16. Difformità sugli sposi ricongiunti.
Difformità n. 19 — Invenzione originale.
16.1/ “Se vi fosse Lucia Mandelli ” …
Per orientarsi — Presa e superata la peste a Bergamo, Fermo si reca al paese proprio e di Lucia; incontra Don Abbondio e Agnese che gli narra dei fatti avvenuti. Per ritrovare Lucia, Fermo torna a Milano nel colmo del contagio. Cerca e trova la casa di Don Ferrate presso cui sa dovrebbe essere Lucia.
Vediamo come la cosa è raccontata nell’Epilogo (carta 16r, p. 31):
«giunge alla porta chiusa di D. Ferrante; vi batte; e la cameriera di D.a Prassede, tratta al romore, e spinto il capo fuori della finestra, risponde alla dimanda, se ivi fosse Lucia Mandelli, che essa era caduta inferma di peste, e condotta al Lazzaretto.»
Nuova incongruenza, questa volta di tipo onomastico.
Opportunamente Paola Italia ha segnalato la cosa ma molto superficialmente e limitandosi a indicarla come l’unico dei punti di discostamento tra Epilogo e Prima Minuta.
Abbiamo invece visto che è solo una delle 24 difformità tra i due scritti e che quindi è forse opportuno considerarla con altri occhi.
Diciamone noi qualche cosa di più.
È questa l’unica volta in cui nell’Epilogo si fa il cognome di Lucia e — guarda caso — risulta altro da “Mondella”, indicato da Manzoni nella “Prima Minuta” per quattro volte:
— «Il Conte cavò la sua vacchetta, e dopo aver rivolta qualche carta, lesse: Lucia Mondella», p. 225;
— «Federigo a Don Abbondio: come, non conoscete Lucia Mondella, vostra parrocchiana, che era scomparsa…?», p. 291;
— «Signora, disse Fermo con voce tremante, sta qui una forese, che si chiama Lucia Mondella?», p. 536 (è proprio alla casa di D. Ferrante);
— «Son qui, rispose Fermo [a Don Abbondio], grazie a Dio, e sono ad avvertirla che presto sarà qui anche Lucia Mondella», p. 574.
La superficialità che abbiamo segnalato in Paola Italia è l’avere ignorato questo dato di fatto delle quattro “Mondella”, certo non irrilevante.
Già che siamo capitati su una difformità onomastica, prima di esaminare le ultime difformità di fatto — e vedremo che sono veramente significative — può essere opportuno toccare un’altra difformità di tipo linguistico, completamente ignorata dalla Professoressa — e non è piccola cosa.
Difformità n. 20 — Invenzione originale.
16.2/ “Lazzaretto” dell’Epilogo versus “lazzeretto” di Manzoni.
Come anticipato, da parte della filologa Paola Italia non se ne è fatto neppure un vago accenno ma, rispetto alla “Prima Minuta” di Manzoni (e anche in tutte le successive versioni del romanzo) nell’Epilogo del «Manoscritto Lecco 170» è riscontrabile una vistosissima difformità toponomastica relativa alla denominazione del luogo di ricovero dei colpiti dalle peste.
Vediamo di che si tratta:
— nell’Epilogo la parola “Lazzaretto” si ripete per 11 volte, tutte con l’iniziale maiuscola;
— nella “Prima Minuta” di Manzoni la parola “Lazzaretto” non compare mai;
— compare invece, per 71 occorrenze la parola “Lazzeretto / lazzeretto”, 14 volte con l’iniziale maiuscola (12 delle quali concentrate nel T. 4, cap. 1);
— nelle due edizioni del 1827 e del 1840, Manzoni usa sempre “lazzeretto” con l’iniziale minuscola.
Il lettore non deve pensare che ci sia venuta la fregola della filologia (per carità!).
Se e cosa eventualmente significhi questa macroscopica difformità, ci penseranno gli specialisti a illuminarci.
Per parte nostra, ci siamo limitati a riportare un dato di fatto, ignorato dagli estensori della “diplomatica”, che ci è balzato all’occhio anche perché, parlando di Manzoni, abbiamo sempre presente il breve ma molto informato volumetto pubblicato ai primissimi del 1874 dall’Abate Stoppani, dal titolo “Il giovane A. Manzoni — Spigolature”.
In questo libretto l’Abate non si occupa nello specifico né de “I Promessi Sposi” né tanto meno della “prima minuta” (di questa probabilmente ne sapeva qualcosa, ma nulla più, dall’amico don Natale Ceroli, per dodici anni e fino al 1973 assistente culturale di Manzoni).
Parlando però della figura di Frate Cristoforo (esempio di assistenza caritatevole agli infermi — questo un tema che stava a cuore all’Abate), per 4 volte si riferisce al luogo di assistenza agli appestati di Milano come al “Lazzaretto” (con la maiuscola iniziale e la “a”), come nell’Epilogo in aperta dissonanza con Manzoni, la cui opera l’Abate conosceva benissimo e apprezzava.
Date le caratteristiche dell’intestatario del nostro Centro Studi, possiamo ritenere come molto probabile che la sua non fosse una distrazione ma una voluta seppure tacita “correzione” al termine “lazzeretto” usato da Manzoni.
Per la verità, in questo caso l’Abate avrebbe avuto insieme ragione e torto.
