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16. Difformità sugli sposi ricongiunti.

Difformità n. 19 — Invenzione originale.

16.1/ Se vi fosse Lucia Mandelli ” …

Per orien­tarsi — Presa e su­pe­rata la pe­ste a Ber­gamo, Fermo si reca al paese pro­prio e di Lu­cia; in­con­tra Don Ab­bon­dio e Agnese che gli narra dei fatti av­ve­nuti. Per ri­tro­vare Lu­cia, Fermo torna a Mi­lano nel colmo del con­ta­gio. Cerca e trova la casa di Don Fer­rate presso cui sa do­vrebbe es­sere Lucia.

Ve­diamo come la cosa è rac­con­tata nell’Epilogo (carta 16r, p. 31):

«giunge alla porta chiusa di D. Fer­rante; vi batte; e la ca­me­riera di D.a Pras­sede, tratta al ro­more, e spinto il capo fuori della fi­ne­stra, ri­sponde alla di­manda, se ivi fosse Lu­cia Man­delli, che essa era ca­duta in­ferma di pe­ste, e con­dotta al Lazzaretto.»

Nuova in­con­gruenza, que­sta volta di tipo ono­ma­stico.
Op­por­tu­na­mente Paola Ita­lia ha se­gna­lato la cosa ma molto su­per­fi­cial­mente e li­mi­tan­dosi a in­di­carla come l’unico dei punti di di­sco­sta­mento tra Epi­logo e Prima Mi­nuta.
Ab­biamo in­vece vi­sto che è solo una delle 24 dif­for­mità tra i due scritti e che quindi è forse op­por­tuno con­si­de­rarla con al­tri oc­chi.
Di­cia­mone noi qual­che cosa di più.

È que­sta l’unica volta in cui nell’Epilogo si fa il co­gnome di Lu­cia e — guarda caso — ri­sulta al­tro da “Mon­della”, in­di­cato da Man­zoni nella “Prima Mi­nuta” per quat­tro volte:
— «Il Conte cavò la sua vac­chetta, e dopo aver ri­volta qual­che carta, lesse: Lu­cia Mon­della», p. 225;
— «Fe­de­rigo a Don Ab­bon­dio: come, non co­no­scete Lu­cia Mon­della, vo­stra par­roc­chiana, che era scom­parsa…?», p. 291;
— «Si­gnora, disse Fermo con voce tre­mante, sta qui una fo­rese, che si chiama Lu­cia Mon­della?», p. 536 (è pro­prio alla casa di D. Fer­rante);
— «Son qui, ri­spose Fermo [a Don Ab­bon­dio], gra­zie a Dio, e sono ad av­ver­tirla che pre­sto sarà qui an­che Lu­cia Mon­della», p. 574.

La su­per­fi­cia­lità che ab­biamo se­gna­lato in Paola Ita­lia è l’avere igno­rato que­sto dato di fatto delle quat­tro “Mon­della”, certo non ir­ri­le­vante.
Già che siamo ca­pi­tati su una dif­for­mità ono­ma­stica, prima di esa­mi­nare le ul­time dif­for­mità di fatto — e ve­dremo che sono ve­ra­mente si­gni­fi­ca­tive — può es­sere op­por­tuno toc­care un’altra dif­for­mità di tipo lin­gui­stico, com­ple­ta­mente igno­rata dalla Pro­fes­so­ressa — e non è pic­cola cosa.

Difformità n. 20 — Invenzione originale.

16.2/ “Lazzaretto” dell’Epilogo versus “lazzeretto” di Manzoni.

Come an­ti­ci­pato, da parte della fi­lo­loga Paola Ita­lia non se ne è fatto nep­pure un vago ac­cenno ma, ri­spetto alla “Prima Mi­nuta” di Man­zoni (e an­che in tutte le suc­ces­sive ver­sioni del ro­manzo) nell’Epilogo del «Ma­no­scritto Lecco 170» è ri­scon­tra­bile una vi­sto­sis­sima dif­for­mità to­po­no­ma­stica re­la­tiva alla de­no­mi­na­zione del luogo di ri­co­vero dei col­piti dalle peste.

Ve­diamo di che si tratta:

nell’Epilogo la pa­rola “Laz­za­retto” si ri­pete per 11 volte, tutte con l’iniziale ma­iu­scola;
— nella “Prima Mi­nuta” di Man­zoni la pa­rola “Laz­za­retto” non com­pare mai;
— com­pare in­vece, per 71 oc­cor­renze la pa­rola “Laz­ze­retto / laz­ze­retto”, 14 volte con l’iniziale ma­iu­scola (12 delle quali con­cen­trate nel T. 4, cap. 1);
— nelle due edi­zioni del 1827 e del 1840, Man­zoni usa sem­pre “laz­ze­retto” con l’iniziale minuscola.

Il let­tore non deve pen­sare che ci sia ve­nuta la fre­gola della fi­lo­lo­gia (per ca­rità!).
Se e cosa even­tual­mente si­gni­fi­chi que­sta ma­cro­sco­pica dif­for­mità, ci pen­se­ranno gli spe­cia­li­sti a illuminarci.

Per parte no­stra, ci siamo li­mi­tati a ri­por­tare un dato di fatto, igno­rato da­gli esten­sori della “di­plo­ma­tica”, che ci è bal­zato all’occhio an­che per­ché, par­lando di Man­zoni, ab­biamo sem­pre pre­sente il breve ma molto in­for­mato vo­lu­metto pub­bli­cato ai pri­mis­simi del 1874 dall’Abate Stop­pani, dal ti­tolo “Il gio­vane A. Man­zoni — Spi­go­la­ture”.

In que­sto li­bretto l’Abate non si oc­cupa nello spe­ci­fico né de “I Pro­messi Sposi” né tanto meno della “prima mi­nuta” (di que­sta pro­ba­bil­mente ne sa­peva qual­cosa, ma nulla più, dall’amico don Na­tale Ce­roli, per do­dici anni e fino al 1973 as­si­stente cul­tu­rale di Manzoni).

Par­lando però della fi­gura di Frate Cri­sto­foro (esem­pio di as­si­stenza ca­ri­ta­te­vole agli in­fermi — que­sto un tema che stava a cuore all’Abate), per 4 volte si ri­fe­ri­sce al luogo di as­si­stenza agli ap­pe­stati di Mi­lano come al “Laz­za­retto” (con la ma­iu­scola ini­ziale e la “a”), come nell’Epilogo in aperta dis­so­nanza con Man­zoni, la cui opera l’Abate co­no­sceva be­nis­simo e apprezzava.

Date le ca­rat­te­ri­sti­che dell’intestatario del no­stro Cen­tro Studi, pos­siamo ri­te­nere come molto pro­ba­bile che la sua non fosse una di­stra­zione ma una vo­luta sep­pure ta­cita “cor­re­zione” al ter­mine “laz­ze­retto” usato da Man­zoni.
Per la ve­rità, in que­sto caso l’Abate avrebbe avuto in­sieme ra­gione e torto.
Ra­gione per­ché con “Laz­za­retto” egli ri­por­tava il nome alla sua cor­retta ori­gine sto­rica (nel Van­gelo è ine­qui­vo­ca­bile il nome Laz­zaro; nulla a che ve­dere con il ter­mine Lazzero/lazzero).
Torto (ai no­stri oc­chi ov­via­mente) per­ché avrebbe do­vuto av­ver­tire il let­tore di que­sta sua scelta e motivarla.

