Milano, lunedì 23 settembre 2024
Lettera aperta a Mauro Gattinoni, Sindaco di Lecco.
Nel bicentenario della nascita, l’Abate
antonio stoppani
oltraggiato a Lecco, sua città natale
Nella targa Stoppani è presentato come un anonimo nessuno.
Ne è cancellata persino la nascita in Lecco.
•
Nel discorso del Sindaco
la sua vicenda umana, civile e scientifica
è falsata da puerili invenzioni e grossolane falsificazioni.
•
Della targa chiediamo l’immediata rimozione.
Del discorso una pubblica ritrattazione.
Ringraziando, riceviamo e pubblichiamo.
Martedì 23 settembre la Nota qui di seguito presentata è stata inviata per conoscenza ai promotori del Convegno «Attualità di Antonio Stoppani: visioni e sfide delle geoscienze nel terzo millennio» organizzato in Roma (23-24 settembre 2024) dalla “Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL” congiuntamente alla “Accademia Nazionale dei Lincei”.
Giovedì 26, il Prof. Annibale Mottana (Presidente Onorario della Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL), co-organizzatore del Convegno, giovedì 26 settembre molto cortesemente ci ha così scritto:
«Gentile Signor Stoppani,
la ringrazio della sua cortese comunicazione.
[…]
A nome del comitato organizzatore (Proff. G. Orombelli, V. Aquilanti e io) terremo senz’altro conto delle sue osservazioni nell’organizzare ora gli Atti (sono previsti un volume congiunto delle due accademie che raccolga le comunicazioni presentate e un articolo solo in inglese su una rivista di alto impatto internazionale) di cui le invieremo copia non appena informati del suo indirizzo postale..
Distinti saluti
Annibale Mottana»
Signor Sindaco Gattinoni,
giovedì 15 agosto Lei ha inaugurato una targa dedicata al 200esimo anniversario della nascita di Antonio Stoppani, apposta dal Comune di Lecco sulla facciata della casa dove egli nacque domenica 15 agosto 1824.
La cerimonia è stata accompagnata da un discorso pronunciato da Lei, nella Sua veste di Sindaco, e pubblicato sul sito del Municipio, a questo indirizzo Web:
https://www.comune.lecco.it/index.php/auto-genera-dal-titolo/allegati-news-comune/21988-24-08-15-celebrazione-di-antonio-stoppani-discorso-sindaco/file
Il quale indirizzo, però, dal qualche giorno non porta più da nessuna parte.
E sul sito del Comune il Suo discorso non è più reperibile in nessun modo: è scomparso, come non fosse mai esistito.
Per la memoria di tutti noi è comunque disponibile qui, sul nostro sito, ed è stato riportato integralmente da molti giornali on-line (ne abbiamo gli opportuni riscontri).
È importante che il Suo discorso non si volatilizzi: targa e discorso sono a oggi infatti gli unici documenti ufficiali che sulla vita e l’opera di Stoppani consegnano il punto di vista della Amministrazione della sua città natale.
Il nostro Centro Studi ritiene e la targa e il Suo discorso un insulto all’Abate Antonio Stoppani.
La targa che di Stoppani cancella perfino il luogo della nascita.
La targa predisposta dal Comune di Lecco — e da Lei quindi — per ricordare il 200esimo della nascita di Antonio Stoppani si caratterizza per la vacuità dei contenuti, facendosi veicolo non di memoria ma di deformazione della personalità del commemorato.
Ha in sé però qualcosa di estremamente grave che ne rende obbligatoria la rimozione immediata e la sua sostituzione, a prescindere da ogni altra considerazione.
Rilegga il testo di questa targa, da Lei inaugurata il 15 agosto:
La città di Lecco
nel bicentenario della nascita
rende omaggio ad
Antonio Stoppani
Studioso e divulgatore
ineguagliabile delle nostre
bellezze naturali
Lecco, 15 agosto 2024
Le chiediamo: cosa manca in questo testo?
Non se ne è ancora accorto? Manca ciò che più conta:
che Lecco è la città natale
dell’Abate Antonio Stoppani!
Siamo arrivati al fondo!
Nella sua vita Stoppani visse e operò a lungo a Pavia, Milano, Firenze. Ognuna di queste città, nel ricordarlo, avrebbe anche potuto trascurare di citare il suo luogo di nascita.
Ma è il colmo che Lecco abbia rinnegato persino di essere la sua città natale.
Che vergogna il Suo discorso, Signor Sindaco!
Se nella composizione della targa l’Amministrazione della città di Lecco ha segnato uno dei più bassi livelli del suo rapporto con Antonio Stoppani, non ha voluto essere da meno anche nella redazione del discorso con cui Lei, il Primo cittadino, ha presentato al pubblico la targa stessa.
Di questo Suo discorso ogni proposizione è fasulla, contiene fantasie o deformazioni o incoerenze o inverosimili silenzi:
• ne ignora la famiglia, degnissimo esempio della migliore Lecco di allora
• lo fa fondatore di società scientifiche mai esistite
• lo fa esploratore di parti del globo da Stoppani mai visitate né nominate
• ne falsifica il pensiero e l’azione circa le elezioni del 1876
• inventa una sua mai avvenuta convocazione da parte di re Umberto I e ne falsifica il pensiero circa il ruolo proattivo della scienza di fronte ai grandi eventi della natura
• ne ignora la scrittura de “Il Bel Paese”, con i suoi tanti riferimenti a Lecco
• ne ignora il ruolo di promotore della Lecco di Manzoni
• ne ignora la attualissima concezione della nostra era come antropozoica
Ma il primato di questo disastroso discorso è una grottesca invenzione in cui Lei ha coinvolto direttamente anche la città di Lecco.
Lei ha detto e scritto che Stoppani tenne le sue ben note e apprezzate conferenze pubbliche “nel Seminario di Venegono” nel quale, a Suo dire, “invitava nobili e intellettuali milanesi”.
Ma dove vive Lei, Signor Sindaco?
La informiamo che il Seminario di Venegono
è stato edificato
40 anni dopo la morte di Stoppani.
Che la posa della prima pietra è del 1928, mentre l’inaugurazione da parte del Cardinale Schuster è del 1935.
Lei, di tutta evidenza, ignora completamente anche che Lecco nel 1928 (allora ne era rappresentante il Podestà Angelo Tubi) si fece parte attiva nella realizzazione del Seminario di Venegono assicurando di contribuire con propri reperti a renderne più ricco l’erigendo Museo naturalistico purché fosse titolato ad Antonio Stoppani.
Cosa che avvenne con soddisfazione di tutti alcuni anni dopo, nel 1952, ma di cui Lei non ha la minima consapevolezza.
***
La targa inaugurata il 15 agosto e il Suo relativo discorso sono al momento gli unici documenti ufficiali del Comune di Lecco dedicati al Bicentenario della nascita di Antonio Stoppani.
Purtroppo sia la targa sia il Suo discorso, caratterizzati da invenzioni, falsificazioni ideologiche e grotteschi silenzi sulla vita e l’opera della figura che si vorrebbe celebrare, sono entrambi oltraggiosi per l’Abate Antonio Stoppani.
In tale misura da richiedere una risposta pertinente, tesa a garantire al commemorato la corretta collocazione storica, anche alla luce di un evento significativo di cui rimarrà una traccia ben precisa.
Martedì 24 settembre, organizzato congiuntamente dalla Accademia Nazionale dei Lincei e dall’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, si terrà infatti a Roma il convegno «Attualità di Antonio Stoppani: visioni e sfide delle geoscienze nel terzo millennio».
A favore di questo convegno il Comune di Lecco ha erogato un contributo di mille Euro (€ 1.000,00).
Ai lavori del Convegno il Comune di Lecco parteciperà con un intervento del dott. Mauro Rossetto (Sistema Museale Urbano Lecchese) titolato: «Il patrimonio culturale documentario e iconografico di Stoppani conservato dai Musei di Lecco».
Nel Suo discorso del 15 agosto, Signor Sindaco, Lei ha citato come Sua fonte scientifica e storica proprio il dott. Rossetto, che, tra l’altro, era al Suo fianco nello scoprimento della targa il 15 agosto a Lecco.
Quindi, a meno che Lei non abbia tradito completamente la fonte da Lei stesso citata, è da pensare che il Dott. Rossetto condivida quelle fantasie, falsificazioni e silenzi che abbiamo già segnalato caratterizzare sia la targa sia il Suo discorso.
Abbiamo già avuto modo in svariate occasioni di segnalare (anche a Lei personalmente e con Pec, ma senza averne mai alcun riscontro) le gravi carenze storico-scientifiche che caratterizzano la struttura e la narrativa del Museo Manzoniano di Lecco; e anche la più totale assenza in quel contesto di un qualsivoglia riferimento ad Antonio Stoppani.
Proprio di quello Stoppani che fu il più acuto propugnatore del legame organico tra Manzoni e Lecco; l’autore della prima biografia del giovane Manzoni con la quale venivano fissati gli elementi di quel legame, nonché l’ideatore, promotore e organizzatore del grande e bel monumento a Manzoni che dal 1891 domina il centro della città lanciando all’Italia intera un messaggio etico la cui validità va ben oltre il mero omaggio di memoria a una grande personalità.
Tutti elementi incredibilmente assenti anche nel discorso che Lei ha svolto il 15 agosto, nominalmente alla memoria di Stoppani.
Non sappiamo come il dott. Rossetto svilupperà il suo intervento al Convegno di Roma ma… anche a evitare che si lasci scappare qualcuna delle fantasie e falsificazioni già ricordate, a Lei, ai cittadini di Lecco, agli interessati alla figura di Antonio Stoppani e al nostro Risorgimento, presentiamo qui di seguito il nostro contributo di storici, da tempo impegnati ad attualizzare l’opera e la figura dell’Abate Antonio Stoppani (bisnonno di chi scrive era Giovanni Maria, fratello minore di Antonio, anch’egli socio della Società Italiana di Scienze Naturali e suo assistente in molte delle ricerche sul campo realizzate dal fratello maggiore).
Distinti saluti.
Fabio Stoppani
*****
Queste le osservazioni al discorso del Sindaco …
Per ben cominciare.
Il Sindaco di Lecco Mauro Gattinoni e la figura di Antonio Stoppani.
1/ «venne convocato nel 1876 dal Re d’Italia Umberto Primo … che accadrà ai ghiacciai? … Non conosco il futuro, Maestà. Non so che succederà …»
… inventa una sua mai avvenuta convocazione da parte di Re Umberto I; ne anticipa di un quinquennio il discorso all’Accademia dei Lincei; ne deforma il pensiero sull’andamento dei ghiacciai e sul ruolo della geologia
2/ «La Cappadocia … la via della seta … i ghiacciai della Siberia …»
… lo fa esploratore di parti del globo da Stoppani mai visitate né nominate
3/ «grazie alla Società Italiana di Geologia da lui fondata … »
… lo fa fondatore di una società scientifica mai esistita
4/ «Mendel … Darwin … Stoppani …»
… accosta fantasticamente Stoppani a Darwin in un indistinto evoluzionismo buono per tutte le occasioni
5/ «Conferenze al Seminario di Venegono … dove tutt’ora è disponibile il museo naturalistico … »
… lo fa conferenziere al Seminario di Venegono, edificato 40 anni dopo la sua morte — Ignora che il Museo naturalistico del Seminario è intitolato a Stoppani
6/ «Montagna, territorio, alpinismo e avventura, viaggi esplorativi in altre parti del mondo … l’Italia girata a piedi in lungo e in largo»
… ne fa una specie di beatnik girItalia giraMondo senza obbiettivi
7/ «DNA … Club Alpino Italiano … Cassin, Bonatti, Mauri …»
… lo assimila ai grandi atleti dell’alpinismo attuale: ridicola e falsante rappresentazione e per il naturalista e per gli atleti
8/ «sorvolo della città in mongolfiera … contro l’invasione austriaca … per ciò venne punito …»
… ne fa il trasvolatore in mongolfiera della città in rivolta — ne attribuisce al 1848 l’espulsione dall’insegnamento, che avvenne nel 1853 in altre circostanze
9/ «contro il non-expedit … si candidò per provocazione… per ragionare attorno al cristianesimo alla scienza, al ruolo della chiesa, a prendersi cura degli altri … »
… tace sul contesto delle elezioni del 1876, di Stoppani nasconde l’adesione alla Sinistra, ne falsifica pensiero e azione
10/ «Avuto con Giovanni Maria Stoppani»
… propone in modo ambiguo il rapporto tra la madre e il padre di Stoppani; ne ignora comunque la famiglia — inconsapevolezza della sua profonda ed evoluta religiosità
… e questi gli argomenti relativi alla targa:
Anche le targhe hanno una storia
Mostriamo le due contrapposte linee all’interno del Comune nel definire il testo della targa per il Bicentenario di Stoppani
All’estensore del testo della targa diamo del tu e diciamo…
… perché hai nascosto che Lecco è la città natale di Stoppani?
… perché lo hai presentato come un generico “studioso” / “divulgatore” e non come un geologo e paleontologo, uno scienziato di genio, un amatissimo docente universitario. Ossia per quello che fu?
… perché hai nascosto che era un presbitero conciliatorista e un originale teologo?
… perché hai nascosto che era un patriota democratico?
… perché hai nascosto che ha scritto “Il Bel Paese” e altri testi di grande valore?
… perché hai nascosto che a lui si deve il riconoscimento del legame tra Lecco e Manzoni?
… perché per ricordare la sua nascita gli hai realizzato una targa da cimitero? Ma buttala via!
Te ne suggeriamo noi un’altra senz’altro più adeguata!
Bicentenario
dell’Abate Antonio stoppani
Discorso del Sindaco Mauro gattinoni.
osservazioni critiche sul testo e nostri approfondimenti sull’Abate Stoppani.
Che pensa il Sindaco di Lecco Mauro Gattinoni dell’Abate Stoppani?
Signor Sindaco, per quanto riguarda il rapporto che ci sembra Lei abbia con la figura di Stoppani, abbiamo solo un elemento documentale che è però utile in quanto di carattere non occasionale e, quindi — per sua natura — valido fino a esplicita modifica.
Nel Suo programma elettorale per le elezioni amministrative del settembre 2020 (condiviso da Ambientalmente, Con la Sinistra Cambia Lecco, Fattore Lecco, Partito Democratico) Lei, Signor Sindaco, citava una sola volta il nome di Stoppani (affiancato a quelli di Manzoni e Ghislanzoni) nell’unico paragrafo dedicato alla cultura (91 parole), evidenziato con un titolo tra il metallurgico e il gastronomico:
«Non solo Manzoni, vergella e missultìn
Il DNA culturale di Lecco è espresso dai grandi protagonisti del nostro territorio (Manzoni, Stoppani, Ghislanzoni), dalla proverbiale operosità (la vergella) e dal patrimonio popolare e della tradizione (missultìn). Occorre approfondire le nostre radici valorizzando patrimonio e identità culturali ripartendo dai luoghi di fruizione: teatri (a partire dal Teatro Sociale), spazi all’aperto, poli museali e una particolare attenzione alla collaborazione con i soggetti locali che producono cultura. Per aprire la nostra città, rendiamola attrattiva anche con un calendario di eventi diffusi e per tutte le fasce d’età.»
Ci era subito parso come un esplicito segnale del Suo speciale rapporto con la cultura della Lecco risorgimentale il fatto che quel misero paragrafo riportante i nomi di Manzoni, Stoppani e Ghislanzoni comparisse in una pagina dominata dal monumento a Garibaldi.
Non abbiamo alcunché contro Garibaldi (anzi!) ma la avevamo trovata una scelta di comunicazione curiosa: infatti in Lecco ognuno dei tre personaggi ha un suo monumento; i monumenti a Manzoni e Stoppani sono decisamente notevoli come qualità artistica e anche come visibilità, e quello di Manzoni è in più particolarmente significativo per la storia della città.
È infatti il secondo e ultimo grande monumento all’aperto dedicato in Italia all’autore de “I Promessi Sposi” e venne realizzato grazie all’impegno quasi ventennale di Stoppani che con quel monumento volle non solo ricordare la figura di Manzoni ma soprattutto fissare nel bronzo, nei tre altorilievi del basamento, i messaggi chiave della sua opera più popolare (il ruolo della donna per la qualità etica della società; il carattere normativo ma temperato della giustizia; il ruolo dei ceti popolari nella tutela delle libertà per tutti) volendo al contempo porre Lecco alla attenzione di tutta la comunità nazionale; in ciò validamente appoggiato da Ghislanzoni — che combinazione!
A parte questa incapacità a comprendere come su quella pagina avrebbe dovuto campeggiare il monumento a Manzoni per la sua rilevante valenza morale e politica, ci aveva comunque colpito in quel suo programma elettorale l’accostamento a Manzoni dei “missultìn” (per i non pratici del territorio lecchese, sono pescetti di lago ancora presenti nella ristorazione locale come tocco “tradizionale”).
Dopo questa Sua notevole indicazione culturale, fino all’inizio del 2024, quando si è cominciato a parlare del Bicentenario della nascita di Antonio Stoppani, ci sembra che Lei, Signor Sindaco, non abbia mai fatto a Suo nome alcuna comunicazione sull’Abate.
Ha invece consentito a che il Suo Assessore alla Cultura Simona Piazza e il Direttore dei Musei Civici Mauro Rossetto (da Lei, nel Suo discorso del 15 agosto ringraziato per il “contributo storico-scientifico” anche al Suo discorso) facessero la parte delle “letterine”, solo e sempre consenzienti, nella promozione della disastrosa edizione Einaudi de “Il Bel Paese” in favore della quale il Comune ha accettato che la parola stessa “Bicentenario” venisse bandita perché considerata controproducente per i criteri commercial-editoriali della Einaudi (se pubblichi qualche cosa per una ricorrenza, l’anno dopo quel libro “è già vecchio” e ti rimane sul groppone) — su questo aspetto abbiamo già detto qui.
Rinfrescata la memoria sul Suo rapporto pubblico con l’Abate Antonio Stoppani, possiamo passare alla analisi del Suo discorso del 15 agosto.
––––––––––
Abbiamo riassunto quanto da Lei pronunciato in 10 proposizioni.
Di seguito analizzeremo ognuna di queste 10 proposizioni segnalandone gli elementi erronei o devianti dalla realtà storica.
Proposizione 1
Il Sindaco di Lecco si inventa una mai avvenuta convocazione di Stoppani da parte di re Umberto Primo nel 1876 per averne un parere sull’andamento dei ghiacciai.
Anticipa di cinque anni una battuta del geologo al re; in più ne falsa il contenuto.
E insieme nasconde che l’incontro avvenne il 18 dicembre 1881, nel corso della Seduta Reale della Accademia dei Lincei di Roma, di cui Stoppani era socio dal 25 luglio 1875.
Dal discorso del Sindaco di Lecco del 15 agosto 2024:
«Per concludere, un aneddoto: i biografi di Stoppani ricordano che, da accademico di [sic!] Lincei, venne convocato nel 1876 dal Re d’Italia Umberto Primo che gli sottopose quello che per lui era il quesito più angosciante: la ritirata dei ghiacciai; a vista d’occhio, nel giro di una sola generazione si era ritirato il Belvedere sul Monte Rosa, così come il ghiacciaio del Gavia, il Fellaria, l’Adamello.
Quel fenomeno l’aveva osservato con i suoi occhi ed era preoccupato, e la sua domanda era pressappoco questa (dal monologo di Andrea Carabelli, 11 maggio 2024): “Mi dica professore, che sarà di queste Alpi? Si disseccherà ogni sorgente e aridirà ogni fiume? E poi i laghi e la vegetazione? Dovremo dire addio alle colture di queste valli, a pascoli e animali e limitare la vita alle pianure?”. Lo Stoppani scienziato rispose con sincerità: “Non conosco il futuro, Maestà. Non so che succederà”.
Ecco, noi oggi sappiamo invece quanto le azioni di salvaguardia del clima, della natura, delle specie animali e vegetali, siano in mano a noi, alla scienza, certo, e alle nuove tecnologie, ma anche al nostro stile di vita e di consumo quotidiano che deve essere sempre più sostenibile per non subire eventi estremi.»
Qui sotto:
Carta geografica dell’Alta Italia nell’epoca pliocenica
Museo di Storia naturale “A. Stoppani” del Seminario di Milano
Il manoscritto disegnato da Stoppani raffigura la Pianura padana in epoca pliocenica (tra 5,33 e 2,58 milioni di anni fa).
Per cortesia del Museo di Storia naturale “A. Stoppani” del Seminario di Milano (presso il Seminario di Venegono).
Pessima idea per un Sindaco cancellare la storia vera e far proprie fantasie da teatro.
Signor Sindaco, abbiamo voluto riportare per esteso questo brano del Suo discorso perché ci sembra una perfetta sintesi dell’approccio incoscientemente fantastico con cui da Lei (e dai Suoi suggeritori) si è scelto di commemorare il Bicentenario di Antonio Stoppani del 15 agosto 2024.
La Sua narrazione sopra riportata esprime purtroppo il punto di vista ufficiale del Comune di Lecco, ed è quindi opportuno evidenziarla perché siano chiare ai cittadini le ragioni per cui essa deve essere respinta:
a/ in un momento del 1876 il problema più pressante per re Umberto I era la “ritirata dei ghiacciai”;
b/ il Re convocò lo Stoppani e gli chiese: che succederà? spariranno sorgenti, fiumi, laghi? tutto si seccherà?
c/ l’esimio geologo rispose: che vuole da me Sua maestà? non so che dire, non conosco il futuro!
Lei, Signor Sindaco, a sostegno di questa impressionante rappresentazione delle regali ansie naturalistiche del 1876 e della veramente inverosimile risposta messa in bocca al Nostro, cita “biografi di Stoppani” e il “monologo di Adrea Carabelli dell’11 maggio 2024”.
Lei certo non avrà difficoltà a rivelarci chi sono questi così informati “biografi di Stoppani” — ci farebbe proprio piacere.
Nell’attesa, per dare una mano al lettore, sicuramente scosso da queste inedite informazioni, segnaliamo che il «monologo di Andrea Carabelli, 11 maggio 2024», da Lei citato come autorevole fonte per le Sue considerazioni, è il testo dello scrittore Giampiero Pizzol, titolato “Il professore con lo zaino in spalla” e recitato in poco più di 60 minuti dall’attore Andrea Carabelli nello spettacolo presentato il 12 maggio (“12 maggio”, Sindaco, non “11”) nella serata conclusiva del “1º Festival delle Geoscienze”, svoltosi a Lecco dal 5 al 12 maggio 2024.
Ora, da parte Sua (o meglio, dei Suoi suggeritori), prendere per la vicenda di Stoppani come riferimento storico-scientifico il monologo di Pizzol-Carabelli è cosa decisamente audace.
L’attore Carabelli è efficace, ancor più l’estensore del testo Pizzol che maneggia con garbo una gradevolissima prosa rimata.
Non è però necessario essere grandi esperti di vita e opera di Stoppani per avere colto nella pur godibile loro rappresentazione del 12 maggio lacune storiografiche grandi come vari laghi di Como messi insieme.
Non abbiamo remore a parlare chiaro, anche perché abbiamo avuto già modo nello scorso giugno di esprimere direttamente a Carabelli e Pizzol (nonché al Suo Assessore Cattaneo) il nostro apprezzamento per la qualità artistica del loro lavoro ma anche le più ampie riserve per le evidenti debolezze storico-documentali.
I due artisti, essendo persone serie, non hanno avuto difficoltà a riconoscere i limiti del loro lavoro sul piano documentale e ci siamo lasciati con l’augurio di eventuali future collaborazioni (Cattaneo non ci ha risposto).
D’altra parte la divisione dei compiti non è in sé un fatto negativo: gli artisti fanno gli artisti; agli storici spetta dare loro gli strumenti adeguati per produrre una godibile e insieme corretta informazione — ovviamente gli artisti è opportuno ne tengano conto.
Ciò che Lei, Signor Sindaco, in questo caso non ha proprio fatto, preferendo fare il ripetitore (tra l’altro infedele) degli artisti e non il Primo Cittadino della città.
E allora, come storici, Le diamo una mano e raccontiamo i fatti relativi all’episodio, da Lei malamente evocato, per come si è svolto nella realtà e non nella fantasia di questo o quel Suo suggeritore.
Stoppani e il ritiro dei ghiacciai.
Cancelliamo intanto quel Suo richiamo al 1876 e alla presunta convocazione di Stoppani da parte di Re Umberto I: pura fantasia da cestinare, come è da cestinare il brano dei fantasiosi Carabelli e Pizzol cui Lei si è ispirato.
E arriviamo invece alla realtà.
A Firenze, nel 1876, Stoppani non venne convocato né incontrò alcun Re.
Ebbe invece modo di parlare con Umberto I e consorte cinque anni dopo, il 18 dicembre 1881, giorno di Seduta Reale della Accademia dei Lincei di Roma, di cui Stoppani era socio dal 25 luglio 1875 per la Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali.
“Seduta reale” significa che erano presenti il re Umberto I e la regina Margherita, come da protocollo per alcune sedute particolari (per avere un’idea dell’ambiente, qui sotto, tratto da “Illustrazione Italiana” del 1881, riportiamo la raffigurazione non della seduta in cui parlò Stoppani ma di un’altra seduta, riservata alla assegnazione dei premi scientifici).
Per quella occasione, nel precedente 4 dicembre, dal direttivo dell’Accademia all’Abate Stoppani era stato richiesto di presentare una relazione sul «Recente regresso dei ghiacciai».
Perché proprio Stoppani?
Perché ai primi del 1881 il naturalista Svizzero F. A. Forel aveva pubblicato su una rivista scientifica (“Echo des Alpes” — XVIIme année. – N° 1, Genève, 1881) un sostanzioso articolo nel quale esponeva sue osservazioni niente affatto irrilevanti sull’andamento dei ghiacciai nell’intera catena alpina.
Essendo ben noto ai membri dell’Accademia che Stoppani da almeno vent’anni studiava il fenomeno e aveva raccolto una gran mole di dati (presentati al pubblico nel suo eccellente “L’Era Neozoica”, pubblicata da Vallardi nel 1880, quindi l’anno precedente a quella seduta dell’Accademia) sembrava opportuno che la primazia del trattare pubblicamente un argomento rilevante non risultasse appannaggio esclusivo di un pur rispettabile e rispettato collega straniero ma venisse almeno condiviso con un noto scienziato italiano che all’argomento aveva dedicato molto tempo e risorse.
La cosa era abbastanza ovvia e, nonostante il breve preavviso, tornato a Firenze, dove dai primi del 1878 in quegli anni abitava e insegnava, in tre giorni l’Abate aveva dettato il testo di una relazione di poco meno di 5.000 parole.
E il 18 dicembre, come da programma, con il supporto di disegni, lesse la sua relazione che l’Accademia nel 1882 pubblicò nei suoi “Atti”.
Invitiamo il lettore a leggere questa relazione titolata “Sull’attuale regresso dei ghiacciai nelle Alpi” e la nota “Quesiti agli Alpinisti per lo studio delle variazioni dei ghiacciai”, fatta circolare attraverso il “Bollettino del Club Alpino Italiano” (1878, 3º trim., n. 35 — vedi qui).
Ci vogliono poco più di dieci minuti ma di seguito la riportiamo comunque in sintesi estrema e nel modo più discorsivo possibile:
1/ tra la fine del ’700 e la prima metà dell’Ottocento, le zone alpine, caratterizzate dai grandi e noti ghiacciai del fronte italiano e di quello svizzero-francese, erano del tutto impraticabili se non da esperti scalatori;
2/ nel ’600 e ai primi del ’700 le medesime zone erano invece transitabili da normali viandanti risultando quasi inesistenti i ghiacciai: in poco più di un ventennio, a partire dal 1860, le stesse aree erano tornate più o meno nelle condizioni del ’600;
3/ l’avanzata e il ritiro dei ghiacciai possono quindi svilupparsi con grande celerità e quasi sotto i nostri occhi;
4/ per comprenderne le ragioni è necessario adottare criteri rigorosamente scientifici e non un solo apparente buon senso;
5/ è infatti già ben chiaro che l’avanzamento non può attribuirsi esclusivamente a un raffreddamento generalizzato della temperatura sul globo;
6/ un peso rilevante nell’avanzata e nel regresso dei ghiacciai ha infatti anche il grado di umidità dell’aria e quindi la quantità delle precipitazioni: può aversi avanzamento dei ghiacciai anche con clima mite;
7/ avanzamento e regresso dei ghiacciai ha carattere eminentemente ciclico, di cui bisogna comprendere le ragioni, a oggi non ancora chiare.
Di questa relazione di Stoppani all’Accademia dei Lincei abbiamo anche la testimonianza del nipote / assistente A.M. Cornelio che, nella sua biografia di Stoppani del 1898, ci ha riportato uno scambio di battute che si sarebbe svolto tra Stoppani e gli augusti sovrani e che Lei, Signor Sindaco, ha ricordato con quel contorno di pura invenzione targato Pizzol/Carabelli (ripetiamo le Sue parole: «Lo Stoppani scienziato rispose con sincerità: “Non conosco il futuro, Maestà. Non so che succederà”»).
Essendo Cornelio l’unica fonte di questo episodio, ci sembra opportuno riportarne per esteso le parole (A.M. Cornelio, Vita di A. Stoppani, p. 188):
«Nel 1881, lo Stoppani, avendo fatto una gita a Roma colla fallace lusinga di una buona risoluzione della questione della Carta geologica d’Italia, fu incaricato li per lì, con vive sollecitazioni, del discorso da tenersi alla seduta reale dell’Accademia dei Lincei.
Ritornato subito a Firenze, dettò all’uopo in tre giorni una nota preliminare “Sull’attuale regresso dei ghiacciai nelle Alpi”, e, il dì fissato per la seduta , egli era là a Roma, pronto come un soldato, dinanzi agli augusti Sovrani d’Italia ed ai più illustri Lincei, a leggere il suo lavoro sopra un fatto d’immensa portata per la fisica terrestre e per la geologia.