Ragione perché con “Lazzaretto” egli riportava il nome alla sua corretta origine storica (nel Vangelo è inequivocabile il nome Lazzaro; nulla a che vedere con il termine Lazzero/lazzero).
Torto (ai nostri occhi ovviamente) perché avrebbe dovuto avvertire il lettore di questa sua scelta e motivarla.
Rimane comunque il fatto che tra Epilogo e “Prima Minuta” di Manzoni abbiamo questa difformità che non può essere attribuita a curiose abitudini scrittorie del copista ma a una precisa scelta toponomastica.
D’altra parte, la forma “Lazzaretto” in Tommaseo è riportato per autori veneti, emiliani, toscani.
Usò “Lazzaretto” Pio la Croce nella sua Relazione sulle vicende della peste. xxxxtitolo
In Cantù (8titotlo) compare 11 volte “lazzeretto” (con iniziale sia Maiuscola che minuscola).
“Lazzaretto” compare invece a p. 116 («Pei cadaveri poi vaneggiavano due gran fosse una a S. Rocco del Lazzaretto, una al Foppone di P. Romana!); a p. 118 (in una citazione di una “patente” del Tribunale di Sanità del 1632); a p. 122 (in una citazione del Somaglia, Alloggiamento dello Stato). È verosimile che l’unico “Lazzaretto” di penna diretta di Cantù sia stata influenzata dalle altre due ricorrenze, poste nelle immediate vicinanze concettuali e fisiche del volume.
Citare la traduzione di Cusani di Ripamonti e Landino (vedi di chi è la traduzione) = qu è sempre Lazzaretto.
È ben curioso che la filologa Italia non abbia fatto caso a quella selva di “Lazzaretto”, che distingue così nettamente l’Epilogo del “Manoscritto Lecco 170” e la “Prima Minuta” di Manzoni.
Tra l’altro, lo notiamo solo per dovere, il termine proposto da Manzoni non riuscì mai ad attecchire e a scalzare il già affermatisismo “Lazzaretto”, che continua tuttora.
A differenza che per “Abbondio” (con 2 [b]), proprio grazie a Manzoni divenuto standard onomastico nazionale a discapito del corretto nome che in italiano è “Abondio” — senza nessunissimo rapporto con la tendenza allo scempiamento di alcune doppie, individuabile nel Nord Italia.
Ma chiudiamo questa parentesi toponomastica e torniamo alle difformità tra Epilogo e “Prima Minuta” di Manzoni nella narrazione degli aspetti più elementari della vicenda.
Difformità n. 21 — Omogenea al film di Camerini, 1941
16.3/ Per cosa Lucia è riconosciuta da Fermo?
Per orientarsi — Fermo, incontrato Padre Cristoforo al Lazzaretto, dà il perdono a Don Rodrigo e così può porsi alla ricerca di Lucia. A un dato momento la riconosce: da cosa?
Leggiamo che ne dice l’Epilogo (carta 18r, evidenziazioni nostre):
«S’avvolge in quel labirinto; e, cercando da tutti i lati, finalmente [18v] in una capannuccia rimota ritrova due donne, una sorta dalla infermità, e l’altra ammalata. Osserva attentamente; ed ai tratti riconosce nella convalescente la sua Lucia, e n’è da essa riconosciuto.»
L’Epilogo è preciso: Fermo vede due donne, una convalescente e l’altra ammalata; le guarda attentamente e, in una di esse, dai tratti del volto riconosce Lucia.
La descrizione è puntuale ma con nulla ha a che vedere con la “Prima Minuta” di Manzoni che, dal canto suo, descrive in poche righe lo svolgimento del ritrovamento con tutt’altre modalità, dando al contempo una bella rappresentazione del sentimento d’amore uomo-donna.
Prima Minuta (T. 4, cap. 8, 98c, evidenziazioni nostre):
«Le capanne in quel luogo eran tutte abitate da donne; ed egli procedeva lentamente d’una in altra, guardando. Or mentre passando, come per un vicolo, tra due di queste, l’una delle <quali> aveva l’apertura sul suo passaggio, e l’altra rivolta dalla parte opposta, egli metteva il capo nella prima, sentì venire dall’altra, per lo fesso delle assacce ond’era connessa, sentì venire una voce… una voce, giusto cielo! che egli avrebbe distinta in un coro di cento cantanti, e che con una modulazione di tenerezza e di confidenza ignota ancora al suo orecchio, articolava parole che forse in altri tempi erano state pensate per lui, ma che certamente non gli erano mai state proferite: Non dubitate = son qui tutta per voi = non vi abbandonerò mai. […]
In tre balzi girò la capanna, fu su la porta, vide una donna inclinata sur un letto che andava assestando.
– Lucia! chiamò Fermo con gran forza e sottovoce ad un tempo: Lucia!»
Con quasi le medesime parole Manzoni ripete questo quadretto nella Ventisettana e nella Quarantana (unica variante, la frase di Lucia, che diventa: «paura di che? Abbiamo passato ben altro che un temporale; il Signore che ci ha custodite finora, ci custodirà anche adesso»).
Abbiamo quindi due rappresentazioni nettamente difformi:
— nell’Epilogo il riconoscimento avviene attraverso uno scrutare intenso;
— in Manzoni attraverso il riconoscimento della voce.
