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Gentili Lettori,
di seguito trovate la

NOTA CRITICA COMPLETA

del nostro Centro Studi Abate Stoppani

alla edizione Einaudi 2024 de «Il Bel Paese».

Domenica 7 aprile ne era stata presentata una prima parziale sezione.

Chi la avesse già visionata, può continuare la lettura passando direttamente alla seconda sezione, utilizzando questo link.

Grazie e buona lettura!

Milano, sabato 6 aprile 2024

Questa Nota è dedicata alla appena pubblicata edizione de “Il Bel Paese” dell’Abate Antonio Stoppani, proposta da Giulio Einaudi Editore, a cura del suo Presidente, Professor Walter Barberis.

La Nota è senza alcun vincolo di proprietà letteraria: quanto è qui contenuto sarà da chiunque liberamente utilizzabile (gradita la citazione della fonte, ovviamente).

Grazie per la lettura e per la diffusione che ne vorrete fare.

Fabio Stoppani
Centro Studi Abate Stoppani
fabio-stoppani@alice.it

Una informazione forse non inutile al lettore: ho scritto questa Nota anche perché legato per ragioni familiari alla memoria dell’Abate Stoppani — il mio bisnonno Giovanni Maria gli era fratello minore e, anch’egli adepto delle scienze naturali, fu per anni suo compagno / assistente nelle tante escursioni scientifiche descritte ne “Il Bel Paese”.

È tempo di excelsior Non di sciatterie!

Abate Antonio Stoppani
(Lecco, 1824 – Milano 1891).
Sacerdote, patriota democratico, geologo, letterato, figlio di Lucia Pecoroni e di Giovanni Maria.

Abate Antonio Stoppani (Lecco, 1824 – Milano 1891).
Sacerdote, patriota democratico, geologo, letterato, figlio di Lucia Pecoroni e di Giovanni Maria.

NEL BICENTENARIO

della nascita dell’Abate Antonio Stoppani (Lecco, 15 agosto 1824) ben vengano i contributi seri, istruttivi, ­­fedeli alla storia di noi tutti.

Ma a un editore pur di prestigio, in questo caso in evidente confusione, diciamo chiaro e tondo: 

giù le mani
dall’abate Stoppani!

Nota critica sull’appena pubblicata edizione Einaudi de “Il Bel Paese” di Antonio Stoppani, curata dal Presidente / Professore Walter Barberis.

Tra refusi e inaccettabili violenze al testo dell’Abate Stoppani

311 Gli errori materiali

62 i refusi di composizione!

Tradito l’impegno di fedeltà all’originale “nella grafia e negli usi tipografici”, sono stati eliminati senza alcuna ragione i corsivi in didascalia delle 39 incisioni dell’originale di Stoppani, creando ambiguità sulla struttura della lettura — proprio ciò che Stoppani aveva evitato accuratamente anche col ricorso ai corsivi!

Eliminate le 210 “testatine” personalizzate, poste da Stoppani in testa di ogni pagina dispari per guidare al meglio il lettore ideale — giovani e anche di acerba cultura!

Dal frontespizio originale censurata la citazione di Petrarca:
«……… il BEL PAESE
Ch’Appennin parte, e ’l mar circonda e l’Alpe»! — come se dietro non ci fosse un preciso ragionamento!

Non la perfetta e parlante copertina originale ideata da Stoppani (Vesuvio, simbolo dell’unicità del nostro Paese e delle nuove attività produttive, figlie della scienza) ma l’anonimo ritaglio di un dipinto (“The Travelling Companions – Le compagne di viaggio”, 1862, del pittore inglese Augustus Leopold Egg), ultima delle 16 “illustrazioni nazionali” — definizione donataci per iscritto dal Prof. Barberis — che inframmezzano le pagine di questa infelice edizione.

Il Bel Paese”
dell’Abate Antonio Stoppani, 1876

Il Bel Paese”
secondo Einaudi / Barberis, 2024

In carrozza ferroviaria di prima classe, attraversano un territorio non italiano (siamo in Francia, Mentone — eh sì! nel 1862 era definitivamente francese) due “gemelle” eleganti e piacenti, in speculare opposizione: una è tutta compostina, l’altra è abbandonata al sonno con espliciti segnali di sensualità: capelli sciolti, bocca socchiusa, abito sbottonato sotto il seno, nel cestino al suo fianco arance, simbolo di amore e fertilità.

Non è solo stolida incongruenza editoriale ma un insulto all’Abate: attaccato dal clero reazionario per la sua lotta contro il potere temporale del Papa, il Nostro venne pubblicamente calunniato come “ammogliazzato” e “mercatore di sorrisi inverecondi” (forma elegante per puttaniere), “danzante al prato con qualche mopsa accanto” (“Mopsa” era ninfa particolarmente attraente — forma letteraria per prostituta di alto bordo).

Allora l’Abate vinse la battaglia, anche in tribunale.
E ora, certo inconsapevolmente, con quelle floride ragazzotte sulla copertina del suo “Il Bel Paese”, Einaudi ripropone ingenuamente gli insulti dei vecchi arnesi della reazione, ormai cancellati dalla storia.

Nella “Introduzione” del Professor Barberis, Stoppani è detto “lecchese di origine” (era egli forse nato in Argentina o in Australia da emigranti lecchesi?)!

Sempre lì, taciuti mese, giorno di nascita e il nome dei genitori: l’intelligente, colta e facoltosa madre Lucia Pecoroni e il sagace nonché generoso padre Giovanni Maria, rampollo di famiglia, nel secolo allora appena passato, potente in Milano.

Taciuto l’anno del suo ordinamento a Sacerdote.
Lo diciamo noi: fu il 17 giugno del 1848, appena tornato dalla straordinariamente sanguinosa battaglia di Santa Lucia, anch’essa taciuta.
Come taciuta è la sua partecipazione alla Terza Guerra di Indipendenza, 1866, inquadrato nella Croce Rossa e “uomo probo” della sua squadra, aggregata all’armata Cialdini!

Non una parola da Einaudi sulla ventennale azione di Stoppani per la memoria di Manzoni contro gli attacchi del clero reazionario — non era solo omaggio al poeta: era difesa delle conquiste risorgimentali.

Silenzio sulla sua straordinaria promozione di Lecco come città di Manzoni e de “I Promessi Sposi”!
La città ne ha invece sempre tenuto affettuosa memoria e nel 1927 all’Abate venne eretto un grande monumento di ottima fattura.

Barberis, oltre che dei monumenti a Stoppani (il secondo è a Milano, a lato del Museo di Storia Naturale che egli a lungo diresse), si è scordato e di Manzoni (mai neppure citato) e del suo monumento in Lecco, voluto e realizzato da Stoppani con il contributo anche dei nostri nonni, 130 anni fa bambini delle elementari.
Di queste “dimenticanze” al Prof. nessuno ha ancora detto nulla — chissà se ora qualcuno a Lecco gliene chiederà conto la prima volta che andrà in città.

Non una parola sul lungo impegno per la Carta Geologica d’Italia (scienza e cultura delle democratiche comunità regionali­­ contro la burocrazia militarizzata)!

Silenzio voluto sul Bicentenario della nascita (1824-2024) ma suo sfruttamento per il lancio editoriale!
A noi il Prof., lo ha scritto il 25 marzo: «Le confesso che non ho scritto del bicentenario intenzionalmente; anche la occasione temporale, celebrativa, non fa bene ai libri. Ne restringe il campo d’azione, li situa in un luogo e in un tempo.».

Dissentendo fermamente da questa concezione deformante e svalutativa della funzione della memoria collettiva, pensiamo che il 12 aprile, al Politecnico di Lecco, sarà cosa curiosa vedere il Professor Barberis (ospitato con tutti gli onori per promuovere un prodotto di spropositato prezzo dell’impresa di cui è Presidente), al centro dell’Atto primo delle celebrazioni del Bicentenario dell’Abate Stoppani, come esplicitamente scritto nel programma del Comune, trasmesso all’intera umanità (trascriviamo testualmente, particolarità ortografiche comprese):

«ANTONIO STOPPANI
BICENTENARIO DELLA NASCITA

Venerdì 12 aprile, ore 18.45
Politecnico di Lecco, Aula Magna

“La nuova edizione Einaudi de Il bel Paese”

Saluti istituzionali: Simona Piazza (Vicesindaco, Assessore alla Cultura Comune di Lecco) / Francesco Locatelli (Presidente Rotary club Lecco).

Tavola rotonda: Walter Barberis (storico – Università di Torino) e Mauro Bersani (editor dei Classici Einaudi) dialogano con Bruno Biagi (Associazione Promessi sposi in circolo). Coordina Mauro Rossetto, Direttore Sistema Museale Urbano Lecchese.»

Protesterà il Professor Barberis per quel “bicentenario” messo a cappello della sua promozione editoriale?

Pudicamente il Comune di Lecco ha evitato di segnalare che:
1/ Walter Barberis, oltre che “storico – Università di Torino” è dal 2014 anche Presidente di Giulio Einaudi Editore, nonché curatore del volume che verrà presentato;
2/ Bruno Biagi, per 23 anni e fino al 2015, è stato titolare della libreria “Punto Einaudi” di Lecco.

Riassumendo: una partita con una sola squadra in campo — e Simona Piazza, Assessora alla Cultura di Lecco nonché Vicesindaco, a fare da madrina alla lecchese trasferta commerciale della più importante casa editrice del bel paese.

Ma un qualcun altro (critico, storico, letterato, scienziato, religioso, politico, semplice cittadino di buon senso) che non fosse direttamente coinvolto con Einaudi, non si poteva trovare? Tanto per dire: è stato un dibattito!

Il prezzo di vendita della edizione Einaudi è di 85,00 Euro,­­ un arrogante insulto all’Abate Stoppani: egli sempre offrì “Il Bel Paese” al minimo prezzo perché anche il più umile degli italiani potesse averlo nella propria casa!

Auspichiamo che Giulio Einaudi Editore voglia rimediare a questa sciatta edizione: ne compili una degna dell’Abate Antonio Stoppani e la diffonda a pochi Euro in tutte le contrade de­­l nostro BEL PAESE!

Così rimarrà l’Einaudi che sempre abbiamo apprezzato!

Perché qualcuno non pensi che al nostro Centro Studi piace parlare a vanvera, presentiamo subito al lettore il capitoletto relativo ai 62 errori di composizione regalati da Einaudi al lettore per gli 85,00 Euro incassati per questa singolare edizione de “Il Bel Paese” — se da una balza del San Martino l’Abate potesse leggerla (è lì sicuramente), di certo darebbe mano al suo inseparabile alpenstock!

Errori di composizione

62

gli errori di composizione de “Il Bel Paese”, Edizione Einaudi 2024.

62 gli errori di composizione de “Il Bel Paese”, Edizione Einaudi 2024.

Qui di seguito i 62 (sessantadue) errori di composizione riscontrati dal Centro Studi Abate Stoppani, confrontando la scrittura Einaudi (l’ultima pagina è la 577) con l’originale edito da Stoppani nel 1876.

In prima colonna il numero/ di pagina dell’Edizione Einaudi in cui è stato riscontrato l’errore di composizione (quando al numero segue [n], ci si riferisce alla nota a piè di pagina.
A seguire, l’errore di composizione, evidenziato in rosso e chiuso con parentesi quadra].
A seguire ancora il testo corretto, evidenziato in blu, come datoci dall’Abate Stoppani nella sua edizione del 1876.

005/ romanzo storico] romanzo storico

007/ vulcanicità, l’Italia] vulcanicità, per cui l’Italia

007/ adottarsi] addottarsi

007/ invenzione, essa, è] invenzione, essa è

019/ Via Lattea] Via Lattea

022/ album] album

026/ festa del Club Alpino] festa del Club Alpino

028/ Club alpino] Club alpino

030/ faremo poi, il costituirsi] faremo poi. Il costituirsi

035/ sussidi] sussidî

038/ “Il numero dei disastri”] «Il numero dei disastri»

043n/ Sogni d’ossa] Sogni l’ossa

043n/ le tue vittime sogno] le tue vittime sogni?

045/ «Mi fanno compassione] Mi fanno compassione

046/ ai San Martino] al San Martino

046/n passeggi.] passeggi. Di là, riunite in una sola cerchia nevosa e dentata, si prospettano le Alpi e le Prealpi.

053/ sotto la piaga] sotto la plaga

059/ “dalla signora […] amica”] «dalla signora […] amica»

060/ lo arringo] lo arringò

062/ Monte Pelino] Molte Pelmo

064n/ cioè le pitture] cioè le pitture

066/ che Borea] che Borca

067/ è bellissimo tutto] è bellissimo, tutto

068/ vedete un odore] vedete! un odore

071/ Club alpino italiano] Club alpino italiano

073/ che le fonde] che le floride

087/ agilità, nel salto] agilità nel salto

093/ fin che posso.] fin che posso. —

098/ bronzi fasi] bronzi fusi

110/ «La valle sempre] La valle sempre

116/ a vapore fino,] a vapore, fino

129/ E la gran via] È la gran via

145/ cento indi] cento iridi

145/ sfamano] sfumano

154/ pennacchi] pennacchî

156n/ Campanula rhomhoidalis] Campanula rhomboidalis

156/ Calla palustre] Calta palustre

159n/ Gentiana cibata] Gentiana ciliata

177/ in atto i] in atto di

181/ tassare un piccolo mare] passare un piccolo mare

184/ Un sole] Un SOLE

200/ Il ministro […] della natura] «Il ministro […] della natura»

246/ Infine la lima] Infine la luna

273/ perenne mora] perenne morìa

295/ Un pozzo alla Chinese] Un pozzo alla chinese

312/ Le salse di Nirano] Le salse di Nirano

312/ L’uomo del fuoco] L’uomo del fuoco

362n/ metri 8504] metri 85,04

374/ torre Sciancata] torre sciancata

386/ lontana ardente] fontana ardente

391/ cancellata la firma dell’incisore nella illustrazione

396/ quei mastri volanti] quei mostri volanti

416/ sembra che a o non] sembra che a 0º non

440/ ai turchino] al turchino

453/ Firenze, 1571] Firenze, 1871

467/ l’inglese Tervis] l’inglese Jervis

481/ fuochi di vini] fuochi divini

535/ Eruzione del 1689] Eruzione del 1669

551/ 20 gradi sotto o] 20 gradi sotto 0

561/ meglio mi torni».] meglio mi torni.