Ri­mane co­mun­que il fatto che tra Epi­logo e “Prima Mi­nuta” di Man­zoni ab­biamo que­sta dif­for­mità che non può es­sere at­tri­buita a cu­riose abi­tu­dini scrit­to­rie del co­pi­sta ma a una pre­cisa scelta toponomastica.

D’altra parte, la forma “Laz­za­retto” in Tom­ma­seo è ri­por­tato per au­tori ve­neti, emi­liani, toscani.

Usò “Laz­za­retto” Pio la Croce nella sua Re­la­zione sulle vi­cende della pe­ste. xxxxtitolo

In Cantù (8titotlo) com­pare 11 volte “laz­ze­retto” (con ini­ziale sia Ma­iu­scola che mi­nu­scola).
“Laz­za­retto” com­pare in­vece a p. 116 («Pei ca­da­veri poi va­neg­gia­vano due gran fosse una a S. Rocco del Laz­za­retto, una al Fop­pone di P. Ro­mana!); a p. 118 (in una ci­ta­zione di una “pa­tente” del Tri­bu­nale di Sa­nità del 1632); a p. 122 (in una ci­ta­zione del So­ma­glia, Al­log­gia­mento dello Stato). È ve­ro­si­mile che l’unico “Laz­za­retto” di penna di­retta di Cantù sia stata in­fluen­zata dalle al­tre due ri­cor­renze, po­ste nelle im­me­diate vi­ci­nanze con­cet­tuali e fi­si­che del volume.

Ci­tare la tra­du­zione di Cu­sani di Ri­pa­monti e Lan­dino (vedi di chi è la tra­du­zione) = qu è sem­pre Lazzaretto.

È ben cu­rioso che la fi­lo­loga Ita­lia non ab­bia fatto caso a quella selva di “Laz­za­retto”, che di­stin­gue così net­ta­mente l’Epilogo del “Ma­no­scritto Lecco 170” e la “Prima Mi­nuta” di Manzoni.

Tra l’altro, lo no­tiamo solo per do­vere, il ter­mine pro­po­sto da Man­zoni non riu­scì mai ad at­tec­chire e a scal­zare il già af­fer­ma­ti­si­smo “Laz­za­retto”, che con­ti­nua tut­tora.
A dif­fe­renza che per “Ab­bon­dio” (con 2 [b]), pro­prio gra­zie a Man­zoni di­ve­nuto stan­dard ono­ma­stico na­zio­nale a di­sca­pito del cor­retto nome che in ita­liano è “Abon­dio” — senza nes­su­nis­simo rap­porto con la ten­denza allo scem­pia­mento di al­cune dop­pie, in­di­vi­dua­bile nel Nord Italia.

Ma chiu­diamo que­sta pa­ren­tesi to­po­no­ma­stica e tor­niamo alle dif­for­mità tra Epi­logo e “Prima Mi­nuta” di Man­zoni nella nar­ra­zione de­gli aspetti più ele­men­tari della vicenda.

Difformità n. 21 — Omogenea al film di Camerini, 1941

16.3/ Per cosa Lucia è riconosciuta da Fermo?

Per orien­tarsi — Fermo, in­con­trato Pa­dre Cri­sto­foro al Laz­za­retto, dà il per­dono a Don Ro­drigo e così può porsi alla ri­cerca di Lu­cia. A un dato mo­mento la ri­co­no­sce: da cosa?

Leg­giamo che ne dice l’Epilogo (carta 18r, evi­den­zia­zioni nostre):

«S’avvolge in quel la­bi­rinto; e, cer­cando da tutti i lati, fi­nal­mente [18v] in una ca­pan­nuc­cia ri­mota ri­trova due donne, una sorta dalla in­fer­mità, e l’altra am­ma­lata. Os­serva at­ten­ta­mente; ed ai tratti ri­co­no­sce nella con­va­le­scente la sua Lu­cia, e n’è da essa riconosciuto.»

L’Epilogo è pre­ciso: Fermo vede due donne, una con­va­le­scente e l’altra am­ma­lata; le guarda at­ten­ta­mente e, in una di esse, dai tratti del volto ri­co­no­sce Lu­cia.
La de­scri­zione è pun­tuale ma con nulla ha a che ve­dere con la “Prima Mi­nuta” di Man­zoni che, dal canto suo, de­scrive in po­che ri­ghe lo svol­gi­mento del ri­tro­va­mento con tutt’altre mo­da­lità, dando al con­tempo una bella rap­pre­sen­ta­zione del sen­ti­mento d’amore uomo-donna.

Prima Mi­nuta (T. 4, cap. 8, 98c, evi­den­zia­zioni nostre):

«Le ca­panne in quel luogo eran tutte abi­tate da donne; ed egli pro­ce­deva len­ta­mente d’una in al­tra, guar­dando. Or men­tre pas­sando, come per un vi­colo, tra due di que­ste, l’una delle <quali> aveva l’apertura sul suo pas­sag­gio, e l’altra ri­volta dalla parte op­po­sta, egli met­teva il capo nella prima, sentì ve­nire dall’altra, per lo fesso delle as­sacce ond’era con­nessa, sentì ve­nire una voce… una voce, giu­sto cielo! che egli avrebbe di­stinta in un coro di cento can­tanti, e che con una mo­du­la­zione di te­ne­rezza e di con­fi­denza ignota an­cora al suo orec­chio, ar­ti­co­lava pa­role che forse in al­tri tempi erano state pen­sate per lui, ma che cer­ta­mente non gli erano mai state pro­fe­rite: Non du­bi­tate = son qui tutta per voi = non vi ab­ban­do­nerò mai. […]
In tre balzi girò la ca­panna, fu su la porta, vide una donna in­cli­nata sur un letto che an­dava as­se­stando.
Lu­cia! chiamò Fermo con gran forza e sot­to­voce ad un tempo: Lu­cia!»

Con quasi le me­de­sime pa­role Man­zoni ri­pete que­sto qua­dretto nella Ven­ti­set­tana e nella Qua­ran­tana (unica va­riante, la frase di Lu­cia, che di­venta: «paura di che? Ab­biamo pas­sato ben al­tro che un tem­po­rale; il Si­gnore che ci ha cu­sto­dite fi­nora, ci cu­sto­dirà an­che adesso»).

Ab­biamo quindi due rap­pre­sen­ta­zioni net­ta­mente dif­formi:
— nell’Epi­logo il ri­co­no­sci­mento av­viene at­tra­verso uno scru­tare in­tenso;
— in Man­zoni at­tra­verso il ri­co­no­sci­mento della voce.

