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Note critiche a: «Viaggio nel mondo dei Promessi Sposi» – 7 aprile 2018 – RAI3/Alberto Angela

18 giugno 2018
Lettera aperta ad Alberto Angela – Ottavo approfondimento

Quanto segue è uno degli otto allegati della «Lettera aperta ad Alberto Angela» di commento alla trasmissione «Viaggio nel mondo dei Promessi Sposi» andata in onda il 7 aprile 2018 – RAI3, 21:30.
I collegamenti alle altre parti della lettera sono riportati al piede di questa pagina o nel menù principale in testata.

Manzoni rimosso da Duomo e Biblioteca Ambrosiana.

Del Duomo ignorata la funzione di cuore della città di ieri e di oggi.

Dall’Ambrosiana rimosso ogni riferimento al Manzoni che ne fu uno straordinario promotore.

Duomo di Milano: nel racconto manzoniano è il “parlamento” di chi non ha parola.

Questo tema di approfondimento dedicato al Duomo di Milano ha nella trasmissione di RAI3-ANGELA il tempo più lungo (11:57 minuti) ma è insieme quello posto meno in relazione non solo con “I Promessi Sposi” e il pensiero di Manzoni, ma anche – paradossalmente – con lo stesso Duomo.

Angela ci parla infatti dal Tiburio della cattedrale, immediatamente sotto la Madonnina, e ci decanta la vista che si gode da quella posizione. Ma non ci mostra nulla, non solo del famoso Resegone, che da lì sarebbe perfettamente visibile, ma anche della città.
Inoltre, delle tante statue di cui parla, egli evidenzia solo una veramente mediocre composizione raffigurante il lottatore-pugile-attore Primo Carnera.

Chi si aspettava di vedere almeno qualcuna di quelle belle sculture che caratterizzano il Duomo, come i famosi “doccioni” o i “giganti” (molti sono veramente belli e molti realizzati proprio nel Seicento) è rimasto deluso. Angela si è limitato a qualche ripresa nel Museo del Duomo, a una veloce carrellata sulle navate interne e sulle tante vetrate.

Ma veniamo al come la trasmissione ci ha parlato del Duomo in relazione a “I Promessi Sposi”.

[43:44] ANGELA: «Durante il tragitto Renzo è combattuto tra paura e speranze e desideri di vendetta, finché scorge l’ottava meraviglia, così la chiama Manzoni, di cui Renzo ha sentito parlare fin da bambino e la segue come se fosse una stella polare.
Di cosa si tratta? Seguiamo ancora le parole del Manzoni. È quella della “gran macchina del duomo sola sul piano”. Macchina nel senso che il Duomo era ancora un edificio in costruzione e la costruzione del Duomo infatti fu molto molto lunga e allora ecco come doveva apparire agli occhi di Renzo nel Seicento e soprattutto come appare oggi.»

Lo abbiamo appena letto: secondo RAI3-Angela Renzo, alle viste di Milano, guarda al Duomo come a quell’elemento cui si presta assoluta fiducia per giungere alla desiderata meta.

Dobbiamo purtroppo rilevare che anche in questo caso il romanzo viene malamente citato. In proposito infatti Manzoni scrive proprio l’opposto di ciò che ci suggerisce la trasmissione.

[“I Promessi Sposi”, 1840, Cap. XI, pag. 230]: «[Renzo] si fermò su due piedi, dimenticando tutti i suoi guai, a contemplare anche da lontano quell’ottava maraviglia, di cui aveva tanto sentito parlare fin da bambino.»

ma immediatamente di seguito prosegue:

«Ma dopo qualche momento, voltandosi indietro, vide all’orizzonte quella cresta frastagliata di montagne, vide distinto e alto tra quelle il suo Resegone, si sentì tutto rimescolare il sangue, stette lì alquanto a guardar tristamente da quella parte, poi tristamente si voltò, e seguitò la sua strada.»

Ecco! nel suo primo viaggio a Milano, per Renzo quell’ottava meraviglia contava ben poco a fronte del Resegone, magico sfondo alla sua Lecco (rimossa dalla trasmissione di RAI3-Angela).