563/ E la celebre] È la celebre

564n/ Serata XXVII a pag. 487] Serata XXVII a pag. 533

577/ S. Martino!»] S. Martino!» FINE

Sezione seconda — Interventi arbitrari

249

gli interventi arbitrari sul testo di Antonio Stoppani ne “Il Bel Paese”, Edizione Einaudi 2024.

249 gli interventi arbitrari sul testo di Antonio Stoppani ne “Il Bel Paese”, Edizione Einaudi 2024.

Da considerare come “errori” — ma ancora più gravi — gli arbitrari interventi “correttivi”.

Passiamo ora a un argomento vicino a quello appena trattato.

Nella edizione Einaudi vi sono parecchie centinaia di interventi arbitrari di Einaudi a “correzione” del testo dell’Abate. Richiamiamo l’attenzione del lettore su questo aspetto non secondario.

Nella dichiarazione di intenti che abbiamo sopra riportato, Einaudi assicura al potenziale acquirente che: 

«Salvo per la correzione di alcuni refusi evidenti, grafie usi tipografici originali sono stati lasciati invariati.»

Si tratta di un impegno e insieme di una promessa molto forte e tale da attirare l’attenzione di tanti che per professione o per cultura vogliono compulsare un testo di metà Ottocento proprio con le caratteristiche grafiche originali — non al computer, su pdf di lettura non sempre agevole ma in una comoda e ben leggibile forma cartacea.

Le ragioni sono infinite: per quanto riguarda noi, appena abbiamo letto quelle righe a pagina 3, abbiamo messo da parte le riserve sul prezzo eccessivo e ci siamo detti: caro Fabio Stoppani, apri il borsellino e prendi il libro — ci verrà buono.

Guardando però qua e là con un poco di attenzione ci siamo accorti che la promessa / impegno di Einaudi era impegno da marinaio e che in molte situazioni il curatore o si è scordato di quanto promesso oppure se ne è fatto un baffo.

Comunque sia le parole dell’impegno / promessa di Einaudi sono da una parte troppe e dall’altra troppo poche.

Sono poche
perché Einaudi avrebbe dovuto indicare anche cosa esattamente volesse indicare con le espressioni “refusi”, “grafie” e “usi tipografici” che, non essendo espressioni univocamente definite, possono voler dire insieme molte cose e nessuna.

Sono troppe
perché Einaudi ha firmato un impegno, perfettamente disatteso.

Vediamo meglio il come si manifesta questo “tradimento”, cominciando col chiarirci sui termini — in prima battuta vedendo insieme che significa “refuso”, termine storicamente abbastanza ben definito.

I refusi.

Nel linguaggio tipografico e redazionale, il lemma “refuso” risale ai primi tempi della composizione tipografica quando i caratteri di stampa erano distribuiti in modo ben definito nelle casse tipografiche, ognuna composta da tante cellette, ognuna della quali destinata a uno specifico carattere: il compositore quasi non guardava dove metteva le mani ma, come un esperto violinista metteva le dita nel posto giusto, pescava i caratteri nella celletta predefinita e metteva il carattere in composizione.

Se nella fase di smontaggio di una composizione già usata (in latino ciò si chiamava “refundere”) l’addetto a questa importante funzione avesse messo fuori posto un carattere, il compositore sarebbe inconsapevolmente ma certissimamente incorso in un refuso.

Oggi, per refuso, si intende un qualsiasi errore tecnico si commetta nella composizione, ovviamente sulle diverse tastiere dei sistemi informatici.

Nel 1876, prima edizione de “Il Bel Paese”, si componeva ancora carattere per carattere; i refusi erano abbastanza frequenti e la responsabilità non era ovviamente degli autori: stava al correttore delle bozze individuarli e segnalarli per la correzione — e qui invece l’autore doveva assumersi le sue responsabilità: a una lettura non attentissima il refuso poteva sfuggire (senza luce elettrica, la nitidezza dello scritto non era un granché).

Giustamente Einaudi ha corretto questi refusi di composizione sfuggiti alla correzione delle bozze da parte di Stoppani in quel lontano 1876. Per esempio: “mantagne” [montagne] (p. 54/66); “e i mar Caspio” [e il mar Caspio] (p. 294/352) e altri che è inutile elencare. Di questo dobbiamo ringraziare Einaudi e il curatore Barberis.

Ma in molti casi Einaudi ha “corretto” anche parole che assolutamente non dovevano essere toccate (lo chiariamo più sotto).

E passiamo al secondo termine, indicato nell’impegno preso da Treccani con il lettore / cliente.

Grafie.

È il plurale di “grafia”. Il quale lemma indica (Treccani vocabolario): «1. Maniera di rappresentare le parole nella scrittura: g. esatta, inesatta, corretta, scorretta; «hauere» è una g. antica per «avere».

La “grafia” è stata sempre uguale, nel percorso che ha portato alla lingua che oggi viene usata in Italia?
NO! Nell’Ottocento, per esempio, una serie di lemmi veniva resa con una “grafia” diversa da quella che utilizziamo noi oggi.

Per rimanere sul nostro oggetto di discussione, ne “Il Bel Paese” 1876, Stoppani usa la [ j ] là dove noi oggi usiamo la [ i ]: “centinajo”, “cucchiajata”, “nojoso”, “ballatojo”, “annojati”, ecc. ecc. per circa 560 ricorrenze.

Lo stesso si dica per altri termini per centinaia di ricorrenze: “assomiliavano”, “camello”, “sagrificio”, “imaginatevi”, “ispalancate”, “mestiero”, “scoltura”, “annegazione”, “offeriva”, ecc. ecc. Questi non sono errori d’autore né refusi: era la grafia in uso in quel tempo.

Tenendo fede al proprio impegno, Einaudi ha mantenuto in questi casi le “grafie“ dell’originale di Stoppani.

Stesso discorso per gli accenti circonflessi sulle [ î ], mantenuti uguali alla grafia usata da Stoppani (ma solo per 26 delle 28 occorrenze, e invece incappando in due errori: sussidî sussidi, p. 35 / pennacchî / pennacchi, p. 154).

Interventi immotivati.

Se per molte situazioni Einaudi ha mantenuto fede al proprio impegno e ha seguito la grafia di Stoppani, in moltissimi altri casi ha invece fatto di testa propria, infischiandosene dell’autore (e della sua promessa al lettore / pagatore).

Per esempio: in molti nomi di località, Einaudi è intervenuta modificando la grafia di Stoppani, e rendendo quelle parole nella forma che usiamo oggi.
Vediamo alcuni casi: nel testo dell’Abate il termine “Pensilvania” ricorre tre volte, sempre corretto da Einaudi in “Pennsylvania”. Ma questo sarebbe un “refuso”?
No! qui abbiamo proprio un modo, storicamente definito, di rappresentare un termine.

Pennsylvania” è ovviamente corretto per noi ma se “correggiamo” Stoppani sulla base dei criteri oggi in uso facciamo un intervento immotivato e addirittura falsificante un oggettivo dato storico.

Nel caso proprio del termine “Pensilvania”, abbiamo consultato il volume “Gli Stati Uniti nel 1863” di Giovanni Bigelow, edito in Milano nel 1869. Nella traduzione in italiano viene riportato 113 volte il termine “Pensilvania”, proprio come nella grafia di Stoppani.
È chiaro che in quegli anni a metà Ottocento proprio nessuno né tra i lettori comuni né tra gli scienziati e gli specialisti considerava un errore quel “Pensilvania” tre volte ripetuto dall’Abate.

E allora perché modificarlo, dopo avere promesso che ci si sarebbe attenuti alla grafia dell’originale?
Stesso discorso vale anche per altre località, con in più qualche confusione da parte di Einaudi.

Per esempio: a pag. 58 della sua edizione 1876, Stoppani scrive “Val-Braulio” / “Val-Viola” (p. 58); Einaudi ripete “Val-Braulio”, “Val-Viola” (p. 72).

Ma Stoppani, a p. 53, scrive “Piz-del-Corvo”. In questo caso Einaudi corregge in “Piz del Corvo” togliendo i trattini (p. 66): perché nel primo caso Einaudi ha lasciato i trattini e nel secondo no?
Ancora: Stoppani scrive “Pont-alt” (pag. 16 e 17 dell’edizione 1876), Einaudi scrive invece “Pont’alt” (p. 22-23).

Le grafie utilizzate da Stoppani sono da considerare refusi? — per di più a targhe alterne?
NO! sono espressione di un uso dominante e accettato. Quelle grafie non dovevano essere toccate, proprio come non sono stati toccati le [ j ] di ghiacciajo, barcajoli, ecc.

Qual è il problema?
Che in questo modo — certo non intenzionalmente ma il risultato non cambia — Einaudi, attribuendo al testo curato dall’Abate una quantità spropositata di “refusi” induce inevitabilmente il lettore a ritenere che l’Abate sarà anche stato un brillante letterato ma era anche un terrificante pasticcione che non sapeva proprio cosa significasse correggere una bozza.
E che quindi abbia fatto del suo famoso volume destinato alla gioventù un Cervino di errori.
Altro che insegnare al popolo la lingua italiana! chiunque può pensare che Stoppani facesse opera contraria e insegnasse ai ragazzi una pessima “grafia”.

Ecco! questo è ciò che si può definir un vero “tradimento” dell’editore nei confronti sia dell’autore sia del proprio cliente: prometto che ti vendo (a 85,00 Euro) un testo ricomposto rispettando la grafia dello Stoppani, e invece ti rifilo un testo che in parte riprende lo Stoppani e in gran parte no!
E neppure scrivo una parola a motivare questa mie scelte contraddittorie.

Se dovessimo prendere per buono l’impegno assunto da Einaudi a pag. 3, dovremmo conteggiare come “errori” tutte le occorrenze in cui Einaudi ha abbandonato Stoppani e ha seguito i propri criteri relativi alla “grafia”.

Altro che i 62 errori che abbiamo sopra evidenziato. Dovremmo parlare di centinaia di “errori”, o — anche — di migliaia (vediamo più sotto la questione degli accenti).

Stravolta la grafia delle didascalie.

E il corsivo cosa è? non è anche quello una particolare “grafia” con cui si vuole evidenziare qualche cosa?

Certo! E infatti, nel testo, Einaudi ha usato il corsivo come lo ha usato lo Stoppani, salvo 8 ricorrenze sfuggite al suo correttore e da noi indicate tra i 62 errori — ovviamente.

Ma se il corsivo è una “grafia” nel testo, sarà una “grafia” anche nelle didascalie. O no?

Se sì! allora, fermandoci su questo particolare aspetto, constatiamo che Einaudi ha scodellato in tondo ben 39 didascalie che Stoppani aveva invece messo in corsivo 39 errori in più, quindi?

Certo! ma anche molto peggio!

Non possiamo considerare questa eliminazione dei corsivi nelle didascalie come semplici “errori” (e chi non sbaglia?): sono invece indebiti e arbitrari interventi redazionali, molto peggio degli errori involontari di composizione.

Ovviamente sappiamo che Einaudi nelle sue “Norme redazionali” interne indica di rendere le didascalie in tondo (corpo 8). L’editore ha fatto questa scelta redazionale e vi si attiene. Bravi!

Ma a noi che ci importa delle norme redazionali interne di Einaudi!
Per la loro edizione de “Il Bel Paese” 2024, Einaudi/Barberis promettono su ogni copia venduta di rendere la grafia usata da Stoppani? e allora si attengano a ciò che essi stessi scrivono! norme o non norme interne. O no?

Oppure il lettore deve pensare che per qualche astrusa ragione, Stoppani volesse mettere le sue didascalie in tondo? E no, scusate! l’Abate Stoppani correva da solo — non era nella scuderia di Einaudi!

La strage delle “testatine”.

Eliminate da Einaudi le 210 testatine — tutte personalizzate — poste sulle 242 pagine dispari del volume di Stoppani: alla Einaudi non se ne rendono conto ma questa è vera incoscienza culturale.

L’edizione de “Il Bel Paese” edita da Stoppani nel 1876 era caratterizzata (come molti libri di allora) dal sommario di ogni singolo capitolo (ne “Il Bel Paese” sono le 29 “Serate”), ognuno dei quali diviso in capitoletti numerati.
Nel corpo del capitolo/serata, sulla testa di tutte le pagine dispari (quella di destra, aprendo il libro) Stoppani aveva posto un brevissimo richiamo al titolo del sotto-capitolo numerato ­che appare nelle diverse pagine (mostrare è più efficace che spiegare: guarda qui sotto un esempio: è la Serata / capitolo XVII, composta di 16 pagine).

Queste ”testatine” predisposte dall’Abate sono preziose: sfogliando il libro, e leggendo la testatina, si sa immediatamente qual è il contenuto di quella pagina.

La cosa sarebbe utilissima anche oggi per qualsiasi testo un poco complesso ma allora, con l’80% della popolazione analfabeta o semi-analfabeta, ogni accorgimento che potesse facilitare la lettura guidata — per esempio in una classe ma anche in famiglia — era di fondamentale importanza, cosa di cui Antonio Stoppani era perfettamente consapevole e a cui ha prestato la massima attenzione.
Entriamo un po’ nel dettaglio.

210 “peccati mortali”.