Non c’è let­tore ap­pena ap­pena at­tento che non sap­pia il va­lore che Man­zoni at­tri­bui­sce ai suoni della na­tura: che siano tor­renti, fiumi è la loro “voce” che si sente, prima di ogni al­tra cosa; così come gli es­seri amati che si ri­co­no­scono all’udito (dai passi per esem­pio) prima che alla vi­sta.
Que­sta è l’esperienza ma­tu­rata dal gio­vane Man­zoni in una terra dove an­cora erano ben di­stin­gui­bili i suoni della na­tura, ed è ov­vio che egli tra­sfe­ri­sca su Fermo/Renzo l’abitudine e la ca­pa­cità di co­glierne le di­verse modulazioni.

Ma allora, perché nell’Epilogo si parla di “vedere” e non di “udire, come scritto da Manzoni?

La cosa è cu­riosa per­ché nella sto­ria della “ri­du­zioni”, più o meno ar­ti­sti­che, del ro­manzo di Man­zoni, c’è il caso, già ci­tato, nel quale viene ope­rata la me­de­sima so­sti­tu­zione — e siamo a tre!

16.4/ Camerini/Epilogo: ti riconosco perché ti vedo, ti guardo e ti riguardo.

Per in­ten­derci me­glio, scor­riamo al­cune im­ma­gini dal film di Ca­me­rini, co­min­ciando da un passo in­die­tro ri­spetto al mo­mento in cui Fermo / Renzo ri­trova Lu­cia (per non ap­pe­san­tire l’esposizione d’ora in poi ci ri­chia­me­remo al pro­messo sposo solo col nome di Renzo).

Al Laz­za­retto Renzo in­con­tra Pa­dre Cri­sto­foro che lo sol­le­cita a dare il per­dono a Don Ro­drigo, ap­pe­stato e lì ri­co­ve­rato.
Il gio­vane ac­con­sente, in­sieme vanno alla ca­panna ove è il mo­rente (que­sta è una se­quenza in­tro­dotta da Man­zoni con la Ven­ti­set­tana — nella “Prima Mi­nuta” non vi è rap­porto di­retto con Don Ro­drigo e il per­dono è ga­ran­tito da P. Cri­sto­foro).
Renzo dà il per­dono al per­se­cu­tore.
Il Pa­dre Cri­sto­foro lo in­vita quindi a cer­care Lu­cia: nel per­dono da lui dato a Don Ro­drigo è la chiave per la fe­lice so­lu­zione; la cer­chi con fi­du­cia e con ras­se­gna­zione; Renzo gli ba­cia le mani in atto di ri­co­no­scenza e con­senso.
Fin qui Ca­me­rini se­gue il te­sto manzoniano.

Il pro­blema viene adesso.
Sa­lu­tato Pa­dre Cri­sto­foro, Renzo co­min­cia ad ag­gi­rarsi nel Laz­za­retto ma inu­til­mente: dove è fi­nita Lu­cia? … A un certo punto vede un gruppo di donne con­va­le­scenti che si pre­pa­rano a la­sciare il lu­gu­bre luogo …

Ma ve­diamo come pro­pone la cosa la già ci­tata sce­neg­gia­tura del film (i nu­meri in­di­cano le scene, evi­den­zia­zioni nostre):

585. (P.P.) Renzo os­serva l’uscita delle con­va­le­scenti. Va con l’occhio dall’una all’altra. È in preda a una ner­vosa agi­ta­zione.
586. (P.A.) Le con­va­le­scenti escono, con esa­spe­rante len­tezza. Lu­cia non è tra di esse.
587. (P.P.) Renzo im­pa­ziente.
588. (P.A.) La folla di­venta sem­pre più rada. Sono le ul­time con­va­le­scenti.
589. (P.P.) L’impazienza di Renzo si muta in di­spe­ra­zione. Sta per al­lon­ta­narsi, de­luso, quando un nuovo ru­more di passi l’arresta. L’espressione di Renzo su­bi­sce un re­pen­tino cam­bia­mento. Egli non crede più ai suoi oc­chi. Guarda me­glio. Si slan­cia in avanti. Il suo volto è rag­giante di fe­li­cità.
RENZO: — Lu­cia!.»

Quindi an­che per Ca­me­rini (come per l’Epilogo) Renzo ri­trova Lu­cia per­ché ne vede la fi­sio­no­mia.
Ma — lo ab­biamo già in­di­cato so­pra — per Man­zoni, Renzo ri­trova Lu­cia per­ché ne sente la voce!

At­ten­zione! Non stiamo par­lando di ana­to­mia: stiamo par­lando di una dif­fe­renza so­stan­ziale, con am­pie im­pli­ca­zioni dot­tri­nali.

Non siamo evi­den­te­mente una suc­cur­sale del Va­ti­cano ma è ov­vio che, do­ven­doci oc­cu­pare di Man­zoni e di un mo­mento del suo ro­manzo nel quale vi è un no­te­vole di­spie­ga­mento di ele­menti etico-re­li­giosi, non pos­siamo chiu­dere gli oc­chi e fare finta di nulla.

16.5/ Manzoni: ti riconosco immediatamente perché mi giunge la tua VOCE!

Per com­pren­dere quanto sia dif­fe­rente la nar­ra­zione di Camerini/Epilogo da quella di Man­zoni, dob­biamo ri­pren­dere ciò quest’ultimo scrive sull’intero pro­cesso vis­suto da Renzo / Fermo dal mo­mento in cui trova Pa­dre Cri­sto­foro al Laz­za­retto e in­sieme af­fron­tano il tema del rap­porto con Don Ro­drigo (T. 4, cap. 7, 92d, p. 553):

[Pa­dre Cri­sto­foro] Fermo! giuri tu il per­dono?…
– Ah! lo giuro, ri­spose Fermo in tuono so­lenne. […]
– Sì, Fermo, a Don Ro­drigo = […] Vedi tu que­sto pane? Lo con­servo da quarant’anni; l’ho men­di­cato nella casa di quello sven­tu­rato… l’ho avuto dai suoi come un pe­gno di pace, e di per­dono. […] Prendi, – e porse il pane a Fermo – con­ser­valo ora tu: è il dono ch’io posso la­sciarti per mia me­mo­ria. […]
Fermo non disse nulla, ma il suo volto espri­meva il pen­ti­mento.
– Or va, disse il pa­dre al­zan­dosi, Id­dio be­ne­dica le tue ricerche.»

In Man­zoni, quindi, Fermo dà senz’altro il per­dono a Don Ro­drigo PRIMA di met­tersi alla ri­cerca di Lu­cia e di im­pe­trare per que­sto l’intervento divino.

La que­stione (per Man­zoni, si in­tende, e per la dot­trina cri­stiana) è im­por­tante: solo es­sen­dosi pu­ri­fi­cato con l’avere dato il per­dono (fun­zione di­vina che però è alla por­tata an­che di ogni es­sere umano) Fermo può aspi­rare a es­sere ascol­tato da Dio nella sua in­vo­ca­zione di ri­tro­vata serenità.