Il riferimento al Duomo come “stella polare” è in un tutt’altro contesto del romanzo, quattrocento pagine più avanti, quando cioè Renzo torna – per la seconda volta – nella Milano devastata dalla peste, alla ricerca di Lucia.

Manzoni scrive [Cap. XXXIII, pag. 647]: «… mise la testa fuori, e non vedendo nessuno, scese di dov’era salito, uscì di dov’era entrato, s’incamminò per viottole, prendendo per sua stella polare il duomo.»

Ecco! qui il richiamo alla “stella polare” come elemento di certezza ha un senso. Renzo ignora se troverà Lucia viva, ma con quel riferimento alla stella polare Manzoni ci predispone, in modo quasi subliminale, allo scioglimento positivo della vicenda.

Ci sembra di sentire qualcuno dire: «Questi del Centro Studi Abate Stoppani vogliono proprio cercare il pelo nell’uovo. Insomma! Angela non ha mai detto di volere fare di questa puntata di Ulisse una lezione filologica sul Manzoni.»
Certo!

Ma qualcuno lo ha forse obbligato a intitolare la sua puntata «Viaggio nel mondo dei Promessi Sposi»?
Avrebbe potuto chiamarlo in tanti altri modi – per esempio «Lecco, chi l’ha vista?Capri-cavalli al LazzarettoEros e Thanatos a MonzaDuelli nell’Ottocento Lombardo / Laziale» e sbizzarrirsi a piacere (per chi volesse approfondire i temi accennati, i titoli scherzosi – ma non troppo – conducono a nostri commenti seriosi sui diversi argomenti).

Ma se RAI3-ANGELA hanno ritenuto di rifarsi esplicitamente a “I Promessi Sposi”, allora devono essere coerenti con se stessi e con gli spettatori paganti.
E occuparsi quindi anche dei contenuti e dei meccanismi interni del romanzo di Manzoni – non usarne il nome come semplice richiamo, con quello che i milanesi chiamano ancora “gibigiana”, specchietto per allodole.

Ma andiamo avanti.

Ricordate le parole con cui Angela chiude la presentazione di questo approfondimento? «ecco come doveva apparire [il Duomo] agli occhi di Renzo nel Seicento e soprattutto come appare oggi.».

Dopo queste parole, prende inizio una lunga presentazione (dieci minuti) nel corso della quale si parla di molte cose attinenti al Duomo: numero di statue, guglie, vetrate, Madonnina (realizzata nel dicembre 1754), pilastri, marmo di Candoglia, superficie occupata, facciata, ecc. ecc.

Insomma un lungo promo a favore del Duomo di Milano e presumibilmente del suo indotto turistico. Nulla di male per carità (come nativi non può che farci piacere) ma che c’entra tutto ciò con Manzoni, “I Promessi Sposi”, Renzo, e con il Seicento, il presunto protagonista del romanzo?

E pensare che, invece, Manzoni del Duomo di Milano parla parecchio, dedicandovi anche alcune illustrazioni molto dettagliate.

A differenza di quanto sembra pensare Angela nel suo sottolineare l’espressione “grande macchina sola nel piano”, a Manzoni interessa ben poco della parte architettonica o estetica del Duomo e in proposito fa solo due incisi:

[Cap. XV, pag. 249]: «La voglia d’osservar gli avvenimenti non potè fare che il montanaro, quando gli si scoprì davanti la gran mole, non si soffermasse a guardare in su, con la bocca aperta»
.
e poche righe più in là [pag. 250]:
«diede un occhiata anche alla facciata del duomo, rustica allora in gran parte e ben lontana dal compimento».

Ciò è quanto dice Manzoni nel romanzo sull’aspetto fisico della cattedrale.

Del Duomo Manzoni vuole invece evidenziare la funzione collettiva, il suo essere – nel bene e nel male – un elemento di riferimento per la città.

Ieri come oggi la piazza può diventare il “parlamento” di chi non ha parola.