Anche guardando di corsa, il lettore si sarà certo accorto che il testo delle “testatine” non sempre è uguale al testo che è esposto nel sommarietto riportato a inizio di ogni Serata / capitolo — a volte sì, a volte no!

Nel caso di questa Serata XVII che abbiamo preso ad esempio, vi sono alcune differenze tra il testo del sommarietto e quello delle “testatine” (tra [parentesi quadre] il testo che appare nelle “testatine”). Vediamo.

______

Sommarietto di inizio Serata / capitolo:

SERATA XVII.
I vulcani di fango.

La salsa di Sassuolo, 1. — Disillusione, 2. — Storia della salsa di Sassuolo, 3. — Ultima eruzione, 4. — Antico sviluppo dei vulcani di fango in Italia, 5. — Tra il mar Nero e il mar Caspio, 6. — Monti e catene di fango, 7. — Arcipelago di fango, 8. — Isole nascenti dal mare, 9. — Nascita e morte dell’isola di Kumani, 10. — Lezioncina sull’origine de’ continenti, 11.

Vediamo ora insieme testi del sommarietto e testi delle testatine [tra parentesi quadre]:

a/ La salsa di Sassuolo, 1.
[uguale: La salsa di Sassuolo (p. 205)]

b/ Disillusione, 2. [non riportato]

c/ Storia della salsa di Sassuolo, 3.
[uguale: Storia della salsa di Sassuolo (p. 297)]

d/ Ultima eruzione, 4. [non riportato]

/ Antico sviluppo dei vulcani di fango in Italia, 5.
[modificato: Antichi vulcani di fango in Italia]

f/ Tra il mar Nero e il mar Caspio, 6.
[uguale: Tra il mar Nero e il mar Caspio (p. 301)]

g/ Monti e catene di fango, 7. — Arcipelago di fango, 8.
[modificato: Montagne e arcipelago di fango (p. 303)]

h/ Isole nascenti dal mare, 9.
[modificato: Isole nate dal mare (p. 305)

i/ Nascita e morte dell’isola di Kumani, 10.
[modificato: Nascita e morte dell’isola Kumani (p. 307)]

l/ Lezioncina sull’origine de’ continenti, 11
[modificato: Lezioncina sull’origine dei continenti (p. 309).

Come si vede, dei dieci titoletti del sommarietto di inizio Serata / capitolo, nelle testatine Stoppani ne ha riportati identicamente solo quattro, meno della metà: degli altri sei, due non li ha riportati, quattro li ha modificati.

Che significa tutto ciò, caro lettore che cominci a spazientirti?
Semplicissimo: che quelle “testatine” non sono un orpello tecnico o estetico messo a piacer suo dal compositore in un momento di libera creatività.

Quelle “testatine” sono invece tutte state pensate — e ripensate — da Stoppani: sono cioè parte integrante del testo de “Il Bel Paese”.

Ciò significa che Einaudi si è presa la libertà di CANCELLARE arbitrariamente ben 210 righe del testo di Stoppani.

Tutti errori? Certo! se ci si passa l’espressione, anche “errori mortali” — dovrebbero essere calcolati doppi, tripli ma lasciamo perdere.

Ma come è possibile una cosa del genere? come si è potuto arrivare a una simile scelleratezza? Povero Abate!

Siccome impaginare quelle 210 testatine comporta un po’ di lavoro in più (con i programmi di impaginazione di oggi, pochissimo lavoro in più), il curatore Barberis ha chiesto al Presidente Barberis: che ne facciamo di queste 210 testatine dello Stoppani?
Guardandosi allo specchio Walter ha decretato: tagliatele e sulle pagine di destra, al posto delle frasi Stoppani metteteci il titolo della Serata! — ma Stoppani ha fatto tutt’altro! non rompere, va bene lo stesso! (a proposito, oggi, mentre scriviamo queste righe, 8 aprile, è San Walter — auguri Professore di “Buon onomastico”).

E in effetti, la versione Einaudi de “Il Bel Paese”, riporta nelle testatine delle pagine dispari / destra il titolo della Serata — nel caso del nostro esempio, riporta: “I vulcani di fango”! Abate o non Abate!

Se dovessimo tracciare una scala “peccatorum” degli interventi di Einaudi contro la edizione Stoppani del 1876, assegneremmo senz’altro a pari merito il gradino più alto:

    • alla eliminazione del corsivo nelle 39 didascalie;
    • alla eliminazione senza se e senza ma di queste benedette 210 testatine

naturalmente sono 39+210 errori (249) da aggiungere ai 62 refusi già elencati sopra.

E siamo così a quota 311 errori veri e propri, materiali — di tipografia e di testa.

Ma passiamo ora a un altro argomento altrettanto interessante e relativo alla categoria “grafia”, che vede Einaudi in una posizione del tutto particolare nel panorama della editoria italiana.

Un capitolo, tra l’altro molto interessante rispetto a Stoppani e a “Il Bel Paese”, che è passato alla storia anche per essere stato abbellito (o appesantito, secondo i gusti) da Stoppani.
Nella quinta edizione del 1889, l’Abate è intervenuto con gli accenti tonici su molte molte parole, secondo i criteri rigorosamente definiti dal professor Ulisse Poggi, cui Stoppani aveva accordato tutta la propria fiducia in un’area del sapere da lui non particolarmente battuta.

Di tutto ciò non trovate assolutamente nulla nella “Introduzione” di Barberis (ricordate la lettera del Professore: «non abbiamo inteso fare della filologia»).

Peccato che Barberis non abbia compreso che qui la filologia non c’entra proprio nulla: si tratta della evoluzione nel tempo di quell’opera di cui egli ha curato la prima edizione.
Attraverso i mutamenti di aspetti importanti dell’opera emergono elementi importanti per comprendere il senso di quella stessa prima edizione che egli ha curato.
Barberis si è tra l’altro anche lasciata scappare una buona occasione per rafforzare la posizione di Einaudi sulla accentuazione — si badi bene, corretta sul piano linguistico.

Ma veniamo al pezzo.

Gli accenti.

Gli accenti sono nella nostra lingua un aspetto importante della grafia, anche se in modo molto meno vincolante rispetto alla lingua francese (è solo un esempio).

Come è noto, anche per gli accenti, nell’Ottocento la grafia era diversa da quella che utilizziamo oggi normalmente sui mezzi di informazione quotidiana, nella stragrande maggioranza dei prodotti editoriali, nella nostra corrispondenza, negli atti ufficiali con cui il cittadino interloquisce con l’Amministrazione.

Anzi, esiste anche una normativa UNI (la 6015:2009) che definisce “obbligatoria” una certa grafia per gli accenti (non ti danno la multa ma, per certa documentazione ufficiale, il venirne meno può comportare qualche problema).

Nell’Ottocento, per esempio, quasi tutte le [ e ] accentate di parole tronche (cioè con la [ e ] in ultima posizione) portavano l’accento grave [ è ] — quindi: [ è / perchè / poichè, ecc.].

Stesso discorso per la [ u ] e per la [ i ] — quindi: [ così / sì / più / giù, ecc. ecc.].

Oggi le cose sono un poco cambiate: alcune delle parole tronche recano l’accento acuto — quindi [ perché / poiché ] e la norma è abbastanza facile da seguire perché i nostri congegni di scrittura in tastiera hanno già un unico tasto per la [ è / é – basta schiacciare con l’altra mano un tasto ].

Naturalmente non è scritto nei Cieli che le cose debbano essere così: e infatti — lo abbiamo visto — nell’Ottocento le cose andavano diversamente e l’Abate Stoppani — nel 1876 — non faceva eccezione.

Ai tempi nostri, anche una casa editrice italiana molto nota ha deciso — da un pezzo — di seguire altri criteri.

Lo avete capito da soli — è la nostra carissima Einaudi.

La casa editrice di cui è Presidente il Professor Barberis, infatti, già da decenni ha deciso che in una serie di casi le tronche devono essere espresse con l’accento acuto — e quindi [ piú / giú / cosí / sí, ecc. ecc.].

Cosa è, un capriccio di Einaudi? una posa? un tocco di anti-conformismo? Niente affatto, queste sono le fesserie che si leggono su Internet.

In realtà Einaudi segue una teoria ben precisa e oggi considerata come la più corretta per la grafia corrente: secondo i linguisti la scelta di Einaudi è quanto di meglio oggi si possa desiderare.

Non stiamo qui ad addentrarci nella questione (per la quale abbiamo solo una modesta competenza), limitandoci a proporvi di leggere “Matteucci, 2004” che spiega tutto.

Quello che vogliamo dire in questa sede è però riferito a “Il Bel Paese” — non dimentichiamo che è quello l’oggetto delle nostre riflessioni!

Abbiamo detto che nel 1870 in Italia tutti usavano lo stesso tipo di accentazione, Manzoni, De Amicis, Collodi, Stoppani, Nievo, ecc. ecc. — a nostra conoscenza con nessuna eccezione.

Se dovessimo prestare fede all’impegno / promessa di Einaudi (ricordate, a pagina 3: «Salvo per la correzione di alcuni refusi evidenti, grafie usi tipografici originali sono stati lasciati invariati.») gli accenti di questa nuova edizione de “Il Bel Paese” dovrebbero essere come quelli usati da Stoppani.

L’usare il [ perché ] nostro al posto del [ perchè ] di Stoppani (e di tutti gli altri, Manzoni in testa), sarebbe in questo caso un errore di trascrizione, proprio come quei 62 che abbiamo messo in bella evidenza all’inizio del nostro ragionamento.

In questo caso, dovremmo dire — del tutto legittimamente — che Einaudi ha infilato nella sua edizione 2024 de “Il Bel Paese” circa 2.200 errori di accentazione, che dovrebbero andare a sommarsi ai 249 già ricordati per un totale di 2.449, ossia, un errore ogni 76 parole, 2 errori per ogni tre righe di testo.

Però!

Volendo calcolare un risarcimento per “vistoso difetto” — o uno sconto — di 4 centesimi a errore, potremmo pagare quel volume de “I Millenni” a 1 euro, oppure farci pagare per portarlo fuori dalle librerie.
Scherziamo naturalmente!

È però cosa serissima che Einaudi si è messa da sola in un bel pasticcio con quella ormai famosa frasetta a pagina 3:

«Salvo per la correzione di alcuni refusi evidenti, grafie usi tipografici originali sono stati lasciati invariati.»

Insomma, cari amici della Einaudi: preferite passare per pasticcioni senza un briciolo di professionalità (2.469 errori non sono uno scherzo!) oppure passare per inaffidabili?

In un caso o nell’altro non è cosa da Einaudi — se stessimo parlando della editrice Treccani, la battuta sarebbe facilissima!

Siamo certi che il 12 aprile il Presidente Professor Barberis ci darà una riposta più che soddisfacente.

E potrebbe cogliere l’occasione per spendere qualche parola su una questione che riguarda e il Barberis Presidente Einaudi, e il Barberis curatore de “Il Bel Paese”.

Anche in questo caso, siccome nella sua “Introduzione” non ne ha fatto il più piccolo cenno, a Barberis continuiamo a fare da suggeritori e a passargli i compiti.

L’Abate Stoppani, «Il Bel Paese», il diluvio degli accenti (che in parte sono quelli di Einaudi).

Abbiamo più sopra ricordato che l’Abate Antonio Stoppani nel 1864 aveva cominciato a collaborare con le riviste “L’Adolescenza” e “Prima Età” (ci torniamo sopra più avanti) scrivendo un serie di articoli che 12 anni dopo finirono con il copia-incolla ne “Il Bel Paese”, sparsi tra varie serate.
Poi nel 1870, iniziò a collaborare con la rivista “Le Prime Letture” di Milano diretta da Luigi Sailer, grande ammiratore e anche frequentatore di Manzoni nonché vecchia conoscenza e sodale di Stoppani.
Erano fianco a fianco nelle lotte del 1860 quando i cattolici conciliatoristi milanesi si misero in azione (con Manzoni capofila) per favorire Vittorio Emanuele di Savoia nel diventare, nel marzo 1861, Re d’Italia.
Sailer era stato per qualche mese il commentatore politico del giornale milanese “Il Conciliatore”, messo in piedi nel 1860 da Avignone e punto di riferimento per il clero conciliatorista della città, sul quale scriveva anche il nostro caro Abate Stoppani.

Sailer, una non facile carriera di insegnante alle spalle, aveva puntato molto su “Le Prime Letture” sia per cavarne ovviamente qualche soldo sia — soprattutto — per fare affermare l’idea che era stata già sostenuta dalle due riviste per le quali l’Abate anni prima aveva scritto alcuni articoli.
Sailer era convinto (e con lui Stoppani) che l’istruzione dovesse passare necessariamente anche attraverso la famiglia.

Il taglio della sua rivista era quindi elementare ma conteneva articoli di professori e intellettuali che spesso scrivevano per i ragazzini esattamente come scrivevano per i loro alunni liceali o allievi universitari.
Per comprendere certi passaggi di alcuni articoli, a sostegno del giovane si rendevano necessari gli interventi della madre o del padre (stiamo parlando ovviamente di famiglie con una certa cultura e con un certo reddito, che si potevano permettere il costo dell’abbonamento alla rivista).
Per assicurare efficacia alla rivista nelle diverse regioni del bel paese, Sailer era convinto che fosse necessarissimo usare gli accenti tonici su tutte le parole per le quali potesse esserci qualche dubbio di pronuncia — e quindi uno sterminio di accenti in tutta la rivista.

La cosa ci può parere strana, ma noi veniamo ormai da quasi un secolo di radio e televisione, con una lingua abbastanza standardizzata nella quale cantanti, attori e presentatori hanno fatto da maestri alla collettività.
Ma appena unificata l’Italia (1861) le cose stavano in modo ben diverso ed effettivamente le pronunce potevano essere anche molto soggettive.