Ma que­sto è solo un pre-re­qui­sito.
Avendo dato il per­dono, Renzo è ora puro e può chie­dere un in­ter­vento della Prov­vi­denza: fa­temi ri­tro­vare quella be­ne­detta ragazza!

La in­vo­ca­zione di Renzo viene rap­pre­sen­tata da Man­zoni con tutti i cri­smi (T. 4, cap. 8, 97d, evi­den­zia­zioni no­stre):
«Si pro­strò su gli sca­glioni del tem­pio, fece a Dio una pre­ghiera, o per dir me­glio, un vi­luppo di pa­role scom­pi­gliate, di frasi in­ter­rotte, di escla­ma­zioni, di do­mande, di pro­te­ste, di di­sdette, uno di quei di­scorsi che non si fanno agli uo­mini, per­ché non hanno ab­ba­stanza pe­ne­tra­zione per in­ten­derli, nè sof­fe­renza per ascol­tarli; non sono ab­ba­stanza grandi per sen­tirne com­pas­sione senza di­sprezzo. Si levò di là più rin­co­rato e si avviò.»

È su­bito dopo que­sta in­vo­ca­zione a Dio che Renzo ri­trova Lu­cia.
E come vo­lete che ri­sponda Dio all’invocazione di un fe­dele se non at­tra­verso la pro­pria VOCE?

16.6/ In Epilogo/Camerini è l’umano ad agire; in Manzoni è il divino.

Par­liamo un po’ in punto di dot­trina: nel Cri­stia­ne­simo (a dif­fe­renza che nell’Ebraismo e nell’Islamismo, le al­tre due grandi re­li­gioni ri­ve­late nelle quali Dio co­mu­nica con l’uomo esclu­si­va­mente at­tra­verso la pa­rola) la ri­ve­la­zione di Dio all’uomo passa an­che at­tra­verso la vi­sta e le im­ma­gini — la co­mu­ni­ca­zione non è ani­co­nica come le al­tre due.
Ma ciò non to­glie il ri­lievo as­so­luto della Pa­rola (Lo­gos) in­tesa come mo­da­lità pri­ma­ria ed eterna della Creazione/Rivelazione, che pur si è ma­ni­fe­stata vi­si­va­mente nella sto­ria con l’Evento della Incarnazione.

Detto al­tri­menti: an­che se nel Cri­stia­ne­simo l’immagine ha un ruolo po­si­tivo, lo ha solo nella mi­sura in cui “dice” un ri­chiamo che ec­cheg­gia da sem­pre, per­ché tra­smette il rap­por­tarsi e re­la­zio­narsi di Dio con l’uomo, fa­cen­dosi da lui sen­tire e non re­stando muto.
Ed è quindi del tutto ov­vio che, a Renzo, Man­zoni fac­cia ri­tro­vare Lu­cia at­tra­verso la VOCE.

Si in­tende che è Dio che parla a Fermo at­tra­verso Lu­cia; e in­fatti la frase che Renzo sente è a dop­pio re­gi­stro: «Non du­bi­tate = son qui tutta per voi = non vi ab­ban­do­nerò mai.», dove, ol­tre che la donna fe­dele al suo amato, è ov­via­mente la di­vi­nità che as­si­cura: non ab­ban­do­nerò mai co­lui che non dubita!

Ba­date che, a dif­fe­renza della ne­ces­sità di una dop­pia guar­data come nell’Epilogatore/Camerini, in Man­zoni, Renzo non ha bi­so­gno di sen­tire ri­pe­tere la in­di­ca­zione di­vina, per de­fi­ni­zione per­fetta: «sentì ve­nire una voce… una voce, giu­sto cielo! che egli avrebbe di­stinta in un coro di cento can­tanti».

Qui Man­zoni scrive a prova di tonti: è inequivocabile!

È quindi chiaro: per il duo Epilogatore/Camerini Renzo trova Lu­cia at­tra­verso un pro­prio im­pulso, ri­ma­nendo in un am­bito esclu­si­va­mente umano.

Per Man­zoni, in­vece, è Dio che, da lui pre­gato, con­sente a Renzo di ri­tro­vare Lu­cia: i teo­logi ci con­sen­tano il lin­guag­gio un po’ alla mano: all’uomo spetta il com­pito gra­voso (ma an­che esal­tante) di non es­sere un pu­pazzo in ba­lia della di­vi­nità ma di po­tere in­fluire su se stesso e sulla col­let­ti­vità con la pro­pria in­tel­li­genza, mo­ra­lità e vo­lontà — il che è per­fet­ta­mente in li­nea con la con­ce­zione di Prov­vi­denza che pro­prio in quel torno di tempo Man­zoni viene ela­bo­rando: la Prov­vi­denza go­verna l’Universo ma l’uomo non ne è af­fatto un ele­mento passivo.

A pre­scin­dere dal pro­filo esi­sten­ziale che ognuno di noi può avere, è chiaro a chiun­que che, quella in­di­cata dal duo Epilogo/Camerini da una parte e Man­zoni dall’altra, non è dif­for­mità di det­ta­glio ma va al cuore dell’intero im­pianto del ro­manzo di Manzoni.

Non siamo in grado di af­fer­mare su base do­cu­men­tale a cosa sia do­vuto que­sto si­gni­fi­ca­tivo al­lon­ta­na­mento da Man­zoni da parte di Ca­me­rini: più che a una vo­lontà di re­vi­sione del pen­siero di Man­zoni ci sem­bra si debba ascri­vere a sem­plice in­con­sa­pe­vo­lezza.

Vi­sta la for­ma­zione fa­mi­liare di Ma­rio Ca­me­rini (di ori­gine aqui­lana e di una fa­mi­glia di ma­gi­strati, ai primi del ’900, il pa­dre Ca­millo era un noto av­vo­cato, con ruoli di re­spon­sa­bi­lità nel Par­tito So­cia­li­sta in Roma — il che però non si­gni­fica molto), è pro­ba­bile che il suo sguardo (ci sem­bra ten­den­zial­mente laico e con non evi­denti in­te­ressi per gli aspetti teo­lo­gici) non ab­bia nep­pure per­ce­pito l’opportunità di va­lu­tare con at­ten­zione que­sti aspetti, ap­pa­ren­te­mente in­si­gni­fi­canti ma in­vece ri­le­vanti sul piano culturale-religioso.

Del pari, uno de­gli sce­neg­gia­tori del film, il gio­va­nis­simo Ga­briele Bal­dini (nel 1950 con lui si spo­serà in se­conde nozze Na­ta­lia, dal 1944 ve­dova di Leone Gin­sburg), con tutto il suo ta­lento let­te­ra­rio non sem­bra avere avuto al­cuna con­sa­pe­vo­lezza dei con­te­nuti dot­tri­nali del ro­manzo di Manzoni.

Ciò che in­vece fa spe­cie è l’es­sere esat­ta­mente sulla sua stessa trac­cia nar­ra­tiva l’Epilogatore che (ce lo dice come al­ta­mente pro­ba­bile la Pro­fes­so­ressa Paola Ita­lia) do­veva es­sere sia un in­trin­seco di Man­zoni sia — ad­di­rit­tura — un ec­cle­sia­stico.