[Cap. XV, pag. 249 e 250]: «[…] andò dietro a uno che, fatto un fascio d’asse spezzate e di schegge, se lo mise in ispalla, avviandosi, come gli altri, per la strada che costeggia il fianco settentrionale del duomo […] L’uomo del fascio lo buttò su quel mucchio; un altro, con un mozzicone di pala mezzo abbruciacchiato, sbracia il fuoco: il fumo cresce e si addensa; la fiamma si ridesta ; con essa le grida sorgon più forti. “Viva l’abbondanza! Moiano gli affamatori ! Moia la carestia! Crepi la Provvisione! Crepi la giunta! Viva il pane!” »

E quella stessa sera, prima dell’arresto, Renzo si era scambiata la parola con i rivoltosi:

[Cap. XV, pag. 274]: «A rivederci a domani. – Dove? – Sulla piazza del duomo. – Va bene. – Va bene. – E qualcosa si farà. – E qualcosa si farà.»

E prima di essere trascinato dai birri con i manichini ai polsi, chiede: «Passeremo dalla piazza del duomo? domandò poi al notaio.»

Perché sa che lì, in quella piazza, c’è chi lo può aiutare. Cosa che infatti avviene: la folla preme sui birri e gli grida «scappa, scappa, galantuomo: lì c’è un convento, ecco là una chiesa, di qui, di là

E fuggendo [Cap. XVI, pag. 310]: «Renzo arriva sulla piazza del duomo; l’attraversa, passa accanto a un mucchio di cenere e di carboni spenti, e riconosce gli avanzi del falò di cui era stato spettatore il giorno avanti; costeggia gli scalini del duomo, rivede il forno delle grucce, mezzo smantellato, e guardato da soldati.»

Ma la piazza può esprimere anche la sconfitta della parola e il trionfo della cecità e della follia collettiva.

[Cap. XXXI, pag. 599]: «Alcuni, ai quali era parso di vedere, la sera del 17 di maggio, persone in duomo andare ungendo un assito che serviva a dividere gli spazi assegnati a due sessi, fecero, nella notte, portar fuori della chiesa l’assito e una quantità di panche […] Quel volume di roba accatastata produsse una grand’impressione di spavento nella moltitudine, per cui un oggetto diventa così facilmente un argomento. Si disse e si credette generalmente che fossero state unte in duomo tutte le panche, le pareti, e fin le corde delle campane.»
.
.[Cap. XXXI, pag. 607] «Tre giovani compagni francesi […] venuti per veder l’ Italia, per istudiarvi le antichità […] s’erano accostati a non so qual parte esterna del duomo, e stavan li guardando attentamente. Uno che passava, li vede e si ferma; gli accenna a un altro, ad altri che arrivano: si formò un crocchio, a guardare, a tener d’occhio coloro, che il vestiario, la capigliatura, le bisacce, accusavano di stranieri e, quel ch’ era peggio, di francesi. Come per accertarsi ch’era marmo, stesero essi la mano a toccare. Bastò. Furono circondati, afferrati, malmenati, spinti, a furia di percosse, alle carceri.»

Dal Duomo poi parte la processione, voluta dalla gerarchia ecclesiastica (solo con qualche riserva anche dal Cardinale Borromeo), cui il Magistrato di Sanità non ha il coraggio di opporsi apertamente e che inconsapevolmente contribuisce a diffondere il contagio.

[Cap. XXXII, pag. 608] «l’undici di giugno, […] la processione usci, sull’alba, dal duomo. Andava dinanzi una lunga schiera di popolo, donne la più parte.»
.
.[Cap. XXXII, pag. 610]: «La processione passò per tutti i quartieri della città: a ognuno di que’ crocicchi, […] che allora serbavano l’antico nome di carrobi […] si faceva una fermata […] di maniera che si tornò in duomo un pezzo dopo il mezzogiorno. Ed ecco che, il giorno seguente, mentre appunto regnava […] una fanatica sicurezza che la processione dovesse aver troncata la peste, le morti crebbero, in ogni classe, in ogni parte della città […]»

E dal Duomo parte quella «storia, creduta […] dal popolo, e, al dir del Ripamonti, non abbastanza derisa da qualche uomo di peso, girò per tutta Italia e fuori.»

.[Cap. XXXII, pag. 618] «Si raccontava […] che un tale, […] aveva visto arrivar sulla piazza del duomo un tiro a sei, e dentro, con altri, un gran personaggio, con una faccia fosca e infocata, con gli occhi accesi, coi capelli ritti, e il labbro atteggiato di minaccia.