“I ghiacciai delle Alpi — egli disse — che ne adornano i gioghi di così severa bellezza, e danno perenne alimento ai fiumi, e fecondità alle terre di così larga porzione d’Italia, si battono in ritirata da un pezzo , e se natura non provvede, la generazione presente potrebbe assistere alla loro scomparsa.” […]
Don Antonio, in quell’occasione, ebbe speciali congratulazioni da S. M. la Regina Margherita, la quale, discesa dal trono, disse all’abate geologo : “Il regresso dei ghiacciai, professore, l’ha reso eloquente quanto altri mai. Che belle ascensioni deve aver fatto per constatare il fenomeno!”…
E avrebbe continuato, se S. M. il Re, avvicinandosi allo Stoppani, e battendogli famigliarmente sulla spalla, non avesse preso pur lui la parola per congratularsi coll’oratore. Il breve dialogo tra S. M. Re Umberto e il sacerdote geologo merita di essere riferito:
— Sa, professore, che la sua relazione sul regresso dei ghiacciai mi ha fatto una grande impressione?
— Lo credo, Maestà; si tratta di un grande fenomeno che minaccia di disseccare le Alpi.
— Appunto, professore: sono rimasto impressionato anche dalla perfetta veridicità con cui ha parlato del fenomeno, perchè deve sapere che, facendo alcune escursioni nell’alto Piemonte, ho veduto che i ghiacciai retrocedono continuamente, e che le cose stanno precisamente come dice lei. Ma che succederà in fine? Mancando i ghiacciai, mancherà l’acqua, si disseccheranno i torrenti ed i fiumi? E la vegetazione? E gli animali?
— Maestà, non si preoccupi troppo del fenomeno di quei ghiacciai che si ritirano dopo così grande invasione: lasci fare alla divina Provvidenza, a cui non mancano mai i mezzi di compensazione.
— Benissimo, professore! esclamarono insieme gli augusti Sovrani.»
*****
Come si vede, la rappresentazione che dà Cornelio del breve scambio di battute tra i sovrani e il prete-geologo è ben diversa da quella che Lei, Signor Sindaco, ha voluto regalarci il 15 agosto.
Stoppani nella sua relazione (lo abbiamo visto poco sopra) aveva molto insistito nell’indicare la ciclicità del fenomeno dell’avanzata e del ritiro dei ghiacciai, che può manifestarsi anche nell’arco della vita del singolo individuo.
Conversando con il Re, che evidentemente non aveva capito bene la cosa (così come di certo non aveva letto il da poco uscito “L’Era Neozoica”), aveva ripetuto il concetto con una formula in realtà molto impegnativa sul piano concettuale ma che poteva passare come più alla portata dell’interlocutore, notoriamente non un grande pensatore, oltre che pigrissimo lettore.
Da questo punto di vista la versione dell’incontro con Umberto I che Lei ha proposto è una negazione non solo di quanto avrebbe detto Stoppani a Re Umberto I a Roma il 18 dicembre all’Accademia dei Lincei, ma anche una falsificazione del pensiero sia dello Stoppani teologo sia dello Stoppani scienziato.
Lei infatti, Signor Sindaco:
— ha ignorato il riferimento di Stoppani alla “Provvidenza”;
— gli ha messo in bocca la negazione della stessa idea di fondo della geologia come scienza in quella ultima parte del secolo XIX.
“Lasci fare alla divina Provvidenza”.
Dobbiamo ritenere che la frase di Stoppani a Umberto I riferita da Cornelio non sia una invenzione agiografica ma il ricordo di quanto effettivamente detto dal prete-geologo. Quando uscì la biografia nel 1898, Umberto I e la consorte regina Margherita erano infatti entrambi vivi e vegeti e perfettamente in grado di ricordare e quindi, eventualmente, di smentire quanto riferito da Cornelio.
Quel “lasci fare alla divina Provvidenza” offerto alle auguste orecchie, sarà certo stato accolto con la deferenza dovuta ai sacerdoti anche dai sovrani quando si entra nei campi minati della teodicea ma per il rosminiano Stoppani la cosa aveva un preciso significato, perfettamente opposto a quello che Lei, Signor Sindaco ha voluto mettergli in bocca.
È ben noto (immaginiamo anche a Lei) che il quadro di riferimento teologico-filosofico di Stoppani poggiava sulla elaborazione di Antonio Rosmini che al concetto di “Provvidenza” aveva dedicato fin da giovanissimo una molto articolata riflessione.
Senza entrare in una disamina sul concetto di Provvidenza in Rosmini-Manzoni-Stoppani, ci basti ricordare alla buona che esso è tutto l’opposto del “che ne so: succeda quel che succeda” ed è invece l’affermazione che ogni azione dell’uomo si colloca in un quadro determinato dalla assoluta vittoria del bene e del giusto; il che ci consente di sentirci liberi da ogni ansietà e preoccupazione e, quindi, di essere più forti.
Se re Umberto Primo temeva di trovarsi senza ghiacciai sulle Alpi, Stoppani gli diceva di non avere timore del futuro ma di attrezzarsi con intelligenza per trovare le soluzioni a eventuali futuri problemi.
Ma veniamo alla inverosimile frase che Lei mette in bocca a Stoppani, stupefacente per la sede e l’occasione in cui egli la avrebbe pronunciata.
«Non conosco il futuro, non so che succederà».
Detta in un consesso di scienziati, membri della Accademia dei Lincei, quindi, per definizione, di uomini dediti a studiare passato e futuro per il migliore agire nel presente, quella frase sarebbe suonata come una bestemmia e una negazione della propria ragion d’essere.
La grande acquisizione della geologia di metà Ottocento, grazie al contributo determinante di James Hutton e Charles Lyell, stava proprio nella convinzione che i fenomeni del passato sono da considerarsi pressoché identici a quelli che vediamo svolgersi oggi sotto i nostri occhi (“uniformismo”). Che quindi, per comprendere ciò che successe milioni di anni fa, dobbiamo osservare attentamente ciò che avviene in una manciata di anni oggi — ovviamente usando la testa.
E ciò vale anche per quanto riguarda il futuro: ciò che succederà domani non sarà molto diverso da ciò che è già accaduto migliaia di volte nel corso della lunghissima vita della terra e i cui elementi sono già presenti oggi, in bella vista per gli scienziati degni di questo nome.
L’orientamento “uniformistico” era in contrapposizione con quello “catastrofista” che postulava invece una storia del globo caratterizzata da grandi eventi straordinari, non prevedibili per definizione.
Il mettere in bocca a Stoppani quella insulsa frase «Non conosco il futuro. Non so che succederà» come Lei ha fatto, è negare a Stoppani le sue convinzioni uniformistiche e metterlo d’ufficio nel comparto dei catastrofisti suoi avversari.
Ma non è finita!
Immediatamente dopo quella frase affibbiata all’Abate —“Non conosco il futuro. Non so che succederà” — Lei si è messo in esplicita contrapposizione a Stoppani (la ripetiamo per comodità): «Ecco, noi oggi sappiamo invece quanto le azioni di salvaguardia del clima, della natura, delle specie animali e vegetali, siano in mano a noi, alla scienza, certo, e alle nuove tecnologie, ma anche al nostro stile di vita e di consumo quotidiano che deve essere sempre più sostenibile per non subire eventi estremi» .
Con questa artificiosa e assurda giustapposizione tra un supposto pensiero di Stoppani (a suo dire incapace a comprendere il valore di una sana pratica sociale) e un positivo atteggiamento (del Sindaco), Lei (forse inconsapevolmente, forse) induce inevitabilmente il lettore a pensare che quel babbeo di Stoppani era sicuramente una bella testa di teorico ma non era consapevole (o se ne sbatteva) dell’importanza dell’azione dell’uomo nei confronti della natura.
E qui siamo veramente al colmo.
L’Era Antropozoica.
Stoppani è di questi tempi citato più di quanto non avvenisse nei decenni precedenti proprio perché oggi si comprende meglio ciò che egli per primo aveva evidenziato con molta chiarezza: l’incalcolabile peso dell’attività umana sulla stessa conformazione del globo — nel bene (eventuale) e nel male (certo).
Stoppani coniò il nuovo termine di “Antropocene” (epoca dell’uomo) per indicare il ruolo strutturale dell’uomo, soprattutto dell’uomo moderno, quello della scienza e delle macchine, sulla configurazione profonda del pianeta.
Il termine allora non piacque ai più anche perché giudicato creare confusione nella terminologia scientifica, già complessa di per sé.
Ma oggi sempre più studiosi, intellettuali o persone semplicemente sensibili al reale, fanno ricorso a questo termine, riconoscendone la paternità a Stoppani, trovandolo bene rappresentare la nostra epoca, sempre più dominata dall’uomo — spesso nel modo peggiore.
Anche solo in forza di questo elemento; anche a volere sottacere le tante intuizioni originali quando non geniali sul piano scientifico che hanno caratterizzato il prete-geologo lecchese, il nome di Stoppani si è conquistato un posto intramontabile nel campo della scienza e dell’attività consapevole dell’uomo.
E cosa fa il Sindaco della sua città natale nel festeggiare Stoppani?
Gli attribuisce una attitudine perfettamente contraria: lo presenta come un uomo indifferente all’azione, inconsapevole della funzione enormemente positiva che l’uomo può svolgere a pro’ della natura, per contrastare e rimediare ai tanti elementi negativi che in poche centinaia di anni ha prodotto nella sua frenetica e incosciente azione distruttiva.
Riassumendo: questa Sua proposizione, Signor Sindaco, è uno straordinario inanellamento di infantili fantasie (quella inventata convocazione di Stoppani da parte del Re è proprio straordinaria), deformazioni della realtà, falsificazioni del pensiero di Stoppani, che si sarà certo rammaricato di essere festeggiato in quel modo così balordo — complimenti!
Giusto per completezza, ricordiamo che a partire dagli anni immediatamente successivi alla scomparsa di Antonio Stoppani (1891) il ciclo glaciologico si riavviò dando luogo a una sensibile riformazione dei ghiacciai per un periodo che si estese a tutti gli anni ’30 del secolo passato (il Nostro si sarebbe sfregato le mani — certo: il processo è ciclico) e i nostri coetanei dell’immediato secondo dopoguerra ricordano sicuramente le grandi nevicate — e le interminabili piogge — che accompagnarono la nostra adolescenza (di Lecco si diceva fosse il pisciatoio d’Italia) e che determinarono verso gli anni ’60 una nuova ripresa dei ghiacciai, prima della attuale grossa ritirata.
Proposizione 2
Il Sindaco di Lecco presenta Stoppani come esploratore di parti del globo dal geologo mai visitate né nominate …
«… abbiamo avuto modo di ricordare poco fa, grazie all’intervento storico e scientifico del dott. Mauro Rossetto, direttore dei Musei Civici cittadini, quel bambino, Antonio, diventerà nel tempo il “padre” della geologia e della paleontologia italiana, con i suoi studi e le sue ricerche, con escursioni sul campo impervie dai monti della Grigna ai deserti della Cappadocia, dalla via della seta di Marco Polo, ai ghiacciai della Siberia.»
Signor Sindaco, Lei quindi attribuisce a Stoppani:
a/ l’avere battuto i deserti della Cappadocia
b/ l’avere percorso la via della seta di Marco Polo (almeno un pochino)
c/ l’avere esplorato i ghiacciai della Siberia.
Lei, Signor Sindaco, certo conosce la favola di Esopo: volendo la rana apparire grande più del bue, gonfiò tanto e tanto la pelle che scoppiò.
Non c’è nulla di peggio di balle buttate lì per rendere grande un personaggio che non ne ha bisogno.
Stoppani infatti né andò mai in Cappadocia; né seguì in alcun modo alcuna traccia di Marco Polo; tanto meno ebbe a che fare con i ghiacciai della Siberia.
Il Medio-Oriente.
Per quanto riguarda i da Lei citati “deserti della Cappadocia” e “la via della seta di Marco Polo”, possiamo fare riferimento all’unico viaggio che Stoppani fece in Turchia e in Libano-Siria con partenza da Milano il 21 agosto 1874, e che narrò distesamente nel suo “Da Milano a Damasco”, edito nel 1888.
Stoppani e i suoi nove compagni di viaggio (9 preti e un giovane patrizio) partirono da Brindisi; passando per Corfù e Atene arrivarono a Smirne; da lì si portarono, sempre per nave, a Istanbul; tornarono, sempre per nave, a Smirne e da qui, con un viaggio durato sei giorni — anche questo per nave — si portarono a Beyruth (Libano, proprio dalla parte opposta della Cappadocia, da cui dista 800 chilometri) e da lì a Damasco, sempre ben lontano dalla Cappadocia.
Da Damasco partirono con una privata propria carovana a cavallo per visitare le catene montuose del Libano e dell’Antilibano. Stoppani era riuscito a convincere gli amici a questa digressione rispetto all’asse principale del viaggio per potere osservare di persona ciò che egli aveva descritto nella sua opera «Parallelo tra i due sistemi delle Alpi e del Libano», edito nel 1875.
Ma appena partiti da Damasco, avviene un incidente: un cavallo troppo vivace, bisticciandosi con quello cavalcato da Stoppani, colpisce con una zoccolata la gamba destra dell’Abate, fratturandogliela malamente (l’Abate ne risentirà per tutti gli anni successivi).
Per Stoppani il viaggio finisce qui: trasportato in lettiga a Damasco vi rimane per 42 giorni ospite del Console italiano e poi da qui ritorna a Beyruth, dove (passando per Jaffa ed Alessandria — giro lungo), si imbarca per Napoli.
Quindi, nei deserti della Cappadocia Stoppani non ci è andato né ci ha lasciato alcunché di scritto — nulla di nulla!
E men che meno si può parlare di alcun legame con Marco Polo che seguì tutt’altri percorsi da quelle poche tappe seguite da Stoppani in Libano e Siria — forse Lei ha confuso il viaggio di Stoppani in Medio Oriente con il tentativo di Carlo Mauri di ripercorrere la Via della Seta a cavallo, bloccato dalla dogana cinese (Mauri era anche lui lecchese ma volere attribuire a Stoppani la esuberante tendenza all’avventura dell’estroso Carlo è fare un torto a entrambi).
Nel suo già citato “Viaggio a Damasco”, l’unico riferimento di Stoppani a Marco Polo è alla fine del capitolo XVI: l’Abate osserva con attenzione un vasaio all’opera e descrive le fasi attraverso cui l’artigiano realizza una olla, il tipico recipiente per uso di cucina del Mediterraneo e così conclude: «Perchè, girando girando l’olla non si sventri per effetto della forza centrifuga, una funicella la trattiene, fasciandola giro giro a spirale che l’accompagna su su a mano a mano che cresce, fino all’ultimo giro. Così si formano le olle sul Bosforo, direbbe Marco Polo: né io so dire altrimenti.»
Tutto qui circa il rapporto tra il prete-geologo e Marco Polo.
E che dire dei ghiacciai della Siberia?
Anche in questo caso la fantasia Le ha preso la mano Signor Sindaco (o meglio la mano del suo redattore). Intanto la cosiddetta Siberia è un territorio immenso, una grande depressione caratterizzata per tutta la fascia nord non da ghiacciai ma da quello che oggi definiamo “permafrost”, ossia terreno ghiacciato tutto l’anno che conserva al suo interno realtà faunistiche e vegetali vecchie anche di diecine di migliaia di anni.
L’immensa pianura denominata Siberia convenzionalmente viene fatta iniziare dal lato orientale degli Urali, dove Stoppani non mise mai né mano né piede né occhi.
Stoppani nel 1887 fece un viaggio scientifico in Russia, in occasione dell’eclisse totale di Sole prevista per il 19 agosto; con lui alcuni amici-colleghi tra cui Francesco Grassi e Federico Colombo.
Francesco Grassi, insegnante di fisica alle scuole superiori e autore de “La Fisica e l’elettronica”, fondò la Società Elettrica Italiana. Scrisse, in vista proprio della eclisse dell’agosto 1887 un dettagliato articolo che apparve qualche mese prima del viaggio, nel febbraio del 1887, su “Il Rosmini”, la rivista edita da Stoppani nel 1887 e poi finita all’Indice.
Monsignor Federico Colombo (Asso 1852-1927), a Merate insegnava presso il collegio Alessandro Manzoni e dal 1889 presso l’Istituto delle “Dame Inglesi”. Una lapide, murata su una parete interna dell’istituto, lo ricorda come “cameriere segreto” di Pio XI di cui, nell’infanzia, era stato compagno di giochi.
In campo scientifico (secondo notizie del Bollettino Parrocchiale di Merate, maggio 1923 p. 13):
«A Merate, sul colle di San Rocco, sorgerà fra poco un potentissimo Osservatorio Astronomico il quale non sarà secondo ai maggiori d’Europa. Sappiamo da fonte sicura che la scelta di tale località come favorevolissima agli studi astronomici e metereologici è frutto e corona il lavoro assiduo e paziente e finora troppo ignorato di un dottissimo e modesto sacerdote: il prof. Don Federico Colombo. Da anni e anni l’egregio professore raccoglie senza interruzione i dati meteorologici di questa plaga, i quali, trasmessi all’Osservatorio del Collegio Romano, hanno attirato l’attenzione di eminenti scienziati.»
Della attività di scienziato di Colombo parla anche Mercalli, nel descrivere il terremoto di Lecco del maggio 1887: «… feci io stesso alcune gite sul luogo del terremoto. Diverse notizie però mi vennero gentilmente comunicate dal Rev. Prof. D. Federico Colombo di Merate e da altri miei amici.»
Del viaggio in Russia del 1887 Stoppani non ci ha lasciato molto. Sulla già citata rivista “Il Rosmini”, nel 1887 e 1888, pubblicò parte della corrispondenza tenuta con i fratelli nel corso del viaggio in Russia; in quelle lettere di interesse scientifico ci sono ragguagli di ambienti fisici visti di sfuggita durante il viaggio Danimarca > Svezia > Pietroburgo > Mosca mentre ci sono abbastanza dettagliate riflessioni sugli aspetti artistico-religiosi riscontrati nelle due città russe.
Di taglio esclusivamente scientifico è invece una breve Nota, titolata «Reminiscenze del mio viaggio al Nord Europa nel 1887» (pubblicata postuma su “Exemeron”, Torino, 1893), con la quale sintetizza il suo pensiero circa l’andamento nel Nord Europa delle grandi glaciazioni. È all’interno di questa nota l’unico riferimento al tragitto che effettivamente egli compì in quel viaggio in Russia.
Progetti e realtà.
Sulla rivista “Il Rosmini” edita da Stoppani, nel fascicolo 2 del 1887, p. 188 e 189, si legge:
«Viaggio scientifico. — Il 20 dello scorso luglio, partirono per la Russia quattro nostri concittadini, i professori Antonio Stoppani e Francesco Grassi, ed i giovani dottori Francesco Castelli e Paolo Mapelli. […] L’itinerario dei viaggiatori è questo: Monaco, Berlino, Copenaghen, Epsala, Stocolma, Finlandia, Pietroburgo, Mosca, Nischnii-Novgorod [Nižnij Novgorod], dove avrà luogo la gran fiera, Casan [Kazan], Perm e Jecaterinburgo [Ekaterimburg], ove si farà l’Esposizione Siberiana.
La distinta comitiva milanese affronta i disagi di sì lungo viaggio per studi scientifici, e si propone di vedere il grande spettacolo dell’eclisse del 20 agosto [in realtà 19 agosto] in una stazione che sarà predisposta appositamente, fra Mosca e Pietroburgo, dall’illustre comm. Otto Struve.
Il prof. Grassi si propone di fare studi speciali d’indole meteorologica. Il prof. Stoppani, invece, farà studi sui terreni, specialmente nell’isola Gothland.
Probabilmente il ritorno della comitiva sarà direttamente da Jecaterinburgo a Vienna. Questa è l’idea prudenziale del prof. Grassi; ma il prof. Stoppani, il più anziano dei viaggiatori, ma sempre franco e ardito, partendo espresse agli amici il desiderio di ritornare dalla catena degli Urali al Mar Caspio, di valicare il Caucaso, di attraversare il Mar Nero, la Turchia, ecc., ecc.»
Quindi, queste erano le primitive intenzioni della comitiva:
— da Pietroburgo arrivare a Mosca (nei cui pressi era prevista la stazione a loro riservata per l’osservazione dell’eclisse);
— il 19 agosto visionare l’eclisse;
— proseguire (430 chilometri) verso Nižnij Novgorod (sul fiume Volga, a circa 100 chilometri dal fronte occidentale degli Urali) al fine di visitare la grande fiera che vi si svolgeva ogni anno e frequentata da oltre 200.000 persone da tutta la Russia;
— percorrendo altri 400 chilometri spostarsi a Kazan, sempre sul Volga, sempre sul lato occidentale degli Urali;
— da lì, superando gli Urali ed entrando nella Siberia occidentale, spostarsi a Perm (altri 590 chilometri);
— da Perm (ulteriori 430 chilometri) — per visitare l’Esposizione Siberiana — a Ekaterimburg (questa sì sul lato orientale degli Urali ma assolutamente al di fuori di qualsiasi contesto che facesse pensare ai ghiacciai).
Fin qui quindi nessuno pensava a nessunissimo ghiacciaio: Grassi era interessato alla meteorologia, Stoppani all’isola Gothland (nel mar Baltico, quindi lontanissima dalla Siberia), geologicamente ricca di calcari, nota per la grande quantità di fossili (circa 1500 specie diverse).
La nostra comitiva era evidentemente molto interessata soprattutto a visionare le grandi fiere che si svolgevano nell’Impero russo.
Per il ritorno, Stoppani aveva una mezza idea di fare un giro lungo:
— Da Ekaterinburg tornare verso gli Urali (quindi allontanandosi dalla Siberia);
— scendere (non sappiamo con qual tragitto) verso il Mar Caspio;
— da qui, tagliando verso Sud-ovest, intercettare la catena delle grandi montagne del Caucaso:
— scendere in Georgia verso qualche porto del mar Nero e, costeggiando la Turchia, rientrare nel Mediterraneo, Bari o Brindisi, poi su in treno verso la Grigna.
Si dirà: largo progetto!
E infatti le cose andarono diversamente.
Si badi bene che la Russia del 1887 era molto meglio servita dai treni di quanto non fosse l’Italia (ribadiamo che Stoppani non aveva per la Russia piani di esplorazione di posti mai visti dall’uomo ma la visita ad ambienti che egli riteneva utili alla comprensione della realtà — meglio se già umanizzati, percorribili con ogni mezzo di trasporto ferroviario o nautico e dotato delle normali condizioni alberghiere rinvenibili in ogni parte d’Europa).
Sulla eclisse del 19 agosto (il motivo principale per cui egli era partito, oltre a lasciare per un poco l’ambiente milanese, surriscaldato dalla causa intentata e vinta contro Don Albertario) Stoppani nulla ci ha lasciato e quindi ne riportiamo noi qualche cosa raccolta qua e là.
Diciamo subito che la spedizione andò a farsi benedire perché, contrariamente a ogni aspettativa, in tutta l’area dove la società scientifica di Pietrogrado aveva previsto si posizionassero i colleghi stranieri, il giorno dell’eclisse calò una fitta nebbia che impedì una qualsivoglia rilevazione.
Sulla rivista statunitense “The Sidereal Messenger” del gennaio 1888 (NASA Astrophysics Data System) si riportano i nomi dei componenti di una delle delegazioni italiane:
«I Signori Grassi, Colombo e Stoppani di Milano erano di stanza nei pressi di Klin per effettuare osservazioni fotometriche della corona.»
Solo che…
«A Klin, dopo una notte umida e nuvolosa, al mattino presto si sono viste delle chiazze di cielo azzurro che hanno suscitato speranze illusorie, ma durante l’eclisse il cielo è stato avvolto da un grigio opaco e ha prevalso una nebbia scozzese.»
I tre milanesi cavalieri dell’eclisse non riuscirono quindi a vedere assolutamente nulla.
Klin (90 chilometri a Nord-Ovest da Mosca) distava (e dista) circa 1400 chilometri dal lato occidentale dei Monti Urali, oltre i quali ha convenzionalmente inizio la Siberia. Da lì Stoppani si spostò a Nižnij Novgorod, importante città della Russia di ieri e di oggi, distante dagli Urali circa 1000 km. Poi navigando sul Volga (nelle relativamente comode cabine dei grandi battelli fluviali russi — non a nuoto o in piroga, come si converrebbe a ogni vero “esploratore”), scese verso Sud-est, toccando Kazan, e poi, decisamente a Sud, verso Samara, allontanandosi dalla catena montuosa che divide l’Europa dall’Asia. Da Samara prese un treno; se ne andò a Kiev e da lì, con un paio di tratte, arrivò a Vienna.
Qui sotto: in ROSSO il percorso inizialmente pensato da Stoppani: Mosca — Nižnij Novgorod – Kazan – Perm – Ekaterinburg – Mar Caspio – Catena del Caucaso / Mar Nero – Turchia – Mediterraneo – Brindisi.
In BLU il percorso effettivamente fatto: Mosca – Nizhni Novgord – Kazan – Simbirsk (Ul’janov) – Samara – Kiev – Vienna.
Proposizione 3
Il Sindaco di Lecco Gattinoni attribuisce a Stoppani la fondazione di una società scientifica mai esistita.
«… altre iniziative sono in programma in autunno in città proprio grazie alla Società Italiana di Geologia da lui fondata.»
Signor Sindaco, la “Società Italiana di Geologia”, la cui fondazione Lei attribuisce a Stoppani, non è mai esistita.
Quella denominazione è la maionese del nome di due società scientifiche nettamente distinte che sono sì entrate nella vita di Stoppani ma con modalità, circostanze e tempi del tutto distinti.
Il 10 aprile 1855 la domanda per la costituzione di una società geologica venne presentata alla austriaca “Eccelsa I. R. Luogotenenza” da Ambrogio Robiati e controfirmata da Antonio Villa, Sebastiano Mondolfo, Giuseppe Balsamo-Crivelli, Apollinare Rocca-Saporiti, Federico Venanzio.
Il 15 gennaio 1856 un Decreto Luogotenenziale austriaco consentiva la costituzione della Società, con la denominazione di “Società Geologica residente in Milano”, senza proprio nulla di “italiano”.
Essendo Milano in Lombardia, questa essendo parte del Regno Lombardo Veneto, a sua volta parte dell’Impero Austriaco, era impensabile che in Lombardia (o nel Veneto) potesse nascere una qualsivoglia struttura, scientifica o anche del gioco delle bocce, che si connotasse anche di striscio come “italiana” — la cosa è troppo ovvia per perderci altre parole.
La nuova “Società Geologica residente in Milano” cominciò subito a dibattere sui principali temi scientifici — geologici e non — a raccogliere soci e mettere a punto il regolamento (approvato ufficialmente con Imperial Regio Decreto del 23 luglio 1857).
Il 1° settembre 1858 il professor Robiati annunciava che la Società avrebbe cominciato a vivere da sé, a tenere regolari adunanze.
Seguendo gli orientamenti emersi già nei primi mesi di vita della società, nella seduta del 22 gennaio 1860 il nome venne mutato, dando vita alla “Società Italiana di Scienze Naturali” tutt’ora ben attiva.
Essendo la Lombardia libera dopo il giugno del 1859, l’aggettivo “italiana” era finalmente utilizzabile.
E Antonio Stoppani che ruolo ebbe in queste vicende?
Non quella di “fondatore” nel senso enfatico che Lei ha gli ha voluto dare e che spetta invece al già citato Ambrogio Robiati, unitamente a figure come Giuseppe Balsamo-Crivelli, Giovanni Omboni, Gaetano Barzanò, Giulio Curioni, Giorgio Jan, Emilio Cornalia, i fratelli Giovanni Battista e Antonio Villa, Federico Venanzio, Sebastiano Mondolfo, Apollinare Rocca-Saporiti.
Stoppani, certo tra i più attivi a partire dal 1856, nell’elenco ufficiale del 23 luglio 1857 è uno dei 153 indicati come “soci fondatori” cioè quei soggetti che avevano dato l’adesione al progetto.
Il nome di Stoppani compare per la prima volta negli “Atti” della “Società Italiana di Scienze Naturali”, nel verbale della Seduta del 3 agosto 1856 (p. 45): «Il socio Stoppani viene invitato a coordinare e rendere noti al pubblico i risultati delle lunghe sue ricerche sopra i dintorni di Lecco».
Nei mesi successivi il suo nome compare sempre più spesso in relazione a rapporti, apprezzamenti e discussioni sulle opere che mano mano egli pubblica: dagli “Studi geologici e paleontologici sulla Lombardia” (1857) ai primi fascicoli della monumentale e benissimo illustrata “Paléontologie lombarde”, terminata solo nel 1880.
Nella seduta del 1 dicembre 1858, Stoppani viene all’unanimità nominato Segretario della Società, assieme all’amico Omboni dando inizio a quella simbiosi tra il prete-geologo e la “Società Italiana di Scienze Naturali” che lo portò a ricoprire quella medesima carica fino al 1877 (quando egli si trasferì a Firenze) e poi Presidente dal 1883 al 1890.
E di quella tal altra società, messa in maionese dal Suo consulente, Signor Sindaco, che possiamo dire?
Come abbiamo visto, la “Società Italiana di Geologia”, che secondo Lei avrebbe fondato Stoppani, non è mai esistita.
L’altra entità che ha nel nome qualche affinità con il fantasma da Lei evocato è la “Società Geologica Italiana”, fondata a Bologna nel 1882 per impulso di Quintino Sella e di Cappellini (entrambi amici-competitori di Stoppani).
Il Nostro, che non ebbe funzione alcuna nella sua costituzione, fu Presidente di questa società per l’anno 1884.