Non è che, an­che in que­sto caso, l’Epilogatore, di­men­ti­cando di es­sere sia un in­trin­seco di Man­zoni sia un ec­cle­sia­stico, sia ri­ma­sto così preso da Ca­me­rini da ri­pro­durre con la sua penna (su fo­gli even­tual­mente pro­dotti en­tro il 1835) ciò che aveva vi­sto sullo schermo, in un qual­che mo­mento dopo il di­cem­bre 1941?

An­che qui scher­ziamo, naturalmente!

Ma, in­tanto, mo­striamo come hanno ri­solto la cosa gli al­tri tre registi:

Bon­nard (1922) ha an­ti­ci­pato Ca­me­rini, tra­dendo Man­zoni (Renzo e Pa­dre Cri­sto­foro si ag­gi­rano per il Laz­za­retto; Renzo vede da una porta Lu­cia); il film era muto e forse po­teva ri­sul­tare mac­chi­noso il mo­strare il suono di una voce (tutto si può fare co­mun­que! e anzi ne sa­rebbe ve­nuta una cosa rimarchevole).

Bol­chi (1969), in­vece, per que­sta se­quenza è stato fe­dele a Man­zoni, mo­strando bene che il pro­blema non era di ca­rat­tere tec­nico-sce­nico (Ca­stel­nuovo sente alle sue spalle la voce di Lu­cia, en­tra nella ca­panna: vi ritrovo!).

No­cita (1989), in­fine, ha scelto di dare un colpo al cer­chio e uno alla botte (Quinn sentevede in­sieme la sua Lucia).

16.7 / Sempre nel Lazzaretto un grappolo di difformità.

A con­clu­sione di que­sto re­ge­sto delle dif­for­mità tra Epi­logo del «Ma­no­scritto Lecco 170» e “Prima Mi­nuta” di Man­zoni, dob­biamo evi­den­ziarne un grap­polo, tutto re­la­tivo alla parte con­clu­siva del ri­tro­va­mento al Laz­za­retto di Lu­cia da parte di Fermo.

Le dif­for­mità sono tre e si sus­se­guono l’un l’altra.
Me­ri­tano però di es­sere evi­den­ziate par­ti­ta­mente per le im­por­tanti im­pli­ca­zioni di ognuna di esse sui con­te­nuti “mo­rali” (usiamo que­sto ter­mine sem­pre in senso lato) della no­stra discusssione.

Ri­te­niamo quindi op­por­tuno, pre­sen­tare prima di tutto il te­sto dell’Epilogo a esse re­la­tivo per poi esa­mi­nare ogni sin­gola difformità.

Ve­diamo quindi come le cose sono pre­sen­tate nell’Epilogo (carta 19r-19v-20r, p. 37-38-39, evi­den­zia­zioni nostre):

«[Pa­dre Cri­sto­foro] si rende alla ca­panna di Lu­cia. E qui la per­suade, ed in nome della Chiesa la scio­glie dal voto. Quindi si con­geda, dando agli sposi pro­messi un ad­dio, che bene si av­vi­sano es­sere l’ultimo.
Ri­mane Fermo; e con­sente, che Lu­cia re­sti ad as­si­stere la com­pa­gna, donna fa­col­tosa, fin­ché sia ri­sta­bi­lita. E per­chè lo scro­scio d’immensa piog­gia se­guito all’apparso nembo mi­nac­cioso fece [19v] ral­len­tare la pe­ste, vi ri­mase esso pure.
In que­sto mezzo, ecco fu­rio­sa­mente av­ven­tarsi, e pre­sen­tarsi alla ca­panna un ap­pe­stato fre­ne­tico, la­cero, li­vido, pre­sago di morte vi­cina; ed era / oh spet­ta­colo! / D. Ro­drigo, il quale, seb­bene tra­so­gnato, aveva raf­fi­gu­rati nel pas­sag­gio il P. Cri­sto­foro, e Fermo. Egli, sbar­rando due oc­chi mezzo fra istu­pi­diti e fu­riosi, ri­balza in­die­tro, e, da­tosi a cor­rere pel campo, af­ferra un ca­vallo de’ Mo­natti, e get­ta­tosi d’un salto so­pra, come fu­rio­sa­mente in­se­guito da’ Mo­natti, per­duta ogni lena, cade e muore, ed è con­dotto alla fossa.
Fermo, e Lu­cia colla com­pa­gna, ve­duta la tri­sta fine di quel pre­po­tente, gli pre­gano pace, avendo Fermo ob­bliata la ven­detta, e pro­messo per­dono [20r] all’esortazione del P. Cristoforo.
Ma, ces­sando or­mai do­vun­que il fla­gello della pe­ste, sor­tono da Laz­za­retto; e la com­pa­gna si of­fre a scor­tarli alla loro terra, ed a for­nire un equi­pag­gio di ve­sti a Lu­cia, vo­lendo pren­der parte alla di Lei consolazione.»

Que­sto brano dell’Epilogo sem­bra es­sere stato strut­tu­rato per dire chiaro e tondo an­che al let­tore più di­stratto: guarda che quanto leggi qui ha poco a che ve­dere con la “Prima Mi­nuta” di Don Lisander.

Per ca­pire per­ché, ve­diamo in­tanto di ren­dere più in­tel­leg­gi­bile il te­sto, de­ci­sa­mente ingarbugliato:

1/ Fa­cendo in­ten­dere sia l’ultimo in­con­tro, P. Cri­sto­foro si con­geda dai due sposi e la­scia la ca­panna.

2/ Fermo in­vece vi ri­mane; con­corda che Lu­cia as­si­sta la com­pa­gna [è la ve­dova as­si­stita da Lu­cia] fino a gua­ri­gione completa.

3/ Ini­zia l’acquazzone che farà ral­len­tare la pe­ste; Fermo ri­mane al Laz­za­retto.

4/ “Nel mezzo” [non è chiaro fra quale dei tre punti so­pra espo­sti], alla ca­panna si pre­senta un esa­gi­tato Don Ro­drigo; squa­dra con fu­ria gli Sposi; fa die­tro-front; in­forca un ca­vallo dei Mo­natti; in­se­guito da­gli stessi lo lan­cia al ga­loppo; cade, muore, è sepolto.

5/ Fermo, Lu­cia e la ve­dova pre­gano per lui, avendo Fermo, sol­le­ci­tato da P. Cri­sto­foro [non è detto quando], pro­messo il perdono.

6/ Esau­ri­tasi la pe­ste, en­trambi gli sposi la­sciano il Laz­za­retto per il loro paese; li ac­com­pa­gna l’amica di Lu­cia che le dona il corredo.

L’Epilogo mette a dura prova la pa­zienza del let­tore ma so­prat­tutto non la­scia dubbi sulla sua estra­neità ri­spetto a Man­zoni che nella sua “Prima Mi­nuta” la rac­conta ben diversamente:

1/ Sciolta Lu­cia dal voto di ca­stità, P. Cri­sto­foro rac­co­manda agli sposi l’unità nell’amore.