Mentre quel tale stava intento a guardare, la carrozza s’era fermata; e il cocchiere l’aveva invitato a salirvi […] erano smontati alla porta d’un tal palazzo, dove […] aveva trovato amenità e orrori, deserti e giardini, caverne e sale; e in esse, fantasime sedute a consiglio.

Gli erano state fatte vedere gran casse di danaro, e detto che ne prendesse [a patto] che accettasse un vasetto d’unguento, e andasse con esso ungendo per la città. Ma non avendo voluto acconsentire, s’era trovato, in un batter d’occhio, nel medesimo luogo dove era stato preso.

Questa storia, creduta […] dal popolo, e, al dir del Ripamonti, non abbastanza derisa da qualche uomo di peso, girò per tutta Italia e fuori.»

Come si vede, ne “I Promessi Sposi”, facendo perno sul Duomo, Manzoni fornisce una abbondante messe di elementi relativi alla peste, alla credulità popolare, alla debolezza dei gruppi dirigenti, utilissimi per capire il Seicento e i meccanismi della vita sociale e politica d’ogni tempo.

Allo scrittore interessa proprio poco l’architettura del Duomo e molto la sua funzione sociale.

E vuole invece evidenziare che là dove non è prevista dalle leggi una istituzione di mediazione, nella quale abbiano voce i diversi e anche contrastanti interessi sociali, questa può prendere forma al di fuori della legge.

Soprattutto nei momenti di crisi, quando ogni decisione può significare la vita o la morte, il cosiddetto “popolo”, ossia chi non ha alcuna possibilità di influire sulle decisioni, trova luoghi propri in cui esprimersi, organizzarsi e dai quali imporre i propri interessi.

Nel racconto delle giornate della rivolta per il pane, Manzoni cita infatti piazza del Duomo in diverse riprese come centro di raccolta dei rivoltosi e punto di riferimento.
In mancanza di strutture rappresentative la piazza diventa il “parlamento” del popolo in rivolta.

Manzoni aveva visto questo processo (che si è frequentemente ripetuto nella storia) svolgersi sotto i propri occhi nel 1814 quando, caduto di fatto il napoleonico Regno d’Italia si era aperta una fase di assenza di potere.

Assieme ad altre 130 personalità della città Manzoni aveva firmato il 19 aprile una petizione perché venissero convocati i Collegi Elettorali per decidere sulla costituzione di un autonomo Regno di Lombardia.

Il giorno successivo, il 20 aprile, la folla aveva linciato Prina, già Ministro delle Finanze del Regno d’Italia, di fronte a Palazzo Blondel, a due passi dall’abitazione di Manzoni e dal Duomo.
Manzoni, terrorizzato, non era riuscito a vincere le sue fragilità e solo Ugo Foscolo, correndo il rischio di finire male a sua volta – ma comunque inutilmente – si era messo di mezzo, cercando di salvare Prina.

Pietro Custodi dà un’altra versione (“Uomini illustri”, Cap. IV – Ms. ital. 1555, fol 195 r°) nel ricordare l’omicidio di Prina, suo intimo amico e ai cui ordini era stato funzionario del Ministero:
«Assicurasi che Alessandro Manzoni siasi trovato tra i nobili spettatori che nel giorno 20 aprile 1814 applaudivano, su piazza S. Fedele di Milano, agli sforzi dei tumultuanti, i quali finirono con l’assassinio del ministro Prina; e che egli, commosso da quel funesto esito, abbia poi concepito tali rimorsi di avervi indirettamente partecipato, fino ad essere per molto tempo afflitto da veglie notturne agitatissime, che diedero grave timore per la sua salute.»
A questo episodio riteniamo risalga l’ostilità di Custodi per Manzoni, di cui abbiamo già avuto modo di parlare (vedi il nostro Di chi era figlio A. Manzoni?).

Qualunque sia stato l’andamento dei fatti e il ruolo dello scrittore nell’omicidio di Prina, Manzoni nel descrivere la piazza del Duomo ha ben presente le dinamiche dell’insurrezione popolare e la sua possibile ferocia, unita a una ancora più possibile debolezza di prospettive e di proposte operative in mancanza di una guida consapevole.

La piazza è il grande ventre della città, luogo di socialità ma anche braciere per fuochi a volte incontrollabili anche con sviluppi del tutto contrari alla socialità stessa.