Le segnalo che la sintesi di queste informazioni è reperibile in pochi secondi, consultando anche solo il sito Web della SISN:
«La Società Italiana di Scienze Naturali (SISN) è un’Associazione scientifica senza scopo di lucro, che ha il fine di contribuire al progresso e alla diffusione delle discipline naturalistiche. La Società Italiana di Scienze Naturali ha sede in Milano presso il Museo Civico di Storia Naturale, dove è ospitata dal 1866. E’ stata fondata nel marzo 1856, col nome di “Società Geologica residente in Milano” ed il suo Regolamento fu approvato ufficialmente con Imperial Regio Decreto del 23 luglio 1857. La denominazione di “Società Italiana di Scienze Naturali” fu adottata nell’adunanza del 22 gennaio 1860.»
Lo faccia presente ai Suoi disinformati consulenti.
Proposizione 4
Il Sindaco di Lecco accosta fantasticamente Stoppani a Darwin in un indistinto evoluzionismo buono per tutte le occasioni.
Ne ignora la specificità del contributo alla comprensione della storia del globo.
«Ecco, per dare un’idea della reale portata delle scoperte e delle teorie (certamente alquanto pionieristiche di Antonio Stoppani), pensiamo quanto stava accadendo all’interno della comunità scientifica nel resto d’Europa proprio in quel periodo eccezionale: mentre in Italia l’abate Antonio Stoppani (1824-1891) riscriveva la storia della terra leggendola tra le rocce, nei fossili, nei terremoti come nei vulcani, il coetaneo padre agostiniano Gregor Mendel, in Moravia (impero Asburgico, 1822-1884) scopriva i caratteri ereditari, le “leggi” della dominanza e della recessività, avviando quelli che sarebbero confluiti negli studi di genetica. Nello stesso periodo, in Inghilterra, Charles Darwin (1809-1882) maturava la sua teoria dirompente dell’evoluzione della specie, ponendo in maniera irreversibile uno spartiacque tra un “prima” ed un “poi”, nell’ambito delle scienze naturali. E con questo abbiamo detto tutto circa la portata universale del lavoro di Stoppani nel progresso della scienza e, per certi versi, nella comprensione della natura, del mondo, dell’uomo.»
Quindi, Signor Sindaco, per ciò che si può comprendere da questa Sua sconclusionata proposizione, secondo Lei il senso dell’opera e del pensiero di Stoppani può essere colto appieno — e anche assunto a valore universale — in quanto parte più elevata di quel vasto movimento scientifico-culturale che vide come protagonisti anche e soprattutto Mendel e Darwin.
Letto distrattamente sembrerebbe che Lei, collocando Stoppani sul podio più alto del pensiero scientifico e anche filosofico del secolo XIX, abbia voluto fargli un complimento fino a oggi mai da nessuno osato e neppure concepito.
In realtà, con questo pataffio, che inevitabilmente può essere letto anche come una irridente pernacchia, Lei ha ancora una volta dato una grossa mano a immergere nel ridicolo la memoria di Stoppani, stravolgendone al contempo il reale pensiero.
Incoerente accostamento di nomi eccellenti.
Intanto chiariamo perché abbiamo definito come “sconclusionate” le sue parole. Da parte nostra non vi è alcuna intenzione offensiva ma solo la constatazione di un problema di organizzazione del pensiero e dell’esposizione.
Rilegga con noi le Sue 150 parole, Signor Sindaco.
Per Mendel, Lei indica come significative le sue “leggi della dominanza e della recessività”.
Per Darwin Lei indica la “teoria dell’evoluzione della specie”.
Per Stoppani invece Lei non indica assolutamente in cosa sarebbe costituito il suo contributo scientifico.
Non è d’accordo?
Si rilegga, Signor Sindaco: Lei ha scritto e detto che Stoppani “riscriveva la storia della terra leggendola tra le rocce, nei fossili, nei terremoti come nei vulcani”.
Non ha però neppure lontanamente accennato con quali idee e seguendo quali teorie o presupposti concettuali Stoppani avrebbe compiuto questa “rilettura”.
Sotto questo profilo il suo discorso non ha alcun significato e potremmo chiudere qui questo capitolo limitandoci a fare del sarcasmo sulla Sua capacità o meno di svolgere un pensiero compiuto.
C’è però un risvolto nella incoerenza della Sua narrazione che ci sembra opportuno non trascurare.
Indicando i fondamenti teorici di Darwin e di Mendel ma NON quelli di Stoppani, Lei, Signor Sindaco, viene infatti a dare per sottinteso che Stoppani appartenesse al medesimo mondo concettuale di Darwin e di Mendel.
Una evidente falsificazione della storia e del pensiero di Stoppani che però, curiosamente, sta cominciando, per il momento in modo sotterraneo, a essere manifestata qua e là.
Alla base di questa tendenza riteniamo vi sia la scelta da parte della Chiesa (sempre stata molto cauta nel valutare l’ipotesi darwiniana) di introdurre zitti zitti Stoppani (al suo tempo messo all’Indice, come il suo riferimento Rosmini — oggi inserito in un solido percorso di “beatificazione”) nel grande filone di un indistinto evoluzionismo, sostanzialmente accettato dalla gerarchia — certo senza espliciti richiami a Darwin ma lasciando mille porte aperte per una sua sottintesa presenza. Ma di questo tratteremo in altra occasione.
Tornando a noi, procediamo per gradi iniziando con brevissimi accenni a Darwin, Mendel, Stoppani e i loro reciproci rapporti.
Charles Darwin — Prima di divenire straordinariamente noto nel 1859 per la sua “Origine delle specie, per mezzo della selezione naturale” Darwin fu un naturalista che maturò presto un forte interesse per la geologia anche grazie alla conoscenza del libro “Principi di geologia” (1833-35) di Charles Lyell (1797-1875) sui cui presupposti concettuali Darwin basò tutte le proprie successive elaborazioni sull’evoluzione.
Con la sua opera Lyell aveva sviluppato nella versione definitiva la teoria dello uniformitarismo ponendo le basi della moderna geologia (“uniformitarismo”, o “attualismo”, è il principio secondo il quale i processi naturali che hanno operato nei tempi passati sono gli stessi che possono essere osservati nel tempo presente e nel domani).
Johann (Gregor) Mendel — Come ogni naturalista con solidi studi superiori alle spalle, Mendel aveva una conoscenza evoluta della geologia ma non ne aveva familiarità operativa, essendosi prevalentemente dedicato alla matematica e alla fisica, oltreché, naturalmente, alla botanica.
Scrisse in tedesco “Esperimenti sulla ibridizzazione delle piante”, risultato di anni di esperimenti, che pubblicò nel 1866 in 40 (quaranta) copie. Conosceva sicuramente “L’origine delle specie” di Darwin cui mandò copia del suo libro che però Darwin altrettanto sicuramente non lesse.
La sua opera rimase semi sconosciuta e dimenticata fino all’inizio del XX secolo (solo nel 1901, venne tradotta in inglese), quando i suoi esperimenti vennero replicati e verificati nel 1900. In Italia le leggi di Mendel furono menzionate per la prima volta dal botanico Giuseppe Cuboni in un suo lavoro del 1903.
Dopo una diecina d’anni, gli evoluzionisti di tutta Europa, insoddisfatti per la mancanza nell’ipotesi darwiniana di una solida teoria della ereditarietà, cominciarono a mettere in sinergia le esperienze di Darwin e di Mendel dando vita verso il 1930 alla “Nuova sintesi”, che rivitalizzò la declinante teoria della “lotta per la sopravvivenza”, così come la aveva concepita ed espressa Darwin.
Antonio Stoppani — Esattamente come Darwin, trovò nei “Principi di geologia” di Lyell il punto di riferimento concettuale per la sua maturazione scientifica, condividendone la grandissima parte delle idee circa rocce, fossili, terremoti, vulcani. Con lo scienziato inglese, Stoppani polemizzò quando questi si fece mallevadore della ipotesi darwiniana in riferimento alla antichità dell’uomo.
Nelle sue opere, soprattutto nel suo “Note a un corso di geologia” del 1866 (poi “Corso di Geologia” del 1871), Stoppani fece molti riferimenti, anche elogiativi, alle idee e alle osservazioni geologiche di Darwin, in particolare sul tema della formazione degli atolli.
A pochi mesi dalla pubblicazione nel 1859 della “Origine della specie”, sulle idee di Darwin Stoppani cominciò a sviluppare osservazioni critiche, tutte di carattere eminentemente scientifico (con mai nessunissimo accenno ad aspetti etico-religiosi), in linea con la gran parte dei geologi di tutto il mondo, insoddisfatti della mancanza di riscontri paleontologici sul campo alla ipotesi darwiniana.
In modo più sostanziale (e basandosi su considerazioni di carattere embriologico) nel 1872 Stoppani dedicò una circostanziata critica all’ipotesi di Darwin nel suo “Note a un corso di geologia”, cui nessuno — allora e oggi — ha mai risposto. Ci risulta che nel nostro tempo recente, l’unico specialista a citare e criticare in pubblico questa elaborazione di Stoppani (seppur in modo per noi assolutamente inadeguato e anche fortemente ideologico) sia stato Giovanni Pinna, già Direttore del Museo di Storia Naturale di Milano in un suo intervento, nel 1991, proprio qui a Lecco, in occasione del centenario della morte di Stoppani (più sotto riprendiamo l’argomento con tutta la opportuna documentazione).
La appena ricordata critica circostanziata di Stoppani alla ipotesi darwiniana ha come presupposto che le testimonianze fossili indicano una generale tendenza degli organismi verso forme sempre più complesse.
Ciò per ricordare che Stoppani non ebbe mai alcuna remora a fare propria l’idea di trasformazione-evoluzione, ovvia per qualsiasi paleontologo degno di questo nome.
D’altra parte poche settimane dopo la pubblicazione della “Origine delle specie” di Darwin un alto prelato inglese invitò i preoccupati fedeli a non farsi troppi problemi né sulla idea di evoluzione né su quella di lotta per la sopravvivenza come pericolosi per l’idea della esistenza di Dio. Il prelato suggeriva che basta pensare che tutti i fenomeni e anche le loro modalità di svolgimento (quindi anche la evoluzione e annessi) sono predeterminati da Dio.
Perfettamente convinto (già prima di Darwin) circa il pensare alle specie come in trasformazione, Stoppani fu invece anche aspro nel valutare le manifestazioni più banalizzanti della ipotesi di Darwin da parte dei sodali italiani dello scienziato inglese. L’Abate li considerava troppo rozzi e impreparati per occuparsi seriamente della questione: per esempio trattò in modo infastidito la allora da molti sostenuta discendenza dell’uomo dalle scimmie.
Queste sue critiche gli attirarono l’ostilità dei darwinisti nostrani (ostilità tuttora dominante) ma in proposito è opportuno ricordare che da oltre un secolo nessun darwinista con un minimo di cervello si azzarda più a sostenere che l’uomo discende dalle scimmie e che quindi lo scienziato Stoppani era infastidito a ragion veduta delle banalizzazioni che andavano di moda in conferenze e dibattiti di seguaci di Darwin, da Stoppani ritenuti dei bru bru senza competenza.
Per quanto riguarda le critiche su base paleontologica di Stoppani a Darwin (lo abbiamo già detto, allora condivise da moltissimi geologi), a distanza di mezzo secolo da quelle critiche, i darwinisti dovettero prendere atto della loro congruità e impostare la propria teoria su basi in gran parte diverse da quelle definite da Darwin.
Nei confronti della persona di Darwin Stoppani ebbe invece solo espressioni di dissenso scientifico, limitandosi a rilevare che il naturalista inglese si era fatto prendere la mano da ipotesi che dovevano ancora superare il vaglio dell’esperienza (Stoppani non parlò mai di “teoria” darwiniana).
Stoppani non fece mai alcun riferimento a Mendel la cui opera probabilmente non conobbe affatto.
Arruolamento di Stoppani in una indistinta galassia evoluzionista.
Abbiamo accennato sopra alla tendenza (ancora sotterranea ma operante, soprattutto in area cattolica) di presentare Stoppani come sostanzialmente vicino alle posizioni di Darwin — e ciò solo perché Stoppani ha, fin dall’inizio del dibattito nei confronti del darwinismo, postulato la trasformazione degli organismi verso forme sempre più complesse.
La cosa è da registrare perché in tutti questi anni, chi si è occupato delle idee scientifico-filosofiche dell’Abate Stoppani, ha dovuto — proprio al contrario — mettere in chiaro il senso della sua sempre attiva critica alla ipotesi del naturalista inglese sul come si verifica questa trasformazione.
Si è trattato semmai di tutelare Stoppani dagli attacchi anche sgangherati che i rappresentanti del positivismo italiano di ieri — e del neo darwinismo di oggi — gli hanno sempre portato con una straordinaria dimostrazione di impotenza intellettuale (attenzione, noi non siamo anti-darwinisti — anzi — ma solo storici, interessati alla verità).
Se sfogliate la poca stampa dedicata al tema, troverete che i darwinisti del suo tempo, alle posizioni dell’Abate non hanno dedicato un rigo di critica scientifica, limitandosi a travisarne il pensiero estrapolando senza contestualizzazione alcune espressioni o frasi scritte dall’Abate per ben definiti contesti.
Un classico è l’uso becero di sue espressioni polemiche (“Il Dogma e le Scienze positive”, 1886) nei confronti dell’istituzione in Firenze di una cattedra universitaria dedicata alla “antropologia” in cui l’uomo era posto esclusivamente come uno dei tanti animali, senza alcuna considerazione sulla sua originale e unica complessità.
In quel contesto l’Abate Stoppani segnalava vivacemente che, proseguendo su quel tracciato, le scienze naturali — da lui ritenute fonte assoluta di verità — erano destinate a ridursi a misera cosa: l’osservazione riteniamo fosse del tutto condivisibile anche dai materialisti più seri della sua epoca.
Ancora nel 1983, nel suo da tutti citato “Il darwinismo in Italia”, Giuseppe Montalenti (Belfagor. Vol. 38, 1, 1983) circa le posizioni dell’Abate si permetteva di limitarsi a questa anodina osservazione:
«Un altro avversario scientificamente bene qualificato fu il geologo sacerdote Antonio Stoppani (1821-1895) autore, fra l’altro, di un famoso libro divulgativo: “II bel Paese” (1875 [sic!]) e di un’opera su “II dogma e le scienze positive” (1886, 2a ed.). Giustamente dice il Canestrini (loc. cit.): “ … egli ebbe il torto di usare verso l’evoluzionismo un linguaggio che non doveva adoperare un uomo di tanta scienza e di sì alta fama”».
E, più vicino al nostro oggi, anche Telmo Pievani, uno dei più noti divulgatori del nuovo darwinismo, nel suo “Introduzione a Darwin” (Laterza, 2012) a proposito di Stoppani, si limita a scrivere (p. 171):
«Non erano mancate certo le reazioni anti-darwiniane, sempre sotto forma di libelli, di satire e di opuscoli filosofici e religiosi che nulla avevano a che vedere con la scienza, con l’eccezione delle critiche pertinenti mosse dallo zoologo Giovanni Giuseppe Bianconi a Bologna, certamente più mirate di quelle virulente del geologo e abate Antonio Stoppani.»
Va da sé che Pievani non ha mai speso una parola di confutazione di quelle critiche di Stoppani che egli giudica “virulente”. Ci auguriamo che da questa nostra Nota qualcuno di serio in campo darwiniano, sottoponga a critica scientifica le posizioni espresse da Stoppani nel 1867 e da nessuno mai commentate — saremmo i primi a ringraziare e a darne il più ampio risalto.
Già che siamo in tema di lecchesi ricorrenze bicentenari, può essere utile ricordare anche che proprio in Lecco, in occasione del centesimo anniversario della morte, il 29-30 novembre 1991 si tenne il convegno «Antonio Stoppani tra scienza e letteratura» (voluto dal Comune di Lecco e a cura di Gian Luigi Daccò, allora Direttore dei Musei Civici della città) nel quale, da parte del relatore Giovanni Pinna (già Direttore del Museo di Storia Naturale di Milano) venne sferrato un incredibile attacco proprio contro il commemorato Stoppani, accusato — naturalmente senza alcun contraddittorio — di una ostilità solo pregiudiziale e per nulla scientifica a Darwin e all’evoluzionismo.
L’attacco di Pinna così si concludeva:
«Anche l’ipotesi dell’organizzazione del mondo organico che aveva pubblicato nel 1867 non derivava da un’esperienza diretta di lavoro paleontologico, ma era costruita sulla base di conoscenze letterarie. […] Stoppani di fronte al problema scientifico dell’evoluzione si chiuse dunque in se stesso, continuando da un lato il lavoro di descrizione paleontologica, proseguendo dall’altro una campagna denigratoria delle idee evoluzioniste, condotta con toni di sprezzante derisione. […] Il suo sperimentalismo esacerbato, […] e l’essersi tenuto in disparte dal dibattito biologico e paleontologico del suo tempo, contribuirono certamente a isolare la scienza italiana, e la paleontologia in particolare.»
Le stolte frasi di Pinna giustificano una qualche risposta più vicina alla realtà, come quelle di matrice cattolica cui accennavamo poco sopra, ma non certo un capovolgimento del dato storico: se non nelle forme grottesche dipinte dai darwiniani di ieri e di oggi, è comunque un dato inoppugnabile che l’Abate Stoppani fu sempre critico nei confronti del darwinismo, a suo modo di vedere molto lontano dal potere essere accolto come condivisibile teoria scientifica e da considerare, fino a nuove acquisizioni di fatto, come mera ipotesi di lavoro.
D’altra parte la storia reale del darwinismo, passato in pochi decenni attraverso trasformazioni anche radicali ci suggerisce che le remore scientifiche di Stoppani all’ipotesi così come la pose Darwin nel 1859 e nei successivi anni erano più che fondate, come ammisero più tardi gli stessi darwinisti più accorti sul piano intellettuale.
Il quesito scientifico posto dall’Abate Stoppani cui i darwinisti mai risposero – né ieri né oggi.
L’uscita della prima edizione della “Origine” di Darwin (24 novembre 1859) non suscitò in Italia grandissime reazioni (il “Politecnico” ne fece una presentazione piuttosto anodina qualche mese dopo) anche perché il 1860 fu un anno decisivo per le sorti del nostro Paese dopo il grosso risultato della Seconda Guerra di Indipendenza.
In quel periodo l’Abate fu parte attiva con il fratello maggiore Pietro (più avanti e per tanti anni Prevosto della Basilica di Santa Maria della Passione in Milano) nella azione del clero conciliatorista milanese per favorire il disfacimento del potere temporale di Pio IX e la nascita del nuovo Regno d’Italia (vi partecipò in prima persona anche A. Manzoni). Immediatamente dopo il marzo 1861 Stoppani fu da Quintino Sella coinvolto come Segretario (con Gemellaro) della subito formata “Commissione per la Carta Geologica”, documento fondamentale per l’operatività del nuovo Stato.
Nonostante la situazione eccezionale, rileviamo che l’Abate Stoppani fu comunque tra i primi in Italia a occuparsi della “ipotesi” evoluzionista di Darwin. Ne troviamo accenni già in suoi interventi del 1860 e ne abbiamo una esplicita espressione in suoi due saggi sulla paleontologia, pubblicati tre anni dopo.
Nella seduta della Società di Scienze Naturali di Milano del 1 aprile 1860, nella relazione «Risultati paleontologici e geologici dedotti dallo studio dei petrefatti d’Esino», rimarcando la copia impressionante di novità portate dall’analisi scrupolosa di una pur minuscola particella del territorio lariano, l’Abate Stoppani fece esplicito riferimento critico alla nuova ipotesi appena formulata da Darwin:
«Un numero così considerevole di specie nuove provenienti da una sola località […] servirà […] a diffidare gli studiosi circa le leggi progressive della organizzazione ed i diversi risultati che si vollero troppo precipitosamente dedurre sia dai confronti numerici, sia dal paragone delle forme, sui rapporti delle faune spente tra loro, o di queste medesime colla fauna attuale. Finché mille e mille località, sconosciute alla scienza, come lo erano testè i dintorni di Esino, potranno al pari di questi porgere alla paleontologia sì ricco tributo, sia per numero che per novità di forme, non può la scienza, per riguardo a certe questioni, lusingarsi di risultati appena approssimativi, arrischiando diversamente o di disdirsi ad ogni piè sospinto o di intisichire trincerata ostinatamente nelle grettezze di un sistema.»
Come si vede, da parte del sacerdote Stoppani, nessunissimo riferimento a questioni ideologiche ma solo il richiamo ai criteri della ricerca scientifica.
Della cui necessità, d’altra parte, lo stesso Darwin era perfettamente consapevole: la scarsità di prove paleontologiche a sostegno della ipotesi evoluzionistica, fu infatti da subito il principale ostacolo sollevato non da dogmatici religiosi ma proprio dai geologi materialisti, attenti a non confondere interessanti ipotesi con realtà verificabili e condivisibili.
Con la mente attenta alle questioni di metodo, l’Abate, tra il novembre 1863 e il gennaio 1864, pubblicò su “Il Politecnico” due lunghi saggi titolati “Dei precipui fatti della paleontologia” con i quali per primo in Italia indicava nella paleontologia l’unica scienza in grado di dare risposta ai problemi sollevati anche dalla ipotesi evoluzionista di Darwin.
Nel lungo intervento, Stoppani tracciava al contempo un coinvolgente quadro delle manifestazioni della vita sul globo, evidenziandone i moltissimi elementi ancora indecifrabili.
Tra questi, in particolare, non tanto la mancanza di una documentazione fossile in grado di certificare l’ipotesi evoluzionistica di Darwin quanto l’inspiegabile dato di fatto, riscontrabile proprio a partire dalle scoperte sempre più ampie della paleontologia, della discontinuità e incoerenza delle diverse forme di vita nei lunghi tempi geologici.
Concludeva l’Abate questa prima ampia disanima dei problemi impliciti nella ipotesi evoluzionistica ponendo una serie di quesiti:
«Ecco alcuni problemi paleontologici che scaturiscono spontanei dai fatti accennati: — L’estinzione delle specie fu graduata o subitanea? produtta da forze cataclittiche estranee alle condizioni dell’organismo e della vita, o fu una conseguenza naturale e necessaria della limitazione o della natura dello stesso organismo e della vita? Nell’ordine della natura e della providenza che governa il creato perchè l’estinzione successiva di tante specie e la creazione di altre? Ebbe luogo una vera estinzione delle specie, o non piuttosto la loro trasformazione? Quale concetto infine la paleontologia ci dà della specie? Da che deriva quel carattere proprio, quell’impronta quasi di famiglia che distingue ciascuna fauna? Lo sviluppo della organizzazione, considerato negli esseri che si succedettero o per creazione o per metamorfosi fu graduato? Entro quali limiti lo fu? Quale influenza ebbe la vita nelle diverse epoche sulla costituzione del globo? In quali rapporti stanno le faune e le flore estinte colle viventi? Quali sono le origini dell’uomo? Quali elementi presta la paleontologia per decidere se l’intelligenza non è che un grado di sviluppo degli esseri creati sulla terra, o non piuttosto la creazione di una novella natura? Quale è il piano della creazione nella sintesi delle epoche? Quale è finalmente l’avvenire del globo e della nostra specie?»
Coerentemente con queste domande (rimaste senza risposta da parte dei darwinisti, nel 1863 ancora in fase di definizione in Italia, ma anche dopo decenni quando si erano ben stabilizzati), l’Abate riproponeva le medesime tematiche nel suo “Note ad un Corso Annuale di Geologia” (Milano, 1867), approntato per gli studenti del Politecnico.
Nella Appendice 2 (“Sulla comparsa e sullo sviluppo dei tipi organici nelle diverse regioni del globo”), in un lungo intervento poneva nuovamente con forza agli evoluzionisti la domanda: posta come osservabile e condivisibile una trasformazione della vita verso una sempre maggiore complessità nei grandi regni organici, come possiamo spiegare le fratture che si presentano al loro interno? come possiamo accettare che forme più complesse — definitivamente scomparse — hanno preceduto di lunghi tempi geologici le loro forme più semplici; come hanno potuto vivere specie rimaste pressoché invariate fin dalla origine della vita sulla terra, mentre si sono spente centinaia di migliaia di specie anche molto evolute?
L’Abate allegava alla sua esposizione un diagramma cronologico che non abbiamo mai visto riproporre in alcun testo (il già ricordato Giovanni Pinna si guardò bene dal mostrarlo a Lecco nel 1991) e che quindi ora Le presentiamo, Signor Sindaco, suggerendoLe anche di leggere il testo della Appendice dell’Abate, disponibile qui.
È opportuno rimarcare che nessuno in questi 150 anni ha mai dato una risposta ai quesiti — solo ed eminentemente scientifici — posti dall’Abate Stoppani in quel lontano 1867.
Negli anni successivi, pur mutandone la forma, l’Abate continuò a porre agli evoluzionisti le medesime domande, distribuendole nei tre volumi del suo “Corso di Geologia” che, a partire dal 1871, sostituì il suo già citato “Note per un Corso di geologia”, rimanendo per decenni il testo preferito non solo dagli aspiranti ingegneri dell’Istituto Tecnico Superiore di Milano, ma da tutti i lettori con un minimo di cultura che volessero tenersi informati sui temi della geologia, allora una scienza che l’Abate definiva “bambina” ma già abbastanza robusta per rispondere alle esigenze della nuova Italia, grazie anche a figure come il Nostro di cui celebriamo il Bicentenario della nascita.
Dato quanto fin qui espresso, la conclusione dell’analisi di questa Sua Proposizione n. 9 ci sembra decisamente scontata ma per comodità di tutti la riepiloghiamo:
1/ è una Sua solo fantastica ricostruzione che il contributo scientifico ed etico-morale di Stoppani sia considerato oggi come di “valore universale”. In realtà manca a oggi uno studio plurisettoriale per solo riassumerne gli elementi centrali con la necessaria profondità, possibile solo a una analisi condotta da specialisti di varia formazione;
2/ è da considerare come del pari fantasiosa l’idea che Stoppani possa in qualche modo essere considerato vicino a Darwin sul problema della trasformazione delle specie. Stoppani occupa un posto a sé la cui dimensione e validità deve tuttora essere analizzata;
3/ il peggiore regalo che si può fare a Stoppani è di portarne alle stelle il nome senza l’adeguato apparato di motivazioni e di prove — l’Abate rifuggiva dai mezzucci della promozione da imbonitori e sarebbe inorridito a leggere questo Suo brano che abbiamo testé considerato.
Proposizione 5
Il Sindaco di Lecco presenta Stoppani come conferenziere al Seminario di Venegono, edificato 40 anni dopo la sua morte.
Ignora invece che a lui è intitolato il Museo naturalistico del Seminario stesso …”
« Già, perché oltre allo Stoppani-scienziato, ci piace ricordare anche lo Stoppani-divulgatore e narratore, una sorta di “Piero Angela” capace di affascinare non solo generazioni intere di allievi presso le sue lezioni tenute al Politecnico di Milano (“il professore con lo zaino in spalla”), ma soprattutto il coinvolgimento della gente comune, inesperta di scienza. Il suo “pubblico” consisteva sicuramente dalla nobiltà e dagli intellettuali milanesi, che venivano invitati presso il seminario di Venegono (dove tutt’ora è disponibile il museo naturalistico con una grandissima raccolta di minerali e fossili) per ascoltare teorie che allora dovevano apparire alquanto bizzarre […]»
Aiuto!!!!
E sì, Signor Sindaco, Lei ha proprio bisogno di aiuto quanto meno per mettere un po’ d’ordine nello staff che ha suggerito e visionato questo discorso prima che Lei — incoscientemente e senza alcuna verifica — lo pronunciasse il 15 agosto 2024 sulla pubblica piazza.
Quindi, secondo Lei e i suoi consulenti, è cosa storicamente acquisita che:
a/ l’Abate Stoppani invitava al “Seminario di Venegono” nobili e intellettuali milanesi perché assistessero alle sue affascinanti conferenze;
b/ che in quello stesso Seminario di Venegono “è tutt’ora disponibile” un museo naturalistico — quel “tutt’ora” ci fa capire senza equivoci che secondo Lei già ai tempi di Stoppani al Seminario di Venegono fosse “disponibile” un museo naturalistico.
È così? ne è proprio sicuro?
È in grado di dirci dove da Lei, o dai suoi assistenti, sono state rinvenute queste informazioni?
Lei sa che come pubblico ufficiale ha degli obblighi relativi alla veridicità di quanto afferma nelle Sue funzioni?
Sarebbe interessante conoscere la fonte cui Lei si è ispirato anche perché ci sembra che nessuno — proprio nessuno — almeno negli ultimi 160 anni (da quando cioè l’Abate cominciò a essere pubblicamente conosciuto come geologo) abbia mai detto alcunché su queste conferenze di Stoppani al Seminario di Venegono né tanto meno sulla contemporanea presenza nel medesimo di un museo naturalistico.
Forse il Dottor Rossetto, Direttore dei Musei Civici di Lecco, nel preparare l’intervento che svolgerà sul “Fondo Stoppani” all’Accademia dei Lincei di Roma il prossimo 24 settembre, ha trovato qualche documento recante queste notizie che Lei ci ha trasmesso il 15 agosto 2024, inaugurando la targa dedicata a Stoppani?
Siamo veramente curiosi perché vede, Signor Sindaco, c’è un piccolo problema di carattere cronologico.
Lei certo sa (o dovrebbe) che l’Abate Stoppani tenne diversi cicli di conferenze a Milano (da quelle svolte nel 1873 egli ricavò il suo “Acqua e terra” pubblicato nel 1874).
E ovviamente sa (o dovrebbe) che l’Abate ci lasciò il 1 gennaio 1891, ancora relativamente giovane (aveva 66 anni) per un attacco di angina pectoris.