2/ Men­tre egli parla di amore e ri­spetto, ap­pare Don Ro­drigo, stra­volto e la­cero, che guata con fu­rore e paura: vi­sti pas­sare, non vi­sto, Fermo e il Pa­dre gli era ri­nato il de­si­de­rio di ven­detta; in­tra­vi­stili nella ca­panna aveva udito la voce del Pa­dre, che già in al­tra oc­ca­sione (all’inizio del ro­manzo) aveva disprezzata.

3/ Lu­cia ne è ter­ro­riz­zata; Pa­dre Cri­sto­foro e Fermo hanno in­vece un moto di com­pas­sione e gli si av­vi­ci­nano per aiu­tarlo; lo se­guono per un tratto men­tre il de­li­rante fugge cor­rendo fre­ne­tico verso la chiesa.

4/ Don Ro­drigo si ap­pro­pria di un ca­vallo dei mo­natti, vi sale e lo lan­cia al ga­loppo, pro­vo­cando lo scom­pi­glio generale.

5/ I due uo­mini tor­nano alla ca­panna; P. Cri­sto­foro in­vita a pre­gare per l’infelice; dopo un mo­mento di si­len­zio, con­cer­tano il da farsi: Fermo par­tirà im­me­dia­ta­mente, tro­verà ri­co­vero lungo il cam­mino; an­drà al paese a dare le nuove ad Agnese; an­drà a Ber­gamo a pre­di­sporre per la fa­mi­glia; tor­nerà al paese in at­tesa di Lu­cia per ce­le­brare le nozze con Don Abbondio.

6/ Lu­cia vuole at­ten­dere che l’amica sia gua­rita; con tutti d’accordo, que­sta pro­mette di ac­com­pa­gnare Lu­cia e di do­narle il corredo.

7/ La notte è or­mai pros­sima, P. Cri­sto­foro in­vita Fermo a met­tersi in cam­mino; al gio­vane spiace so­prat­tutto di la­sciare il buon frate che forse non ri­ve­drà; lo ri­ve­ri­sce; sa­luta Lu­cia e la ve­dova; or­mai col buio esce dal Laz­za­retto di­retto a Lecco.

8/ Il P. Cri­sto­foro as­si­cura Lu­cia che Don Ro­drigo non tor­nerà; rac­co­manda le donne a un frate e la­scia la ca­panna; Lu­cia lo se­gue; ve­dono Don Ro­drigo morto por­tato da un gruppo di mo­natti che lo get­tano su un carro com­men­tan­done con scherno la fine; il Pa­dre rac­co­manda a Lu­cia di pre­gare per il po­ve­retto; si al­lon­tana de­fi­ni­ti­va­mente; com­mossa, Lu­cia rien­tra alla capanna.

9/ Nella notte si sca­tena la tem­pe­sta; Renzo al­log­gia come può e il terzo giorno, sem­pre sotto l’acqua bat­tente, giunge al paese; poi va a Ber­gamo; ri­torna al paese, ecc. ecc.

10/ Gua­rita la ve­dova, Lu­cia passa la qua­ran­tena in casa di que­sta la­vo­rando al cor­redo; alla fine ven­gono a sa­pere che il P. Cri­sto­foro è morto; vanno in­sieme al paese de­gli sposi, dove Renzo è in at­tesa della pro­messa per ce­le­brare il ma­tri­mo­nio, ecc. ecc.

Ri­spetto al te­sto di Man­zoni (che Paola Ita­lia so­stiene es­sere reso fe­del­mente dal ma­no­scritto in esame) l’Epilogo in 198 pa­role con­tiene quindi tre dif­for­mità strut­tu­rali, si­gni­fi­ca­tive an­che sul piano dei con­te­nuti etici del ro­manzo di Manzoni:

— che P. Cri­sto­foro sia as­sente du­rante l’incursione di Don Rodrigo;

— che du­rante e dopo lo “scro­scio d’immensa piog­giaFermo se ne stia tran­quillo al Laz­za­retto, as­sieme alla sua Lu­cia e alla vedova;

— che, or­mai esau­ri­tasi la pe­ste, i due sposi e la ve­dova par­tano in­sieme per Lecco.

Ana­liz­ziamo que­ste tre difformità.

Difformità n. 22 — Invenzione originale.

16.7/ “Padre Cristoforo quindi si congeda” …

Lo ab­biamo già evi­den­ziato: se­condo l’Epilogo Don Ro­drigo ir­rompe quando Pa­dre Cri­sto­foro “si è già con­ge­dato”, os­sia non è più con i pro­messi.
Il che non è tanto un di­verso modo di pre­sen­tare fatti (cosa am­mis­si­bi­lis­sima in qual­siasi ri­du­zione di un’opera let­te­ra­ria) ma è un di­verso modo di in­ten­dere il con­te­nuto dei fatti.

Padre Cristoforo e Don Rodrigo: si chiude il cerchio.

Ri­pe­tia­molo: se­condo l’Epilogo, l’apparizione di Don Ro­drigo av­ver­rebbe quando già P. Cri­sto­foro si è con­ge­dato de­fi­ni­ti­va­mente dai quasi sposi.
Come ab­biamo poco so­pra sin­te­tiz­zato, in Man­zoni il Pa­dre è in­vece pre­sen­tis­simo e, come sem­pre, svolge un ruolo de­ci­sa­mente attivo.

Da no­tare che Man­zoni, con que­sta se­quenza, chiude il cer­chio del rap­porto tra Pa­dre Cri­sto­foro e Don Ro­drigo, av­viato a ini­zio rac­conto nel troppo noto in­con­tro al pa­lazzo di Don Ro­drigo, fi­nito con ma­le­di­zioni da una parte e mi­nacce di ba­sto­na­tura dall’altra.

Da no­tare, inol­tre, che Man­zoni ci pro­pone que­sta con­clu­sione ri­chia­mando il ruolo della VOCE, che ab­biamo già svi­lup­pato nel ca­pi­tolo pre­ce­dente a pro­po­sito delle mo­da­lità di ri­tro­va­mento di Lu­cia da parte di Fermo (T. 4, cap. 9, 110b, p. 571, evi­den­zia­zioni nostre):

«Quell’infelice da una ca­panna, […] aveva ve­duto pas­sarsi da­vanti Fermo, e poi il Pa­dre Cri­sto­foro; senza es­ser ve­duto da loro. Quella com­parsa aveva su­sci­tato […] l’antico fu­rore, e il de­si­de­rio della ven­detta […] in un tale de­li­rio […] aveva te­nuto die­tro da lon­tano a quei due. […] met­tendo il capo su la porta aveva ri­ve­dute in iscor­cio quelle fi­gure. Quivi […] udì quella voce ben co­no­sciuta che nel suo ca­stello aveva in­tuo­nata al suo orec­chio una pre­dica tron­cata al­lora da lui con rab­bia e con di­sprezzo ma che aveva però la­sciata nel suo animo una im­pres­sione che s’era ri­sve­gliata nel tri­sto so­gno pre­cur­sore della ma­lat­tia. […] Quella voce lo te­neva im­mo­bile a quel modo che al­tre volte si cre­deva che le bi­scie stes­sero all’incanto.»