Non c’è lettore appena appena attento che non sappia il valore che Manzoni attribuisce ai suoni della natura: che siano torrenti, fiumi è la loro “voce” che si sente, prima di ogni altra cosa; così come gli esseri amati che si riconoscono all’udito (dai passi per esempio) prima che alla vista.
Questa è l’esperienza maturata dal giovane Manzoni in una terra dove ancora erano ben distinguibili i suoni della natura, ed è ovvio che egli trasferisca su Fermo/Renzo l’abitudine e la capacità di coglierne le diverse modulazioni.
Ma allora, perché nell’Epilogo si parla di “vedere” e non di “udire, come scritto da Manzoni?
La cosa è curiosa perché nella storia della “riduzioni”, più o meno artistiche, del romanzo di Manzoni, c’è il caso, già citato, nel quale viene operata la medesima sostituzione — e siamo a tre!
16.4/ Camerini/Epilogo: ti riconosco perché ti vedo, ti guardo e ti riguardo.
Per intenderci meglio, scorriamo alcune immagini dal film di Camerini, cominciando da un passo indietro rispetto al momento in cui Fermo / Renzo ritrova Lucia (per non appesantire l’esposizione d’ora in poi ci richiameremo al promesso sposo solo col nome di Renzo).
Al Lazzaretto Renzo incontra Padre Cristoforo che lo sollecita a dare il perdono a Don Rodrigo, appestato e lì ricoverato.
Il giovane acconsente, insieme vanno alla capanna ove è il morente (questa è una sequenza introdotta da Manzoni con la Ventisettana — nella “Prima Minuta” non vi è rapporto diretto con Don Rodrigo e il perdono è garantito da P. Cristoforo).
Renzo dà il perdono al persecutore.
Il Padre Cristoforo lo invita quindi a cercare Lucia: nel perdono da lui dato a Don Rodrigo è la chiave per la felice soluzione; la cerchi con fiducia e con rassegnazione; Renzo gli bacia le mani in atto di riconoscenza e consenso.
Fin qui Camerini segue il testo manzoniano.
Il problema viene adesso.
Salutato Padre Cristoforo, Renzo comincia ad aggirarsi nel Lazzaretto ma inutilmente: dove è finita Lucia? … A un certo punto vede un gruppo di donne convalescenti che si preparano a lasciare il lugubre luogo …
Ma vediamo come propone la cosa la già citata sceneggiatura del film (i numeri indicano le scene, evidenziazioni nostre):
585. (P.P.) Renzo osserva l’uscita delle convalescenti. Va con l’occhio dall’una all’altra. È in preda a una nervosa agitazione.
586. (P.A.) Le convalescenti escono, con esasperante lentezza. Lucia non è tra di esse.
587. (P.P.) Renzo impaziente.
588. (P.A.) La folla diventa sempre più rada. Sono le ultime convalescenti.
589. (P.P.) L’impazienza di Renzo si muta in disperazione. Sta per allontanarsi, deluso, quando un nuovo rumore di passi l’arresta. L’espressione di Renzo subisce un repentino cambiamento. Egli non crede più ai suoi occhi. Guarda meglio. Si slancia in avanti. Il suo volto è raggiante di felicità.
RENZO: — Lucia!.»
Quindi anche per Camerini (come per l’Epilogo) Renzo ritrova Lucia perché ne vede la fisionomia.
Ma — lo abbiamo già indicato sopra — per Manzoni, Renzo ritrova Lucia perché ne sente la voce!
Attenzione! Non stiamo parlando di anatomia: stiamo parlando di una differenza sostanziale, con ampie implicazioni dottrinali.
Non siamo evidentemente una succursale del Vaticano ma è ovvio che, dovendoci occupare di Manzoni e di un momento del suo romanzo nel quale vi è un notevole dispiegamento di elementi etico-religiosi, non possiamo chiudere gli occhi e fare finta di nulla.
16.5/ Manzoni: ti riconosco immediatamente perché mi giunge la tua VOCE!
Per comprendere quanto sia differente la narrazione di Camerini/Epilogo da quella di Manzoni, dobbiamo riprendere ciò quest’ultimo scrive sull’intero processo vissuto da Renzo / Fermo dal momento in cui trova Padre Cristoforo al Lazzaretto e insieme affrontano il tema del rapporto con Don Rodrigo (T. 4, cap. 7, 92d, p. 553):
[Padre Cristoforo] Fermo! giuri tu il perdono?…
– Ah! lo giuro, rispose Fermo in tuono solenne. […]
– Sì, Fermo, a Don Rodrigo = […] Vedi tu questo pane? Lo conservo da quarant’anni; l’ho mendicato nella casa di quello sventurato… l’ho avuto dai suoi come un pegno di pace, e di perdono. […] Prendi, – e porse il pane a Fermo – conservalo ora tu: è il dono ch’io posso lasciarti per mia memoria. […]
Fermo non disse nulla, ma il suo volto esprimeva il pentimento.
– Or va, disse il padre alzandosi, Iddio benedica le tue ricerche.»
In Manzoni, quindi, Fermo dà senz’altro il perdono a Don Rodrigo PRIMA di mettersi alla ricerca di Lucia e di impetrare per questo l’intervento divino.