Per quanto riguarda il Seminario di Venegono, Lei evidentemente sa poco e quindi Le diamo una mano informandoLa che il Seminario di Venegono, dove secondo Lei l’Abate Stoppani avrebbe invitato nobili e intellettuali milanesi ad assistere alle sue conferenze è stato edificato quasi mezzo secolo dopo la morte di Stoppani; che la posa della prima pietra è del 1928, mentre l’inaugurazione da parte del Cardinale Schuster è del 1935.
Stupito?
Sul fatto in sé non c’è molto da dire e ci limitiamo a riportare un foto relativa alla cerimonia della posa della prima pietra del grande complesso da parte del Cardinale Schuster, Arcivescovo di Milano — 6 febbraio 1928; tre articoli del Corriere della Sera relativi: a questo evento (7 febbraio 1928); alla futura sistemazione del Seminario (12 novembre 1928) — qui vi è un riferimento a Lecco; alla inaugurazione (13 maggio 1935); una foto del complesso terminato.
Da ricordare che come elemento organico del Seminario, è stata costruita una torre alta 64 metri che, a partire dagli anni Trenta e per quasi mezzo secolo, è stata sede dell’Osservatorio di Fisica Terrestre — un gioiello della scienza.
L’unico elemento che vorremmo evidenziare è un piccolo tassello della storia del Seminario di Venegono (quella vera, non quella da Lei inventata) che ha un legame con la storia di Lecco, quella che Lei dovrebbe conoscere.
Come riportato nell’articolo del CorSera del 12 novembre 1928 (evidenziazione nostra):
«Già c’è stato chi ha pensato di dotare l’attuale biblioteca, ricca di incunaboli e vecchi testi, di un modernissimo materiale di consultazione: Lecco per conto suo sì è impegnata ad allargare l’attuale gabinetto di storia naturale purché esso sia intitolato al suo Stoppani […]»
Con ciò pensiamo di avere assolto al dovere non particolarmente esaltante di segnalare a Lei e ai Suoi collaboratori un piccolo aspetto della storia reale del Seminario di Venegono nel secolo passato.
Ma, volendo darne qualche notizia anche dell’oggi, La informiamo che il 1 maggio Monsignor Delpini, Vescovo di Milano, ha inaugurato al Seminario di Venegono una mostra dedicata all’Abate Antonio Stoppani nella quale, su grandi pannelli, sono stati illustrati gli elementi salienti della vita e dell’opera di Stoppani.
A presentare l’iniziativa erano sia l’ottimo Monsignor Gentili, da decenni impegnato nel fare del Museo Stoppani del Seminario di Venegono non solo un “gioiello”, come è stato autorevolmente definito, ma anche un punto di riferimento culturale di alto livello.
Un punto di riferimento sia per chi ritiene le scienze naturali strumento chiave per la comprensione e il governo del nostro mondo attuale, sia per chi è convinto che del magistero scientifico e culturale dell’Abate Stoppani si debba ancora scoprire molto, a vantaggio di tutti.
Segnaliamo altresì che ad affiancare Don Gentili al Seminario di Venegono vi sono validissimi rappresentanti della nuova generazione di naturalisti e storici, come Vittorio Pieroni e Mauro Locatelli (vedi il loro «Antonio Stoppani e il Seminario di milano: tra fossili, libri e documenti»).
Non sarebbe stata una brutta cosa se, nell’occasione di questa inaugurazione del 1 maggio, un rappresentante del Comune avesse fatto una visitina, anche solo per fare atto di presenza.
Ma ci rendiamo conto che è chiedere troppo a una Amministrazione che di tutta evidenza dell’Abate Stoppani proprio non importa nulla e lo valuta molto meno dei “missultìn” — che “almeno se magnano”.
D’altra parte, tutto ciò è già ben noto a tutti. E a Lei, Signor Sindaco, anche senza scomodarsi con ricerche d’archivio, sarebbe stato sufficiente dare una scorsa ai giornali di Lecco per avere il quadro della storia, quella reale.
Solo come esempio, prendiamo il quotidiano “Lecco on line” del 15-04-2024: nell’articolo “Il seminario di Venegono dedica una mostra a Stoppani”, il giornalista A.B. traccia una breve sintesi, del tutto comprensibile anche ai distratti (evidenziazioni nostre):
«È ufficiale: il prossimo 1° maggio 2024, alle ore 11.30, presso la sala Beato Cardinale Ildefonso Schuster del seminario arcivescovile Pio XI di Venegono Inferiore (Varese), verrà aperta la mostra dedicata ad “Antonio Stoppani ed il seminario di Milano: tra fossili, libri e documenti”. L’esposizione sarà inaugurata dall’arcivescovo mons. Mario Delpini: fossili, libri e documenti costituiranno il cuore della mostra dedicata a Stoppani, prete ambrosiano, scienziato lombardo e padre della geologia italiana.
C’è da ricordare che nel cammino della sua formazione al sacerdozio Stoppani non ha mai frequentato il seminario di Venegono, che è stato ufficialmente inaugurato, parecchi anni dopo, nel 1935 dal cardinale arcivescovo Ildefonso Schuster. La nuovissima struttura, non ancora completata, vide i primi seminaristi dell’allora quadriennio teologico maggiore nel periodo di vacanze interne dell’agosto 1930.
I seminari frequentati da Antonio Stoppani sono stati per primo quello in Castello di Lecco, alle prime propaggini di un monte che gli è stato molto caro: il san Martino. Poi quelli di San Pietro Martire a Seveso, di Monza ed infine il quadriennio teologico in Milano, presso il seminario maggiore, in Porta Venezia.
Il seminario di Venegono conserva scritti, documenti di Antonio Stoppani, come i fossili da lui ritrovati ed affidati nel tempo al museo del seminario. Stoppani è morto a Milano nel 1891, dove era direttore dal 1883 del museo civico di storia naturale.
Nell’anno 1952, con solenne ufficiale cerimonia, la città di Lecco rappresentata dal sindaco Ugo Bartesaghi, fece dono al seminario di Venegono di un busto dello Stoppani scolpito da Francesco Wildt.»
Visto! già quattro mesi fa il giornalista A.B. aveva scritto tutto ciò che c’era da sapere: bastava leggere anche distrattamente.
Per chiudere questo penosissimo capitolo, due parole sulle conferenze dell’Abate (quelle vere).
Intanto bisogna ricordare che il tenere conferenze dedicate al pubblico generico faceva parte dei compiti istituzionali dei Professori del “Regio Istituto tecnico superiore” di Milano.
Le conferenze (si svolgevano tendenzialmente il giovedì pomeriggio, presso il Salone dei Giardini di Porta Venezia) erano molto seguite soprattutto da signore culturalmente già evolute (e benestanti) che potevano permettersi di dedicare tempo a queste interessanti esposizioni. Oppure da economicamente più modeste maestre che di certo ne avranno fatto miglior uso per educare i giovani loro studenti.
La partecipazione alle conferenze era a pagamento (modesto) e l’incasso veniva devoluto a questa o quella struttura educativa.
Ai “Giardini” di Milano l’Abate tenne molte conferenze che gli procurarono una buona notorietà: invariabilmente quasi esitante all’inizio della relazione, con lo sguardo fisso in un punto al di sopra del pubblico, rapidamente entrava nella parte, il tono si faceva più fermo e, aiutato anche dalla bella voce baritonale, Stoppani colpiva gli ascoltatori con la chiarezza della esposizione e l’originalità delle considerazioni.
Una delle sue più notevoli opere («Acqua e aria — Ossia la purezza del mare e dell’atmosfera fin dai primordi del mondo animato») venne redatta proprio assemblando 14 conferenze tenute nel 1873.
Signor Sindaco, dimentichi quelle mai fatte chiamate a raccolta di nobili e intellettuali milanesi da parte di Stoppani nell’allora inesistente Seminario di Venegono: è roba da risulta che la copre di ridicolo.
Proposizione 6
Il Sindaco di Lecco presenta Stoppani come un sorta di beatnik girItalia giraMondo senza un perché e non per quello che era: uno scienziato con precisi e sempre circostanziati obiettivi …
«… E poi via, per un circuito vivace di conferenze, insegnamenti, spedizioni, pubblicazioni e onorificenze accademiche, con la sua capacità di leggere in maniera armonica e complementare tutto quel mondo meraviglioso che lega insieme montagna, territorio, alpinismo e avventura, viaggi esplorativi in altre parti del mondo, e un infinito affetto verso il nostro “Bel Paese”, l’Italia girata a piedi in lungo e in largo, il Paese più bello del mondo.»
Questa è una delle uniche due Proposizioni (l’altra è la immediatamente successiva) con le quali Lei ci dà la Sua visione d’insieme di Stoppani. Ne emerge una immagine tutta promozionale tesa all’attrazione del turista ideale per il territorio lecchese.
Un camminatore, un trekker d’altri tempi — ma naturalmente una persona a posto. Un Jack Kerouac — ma senza droghe e donne. Un Kerouac da seminario si potrebbe definire — ma senza neanche un vago sentore di religione.
Un prototipo buono per ogni uso e quindi inesistente. Soprattutto se accostato alla fisionomia di Stoppani che tutto fu tranne quella figura da Lei delineata.
Lo diciamo senza animosità: questa Proposizione 6 è veramente la peggiore di tutto il Suo discorso. Perché è tutta falsa, e ci sembra non per ingenua inconsapevolezza.
Quel legare insieme montagna, territorio, alpinismo e avventura può andare forse bene per un pieghevole pensato per i turisti ma nulla ha a che vedere con Stoppani.
La montagna è sempre stata per Stoppani luogo di eccellenza per la conoscenza della vita del pianeta.
Sia in quanto deposito delle testimonianze fossili di come la vita si è sviluppata in ere lontane dalla nostra milioni di anni.
Sia in quanto prodotto degli sconvolgimenti interni del globo che si manifestano attraverso i vulcani (sono montagne anche quelle!).
Sia (per lo meno quelle più alte) in quanto condensatori dell’umidità atmosferica in pioggia e neve; quindi in quanto produttori dei ghiacciai, essenziali per la continuità del rifornimento idrico per le coltivazioni e per la nostra esistenza quotidiana.
Ed è stata una delle manifestazioni della natura nelle quali egli riconosceva con maggiore limpidezza il legame con il divino: niente a che fare né col territorio come di certo lo intende Lei né con l’avventura, qualunque cosa Lei intende esprimere con questa espressione buona per colazione, pranzo, aperitivo e cena.
Avventura per Stoppani è solo ciò che etimologicamente indica: il futuro. E questo per Stoppani è già scritto nell’oggi e nel passato.
Ciò che interessava a Stoppani non era la visione di cose nuove ma la comprensione delle realtà antiche, la comprensione delle ragioni ultime, per quanto possibile alla mente scientifica dell’uomo; oltre alla quale c’è la comprensione del reale con altri strumenti che non appartengono alla scienza ma alla religione.
In ciò si può certo dissentire da Stoppani (noi abbiamo idee diverse in materia) ma questa era la sua visione e nel commemorarlo non possiamo sovrapporgli la nostra visione e sensibilità.
Se non uniamo la sfaccettatura religiosa del suo io a quella scientifica, non comprendiamo nulla né dello Stoppani scienziato né dello Stoppani presbitero (o “prete” come diciamo alla buona).
Parola che infatti Lei mai cita, limitandosi — una sola volta — a ricordarlo come “sacerdote” con tutta la ambiguità che ciò comporta (ogni religione ha sacerdoti, ma solo il cristianesimo ha presbiteri).
Con questa Proposizione n. 6 Lei ha cancellato la fisionomia di Stoppani e anche i dati della sua esistenza di uomo. Non era un “insegnante”: anche uno spazzino — con tutto il rispetto — “insegna” al suo inesperto assistente. Stoppani è stato un docente universitario, Ordinario di geologia e annessi all’Università di Pavia, Milano, Firenze — ci vuol tanto a dirlo?
E perché Lei non ha ricordato almeno quattro, cinque titoli delle sue “pubblicazioni” — non vuol passare per venditore porta a porta di enciclopedie?
Quando Lei parla di “viaggi esplorativi” fuori d’Italia, uno immagina l’Abate con casco coloniale, stivali e fucile in qualche parte dell’Africa ancora ignota (per gli europei! a chi ci abitava da millenni era più che nota, ovviamente): oppure con scarponi, pellicce e guantoni alla guida di slitte trainate da mute di cani sui ghiacci polari.
Beh! di questi viaggi Stoppani non ne fatto neanche uno. L’Abate ha sempre battuto luoghi più che conosciuti. A lui interessava non scoprire nuove terre ma cogliere in quelle già note ciò che altri non avevano saputo vedere.
E quanto al girare l’Italia a piedi in lungo e in largo, Lei è proprio fuori strada.
Intanto Stoppani usava tutti i mezzi più pratici e comodi per arrivare da qualche parte: treno, calesse, cavalli, muli — naturalmente in Grigna non poteva andare col treno — e neanche noi. E quindi camminava, come tutti.
In secondo luogo è una gran balla che abbia girato l’Italia in lungo e in largo. Si legga quel diario di lavoro che è “Il Bel Paese” e si munisca di una cartina, carta e penna. Si accorgerà che in certe regioni dell’Italia Stoppani non ha praticamente mai messo piede e che in quelle visitate, i suoi percorsi sono sempre stati finalizzati a obiettivi ben precisi, anche molto limitati.
Quando si recò in Abruzzo nell’estate del 1864, andò dritto a Tocco di Casauria, a 45 chilometri da Pescara, per verificare alcune ipotesi circa l’esistenza di filoni petroliferi. Al Gran Sasso e alla Maiella, belle e interessanti catene montuose, non diede neppure uno sguardo e neppure ne lasciò alcunché di scritto — possiamo dire che abbia girato in lungo e in largo l’Abruzzo?
E quando nell’agosto del 1869 andò in Sicilia con il fratello Giovanni Maria, che fece? Anche lì andò dritto a Catania per partecipare alla IV Riunione straordinaria della “Società Italiana di Scienze Naturali (SISN)” di cui abbiamo già parlato (23-26 agosto 1869); dalla città salì immediatamente sull’Etna. Come egli stesso ne scrive in modo umoristico ne “Il Bel Paese”, la spedizione fu un mezzo fiasco perché i grandi “esploratori” non riuscirono ad arrivare in cima al vulcano per una nebbia micidiale (la stessa che gli fece saltare la spedizione in Russia del 1887) che costrinse lo squadrone degli intirizziti naturalisti a scendersene sulla costa con le pive nel sacco, prendere la prima nave e ripartirsene verso nord.
E in alcune regioni — come la Sardegna — proprio non ci andò, nonostante il loro grande interesse geologico che naturalmente egli conosceva attraverso gli studi di Lamarmora ma senza averne avuto una visione diretta. O anche la Calabria o la Puglia.
Questo per dire che Stoppani non fu un girabelmondo come Lei lo vorrebbe presentare: era uno scienziato — e un imprenditore — che si spostava certo su e giù per l’Italia ma secondo programmi ben definiti. Certo che andò molte volte a Roma: ma era o per discutere sulla Carta Geologica o per avviare o consolidare rapporti con elementi del Vaticano aperti a soluzioni positive del conflitto con il Regno d’Italia.
E quando gironzolava non era per vedere le “bellezze naturali” ma per capire come funzionava questo benedetto globo e qual era stata la sua storia.
Per comprenderlo basta leggere il diario di lavoro che stese ai suoi primi passi da geologo in una gironzolata dalle vostre parti — prendo un brano a caso di una pagina a caso:
«15 settembre 1856 – Da Cortenova a Olda.
Le pareti della valle che scorre sotto Cremeno e si biforca sotto a Mezzacca sono tutte di arenarie keuperiane, verdi, rosse, nere. Si vedono spingersi sul ramo destro fin sotto il M. Bobbio, sul sinistro ci accompagnano fino al Culmine S. Pietro, mutandosi in scisti neri e quindi in vere lumachelle. Sulla strada gli erratici a Madrepore danno indizio dell’esistenza di tal banco. Discendendo dal Culmine si calpestano sempre gli scisti neri. Un’ora prima di Vedesetta strati di S. Cassiano più caratterizzato ad ammasso di Avicule, che somigliano alla Avicula inflata, ma negli scisti neri, ed altri strati che danno indizio del deposito liasico alla Costa della Santa, coll’Avicula intorta e Escherii? Anche qui batto sulla necessità di ben distinguere i fossili dell’un deposito e dell’altro, cui dubito assai confusi dai geologi, quando pure l’estremo Lias ed il superiore S. Cassiano non abbiano alla fine a formare un solo identico deposito. Una mezz’ora da Vedesetta Madrepora in posto (Plicatula intus striata). Il letto della Val Taleggio, sia il ramo di Morterone, sia del Culmine, sia l’Enna ecc. è tutto scavato negli scisti neri i cui limiti sembrano precisare la strada dal Culmine a Sottochiesa, e più innanzi da Pèghera fino a Bura fino a Brembilla. Qui fossili ovunque.»
Per concludere, Le segnalo che le ultime parole del Suo brano citato — il Paese più bello del mondo — Stoppani non le avrebbe mai usate riferite all’Italia: le aveva già scritte — ma riferite a Lecco — un altro signore, il cui monumento Lei vede certo ogni giorno: tal Alessandro Manzoni, alla cui memoria Stoppani dedicò gli ultimi vent’anni di vita e di cui Lei nel Suo discorso non ha neppure fatto il nome — che vergogna!
Citando Petrarca, Stoppani definì l’Italia per quello che era (e ancora è) “Il bel paese ch’Appennin parte e il mar circonda e l’Alpe” — quel “più” è una Sua ennesima invenzione.
Proposizione 7
Il sindaco di Lecco assimila Stoppani ai grandi atleti dell’alpinismo attuale: troppo buono! ma è una ridicola e falsante rappresentazione per Stoppani e per gli atleti …
Dal discorso del Sindaco del 15 agosto 2024:
«Per certi versi, è curioso intravedere nella vita di Stoppani quel filo rosso che lega insieme un certo Dna che unisce i maggiori personaggi lecchesi: l’amore per la montagna che darà vita alle prime esperienze del Club Alpino Italiano a Lecco (di cui quest’anno ricorrono i 150 anni di fondazione) e di cui Stoppani fu presidente della sezione di Milano e Mario Cermenati, suo allievo, presidente del sodalizio lecchese; fino a giungere al gigante dell’alpinismo del Novecento, Riccardo Cassin. E come non vedere, nelle spedizioni esplorative geologico-naturalistiche di Stoppani, lo spirito avventuroso e l’impulso alla narrazione ed alla divulgazione di Walter Bonatti o di Carlo Mauri.»
Troppo buono, Signor Sindaco, ma dobbiamo confermare che anche in questo caso Lei è inesorabilmente fuori strada.
A differenza del terzetto di straordinari atleti da Lei citati come legati dai tre miliardi di coppie di nucleotidi di un comune Dna umano, l’Abate Stoppani era solo un normale camminatore. Certo tenace, certo resistente ma del tutto sprovvisto di quelle caratteristiche psico-fisiche — e soprattutto di quelle motivazioni — che hanno consentito a Cassin, Bonatti e Mauri di conquistarsi un posto di eccellenza nella storia dell’alpinismo.
Anche se il suo mondo di riferimento era collocato su altre vette della conoscenza, di certo Stoppani ammirava i Cassin, i Bonatti, i Mauri del suo tempo (ce ne sono sempre di uomini fuori del comune).
Ma non poteva fare a meno di un poco di ironia, nascosto sotto quei due-tre strati di bonomia che assumeva quando voleva esprimere il proprio pensiero senza creare risentimento nell’interlocutore.
Signor Sindaco, Le suggeriamo di farsi una rilettura de “Il Bel Paese”, Serata II, nella quale l’abate tratta distesamente del Club Alpino Italiano e dell’alpinismo anche da un punto di vista sportivo.
In particolare richiamiamo la Sua attenzione su un brano di quella Serata e sulle relative note a piè di pagina (pp. 21-22 della prima edizione Agnelli del 1876):
«II nome stesso di Club alpino già vi dice che c’entra qualcosa d’inglese. È impossibile che non abbiate letto o sentito parlar quanto basta per sapere che ci sono degli uomini di pasta così ferrigna che mettono ogni lor gusto nell’inerpicarsi su pei dirupi, come gli orsi e i camosci, e credono d’aver raggiunto lo scopo della loro vita quando possano mettersi sotto i piedi una cima, tenuta per inaccessibile prima di loro. Questa fatta di uomini, che ricorda in qualche modo gli antichi Ciclopi (1), s’è tanto moltiplicata in questi ultimi anni, che ormai non v’è forse una cima nelle Alpi che possa dirsi intatta; e se andiamo innanzi di questo passo, l’epiteto d’inaccessibile andrà cancellato, quanto ai monti, dal dizionario.
Se mi domandate a qual nazione appartengano questi Nembrotti (2), vi dirò che non v’ha forse nazione, la quale non ne vanti alcuno; ma credo che vadano distinti sopra tutti, per numero e per valore, gli Svizzeri e gl’Inglesi.»
_______
(1) Giganti smisurati, con un sol occhio circolare in fronte, come indica il loro nome che in greco significa occhio rotondo. Essi abitavano i monti, ne passeggiavan le vette, ne cercavano e ne lavoravano i metalli nascosti. Talora erano rappresentati come pastori selvaggi; tal altra come fabbricatori di edifici, composti di grandi macigni, più o meno grezzi, e chiamati tuttora mura ciclopiche.
(2) Nemrod, discendente di Cham, chiamato dalla Bibbia robusto cacciatore davanti a Dio, passato in proverbio per indicare un uomo robusto, violento, intraprenditore d’audaci imprese.
Ci sembra che fino a ora nessuno abbia rilevato il caustico umorismo di quei riferimenti alla Bibbia e al mito classico che i suoi interlocutori di allora (i vari Sella, Giordano) avranno invece colto immediatamente con un sorriso a mezza bocca.
Nella Bibbia Nemrod, oltre che come “intraprenditore d’audaci imprese”, è ricordato come fondatore e reggitore della città di Babele, famosa per la sua estensione e magnificenza. Gli abitanti, insuperbiti, costruirono la famosa Torre per scalare il cielo e porsi all’altezza della divinità. La quale non gradì e li disperse per il mondo togliendo loro la capacità di intendersi l’un l’altro.
Dal canto loro i Ciclopi sono anch’essi portatori di una doppia faccia: da un lato grandi costruttori di mura e città; dall’altro violenti, violatori dei diritti delle genti e anche antropofagi.
A conoscere un pochino la cronaca nazionale del momento in cui questi brani vennero scritti (l’anteprima è la pubblicazione su “Le Prime Letture” di Sailer, primavera del 1872) e sulle vicende della carta geologica, in quel torno di tempo caratterizzate da uno scontro molto serio tra le diverse sue componenti, il senso di queste anche lepide parabole di Stoppani appaiono abbastanza comprensibili.
Con la presa di Roma (settembre 1870) e il suo divenire capitale del Regno d’Italia, Quintino Sella, grande sostenitore dello spostamento da Firenze, fu attivissimo nel lanciare piani di grandiosa ristrutturazione urbanistica. Piani subito tradotti in pratica e immediatamente suscitatori di grandiose combine affaristiche per la spartizione dei connessi pubblici lavori. Su questi affari Sella, pur non essendovi implicato personalmente, chiuse l’unico occhio da Ciclope, ponendo così le premesse della crisi della Destra storica che portò al ribaltamento parlamentare del 1876, portando la Sinistra al governo del Paese.
In quel torno di tempo, complice anche proprio il trasferimento della capitale a Roma con i connessi squilibri nelle varie attività governative, la questione della Carta Geologica era arrivata a un punto di non ritorno vedendo Stoppani e il suo gruppo di geologi in urto radicale con le componenti governative.
D’altra parte, in quegli stessi mesi del 1872 nei quali scriveva queste pagine (poi tutte confluite senza alcuna variazione ne “Il Bel Paese” del 1876), l’Abate Stoppani firmava, assieme ad altre personalità del mondo culturale e scientifico di Milano, un pubblico manifesto con il quale, senza mezzi termini accusava di furto intellettuale Sommelier, Grandis e Grattoni, i tre ingegneri che avevano realizzato il traforo del Frejus-Moncenisio, espressione di quel gruppo di operatori che erano con Stoppani in lotta aperta sulla questione della Carta Geologica e di cui Sella e Giordano erano i principali rappresentanti.
Quindi insieme costruttori di opere grandiose ma anche incontentabili del successo e insuperbiti. Figure gigantesche, di grande talento ma insieme selvaggi e violatori di ogni regola di normale collaborazione.
Guarda caso Sella e Giordano erano anche tra i principali esponenti del Club Alpino Italiano e non ci vuole molto a comprendere come Stoppani, con quelle battute sopra ricordate, voleva riferirsi proprio a loro, con quella permanente componente di attrazione-distacco che caratterizzò i suoi rapporti con quel gruppo che gli aveva aperto le porte dell’eccellenza scientifica e operativa ma insieme era lontano dal suo modo di vedere sia la scienza sia le sue applicazioni alla vita collettiva.
Ma allora che rapporto aveva Stoppani con il CAI?
È più che noto che Stoppani fu Presidente della Sezione CAI di Milano dalla fine del 1873. Da nessuno viene ricordato invece che Stoppani si iscrisse al CAI nella Sezione di Sondrio, nel momento della sua fondazione, ossia nell’agosto del 1872. La cosa è da considerare.
Il Club Alpino Italiano venne infatti costituito nell’ottobre 1863. L’Abate quindi, benché fosse in contatto strettissimo con alcuni dei suoi fondatori (i già ricordati Sella, Giordano, solo come esempio) per iscriversi al CAI attese nove anni: non si può quindi parlare di amore a prima vista ma di un meditato matrimonio di convenienza (nel senso migliore del termine, si intende). Perché?
Lo abbiamo già anticipato sopra: perché l’andare per montagne per Stoppani significava studiare, raccogliere materiali su cui riflettere per costruire e verificare le proprie ipotesi — scientifiche e morali.
Stoppani cominciò a valutare l’opportunità di iscriversi al Club quando si rese conto che quella associazione, nella prima fase solo elitaria, stava prendendo piede coinvolgendo sempre più anche i gruppi direttivi e intellettuali con i quali egli cercava una intesa per potere svolgere una inedita ricerca collettiva di conoscenza scientifica del territorio nazionale.
Per esempio, per raccogliere la massa di dati di cui aveva bisogno per trarre elementi utili e predittivi dalle osservazioni in campo glaciologico, pensò di coinvolgere i soci del CAI, fornendo loro il 25 giugno 1878 con una apposita circolare evidenziando 12 punti di maggiore interesse. E questa fu una delle tante iniziative che egli prese perché il CAI fosse il braccio operativo (ma consapevole e intelligente) di un progetto di interesse collettivo.
Altri momenti di questo processo di contaminazione scientifica di una associazione con una forte componente anche sportiva e ludica furono le stazioni metereologiche che egli convinse a realizzare per avere dati di prima mano sulle condizioni di umidità, a suo avviso essenziali per potere comprendere il fenomeno della ritirata dei ghiacciai.
E quindi, alla luce di quanto fin qui esposto, che dire del DNA che secondo Lei legherebbe Stoppani alle figure dell’alpinismo dei nostri anni?
Sarebbe necessario un lungo discorso per chiarire questo aspetto ma per il momento ci contentiamo di ricordare che, consapevole dei propri limiti, l’Abate (discreto pianista e dilettante compositore, richiesto per le serate musicali tra amici-preti, anch’essi compagni di escursioni) ci scherzava sopra e, con il solito bonario sarcasmo, diceva (Cornelio, p. 26):
«Ho le mani troppo piccole per essere un vero pianista e le gambe troppo corte per essere un vero alpinista».
Proposizione 8
Il Sindaco di Lecco, dietro una infantile storiella di mongolfiere, nasconde il contrasto all’interno del clero milanese tra l’ala rosminiana, democratica e patriotica, e la gerarchia ecclesiastica, reazionaria e filo austriaca.
Dal discorso del Sindaco del 15 agosto 2024:
«Non posso trascurare, in questo mio breve saluto, il ruolo dello Stoppani-politico: fu animatore delle 5 giornate di Milano, quando, da seminarista, organizzò il famoso sorvolo della città in mongolfiera da cui fece piovere dei manifesti insurrezionali contro l’invasione austriaca, ovviamente venendone punito con il divieto di insegnamento.»
È veramente incredibile come Lei, Sindaco di una città lombarda, per di più della città di Antonio Stoppani, abbia potuto in così poche parole infilare ben tre castronate sulle Cinque Giornate di Milano del marzo 1848 e sulla vicenda di don Antonio negli anni successivi alla rivolta.
Riassumiamo il Suo pensiero:
1/ Stoppani fece piovere manifesti da una mongolfiera sorvolante Milano
2/ i manifesti erano contro la “invasione” austriaca
3/ Stoppani venne escluso dall’insegnamento a seguito di questa azione.
Per quanto riguarda la castronata della invasione, la cosa migliore è che Lei chieda aiuto a un qualsiasi Suo concittadino. Le spiegherà che anche a Lecco gli austriaci nel 1848 avevano fatto la loro “invasione” da oltre un secolo; che appena sentite le notizie di Milano, anche a Lecco i cittadini assalirono la guarnigione austriaca che si arrese subito (sapevano che i lecchesi non scherzavano, stavano lì a rompergli i cosi da un bel pezzo). Disarmata la truppa, i Suoi concittadini avevano formata una colonna armata che si avviò verso Milano per dare una mano ai rivoltosi. Si faccia spiegare la cosa e poi ne parliamo.
Prima di entrare nel merito delle altre due castronate (mongolfiera ed esclusione dall’insegnamento), vorremmo però sia chiaro a Lei e anche a chi ci legge che in questa Sua proposizione, Signor Sindaco, Lei è inciampato in banali errori di fatto ma soprattutto ha espresso un pessimo orientamento che va sempre più diffondendosi: di una vicenda evidenziare aspetti assolutamente marginali (o anche totalmente inventati) per non parlare di quelli realmente significativi.