Nella ri­cerca di Lu­cia, la di­vi­nità si ri­vela a Fermo at­tra­verso la voce della amata.
A Don Ro­drigo in de­li­rio, anch’egli alla ri­cerca di Lu­cia ma con ben al­tre in­ten­zioni, la di­vi­nità si ri­vela at­tra­verso la voce del sacerdote/frate, in ine­vi­ta­bile con­ti­nuità op­po­si­tiva al suo animo ot­te­ne­brato dalla prepotenza.

È ov­vio an­che a un bimbo che, in as­senza di P. Cri­sto­foro, ri­sul­te­rebbe im­pos­si­bile rap­pre­sen­tare que­sto snodo espo­si­tivo, de­ci­sa­mente ar­ti­co­lato sul piano con­cet­tuale,
Ma l’Epilogo si fa un baffo della coe­renza nar­ra­tiva e dot­tri­nale e sco­della il suo in­con­sa­pe­vole mi­ne­strone di pa­role in libertà.

Difformità n. 23 — Omogenea al film di Camerini, 1941

16.38/ “Fermo vi rimase egli pure” …

È que­sta dell’Epilogo una tro­vata nar­ra­tiva ve­ra­mente “in­no­va­tiva” ri­spetto a Man­zoni che — lo ab­biamo vi­sto in sin­tesi più so­pra — la rac­conta in modo ra­di­cal­mente diverso.

Se­condo l’Epilogo, il P. Cri­sto­foro se ne va; si sca­tena la te­me­sta; Fermo ri­mane.
Dove ri­mane? Nella ca­panna di Lu­cia e della ve­dova, po­sta nell’area del Laz­za­retto ri­ser­vata alle donne?
Il Pro­messo sposo aspetta lì non solo che spiova ma an­che che “sia ces­sato ovun­que il fla­gello della pe­ste”; quindi 2 giorni di piog­gia + al­meno 20 giorni di qua­ran­tena =  tre set­ti­mane?
È così?

Il let­tore non si deve in­quie­tare per il no­stro uso del ca­len­da­rio: quando ci si trova di fronte a con­cla­mate ma­ni­fe­sta­zioni di ma­ra­sma nar­ra­tivo e in­tel­let­tivo, bi­so­gna pure fis­sare dei ter­mini di ri­fe­ri­mento con­di­vi­si­bili! o no?

Co­mun­que, l’Epilogatore, an­cora una volta — e siamo a quat­tro — alla com­pa­gnia di Man­zoni pre­fe­ri­sce quella di Camerini.

Alla piog­gia, e al modo con cui viene ac­colta da chi era al Laz­za­retto, Ca­me­rini de­dica una car­rel­lata lunga 110 se­condi tutta ar­ti­co­lata sul rin­gra­zia­mento alla di­vi­nità per il nu­bi­fra­gio (c’è an­che un ma­lato che — la scena ri­sulta ine­vi­ta­bil­mente grot­te­sca — muore sotto l’acquazzone fa­cen­dosi il se­gno della croce).

Si dirà: e che c’è di strano? la po­po­la­zione in Mi­lano era molto re­li­giosa e quindi …
Be­nis­simo!
Qui però non stiamo di­scu­tendo su se e come fos­sero re­li­giosi i mi­la­nesi ma in che modo Man­zoni ri­tenne di rap­pre­sen­tare quel de­ter­mi­nato fe­no­meno nel qua­dro del più am­pio evento della pe­ste e della vi­cenda dei due pro­messi sposi.

La­sciando per il mo­mento da parte il tema tempesta/peste (di­scorso in­te­res­sante ma estra­neo a que­sta Nota) dob­biamo ri­cor­dare che, co­mun­que sia, in Ca­me­rini, men­tre si sca­tena la tem­pe­sta Renzo è al Laz­za­retto con Lu­cia.

E lì “ri­mane esso pure” (pro­prio come scritto nell’Epilogo), per­ché il re­gi­sta ha la bella tro­vata di fare ter­mi­nare pro­prio lì, al Laz­za­retto, il ro­manzo: con Renzo e Lu­cia che fianco a fianco, in gi­noc­chio, esta­tici rin­gra­ziano il Signore.

E poi che fanno? Ca­me­rini non lo mo­stra ma ogni spet­ta­tore, ine­vi­ta­bil­mente, ne ri­cava che, di fatto, in quel mo­mento i pro­messi si sono ri­con­giunti — anzi si pos­sono con­si­de­rare come spo­sati.
Ca­me­rini in­fatti non ci dice nulla sul ca­pi­tolo con­clu­sivo de “I pro­messi Sposi”, in Man­zoni denso di con­te­nuti etici, tra cui — fon­da­men­tale — la ce­le­bra­zione del matrimonio.

Più sotto il­lu­striamo in det­ta­glio come que­sta in­ven­zione nar­ra­tiva di Ca­me­rini ( e dell’Epilogatore) non solo non se­gue Man­zoni (in una ri­du­zione non è ob­bli­ga­to­rio un ri­calco in ghisa dell’originale) ma è in op­po­si­zione con lui su una que­stione molto se­ria: il rap­porto tra Renzo e Lucia.

E al­lora ve­diamo come la rac­conta Man­zoni — è una sto­ria tutta diversa.

At­tra­verso la penna di Don Li­san­der, Pa­dre Cri­sto­foro in­si­ste per­ché Fermo si al­lon­tani su­bito dal Laz­za­retto (e da Lu­cia) (T. 4, cap. 9, 111c, p. 572):

«Dopo un mo­mento di si­len­zio, il pen­siero che venne a tutti fu di con­cer­tare in­sieme quello che era da farsi: e i con­certi fu­ron que­sti: che Fermo par­ti­rebbe to­sto, giac­chè ivi non v’era ospi­ta­lità da of­fe­rir­gli, cer­che­rebbe un ri­co­vero per la notte in qual­che al­bergo e all’indomani si ri­met­te­rebbe in via pel suo paese, […]»

non solo, ma al pro­messo sposo fa an­che dire che ne è con­tento (T. 4, cap. 9, 112a, p. 573):

«E tu, disse poi a Fermo, che stai qui tar­dando? il tempo, come vedi, si fa più nero, e la notte si av­vi­cina = af­fret­tati di cer­care un ri­co­vero.
Con­vien dire an­cora ad onore di Fermo che in quel mo­mento non gli do­leva tanto lo stac­carsi da Lu­cia ap­pena tro­vata, è vero, ma ch’egli con­tava di ri­ve­der pre­sto, quanto dal Pa­dre Cri­sto­foro, che re­stava lì a morire.»