La questione (per Manzoni, si intende, e per la dottrina cristiana) è importante: solo essendosi purificato con l’avere dato il perdono (funzione divina che però è alla portata anche di ogni essere umano) Fermo può aspirare a essere ascoltato da Dio nella sua invocazione di ritrovata serenità.
Ma questo è solo un pre-requisito.
Avendo dato il perdono, Renzo è ora puro e può chiedere un intervento della Provvidenza: fatemi ritrovare quella benedetta ragazza!
La invocazione di Renzo viene rappresentata da Manzoni con tutti i crismi (T. 4, cap. 8, 97d, evidenziazioni nostre):
«Si prostrò su gli scaglioni del tempio, fece a Dio una preghiera, o per dir meglio, un viluppo di parole scompigliate, di frasi interrotte, di esclamazioni, di domande, di proteste, di disdette, uno di quei discorsi che non si fanno agli uomini, perché non hanno abbastanza penetrazione per intenderli, nè sofferenza per ascoltarli; non sono abbastanza grandi per sentirne compassione senza disprezzo. Si levò di là più rincorato e si avviò.»
È subito dopo questa invocazione a Dio che Renzo ritrova Lucia.
E come volete che risponda Dio all’invocazione di un fedele se non attraverso la propria VOCE?
16.6/ In Epilogo/Camerini è l’umano ad agire; in Manzoni è il divino.
Parliamo un po’ in punto di dottrina: nel Cristianesimo (a differenza che nell’Ebraismo e nell’Islamismo, le altre due grandi religioni rivelate nelle quali Dio comunica con l’uomo esclusivamente attraverso la parola) la rivelazione di Dio all’uomo passa anche attraverso la vista e le immagini — la comunicazione non è aniconica come le altre due.
Ma ciò non toglie il rilievo assoluto della Parola (Logos) intesa come modalità primaria ed eterna della Creazione/Rivelazione, che pur si è manifestata visivamente nella storia con l’Evento della Incarnazione.
Detto altrimenti: anche se nel Cristianesimo l’immagine ha un ruolo positivo, lo ha solo nella misura in cui “dice” un richiamo che eccheggia da sempre, perché trasmette il rapportarsi e relazionarsi di Dio con l’uomo, facendosi da lui sentire e non restando muto.
Ed è quindi del tutto ovvio che, a Renzo, Manzoni faccia ritrovare Lucia attraverso la VOCE.
Si intende che è Dio che parla a Fermo attraverso Lucia; e infatti la frase che Renzo sente è a doppio registro: «Non dubitate = son qui tutta per voi = non vi abbandonerò mai.», dove, oltre che la donna fedele al suo amato, è ovviamente la divinità che assicura: non abbandonerò mai colui che non dubita!
Badate che, a differenza della necessità di una doppia guardata come nell’Epilogatore/Camerini, in Manzoni, Renzo non ha bisogno di sentire ripetere la indicazione divina, per definizione perfetta: «sentì venire una voce… una voce, giusto cielo! che egli avrebbe distinta in un coro di cento cantanti».
Qui Manzoni scrive a prova di tonti: è inequivocabile!
È quindi chiaro: per il duo Epilogatore/Camerini Renzo trova Lucia attraverso un proprio impulso, rimanendo in un ambito esclusivamente umano.
Per Manzoni, invece, è Dio che, da lui pregato, consente a Renzo di ritrovare Lucia: i teologi ci consentano il linguaggio un po’ alla mano: all’uomo spetta il compito gravoso (ma anche esaltante) di non essere un pupazzo in balia della divinità ma di potere influire su se stesso e sulla collettività con la propria intelligenza, moralità e volontà — il che è perfettamente in linea con la concezione di Provvidenza che proprio in quel torno di tempo Manzoni viene elaborando: la Provvidenza governa l’Universo ma l’uomo non ne è affatto un elemento passivo.
A prescindere dal profilo esistenziale che ognuno di noi può avere, è chiaro a chiunque che, quella indicata dal duo Epilogo/Camerini da una parte e Manzoni dall’altra, non è difformità di dettaglio ma va al cuore dell’intero impianto del romanzo di Manzoni.
Non siamo in grado di affermare su base documentale a cosa sia dovuto questo significativo allontanamento da Manzoni da parte di Camerini: più che a una volontà di revisione del pensiero di Manzoni ci sembra si debba ascrivere a semplice inconsapevolezza.
Vista la formazione familiare di Mario Camerini (di origine aquilana e di una famiglia di magistrati, ai primi del ’900, il padre Camillo era un noto avvocato, con ruoli di responsabilità nel Partito Socialista in Roma — il che però non significa molto), è probabile che il suo sguardo (ci sembra tendenzialmente laico e con non evidenti interessi per gli aspetti teologici) non abbia neppure percepito l’opportunità di valutare con attenzione questi aspetti, apparentemente insignificanti ma invece rilevanti sul piano culturale-religioso.
Del pari, uno degli sceneggiatori del film, il giovanissimo Gabriele Baldini (nel 1950 con lui si sposerà in seconde nozze Natalia, dal 1944 vedova di Leone Ginsburg), con tutto il suo talento letterario non sembra avere avuto alcuna consapevolezza dei contenuti dottrinali del romanzo di Manzoni.
Ciò che invece fa specie è l’essere esattamente sulla sua stessa traccia narrativa l’Epilogatore che (ce lo dice come altamente probabile la Professoressa Paola Italia) doveva essere sia un intrinseco di Manzoni sia — addirittura — un ecclesiastico.