Stoppani fu allontanato dall’insegnamento non per quella ridicola storiella della mongolfiera ma per tutt’altre ragioni.
Assieme a Stoppani furono infatti esclusi dall’insegnamento altri 19 professori dei Seminari lombardi, con età e ruoli diversi ma legati dalla comune adesione al pensiero dell’Abate Antonio Rosmini, in quel torno di tempo importante sul piano religioso ma soprattutto della politica nel senso più stretto.
Con quell’allontanamento delle teste pensanti dai Seminari lombardi, la gerarchia ecclesiastica milanese, guidata dal Vescovo Romilli, si adattava alla linea reazionaria e brutalmente anti italiana del governo austriaco.
Allontanati i docenti rosminiani, progressisti e patriotici, inseriva come docenti ai Seminari membri dell’ordine degli Oblati, reazionari nelle idee e nei comportamenti, perfettamente sintonici con la politica di chiusura e di oppressione dell’Austria.
Il richiamo che Lei fa, Signor Sindaco, a una dimensione solo individuale della vicenda di Stoppani è un modo (consapevole o meno dovrebbe dircelo Lei) per tenere la figura di Stoppani lontana dalla sua dimensione reale sul piano storico affogandola in ridicole invenzioni aneddotiche.
Qui di seguito, quindi:
— prima di tutto togliamo dal campo le assurdità infantili su mongolfiera e pioggia di manifesti quarantotteschi da Lei presentati come causa dei guai di Stoppani;
— in seconda istanza veniamo alle cose serie, ossia del contesto storico che vide Stoppani escluso nel 1853 dall’insegnamento — ripetiamo: con altri 19 professori dei Seminari.
… organizzò il famoso sorvolo della città in mongolfiera da cui fece piovere dei manifesti insurrezionali ….
Queste Sue parole su sorvolo, mongolfiera e manifesti sono decisamente scombinate. Al lettore però due cose possono risultare abbastanza chiare:
1/ L’espressione “il famoso sorvolo” gli dice che, secondo Lei, Stoppani organizzò questa “pioggia” di manifesti da una mongolfiera una sola volta (se Lei avesse voluto riferirsi a più azioni avrebbe infatti sicuramente scritto “i famosi sorvoli” — Lei è anche pubblicista, figuriamoci!).
E invece Stoppani e compagni fecero alzare in volo quasi trenta palloni aerostatici e altrettanto fecero almeno altri due postazioni insurrezionali, in totale autonomia dal Seminario.
2/ Quel Suo “[fece] piovere” (con l’attenzione sul “piovere”) dice al lettore che, secondo Lei, Stoppani fece calare dall’alto una veramente grande quantità di manifesti.
Se pensiamo infatti che una pioggia di normale intensità, in un minuto, porta su un metro quadrato di terreno più di 600.000 gocce d’acqua (seicentomila), col riferirsi a una “pioggia di manifesti” Lei certo ne aveva in mente 2-3 mila.
E questi manifesti che formato avevano, secondo Lei?
Un “manifesto” standard, oggi come nel 1848, misura più o meno cm 70×100. Anche considerando un formato ridotto, dobbiamo pensare almeno a un 50×70 centimetri. Quindi la sua frase, tradotta in termini più precisi, starebbe a indicare che Stoppani lanciò in quel “famoso sorvolo” 2-3 mila manifesti 50×70, pari, più o meno, a 50-60 chilogrammi.
3/ l’espressione “fece [piovere]” (con l’attenzione sul “fece”) offre invece al lettore due opzioni:
a) prima opzione: Stoppani aveva escogitato un sistema con cui, da lontano, “fare piovere” dalla mongolfiera in sorvolo quei 2-3 mila manifesti: una miccia? uno stillicidio di acqua o sabbia per provocare a un certo punto l’apertura di una botola?;
b) seconda opzione: Stoppani, o un altro seminarista, era sulla mongolfiera e quindi poteva “fare piovere” i manifesti a suo piacimento (poteva cioè prenderli e buttarli nel vuoto senza tante storie).
Non avendone mai neppure accennato nessuno la cosa è interessante e di certo Lei ha fonti inedite che saremo tutti entusiasti di conoscere anche perché la Sua narrazione pone alcuni problemi.
Le mongolfiere non si possono “manovrare”
Sistema a distanza, escogitato da Stoppani, oppure presenza di Stoppani (o altri) sulla mongolfiera, Lei dà per scontato che questa potesse essere pilotata o almeno fosse possibile prevedere con una buona approssimazione dove si sarebbe trovata in un dato momento. Qui proprio non ci siamo, Signor Sindaco.
Una mongolfiera non è infatti in alcun modo manovrabile — punto!
Se è con pilota a bordo, questi, regolando l’immissione dell’aria calda, può controllarne la salita verso l’alto o la discesa verso il basso. Non potrà però in alcun modo deciderne gli spostamenti laterali: questi dipendono esclusivamente dai venti che, alle varie altezze, la mongolfiera può incontrare.
Se è senza pilota, l’unica manovra disponibile è riempirla di aria calda e lanciarla verso l’alto senza avere alcuna possibilità di regolarne sia la discesa sia la direzione.
Quindi la Sua espressione “fece piovere” è proprio una stupidaggine detta tanto per dire. E infatti Lei non dice “dove” Stoppani avrebbe fatto piovere quei 2-3 mila manifesti — è chiaro che Lei non ne ha nessuna idea (e riteniamo che non Le interessi proprio nulla).
Ma c’è un altro aspetto da considerare.
Per costruire una mongolfiera per trasporto uomo ci voleva almeno una settimana.
Volendo supporre che Stoppani (o un altro seminarista) fosse a bordo della mongolfiera, pronto a lanciare nel suo trasvolo quei 2-3 mila manifesti, dobbiamo porci il problema delle sue dimensioni.
Sappiamo che in un pallone aerostatico (tale è una mongolfiera) il rapporto volume/peso-trasportato è di 3 metri cubi d’aria per 1 chilogrammo.
Fatto 30 chili per la cesta porta passeggero; 10 chili di varie tecniche; 60 chili per il passeggero (Stoppani non era un gigante); 50 chili per i manifesti, abbiamo un peso di circa 150 chilogrammi, ossia 450 metri cubi di pallone, pari (semplifichiamo la forma per comodità) a una sfera di 9,5 metri di diametro.
Va da sé che in nessun modo i seminaristi avrebbero potuto costruire in quella situazione e in poche ore un apparato del genere: quando a fine ’700 vennero lanciate le prime mongolfiere con trasporto di un passeggero, per la loro realizzazione era stimata una settimana di lavoro di 3 esperti operatori.
Concludendo, ci sembra di potere affermare che la sua frase sul “famoso sorvolo della città in una mongolfiera” organizzato dallo Stoppani che avrebbe “fatto piovere” “manifesti” non vale un accidente e che Lei si è fatto portatore di ciarle infantili senza nessun rapporto né con Stoppani né con un episodio importante della nostra storia risorgimentale.
Dopo le favole, la storia vera.
Ciò detto, La invitiamo seguirci mentre Le raccontiamo cosa fossero, perché vennero costruiti e con quali obiettivi i probabilmente oltre 100 “palloni” e “palloncini” che si alzarono in Milano al secondo e terzo giorno dei combattimenti con la speranza che il vento li portasse verso Nord, Nord-Ovest.
Anzi, lo facciamo raccontare da Vittore Ottolini, in prima fila nelle Cinque giornate, coetaneo di Stoppani del quale egli cita brani di conversazioni, tenute decenni dopo tra amici e compagni di insurrezione (“La Rivoluzione lombarda del 1848 e 1849”, Milano 1887):
«Lo Stoppani, rammentando con entusiasmo giovanile i preludi di quelle sublimi giornate e tutto quello che ne seguì, narrava agli amici:
«già dalla vigilia [il 17 marzo] in Seminario si aspettavano cose grosse, tanto che il rettore credette di prevenire tutti quei giovani che il momento supremo era giunto […] alla prima scarica scrosciata a S. Babila, si capì che l’affare era cominciato sul serio. Allora […] tutti i nostri compagni furono in piedi, coi bollenti spiriti. […]
Era una smania in tutti, ammirevole, di buttarsi fuori a fare qualche cosa anch’essi, […] un popolano tutto pesto e malconcio, s’era messo a gridare: fuori! fuori ! alla barricata ! alla barricata ! …. Come uno sciame d’api furibonde […] uscirono tutti sul Corso, appena in tempo per buttarsi a terra, avvertiti che si puntavano i cannoni, ad evitare una scarica a mitraglia. […] Da quel momento l’opera dei seminaristi si era centuplicata d’efficacia e la più bella ed imponente barricata di Milano — quella del ponte di Porta Renza veniva eretta in poche ore.»
Ma essi avevano ideato anche di meglio — continua Ottolini.
A chi per primo venuto in mente, lo Stoppani non può ricordare, ma il fatto sta che fin dalla seconda giornata era sorta l’idea di mandare all’aria i palloni coi dispacci del Governo provvisorio.
Lo Stoppani, fra i maggiori di età, e addetto al gabinetto di fisica, prese issofatto la direzione della faccenda. Tolse i cassettoni dai letti, ne fece grandi tavole, diede carta, colla e funicelle ai compagni più giovinetti, li armò di forbici, disegnò e tagliò la carta in grandi spicchi, ed in un momento il primo e gran pallone era fatto.
A quello ne seguirono altri dodici più ampi, senza tener conto dei minori. Ai palloni venivano appesi i rapporti e le istruzioni del Governo, alle quali, per conto loro, i Seminaristi aggiungevano le proprie, incitando abilmente le popolazioni a sollevarsi e venire in aiuto.
Di quei palloni neppur uno mancò allo scopo, chè anzi – in un tempo piovviginoso spirava un venticello che costantemente li spingeva verso la Brianza ed il Comasco, precisamente ciò che occorreva ai nostri.
Il servizio che quei palloni hanno reso alla causa comune fu preziosissimo: tutto il contado, la Brianza e Lecco insorsero, ed il resto ce lo dice la storia.»
Diciamo noi che i “palloni” che i seminaristi di Milano lanciarono in cielo il 21 e il 22 marzo dovevano avere un diametro di 140 centimetri, costruiti solo in carta, con una portata di carico di poco più di un chilogrammo, quindi in grado di trasportare un pacchetto di 150-200 volantini stampati o manoscritti, in un formato simile al nostro A4 (21×29,7) — qui sotto due esemplari di quei volantini.
Sempre lo stesso Ottolini riporta un documento interessante al nostro tema (p. 558):
______
VIII / Documento inedito, comprovante che i palloncini lanciati nell’aria a chieder soccorso durante le 5 Giornate, furono, per la maggior parte opera dei Seminaristi di Milano
«Ricevuto dal signor Vincenzo Guglielmini N. 100 fogli carta per palloni.
Il 21 marzo 1848
Il Seminario Maggiore di Milano
Altra carta 200 il 22»
_______
Questa ricevuta è utile per due ragioni:
— la prima è che Ottolini (uno dei protagonisti delle 5 Giornate, poi apprezzato pubblicista e storico attento di quegli avvenimenti) parla di “palloncini” (difficile che così si potesse riferire alla mongolfiera di 8-9 metri da Lei inventata, Signor Sindaco);
— la seconda perché la ricevuta ci dice che tra lunedì 21 e martedì 22 (terzo e quarto giorno dell’insurrezione, iniziata sabato 18) dal tipografo Guglielmini al Seminario furono forniti 300 fogli di carta destinati alla realizzazione dei palloni.
Il che ci dà una conferma indiretta del formato che dovevano avere i palloni approntati da Stoppani e compagni.
Vediamo come:
1/ Supponendo per comodità di esposizione che i fogli forniti fossero del formato cm 70×100 (in realtà la misura standard era di un paio di centimetri in meno), 300 fogli corrispondevano a 210 metri quadrati di carta; considerando (ma a spanne) un 20% di scarto, abbiamo una superficie utile di 168 metri quadri di carta.
2/ Facendo l’ipotesi che i palloni del Seminario fossero sfere con diametro di 140 centimetri (in realtà, per la forma, dobbiamo pensare a una pera col picciuolo in basso), abbiamo per ogni pallone una superficie di carta pari a mq 7.
3/ Dai 168 metri quadri utili i seminaristi avrebbero quindi potuto ricavare 1 pallone di prova, più 12 palloni di diametro cm 140, più una quindicina di minore ampiezza (diciamo diametro cm 100-120, per una portata di 7-800 grammi), che corrisponde a quanto indicato da Ottolini («in un momento il primo e gran pallone era fatto. A quello ne seguirono altri dodici più ampi, senza tener conto dei minori.»).
Ovvio che agli insorti interessava di potere lanciare il maggior numero possibile di palloni, anche se di minor carico.
Prima di chiudere questa prima parte dedicata alla posta aeronautica, è doveroso ricordare che non fu solo il Seminario a lanciare palloni con volantini e messaggi.
Ce ne parla un altro protagonista delle 5 Giornate, Visconti Venosta, nel suo “I martiri della rivoluzione lombarda” (Milano, 1861), per esempio a p. 164:
«Il bisogno di far conoscere la condizione della nostra città agli abitanti delle terre limitrofe, suggerì a taluni, fra cui non dobbiamo dimenticare Luigi Ronchi, l’uso de’ palloni aerostatici. Dalla casa Besana a San Giorgio in Palazzo ne furono innalzati vari.
E ancora a p. 221:
«Nelle cinque giornate di blocco, lo stesso Dunant dirigeva un’organata corrispondenza aerostatica nella Galleria medesima per mezzo di palloni [la allora esistente Galleria De Cristoforis, dava sull’attuale Corso Vittorio Emanuele].
Fra questi eravene uno di forma colossale adorno di quattro bandiere a tre colori, rinchiudente gli Avvisi che mano mano venivano dal Governo Provvisorio e dal Consiglio di Guerra pubblicati intorno agli avvenimenti della città, ai mezzi più efficaci di difenderla.
Ne fece anche esso [Dunant] stampare degli altri separati in caratteri grandi ed intelligibili ad ogni villico, e tutti convenientemente collocò nei palloni, che poscia spedì attraverso le linee degli assedianti, portatori delle nostre sorti ai campagnuoli, e facenti sventolare nel libero aere l’italiana bandiera.»
Forse il Suo suggeritore, Signor Sindaco, ha fatto il solito purè e ha attribuito a Stoppani questo pallone-immagine, realizzato da Dunant per galvanizzare gli spiriti dei combattenti interni ed esterni alla città.
Possiamo presumere che questo pallone “colossale” di Dunant (comunque senza pilota-passeggero) avesse un diametro di 5-6 metri (quasi l’altezza di due piani di una abitazione), per una portata di 20-25 chilogrammi.
Dove finirono questi palloni?
Abbiamo già chiarito che i palloni aerostatici, con pilota o senza, possono essere manovrati solo verso l’alto o verso il basso, gli spostamenti laterali dipendendo solo ed esclusivamente dal vento.
Anche conoscendo i venti che in marzo sono soliti soffiare su Milano e in quali ore, si poteva solo sperare di potere mandare i palloni più o meno in una certa direzione ma senza averne alcuna certezza.
E infatti (citiamo ancora Venosta, p. 211, nostre le annotazioni sui punti cardinali):
«alcuni palloni atterrarono poco oltre le mura cittadine, a Calvairate [Sud-Est] e Treviglio [Est], altri andarono più lontano, nei pressi di Gorgonzola [Nord-Est], in Brianza [Nord] e nel Comasco [Nord-Ovest], altri ancora atterrano in territorio piacentino [Sud-Est], in Piemonte [Ovest] e nel Canton Ticino [Nord-Ovest]. Rispondendo agli appelli, dalle campagne gruppi di patrioti armati si diressero verso Milano.»
Chiarito quindi che Stoppani mai “sorvolò Milano per fare piovere manifesti incitanti all’insurrezione” come da Lei incautamente detto e scritto, Signor Sindaco, ma furono invece da più postazioni innalzati numerosi palloni con legati pacchetti di volantini o rotoli di manifesti per portare notizia dell’insurrezione il più lontano possibile, possiamo passare alla seconda castronata, ossia alla ragione per cui Stoppani venne escluso dall’insegnamento.
I due Arcivescovi di Milano che si succedettero nel periodo di incubazione del 1848 e negli anni successivi.
Alla sinistra di chi guarda, Karl Kajetan von Gaysruck (a Milano dal 1818 al novembre del 1846), austriaco, ostile ai reazionari e austriacanti Oblati e aperto verso i patrioti e progressisti rosminiani.
A destra, Carlo Bartolomeo Romilli, italiano, di idee esattamente opposte (a Milano dall’aprile 1847 al maggio 1859).
L’espulsione dall’insegnamento.
Riprendiamo il finale della Sua frase che stiamo analizzando (sottolineatura nostra):
«[…] da cui fece piovere dei manifesti insurrezionali contro l’invasione austriaca, ovviamente venendone punito con il divieto di insegnamento.»
Quindi Lei sostiene esplicitamente che Stoppani venne escluso dall’insegnamento per avere fatto piovere manifesti antiaustriaci dalla famosa mongolfiera.
Lei non indica “quando” e con quali modalità Stoppani venne escluso dall’insegnamento ma implicitamente Lei suggerisce al lettore che ciò “ovviamente” avvenne quando gli austriaci, rientrati vittoriosi in Milano il 6 agosto 1848, cominciarono a fare i conti con chi li aveva combattuti durante le 5 Giornate.
È sicuro che le cose siano andate così? I fatti (ben documentati) dicono che le cose sono andate in tutt’altro modo:
— in primo luogo l’esclusione dall’insegnamento colpì Stoppani non con il rientro degli austriaci in Milano nell’estate del 1848 ma ben 5 anni dopo, nell’agosto del 1853 — sorpreso? Cinque anni dopo!
— in secondo luogo nessuno imputò mai a Stoppani alcunché su mongolfiere e annesse piogge di manifesti.
Vediamo di chiarirLe le idee.
1/ Stoppani venne assunto come insegnante di grammatica latina nel Seminario ginnasiale di Seveso poco dopo la sua ordinazione a presbitero (17 giugno 1848) e lì rimase fino all’agosto del 1853, quando, per impulso e decisione delle autorità ecclesiastiche milanesi, venne escluso dall’insegnamento.
Attenzione: per impulso e decisione delle autorità ecclesiastiche! questo è un punto importante su cui torneremo più sotto con gli opportuni dettagli: se non si hanno le idee chiare su questo aspetto della vicenda, non si capisce nulla né su ciò che capitò a Stoppani nel 1853 né ciò che gli capitò nei decenni successivi nei rapporti con quella parte della gerarchia ecclesiastica rimasta sempre reazionaria, nel 1880 come nel 1853.
2/ Stoppani non fu il solo a subire questa misura: egli fu infatti solo uno dei 20 (venti) ecclesiastici, di diversi Seminari lombardi, di diversa età e con diverse funzioni, che vennero esclusi dall’insegnamento col medesimo provvedimento nell’agosto del 1853.
3/ Nelle note della polizia austriaca, redatte su questi ecclesiastici espulsi nell’agosto 1853, per Stoppani nessuno segnalò mai che fosse l’organizzatore nel 1848 del sorvolo in mongolfiera come Lei favoleggia, o di qualsiasi altra azione eventualmente svolta nel corso dell’insurrezione.
Vennero invece evidenziate due sue caratteristiche, gravi per un regime assolutistico: l’essere “di principj liberali” e l’essere “poco cauto nei discorsi”.
Ma vediamo di contestualizzare questi elementi, citando anche gli opportuni documenti.
La conclusione dell’insurrezione del 1848.
Mentre nell’agosto 1848, proveniente da Est, Radetsky si avvicinava a Milano per riprenderne il controllo, dalla parte opposta, verso il Piemonte, usciva una colonna di 60-70 mila milanesi.
Essendo stata la rivolta un fatto collettivo cui avevano partecipato tutti i cittadini, coloro che avevano agito con modalità penalmente perseguibili — cioè praticamente tutta la popolazione — fuggivano dagli austriaci per evitar di finire in galera o peggio.
Radetsky si rese conto che se non avesse preso una decisione di compromesso, avrebbe governato su una città morta. Rientrato a Milano, impose la legge marziale e applicò la legge stataria con alcune fucilazioni per violazione della stessa; impose tasse supplementari a risarcimento dei danni prodotti nei combattimenti — ma non procedette a rappresaglie di carattere penale.
A rinforzare il tentativo di calmare le acque, il 20 settembre 1848, l’imperatore d’Austria, Ferdinando I, da Vienna, annunciava:
«Nella lusinga di vedere in breve ristabilita la pace in tutte le provincie del regno lombardo-veneto, ed animati dal desiderio di fare partecipare le sue popolazioni a tutte le libertà, di cui già godono le altre provincie dell’impero austriaco, proviamo il bisogno di render note fin d’ora le Nostre intenzioni in proposito.
Abbiamo già accordato a tutti gli abitanti del regno lombardo-veneto indistintamente pieno perdono per la parte che potessero avere presa agli avvenimenti politici del corrente anno, ordinando che non possa farsi luogo contro di loro ad alcuna inquisizione o punizione, salvi quei riguardi che si trovasse opportuno di avervi nella conferma di pubblici impieghi.»
Un anno dopo, il Radetsky ribadì la volontà di garantire la più ampia impunità per ogni reato commesso nei giorni dell’insurrezione a tutti — con l’eccezione di 53 personalità di diverse provincie lombarde, a suo giudizio responsabili politici della insurrezione delle Cinque giornate (segnaliamo che di queste 53 personalità, 25 sono indicate nell’elenco di Radetsky come “nobili”, di vario livello).
A lato il Proclama di Radetsky del 12 agosto 1849, di cui citiamo le parti di nostro interesse:
«Molti sudditi Lombardo-Veneti, i quali in causa dei politici sconvolgimenti si erano allontanati dal loro paese, sono già rientrati nel Regno senza soffrire alcuna molestia per la parte presa nei medesimi.
[…] io mi trovo indotto a dichiarare a toglimento di ogni dubbiezza ed a conforto dei trepidanti, che tutti i sudditi Lombardo-Veneti tuttora assenti all’estero per causa degli sconvolgimenti politici, possono liberamente e impunemente ritornare nel Regno […] tanto essi quanto i già rientrati, saranno trattati come tutti gli altri sudditi, eccettuati gli individui nominatamente descritti nell’Elenco sottoposto.»
Gli austriaci avevano cioè deciso di adottare misure politiche e non di carattere giudiziario: nessun accordo con gli elementi ritenuti dirigenti dell’insurrezione; entrambi gli occhi chiusi per tutti gli altri. Ciò indipendentemente dai reati eventualmente commessi nelle cinque giornate.
Nel corso degli scontri gli austriaci uccisero oltre 500 milanesi — combattenti ma anche molti assolutamente inermi: vecchi, donne, bambini e, in numerosi casi, in modo veramente bestiale.
Gli insorti uccisero circa 100 militari austriaci, tutti bene armati e addestrati; assieme ai nostri curarono anche i loro feriti e si astennero da ogni tipo di rappresaglia: sotto questo punto di vista, una rivolta forse unica nella storia.
Salvo alcuni casi isolati, dovuti a iniziative di suoi singoli ufficiali o soldati, Radetsky ritenne più conveniente mantenere le promesse: praticamente nessuno dei milanesi fu perseguitato per quanto avvenuto sulle barricate, nonostante molti dei combattenti insorti (tra questi anche non pochi preti) fossero figure ben note a tutta la cittadinanza.
Le è chiaro, Signor Sindaco? Altro che mongolfiere!
Stoppani (che aveva seguito l’esercito piemontese e partecipato, seppure come infermiere, alla sanguinosissima battaglia di Santa Lucia del 23 maggio), poté seguire senza problemi il proprio percorso: divenne presbitero nel giugno del ’48 e cominciò immediatamente a insegnare in Seminario senza che nessuno mai gli contestasse alcunché circa palloni o mongolfiere o qualsiasi altra cosa relativa alle 5 Giornate.
Va da sé che il controllo austriaco si fece molto più duro: le truppe vennero tenute in permanente assetto di guerra; con l’applicazione della legge stataria chiunque trovato armato o in atteggiamenti sospetti, veniva giudicato all’istante e punito, anche con la fucilazione immediata.
Sul piano dei rapporti politici, verso il gruppo dirigente, escluso dalla amnistia ed emigrato prevalentemente in Piemonte, si mantenne un atteggiamento di totale chiusura e si fece sempre più strada l’idea di un esproprio totale dei loro beni, nonostante la più ampia opposizione su questo aspetto da parte degli Stati europei che vi vedevano una grave violazione del diritto di proprietà.
La rivolta del 6 febbraio 1853.
Dopo il ’49, con la sostanziale messa al silenzio della opposizione patriotica di ispirazione liberale, le istanze indipendentiste vennero sostenute prevalentemente da militanti socialisteggianti di estrazione popolare o simpatizzanti di Mazzini.
Come, per esempio, il ben noto Amatore (Antonio) Sciesa: a Milano, la sera del 30 luglio 1851, in corso di Porta Ticinese, venne trovato in possesso di manifesti indipendentisti. Con processo sommario condannato a morte, venne fucilato il 2 agosto — secondo la tradizione, fatto passare davanti alla casa dove viveva con moglie e figli perché rivelasse i nomi dei compagni in cambio della vita, disse “tiremm innanz” — andiamo avanti!
La repressione più ampia fu attuata nel mantovano.
Il Comitato indipendentista locale, fondato alla fine del 1850, era diretto da don Enrico Tazzoli, prelato di orientamento mazziniano, che fu arrestato il 27 gennaio 1852. A catena vennero arrestati 110 patrioti appartenenti ai comitati delle varie province lombardo-venete (tra cui Tito Speri, protagonista delle Dieci giornate di Brescia).
Il 7 dicembre 1852 vennero impiccati Giovanni Zambelli, Angelo Scarsellini, Bernardo De Canal, Carlo Poma e lo stesso Enrico Tazzoli. Il vescovo di Mantova, monsignor Corti, tentò una mediazione. Ma il Segretario di Stato vaticano si rifiutò di intervenire e gli ordinò di procedere, prima dell’esecuzione, alla riduzione allo stato laicale di don Tazzoli.
È in questo clima che maturò la tentata rivolta del 6 febbraio del 1853 a Milano.
Come noto, il progetto insurrezionale fu concepito da Mazzini per dare una risposta forte allo stillicidio di esecuzioni e incarcerazioni da parte austriaca.
Sostenuto da elementi popolari, in parte di ispirazione socialista, in parte mazziniani, il progetto venne però respinto dalla borghesia milanese perché troppo orientato in senso repubblicano e popolare e perché mancante di una guida riconosciuta e affidabile.
Mazzini (incoscientemente) non ne tenne conto e mantenne fermo il progetto di rivolta i cui esponenti di punta furono principalmente artigiani, piccoli commercianti e operai.
L’azione insurrezionale, condotta con coraggio personale, non ebbe alcuna seria preparazione sul piano militare e venne stroncata immediatamente con l’esecuzione per strada di chiunque fosse colto in atteggiamenti sospetti.
L’azione cominciò domenica 6 febbraio (ultimo giorno di carnevale) alle 16,45 con l’aggressione con armi bianche a singoli ufficiali e soldati austriaci in libera uscita —è in queste prime azioni che si ebbe la maggior parte dei dieci morti e dei 54 feriti per parte austriaca.
Piccoli gruppi di rivoltosi iniziarono ad erigere barricate in alcune zone di Milano (Porta Tosa, Santo Stefano, al Carrobio e al Cordusio) ma senza coordinamento e soprattutto senza ottenere l’appoggio popolare. L’unica azione di un certo rilievo fu l’assalto alla Gran Guardia al Palazzo Reale dove una ventina di rivoltosi (nei piani dovevano essere 200) riuscirono a impossessarsi di alcuni fucili e di due cannoncini, venendo però subito dopo neutralizzati.
Senza l’appoggio della borghesia e della nobiltà (che nel ‘48 avevano capeggiato la rivolta), i circa 400 tra artigiani, operai e popolo minuto che avevano dato corpo alla rivolta vennero in poche ore dispersi.
Nel corso degli scontri i rivoltosi subirono solo tre morti e una cinquantina di feriti ma entro la giornata successiva vennero arrestate più di 800 persone e immediatamente comminate 17 condanne a morte.
La fallita rivolta segnò la fine in Italia delle azioni insurrezionali, sempre vagheggiate da Mazzini.
Ulteriore giro di vite del Feldmaresciallo Radetsky.
Nonostante la evidente non partecipazione della popolazione alla fallita azione insurrezionale, prendendo la palla al balzo, le autorità austriache decisero di dare una ulteriore stretta al controllo politico-militare su Milano e di risolvere una volta per tutte la questione degli emigrati del 1848.
Il 9 febbraio, Radetsky decretò che:
1 — La città di Milano viene posta nel più stretto stato di assedio, il quale, con tutte le sue conseguenze, verrà mantenuto con il massimo rigore.
2 — Verranno allontanati dalla città di Milano tutti i forestieri sospetti.
3 — La città di Milano dovrà provvedere al sostentamento dei feriti per tutta la loro vita, come altresì per quello delle famiglie degli uccisi.
4 — Sino alla consegna e punizione dei promotori ed istigatori dei misfatti commessi, la città di Milano dovrà da pagare all’intiera guarnigione una soprattassa […].
5 — Mi riservo di infliggere alla città di Milano, secondo il risultato delle inquisizioni, la ben meritata ulteriore pena e contribuzione.
––––––––––
La misura di espulsione dei “forestieri sospetti” era presa da Radetsky contro lo svizzero Canton Ticino, come rappresaglia per l’ospitalità data agli esuli italiani.
A seguito dell’editto oltre 6.000 emigrati dal Canton Ticino, lavoranti in Milano come muratori, facchini, piccoli ambulanti, artigiani vennero costretti a lasciare la Lombardia entro le 48 ore.
Ma questo era solo l’inizio.