Stoppani, grande amico di Sailer e uno dei più costanti collaboratori della rivista (c’erano altri nomi molto noti come il fisico Rinaldo Ferrini, l’architetto Camillo Boito, professori del Regio Istituto tecnico superiore di Milano; Enrico Comboni e Giuseppe Jung, assistenti nel medesimo Istituto; il geografo Bartolomeo Malfatti professore della Regia Accademia Scientifica e Letteraria di Milano e successivamente del Regio Istituto di Studi superiori e di perfezionamento di Firenze), pensava che ognuno si dovesse occupare di ciò che meglio conosceva e quindi — senza troppo entrare nel merito — lasciava che Sailer facesse cadere sui suoi articoli tutti gli accenti che riteneva opportuni.

Dagli e dagli, però, Sailer era riuscito ad aprire una breccia nella mente di Stoppani. Poco dopo la morte dell’amico, l’Abate pubblicò una edizione de “Il Bel Paese” tutta con gli accenti tonici.

Stoppani — lo abbiamo già detto — non si sentiva abbastanza preparato su quel fronte (e si stava inoltre occupando di cose impegnative come la lotta per la sopravvivenza della propria rivista “Il Rosmini”, messa all’Indice dal Vaticano). Si affidò quindi per questo compito al professor Ulisse Poggi, letterato di lungo corso e con esperienze specifiche nell’area della linguistica, che si incaricò di curare la nuova edizione.

Si tratta della quinta edizione, pubblicata a Milano nel 1889 da Cogliati Editore, quella che abbiamo già ricordato per il prezzo contenuto di Lire 1,5 (quindici Euro di oggi).

L’Abate però ci tenne a presentare questo oceano di accenti con una premessa al testo titolata

«Sugli accenti tònici come sussídio all’insegnamento d’una rètta pronunzia: Nòta pei Maestri e le Maestre di lingua italiana — Règole per l’uso e il valore degli accenti tònici»

nella quale (in quel periodo stava anche lavorando per portare in porto il progetto del monumento a Manzoni a Lecco) fece ampia memoria del letterato e della discussione sulla funzione della lingua che aveva dominato il panorama culturale alla fine degli anni ’60.
Dopo la pubblicazione da parte di Manzoni delle proprie posizioni (era stato nominato dal Ministro dell’Istruzione Presidente di una apposita commissione), il tema era divenuto oggetto di grandi discussioni collettive circa la scelta dell’idioma cui ispirarsi per fare diventare italiana la nostra lingua (su un aspetto di questa questione, uscirà a breve una nostra Nota, dedicata alla targa in ricordo di Manzoni, posta il 7 novembre 2023 in Santa Croce di Firenze — una pessima operazione condotta a danno dell’immagine di Lecco da parte del Centro Nazionale Studi Manzoniani — vada comunque al compianto Prof. Stella il nostro amichevole ricordo, al di là dei contrasti sulle vicende Manzoni-Lecco).

Quegli ultimi scritti di Manzoni (aveva 84 anni) testimoniano del forte impegno che il poeta continuò ad assicurare alla comunità anche da vecchio ed è veramente straordinario che Barberis non ne citi neppure incidentalmente il nome nella sua “Introduzione” (chissà! magari il ginnasiale Barberis avrà vissuto male la lettura ad alta voce de “I Promessi Sposi” da parte di qualche professore “manzonian-manzonista” di ferro).

Suggeriamo al Prof. Barberis di andarsi a leggere quella premessa dell’Abate (tra l’altro in molti punti coincidente con le scelte grafiche di Einaudi) per trarne qualche spunto per il 12 aprile a Lecco, anche alla luce della sua esperienza di Presidente della Einaudi, a volte sbeffeggiata (dobbiamo dirlo, solo dagli incolti) per quella scelta degli accenti acuti sulle toniche í / ú / é, ecc.

Ci interessa comunque rilevare come nella “Introduzione” di Barberis di tutto ciò non compare neppure l’ombra di una foglia in balìa del vento.
E la cosa fa pensare.

È curioso infatti che il Professor Barberis non abbia citato neppure una volta Manzoni nelle 9.800 parole della sua “Introduzione” e neppure fatto immaginare la triangolazione Manzoni / Lecco / Stoppani che, lungi dall’essere un fatto “locale” come gli piace pensare e dire, è invece un elemento significativo della storia di noi tutti su cui pochi parlano semplicemente per banalissima nazional-ignoranza.
Ed è eccezionalmente curioso che non abbia detto neppure una parola circa la posizione assunta da Stoppani sulla questione degli accenti; e ciò proprio nella composizione de “Il Bel Paese” (edizione del 1889, attenzione!).

Ora che gli abbiamo dato qualche elemento di riflessione, siamo certi che Barberis qualche cosina potrà dirci di collegato all’esperienza di un ben determinato personaggio — l’Abate Stoppani — e di un ben determinato luogo, importante per la sua vita: la sua città natale Lecco.

Il 12 aprile a Lecco noi di certo non apriremo bocca.
Le nostre riflessioni le abbiamo già svolte — anche troppo lungamente — su queste colonne e poi, quando parliamo abbiamo bisogno di almeno un 90 minuti perché non ci interessa chiacchierare in modo salottiero e inconcludente (come temiamo avverrà il 12 a Lecco) ma cercare di sviscerare un argomento e fissare dei punti fermi, utili a tutti.
E poi siamo lecchesi solo per qualche cromosoma e parecchio alla lontana — per di più non siamo manco “eruditi”!

Ci piacerebbe invece che un lecchese doc — colto, erudito, di semplice buon senso, fate voi! — ponesse a Barberis la domanda: Professore perché Lei non ha detto neppure una parola sulla triade Manzoni / Lecco / Stoppani?
Non Le piace questa nostra città di provincia?
E allora perché Lei è venuto qui?
A sprovincializzarci?
O a cercare di piazzare qualcuno di quei Suoi costosissimi libri pieni di errori?

Battute a parte, possiamo ora passare alla analisi dei contenuti di questa edizione Einaudi de “Il Bel Paese”, ossia della “Introduzione” del curatore Professor Barberis.

Nove domande al Professor Barberis

9

domande al Professor Barberis su “Il Bel Paese”, Edizione Einaudi 2024.

9 domande al Professor Barberis su “Il Bel Paese”, Edizione Einaudi 2024.

Fin qui abbiamo concentrato l’attenzione sugli “errori” tipografici ed editoriali con cui Einaudi ha azzoppato la propria edizione de “Il Bel Paese”.

Si tratta ovviamente di gravi criticità ma — se vogliamo — siamo in un’area che possiamo definire ancora di “non positività”: l’iniziativa Einaudi — una vera e propria Caporetto editoriale — non è certo utile ad accrescere la notorietà e la diffusione dell’opera dell’Abate Stoppani ma fin qui si può chiudere la cosa semplicemente non comprando il libro o sapendo che vale molto meno degli 85,00 Euro sborsati per poterlo leggere.

Vogliamo ora toccare invece il contenuto culturale di questa iniziativa, ossia il modo con cui Einaudi / Barberis hanno dato un certo “tono”, un certo “taglio” al loro prodotto, falsandone — volontariamente o meno qui non importa — il senso “morale” in termini generali.

Nelle prime battute di questa Nota siamo già entrati un poco nel merito, accennando ai silenzi della “Introduzione” di Barberis e alle scelte relative alla copertina, decisamente deformanti il pensiero e l’opera dell’autore Abate Antonio Stoppani.

Ora vogliamo approfondire quanto in apertura accennato perché emerga con maggiore evidenza qual è stato nella realtà storica il ruolo dell’Abate Stoppani nel suo tempo e i danni che una troppo disinvolta faciloneria possono arrecargli anche a 133 anni dalla scomparsa: paradossalmente è infatti questo un rischio sempre presente quando una figura del passato viene maneggiata da incompetenti o menefreghisti, attenti solo a sfruttare ai loro fini l’occasione del bicentenario.

Per assolvere al compito appena definito, ci sembra sia utile dire come siamo arrivati a considerarle indispensabile una analisi puntuale sulla iniziativa di Einaudi — cosa certamente non usuale.

L’antefatto.

Tra il 22 e il 25 marzo, tra il Presidente di Einaudi, Professor Walter Barberis, e Fabio Stoppani (Centro Studi Abate Stoppani) è intercorso uno scambio di cinque e-mail, avviato da Stoppani per una banalissima ragione operativa.

La nuova edizione Einaudi era stata annunciata in uscita mercoledì 19 marzo; giovedì 20 Stoppani cercava di acquistare il volume in una libreria del centro di Milano ma l’unica copia disponibile era stata prenotata e quindi non in vendita.
Colpito (sfavorevolmente) dalla copertina, lì, in piedi, in libreria, Stoppani sfogliava l’introduzione del volume e l’occhio gli cadeva su alcune stranezze: “lecchese di origine”; praticamente nessuna parola sulla storia de “Il Bel Paese”; nessun riferimento a Manzoni; Lecco nominata solo incidentalmente; neppure una parola sulla Carta Geologica — in breve nulla di nulla su molti degli elementi costitutivi della prima edizione de “Il Bel Paese”, pubblicata da Stoppani nel 1876, quasi 150 anni fa.

Non potendo tenere sequestrato il volume (il commesso guardava Stoppani con occhio inquieto, temendo forse un furto con borsa da 85,00 Euro da parte di un giovane-anziano), venerdì 22 marzo Stoppani chiedeva direttamente al curatore dell’opera Professor Barberis di potere avere il testo della sua “Introduzione”.
Domenica 24 Barberis, gentilmente e andando molto al di là delle aspettative di Stoppani, si offriva di inviare al nostro Centro Studi una copia omaggio del volume, segnalando con sincerità:

«Confesso che non conoscevo il libro, di cui avevo sentito dire senza averne cognizione diretta. Ora posso affermare di essermi molto incuriosito, divertito e anche suggestionato: quel periodo di genuine speranze nel progresso, quella affettuosa alleanza tra scienza e fede, quel mondo di intraprendenti alpinisti e di integerrimi studiosi mi ha letteralmente conquistato. Ed è stato per me un grande piacere poter ripresentare le serate milanesi dell’Abate Stoppani ai lettori di oggi».

Pur molto apprezzando di Barberis e l’onestà intellettuale e la cortesia e la simpatia per la nostra figura di riferimento, nelle more della promessa consegna del volume la nostra re­­dazione è comunque rimasta a bocca asciutta, cioè senza la “Introduzione” di Barberis che era ciò che più ci interessava.
Grazie a un amico di altra città che aveva acquistato il libro, nella mattinata di lunedì 25 abbiamo potuto avere copia fotografica delle 30 pagine della “Introduzione” di Barberis (non dell’intero volume).

Nel pomeriggio dello stesso lunedì 25, Stoppani inviava per e-mail una lettera di 9 pagine al Professor Barberis nella quale (oltre ringraziare per l’annunciato dono e auspicando la miglior riuscita della presentazione al Politecnico di Lecco, prevista per il 12 aprile) gli segnalavamo una serie di criticità da noi rinvenute nella sua “Introduzione”.
I punti da noi sollevati erano più o meno quelli che presenteremo più sotto — è quindi inutile darne ora l’anticipazione.

Ci limitiamo a dire che il grosso delle nostre osservazioni era riconducibile al quasi inesistente riferimento ai tanti aspetti della vita dell’Abate Stoppani strettamente legati alla articolata vicenda de “Il Bel Paese” nonché al suo mondo di relazioni sia famigliari sia con Lecco, la città natale con la quale l’Abate mantenne sempre un fortissimo legame.

In risposta alla nostra del 25 marzo il Professor Barberis ci ha fatto avere a stretto giro (quindi sempre lunedì 25) una sua che riteniamo utile riprodurre per esteso.
In essa, il Professore, ancora una volta con rara chiarezza e sincerità, ribadiva le proprie posizioni da noi sottoposte a critica (nostre le evidenziazioni numerate e di neretto perché siano ben individuabili gli snodi del pensiero del curatore della nuova edizione Einaudi):

1/ Gentile Dottor Stoppani, La ringrazio molto delle sue generose e puntuali osservazioni. Non so se potrò tenerne conto nella presentazione lecchese del 12 aprile, perché non vorrei millantare una conoscenza specifica della vita dell’Abate, né i risvolti locali della sua attività di studioso.

2/ L’intenzione dell’editore Einaudi non è stata quella di ripercorrere nel dettaglio la vita dell’Autore del Bel Paese; o meglio, la strada seguita non è quella di una biografia erudita.

3/ Il motivo della riedizione consiste proprio nella volontà di sprovincializzare il testo e inserirlo, con il suo Autore, nella temperie nazionale dell’ultimo quarto del XIX secolo. Dando tutta l’autorevolezza che crediamo meriti a quel titolo, considerato nel contesto in cui compaiono altri celebri libri a cui l’introduzione fa riferimento.

4/ Capisco benissimo l’orgoglio lecchese, ma la nostra è una proposta che va in una direzione più generale. Senza nulla togliere alle glorie e all’erudizione locale che – come Lei dimostra – sono in ottime mani, da parte nostra c’era e c’è l’intenzione di riportare alla ribalta l’Autore e il suo titolo più noto, restituendolo alla cultura italiana.

Non abbiamo voluto fare un gesto di antiquariato, e anche la scelta delle illustrazioni è andata nella direzione di una “illustrazione nazionale”.

5/ Personalmente, ho letto e acquistato alcune edizioni successive alla prima del ‘76; ma non ho e non abbiamo inteso fare della filologia.
Mi è sembrato che dare un respiro più ampio – nel limite di una introduzione, ben inteso – al Bel Paese potesse rendergli un buon servizio.

6/ Le confesso che non ho scritto del bicentenario intenzionalmente; anche la occasione temporale, celebrativa, non fa bene ai libri. Ne restringe il campo d’azione, li situa in un luogo e in un tempo. Naturalmente, il contesto è utile a comprendere le motivazioni dell’Autore. Ma noi vogliamo che i testi superino le località di origine e il loro tempo: solo così diventano dei “classici”.