Non è che, anche in questo caso, l’Epilogatore, dimenticando di essere sia un intrinseco di Manzoni sia un ecclesiastico, sia rimasto così preso da Camerini da riprodurre con la sua penna (su fogli eventualmente prodotti entro il 1835) ciò che aveva visto sullo schermo, in un qualche momento dopo il dicembre 1941?
Anche qui scherziamo, naturalmente!
Ma, intanto, mostriamo come hanno risolto la cosa gli altri tre registi:
— Bonnard (1922) ha anticipato Camerini, tradendo Manzoni (Renzo e Padre Cristoforo si aggirano per il Lazzaretto; Renzo vede da una porta Lucia); il film era muto e forse poteva risultare macchinoso il mostrare il suono di una voce (tutto si può fare comunque! e anzi ne sarebbe venuta una cosa rimarchevole).
— Bolchi (1969), invece, per questa sequenza è stato fedele a Manzoni, mostrando bene che il problema non era di carattere tecnico-scenico (Castelnuovo sente alle sue spalle la voce di Lucia, entra nella capanna: vi ritrovo!).
— Nocita (1989), infine, ha scelto di dare un colpo al cerchio e uno alla botte (Quinn sente e vede insieme la sua Lucia).
16.7 / Sempre nel Lazzaretto un grappolo di difformità.
A conclusione di questo regesto delle difformità tra Epilogo del «Manoscritto Lecco 170» e “Prima Minuta” di Manzoni, dobbiamo evidenziarne un grappolo, tutto relativo alla parte conclusiva del ritrovamento al Lazzaretto di Lucia da parte di Fermo.
Le difformità sono tre e si susseguono l’un l’altra.
Meritano però di essere evidenziate partitamente per le importanti implicazioni di ognuna di esse sui contenuti “morali” (usiamo questo termine sempre in senso lato) della nostra discusssione.
Riteniamo quindi opportuno, presentare prima di tutto il testo dell’Epilogo a esse relativo per poi esaminare ogni singola difformità.
Vediamo quindi come le cose sono presentate nell’Epilogo (carta 19r-19v-20r, p. 37-38-39, evidenziazioni nostre):
«[Padre Cristoforo] si rende alla capanna di Lucia. E qui la persuade, ed in nome della Chiesa la scioglie dal voto. Quindi si congeda, dando agli sposi promessi un addio, che bene si avvisano essere l’ultimo.
Rimane Fermo; e consente, che Lucia resti ad assistere la compagna, donna facoltosa, finché sia ristabilita. E perchè lo scroscio d’immensa pioggia seguito all’apparso nembo minaccioso fece [19v] rallentare la peste, vi rimase esso pure.
In questo mezzo, ecco furiosamente avventarsi, e presentarsi alla capanna un appestato frenetico, lacero, livido, presago di morte vicina; ed era / oh spettacolo! / D. Rodrigo, il quale, sebbene trasognato, aveva raffigurati nel passaggio il P. Cristoforo, e Fermo. Egli, sbarrando due occhi mezzo fra istupiditi e furiosi, ribalza indietro, e, datosi a correre pel campo, afferra un cavallo de’ Monatti, e gettatosi d’un salto sopra, come furiosamente inseguito da’ Monatti, perduta ogni lena, cade e muore, ed è condotto alla fossa.
Fermo, e Lucia colla compagna, veduta la trista fine di quel prepotente, gli pregano pace, avendo Fermo obbliata la vendetta, e promesso perdono [20r] all’esortazione del P. Cristoforo.
Ma, cessando ormai dovunque il flagello della peste, sortono da Lazzaretto; e la compagna si offre a scortarli alla loro terra, ed a fornire un equipaggio di vesti a Lucia, volendo prender parte alla di Lei consolazione.»
Questo brano dell’Epilogo sembra essere stato strutturato per dire chiaro e tondo anche al lettore più distratto: guarda che quanto leggi qui ha poco a che vedere con la “Prima Minuta” di Don Lisander.
Per capire perché, vediamo intanto di rendere più intelleggibile il testo, decisamente ingarbugliato:
1/ Facendo intendere sia l’ultimo incontro, P. Cristoforo si congeda dai due sposi e lascia la capanna.
2/ Fermo invece vi rimane; concorda che Lucia assista la compagna [è la vedova assistita da Lucia] fino a guarigione completa.
3/ Inizia l’acquazzone che farà rallentare la peste; Fermo rimane al Lazzaretto.
4/ “Nel mezzo” [non è chiaro fra quale dei tre punti sopra esposti], alla capanna si presenta un esagitato Don Rodrigo; squadra con furia gli Sposi; fa dietro-front; inforca un cavallo dei Monatti; inseguito dagli stessi lo lancia al galoppo; cade, muore, è sepolto.
5/ Fermo, Lucia e la vedova pregano per lui, avendo Fermo, sollecitato da P. Cristoforo [non è detto quando], promesso il perdono.
6/ Esauritasi la peste, entrambi gli sposi lasciano il Lazzaretto per il loro paese; li accompagna l’amica di Lucia che le dona il corredo.