Alla luce di que­ste ine­qui­vo­ca­bili espres­sioni di Man­zoni ri­sulta ve­ra­mente cu­rioso ciò che in­vece ci dice l’Epilogo — ri­pe­tia­molo — se­condo cui Fermo si sa­rebbe fer­mato per tre set­ti­mane al Laz­za­retto con Lu­cia — per so­pram­mer­cato, es­sen­dosi il Pa­dre Cri­sto­foro da loro “de­fi­ni­ti­va­mente congedato”.

Il let­tore po­trebbe pen­sare che sì, ef­fet­ti­va­mente, que­sta nar­ra­zione dell’Epilogo non c’entra pro­prio nulla con Man­zoni; ma forse la “Prima Mi­nuta” in que­sto punto non era ben leg­gi­bile e quindi il po­vero Epi­lo­ga­tore ha preso in­vo­lon­ta­ria­mente un abbaglio.

Spiace dire che non è af­fatto così: il ma­no­scritto di Man­zoni in que­sta se­quenza è per­fet­ta­mente leg­gi­bile, come può con­sta­tare ogni let­tore scor­rendo i ma­no­scritti di Man­zoni messi molto op­por­tu­na­mente a di­spo­si­zione del pub­blico sotto la di­re­zione di Giu­lia Ra­boni (e la col­la­bo­ra­zione della stessa Paola Italia)

Difformità n. 24 — Invenzione originale.

16.8/ “Sortono da Lazzaretto e la compagna si offre a scortarli alla loro terra” …

Delle 24 dif­for­mità tra Epi­logo e “Prima Mi­nuta” que­sta è si­cu­ra­mente la più biz­zarra e an­che la più lon­tana da qua­lun­que ela­bo­ra­zione di Manzoni.

Per rin­fre­scare la me­mo­ria del let­tore ri­pren­diamo dall’Epi­logo (carta 19r-19v-20r, p. 37-38-39, evi­den­zia­zioni nostre):

«Ri­mane Fermo; e con­sente, che Lu­cia re­sti ad as­si­stere la com­pa­gna, […] E per­chè lo scro­scio d’immensa piog­gia se­guito all’apparso nembo mi­nac­cioso fece [19v] ral­len­tare la pe­ste, vi ri­mase esso pure. […] Ma, ces­sando or­mai do­vun­que il fla­gello della pe­ste, sor­tono da Laz­za­retto; e la com­pa­gna si of­fre a scor­tarli alla loro terra.»

Quindi, se­condo l’Epilogo, Fermo se ne sta al Laz­za­retto, aspet­tando non solo che spiova ma an­che che si esau­ri­sca la pe­ste.
Dopo di che, pas­sata la qua­ran­tena, con la sua Lu­cia e con la nuova amica (fa­col­tosa) se ne vanno tutti e tre a Lecco, per il ma­tri­mo­nio, ecc.

Ci sa­rebbe da farsi una ri­sata e mol­larla lì ma dob­biamo an­dare fino in fondo!

Come ap­pare an­che al let­tore più di­stratto, l’Epilogo ha qui quasi te­nuto a evi­den­ziare la sua estra­neità a Man­zoni — un poco come i fal­sari che, ap­po­si­ta­mente, pro­du­cono ban­co­note con im­per­fe­zioni evi­denti, al fine di fruire di uno sconto di pena in caso di arresto.

Man­zoni ov­via­mente la rac­conta in modo to­tal­mente dif­fe­rente e an­che con im­pli­ca­zioni eti­che non ir­ri­le­vanti.
È pro­prio in que­sto snodo della nar­ra­zione che Man­zoni pre­senta in sin­tesi e in modo molto di­scor­sivo la pro­pria idea di Prov­vi­denza pro­prio at­tra­verso i pen­sieri e gli at­teg­gia­menti di Fermo/Renzo che, la­sciato il Laz­za­retto e Mi­lano, sotto la piog­gia bat­tente cam­mina verso Lecco, an­che sal­tel­lando come un ra­gaz­zino tra le tante pozze d’acqua che co­stel­lando il suo cam­mino (nella Ven­ti­set­tana Man­zoni lo pa­ra­gona a un cane bar­bone che si scuote) — ci tor­niamo so­pra più avanti, par­lando dei due film (di Ca­me­rini 1941 e No­cita 1989) nei quali Fermo/Renzo è mo­strato sotto la piog­gia al Lazzaretto.

Qui è suf­fi­ciente avere ri­le­vato que­sta pac­chiana e ul­tima dif­for­nità tra Epi­logo e “Prima Minuta”.

Utile an­che per chie­dere ai vari Prof. che si sono ac­co­dati alla au­dace in­ven­zione cri­tica della loro col­lega Paola Ita­lia: ma che ne dite di que­sta dop­pia doz­zina di di­co­to­mie tra Epi­logo e “Prima Mi­nuta” di Man­zoni?
Tutto re­go­lare?

Da parte no­stra, in at­tesa delle au­to­re­voli ri­spo­ste e di una più se­ria do­cu­men­ta­zione sul «Ma­no­scritto Lecco 170» cui fare ri­fe­ri­mento, ci li­mi­tiamo a ri­derne un poco, se­gna­lando che …

I casi sono due: o Camerini ha seguito l’Epilogo, oppure l’Epilogatore è andato al cinema!

Come ab­biamo già an­ti­ci­pato, quat­tro delle si­tua­zioni in cui l’Epilogo è lon­tano da Man­zoni, hanno — molto cu­rio­sa­mente — una più che evi­dente con­so­nanza con il noto film “I Pro­messi Sposi”, rea­liz­zato per Lux Film dal re­gi­sta Ma­rio Ca­me­rini e pre­sen­tato al pub­blico nel di­cem­bre del 1941:

1. Fi­ne­stre e Ter­razze — Nel pro­cesso di mu­ta­mento del Conte del Sagrato/l’innominato, “fi­ne­stra” in Man­zoni, “ter­razza” in Epi­logo e Camerini.

2. Le ese­cu­zioni ca­pi­tali — il 24 di­cem­bre in Man­zoni; il 12 no­vem­bre in Epi­logo, l’11 no­vem­bre in Ca­me­rini — en­trambi, co­mun­que, im­me­dia­ta­mente dopo la rivolta.

3. Il ri­tro­va­mento di Lu­ciaSen­ten­done la voce in Man­zoni; ve­den­done il volto in Epi­logo e Ca­me­rini — due mo­da­lità com­por­ta­men­tali in op­po­si­zione an­che dot­tri­nale.

4. L’acquazzone al Laz­za­retto — In Man­zoni, con Fermo/Renzo lon­tano dal Laz­za­retto (e da Lu­cia); in­sieme a Lu­cia in Epi­logo e in Ca­me­rini — due nar­ra­zioni op­po­si­tive sul senso del matrimonio.

Il let­tore si dirà: ma che c’entra Ca­me­rini con il «Ma­no­scritto Lecco 170» che Paola Ita­lia dà come coevo alla ste­sura della “Prima Mi­nuta” di Man­zoni?
E noi che ne sap­piamo! Even­tual­mente, sarà la Pro­fes­so­ressa a spiegarcelo?

Noi ci li­mi­tiamo a ri­por­tare fatti e do­cu­menti: eccoli!