7/ Ma sarà interessante, comunque, ricevere pubblicamente le Sue/Vostre critiche e poter argomentare le nostre scelte. Come si vede fin da ora discutibili; ma in genere non prive di buone ragioni. La ringrazio ancora della sua attenta lettura. Mi farà piacere conoscerLa personalmente.

Molti cordiali saluti,
Walter Barberis»

A questa di Barberis abbiamo risposto brevemente martedì 26 pomeriggio, dopo essere riusciti, nella mattinata, ad acquistare una copia dell’edizione Einaudi (quella che avevamo già sfogliato giovedì 20 ma che non era stata ritirata da chi la aveva ordinata — il commesso si è tranquillizzato) e quindi già con qualche idea generale sul volume vero e proprio.

Confessiamo che la risposta di Barberis ci ha stupito e anche deluso: al Prof. avevamo scritto le nostre nove pagine come benevolo sostegno: era solo per dargli una mano in vista della sua prevista presentazione a Lecco del 12 gennaio — e infatti egli non ha potuto fare a meno di ringraziare (anche se, forse, con un poco di ironia — si sa! non a tutti i Prof. piace essere trattati come una qualsiasi matricola).
Essendo il Professor Barberis confesso di una solo recentissima conoscenza e dell’Abate Stoppani e de “Il Bel Paese” volevamo evitare che il curatore della nuova edizione Einaudi si trovasse a fare la parte dello sprovveduto a fronte di qualche inevitabile domanda da parte del pubblico lecchese che da sempre cresce a pane e Manzoni, pane e Stoppani.

Per esempio:

Domanda 1/

Perché nella sua «Introduzione» manca qualsivoglia riferimento al Bicentenario della nascita dell’Abate (15 agosto 1824)?

La cosa può apparire curiosa: perché a questa circostanza Lei non ha fatto il più piccolo accenno?
Sappiamo che ciò non è da parte sua una dimenticanza e che è anzi il portato di un meditato orientamento commerciale — abbiamo letto la Sua lettera in proposito, là dove Lei rivela onestamente: «non ho scritto del bicentenario intenzionalmente; anche la occasione temporale, celebrativa, non fa bene ai libri.»

Il monumento all’Abate Stoppani in Lecco, opera di Vedani, fu inaugurato nel 1927. È artisticamente attraente anche se debole da un punto di vista iconografico. A differenza del monumento di Milano, realizzato vent’anni prima.
Vedani ha voluto puntare sul lato speculativo – filosofico del Nostro.
E così Stoppani non risulta identificabile da alcun elemento simbolico; è ripreso mentre fissa il suolo con un’aria interrogativa, gradevole ma non parlante.

Ripetiamo: è una bella composizione dal taglio moderno — peccato manchi quel tocco di indicazione esplicita sul chi fosse quel signore con sullo sfondo un magnifica visuale del Resegone.
Da rilevare l’abbigliamento: qui Stoppani è rappresentato in pantaloni, come effettivamente fu negli ultimi anni, dopo una ferita subita a una gamba durante un viaggio in Medio-Oriente.

Nel Suo scritto mancano infatti riferimenti alle testimonianze pubbliche che in Lecco ricordano l’Abate: sul lungo lago, con lo sfondo del Resegone, vi è un grande monumento in bronzo eretto nel 1927 (allora, in altro luogo della città), opera di Vedani e di buona fattura; trascurato dalla Amministrazione è tenuto in decenti condizioni dalla buona volontà di singoli cittadini.

Silenzio anche sul suo “gemello”, presente ai giardini pubblici di Milano di Porta Venezia. Proprio a lato del Museo di Storia Naturale che l’Abate diresse per tanti anni dopo il 1880 e fino alla morte (1891) e a cui donò tanti dei reperti geologici da lui rinvenuti nelle innovative e originali ricerche condotte verso il 1855 anche qui, a Esino, vicinissimo a Lecco — ricerche che illustrò anche nella sua monumentale “Paléontologie Lombarde”, quel testo in francese scritto con Cornalia e Meneghini che lo impegnò per oltre vent’anni.
Gliene parliamo, Professore, perché quella fu una grande operazione scientifico-editoriale (sostenuta molto anche da Quintino Sella), arricchita di formidabili illustrazioni, che portò il nome di Lecco in tutto il mondo scientifico europeo, e non solo. Ma soprattutto perché Stoppani citò questa sua opera nella Serata VIII de “Il Bel Paese” — mentre Lei l’ha proprio ignorata.
Una sotto-domanda Professore: ma perché nella Sua “Introduzione” a “Il Bel Paese” Lei non ha quasi parlato de “Il Bel Paese” — è cosa curiosa questa!

A parte questi silenzi sull’opera dell’Abate, si pone un problema caro Professore: se Lei ritiene negativa la ricorrenza per la buona riuscita commerciale de ”Il Bel Paese”, perché ha pensato di venire a Lecco a farne la presentazione nazionale?
L’Assessora alla Cultura Simona Piazza ne ha fatto il primo momento del Bicentenario — Lei invece non ne vuole neppur sentir parlare. E quindi? che succede? Litigherete in pubblico?
Sappiamo che qualche funzionario (o ex) del Museo ha mandato in giro una locandina per questo incontro del 12 aprile in cui non viene mai usata la parola “bicentenario”? cosa dice Professore? è il risultato della moral suasion dell’ufficio pubbliche relazioni di Einaudi?

Ma forse Lei ha anche ragioni più profonde, relative al ruolo della memoria collettiva. Lei pensa forse che il ricordo dedicato da una comunità a proprie esperienze o a uno dei propri maggiori sia negativa o fuorviante rispetto alla dimensione della scienza storica?
Forse non è così ma è osservazione che qualcuno potrebbe avanzare, anche maliziosamente.

Il monumento a Stoppani in Milano venne inaugurato l’8 giugno 1898, esattamente un mese dopo i moti del maggio, repressi dai cannoni di Bava Beccaris con oltre 80 morti.
Vigendo ancora lo stato d’assedio l’inaugurazione poté avere luogo solo per le pressioni che vennero fatte sul generale comandante della piazza e responsabile della strage di maggio.

Fu realizzato da Confalonieri che avendo conosciuto benissimo Stoppani come cliente esigente e creativo per la realizzazione del monumento a Manzoni in Lecco ne riprodusse con fedeltà la fisionomia e la gestualità.
Soprattutto ha una maggiore comprensibilità di contenuto: Stoppani ha in mano una carta geografica; accanto al piede un masso; è più agevole vedervi un uomo che opera nel mondo fisico.
Più convenzionalmente è raffigurato in abito talare (non con i pantaloni da civile).

Ai primi del 1874, l’Abate Stoppani pubblicò “I Primi Anni di A. Manzoni”, un volumetto di non grande mole ma di grandissimo valore sia perché illustra aspetti inediti o poco noti della vita di Manzoni sia perché afferma per la prima volta, con documenti (che non sono solo quelli protocollati in Comune) il legame esistenziale e indissolubile tra Manzoni e Lecco.
Domanda 2/

Perché quel silenzio tombale sul rapporto «Manzoni» / «I Promessi Sposi» e «Il Bel Paese»?

Caro Prof. perché nella sua “Introduzione”, in buona parte dedicata a scrittori italiani della metà Ottocento, non cita neppure di sfuggita Alessandro Manzoni che, anche nello stile, tanto influenzò l’Abate Stoppani nella stesura de “Il Bel Paese”, quel libro che è la ragione per cui Ella ci onora della Sua presenza qui oggi?

Eppure, proprio nelle prime pagine de “Il Bel Paese”, indirizzate “Agli Institutori”, che Lei cita ben quattro volte nella sua “Introduzione” l’Abate fa un esplicito riferimento a Manzoni e al suo romanzo:

«Una Lucia inginocchiata ai piedi dell’Innominato; una madre che, protendendo le sue, abbandona nelle braccia di un monatto il corpo della figlioletta, faranno sempre maggiore impressione di tutte le più belle descrizioni dell’universo: il quadro del Lazzaretto colpirà sempre più che tutt’insieme i quadri dell’Humboldt. »

Perché non Le è venuto spontaneo svolgere qualche riflessione su questa precisa definizione di valori da parte dello scienziato Stoppani?

E nella quinta edizione del 1889, quella con gli accenti tonici, che Lei cita perché venduta a Lire 1,5 (più o meno 15 Euro, non gli 85,00 richiesti da Einaudi), Stoppani parla a lungo di Manzoni in relazione alla questione della lingua.
Appare quindi evidente che Manzoni, per Stoppani, fosse figura di riferimento per la nascita nel 1876 e poi per le vicende successive de “Il Bel Paese”.

Nella sua “Introduzione” Lei cita 7 volte De Amicis, 9 volte Collodi ma neppure una volta Manzoni. Eppure “Il Bel Paese” è molto più vicino a “I Promessi Sposi” di quanto non lo sia “Cuore” o “Pinocchio” — anzi, ci pare che questi due testi abbiano ben poco a che fare con “Il Bel Paese” se non che uscirono più o meno negli stessi anni — anche se ora va di moda giocarli come tris d’assi quasi fossero espressioni di una medesima tendenza — il che proprio non è.

Da un punto di vista etico-psicologico, “Il Bel Paese” è il romanzo della natura. E per Stoppani, come per Rosmini e per Manzoni, la natura è ricolma del Divino, come appare chiarissimo nel romanzo che ha inizio e termine a Lecco, la provinciale Lecco, la locale Lecco, che ci sembra Lei ritiene di potere “sprovincializzare” con la Sua “Introduzione” cui Lei affida anche il compito di “restituire alla cultura italiana” “Il Bel Paese” — lo ha scritto Lei nella lettera sopra riportata — non le manca la modestia, Professore!

Oltre ai tanti significati che possiamo attribuire a “Il Bel Paese”, vi è sicuramente la valorizzazione dello studio e della conoscenza della natura come propedeutica a un più vasto sviluppo umano — si può essere più o meno d’accordo ma quello era il pensiero dell’Abate Stoppani nel quadro di una sua personale visione teologica — su cui Lei non dice nulla.

Il proposito centrale del libro di Stoppani non era far conoscere l’Italia come complesso geo-politico finalmente unitario e neppure la volontà di plasmare un comunità omogenea: al primo posto vi era la volontà di spingere alla conoscenza della natura in quanto riflesso della divinità — il volume è fin troppo ricolmo di queste suggestioni.

Da dove Stoppani ha tratto la spinta alla descrizione della natura? è fin troppo banale rispondere: dai molti contributi di Rosmini dedicati a questo tema e da “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni — e allora perché Lei non parla mai né del romanzo che ha inizio e termina a Lecco e men che meno del suo autore, il lecchese, milanese solo per un accidente anagrafico?

Antonio Stoppani nel 1844, seminarista.

Domanda 3/

Perché, Professor Barberis nella edizione Einaudi non compare neppure una immagine dell’Abate e perché è solo accennata la fisionomia della sua famiglia che nella Lecco dell’Ottocento ebbe un certo peso?

Caro Professore, Le segnaliamo che i genitori di Stoppani erano sì anche produttori di candele (non “artigiani”, come Lei scrive nella sua “Introduzione”) ma erano soprattutto commercianti di “coloniali”, presto di successo e con relazioni su tutto il territorio lariano, tenute anche con modalità di comunicazione evolute per l’epoca (corrispondenza personalizzata).

Contrariamente a certa agiografia pietistica, i genitori dell’Abate, grazie al commercio, divennero rapidamente facoltosi: fu proprio in forza di un prestito a fondo perduto molto consistente (10.000 lire di allora — circa 100.000 Euro) accordatogli dal padre Giovanni Maria e dalla madre Lucia Pecoroni che l’Abate poté uscire dalla crisi esistenziale in cui si trovò nel 1853 a seguito della espulsione per mano austriaca da ogni scuola del Regno Lombardo-Veneto, e collocarsi in modo adeguato nell’ambiente della nascente scienza geologica, allora appannaggio dei ceti facoltosi.

La madre, Lucia Pecoroni (figlia di un industriale della seta, già attivo sul fronte patriottico ai primissimi dell’800) era donna di spessore anche culturale (per esempio, suonava bene il piano e conosceva discretamente la musica — in famiglia erano tutti ottimi cantanti, l’Abate come baritono — Lucia aveva studiato e aveva un buon bagaglio letterario).

Per parte di madre, gli fu cugino il coetaneo Antonio Ghislanzoni (di cui si ricorda in questo 2024 il bicentenario della nascita), già cantante di successo e poi noto librettista di Verdi nonché brillante giornalista radicale e scrittore.

In un suo scritto Ghislanzoni cita la madre dell’Abate come attrice di vaglia: «Or fanno cinquant’anni, tutto il paese recitava. Il repertorio di Goldoni, di Alfieri, di Metastasio — a quei tempi anche Metastasio era autore drammatico — fu esaurito nel corso di poche stagioni con una sequela di successi. I due Agliati, un avvocato ed un medico, l’intagliatore Anghileri, le signore Stoppani e Gregori, i due droghieri Tacchi e Bertarelli rappresentavano gli attori primari della compagnia.»

Con Ghislanzoni l’Abate ebbe sempre rapporti cordiali e ne fu appoggiato nella iniziativa “monumento a Manzoni in Lecco” con quella famosa lettera del 4 dicembre 1884: «Io farò quanto potrò; il mio illustre amico Don Antonio potrà più di me, quindi moltissimo. Sarebbe utile che il Comitato si componesse di molti membri, eletti ora in ogni classe. Il genio è ciò che vi ha di più eminentemente democratico, qualora la sua gran luce si espanda su tutti. Tutti gli operai del territorio dovrebbero dare una pallanca ad onore di chi ha creato quel bel tipo di onesto ribelle che era Renzo Tramaglino.»