Come è facile vedere dalle citazioni da “I Promessi Sposi” sopra riportate, Manzoni tratteggia il ruolo del Duomo nella rivolta per il pane o nell’assalto della peste in modi nettamente distinti.

Nel primo momento – la rivolta per il pane – il Duomo e la sua piazza diventano per i rivoltosi centro di ritrovo e di azione; luogo a cui guardare come elementi di certezza per la collettività che lì si riunisce per tutelare i propri interessi. Dalle autorità religiose, che nel Duomo hanno il loro riferimento, escono anche le risorse per alleviare le miserie.

Nel secondo momento – la peste – il Duomo diventa invece il luogo della divisione, della violenza interna, della follia isterica, di tutte le pulsioni negative della collettività, indotte dalla incapacità e dal cinismo dei gruppi di potere e di governo. In questa fase le stesse autorità religiose diventano simbolo di miope superstizione, favorendo paradossalmente il male nell’atto stesso di invocare la divinità a protezione del male.

E di tutto ciò – e delle tante altre cose che si potrebbero dire – perché Angela, pur dedicando al Duomo ben undici minuti, nulla dice?

Nulla in contrario verso gli spot turistici. Ma se si riuscisse a mettere insieme qualche ragionamento, oltre alle belle figurine, forse questi stessi spot potrebbero funzionare meglio – per gli affari ma soprattutto per la cultura collettiva.

Biblioteca Ambrosiana: celebrata da Manzoni come luogo di sapere universale creato per chi non ha sapere.

Nel nome di Manzoni, da parte di RAI3-ANGELA sistematica la rimozione di Manzoni dalla cultura ambrosiana e nazionale.

Abbiamo già detto che ognuno degli “approfondimenti” della trasmissione “Viaggio nel mondo dei Promessi Sposi” condotto da Alberto Angela e andato in onda sabato 7 aprile 2018 su RAI3, ha una sua particolarità.

Questo — che ci presenta la Biblioteca Ambrosiana di Milano — è da segnalare per la straordinaria rimozione di ogni possibile riferimento a Manzoni nella vicenda della Biblioteca stessa, uno dei gioielli della cultura mondiale.

[1:28:51] ALBERTO ANGELA: «Li abbiamo visti: due attori straordinari. Murray Abraham come l’Innominato e Burt Lancaster come Borromeo. Durante il colloquio con il cardinale si pente del male fatto e decide di liberare Lucia.
Borromeo è un personaggio realmente esistito e decisamente carismatico. Una figura alla quale la città di Milano deve molto. Basti pensare che si deve a lui una delle istituzioni ancora più prestigiose della città, la Biblioteca Ambrosiana.»

[1:29:21] VOCE FUORI CAMPO: «Basta entrare nella Biblioteca Ambrosiana per avere un’idea della lungimiranza e dell’apertura mentale di Federico Borromeo.
Sono i primi anni del Seicento, Federico è arcivescovo di Milano e mette a disposizione del pubblico i suoi libri a stampa: 30.000 secondo Manzoni, e i manoscritti: 14.000.
Sono documenti preziosi tra cui il trattato sulla prospettiva di Piero della Francesca; gli studi di matematica e geometria di Luca Pacioli e questo magnifico manoscritto con le opere di Virgilio decorato con una miniatura di Simone Martini. Il manoscritto è appartenuto a Francesco Petrarca; sui margini si possono leggere le annotazioni scritte dal poeta.

La cosa singolare è che l’istituzione voluta da Borromeo raccoglieva opera di tutte le culture e religioni e soprattutto di ogni ramo del sapere. Chiunque fosse interessato poteva consultarli. La biblioteca metteva a disposizione carta e calamai per poter prendere appunti.»

Questo brano andrebbe incorniciato e tenuto a insegnamento di come NON si debba fare divulgazione culturale, almeno per quattro buone ragioni.

1. Il nome di Manzoni ridotto a fugace citazione.

Nel presentare la storia della Biblioteca Ambrosiana, il nome di “Manzoni” viene ricordato in modo del tutto incidentale: «Federico è arcivescovo di Milano e mette a disposizione del pubblico i suoi libri a stampa: 30.000 secondo Manzoni, e i manoscritti: 14.000.»