L’Epilogo mette a dura prova la pazienza del lettore ma soprattutto non lascia dubbi sulla sua estraneità rispetto a Manzoni che nella sua “Prima Minuta” la racconta ben diversamente:
1/ Sciolta Lucia dal voto di castità, P. Cristoforo raccomanda agli sposi l’unità nell’amore.
2/ Mentre egli parla di amore e rispetto, appare Don Rodrigo, stravolto e lacero, che guata con furore e paura: visti passare, non visto, Fermo e il Padre gli era rinato il desiderio di vendetta; intravistili nella capanna aveva udito la voce del Padre, che già in altra occasione (all’inizio del romanzo) aveva disprezzata.
3/ Lucia ne è terrorizzata; Padre Cristoforo e Fermo hanno invece un moto di compassione e gli si avvicinano per aiutarlo; lo seguono per un tratto mentre il delirante fugge correndo frenetico verso la chiesa.
4/ Don Rodrigo si appropria di un cavallo dei monatti, vi sale e lo lancia al galoppo, provocando lo scompiglio generale.
5/ I due uomini tornano alla capanna; P. Cristoforo invita a pregare per l’infelice; dopo un momento di silenzio, concertano il da farsi: Fermo partirà immediatamente, troverà ricovero lungo il cammino; andrà al paese a dare le nuove ad Agnese; andrà a Bergamo a predisporre per la famiglia; tornerà al paese in attesa di Lucia per celebrare le nozze con Don Abbondio.
6/ Lucia vuole attendere che l’amica sia guarita; con tutti d’accordo, questa promette di accompagnare Lucia e di donarle il corredo.
7/ La notte è ormai prossima, P. Cristoforo invita Fermo a mettersi in cammino; al giovane spiace soprattutto di lasciare il buon frate che forse non rivedrà; lo riverisce; saluta Lucia e la vedova; ormai col buio esce dal Lazzaretto diretto a Lecco.
8/ Il P. Cristoforo assicura Lucia che Don Rodrigo non tornerà; raccomanda le donne a un frate e lascia la capanna; Lucia lo segue; vedono Don Rodrigo morto portato da un gruppo di monatti che lo gettano su un carro commentandone con scherno la fine; il Padre raccomanda a Lucia di pregare per il poveretto; si allontana definitivamente; commossa, Lucia rientra alla capanna.
9/ Nella notte si scatena la tempesta; Renzo alloggia come può e il terzo giorno, sempre sotto l’acqua battente, giunge al paese; poi va a Bergamo; ritorna al paese, ecc. ecc.
10/ Guarita la vedova, Lucia passa la quarantena in casa di questa lavorando al corredo; alla fine vengono a sapere che il P. Cristoforo è morto; vanno insieme al paese degli sposi, dove Renzo è in attesa della promessa per celebrare il matrimonio, ecc. ecc.
Rispetto al testo di Manzoni (che Paola Italia sostiene essere reso fedelmente dal manoscritto in esame) l’Epilogo in 198 parole contiene quindi tre difformità strutturali, significative anche sul piano dei contenuti etici del romanzo di Manzoni:
— che P. Cristoforo sia assente durante l’incursione di Don Rodrigo;
— che durante e dopo lo “scroscio d’immensa pioggia” Fermo se ne stia tranquillo al Lazzaretto, assieme alla sua Lucia e alla vedova;
— che, ormai esauritasi la peste, i due sposi e la vedova partano insieme per Lecco.
Analizziamo queste tre difformità.
Difformità n. 22 — Invenzione originale.
16.7/ “Padre Cristoforo quindi si congeda” …
Lo abbiamo già evidenziato: secondo l’Epilogo Don Rodrigo irrompe quando Padre Cristoforo “si è già congedato”, ossia non è più con i promessi.
Il che non è tanto un diverso modo di presentare fatti (cosa ammissibilissima in qualsiasi riduzione di un’opera letteraria) ma è un diverso modo di intendere il contenuto dei fatti.
Padre Cristoforo e Don Rodrigo: si chiude il cerchio.
Ripetiamolo: secondo l’Epilogo, l’apparizione di Don Rodrigo avverrebbe quando già P. Cristoforo si è congedato definitivamente dai quasi sposi.
Come abbiamo poco sopra sintetizzato, in Manzoni il Padre è invece presentissimo e, come sempre, svolge un ruolo decisamente attivo.
Da notare che Manzoni, con questa sequenza, chiude il cerchio del rapporto tra Padre Cristoforo e Don Rodrigo, avviato a inizio racconto nel troppo noto incontro al palazzo di Don Rodrigo, finito con maledizioni da una parte e minacce di bastonatura dall’altra.
Da notare, inoltre, che Manzoni ci propone questa conclusione richiamando il ruolo della VOCE, che abbiamo già sviluppato nel capitolo precedente a proposito delle modalità di ritrovamento di Lucia da parte di Fermo (T. 4, cap. 9, 110b, p. 571, evidenziazioni nostre):
«Quell’infelice da una capanna, […] aveva veduto passarsi davanti Fermo, e poi il Padre Cristoforo; senza esser veduto da loro. Quella comparsa aveva suscitato […] l’antico furore, e il desiderio della vendetta […] in un tale delirio […] aveva tenuto dietro da lontano a quei due. […] mettendo il capo su la porta aveva rivedute in iscorcio quelle figure. Quivi […] udì quella voce ben conosciuta che nel suo castello aveva intuonata al suo orecchio una predica troncata allora da lui con rabbia e con disprezzo ma che aveva però lasciata nel suo animo una impressione che s’era risvegliata nel tristo sogno precursore della malattia. […] Quella voce lo teneva immobile a quel modo che altre volte si credeva che le biscie stessero all’incanto.»