Il 13 febbraio Radetsky rendeva nota la “Sovrana Risoluzione 13 febbraio 1853” (quindi proveniente direttamente da Vienna) che, con decorrenza immediata, sanciva il sequestro dei beni degli emigrati.
A essere colpiti dal provvedimento furono i profughi politici, anche gli stessi che in precedenza erano stati dichiarati come emigrati regolari e sciolti dalla cittadinanza austriaca.
Furono colpiti anche coloro che avevano ottenuto regolarmente la cittadinanza di altri paesi, e in particolare gli oltre 1.000 esuli lombardo-veneti trasferitisi a Torino e in altri centri del Regno sardo.
Con queste misure veniva portato alle ultime conseguenze lo strangolamento non solo degli oppositori dichiarati ma di tutta la popolazione milanese, indipendentemente da quanto eventualmente fatto contro i dominanti austriaci nel 1848.
Colpire le borse ma soprattutto colpire le menti.
Al Feldmaresciallo Radetsky il fallito tentativo insurrezionale del 6 febbraio offrì quindi l’occasione per chiudere definitivamente i conti con quella parte della nobiltà e dell’alta borghesia milanese refrattaria a ogni accordo con il governo austriaco.
Al Vescovo Romilli diede invece l’opportunità di liberarsi di quella parte del clero milanese, patriotica e democratica (e insieme molto influente) che dal ’49, nel segno della dottrina e dell’esempio dell’Abate Antonio Rosmini, metteva in discussione la sua autorità di Vescovo piegato al governo austriaco e dava un taglio inconfondibile di intelligenza e libertà all’insegnamento degli oltre 500 aspiranti presbiteri che si formavano nei Seminari lombardi.
Già all’indomani del rientro in Milano degli austriaci (agosto ’48) l’Arcivescovo Romilli (durante le 5 Giornate solidale con i rivoltosi ma immediatamente dopo ubbidiente agli austriaci) aveva cominciato a pensare a una progressiva sostituzione dei docenti dei Seminari, in larga parte sodali di Rosmini, con membri dell’ordine degli Oblati.
E chi erano gli Oblati? Ne diciamo solo l’essenziale utile al nostro discorso.
Ordine religioso fondato nell’ultimo quarto del ’500 da Carlo Borromeo per farne un corpo alle dirette dipendenze del Vescovo come amministratori e insegnanti dei Seminari, con l’arrivo in Milano degli austriaci nel 1717, gli Oblati si erano progressivamente allineati alla tendenze più conservatrici del clero lombardo, trovandosi sempre più vicini ai più potenti e noti gesuiti.
Con la soppressione dell’ordine dei gesuiti nel 1773, avevano acquistato peso, schierandosi a fianco di quella parte dell’aristocrazia milanese (quelli del “biscottino”) più impegnata alla conservazione dello status quo sociale e decisamente alleata con i governanti austriaci.
Soppressi nel 1810 da Napoleone I, dopo il 1814 e il ritorno degli Austriaci, la loro restaurazione in Lombardia venne ostacolata con fermezza dall’Arcivescovo Gaysruck che, pur austriaco, mal sopportava i loro orientamenti nettamente reazionari e che diede invece spazio alle tendenze più aperte del clero lombardo — tra queste ai seguaci di Antonio Rosmini cui egli aveva affidato il compito di educare gli aspiranti presbiteri nei Seminari.
Sotto la loro influenza si era formata una generazione di preti che avrebbe avuto un grande peso un paio di decenni dopo quando si formò il Regno d’Italia con Vittorio Emanuele II.
Prendere la palla al balzo — agosto 1853
Citiamo da Castiglioni “Gaysruck e Romilli, Arcivescovi di Milano” (Milano 1938, p. 184):
––––––––––
«Il conte Michele Strassoldo, Consigliere e Luogotenente di Lombardia, denunciava all’arcivescovo Romilli che «alcuni componimenti poetici resi pubblici» erano usciti dal Seminario teologico.
I fulmini scoppiarono su tutti i Seminari milanesi. L’Arcivescovo si portò a Monza, giacché il Feldmaresciallo risiedeva in quella Villa Reale. Gli si dice che S. M. l’Imperatore è già informato di tutto e che bisogna provvedere, se non si vuole che da Vienna vengano inviati professori stranieri sui quali il Governo poteva fare assegnamento.
L’Arcivescovo allora «pensò di offrire come provvedimento disciplinare quanto aveva in animo di realizzare con tutta pace, cioè di riaffidare integralmente la direzione, l’amministrazione e l’istruzione dei Seminari alla Congregazione degli Oblati», come si esprime il prof. don Giovanni Stoppani [uno dei nipoti dell’Abate Stoppani] in un articolo riesumativo di quel doloroso episodio della storia dei Seminari diocesani (cfr. Humilitas, 1938, p. 726).
La Congregazione diocesana degli Oblati che il cardinale Gaysruck non aveva permesso che si ristabilisse in forma ufficiale dopo la soppressione del 1810, andava appunto allora riorganizzandosi sotto il Prevosto Generale don Angelo Molteni. Di essi alcuni erano già entrati nei Seminari specialmente in quello di Monza […]
Mons. Caccia [braccio destro del Vescovo Romilli] il 9 luglio 1853 fece la proposta al conte Strassoldo del reingresso totale degli Oblati in Seminario e del conseguente licenziamento di tutti i professori non appartenenti alla Congregazione.
La proposta venne accettata con entusiasmo e soddisfazione di tutte e due le autorità. Il Luogotenente, accusando ricevuta del piano arcivescovile, approfitta per lodare la saggia decisione «perchè cosi si estirperà nella gioventù avviata al sacerdozio la velleità di abusare della stampa».
Il 23 luglio viene pubblicato il decreto arcivescovile che affida i Seminari alla Congregazione degli Oblati. Il 20 agosto è nominato il nuovo Rettore Generale don Carlo Cassina, al posto di don Giuseppe Del Torchio. Il nuovo Rettore il 28 agosto notifica per iscritto agli interessati le disposizioni dell’Arcivescovo […].
Furono così messi alla porta:
dal Seminario Maggiore di Milano:
Rettore G. Torchio; vicerettori Giovanni Caccia e Giovanni Crivelli; direttore spirituale Pietro Tacconi; professori Gaetano Annoni, Luigi Maestri, Felice ed Alessandro Pestalozza;
dal Seminario ginnasiale di S. Pietro Martire presso Barlassina [Seveso]:
Rettore Abramo Francioli; catechista Federico Salvioni; vicerettore Giuseppe Giacchetti; professori Natale Ceroli, Adalberto Catena, Carlo Testa, Antonio Stoppani, Gaetano Bettega, Giovanni Majoli, Giuseppe Ripamonti, Luigi Todeschini;
dal Seminario ginnasiale di Pollegio [bassa Leventina]:
Rettore Cesare Bertoglio.»
Fin qui la ricostruzione (quella vera, non di fantasia) di come si arrivò alla esclusione dall’insegnamento di Stoppani e degli altri suoi 19 colleghi grazie all’accordo tra la gerarchia della Chiesa di Milano e il Governo austriaco.
Vediamo ora come, per conto proprio, la polizia austriaca seguì la vicenda.
Sbirresca segnalazione particolare per il professor Antonio Stoppani.
L’Arcivescovo Romilli aveva fatto la sua parte mandando a spasso i docenti dei Seminari, patrioti e rosminiani, e mettendo al loro posto gli austriacanti Oblati.
Dal canto suo la polizia austriaca non dormiva e seguiva con attenzione questo gruppo di 20 docenti, notoriamente contrari all’Austria e quindi, potenzialmente, fonte di possibili future grane.
Dall’Archivio di Stato di Milano (Cancellerie austriache / Pezzo 112 / Fascicolo 73) traiamo un documento, redatto da un funzionario di polizia il 22 gennaio 1854, con l’elenco di 15 dei 20 esclusi dall’insegnamento, con relative osservazioni:
• Torchio Giuseppe, favorevoli informazioni • Caccia Giovanni, nulla in contrario • Tacconi Pietro, nulla in contrario • Pestalozza Felice, favorevoli informazioni • Maestri Luigi, nulla in contrario • Annoni Gaetano, nulla in contrario
• Pestalozza Alessandro
figura a pag. 132 del giornale “Il 22 Marzo” fra i firmatari di un annunzio dal titolo: Associazione religiosa. In esso si fa appello a tutti che hanno la carità di religione e di patria. «Poiché la religione ha preso tanto meritevole parte negli ultimi memorandi fatti, poiché il Clero ed ogni buon cittadino libero può innalzare la voce, raccogliamoci, ecc.»
• Giacchetti Giuseppe, nulla in contrario • Todeschini Luciano, buone informazioni • Ceroli Natale, buone informazioni • Catena Adalberto, buone informazioni • Testa Carlo, buone informazioni
• Stoppani Antonio
all’epoca del 1848 trovavasi in qualità di studente presso il Seminario Arcivescovile in Milano, non offrendo motivi a sinistri rimarchi; ma posteriormente si mostrò di principj liberali e poco cauto nei discorsi. L’attuale di lui condotta non offre apparenti motivi a contrarie osservazioni
• Bettega Gaetano, buone informazioni • Majoli Giovanni, buone informazioni • Ripamonti Giuseppe, buone informazioni.
––––––––––
Come si vede, le uniche due segnalazioni attenzionali sono riferite ad Alessandro Pestalozza per avere firmato un appello sul giornale “22 marzo” nel 1848 e ad Antonio Stoppani: non per avere “fatto piovere manifesti da una mongolfiera”, come da Lei sostenuto, Signor Sindaco, ma perché, dopo il ’48, si mostrò “di principj liberali e poco cauto nei discorsi”.
Pestalozza e Stoppani di certo non videro mai questa notazione del 1854 ma non sarebbe loro dispiaciuto di trovarsi insieme evidenziati dalla polizia austriaca: si erano conosciuti vent’anni prima al Seminario di Monza, Pestalozza come professore, Stoppani come allievo.
Alessandro Pestalozza (1807-1871), fu intimo amico e sodale di Rosmini del quale divulgò e commentò il pensiero nel suo “Elementi di Filosofia” del 1845, a tutt’oggi una delle migliori opere sul sistema filosofico del roveretano studiando la quale Stoppani si formò da un punto di vista filosofico.
Pochi anni dopo, quando Stoppani nel 1857 pubblicò il suo “Studi geologici e paleontologici sulla Lombardia”, tra i primi a riceverne copia fu Pestalozza il quale così rispondeva all’autore il 13 marzo 1858 (Cornelio, p. 68):
«Adesso lasciami fare tante congratulazioni per l’opera di geologia che hai pubblicata. Veramente io non posso darne un giudizio, trattandosi di materia che appena ho sfiorata negli anni che fui all’Università di Pavia. […] A ogni modo poi, l’aver tentato d’illustrare la scienza, che, nell’ordine fisico e naturale, tiene, se non il primo, certo il secondo posto, fa onore e al tuo ingegno e al ceto cui appartieni.
Per ultimo non posso tacerti la dolce impressione che l’animo mio ha ricevuto al rivedere i caratteri di uno dei miei più cari scolari, e della cui recente promozione in codesta Biblioteca [l’Ambrosiana di Milano] ho gioito, come di cosa mia propria.»
Per concludere questo capitolo, ricordiamo che a evitare al giovane presbitero, “di principj liberali” e “poco cauto nei discorsi”, possibili guai con la polizia austriaca, intervennero i Porro, lontani parenti della famiglia paterna, che esfiltrarono da Milano lo Stoppani, ospitandolo nel proprio palazzo di Como e facendone l’istitutore dei giovani figli.
L’Abate si salvò così da complicazioni che certo gli sarebbero venute dal suo atteggiamento contestatore troppo scoperto e, insieme, fu costretto ad abbracciare una nuova attività — quella che come geologo gli diede prestigio e un campo d’azione di alto livello.
Signor Sindaco, in tutto il Suo discorso non c’è neppure una parola sull’essere Stoppani un presbitero, ossia neppure una parola sulla più intima natura dell’uomo che Lei ha fatto mostra di volere onorare.
Pensiamo che da parte Sua ciò non sia solo frutto di ignoranza o inconsapevolezza ma una precisa scelta.
Forse per non rimarcare la profonda frattura che si verificò nel nostro Risorgimento tra l’ala reazionaria (e anche sordida) della gerarchia ecclesiastica, indegna di rappresentare i sentimenti religiosi di una notevole parte d’Italia, e l’ala colta, progressista, onesta, veramente degna di essere chiamata cattolico-cristiana — lo diciamo volentieri come pensatori lontani da ogni religione.
Sta di fatto che l’esclusione dei preti rosminiani dai Seminari e la loro sostituzione con gli Oblati fece in un battito di ciglia precipitare la qualità dell’insegnamento e del senso di comunità nei luoghi di formazione dei presbiteri, determinando una generazione di preti milanesi di mediocrissima qualità.
La Sua fantasia a proposito dei manifesti fatti piovere da un mongolfiera nel 1848 come causa della esclusione di Stoppani dall’insegnamento nel 1853 indica solo l’incapacità di avere un’idea seria sulla intera vicenda personale e professionale del Nostro e, annacquando la storia vera con ridicole fantasie adolescenziali, rischia molto concretamente di svilirne la memoria.
S.E. Marco Minghetti / Presidente del Gabinetto e Ministro delle Finanze.
Malgrado gli anni che sul gobbo tiene / Continua a baloccarsi il fanciullone / Persuaso d’esser unico a far bene / Conduce a mal partito la Nazione.
Proposizione 9
Lei, Signor Sindaco, tace sul contesto delle elezioni del 1876 e falsa la posizione della Chiesa sul non-expedit. Nasconde lo schierarsi di Stoppani con la Sinistra e falsa le ragioni del suo ritirarsi dalla competizione elettorale.
Dal discorso del Sindaco del 15 agosto 2024:
« […] Stoppani, da sacerdote, esponente del clero, ma al contempo scienziato, e aperto sostenitore di idee liberali, contestò duramente le posizioni del Vaticano che, in relazione alle elezioni democratiche successive all’unificazione del Regno d’Italia nel 1861, attraverso il “non expedit” di fatto vietava (esplicitamente con Leone XIII nel 1886) ai cattolici di candidarsi alle elezioni e addirittura di partecipare al voto. In quel clima, e in tutta risposta, Antonio Stoppani si candidò alle elezioni politiche dell’autunno 1876 proprio nel collegio di Lecco, provocando così grande dibattito da parte dei cattolici conservatori, attirandosi critiche per le idee così fermamente espresse. Suo scopo non era certo quello di ottenere un seggio in parlamento, ma quello di scuotere gli animi, invitare tutti ad un ragionamento attorno al cristianesimo, alla scienza, al ruolo della chiesa, a prendersi cura degli altri. Per questo ritirò la sua provocatoria candidatura due settimane prima del voto.»
Signor Sindaco, sulla realtà storica delle elezioni del 1876, nonché sulle relative intenzioni e comportamenti di Stoppani, Lei si è fatto portavoce di una vera e propria falsificazione, cui è opportuno dare una precisa risposta sul piano storico-documentale.
Sintetizziamo per punti la narrazione che, con il brano sopra riportato, Lei ha proposto alla città di Stoppani:
1/ Attraverso il non-expedit, il Vaticano vietò di fatto ai cattolici la partecipazione alle elezioni del 1876, così come già nelle precedenti, a partire dal 1861.
2/ Da prete, scienziato e anche liberale, Stoppani contestò duramente questa politica del Vaticano e contro di essa decise di partecipare alle elezioni del 1876.
3/ Con questo gesto voleva “scuotere gli animi”, “attirare su di sé le critiche dei cattolici conservatori”, per potere con essi sviluppare un ragionamento su “cristianesimo”, “scienza”, “ruolo della chiesa”, il “prendersi cura degli altri”.
4/ Egli non voleva ottenere un seggio in Parlamento: è per questa ragione che, a due settimane dalle elezioni, egli ritirò la sua candidatura che aveva proposto solo come “provocatoria”.
Signor Sindaco, questa Sua incredibile storiella è una rielaborazione fantasiosa dell’articolo “Antonio Stoppani” di Wikipedia, già molto grossolano di suo.
Pur stimando lo sforzo dei volontari della enciclopedia on-line, è ovvio che dovendo compilare un testo ufficiale qual è il Suo discorso, tutto ciò che è lì esposto deve essere accuratamente verificato.
Cosa che Lei si è ben guardato di fare, ritenendo anche opportuno fare di molto peggio: tagliando cioè le poche parti più o meno attendibili e aggiungendovi Sue proprie invenzioni, tratte di peso da quel monologo recitato da Carabelli il 12 maggio 2024 al termine del Festival Geologico di Lecco che Lei cita nel Suo discorso come referente.
Con tutta la simpatia per il bravo attore Andrea Carabelli e per Giampiero Pizzol che ha scritto il testo, diciamo chiaro e tondo che il loro elaborato è in gran parte pura fantasia, con un rapporto molto vago con la realtà storica — e Lei ci si è buttato a pesce come un ragazzetto alle prime armi.
Sul contributo di Carabelli e Pizzol non abbiamo problemi a parlare con la necessaria chiarezza: abbiamo già avuto modo di esprimere direttamente a loro (e all’Assessore Cattaneo) le nostre posizioni: sono persone serie e siamo certi che hanno preso le nostre osservazioni nel giusto modo.
Da parte nostra vediamo di fare un po’ di chiarezza in questo pastrocchio che Lei ha spacciato come documento ufficiale del Comune di Lecco su un episodio importante della storia di noi tutti e della vita di Stoppani, da Lei così mal rappresentato nel Suo discorso.
Cosa aveva scritto Stoppani ai suoi potenziali elettori di Lecco?
Il 7 ottobre 1876 Stoppani rese pubblica una propria lettera aperta agli “Amici di Lecco”.
Rimandando qui per il testo completo, ne diamo una breve sintesi, utile al nostro discorso:
1/ Mi chiedete se sono disposto a rappresentare il collegio di Lecco al Parlamento.
2/ Gettarmi nelle lotte politiche è cosa che mi preoccupa ma essere prescelto da voi mi darebbe però la forza per contribuire allo sviluppo della collettività.
3/ Anche nel partito che ha fin qui governato si risvegliano idee più ragionevoli per un regime veramente costituzionale, cioè di tutela dei diritti di tutti — sia contro la vecchia oligarchia che usurpava il nome della Costituzione sia contro l’internazionalismo repubblicano.
4/ So che la mia scelta non sarà apprezzata da tutti; preferisco però ogni critica all’essermi sottratto al dovere di contribuire al bene della patria; accetto quindi la candidatura che mi proponete.
5/ Non occorre vi presenti un programma: mi conoscete tutti dalla nascita; sapete tutti cosa io pensi in materia di religione, di politica, di interessi sociali.
6/ In Parlamento rimarrò fermo sulle mie convinzioni; favorirò gli interessi collettivi e quelli del Collegio di Lecco coerenti con il bene comune; ubbidirò solo alla mia coscienza.
7/ Non dubito che voi vi possiate accontentare di questa mia promessa; attendo dall’urna la risposta degli elettori.
Lecco, 7 ottobre 1876
Questo testo riflette esattamente il pensiero e le parole di Stoppani (qui per il testo integrale).
Abbiamo una domanda per Lei, Signor Sindaco: dove vede nella lettera di Stoppani agli elettori quella “provocazione” di cui Lei parla nel Suo discorso; quella volontà di “scuotere gli animi”, di “attirare su di sé le critiche dei cattolici conservatori”, per potere con essi sviluppare un ragionamento su “cristianesimo”, “scienza”, “ruolo della chiesa”, il “prendersi cura degli altri”?
Dove? Non c’è nulla. Lei ha inventato tutto!
Mettendo in bocca a Stoppani idee che assolutamente non gli appartengono Lei ha commesso una gravissima scorrettezza sia perché, in generale, non bisogna inventare balle, sia perché Lei è il Primo cittadino di una importante città, per di più della città natale di Stoppani e non può permettersi di uscire dal seminato con frasi farlocche.
Ma andiamo avanti.
Cronologia inventata.
Siamo preoccupati per la città anche perché Lei ha evidentemente un calendario tutto suo.
Lei sostiene infatti che Stoppani ritirò la sua candidatura «due settimane prima del voto». Quindi, siccome le elezioni si sarebbero tenute il 5 novembre, secondo la di Lei cronologia, Signor Sindaco, Stoppani ritirò la candidatura sabato 21 ottobre (si faccia i suoi conti).
Bene! Cioè male, malissimo!
Abbiamo infatti (A. M. Cornelio “Lettere di A. Stoppani al Padre Cesare Maggioni” — Milano, 1910) una lettera di Stoppani all’amico e confessore don Cesare Maggioni di mercoledì 25 ottobre, quindi quattro giorni dopo il da Lei affermato suo ritiro della candidatura, che così conclude ( vedi qui ):
«Ormai sono ridotto a questo solo punto che, se la cosa è lecita, la faccio, e cento ragioni mi impongono il dovere di farla. Il fratello D. Pietro e la mamma mi hanno detto che tu hai potuto verificare che nulla osta alla lecitudine. Ho bisogno che tu mi scriva subito per togliermi qualunque dubbio in proposito. […]
L’affare della mia candidatura qui va avanti. Se io volessi ritirarmi ora, perderei l’onore, perderei ogni influenza pel bene della religione, mi ucciderei moralmente, perché tutti avrebbero diritto di trattarmi come leggero, come un uomo senza convinzioni, come un pazzo.»
I casi evidentemente sono due: o Stoppani, dopo avere ritirato la candidatura il sabato 21, quattro giorni dopo, il mercoledì 25, continuava a recitare la parte del candidato ingannando il suo migliore amico e confessore Maggioni, il proprio fratello Pietro (Prevosto della più importante Chiesa di Milano) e la adorata madre Lucia (quella che Lei ha omaggiato con la rosa) oppure Lei non ha proprio nessuna idea di come si svolsero quelle elezioni del 1876, proprio in quella città che Lei amministra.
Appurata la Sua deprecabile ignoranza di documenti già noti a tutti da oltre un secolo, nonché la più elementare conoscenza della personalità di Stoppani, potremmo anche chiudere qui su questo argomento.
Ma per dare subito un taglio al diffondersi di deprimenti revisioni della storia di noi tutti e della vicenda di Stoppani, è opportuno entrare nel merito di quelle elezioni del 1876.
E cominciamo da un Suo incredibile silenzio.
Lei infatti non dice una parola:
— su cosa fosse in gioco in quelle elezioni del 1876;
— con quale schieramento Stoppani decise di presentarsi.
Ma scusi Signor Sindaco: sarebbe come se qualcuno, parlando delle elezioni amministrative di Lecco del 2020, con le quali Lei è diventato il Primo cittadino di Lecco, evitasse accuratamente di dire quali fossero le forze in campo e con chi Lei affrontò e vinse la competizione — cosa penserebbe Lei di questo qualcuno?
Le farebbe piacere essere ricordato come un candidato anonimo? Non Le sembrerebbe il minimo sindacale ricordare almeno che facevano capo a Lei quattro formazioni del centro sinistra?
Cosa c’era in gioco in quelle elezioni del 1876?
Su questi momenti della vita nazionale Lei, Signor Sindaco, non aveva l’obbligo di scrivere un libro di storia ma sicuramente, nel Suo discorso, avrebbe dovuto almeno ricordare che nelle elezioni del novembre 1876, cui lo Stoppani (di anni 52) aveva deciso di concorrere, si doveva decidere di un rinnovamento radicale dell’assetto politico della nuova Italia.
Le segnalo che da tutti i commentatori di allora e di oggi, quelle elezioni vengono presentate come straordinariamente importanti — molti ne scrivono addirittura come di una “rivoluzione parlamentare”!
Il 18 marzo 1876 il Governo di destra di Minghetti venne messo in minoranza: su una banale questione procedurale, una forte frazione della destra (fortemente contraria alla nazionalizzazione delle ferrovie — vero tema in discussione insieme alla tassa sul macinato) votò con la Sinistra.
Senza fare una piega Re Vittorio Emanuele II diede l’incarico per la formazione di un nuovo governo ad Agostino Depretis. Il quale, il 25 marzo, presentò un governo composto solo da elementi della Sinistra; dopo 16 anni la Destra Storica si trovava così esclusa dalla gestione del paese.
In questo inedito governo della Sinistra, a Ministro dei Lavori Pubblici venne nominato Giuseppe Zanardelli. Essendo la Destra clamorosamente crollata sulla questione delle ferrovie, il ruolo e il peso di Zanardelli in quella fase risultavano decisamente rilevanti (tenere a mente queste circostanze).
Per consolidare la nuova situazione, Depretis e i suoi decisero immediatamente per elezioni anticipate da tenersi nel novembre del 1876; le quali si conclusero con un plebiscito a favore della Sinistra: 285 seggi contro i 63 della Destra (+152 vari altri +8 dell’estrema radicale) — un vero capovolgimento dei rapporti di forza parlamentari i cui effetti sarebbero durati molto a lungo.
Così almeno accennato al quadro generale di riferimento, possiamo ora indicare per quale dei due schieramenti aveva deciso di candidarsi l’Abate Antonio Stoppani.
Per la Destra, per la Sinistra o per qualche altra misteriosa entità?
Alle elezioni del 1876 Stoppani si presentò con la Sinistra — era questa la sua “provocazione”!
Lei ha detto che il sacerdote Stoppani decise di presentarsi alle elezioni del ’76 per mettere in discussione, da liberale, il non-expedit del Vaticano che egli avrebbe già da tempo “contestato duramente”. Pura fantasia!
Lo abbiamo già detto poco sopra: Stoppani si presentò alle elezioni dichiarando molto esplicitamente che, se eletto, avendo certo un occhio di riguardo per quelli del territorio lariano, avrebbe fatto gli interessi di tutti i cittadini italiani, in continuità con quanto egli aveva sempre fatto e scritto in materia politica, sociale e religiosa; nella prospettiva di una società più democratica, in rottura con la gestione oligarchica fino ad allora dominante e facendo argine all’internazionalismo repubblicano (dalla Prima Internazionale era già uscito Mazzini in dissenso, soprattutto con i marxisti, sulla questione della “lotta di classe” come discrimine).
Nelle motivazioni date al pubblico per illustrare la sua scelta (vedi ancora qui la lettera agli elettori di Lecco già illustrata sopra), Stoppani non toccò neppure alla lontana il tema del non-expedit.
In privato, nella sua già citata lettera del 27 ottobre 1876 all’amico, sodale e confessore sacerdote Cesare Maggioni (rivedila qui), si riferisce al non-expedit ma per esprimere esattamente il contrario di quello che Lei gli ha messo in bocca e nella testa.
Stoppani sollecita infatti all’amico di ragguagliarlo al più presto sulla discreta inchiesta che Maggioni aveva svolto circa il valore vincolante o meno del non-expedit: su questa questione egli non voleva infatti trasgredire alle indicazioni della Chiesa.
All’amico Maggioni (lo abbiamo già visto) Stoppani conferma: se è lecito, continuo (sottinteso, se non è lecito, mi fermo).
Stoppani informa l’amico che gli stessi ultra-conservatori del Vaticano (l’Osservatore Cattolico di Don Albertario) in proposito hanno chiaramente affermato che il non-expedit era solo un problema di opportunità, non di principio. Sono proprio loro a scriverlo: al campo cattolico mancano gli uomini e la struttura per affrontare una sfida elettorale — e quindi è meglio astenersi. Ma se si fosse ritenuto conveniente, l’indicazione sarebbe stata di partecipare, eccome!
E infatti…
Già dall’aprile del 1876 il vaticano si era attivato per togliere di mezzo il non-expedit: viva le elezioni politiche!
Sulla base di documenti della “Penitenzieria apostolica” (il Tribunale ecclesiastico competente per grazie, assoluzioni, commutazioni di pena, sanzioni, questioni di coscienza) è perfettamente noto che immediatamente dopo la formazione del primo governo della Sinistra (marzo 1876), lo stesso Papa Pio IX si era messo in movimento per affrontare la nuova situazione.
Prendiamo dal saggio di Saretta Marotta “Il non-expedit”:
«Il 5 aprile Pio IX incaricò monsignor Lorenzo Nina, assessore del Sant’Uffizio, di convocare “una congregazione speciale da prendersi dal seno della Suprema” per discutere quale dovesse essere la posizione della Santa Sede nel nuovo contesto politico, convinto a ciò “dalle molteplici e reiterate dimande e inquisitorie” che gli erano nel frattempo giunte da molti cattolici.»
Perché questa decisione di Pio IX? Marotta risponde con chiarezza e quindi la citiamo ancora:
«Nel marzo 1876 cadeva la Destra Storica: per la Santa Sede era l’allarmante segnale […] della irreversibilità del processo unitario e della perdita del potere temporale […]: l’ascesa delle sinistre era avvenuta […] senza distruggere il regno unitario. Se i cattolici si erano astenuti dalle urne principalmente per non rallentare questo presunto processo disgregativo della creatura italiana, sei anni dopo Porta Pia, insediato il primo governo Depretis, era chiara la necessità di una diversa strategia.»
Nella documentazione per la convocazione della “congregazione speciale” era incluso un documento elaborato qualche anno prima da Giuseppe Cardoni (Vescovo di Loreto nonché presidente dell’Accademia ecclesiastica) e da Camillo Tarquini (che nel 1873 sarebbe stato creato Cardinale).
Entrambi, nel 1865, avevano espresso idee (allora rimaste inascoltate) che nel 1876 si mostravano però estremamente attuali. Seguiamo ancora Marotta che cita il documento di Cardoni – Tarquini (sottolineature nostre):
«Essi riferivano di come i favorevoli alla partecipazione, chiamati “i benpensanti italiani”, si fossero persuasi dei vantaggi che potevano provenire dall’elezione di deputati cattolici proprio grazie all’esperienza maturata in campo amministrativo, ove «gli interessi […] nell’ordine religioso politico e sociale hanno trovato un sensibile miglioramento».