RAI3-Angela nulla dicono del fatto che Manzoni sia il più noto e brillante commentatore e presentatore della storia dell’Ambrosiana dal 1607 a oggi.

Né dicono che Manzoni – caso unico in tutto il suo romanzo – ha dedicato alla descrizione di nascita, funzionamento, scopi della prestigiosa Biblioteca Ambrosiana ben tre pagine (740 parole contro le 250 di RAI3-ANGELA, ma senza citazioni entusiastiche di Burt Lancaster): bastava leggere.

Eppure nel sito Web della Biblioteca Ambrosiana la cosa è ricordata bene: «Il programma culturale di Federico, che Alessandro Manzoni celebrò nei Promessi Sposi […]»: bastava copiare.

2. Oltre alla rimozione anche l’errore.

La cosa divertente (ma non troppo) è che anche in questa rimozione di Manzoni, RAI3-ANGELA riescono a prendere un abbaglio.
Vediamo.

Riprendiamo ancora la frase di RAI3 «[Federico] mette a disposizione del pubblico i suoi libri a stampa: 30.000 secondo Manzoni, 14.000 manoscritti […]».

Cosa necessariamente ne ricava il telespettatore? Che Federico aveva nella propria disponibilità privata 30.000 libri e 14.000 manoscritti e che a un certo punto li mise a disposizione del pubblico, con un atto di grande liberalità.

Siamo certi che le cose fossero in questi termini? Basta leggere la frase de “I Promessi Sposi” – ma intera, non come nelle ricerchine delle medie – per accorgersi che Manzoni dice tutt’altra cosa.

[Cap. XXII, pag. 418, sottolineatura nostra]: «[…] questa biblioteca ambrosiana, che Federigo ideò con sì animosa lautezza, ed eresse, con tanto dispendio, da’ fondamenti; per fornir la quale di libri e di manoscritti, oltre il dono de’ già raccolti con grande studio e spesa da lui, spedì otto uomini, de’ più colti ed esperti che potè avere, a farne incetta, per l’Italia, per la Francia, per la Spagna, per la Germania, per le Fiandre, nella Grecia, al Libano, a Gerusalemme. Così riuscì a radunarvi circa trentamila volumi stampati, e quattordicimila manoscritti.»

Secondo Manzoni (e secondo la realtà storica) Borromeo nell’avviare ciò che egli stesso definì con bella espressione “Per un servizio universale” certamente donò suoi libri privati alla Biblioteca inaugurata nel 1609, ma ciò è del tutto irrilevante rispetto al vero dono che Federico lasciò ai suoi contemporanei e ai posteri, che bene viene descritto da Manzoni.

3. Dopo l’errore l’incomprensione.

Rileggete la frase di Manzoni: «spedì otto uomini, de’ più colti ed esperti che potè avere, a farne incetta, per l’Italia, per la Francia, per la Spagna, per la Germania, per le Fiandre, nella Grecia, al Libano, a Gerusalemme.»

E poi ancora:

[Cap. XXII, pag. 419] «[…] Alla biblioteca unì un collegio di dottori (furon nove, e pensionati da lui […]; e il loro ufizio era di coltivare vari studi, teologia, storia, lettere, antichità ecclesiastiche, lingue orientali, con l’obbligo ad ognuno di pubblicar qualche lavoro sulla materia assegnatagli; v’unì un collegio da lui detto trilingue, per lo studio delle lingue greca, latina e italiana; un collegio d’alunni, che venissero istruiti in quelle facoltà e lingue, per insegnarle un giorno; v’unì una stamperia di lingue orientali, dell’ebraica cioè, della caldea, dell’arabica, della persiana, dell’armena; una galleria di quadri, una di statue, e una scuola delle tre principali arti del disegno.»

e ancora:

«Prescrisse al bibliotecario che mantenesse commercio con gli uomini più dotti d’Europa, per aver da loro notizie dello stato delle scienze, e avviso de’ libri migliori che venissero fuori in ogni genere, e farne acquisto; gli prescrisse d’indicare agli studiosi i libri che non conoscessero, e potesser loro esser utili; ordinò che a tutti, fossero cittadini o forestieri, si desse comodità e tempo di servirsene, secondo il bisogno.»