Nella ricerca di Lucia, la divinità si rivela a Fermo attraverso la voce della amata.
A Don Rodrigo in delirio, anch’egli alla ricerca di Lucia ma con ben altre intenzioni, la divinità si rivela attraverso la voce del sacerdote/frate, in inevitabile continuità oppositiva al suo animo ottenebrato dalla prepotenza.
È ovvio anche a un bimbo che, in assenza di P. Cristoforo, risulterebbe impossibile rappresentare questo snodo espositivo, decisamente articolato sul piano concettuale,
Ma l’Epilogo si fa un baffo della coerenza narrativa e dottrinale e scodella il suo inconsapevole minestrone di parole in libertà.
Difformità n. 23 — Omogenea al film di Camerini, 1941
16.38/ “Fermo vi rimase egli pure” …
È questa dell’Epilogo una trovata narrativa veramente “innovativa” rispetto a Manzoni che — lo abbiamo visto in sintesi più sopra — la racconta in modo radicalmente diverso.
Secondo l’Epilogo, il P. Cristoforo se ne va; si scatena la temesta; Fermo rimane.
Dove rimane? Nella capanna di Lucia e della vedova, posta nell’area del Lazzaretto riservata alle donne?
Il Promesso sposo aspetta lì non solo che spiova ma anche che “sia cessato ovunque il flagello della peste”; quindi 2 giorni di pioggia + almeno 20 giorni di quarantena = tre settimane?
È così?
Il lettore non si deve inquietare per il nostro uso del calendario: quando ci si trova di fronte a conclamate manifestazioni di marasma narrativo e intellettivo, bisogna pure fissare dei termini di riferimento condivisibili! o no?
Comunque, l’Epilogatore, ancora una volta — e siamo a quattro — alla compagnia di Manzoni preferisce quella di Camerini.
Alla pioggia, e al modo con cui viene accolta da chi era al Lazzaretto, Camerini dedica una carrellata lunga 110 secondi tutta articolata sul ringraziamento alla divinità per il nubifragio (c’è anche un malato che — la scena risulta inevitabilmente grottesca — muore sotto l’acquazzone facendosi il segno della croce).
Si dirà: e che c’è di strano? la popolazione in Milano era molto religiosa e quindi …
Benissimo!
Qui però non stiamo discutendo su se e come fossero religiosi i milanesi ma in che modo Manzoni ritenne di rappresentare quel determinato fenomeno nel quadro del più ampio evento della peste e della vicenda dei due promessi sposi.
Lasciando per il momento da parte il tema tempesta/peste (discorso interessante ma estraneo a questa Nota) dobbiamo ricordare che, comunque sia, in Camerini, mentre si scatena la tempesta Renzo è al Lazzaretto con Lucia.
E lì “rimane esso pure” (proprio come scritto nell’Epilogo), perché il regista ha la bella trovata di fare terminare proprio lì, al Lazzaretto, il romanzo: con Renzo e Lucia che fianco a fianco, in ginocchio, estatici ringraziano il Signore.
E poi che fanno? Camerini non lo mostra ma ogni spettatore, inevitabilmente, ne ricava che, di fatto, in quel momento i promessi si sono ricongiunti — anzi si possono considerare come sposati.
Camerini infatti non ci dice nulla sul capitolo conclusivo de “I promessi Sposi”, in Manzoni denso di contenuti etici, tra cui — fondamentale — la celebrazione del matrimonio.
Più sotto illustriamo in dettaglio come questa invenzione narrativa di Camerini ( e dell’Epilogatore) non solo non segue Manzoni (in una riduzione non è obbligatorio un ricalco in ghisa dell’originale) ma è in opposizione con lui su una questione molto seria: il rapporto tra Renzo e Lucia.
E allora vediamo come la racconta Manzoni — è una storia tutta diversa.
Attraverso la penna di Don Lisander, Padre Cristoforo insiste perché Fermo si allontani subito dal Lazzaretto (e da Lucia) (T. 4, cap. 9, 111c, p. 572):
«Dopo un momento di silenzio, il pensiero che venne a tutti fu di concertare insieme quello che era da farsi: e i concerti furon questi: che Fermo partirebbe tosto, giacchè ivi non v’era ospitalità da offerirgli, cercherebbe un ricovero per la notte in qualche albergo e all’indomani si rimetterebbe in via pel suo paese, […]»
non solo, ma al promesso sposo fa anche dire che ne è contento (T. 4, cap. 9, 112a, p. 573):
«E tu, disse poi a Fermo, che stai qui tardando? il tempo, come vedi, si fa più nero, e la notte si avvicina = affrettati di cercare un ricovero.
Convien dire ancora ad onore di Fermo che in quel momento non gli doleva tanto lo staccarsi da Lucia appena trovata, è vero, ma ch’egli contava di riveder presto, quanto dal Padre Cristoforo, che restava lì a morire.»