Per questo, assieme alla ponenza* preparatoria alla seduta, veniva allegata una bozza di possibile “proclama dei Cattolici per le elezioni politiche”, attraverso cui spiegare all’elettorato le ragioni dell’intervento e il programma elettorale, in cui figurava la difesa dei beni ecclesiastici, del matrimonio, della moralità, della libertà di insegnamento, dell’indipendenza del pontefice:
“mutate sostanzialmente le circostanze, è necessario mutare il modo di operare. Se fin qui era spediente tenersi passivi in faccia ad invasioni politiche, non pigliando parte alla nuova forma di vita pubblica da esse introdotta, ora non è più così. Il contraddire colla voce, cogli scritti e col fatto di una nobile e coscienziosa astensione non è più bastante[…]. Dalle urne politiche escono i legislatori; accorriamovi”».
––––
* [Nostra nota] La “ponenza” è la raccolta di tutte le carte prodotte e ritenute importanti che viene presentata in forma stampata ai cardinali coinvolti in una specifica riunione della Congregazione. I cardinali trovano in quella ponenza la descrizione storica della questione a loro proposta e il dubbio a cui devono rispondere, con in allegato le carte più significative prodotte dalle istituzioni o persone coinvolte e gli eventuali voti dei consultori.
La “congregazione speciale” indetta da Pio IX aprì i lavori il 30 novembre di quell’anno (a elezioni terminate) e si concluse con una risoluzione di cui, seguendo ancora Marotta, riportiamo la parte di maggiore interesse per il nostro discorso (evidenziazione nostra):
«Tutti gli Eminentissimi sono convenuti in massima del licere; e che alla condizione a cui è ridotta la cosa pubblica segnatamente per tutto quello che si riferisca alla religione ed ai diritti della chiesa, non solo è un diritto ma è un dovere rigoroso dei cattolici di prender parte alle elezioni politiche. […] Però tutti egualmente gli Em.mi sono stati concordi non esser necessario che si risponda ora al quesito di massima anche sul riflesso che essendo imminente la pubblicazione della nuova legge elettorale è bene che prima si conosca il tenore della medesima. In quella vece hanno ravvisato opportuno che fin da ora si dia corpo ad alcune prattiche tendenti a predisporre il terreno».
Tali «prattiche» prevedevano il «preparare la opinione pubblica e istruire le masse» onde «raddrizzare alcune idee false» e potevano attuarsi soprattutto con l’«avvertire alcuni giornalisti a non occuparsi con calore ulteriormente del principio fin qui sostenuto né eletti né elettori e lasciarlo cadere appoco appoco» e con lo scrivere ad alcuni vescovi «per esplorare e conoscere la opinione dei cattolici sull’argomento».
Riprendendo noi il discorso, ci sembra inutile in questa sede insistere oltre: è incontrovertibile che nella primavera-estate del 1876 i vertici della Chiesa (quella temporalista, con cui era da tempo in conflitto Stoppani) erano al lavoro per vedere come potere sfruttare le elezioni a proprio favore: basta con il non-expedit, prendiamo atto della realtà e cerchiamo di utilizzare le istituzioni dello Stato laico per ridurre al minimo il danno.
Abbiamo già detto che la “Congregazione” iniziò i lavori a elezioni concluse. È però ovvio, proprio per la qualità dei materiali preparatori, che gli orientamenti che ne emersero fossero già ampiamente previsti — e infatti vennero anche anticipati.
Prendiamo dalla Gazzetta di Bergamo del 26 maggio 1876, p. 2 / p. 490 una fin bizzarra accentuazione della posizione del Vaticano sulle elezioni amministrative (per le quali non vigeva il non-expedit, cosa sempre da ricordare):
«I clericali e le elezioni
Al Vaticano si è ordinato a tutti gli ex-impiegati pontifici di accorrere compatti alle urne nelle prossime elezioni amministrative. A coloro che mancassero di ottemperare al suddetto ordine si è fatto sapere non potranno più contare sulla percezione dei loro stipendi.»
Non male!
Ma le anticipazioni di un cambio radicale di atteggiamento della Chiesa si allargavano anche alle elezioni politiche.
Infatti, perché le cose fossero ben chiare ai fedeli già per le elezioni di novembre, la Sacra Penitenzieria, il 26 settembre aveva prodotto un “manifesto elettorale” (a circolazione interna riservata), in cui si davano alcune anticipazioni (prendiamo la notizia dal Corriere della Sera del 30 ottobre 1876 ma il testo fu riportato da tutti i giornali, nostre le evidenziazioni).
«I CLERICALI ALLE URNE
Chiamiamo l’attenzione de’ nostri lettori sul grave documento che ci è inviato dal nostro corrispondente romano.
Esso segna il principio d’una rivoluzione nel partito clericale. La vecchia massima “Nè eletti nè elettori” è abbandonata, almeno per una parte d’Italia, ed i clericali si apprestano a spiegare la loro influenza in Parlamento. È questo un pericolo pel partito liberale, ma in questo pericolo sta forse la sua salute.
Roma, 29 ottobre.
Il documento elettorale, emanato circa un mese fa, e propriamente ai 26 dello scorso settembre, da questa Sacra Penitenzieria, è qui sul mio tavolo […]:
––––––––
L’Ufficio della Sacra Penitenzieria, sentiti i dubbii rivolti alla Santa Sede nelle petizioni di alcuni vescovi, dichiara, in ubbidienza agli ordini di Sua Santità papa Pio IX, quanto segue:
«Essendo che alcuni vescovi delle province di Venezia, Milano, Genova e Cagliari inviarono alla Santa Sede delle petizioni, nelle quali caldamente si pregò di chiarire il dubbio: se, in vista delle imminenti elezioni per la Camera dei deputati, si possa con tranquilla coscienza prendere parte alle elezioni suddette, abbenchè la sede di essa Camera sia stata trasferita a Roma con criminosa violenza, il Sacro Ufficio di Penitenzieria, dopo aver maturamente ponderato questo quesito per parte d’ognuno dei suoi membri, decise doversi rispondere:
«Che nulla vi sia da innovare nelle istruzioni più volte impartite, o particolarmente in quella emessa in data del 1 dicembre 1866, nei paragrafi Primo e Secondo, i quali a questo scopo sono qui appresso ripetuti:
«Prima Domanda: In qual modo si deve rispondere a coloro i quali chiedono se possano accettare il mandato di deputati al Parlamento?
Risposta : Affermativamente, sotto le tre seguenti condizioni:
— 1. i deputati eletti debbono aggiungere alla formula del giuramento di fedeltà e d’obbedienza al Re ed alle leggi le seguenti parole: Salvo le leggi divine ed ecclesiastiche;
— 2. questa clausola dev’essere pronunziata, nell’atto di giurare, in modo tale che almeno due testimoni la possano sentire;
— 3. i deputati suaccennati debbono essere convinti e debbono dichiarare non solo di non appoggiare nè votare leggi ingiuste ed immorali, ma bensì di combatterle qualora venissero proposte.
«Seconda Domanda: Quale dev’essere il contegno dei vescovi nel caso che venissero richiesti di promuovere l’elezione di buoni deputati ?
Risposta: Sono autorizzati a farlo, sotto la condizione che gli stessi vescovi, in occasione delle elezioni, qualora venissero richiesti del loro appoggio, rammentino al popolo il dovere d’ogni fedele d’impedire, per quanto ciò sia in suo potere, il male e di promuovere il bene.
Dato a Roma, nel Sacro Ufficio della Penitenzieria, a di 26 settembre 1876. Firmati: Cardinale Anton Maria Panebianco penitenziere in capo; Antonio Rubini, segretario.»
––––––––
I prelati, cui fu diretto questo documento e i cui nomi si leggono in fondo ad esso, sono: l’arcivescovo di Milano, il patriarca di Venezia, i vescovi di Belluno, Feltre, Vicenza, Chioggia, Verona, Padova, Brescia, Crema, Lodi, Albenga, Pavia, Genova, Tortona, Ventimiglia, Ogliastra.
Leggendo questi nomi di città, viene spontanea la riflessione che tutti i prelati appartengono a diocesi o del Lombardo-Veneto ceduto per trattato, o delle antiche provincie piemontesi e sarde, ereditate legittimamente dal re Vittorio Emanuele. Pare quindi che anche in ciò si prosegua dalla Curia romana nella distinzione di queste parti l’Italia dalle altre che furono usurpate ai loro legittimi principi ed al Pontefice. È poi curioso che la clausola restrittiva debba essere sentita almeno da due testimoni. Ammesso che siano tre i clericali, collocandosi essi l’uno a fianco dell’altro, sarà molto facile prestarsi il reciproco servigio di testimoni auricolari, senza che gli altri colleghi s’accorgano di nulla. Mezzucci gesuitici…».
Fin qui il CorSera del 30 ottobre 1876.
Proseguiamo noi.
Il giornalista, malizioso conoscitore del mondo, sottolineava quindi in quale modo si poteva facilmente superare l’unico ostacolo che, sul piano normativo, ancora si frapponeva alla partecipazione dei cattolici al Parlamento: il giuramento dei Deputati al momento dell’insediamento.
Secondo quanto espressamente scritto dalla Sacra Penitenzieria, alla formula del giuramento di fedeltà e di obbedienza al Re ed alle leggi, il Deputato doveva aggiungere la parole: “Salvo le leggi divine ed ecclesiastiche”, in modo che almeno due testimoni la potessero sentire.
Dopo avere evidenziato l’ipocrisia di tale accorgimento che offriva una facilissima via per eludere la norma, il giornalista del CorSera concludeva: i clericali si apprestano a usare la loro grande influenza in Parlamento; per il partito liberale (con questo termine il Corriere si riferiva alla Destra, cui il quotidiano milanese era legato) questo è insieme un pericolo ma forse anche una opportunità.
È infatti ben noto che, soprattutto nel Nord del paese, si erano in quei mesi avviati rapporti tra la Destra e il Vaticano per unire le forze in un quarantina di collegi per ostacolare l’avanzata della Sinistra. Vedremo più sotto come questa sotterranea intesa Destra liberale-Vaticano determinasse indirettamente anche la rinuncia di Stoppani al torneo elettorale (le tendenze più moderate della Sinistra al governo preferirono appoggiare candidati transfughi dalla Destra — ma moderati — piuttosto che elementi della Sinistra stessa — ma “di sinistra”).
Tornando a noi, è quindi ovvio che, nelle grandi linee, questo nuovo orientamento della Chiesa dovevano essere trapelate fin da subito e già note anche al di fuori della ristretta cerchia della gerarchia.
Ricordando che il “programma elettorale” della Penitenzieria vaticana sopra citato era trapelato al pubblico solo il 30 ottobre e che Stoppani ne aveva avuto certo sentore ma non certezze, il 25 ottobre egli chiedeva a Maggioni (evidentemente in grado più di lui di avere qualche anteprima) conferma di come il non-expedit non avesse sostanzialmente più alcun valore.
E quindi, Signor Sindaco, in cosa sarebbe consistita la “provocazione” di Stoppani?
Erano gli stessi vertici della Chiesa reazionaria a spingere i cattolici alle urne!
È chiaro, o dobbiamo fare disegnini?
Ciò detto per quanto riguarda la favola di Stoppani che si presenta come testimonianza / provocazione contro il non-expedit, torniamo all’argomento delle reazioni che la sua candidatura suscitò.
I commenti che Stoppani suscitò col suo presentarsi alle elezioni erano legati solo ed esclusivamente al fatto che egli si fosse schierato con la Sinistra!
Se Stoppani fosse sceso in campo con la Destra, forse qualcuno dell’ala più oltranzista della gerarchia ecclesiastica avrebbe storto un pochino la boccuccia ma niente più (sono ben documentati i casi di deputati cattolici moderati — per esempio Cesare Cantù — la cui partecipazione alla vita del Parlamento era stata sempre non solo tollerata ma anche eterodiretta dal Vaticano).
Ma un prete con la Sinistra! No! questo i conservatori del Vaticano proprio non la potevano mandare giù.
Perchè Stoppani ruppe con la Destra e scelse la Sinistra?
L’Abate Stoppani decise nella metà del 1876 di rompere con l’ambiente che nei quindici anni passati lo aveva collocato in posizioni apicali sul piano scientifico e della attività organizzativa del paese, perché la gestione della destra si era mostrata fallimentare e confliggeva sempre più con gli orientamenti scientifico-organizzativi che Stoppani considerava utili al vantaggio della ancor giovane Italia.
È chiaro che il lungo sodalizio tra il presbitero-geologo e la Destra storica, durato 15 anni, si era fin dal principio caratterizzato come complesso e anche spesso difficile.
Quel gruppo di potere, anticlericale di formazione e come obiettivi, aveva di buon grado caricato a bordo quel prete così brillante, anche per mostrare con la forza dell’esempio che poteva esserci una collaborazione tra lo Stato unitario e il clero appena appena decente, libero dalle pecche reazionarie che caratterizzava tanti presbisteri e Cardinali.
Naturalmente non erano mancati i momenti di conflitto che il temperamento non certo remissivo del Nostro aveva a volte esacerbato. In suoi scritti l’Abate sottolineò quanto a volte lo aveva ostacolato sotto tutti i profili la sua condizione di sacerdote, mal vista da una larga parte dei risorgimentali — non dimentichiamo che Garibaldi (per altro stimatissimo da Stoppani che lo considerava un vero eroe) non mancava di definire i preti come “un mezzo metro cubo di letame”.
D’altra parte Stoppani nel corso degli anni, pur mantenendo la propria autonomia, a volte in modo rude, si era sempre dimostrato nei fatti più che affidabile proprio sul piano politico.
Nel 1860, quando a Milano si era trattato di appoggiare Vittorio Emanuele perché diventasse re di una nuova Italia quasi tutta riunita, i due preti e fratelli Pietro e Antonio Stoppani erano stati efficacissimi (con la Società Ecclesiastica di cui Pietro era vice Presidente) nel pilotare il clero della città ad appoggiare i Savoia.
E poi, nel 1861-62, in occasione dell’Indirizzo al papa di Passaglia, i tre preti Stoppani (Pietro, Antonio e Carlo) erano stati in prima fila nell’appoggiare la linea anti temporalista contro gli intransigenti del Vaticano.
Su quella vicenda, anni dopo, nel 1886, l’Abate pubblicò un molto ben fatto testo di politica-politica a favore dello stabilire rapporti di piena collaborazione tra lo Stato unitario e una Chiesa finalmente libera della zavorra del potere temporale — lo legga, Signor Sindaco, «Gl’Intransigenti alla stregua dei fatti vecchi e nuovi e nuovissimi / Note postume ad un’Appendice sull’Indirizzo del Clero Italiano al Papa», è veramente un testo che chi fa politica non può ignorare, qualunque sia il suo orientamento).
I contrasti sulla Carta Geologica — una questione mai risolta.
I problemi tra Stoppani e la Destra, comunque, non si erano manifestati per ragioni etiche o per l’appartenenza dell’Abate a una struttura vissuta dai risorgimentali come ostile (ciò che in effetti era allora la Chiesa di Roma) quanto il modo radicalmente diverso di vedere le questioni scientifico-organizzative di interesse nazionale — centralizzatrice e funzionale solo all’esecutivo la compagine ingegneristica, espressione del governo; policentrica e attenta alle indicazioni della scienza nonché dei bisogni delle parti più deboli della popolazione il gruppo dei geologi come Stoppani.
Qui sotto, riunione della Società Italiana di Scienze Naturali, Biella 3-6 Settembre 1864.
Nel corso dell’incontro Quintino Sella presentò la bozza della “Carta geologica in grande scala del Biellese”, realizzata in collaborazione con Bartolomeo Gastaldi e Giacinto Berruti.
Nel corso dei lavori, sulla questione dei ghiacciai, Stoppani svolse un intervento che suscitò un vivace dibattito.
Nel 1861, appena formato il nuovo regno d’Italia, era stata istituita la Commissione per la stesura della Carta Geologica, premessa per ogni sensata decisione strutturale — dove facciamo passare le ferrovie? quali ponti dobbiamo costruire? quali porti potenziamo? quali le direttive più funzionali per i trasporti e la difesa? come affrontiamo il problema delle materie prime e dell’energia? come organizziamo cave, miniere, pozzi?
Dirigente di fatto della Commissione era Quintino Sella, giovane e brillante funzionario statale. L’Abate venne chiamato a parteciparvi assieme ad un’altra ventina di geologi e ne fu nominato Segretario assieme al siciliano Gaetano Gemellaro.
La prima questione che si pose — e che rimase sempre l’elemento centrale del dibattito interno alla Commissione — fu: a chi deve essere affidata la stesura della Carta?
Sella e il suo gruppo non avevano esitazioni: devono essere gli ingegneri del Corpo delle Miniere, struttura già consolidata, esperta di cartografia e quant’altro, più che preparata sul piano tecnico, benissimo strutturata e compatta.
Stoppani e quelli che la pensavano come lui (le due parti più o meno si equivalevano come numero) a loro volta avevano le idee chiare: gli ingegneri sanno il fatto loro ma mancano di preparazione geologica e culturale, sono sradicati dai territori; sono militarizzati, alle dipendenze del Re, cioè dell’esecutivo.
A descrivere la Carta devono essere i geologi locali, dotati degli strumenti scientifici e della mentalità più adeguati; più liberi nel fare prevalere le ragioni di lunga portata della scienza, anche in opposizione alle ragioni di breve periodo dei Governi.
Chiunque comprende che dietro questa questione di attribuzioni vi era la questione vera: a quali interessi deve rispondere la stesura della Carta?
Agli esclusivi interessi dell’esecutivo centrale oppure anche a quelli locali?
In termini politici: centralizzazione assoluta o democrazia?
In prima battuta, per ovvie ragioni, prevalse la linea di Sella che poteva contare sulla compattezza ideologica e organizzativa del suo gruppo. Gli scienziati, espressione di tendenze eterogenee, benché generalmente più quotati sul piano scientifico degli ingegneri, dovettero abbozzare.
Le decisioni furono quindi frutto di compromessi e scontentarono tutti, in particolare gli scienziati che si videro negata la possibilità di dare un vero contributo allo sviluppo nazionale.
La questione rimase aperta e si trascinò negli anni, portando a un distacco di fatto di Stoppani dall’attività della Carta, nonostante tutti facessero di tutto per non arrivare a una rottura definitiva sul piano formale con una figura del suo prestigio e capacità.
Finchè, e torniamo a noi, non si arrivò a quel 1876.
Che si proponeva Stoppani col concorrere alle elezioni del 1876?
Abbiamo fin qui chiarito il quadro di fondo del perché delle elezioni anticipate del 1876; abbiamo poi descritto in quale schieramento Stoppani si schierò (la Sinistra, dal marzo solidamente al governo).
Resta ora da chiarire il perché della scelta di Stoppani, anche se il lettore lo avrà già intuito da quanto fin qui espresso.
Lei ha scritto e detto, Signor Sindaco, che
«Suo scopo [di Stoppani] non era certo quello di ottenere un seggio in parlamento, ma quello di scuotere gli animi, invitare tutti ad un ragionamento attorno al cristianesimo, alla scienza, al ruolo della chiesa, a prendersi cura degli altri.»
Beh! Qui siamo proprio di fronte a un raro esempio di fanta-storia integrale, in cui cioè non c’è neppure un briciolo di realtà e anche un bel po’ di non verbalizzati insulti all’intelligenza di Stoppani, presentato come un povero girella che si diverte a fare “provocazioni”, nel bel mezzo di una crisi sistemica della nazione.
Vediamo come invece stessero le cose.
È chiaro che nel marzo 1876, con la Destra finita in minoranza per la sua palese incapacità di rispondere ai problemi nuovi che si ponevano all’Italia, si potevano aprire inedite prospettive a chi — come Stoppani — aveva marciato nei ranghi della Destra ma sempre con elementi di dissenso strutturale.
L’Abate, attraverso don Antonio Buccellati (suo amico da sempre, rosminiano anch’esso, suo collega all’Università di Pavia come docente di diritto), poteva pensare di potersi infilare nel quadro governativo e di collaborare con Giuseppe Zanardelli (di cui Buccellati era consulente sulle questioni giuridiche) che nel governo formato nel marzo da Depretis, era Ministro dei Lavori Pubblici (lo abbiamo già ricordato), quindi proprio al posto giusto per le aspettative di Stoppani.
Ma l’ipotesi Zanardelli per un futuro parlamentare di Stoppani riteniamo sia arrivata in prima battuta dal deputato Giuseppe Merzario.
Di Stoppani questi era stato compagno in Seminario; nel 1861 in squadra con lui nella redazione del Conciliatore per il quale curava la “Rubrica politica” con note decisamente evolute (era il giornale dei preti conciliatoristi milanesi sul quale Stoppani pubblicò i suoi primi interventi). Dopo non molto Merzario si spretò ma con Stoppani mantenne sempre un ottimo rapporto di stima e di amicizia — ricordiamo che l’11 ottobre 1891 (quindici anni dopo questo 1876 di cui ci occupiamo), in mancanza di Stoppani, morto dieci mesi prima, fu Merzario a impedire, con la sua autorità di decano del Parlamento, che Carducci facesse la prima donna alla inaugurazione del Monumento a Manzoni in Lecco — su questo e sulla truffa poi messa in piedi dallo scornato e, in quella occasione, intellettualmente disonesto Carducci a proposito del “Discorso di Lecco”, vedi qui il nostro studio).
Di Zanardelli invece, Merzario nel 1848 era stato compagno d’armi nel Battaglione degli Studenti Lombardi e con lui aveva poi sempre mantenuto ottimi rapporti, facendo anche parte del gruppo parlamentare vicino al Ministro.
Riteniamo (ma è una nostra ipotesi su cui bisognerà lavorare) che l’idea di un ingresso in politica di Stoppani sia venuta proprio a Merzario per rafforzare Zanardelli, non in buoni rapporti con Nicotera, già garibaldino e Ministro degli Interni, con forti legami con il meridione. Il quale Nicotera, benché nello stesso schieramento di sinistra cui apparteneva il Ministro dei Lavori Pubblici, aveva con lui forti frizioni, proprio sulla questione delle ferrovie, uno dei veri problemi per Zanardelli.
Stoppani, con la sua lunga esperienza specifica (le ferrovie erano un capitolo importante nella stesura della Carta Geologica; egli stesso si era impegnato in importanti lavori sul campo) poteva realisticamente pensare di potere finalmente muoversi a dovere per lo svolgimento del suo ruolo di geologo al servizio della società; collaborare inoltre per un allargamento dei diritti civili a tutti i cittadini.
E quindi, appena si verificò il cambio di gestione nel marzo del 1876, decise di tentare una nuova avventura, schierandosi con la Sinistra di Depretis.
Con quale programma? Quello che aveva già molte volte esposto nei suoi scritti, soprattutto ne “Il Bel Paese”.
Lo abbiamo già anticipato in sintesi più sopra: Stoppani (vedi ancora la lettera agli elettori di Lecco), non presentò alcun “programma elettorale” limitandosi a ricordare che quanto aveva in mente di fare lo aveva già reso noto nei suoi scritti — e in effetti già moltissimi conoscevano e apprezzavano quel formidabile “santino elettorale” che era “Il Bel Paese”, messo da Stoppani nelle librerie il 25 luglio di quell’anno.
In quel volume, apprezzato unanimemente dalla destra e dalla sinistra, Stoppani aveva illustrato in lungo e in largo ciò che egli intendeva per “Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d’Italia”: la conoscenza approfondita (non solo estetica o di benessere psico-fisico) delle realtà naturalistiche del paese; la ricerca come prodotto della attività di scienziati legati al territorio; la necessità (e la possibilità concreta) di trovare nuove fonti energetiche; la conoscenza della struttura intima della natura da parte di tutti gli abitanti del bel paese.
Ricordiamo che Stoppani, già ai primi di marzo del 1876 aveva perfettamente pronto il suo “Il Bel Paese”; che ne aveva già iniziata la promozione (vedi qui — è questo un piccolo inedito su cui torneremo presto in altra Nota) e che quindi avrebbe potuto / dovuto esporre nelle librerie già alla fine di marzo.
E invece Stoppani tenne nel cassetto quella sua opera e la tirò fuori solo verso la fine di luglio assicurandosi così, con le numerose recensioni che ne seguirono sulla stampa di ogni tendenza, una visibilità di alto livello — altro che uno dei soliti e spesso parolai programmi elettorali! Stoppani aveva appena sfornato una enciclopedia del già fatto come scienziato e docente, del già detto come sacerdote e come cittadino, garanzia del da farsi come Deputato.
Ma andiamo avanti!
L’Abate fu attaccato soprattutto dalla Destra anticlericale di governo, quella mangiapreti (e i preti reazionari si limitarono a ripetere pari pari le parole dei loro tradizionali avversari di Stato).
Riprendiamo quando Lei ha scritto e detto::
«In quel clima [determinato dal non-expedit], e in tutta risposta, Antonio Stoppani si candidò alle elezioni politiche dell’autunno 1876 proprio nel collegio di Lecco, provocando così grande dibattito da parte dei cattolici conservatori, attirandosi critiche per le idee così fermamente espresse. »
Signor Sindaco, abbiamo già visto come la Sua affermazione che Stoppani si fosse candidato come provocazione contro il non-expedit, non ha nessunissimo riscontro: è pura fantasia.
Vediamo ora come anche la Sua affermazione che Stoppani ricevette “critiche” dai cattolici conservatori per la sua candidatura è soltanto una piccola parte della realtà, anzi una sub-realtà.
Il fronte progressista, infatti, esultò per la candidatura di Stoppani (più sotto vedremo con quali sperticate lodi ne scrisse il demo popolare “Il Secolo”, il quotidiano più venduto in Italia).
Ma fu dalla destra anticlericale — sì “anticlericale”, non è un nostro refuso — che venne l’attacco più duro, circostanziato e pieno di fiele contro il candidato Stoppani (più sotto vedremo come trattò la cosa “La Perseveranza”, il quotidiano milanese della Destra di governo).
Invece — guarda guarda — i cattolici conservatori cui Lei si riferisce, Signor Sindaco (i reazionari intransigenti temporalisti, da sempre e per sempre nemici di Stoppani) non dissero praticamente nulla.
La loro punta di lancia anti-conciliatorista, l’Osservatore Cattolico di Don Albertario, si limitò a citare, con tanto di ostentate “virgolette”, quanto aveva scritto “La Perseveranza”, senza quasi una parola di proprio commento: una cosa da lasciare a bocca aperta, conoscendo la inesauribile capacità di vomitare ingiurie e maldicenze sempre dimostrata da Don Albertario e compagni.
Sorpreso, Signor Sindaco?
Eppure è proprio così. E ora, di quanto anticipato, diamo le prove documentarie.
Giovedì, 12 ottobre 1876 — «Il Secolo».
Entusiastico “benvenuto” al candidato Stoppani.
Di orientamento democratico-riformista, “Il Secolo – Gazzetta di Milano”, fondato nel 1864 fu in Italia il quotidiano più venduto per oltre trent’anni. Nel 1876 si schierò senza riserve per la Sinistra.
Nell’articolo che riportiamo (da noi trascritto letteralmente) vi sono incertezze espressive, che abbiamo preferito mantenere proprio come nell’originale: il senso è comunque più che chiaro: viva il Candidato della Sinistra riformista, il professor Antonio Stoppani, baluardo contro il rappresentante della destra, Villa Pernice.
_______
«Il Secolo» — Giovedi, 12 ottobre 1876
_______
Ci scrivono da Lecco, 11 ottobre 1879:
Vi mando le primizie e dirò anche le definitive notizie della lotta elettorale del collegio di Lecco.
Il Villa Pernice [candidato della Destra NdR] spedì per posta il suo nuovo programma a tutti gli elettori. Quel programma in generale fu trovato piuttosto francamente cinico, da non meritare discussione: e devo dirvi a onor del vero che il Pernice non verrà più eletto in questo collegio; ed a molti sembra impossibile che lo sia stato per tre volte.
Il suo competitore è uno stupendo e nobile ingegno, di fama mondiale, che voi milanesi conoscete benissimo. Non si sa finora se, eletto, siederà a sinistra o al centro della Camera, quel che si sa, e che tutti gli elettori di Lecco possono giurare in anticipazione, egli è che il loro nuovo deputato non voterà mai per gli interessi della consorteria, nè mai una legge qualunque restrittiva alla libertà cittadina, dannosa alle industrie, vessatoria ed ingiusta per le popolazioni da qualunque parte venga proposta: e ciò perchè il suo eletto animo, l’aggiustatezza de’ suoi nobili ed elevati sentimenti, l’intemerata coscienza, e la sua infaticabile operosità sono arra agli elettori che il loro deputato farà sempre onore a chi lo elesse, come essi stessi ne saranno onorati eleggendolo.
In poche parole: nelle ultime elezioni moltissimi elettori non volendo il Villa e conoscendo de visu la capacità del di lui competitore, quantunque ottimo cittadino e di sentimenti schiettamente liberali, e forse anche per vecchio proverbio nemo propheta in patria, votarono nella prima votazione spontaneamente senza darsi l’intesa, pel professore Antonio Stoppani che si propone dagli elettori stessi a candidato, avrà per sè quasi tutti, per non dir totalmente, i voti degli elettori del collegio di Lecco.
La Perseveranza e tutti i consorti del suo stampo, checchè avvenga, non potranno mai vantarsi di avere lo Stoppani dalla loro. Che se gli elettori di Lecco non avranno un deputato di sinistra estrema, potranno sempre vantarsi di avere un deputato di sentimenti schiettamente e sinceramente liberali, d’infaticabile operosità, di estesissima e profonda dottrina e scienza, forse troppo modesto e di animo mite e dolce, ma però sempre tale che la sua parola sarà autorevole ed ascoltata con deferenza e rispetto da tutti i partiti.
Al Secolo, giornale affatto indipendente dai partiti, non riesciranno sgradite queste notizie; e si può star sicuri che il Pernice, già così piccin piccino, di fronte al suo competitore divenendo impercettibile, si eclisserà completamente e sparirà come nebbia.»