Come si vede dagli elementi evidenziati da Manzoni, Federico ebbe non tanto il merito di aprire la propria borsa personale, quanto di riuscire a coinvolgere l’intera società in un’operazione culturale di respiro internazionale.

Non solo quindi la gerarchia della Chiesa (su sua sollecitazione Papa Clemente VIII, con Breve pontificio aveva garantito al nascente Collegio dei Dottori dell’Ambrosiana autorità e sostegno economico, a spese del Collegio Borromeo di Pavia) ma anche molti privati che colsero in quella straordinaria iniziativa gli elementi per l’affermazione della cultura umanistica e “italiana”, con tutti i limiti dell’espressione per quei tempi.

In questo consiste la grandezza di Federico, si può proprio dire “celebrata” da Manzoni: non nell’aver donato qualche centinaio di pur costosi libri o stampe o quadri ma nell’aver attivato un grande meccanismo di “sussidiarietà culturale” (il lettore ci passi l’espressione, che vuole essere solo suggestiva) in un’epoca di totale carenza dei poteri amministrativi pubblici.

Manzoni mette in luce questo aspetto dell’attività della Chiesa milanese, facendone la seconda faccia dell’altra grande azione “sussidiaria” della Chiesa: l’assistenza ai malati nel corso della peste del 1630, diretta con autorevolezza ed efficienza da Federico che – anche su questo diverso versante – diede prova della sua grande capacità organizzativa e di suscitatore di sinergie.

Manzoni non fu un grande estimatore delle qualità intellettuali di Federico (per molti aspetti da lui giudicato uomo veramente dei suoi tempi, anche negli aspetti più arretrati) ma per questi lampi di genialità sociale ne fece il personaggio delle classi alte più di spicco del suo romanzo.

4. Rimuovere Manzoni è rimuovere la cultura degli umili.

Per concludere, è opportuno anche solo ricordare che l’omaggio di Manzoni al Cardinale Federico per la sua formidabile iniziativa dell’Ambrosiana si collocava nel quadro dell’azione a favore della cultura di massa condotta per tutta la lunga vita dall’autore de “I Promessi Sposi”.

[Cap. XXII, pag. ]: «Non domandate quali siano stati gli effetti di questa fondazione del Borromeo sulla coltura pubblica: sarebbe facile dimostrare in due frasi, al modo che si dimostra, che furon miracolosi, o che non furon niente; cercare e spiegare, fino a un certo segno, quali siano stati veramente, sarebbe cosa di molta fatica, di poco costrutto, e fuor di tempo. Ma pensate che generoso, che giudizioso, che benevolo, che perseverante amatore del miglioramento umano, dovess’essere colui che volle una tal cosa, la volle in quella maniera, e l’esegui, in mezzo a quell’ignorantaggine, a quell’inerzia, a quell’antipatia generale per ogni applicazione studiosa, e per conseguenza in mezzo ai cos’importa? e c’era altro da pensare? e che bell’invenzione! e mancava anche questa, e simili; che saranno certissimamente stati più che gli scudi spesi da lui in quell’ impresa; i quali furon centocinquemila, la più parte de’ suoi.»

Su questa celebrazione di Manzoni della Biblioteca Ambrosiana sono stati scritte vagonate di libri e ci limitiamo a fare presenti le pagine di Italo Calvino che nel suo “Il sistema del potere nei Promessi sposi” (2001) scrive: «tutto il romanzo culmina nella fondazione della Biblioteca Ambrosiana, a coronare il centro ideale del libro, la vita di Federigo Borromeo».

Calvino tenne sempre a valorizzare il più possibile Manzoni, vedendolo come alfiere di una cultura estesa a tutte le componenti della società. L’immaginifico scrittore certamente si sarebbe trovato a disagio nel vedere la trasmissione di RAI3-ANGELA che invece di cogliere l’occasione per considerazioni (sarebbero state sufficienti poche frasi) sul tema della cultura generalizzata, sempre di grande attualità, ha preferito esaltare della Biblioteca Ambrosiana il carattere più elitario.

Utile forse in chiave turistica ma per nulla conforme sia allo spirito di Federico Borromeo sia di Alessandro Manzoni, di cui si è addirittura rimosso ogni contributo a favore della grande istituzione informata alla “cultura universale”.