Alla luce di queste inequivocabili espressioni di Manzoni risulta veramente curioso ciò che invece ci dice l’Epilogo — ripetiamolo — secondo cui Fermo si sarebbe fermato per tre settimane al Lazzaretto con Lucia — per soprammercato, essendosi il Padre Cristoforo da loro “definitivamente congedato”.
Il lettore potrebbe pensare che sì, effettivamente, questa narrazione dell’Epilogo non c’entra proprio nulla con Manzoni; ma forse la “Prima Minuta” in questo punto non era ben leggibile e quindi il povero Epilogatore ha preso involontariamente un abbaglio.
Spiace dire che non è affatto così: il manoscritto di Manzoni in questa sequenza è perfettamente leggibile, come può constatare ogni lettore scorrendo i manoscritti di Manzoni messi molto opportunamente a disposizione del pubblico sotto la direzione di Giulia Raboni (e la collaborazione della stessa Paola Italia)
Difformità n. 24 — Invenzione originale.
16.8/ “Sortono da Lazzaretto e la compagna si offre a scortarli alla loro terra” …
Delle 24 difformità tra Epilogo e “Prima Minuta” questa è sicuramente la più bizzarra e anche la più lontana da qualunque elaborazione di Manzoni.
Per rinfrescare la memoria del lettore riprendiamo dall’Epilogo (carta 19r-19v-20r, p. 37-38-39, evidenziazioni nostre):
«Rimane Fermo; e consente, che Lucia resti ad assistere la compagna, […] E perchè lo scroscio d’immensa pioggia seguito all’apparso nembo minaccioso fece [19v] rallentare la peste, vi rimase esso pure. […] Ma, cessando ormai dovunque il flagello della peste, sortono da Lazzaretto; e la compagna si offre a scortarli alla loro terra.»
Quindi, secondo l’Epilogo, Fermo se ne sta al Lazzaretto, aspettando non solo che spiova ma anche che si esaurisca la peste.
Dopo di che, passata la quarantena, con la sua Lucia e con la nuova amica (facoltosa) se ne vanno tutti e tre a Lecco, per il matrimonio, ecc.
Ci sarebbe da farsi una risata e mollarla lì ma dobbiamo andare fino in fondo!
Come appare anche al lettore più distratto, l’Epilogo ha qui quasi tenuto a evidenziare la sua estraneità a Manzoni — un poco come i falsari che, appositamente, producono banconote con imperfezioni evidenti, al fine di fruire di uno sconto di pena in caso di arresto.
Manzoni ovviamente la racconta in modo totalmente differente e anche con implicazioni etiche non irrilevanti.
È proprio in questo snodo della narrazione che Manzoni presenta in sintesi e in modo molto discorsivo la propria idea di Provvidenza proprio attraverso i pensieri e gli atteggiamenti di Fermo/Renzo che, lasciato il Lazzaretto e Milano, sotto la pioggia battente cammina verso Lecco, anche saltellando come un ragazzino tra le tante pozze d’acqua che costellando il suo cammino (nella Ventisettana Manzoni lo paragona a un cane barbone che si scuote) — ci torniamo sopra più avanti, parlando dei due film (di Camerini 1941 e Nocita 1989) nei quali Fermo/Renzo è mostrato sotto la pioggia al Lazzaretto.
Qui è sufficiente avere rilevato questa pacchiana e ultima diffornità tra Epilogo e “Prima Minuta”.
Utile anche per chiedere ai vari Prof. che si sono accodati alla audace invenzione critica della loro collega Paola Italia: ma che ne dite di questa doppia dozzina di dicotomie tra Epilogo e “Prima Minuta” di Manzoni?
Tutto regolare?
Da parte nostra, in attesa delle autorevoli risposte e di una più seria documentazione sul «Manoscritto Lecco 170» cui fare riferimento, ci limitiamo a riderne un poco, segnalando che …
I casi sono due: o Camerini ha seguito l’Epilogo, oppure l’Epilogatore è andato al cinema!
Come abbiamo già anticipato, quattro delle situazioni in cui l’Epilogo è lontano da Manzoni, hanno — molto curiosamente — una più che evidente consonanza con il noto film “I Promessi Sposi”, realizzato per Lux Film dal regista Mario Camerini e presentato al pubblico nel dicembre del 1941:
1. Finestre e Terrazze — Nel processo di mutamento del Conte del Sagrato/l’innominato, “finestra” in Manzoni, “terrazza” in Epilogo e Camerini.
2. Le esecuzioni capitali — il 24 dicembre in Manzoni; il 12 novembre in Epilogo, l’11 novembre in Camerini — entrambi, comunque, immediatamente dopo la rivolta.
3. Il ritrovamento di Lucia — Sentendone la voce in Manzoni; vedendone il volto in Epilogo e Camerini — due modalità comportamentali in opposizione anche dottrinale.
4. L’acquazzone al Lazzaretto — In Manzoni, con Fermo/Renzo lontano dal Lazzaretto (e da Lucia); insieme a Lucia in Epilogo e in Camerini — due narrazioni oppositive sul senso del matrimonio.
Il lettore si dirà: ma che c’entra Camerini con il «Manoscritto Lecco 170» che Paola Italia dà come coevo alla stesura della “Prima Minuta” di Manzoni?
E noi che ne sappiamo! Eventualmente, sarà la Professoressa a spiegarcelo?
Noi ci limitiamo a riportare fatti e documenti: eccoli!