Lucia Pecoroni aveva inoltre come zio acquisito Francesco Ticozzi.
Tra i capi del movimento patriottico del 1796; incarcerato con durezza dagli austriaci al loro ritorno nel 1797; poi, con Napoleone, collocato in ruoli di responsabilità: Prefetto; Cavaliere della Croce di ferro, ecc. ecc.
Per non parlare del fratello di lui, Stefano, in Lecco parroco di San Giovanni in Laorca; con l’arrivo dei francesi spretatosi in nome della “rivoluzione”; anch’egli poi funzionario napoleonico; uomo di cultura, pioniere di talento della critica d’arte italiana; traduttore anche della “Storia delle Repubbliche Italiane” di Sismondi, l’opera che servì di spunto a Manzoni per il suo “Osservazioni sulla morale cattolica”.

Antonio Ghislanzoni, il cugino.
Francesco Ticozzi, lo zio.
Stefano Ticozzi, fratello dello zio.

Tutto ciò per informarLa che l’Abate crebbe in un ambiente di lavoro anche duro ma culturalmente e socialmente evoluto; alla madre (di cui era estimatore deferente Quintino Sella) l’Abate fu sempre fortemente legato: per lui sacerdote era essa a incarnare il mondo femminile.

Il padre, Giovanni Maria, benché fosse da Zelbio giunto a Lecco adolescente senza un quattrino, aveva potuto sposare la benestante e borghese Lucia perché rampollo di un ramo della famiglia Stoppani che nel Seicento, sotto gli Spagnoli, era stata potente in Milano, come assegnataria dei servizi postali.
E che aveva avuto come ultimo rappresentante a metà ’700 il cardinale Francesco Stoppani, molto noto al tempo come diplomatico pontificio.
Il passaggio di Milano agli Austriaci e poi la rivoluzione dell’89 avevano mandato tutto a catafascio e i ricchi signori Stoppani di una volta si erano trovati a dovere sgobbare di zappa sugli antichi propri possedimenti (venivano a Milano a vendere formaggi per strada, attirando gli acquirenti coll’esibire un orso tenuto al guinzaglio — praticavano il contrabbando di candele con la Svizzera, usando una barca con più remi di quelli della dogana).

Secondo voci familiari (da prendere sempre con cautela) un altro ramo della famiglia (toscano, i cui discendenti in anni recenti sono stati sanzionati come inquinatori del settore chimico) si era dato molto da fare per subentrare nella eredità del già citato Cardinale.
Sappiamo infatti che, negli anni della maturità, l’Abate brigò per vedere se vi fossero gli estremi per accedere come legittimi successori al titolo nobiliare (e relative proprietà) — ma non riuscì a cavarne nulla nonostante le spese sostenute in ricerche e pareri legali: è possibile che l’altro ramo sia stato solo più attento.
Oltre che per collocare l’Abate nella sua dimensione reale, il ricordo dell’origine di prestigio della famiglia serve per collegare il passaggio di Stoppani dall’insegnamento della filosofia/teologia alla geologia, come vediamo immediatamente.

Antonio Stoppani nel 1848, appena ordinato sacerdote.

Domanda 4/

Nella Sua «Introduzione» Lei cita il ’48 e il ruolo di Stoppani nel sistema di comunicazione aereo dell’insurrezione.
Bravo, ma perché, caro Professore, Lei non ha ricordato anche la immediatamente successiva battaglia di Santa Lucia?

Lei è tra l’altro torinese e studioso delle vicende militari dei Savoia.
Dovrebbe essere a conoscenza di come, nel maggio ’48, Stoppani partecipasse (si intende come assistente di sanità, assieme ad altri tre seminaristi di Milano, senza sparare un colpo) alla battaglia di Santa Lucia, persa dai Piemontesi e famosa per la grande quantità di morti e feriti da parte nostra.
Le truppe — tra cui il fegatoso principe Vittorio Emanuele, futuro Re — andarono all’assalto su un terreno scoperto con gli Austriaci benissimo difesi: uno dei quattro seminaristi/infermieri fu decorato sul campo per avere salvato sotto un fuoco infernale un alto ufficiale piemontese; l’Abate mandò al Bollettino insurrezionale di Lecco una canzone patriottica, che fu stampata — nei ricordi dei quattro rimase a lungo l’orrore per il sangue alle caviglie nella stanzetta-infermeria.

Lecco fu molto vicina alla insurrezione milanese: appena ne giunse notizia, praticamente tutti i maschi in grado di combattere, arrestata la guarnigione austriaca e con il Prevosto in testa (sciabola sulla tonaca), scesero in colonna verso Milano per dare una mano — per questa partecipazione all’insurrezione milanese Lecco fu poi promossa a “città”, da borgo che era.

Lei inoltre collega la espulsione di Stoppani dal Seminario ai fatti del ’48, cosa vera ma solo in generale.

Perchè invece non parla della fallita insurrezione di Milano del 1853?

Fu quello l’evento che determinò il cambio di gestione dell’ordine pubblico da parte degli occupanti austriaci. Per i fatti del ’48, al rientro in Milano, gli Austriaci avevano decretato amnistia totale, costretti a mantenere la parola, pena il rimanere con la città vuota.
L’Abate, insegnante al Seminario, fu espulso assieme ad altri 15 colleghi (tra cui il Pestalozza, cui Lei accenna, e Natale Ceroli, amicissimo di Stoppani e, più avanti, per 13 degli ultimi anni di Manzoni, assistente culturale del poeta) perché sospettati dagli Austriaci di avere fatto propaganda attiva alla preparazione della rivolta — cosa non vera, mentre era vera la loro propaganda per l’indipendenza.

Nei giorni della fallita insurrezione (Marx ed Engels ne fecero un commento critico sul piano politico anche se con apprezzamenti al coraggio degli insorti), la madre Lucia temeva che l’Abate (troppo vivace come comiziante) finisse fucilato per strada; gli scriveva di stare sempre attaccato al fratello maggiore Pietro, anch’egli sacerdote e già conosciuto (più avanti e per molti anni fu Prevosto di Santa Maria della Passione in Milano).
A esfiltrare l’Abate da Milano a Como, pensarono i Porro (potenti in entrambe le città), legati agli Stoppani da vincoli famigliari nei secoli precedenti.

Antonio Stoppani nel 1871, in abiti civili.

Domanda 5/

Perché, Professore, nella Sua «Introduzione» a «Il Bel Paese» Lei non parla mai della «Carta Geologica», che l’Abate cita invece con enfasi nel suo libro?

Abbiamo notato con sorpresa che nel Suo ragionamento manca ogni cenno alla Commissione della Carta geologica, istituita immediatamente dopo la proclamazione del nuovo Regno, marzo 1861, sotto la direzione politica di Quintino Sella.

L’Abate ne fu uno dei due Segretari e da quel contesto originano sia i suoi lavori sul campo (in ambito petrolifero) sia i suoi contrasti con l’ambiente governativo: l’Abate (con altri naturalmente) spingeva a che la Carta geologica fosse stesa dai geologi locali (legati al territorio e provvisti di cultura generale) e non dagli ingegneri delle miniere, buoni tecnici ma mediocri conoscitori dei territori in cui erano inviati, spesso lontano dai propri ambienti, limitati sul piano scientifico complessivo, spesso a corto delle più elementari conoscenze umanistiche e proni all’esecutivo in quanto militari.

In quei primissimi momenti di vita del nuovo esecutivo, responsabile per la prima volta dopo secoli di quasi tutta la penisola, emersero con forza i termini di un contrasto nella nostra vita nazionale che non si è ancora risolto: che rapporto ci deve essere tra il “centro” e la “periferia”; tra la capitale e le provincie?
Attenzione Professore! non stiamo divagando! Stiamo solo cercando di evidenziarLe quanto l’Abate mise in luce nella «Serata VI — Il Passo di Sobretta», in particolare nel capitoletto 4 — La carta geologica (p. 97 dell’edizione Stoppani 1876; p. 119 secondo Einaudi).
In quei brani di narrazione ai nipoti l’Abate indica esattamente qual fosse nella propria idea la procedura da seguire per redigere una buona carta geologica: infortunato a un ginocchio l’Abate Stoppani è costretto al riposo; nella locanda dove alloggia arriva un forestiero allampanato con a tracolla una cassetta da erborista e alla cintura un martello da geologo.

È il signor Theobald, già amico di Stoppani, «incaricato dalla “Società delle scienze naturali”, coadiuvata dal governo federale svizzero», per arrivare alla pubblicazione della carta geologica del […] Canton Grigioni […] «tutta quella catena, o piuttosto quell’immenso gruppo di colossi alpini ove si perdono per dir così, i limiti della frontiera italo-elvetica […] La carta del Theobald potè veder la luce prima della sua morte, e l’Italia ebbe tutta delineata geologicamente, da mano non Italiana, una delle più vaste e difficili porzioni della sua frontiera […] Giovandoci del fortunato accidente che ci aveva riuniti sul difficile campo, pensammo dividercelo […] Theobald doveva cacciarsi su pei monti alla destra dell’Adda, cercando i limiti occidentali del granito; io invece avrei attraversato il Sobretta, prevedendo di incontrarne i limiti orientali, e di dover quindi attraversarne il corpo più grosso ».
Ecco delineata, sotto la forma del raccontino ai nipoti il programma scientifico di Stoppani: la collaborazione tra scienziati — italiani e non — ma ben radicati al territorio (con il contributo ovviamente dell’amministrazione).

L’Abate pubblicò quel raccontino nel 1876 ma lo aveva già pubblicato nel 1865 sulla rivista “L’Adolescenza”, nel pieno della lotta tra le diverse tendenze politiche culturali del nuovo Regno che trovavano il terreno di confronto/scontro proprio sulla Carta Geologica.
Il libro pubblicato nel 1876 era il portato di quelle lotte e discussioni. Come ha potuto curare “Il Bel Paese” senza cogliere questi snodi fondamentali?

Antonio Stoppani, presumiamo fine anni ’70.

Domanda 6/

Perché, Professore, Lei quasi non parla delle attività professionali dell’Abate Stoppani?

Nella Sua “Introduzione” Lei accenna al come “Il Bel Paese” sia una raccolta di articoli apparsi negli anni precedenti su riviste destinate agli adolescenti. Era un buon inizio per illustrare cosa sia in realtà quel volume stampato dall’Abate nel 1876 (il nostro Centro Studi ha condotto su questo aspetto una analisi di dettaglio che vedrà la luce, ci auguriamo, abbastanza in fretta).

È indispensabile però aggiungere che in quegli articoli l’Abate trasferiva il contenuto dei suoi diari di lavoro sul campo. L’insieme (i testi già stampati negli anni precedenti costituiscono circa il 70% delle circa 180.000 parole della prima edizione) è quindi non una raffigurazione dell’Italia ma una rappresentazione degli impegni professionali e scientifici dello Stoppani.

I quali impegni, immediatamente a partire dai primi anni ’60, si concentrarono su due temi:

L’andamento dei ghiacciai.

A parte gli aspetti scientifici generali e il collegamento con la questione della comparsa dell’uomo (tema allora di attualità con l’ipotesi di Darwin) la cosa aveva un rilievo immediatamente economico: se i ghiacciai si ritirano, come affrontiamo i problemi dell’approvvigionamento idrico, soprattutto per le coltivazioni della pianura?

L’approvvigionamento di materie prime energetiche.

Vista la scarsità nella nostra penisola di risorse minerarie immediatamente utili, come il carbone, è possibile trovare altre risorse, altrettanto utili?
Come noto, nel quadro delle discussioni sulla Carta Geologica cui si è fatto cenno, la parte governativa (con Sella in testa) si prese lo sfruttamento delle già disponibili risorse (carbone) puntando sul Corpo delle Miniere, struttura militarizzata, agli ordini diretti del Re/Esecutivo.
Ai geologi non inquadrati non restava che trovare nuove nicchie. L’Abate ebbe l’intuizione di puntare sulle risorse petrolifere in senso lato.

L’intero “Il Bel Paese” è dedicato a questi due temi, con qualche corollario collegato al dibattito su aspetti sollevati dal darwinismo (per es. i capitoli dedicati ai pipistrelli, alle grotte, ecc.) e qualche concessione alla cronaca (la serata dedicata a Loreto).

È chiaro che avendo il sistema dei ghiacciai relazione con tutto l’arco alpino, le sue ricerche sul campo si svilupparono nelle regioni interessate al fenomeno, quindi quelle del Nord della penisola.
Ma ne “Il Bel Paese” non vi è alcuna esposizione sistematica della formazione geografica o geologica delle regioni in questione. Al Piemonte, alla Lombardia, al Veneto si fa riferimento solo in quanto ospitano le Alpi e, quindi, i ghiacciai. Nel libro troviamo quindi molto sui ghiacciai ma quasi nulla sui diversi territori (alla geologia della Lombardia, l’Abate aveva dedicato il suo primo libro, quello del 1857, da Lei mai citato — è importantissimo).

Ed è altrettanto chiaro che, nella visione dell’Abate, essendo le risorse petrolifere un aspetto dell’attività plutonica del globo — e del relativo sistema vulcanico — le sue ricerche lo portarono nelle regioni dove il vulcanismo (nei suoi vari aspetti) presentava le manifestazioni più evidenti — Emilia, Lazio, Abruzzo, Campania, Basilicata, Sicilia.
E infatti ne “Il Bel Paese” troverà descritti aspetti di quelle regioni, collegati al discorso vulcanico. Ma non vi è alcuna sistematica esposizione della loro natura e neppure della loro geologia generale.

Di alcune regioni, l’Abate non fece assolutamente menzione, se non incidentale: ignorata del tutto, per esempio, la Sardegna che pure ha nella nostra fisionomia geologica un ruolo notevole (lo evidenziò benissimo Lamarmora); ignorata la Puglia, la Liguria, e così via.

