, per lasciare calmare le acque, Stoppani nel luglio 1887 si recò in Russia per una missione scientifica, mentre a Lecco vi fu un nulla di fatto nella scelta dei bozzetti (erano rimasti esposti per due settimane al Teatro della Società). Nessuna proposta raggiunse infatti i voti minimi stabiliti nel regolamento del concorso.
Il 25 settembre 1887 l’Abate tornò dalla Russia e fu accolto alla stazione di Lecco con tutti gli onori dalle Autorità cittadine e dalla popolazione, che lo accompagnò in corteo fino al convento di Pescarenico (lì teneva due stanze per i suoi soggiorni lecchesi).
Le signore portarono cesti ripieni di dolci, frutta, cibo per centinaia di persone. Fino a notte inoltrata vi furono canti e brindisi in onore di Stoppani. La manifestazione fu la risposta inequivocabile in favore dell’Abate, uscito vittorioso dal conflitto con la parte intransigente del Vaticano.

La buona fortuna di Stoppani era però vicina a lasciarlo. Il 14 dicembre 1887 la Congregazione dell’Indice del Vaticano ebbe l’approvazione da parte di Leone XIII del decreto Post obitum con cui si condannavano quaranta proposizioni rosminiane. Era la messa fuori legge, per la Chiesa, delle posizioni cui si rifaceva Stoppani e una consistente parte del clero.
Nella nuova difficile situazione l’Abate tenne però duro e si impegnò ancor più per la buona riuscita del monumento in Lecco al rosminiano Manzoni. Inoltre, quando fu sicuro fossero garantite le necessarie condizioni per la sua buona riuscita – cioè alla fine del 1888 – passò alla seconda fase del progetto del 1880, lanciando le sottoscrizioni per il monumento a Rosmini in Milano.

Queste iniziative dell’Abate, condotte nonostante il Vaticano fosse ormai schierato contro ogni istanza ‘conciliatorista’, fecero precipitare la situazione. Nel maggio 1890 anche la rivista diretta dall’Abate – Il Rosmini – venne messa all’Indice e dovette cessare le pubblicazioni. Il sogno dell’Abate di influire sulle scelte di fondo di Leone XIII si era definitivamente infranto.

Ma il monumento a Manzoni in Lecco era ormai in fase di completamento. Per Stoppani – che purtroppo non ne vide l’inaugurazione – si trattò dell’ultima battaglia vinta. La morte gli impedì di condurre l’azione intrapresa per un rinnovamento della Chiesa. Le posizioni da lui sostenute – con tanti altri sacerdoti di talento nonché da tanti avveduti laici – furono emarginate.
Per il tempo lungo della storia, però, questo oscuramento durò quanto un battito di ciglia. Rosmini infatti il 18 novembre 2007 venne beatificato, essendo pontefice Benedetto XVI.

Dalle balze del suo San Martino, là dove sicuramente a ogni tramonto si ferma a contemplare la profonda valle d’acqua e il Resegone della sua giovinezza, l’Abate avrà sorriso di soddisfazione.

Una proposta al Comune di oggi, nella linea della vincente strategia culturale del Comune di ieri.

Come si vede da quanto fin qui detto, le vicende del monumento a Manzoni in Lecco sono molto articolate e ricche di significati. Quella bella espressione artistica è una testimonianza forte alla memoria di un grande concittadino poeta. Ma è anche parte di una storia complessa, appassionante, che vide in prima linea l’Abate Stoppani, uno dei lecchesi più eminenti della storia della città, protagonista di momenti importantissimi per la storia del nostro Paese, scienziato geniale, animato da un grande senso della dignità culturale della sua città.

Nel nome di Manzoni e dell’Abate Stoppani, avanziamo al Comune di Lecco un proposta articolata in due fasi.

Nel breve periodo – Memoria collettiva sul monumento

Conferenza pubblica
Il Comune di Lecco si faccia promotore e organizzatore di una conferenza ben strutturata, dedicata alla storia e ai tanti significati del monumento a Manzoni in Lecco. Si impegni a che la popolazione sia stimolata a parteciparvi. La conferenza potrebbe essere articolata su tre grandi aree concettuali:
• Il giovane Manzoni e Lecco. Il Caleotto. Interessi economici e relazioni sociali.
• La formazione giovanile di Alessandro Manzoni.
• Il monumento a Manzoni in Lecco, attraverso il pensiero e l’azione dell’Abate Stoppani.
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Libro di memoria
Il Comune di Lecco si faccia promotore e organizzatore della pubblicazione di un libro, importante anche sul piano tecnico-editoriale, che raccolga i materiali documentari, interpretativi, iconografici delle vicende legate al monumento a Manzoni in Lecco e all’azione svolta dall’Abate Stoppani per la sua realizzazione. Ne faccia stampare 10.000 copie e lo metta in vendita a un prezzo accessibile a tutta la cittadinanza, donandolo a chi è sprovvisto di mezzi.
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Conferenze nelle scuole e incontri con gli stranieri
Il Comune di Lecco si faccia promotore e organizzatore di un ciclo di conferenze da tenersi nelle scuole della città, che riprenda i temi sopra esposti, adattandoli ai diversi gradi di età e di preparazione degli alunni lecchesi.
Organizzi su questi temi incontri con gli stranieri, per favorirne l’integrazione culturale.

Nel medio-lungo periodo – Lecco centro nazionale della cultura

Il Comune di Lecco si faccia promotore e organizzatore di un programma vasto, in grado di posizionare Lecco ai primi livelli della realtà nazionale. Il programma, alla cui definizione devono essere chiamati cittadini e studiosi italiani e stranieri, potrebbe essere articolato su due grandi aree tematiche:
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Nel nome di Alessandro Manzoni: La parola come elemento educativo – Il valore civile della poesia – Le nuove forme della comunicazione – Il valore permanente delle garanzie giuridiche – Il valore educativo della storia.
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Nel nome di Antonio Stoppani: Le scienze della natura. Le nuove strategie energetiche. La gestione innovativa del territorio. Scienza ed etica. Il ruolo dell’uomo nella nostra era. Il valore educativo della scienza.

È una proposta che lanciamo nel 125º anniversario del Monumento ad Alessandro Manzoni, per costruire, a partire da esso, un più consapevole e audace futuro per la città di Lecco.

Il Comune si impegni.
Gli uomini di buona volontà non mancheranno, oggi come ieri.

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