Il presentare il libro di Stoppani come di illustrazione e presentazione della nostra penisola è quindi attribuire al sottotitolo (“Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d’Italia”) un valore generale che non era certo nelle intenzioni dell’autore (“conversazioni” è termine volutamente vago e si presta alla eventuale non sistematicità nella esposizione).

Sarebbe più vicino alla realtà, definire “Il Bel Paese” la presentazione del lavoro di indagine e di lavoro compiuto dall’Abate in più di vent’anni sui due fronti principali della glaciologia e dell’attività vulcanica.
È chiaro come questo secondo aspetto sia preponderante nell’economia dell’opera e che (anche se evidenziato quasi da nessuno) proprio in questo ambito l’Abate ci ha lasciato un patrimonio concettuale (e pratico) di inestimabile valore.

L’Abate cominciò a occuparsi di petrolio quando apparve la notizia delle prime estrazioni superficiali negli Stati Uniti, con quella corsa al petrolio (allora usato a scopi di illuminazione) che destò tanto scalpore di cronaca.
Si deve riconoscere alla sua competenza e creatività scientifica avere intuito che l’Italia presentava caratteristiche geologiche che, benché assolutamente diverse da quelle del Nord America, potevano prestarsi alla presenza di petrolio.

Grazie all’appoggio di Quintino Sella (che gli procurò contatti negli USA e anche clienti) l’Abate ci lavorò e formulò tra i primi la teoria abiotica della formazione del petrolio, allora condivisa da scienziati come D.I. Mendeleev e Bethelot ma ritenuta irrilevante dagli operatori di allora (e di oggi).

Eppure, proprio basandosi su quei presupposti teorici, l’Abate trovò il petrolio in Italia; lo estrasse; cercò anche di farci dei quattrini (impegnandosi come imprenditore) proprio partendo da quelle aree da dove, 140 anni dopo, noi traiamo quasi il 10% del nostro fabbisogno di materie petrolifere (non entriamo nel merito se ciò sia bene o male).
La configurazione geologica d’Italia non rendeva allora un grande affare l’estrazione petrolifera per i limiti dei mezzi tecnici dell’epoca. Ma quando (morto da un pezzo l’Abate) fu possibile scavare pozzi profondi anche qualche chilometro, risultò tutta la forza della intuizione scientifica dell’Abate.
Come noto, la teoria abiotica venne considerata valida in Unione Sovietica ai primi anni ’50 ed è su quella base che da allora la Russia è uno dei più grandi produttori di petrolio e gas del Mondo.

Ma torniamo al nostro tema.

Antonio Stoppani nel 1876, a 52 anni.

Domanda 7/

Perché Lei non ha detto nulla sulle elezioni del 1876, in funzione delle quali Stoppani pubblicò «Il Bel Paese»?

Nel 1876, con la prima edizione de “Il Bel Paese”, l’Abate intese presentare in modo originale il proprio programma elettorale (si era proposto per partecipare con la Sinistra alle elezioni dell’autunno del 1876) riassumibile in due punti:

a/ considerare con l’occhio dello scienziato la nuova Italia sotto il profilo delle risorse naturali (sistema dei ghiacciai = approvvigionamento idrico / sistema vulcanico = risorse petrolifere);

b/ dotare la popolazione (in primo luogo naturalmente le nuove generazioni) della capacità di comprendere i fenomeni naturali per utilizzare nel modo più evoluto quelle medesime risorse.
Fu per questa specifica ragione che l’Abate decise di pubblicare in proprio il volume, indipendentemente da ogni altra considerazione: un programma elettorale in grande stile con cui l’Abate abbandonava la Destra storica con cui aveva collaborato per tanti anni ma da cui lo avevano da subito diviso tutta una serie di questioni, evidenziate nel dibattito sulla Carta geologica.

Nel 1876 si profilava la possibilità di un rovesciamento della ormai vecchia compagine governativa e l’Abate ritenne di potere trovare nella nuova soluzione della Sinistra l’ambiente adatto all’affermazione delle proprie idee circa la gestione della geologia come scienza operativa e come parte della cultura collettiva.
All’ultimo momento l’Abate, premuto e dai suoi vecchi amici e dalla gerarchia ecclesiastica, si ritirò dalla competizione elettorale: amareggiato e deluso anche di se stesso, ruppe i rapporti con Milano e si trasferì a Firenze da dove tornò, ma solo anni dopo, quando le polemiche si erano attenuate e solo per le pressioni di Brioschi, Rettore del Politecnico.

Domanda 8/

Perché Lei ha solo incidentalmente accennato alle successive edizioni de “Il Bel Paese”?

In quel periodo di “esilio” in Firenze — e così torniamo qui a Lecco — l’Abate decise di fare de “Il Bel Paese” il veicolo per un’altra operazione, di diversa natura, legata al filone ideologico cui apparteneva nel profondo e al ruolo che nella sua mente poteva / doveva assumere Lecco nel panorama nazionale.
E arriviamo così a un altro dei punti non presenti neppure di sfuggita nella Sua “Introduzione”.

Nel maggio 1873 morì A. Manzoni. Immediatamente l’Abate si attivò perché in Lecco si arrivasse a erigere un monumento al poeta e all’autore de “I Promessi Sposi”, il romanzo che in Lecco ha origine e conclusione (il Sindaco di Lecco era padre di Barbara Resinelli, bisnonna di chi scrive, e quindi congenero dell’Abate, che aveva la strada spianata per le sue proposte).

Come già accennato, ai primi del ’74 l’Abate scrisse “I Primi Anni di Alessandro Manzoni”, dedicato a rappresentare il legame tra Manzoni e Lecco, già da allora volutamente sottostimato dai “milanesi”, come Giulio Carcano, che ci tenevano a un Manzoni solo meneghino. In quel libro l’Abate pubblicò un “Inno” inedito di Manzoni (Il Natale del 1833) che avrebbe avuto un grande futuro nel secolo successivo.
Varie vicende, già da noi ampiamente presentate (vedi il nostro sito) impedirono per anni che il progetto del monumento si potesse concretizzare.

Nel frattempo, come lascito della questione romana, si erano acuiti i contrasti tra le diverse tendenze all’interno del clero italiano. L’ala progressista (in cui naturalmente si riconosceva Stoppani) si appoggiavano al lascito ideale di Rosmini (messo invece all’Indice dal Vaticano) e di Manzoni che del cattolicesimo liberale era stato il campione culturale.

L’Abate pensò saggiamente di mettere insieme i due nomi simbolo: di erigere a Milano un monumento a Rosmini e — contemporaneamente — un monumento in Lecco a Manzoni, come già programmato anni prima.
L’Abate lanciò il progetto, cominciando a raccogliere fondi soprattutto tra il clero evoluto. Il Vaticano reagì brutalmente imponendo ai sacerdoti di non dare un centesimo al progetto di Stoppani, minacciando rappresaglie. Nonostante la fermezza di alcuni (tra questi è da ricordare Giuseppe Mercalli, già allievo dell’Abate e rosminiano di ferro, che rimase fermo sulle sue posizioni e fu quindi licenziato su due piedi dal ruolo di insegnante di scienze al Seminario), la gran parte si piegò: l’Abate dovette mutare linea e puntare sul solo monumento a Manzoni in Lecco.

Per dare cornice degna alla città e renderla nota all’intero nostro paese, l’Abate compose la terza edizione de “Il Bel Paese”, uscita nel 1881, completamente rinnovata:

— sia nella parte di più immediata comunicazione: la copertina, già rappresentante il sistema vulcanico, fu sostituita da una rappresentazione della lotta ideologica tra progresso e reazione;

— sia ampliata con una “Appendice” di cinque nuove “Serate” (110 pagine, da aggiungersi alle 530 della prima edizione del 1876), tre delle quali dedicate ad argomenti più o meno marcatamente collegati a Lecco:
• Serata II = I nostri laghi /
• Serata III = L’incendio del San Martino (la montagna che domina Lecco e che ne garantisce da sempre la feracità) /
• Serata IV = Il Reno da Sciaffusa e l’Adda a Paderno (in questa nuova serata compare come macchietta familiare il piccolo Antonio, nonno di chi scrive, nato nel 1872, preso bonariamente in giro dallo zio geologo per non sapere spiegare cosa fossero le “conche” del Naviglio).

Queste tre serate in cui Lecco appare in modo così marcato, furono concepite dall’Abate per collocare la città lariana all’attenzione nazionale e favorirne quel ruolo di “altare alla memoria di Manzoni” che sarebbe diventato il filone della comunicazione con cui (purtroppo mesi dopo la morte di Stoppani) si arrivò nell’ottobre 1891 a inaugurare in Lecco il monumento a Manzoni, che tuttora domina il centro della città.

Sotto questo profilo la scelta Einaudi di pubblicare la prima edizione del 1876, se ubbidisce a ovvi e condivisibili criteri bibliografici (la prima edizione ha certo un suo particolare valore), ha il limite di ignorare lo sviluppo del pensiero dell’Abate sulla funzione della propria opera: da programma elettorale per l’affermazione della scienza nazionale (1876) a promozione del pensiero etico-religioso-letterario del cattolicesimo democratico e popolare (1881).

Domanda 9/

Perchè Lei ha attribuito i contrasti tra l’Abate Stoppani e la gerarchia vaticana a ragioni insignificanti e fuorvianti?
Perché non ha parlato delle ragioni vere del contrasto?

Nella Sua “Introduzione”, Lei ha accennato ai contrasti tra Stoppani e gli ambienti conservatori della Chiesa in un modo che ci sembra veramente curioso (p. XXX):

«Uomo di entusiasmi inesausti e col piacere di un pubblico apprezzamento, l’abate Stoppani era ben lontano da quel tipo di prete avvolto nella tonaca e paladino di antichi pregiudizi e rituali barocchi: non era uomo da bisbigli o sguardi obliqui, anzi era uomo dal volto bonario e dalla parlata accattivante, dalla comunicazione brillante, piacevole e compiaciuta.
Naturale, dunque, che il clero piú intransigente lo attaccasse: «L’Osservatore cattolico», che si definiva «giornale religioso-politico», aveva avuto toni aspri nei suoi confronti, affermando di non riconoscere in lui l’abito del sacerdote. Finita in tribunale, la questione era stata risolta a favore di Stoppani, risarcito con 10.000 lire per i danni materiali e 6.000 per quelli morali.»

Questo modo “curioso” di vedere le cose della storia ci sembra d’altra parte una costante di tutto quel testo.

Nelle quasi 10.000 parole da Lei stese a presentazione de “Il Bel Paese” secondo Einaudi, Lei, infatti, non ha mai fatto ricorso, neppure per inciso, alla parola “Vaticano” (e quindi né “Stato Pontifico, né “Patrimonio di San Pietro”), né alla parola “Papa” (e quindi né Papa Pio IX, né Papa Leone XIII).
D’altra parte Lei ha citato la parola “re” solo con riferimento a una conferenza sui ghiacciai tenuta da Stoppani all’Accademia dei Lincei, cui avevano partecipato come ospiti Re Umberto II e la Regina Margherita.
D’altra parte Lei ha citato solo una volta Garibaldi ma solo per ricordare che gli era amico Lessona, il naturalista torinese.

Cioè Lei, parlando dei fenomeni di comunicazione della seconda metà dell’Ottocento in Italia, spende molte parole per ricordare il ballo “Excelsior” della Scala di Milano ma neppure una virgola per tratteggiare, anche solo in estrema sintesi, le figure che caratterizzarono quel periodo, a sua volta caratterizzato da una sola grande questione, rimasta irrisolta per mezzo secolo, ossia lo scontro tra Stato italiano e Stato Pontificio (a scanso di equivoci, chiariamo che i Patti Lateranensi del 1929 non composero affatto la frattura ma la nascosero con la forza della dittatura fascista generalizzata).
E quindi, leggendo la Sua “Introduzione”, anche il più disponibile si trova inevitabilmente a chiedersi — e a desiderare di chiederLe — come Lei si rappresenti il ruolo dello storico.

Le chiedo, Professore: come è pensabile che Lei possa chiarire ai suoi lettori (e anche a tutti coloro che La ascolteranno a Lecco il 12 aprile) cosa diavolo sia “Il Bel Paese” di cui Lei ha curato l’edizione secondo Einaudi? Come è possibile se Lei non sente il bisogno di dire neppure una parola sugli stessi presupposti — non del libro di Stoppani ma della vita stessa dell’Abate Stoppani nonché dell’intera collettività nazionale di cui facevano parte i nostri bisnonni?

Lei, Professore, presenta lo scontro tra l’Abate Stoppani e le tendenze più reazionarie del Vaticano come conseguenza degli aspetti più superficiali che secondo Lei caratterizzavano Antonio Stoppani: non un prete “avvolto nella tonaca e paladino di antichi pregiudizi e rituali barocchi”; non uomo “da bisbigli o sguardi obliqui” ma invece figura dalla “parlata accattivante, dalla comunicazione brillante, piacevole e compiaciuta”.

Questo quadretto interpretativo è decisamente stupefacente, offensivo non solo per l’Abate Stoppani ma anche per i suoi avversari (pur se reazionari), presentati da Barberis come urtati da un modo non ingessato e anche un poco compiaciuto di porgersi nelle conferenze pubbliche che Barberis attribuisce a Stoppani.

Vediamo quindi di fare un po’ di luce su queste vicende, importantissime per la vita dell’autore de “Il Bel Paese” di cui quest’anno celebriamo il Bicentenario e presentate in modo così fantasioso proprio da chi dovrebbe essere deputato, anche per mestiere, a lasciare la fantasia ai momenti di svago e a cercare di comprendere e far comprendere i passaggi della realtà.

Trentennale impegno di Stoppani nelle fila del cattolicesimo progressista.

Nel 1860, come membro della Società Ecclesiastica di Milano (che raccoglieva i preti conciliatoristi della città — la parte più dinamica del clero di allora) Stoppani partecipò all’intenso e sotterraneo lavoro per convincere il clero cittadino quantomeno a non schierarsi contro la ormai imminente riunificazione del Paese a guida Savoia e a sostenere quindi il di lì a poco Re d’Italia nella prova di forza con Pio IX.
Come abbiamo già narrato in una nostra Nota (qui) della azione era magna pars Manzoni (e il suo confessore, Don Giulio Ratti, Presidente della Società Ecclesiastica) che (con il tramite di D’Azeglio, già genero di Manzoni e allora Governatore di Milano) dialogò con Vittorio Emanuele per concordare il da farsi nella più importante città dell’ex Regno Lombardo-Veneto.

Alla proclamazione del Regno d’Italia (marzo 1861) la parte conciliatorista dei sacerdoti milanesi (tra essi Antonio Stoppani era già ben noto e apprezzato) continuarono nell’azione per definire nuovi rapporti tra Stato e Vaticano. A seguito di ciò, nel 1862, la Società Ecclesiastica fu sciolta d’imperio dalle autorità ecclesiastiche.

Sempre nel ’62, l’Abate Stoppani, assieme ai due fratelli anch’essi sacerdoti (Pietro, più tardi e per molti anni Prevosto di Santa Maria della Passione in Milano e Carlo, per molti anni insegnante di scienze naturali in Modica di Sicilia), firmò la cosiddetta “Petizione Passaglia” con la quale oltre 9.000 sacerdoti italiani chiesero a Papa Pio IX di considerare l’opportunità di giungere a un accordo con il potere statale del Re Vittorio Emanuele II.
Ciò per evitare l’approfondirsi di un contrasto nella società italiana, esiziale per il miglior sviluppo del nuovo Paese, finalmente quasi del tutto riunito.
Molti firmatari della Petizione, pressati dalle autorità ecclesiastiche, minacciati di rappresaglie interne, si piegarono e ritirarono il loro appoggio a Passaglia.
I fratelli Stoppani non ritirarono un bel nulla, finendo così nella lista nera del Vaticano.

All’indomani della presa di Roma (1870), la parte più conservatrice della gerarchia si impegnò a fondo non per smussare ma, al contrario, per inasprire i contrasti con il potere statale e avviò una campagna sistematica contro il clero conciliatorista, riprendendo gli argomenti già usati contro l’ormai defunto Rosmini.

A fronte di questo riacutizzarsi dell’assalto conservatore, l’Abate non solo continuò con l’azione organizzativa all’interno del clero conciliatorista per rintuzzare le iniziative dei reazionari ma cominciò alla fine degli anni ’70 anche a prendere contatti con giornali di ispirazione conciliatorista.

Al centro delle sue riflessioni, non solo il ribadire i concetti già noti della conciliazione in termini politici tra Vaticano e Stato ma l’avviare un discorso di rinnovamento del clero anche in termini di cultura e di preparazione scientifica, da condurre con la necessaria ampiezza nei Seminari.

Queste posizioni di Stoppani, estremamente ragionevoli e strategicamente evoluti, in un primo momento gli attirarono l’attenzione del Papa Leone XIII che lo ricevette in Vaticano il 15 marzo 1879. Nel corso dell’udienza, l’Abate Stoppani illustrò a voce al Pontefice quanto egli pensava circa i problemi di una riqualificazione culturale del clero.
Leone XIII lo ascoltò con manifesta simpatia e gli fece dono della usuale medaglia d’oro a ricordo.
All’interno dell’ambiente vaticano, questo cordiale incontro face nascere due tendenze perfettamente contrapposte.
Da un lato la tendenza più aperturista che riteneva vantaggioso per la Chiesa arrivare a un accordo con lo Stato — e che quindi cominciò anche a pensare a una eventuale nomina di Stoppani alla carica di Cardinale, incaricato delle questioni scientifiche.
Dall’altra parte la tendenza più reazionaria che invece pensò bene di avviare una campagna contro quel rosminiano così preparato sul piano scientifico e così dotato anche come letterato e oratore — conveniamo con Barberis: l’Abate si lavava tutti i giorni e cercava di non sputare davanti alle signore.

Prese così avvio una campagna strisciante ad personam contro la figura dell’Abate Stoppani — non certo per il suo tono eloquente o per la bella voce baritonale o per la naturale simpatia o per altre simili sciocchezze.
Ma diamo la parola allo stesso Stoppani, prendendo brani dalla sua denuncia per il processo che lo stesso Barberis cita come risoltosi vittoriosamente per Stoppani:

«Fu difatti nel 1880 che io pubblicai nel periodico la “Sapienza” diretta da Vincenzo Papa un breve articolo intitolato “Impressioni di un viaggio”, in cui lamentavo per la prima volta nel Clero quella scissura profonda d’idee e di sentimenti, di recriminazioni, d’ingiurie e d’improperi, quel capovolgimento della gerarchia, per cui noi preti siamo divenuti da qualche anno di scandalo al laicato, e spettacolo miserando a noi stessi. […] Ciò mi valse una prima sfuriata di articoli ingiuriosi […]»

Ma la campagna di denigrazione prese pieno vigore quando Stoppani, nell’aprile 1884, pubblicò il volume “Il dogma e le scienze positive” (ne fece una seconda edizione aggiornata nel 1886) nel quale, in oltre 400 pagine, delineava i compiti culturali per un clero al passo coi tempi e — tanto per mantenere viva la memoria — pubblicava l’ormai introvabile testo della “Petizione Passaglia” del decennio precedente.

Il discorso molto argomentato ed efficace di Stoppani spinse gli avversari a rilanciare l’azione di contrasto sulla scia di quanto già sperimentato pochi anni prima e che si espresse (a un livello decisamente basso) ancora attraverso il giornale milanese “L’Osservatore Cattolico”, diretto da Don Albertario.
Questi per l’occasione mise a punto il tipo di attacco giornalistico a metà tra l’argomentazione e la diffamazione personale che ebbe poi tanto successo (e continua ad averlo): nel 1884 a Stoppani furono dedicati sedici articoli e nove nel 1885.

Questo un assaggio dello stile di Don Albertario:

«Lo Stoppani scrive come un partigiano, assale, calunnia, oltraggia tomisti e papisti, giornalisti, apologisti (N. 102). — Lo Stoppani non possiede coltura sufficiente e diritta… non ha cuore… si abbandona al rozzo mestiere di tormentare spiriti immortali, che pregiano sopra tutto l’ubbidienza illuminata alla Chiesa… è portato a incrudelire, con volgari o viete insolenze contro la stampa cattolica; mestiero indegno, mestiero vile…. (N. 103). — Lo Stoppani scese ad indegne villanie anche personali… razzola nell’immondezzaio del giornalismo più abbietto… stampa un libro partigiano, monocolo, e non sa reprimere Ie basse e turpi passioni dell’odio (N. 101).
È immacolata la bandiera di preti che si sono venduti alla rivoluzione, hanno popolato università e licei, occupati posti dei provveditorati scolastici, e si sono fatti disseminatori di errori e di scandali? È immacolata la bandiera di preti ammogliazzati, mercatori di sorrisi inverecondi, pei quali la Chiesa ha lagrimato lagrime amarissime? (N. 253).

Di preti che

invece di salir con Cristo al monte,
Si trastullano al prato e al chiaro fonte,
Se pure in ballo, a qualche mopsa accanto,
Non vadano a finir senza compianto…
O, peggio, come Giuda loro amico,
Non corrano a crepar appesi a un fico.

Ci pare che per questa occasione ce ne sia abbastanza.

Ma come abbiamo già mostrato, l’Abate Stoppani aveva suscitano la versatilità letteraria degli odiatori del Vaticano parlando di cose serie: è possibile arrivare a un accordo tra Stato laico centrale e Vaticano; a quali condizioni? è possibile che il clero sia parte costitutiva del nuovo Paese?
Stoppani dice che sì! è possibile, ma occorre che il Papa si liberi del potere temporale (certo un programma vasto).
E i Don Albertario, invece che dicono? Col cavolo, il potere temporale ci piace e ce lo teniamo bene stretto!
Quindi, per i reazionari, il problema non era la chioma e la fotogenia dell’Abate Stoppani e la sua eloquenza oratoria e il suo fare più o meno accattivante — il problema era di potere, di posizioni, di quattrini — come sempre del resto.

Ecco, diciamo che il Professor Barberis si è un po’ distratto mentre scriveva quelle parole circa il contrasto a suo dire stimolato dalla facondia (per di più un poco vanitosa) che egli attribuisce all’Abate.

Da notare, nell’azione dell’Osservatore Cattolico contro l’Abate Stoppani, l’inserimento del tema “Manzoni” cui Stoppani dedicò tante energie, soprattutto per fare condividere da tutto il bel paese l’idea del legame organico tra Lecco e Manzoni (del poeta, Barberis, nelle sue trenta pagine di “Introduzione” dedicate alla produzione letteraria italiana negli anni a metà secolo, non cita neppure il nome, continuiamo a ripeterlo perché rimanga ben fisso nella memoria dei lettori).

L’8 marzo 1885, al Teatro della Società di Lecco, si tenne la prima conferenza di promozione per l’erezione del monumento a Manzoni in Lecco. Organizzata dal Comitato promotore di cui l’Abate Stoppani era Presidente, la conferenza aveva due obiettivi: lanciare il progetto a livello pubblico e cominciare a raccogliere fondi. Il testo della conferenza sarebbe stato stampato in alcune migliaia di copie e venduto in tutta Italia.
Venne così invitato a parlare Romualdo Bonfadini, figura nota a livello nazionale. Valtellinese, amico fraterno in Milano dei Visconti Venosta; come garibaldino nella Terza guerra di indipendenza del 1866 era stato compagno d’arme di E. Guicciardi alla difesa dello Stelvio. L’anno successivo venne eletto alla X Legislatura tra i ranghi della destra; stese una relazione dettagliata sulla situazione romana delineando i criteri per un intervento del regio esercito in Roma in caso di insurrezione anti papale. Nel 1874 fu eletto per la XII legislatura, e nominato segretario generale alla Pubblica Istruzione nel governo Minghetti. Nel 1875 fece parte come relatore della giunta per l’inchiesta sulle condizioni della Sicilia.

Estimatore di Manzoni e in buoni rapporti con Stoppani, Bonfadini partecipò volentieri a quella prima iniziativa del Comitato lecchese. Ovviamente attirando come una calamita l’attenzione dell’ “Osservatore cattolico” che, memore dell’analisi da Bonfadini svolta anni prima sostanzialmente per scalzare il Vaticano dal controllo di Roma, ne trasse spunti per rinforzare la dose contro Stoppani: ecco! l’Abate geologo ha portato a Lecco quel Bonfadini, nemico della Chiesa e del Papa — ergo, anche Stoppani è nemico della Chiesa e del Papa.

Come si vede, l’impostazione del Professor Barberis, in questo caso è un pochino carente e ignora elementi fondamentali per comprendere e apprezzare il legame profondo che sempre legò Stoppani alla sua città natale.
Ma il Professore — ricordate la sua lettera citata all’inizio? — ha invece scritto nel primo rigo del proprio programma editoriale la cancellazione dai vari autori di ogni loro legame e di luogo e di tempo con la realtà: in questo ci avrà sempre vigili avversari: che almeno l’Abate Stoppani sfugga a questo insulto alla memoria collettiva. La quale memoria — giova ricordarlo con forza — non soffre mai di eccesso ma — sempre — di difetto.

Fabio Stoppani
Centro Studi Abate Stoppani
fabio-stoppani@alice.it

Conclusioni: innumerevoli i silenzi e i fraintendimenti sulla figura e l’opera dell’Abate Antonio Stoppani da parte di Einaudi e del curatore Professor Barberis.

ZERO le positività de “Il Bel Paese”, Edizione Einaudi 2024.

La Nota su “Il Bel Paese” secondo Einaudi, 2024 è già molto lunga e comunque non necessita di commenti conclusivi.

Vorremmo invece richiamare l’attenzione su un fenomeno di tartufismo istituzionale decisamente deprimente.

Il 7 aprile la nostra Nota ha reso pubblica l’avversione nei confronti delle celebrazioni del Professor Barberis (ha scritto «fanno male ai libri”), curatore dell’edizione Einaudi de “Il Bel Paese” — e soprattutto — Presidente della maggiore casa editrice del bel paese.

Fino a quel momento il Sindaco di Lecco, Mauro Gattinoni e l’Assessora alla Cultura Simona Piazza, indicavano la presentazione del 12 aprile in Lecco de ”Il Bel Paese” di Einaudi come momento del bicentenario dell’Abate Stoppani — cosa soltanto ovvia e obbligatoria per il buon senso e per la storia di noi tutti.

Nel programma dell’iniziativa “Volti e Storie”, proposto pubblicamente dal Comune di Lecco, le diverse iniziative sono infatti tutte presentate come momenti di una unica grande iniziativa indicata come “BICENTENARIO DELLA NASCITA” (la freccetta in rosso è nostra evidenziazione).

Dopo la nostra “rivelazione” (il Prof. Barberis ha scritto che «le ricorrenze facciano male ai libri»), il lemma “bicentenario” è stato cancellato dal vocabolario istituzionale di Lecco come si può constatare leggendo i due documenti del Comune: quello a sinistra è del 6 aprile 2024 ed evidenzia il bicentenario; quello di destra è del 9 aprile 2024, ed è invece in stile “Einaudi” — quindi senza alcun riferimento al bicentenario.

Possiamo solo dire: che vergogna! e …

VIVA IL BICENTENARIO
DELLABATE ANTONIO STOPPANI!
_____

VIVA IL BICENTENARIO
DI ANTONIO GHISLANZONI

entrambi sempre liberi e mai in ginocchio.

(L’Abate Stoppani solo davanti al suo DIO
Ghislanzoni neppure a quello).

Fabio Stoppani
Centro Studi Abate Stoppani