Lunedì, 16 ottobre — «La Perseveranza».
Dura e minacciosa la risposta del quotidiano milanese della Destra storica.
Sfregandosi le mani, il riformista “Il Secolo” sottolineava dunque come, per quelle elezioni del 1876, la Destra (e “La Perseveranza”) non avrebbero potuto contare su una figura di prestigio come l’Abate Stoppani.
D’altra parte, nel corso di una colazione, il moderato Sindaco di Milano Giulio Bellinzaghi aveva dovuto registrare il no di Stoppani al suo invito a recedere dalla candidatura (notizia de “L’Adda”).
Il quotidiano per eccellenza della Destra storica, il milanese “La Perseveranza”, decise quindi di intervenire nel modo più pesante per ridurre al minimo i danni che allo schieramento della Destra poneva la candidatura di Stoppani nelle fila della Sinistra.
Era infatti facile pensare che la scelta dell’Abate potesse spostare voti dalla Destra alla Sinistra non solo a Lecco (dove Stoppani era comunque certo di una vittoria schiacciante sugli altri candidati) ma anche in altri collegi elettorali, soprattutto della Lombardia, dove Stoppani era maggiormente conosciuto.
L’intervento de “La Perseveranza” si rendeva indispensabile anche perché Stoppani, nella sua lettera agli elettori di Lecco, aveva utilizzato espressioni decisamente dure contro la Destra, accusandola di dispotismo oligarchico solo strumentalmente richiamantesi alla Costituzione (“Associazione costituzionale” era il nome della formazione creata dalla Destra dopo la perdita del Governo).
Stoppani aveva però lasciato una larga porta aperta agli elementi che fino ad allora avevano votato a destra ma che ora cominciavano ad avere “idee più miti” circa la necessità di allargare la base elettorale — un invito in piena regola a cambiare linea, in vista di un mutamento strutturale e in senso democratico del quadro istituzionale.
Lunedì 16 ottobre il quotidiano milanese, in prima pagina, sotto la rubrica “Cronaca elettorale”, riportava integralmente la “Lettera agli elettori di Lecco” resa pubblica da Stoppani il 7 ottobre (è quella che abbiamo più sopra ricordata).
Grazie alla diffusione nazionale de “La Perseveranza” e all’alto livello sociale e decisionale dei suoi lettori, la candidatura di Stoppani usciva così dall’ambito provinciale ed entrava a pieno titolo nella cronaca dell’intero paese.
Ma non era certo un piacere che il giornale voleva fare a Stoppani: era il modo più veloce ed efficace per metterlo in cattiva luce agli occhi di tutta la borghesia che fino a quel momento aveva guardato con simpatia a quel prete-geologo-letterato così di talento, dimostrazione vivente di come il clero serio potesse lavorare a stretto contatto con i più noti anticlericali della compagine governativa.
Infatti, immediatamente sotto il testo della lettera di Stoppani, dandogli dello squilibrato, “La Perseveranza” così commentava (nostri i tagli redazionali, fatta perfettamente salve parole e sostanza del discorso).
L’abate Stoppani, [con] codesto suo caotico scritto, […] si presenta, candidato ministeriale […] avevamo apprezzata la sua facile e chiara parola; sicché non è stata poca la nostra meraviglia nel leggere questa confusissima lettera […]. Essa tradisce un turbamento profondo dell’animo […].
Com’egli, […] sacerdote religiosissimo, abbia potuto […] presentare la propria candidatura, non s’intende […] egli implicitamente viene ad approvare la politica religiosa del Ministero. E questo [è] tale da darci il diritto di mettere in dubbio, […] la saldezza delle sue convinzioni; […] tanto da perdere il filo di un retto raziocinio.
[…] una delle ragioni che lo hanno indotto […] è stata l’idea che possa stabilirsi un regime veramente costituzionale tra l’oligarchia che regnava usurpandone il nome, e l’internazionalismo che mira a regnare sotto il nome di repubblica. E cosa lo Stoppani intenda per regime veramente costituzionale, lo dice tra due parentesi, quello dell’uguale tutela dei diritti di tutti. Davvero il dotto professore quand’esce dal suo campo, non ha ben fermo il giudizio. […]
Approva l’abate Stoppani ciò che il Ministero ha fatto per le processioni religiose, per le Associazioni religiose, per il Congresso di Bologna? […] se lo disapprova, ci dica perché si presenta candidato ministeriale?
E ci dica anche in che modo codesta politica del Ministero possa aiutare quel risveglio verso idee più ragionevoli, più miti, più tolleranti di quella parte del partito retrivo che è di buona fede […] ha poi detto […] che il Governo durato dal 1859 a questa parte è stato una oligarchia. […]
Perché la frase infelice dello Stoppani potesse avere un significato […] bisognerebbe […] che, il modo di suffragio al quale egli si sottopone fosse diverso da quello che è stato in vigore fin qui […] sicché il Governo che da questa riforma elettorale uscisse, potesse, a petto dei passati, reputarsi un Governo non di pochi […] ma di molti. Ora questo non è […] davanti a questa nuova terra promessa […] la sua mente non è più così tranquilla e limpida come davanti a quell’altra terra che ha contemplata e studiata fin qui! […]
E ora volgendoci, non agli amici, ma agli elettori di Lecco, noi vorremmo che ci pensassero ben bene prima di ricusare i loro voti al vecchio loro deputato; e […] raffrontino la lettera sconclusionata dello Stoppani a quella semplice ma precisa, del Villa-Pernice […].
Quanto agli amici dello Stoppani, noi vorremmo che gli fossero amici davvero; e che, per risparmiare al sacerdote, allo scienziato, le amarezze e i rincrescimenti di poi, non gli stuzzicassero ora una tarda ed infelice ambizione.»
Ma questo era solo l’inizio delle danze.
Istantaneamente molti dei rapporti che Stoppani aveva intessuto negli anni con amici e colleghi (molti dei quali strettamente legati alla Destra) entrarono in crisi.
Anche molte delle signore della borghesia che erano andate ad ascoltarlo con reverente ammirazione alle conferenze pubbliche, gli voltarono le spalle. Come in modo spiritoso scrive il suo nipote-biografo Cornelio esse «avrebbero voluto che l’ammiratissimo Stoppani di Milano non fosse lo Stoppani di Lecco».
In breve, attorno alla sua figura si alzò una barriera di rancorosa ostilità che non si placò affatto quando egli rinunciò alla candidatura.
Ma torniamo a noi.
Clero reazionario e sinistra radicale uniti nella lotta contro Stoppani attraverso un del tutto simile copia-incolla dall’articolo del quotidiano della Destra, da Stoppani definita “oligarchica”.
Giovedì, 19 ottobre — Curiosamente “L’Osservatore Cattolico” sta alla finestra.
Dopo l’uscita dell’articolo de “La Perseveranza” di lunedì 16 ottobre, quelle che sotto un certo profilo possiamo definire le due ali estreme dello schieramento politico, uscirono a distanza ravvicinata con articoli curiosamente molto simili ed esplicitamente richiamantesi alle argomentazioni de “La Perseveranza”.
Letto lunedì l’articolo de “La Perseveranza” (ed essersi presumibilmente consultato), giovedì 19 sul suo “Osservatore Cattolico” Don Albertario dava la linea ai suoi ma in modo abbastanza anomalo: facendo cioè parlare altri — ossia prendendosi il minimo di responsabilità per le informazioni e le idee esposte.
Qui, Signor Sindaco, può trovare l’articolo completo; di seguito ne presentiamo una nostra sintesi, assolutamente fedele:
1/ Rispondiamo alle provocazioni dei fogli moderati come la Gazzetta d’Italia la quale, citando la Perseveranza, così dice:
2/ con una lettera agli elettori Stoppani accetta una candidatura ministeriale;
3/ così accetta la politica religiosa del Ministero, andando contro le proprie convinzioni: evidentemente ha perso il raziocinio;
4/ Stoppani vuole un assetto istituzionale che garantisca la tutela dei diritti per tutti; ma il Ministero vieta le processioni religiose a cui lui tiene: perché quindi si presenta come candidato ministeriale?
5/ come può la politica intollerante del Ministero spingere gli elementi della Destra che lui chiama in buona fede a orientarsi verso quelle che Stoppani chiama idee più tolleranti della Sinistra?
Esposte le posizioni della Gazzetta/Perseveranza, l’Osservatore Cattolico ci ricama un poco sopra ma senza proporre nessuna osservazione propria e senza calcare la mano, anzi:
6/ riconosce che Stoppani può avere motivazioni condivisibili anche da elementi dello schieramento cattolico: poco male, faremo volentieri a meno di questi cattivi cattolici.
7/ dà notizia che due noti periodici cattolici si sono schierati con le posizioni del prete-geologo; richiesti del perché i due periodici hanno sostenuto che non serve mettersi in urto, bisogna prendere Stoppani con la dolcezza.
8/ Don Albertario acconsente all’idea ma fa presente che bisogna stare attenti che non sia Stoppani a prendere loro.
Come si vede, nessun intemperanza e anzi una non tanto nascosta pubblicità.
Solo nella frase finale Don Albertario riprende quello che può essere considerato il suo tono normale:
9/ quante storie: Stoppani è un bravo geologo e un grande scrittore; ma diciamo che come politico è così scadente da ricevere lezioni persino dalla Perseveranza.
Per chi abbia letto qualche cosa di Don Albertario, è chiaro che il muscolare pubblicista del Vaticano deve avere scritto questo articolo dopo avere preso una abbondante dose di bromuro: niente insulti, niente calunnie, niente minacce: Stoppani si candida? che ci importa, ognuno vada per la sua strada!
Riassumendo: contrariamente a quanto affermato dalla vulgata cui Lei, Signor Sindaco, si è accodato, l’organo del cattolicesimo più intransigente, di fronte alla iniziativa elettorale di Stoppani, si limitò a ripetere le critiche già mosse al prete-geologo da una parte che apparteneva (teoricamente) al campo avversario del cattolicesimo stesso, senza assolutamente calcare la mano.
Perché questo atteggiamento così distaccato e improntato al lasciar fare?
Non è difficile comprenderlo: come abbiamo già chiarito sopra, per le elezioni del 1876, la gerarchia ecclesiastica aveva deciso di mettere nel cassetto più basso della scrivania (da tenere chiuso a chiave) tutta la propaganda del non-expedit e di mettersi in campo cercando di conquistare qualche buona posizione.
Non si poteva, in quel contesto e con quel progetto fare la voce grossa contro Stoppani: ciò avrebbe reso più difficile fare digerire ai cattolici, che fino ad allora erano rimasti fermi al non-expedit, la necessità di cambiare linea.
Ci sarebbero state altre occasioni per fare i conti con quel fastidioso conciliatorista di Stoppani, così ben visto e apprezzato da tutti.
Sabato, 21 ottobre — “L’Adda”.
La sua critica a Stoppani riprende i temi de “La Perseveranza”.
Con in più un invito a non indebolire il fronte governativo, pressato dalle questioni internazionali.
Per completare la rassegna delle posizioni delle diverse forze politiche nei confronti della candidatura di Stoppani, diamo anche quella del bisettimanale lariano “L’Adda”, organo della Sinistra radicale che si autodefinisce espressione di un non meglio specificato “partito democratico” (attenzione a non sovrapporre le dizioni di allora con la realtà di oggi — sono passati 148 anni!).
La presentazione che “L’Adda” fa di Stoppani è anch’essa curiosamente allineata su quanto già espresso da “La Perseveranza”; anzi da parte del giornale della sinistra radicale del lariano vi è una esplicita approvazione di quanto scritto dal giornale della Destra.
Con in più un insistito richiamo a non creare problemi al governo della Sinistra — è abbastanza evidente che il giornale radicale vuole segnalare che Stoppani, benché candidato ministeriale, potrebbe essere fonte di problemi per il Governo. Questa notazione è da tenere a mente perché qui è già espresso in nuce il motivo del ritiro di Stoppani dalla competizione elettorale.
Vediamo.
Dopo avere espresso la più ferma avversione a Villa-Pernice, candidato per la Destra e per Martelli candidato per la Sinistra ma giudicato come un doppio giochista, “L’Adda” continua (evidenziazioni nostre):
«Un terzo candidato, pure con programma, fu giudicato dalla stessa Perseveranza con potente articolo , da quella Perseveranza, che sempre alzò la sua voce per sollevare a cielo il prof. Stoppani, che sempre lo appoggiò in tutte bisogna, ma che ora lo consiglia a non porre al cimento la sua fama per questioni politiche.
Professore! Vero alimento del tuo cervello è la scienza, dedica la tua vecchiaia alla scienza che non turberà i tuoi sonni, e non sospirare una tarda ambizione.
Tu non fosti mai uomo della politica avvezzo alla disillusione, nei tuoi libri non si trattano questioni nè amministrative, nè finanziarie e via dicendo, ma solo di scienza, ed ora sognasti tu pure di porti col ministero attuale? Il dilemma che innanzi ti presenta la tua amica Perseveranza è forte, e sino dai primi passi ferisce a morte.
Questo terzo è prete, e checché ne dicano, tale sarà sempre, o se mutasse avviso cade nell’altro errore della contraddizione.
Nissuno poi sarà da tanto da rinfacciarci queste parole, come dettate da perfidia di sentimenti, poiché da noi non si fece altro che raccogliere i giudizi degli amici stessi dei candidati.
Rimane un quarto, […] che combattè sempre colla penna i soprusi di ingannatori governi guadagnandosi onorato carcere, onesto, franco e forse talora troppo energico ed immutabile nelle sue vedute. Questi è l’avv. Ernesto Pozzi, che certo rappresenterà meglio di qualsiasi altro il nostro collegio e la nazione.
Elettori!
Libero è a chiunque il voto, ma nelle attuali condizioni politiche europee non abbisogniamo di togliere forza all’attuale ministero, poiché questo perdendone, la nazione ne soffre, e può per la mancanza di energia, per discordie interne di discrepanti opinioni sentirne grave pregiudizio il commercio, l’industria, la libertà.
Abbiamo già accennato che questo articolo de “L’Adda” è interessante perché fa intravedere quella che sarà la conclusione della vicenda, ossia il ritiro di Stoppani dalla competizione elettorale.
Che è l’argomento che ora dobbiamo svolgere dovendo però, in via preliminare, dare un quadro delle forze in campo:
— la “Associazione costituzionale” rappresenta la Destra storica che in marzo aveva dovuto lasciare il comando del Governo;
— la “Associazione progressista” rappresenta la Sinistra di Governo ma in modo non omogeneo: le due figure di riferimento sono il democratico riformista, coerente ma non molto energico, Zanardelli (con il quale Stoppani contava di potere collaborare) e il garibaldino-mazziniano Nicotera, apparentemente rappresentante delle tendenze più radicali; in realtà, per calcolo di potere, più che disposto a compromessi con la parte più reazionaria dello schieramento politico;
— la “Associazione democratica” rappresenta i repubblicani, i più radicali sul piano istituzionale (a questa fa riferimento il giornale “L’Adda” di cui abbiamo parlato poco sopra);
— la gerarchia vaticana. Benché formalmente fuori dai giochi di potere, abbiamo visto sopra che con la caduta della Destra, il Vaticano si è immediatamente attivato per lasciar perdere il non-expedit e trovare una propria collocazione.
Abbastanza evidente come tra queste quattro componenti i confini non fossero così facilmente tracciabili e si verificassero anzi contaminazioni assolutamente inedite.
Ma veniamo a noi.
Non fu l’Abate a lasciare il campo: egli fu mollato da chi lo aveva fino a quel momento sostenuto.
I pochi che si sono occupati della vicenda dell’Abate in queste elezioni del 1876, hanno scritto che il comportamento di Stoppani in quel frangente è inspiegabile. Beh! anche se Stoppani non ci ha lasciato nulla di sci e fare due + due.
Abbiamo visto all’inizio di questo capitolo che nella sua lettera a Maggioni di mercoledì 25 ottobre (vedi qui) Stoppani, pur dicendosi un poco scosso dalla quantità di critiche che gli erano piovute addosso dopo la sua dichiarazione di partecipazione alle elezioni, confermava la sua assoluta volontà di rimanere sul campo, costi quel che costi!ritto in proposito, la cosa è invece spiegabilissima; basta leggere la cronaca di quei giorni.
E invece, domenica 29 diede le dimissioni ritirandosi dalla campagna elettorale; prese il primo treno per Milano lasciando Lecco e le elezioni incavolato nero.
Che era successo in quei quattro giorni?
Abbastanza semplice!
Una cosa frequente nelle competizioni elettorali che l’Abate non poteva però né prevedere né forse anche comprendere: il gruppo che lo aveva appoggiato nella sua discesa in campo, cambiò improvvisamente rotta e non solo appoggiò un altro candidato ma lo scelse nello schieramento della sinistra radicale patrocinata da “L’Adda”, proprio quanto di più lontano si potesse pensare rispetto alle posizioni di Stoppani.
Tutto qui.
Non fu l’Abate ad abbandonare il campo; fu invece mollato da chi fino a quel momento lo aveva cercato e sostenuto.
Per comprendere come ciò si verificò, dobbiamo fare un piccolo excursus nei rapporti all’interno delle diverse componenti politiche.
La Sinistra, non sentendosi certissima della vittoria elettorale, lanciò una vasta campagna di coinvolgimento di ampi settori dei moderati — una prima prova di trasformismo.
Come si è più sopra già ricordato, la caduta della Destra, benché già nell’aria da tempo per ragioni di fondo, era avvenuta per una non programmatica convergenza di voti tra una parte della Destra (contraria alla ristatalizzazione delle ferrovie, nei programmi di Minghetti, Sella e soci) e l’opposizione di Sinistra.
Il primo governo della Sinistra poté essere varato e iniziare ad operare solo con l’appoggio (a questo punto fortemente strumentale) di quella parte della Destra che aveva fatto cadere Minghetti per la questione delle ferrovie).
Per sottrarsi a questo abbraccio innaturale, che poteva in ogni momento trasformarsi in una stretta mortale, la Sinistra puntò immediatamente a elezioni anticipate che potessero darle una più credibile base “eletta” e non frutto di combinazioni di palazzo.
Ma il risultato elettorale non era così scontato. I sedici anni di gestione della cosa pubblica aveva sì logorato la Destra ma anche creato un largo certo politico-culturale-sociale di destra che poteva riservare brutte sorprese ai nuovi conduttori del vapore: alle urne in novembre si andava ancora con la vecchia legge elettorale (e quindi su una base estremamente ristretta — meno di 500.000 persone su 22 milioni di cittadini, cioè l’1,8% della popolazione).
A opera soprattutto di Nicotera, Ministro degli Interni (ma in questo seguito da tutto lo schieramento della Sinistra, salvo qualche piccolo distinguo per i modi decisamente disinvolti del Ministro) si avviò una vasta e ramificata azione per favorire in ogni modo (anche quelli meno ortodossi) la vittoria elettorale.
Fu avviata una capillare azione persuasiva sugli impiegati pubblici con gratifiche, spostamenti, promozioni.
Insieme si avviò una oculata azione sul piano giudiziario per passare un tratto di penna su alcune cause eccellenti in cui erano coinvolte figure utili ai fini elettorali.
L’azione più incisiva e sistematica venne svolta però (come sempre) nella formazione delle liste elettorali, nel cui maneggio si verificarono anche movimenti apparentemente incomprensibili o incongrui perché legati a specifiche situazioni locali.
Ciò si verifica anche oggi ma allora, con una Italia molto più differenziata di quanto non sia ora (per condizioni economiche, di cultura collettiva, di lingua parlata, di abitudini alimentari, di esperienze storiche) le peculiarità locali ebbero un peso determinante.
Il Ministro degli Interni Nicotera, uomo noto per la disinvoltura con cui esercitava il suo incarico, verso la fine di ottobre si mise pesantemente in azione mobilitando prefetti e sindaci e dettando la composizione delle liste elettorali, anche pubblicamente attraverso il suo giornale “Il Bersagliere”.
Uno dei elementi su cui Nicotera puntò più decisamente fu la raccolta e l’inglobamento dei tanti che avevano cominciato ad abbandonare la nave della Destra per trovarsi comunque con un tettuccio sopra la testa. Questa operazione può essere vista come l’anteprima di quello che sarebbe passato alla storia come “trasformismo”: se ti trasformi, a me va bene — non ti faremo certo il terzo grado per sapere cosa effettivamente tu abbia nella testa.
Questo arruolamento di estranei all’interno della Sinistra fu spesso attivato attraverso alleanze vere e proprie (ancorché segrete) con il fronte clericale — Lei ricorda, Signor Sindaco, quanto detto a proposito dell’abbandono rapido del non-expedit da parte della gerarchia ecclesiastica.
Finirono così nelle liste della Sinistra molte figure che non solo erano state nella Destra ma che non avevano mai fatto pubblicamente neppure finta di aver cambiato idea.
Nella Sinistra, questa disinvolta azione di inclusione dei “nemici” di ieri, suscitò qualche rigetto e in alcune situazioni portò gli esponenti della Sinistra a prendere decisioni autonome — e anche contrarie — rispetto alle indicazioni del proprio “Comitato Progressista” centrale.
Ma, in generale, le indicazioni di Nicotera vennero accettate.
La situazione di Lecco.
Per l’Abate Stoppani la situazione nella propria città natale si presentava abbastanza semplice.
— A rappresentare la Destra era candidato Villa Pernice, già deputato in tre legislature; uomo di affari, da anni dentro tutte le situazioni in cui giravano quattrini. Per l’occasione aveva fatto finta di essere diventato un poco più democratico ma la cosa era così scopertamente fasulla che tutti ci ridevano anche sopra.
— Per la Sinistra (ma quella più radicale, anche repubblicana) si presentava l’avvocato Ernesto Pozzi, da sempre nelle file della democrazia, già soldato nella seconda Guerra di Indipendenza, conosciuto, abbastanza stimato per le sue caratteristiche morali.
— La candidatura dell’Abate Stoppani, anch’egli nella Sinistra, ma nella parte più moderata, si collocava quindi in un ideale centro.
Un patriota che non aveva mai mancato a un appuntamento con le vicende della indipendenza e dell’unità nazionale; non repubblicano ma democratico di sentimenti e di idee; uno scienziato noto anche a livello europeo; apprezzato per la grande cultura anche umanistica; di grande esperienza organizzativa e amministrativa maturata in tanti anni di consulenza nelle commissioni governative; di riconosciuta onestà e dirittura morale; di famiglia stimata, tipica rappresentante della media borghesia lariana.
Stoppani aveva però anche delle “pecche” che il gruppo della Destra, con cui egli aveva collaborato per 16 anni, conosceva bene ma che per la Sinistra potevano non essere così evidenti:
— era troppo autonomo, sia sul piano economico che su quello intellettuale e morale;
— era “poco cauto nei discorsi” (ricordate che così lo aveva definito un funzionario della polizia politica austriaca al momento del suo allontanamento nel 1853 dai Seminari lombardi). Ossia era uno che non esitava ad esprimere il proprio pensiero e, quando era il caso, anche ad alzare la voce;
— era troppo “prete”: la sua notoria e lunga lotta contro la gerarchia nera della Chiesa poteva rendere non così chiara la sua vera passione.
Come indissolubilmente legato alla Chiesa, con tutte le energie fisiche e morali egli voleva che la Chiesa stessa si rinnovasse per potere svolgere la propria vera funzione — oggi e domani come ieri — ossia dare risposta agli insopprimibili bisogni spirituali dell’uomo.
Non è ovviamente detto che questo suo essere profondamente uomo di Chiesa fosse visto di buon occhio dalla Sinistra al Governo.
A parte, però, questi “minus”, sulla carta l’operazione Stoppani sembrava assolutamente vincente ed egli stesso in cuor suo (e lo diceva ai suoi intimi) sapeva che già al primo turno avrebbe vinto a man bassa.
Anche perché, dietro di lui, oltre ai concittadini amici e agli attivissimi fratelli, laici e non (non dimentichiamo poi mamma Lucia, molto stimata e influente) c’era il governativo Comitato della Associazione Progressista, di cui magna pars era Zanardelli con cui — lo abbiamo già detto sopra — i contatti sembravano facili da avviare e sviluppare e che gli aveva assicurato il suo pieno appoggio.
Che successe quindi?
Due settimane di piccola cronaca elettorale.
Sabato 21 ottobre 1876 // La Perseveranza
Lecco, 20 ottobre
«[…]
La candidatura dell’abate Stoppani ha perduto molto terreno in questi giorni, massime dopo che, in una riunione di preti, venne deciso di sostenerne la candidatura per avere un rappresentante del Clero in Parlamento. E dire che quello dello Stoppani è la candidatura del partito progressista, anzi la vera candidatura officiale!
L’opinione generale e gli amici intimi dello Stoppani biasimano questa sua risoluzione; anzi, se egli vuole conservare la grande stima di cui gode fra i suoi compaesani, dovrebbe, e glielo consiglio di cuore nell’interesse del suo nome, ritirarsi da una lotta in cui s’è così infelicemente impegnato, e pregare gli elettori di votare per vero candidato di Lecco, l’on. Villa Pernice.
[…]»
***
Lunedì-Martedì, 22-23 ottobre 1876 Il Secolo – Gazzetta di Milano
Como. — Il Circolo elettorale progressista di Como, nella sua adunanza di ieri, [Lunedì 22 NdR] elesse a proprii candidati: Brambilla per il 1º Collegio di Como; — Carcano per il 2º; — Peluso per Appiano; — Bizzozzero per Varese; — Perelli per Brivio; — Merzario per Erba; — Polli per Menaggio; — Adomoli per Gavirate e Stoppani per Lecco .
***
Giovedì-Venerdì, 26-27 ottobre 1876 // Il Secolo – Gazzetta di Milano
Lecco. — A rettifica di una notizia, che l’altro giorno abbiamo tolto dalla Lombardia, dobbiamo dichiarare che l’Associazione Progressista di Como appoggia a Lecco la candidatura dell’avv. Ernesto Pozzi, e non quella del professore E.[sic!] Stoppani. Il Pozzi fu eletto non ha guari Consigliere provinciale del mandamento di Lecco, e se raccogliesse la maggioranza dei voti di quel Collegio, noi saremmo i primi a rallegrarcene. Ciò che frattanto più importa è che progressisti e democratici s’intendano a riunione i loro voti sopra un sol candidato, mentre l’averne tre offre troppo buon giuoco al candidato del partito caduto, il Villa Pernice.
***
Venerdì 27 ottobre 1876 // L’Osservatore Cattolico
Corrispondenze Particolari
Lecco, 26 Ott. 1876
«Ad onta che il Sac. Prof. Antonio Stoppani abbia in Lecco molte adesioni, e personali e per mezzo de’ suoi fratelli, è costretto a vedersi posto in disparte dai progressisti.
Aveva fatto senso spiacevolissimo il vedere il geologo perdere la sua gravità e la dignità di scienziato e di Sacerdote, proponendosi candidato progressista, e accettando così e approvando le infamie del Nicotera; ma non fa meno senso il trovare lo Stoppani in mezzo a tre fuochi.
L’uno direttogli dai moderati, i quali qui e sulla Perseveranza gli diedero una severa lezione; l’altro dai progressisti che gentilmente lo misero alla porta, e gli preposero l’avvocato Ernesto Pozzi; l’altro dai cattolici che deplorano la condotta dell’ecclesiastico
A Dio spiacente ed ai nemici sui.
Brutto castigo! Il Bucellati ha un nuovo tipo da introdurre nel suo poverello di romanzo; romanzo che ha per titolo Allucinato, ma non spiega bene in principio se sia allucinato l’autore o il protagonista; il che però appare evidente dopo fattane lettura; allucinato è l’autore.»
Domenica 29 ottobre 1876 — Da Stoppani a don Maggioni
Milano, 29 Ott. 1876
Cariss. amico
La tua buona lettera assennatissima e cordialissima mi trova qui a Milano quasi in esiglio, venutoci da ieri, [sabato 28] dopo aver rinunciato alla mia candidatura. Tu già capisci il resto. Ho conosciuto un pezzo di mondo di più; ma anche questo pezzo l’ho trovato assai brutto e gangrenoso. Del resto ci sarebbe da scrivere un volume. Lo faremo a chiacchere; quando verrai a trovarmi. Sono tranquillissimo, non avendo nulla da rimproverarmi in tutto questo scompiglio. Addio.
Aff. Antonio Stoppani
Giovedì-Venerdì, 2-3 novembre 1876 // Il Secolo – Gazzetta di Milano
IL SECOLO appoggia i seguenti candidati:
[…]
Provincia di Como
Lecco — E. Pozzi.
***
Giovedì 2 novembre 1876 // L’Adda
Ecco il manifesto giunto da Como:
Agli Elettori del Collegio di Lecco!
Como, li 28 ottobre 1876.
L’associazione progressista e la società democratica di questa città, in altra delle pubbliche generali assemblee tenute, per la scelta dei candidati ai collegi del circondario, riceveva incarico dagli elettori presenti di raccomandare la candidatura del maggiore avvocato Ernesto Pozzi al collegio di Lecco.
L’essere il Pozzi cresciuto nelle aure salubri di quel di Lecco — l’essere stato recentemente eletto alla rappresentanza nel consiglio provinciale e l’aver raccolto già buon numero di voti nelle ultime elezioni politiche in confronto del candidato di destra, ancor’oggi suo competitore, dispensano dal tesserne il meritato elogio personale.
Se vi fu tempo e necessità di concordia fra patrioti liberali e volenti il benessere amministrativo ed economico del nostro paese, egli è questo: la divisione e la discordia fra quanti non vogliono ritornare al governo dei destri, di fronte al lavoro disciplinato e pressante degli avversari, non può che darci sconfitta.
Raccomandando agli elettori progressisti il nome dell’avv. Ernesto Pozzi, noi sappiamo di far omaggio ai distinti meriti patriottici, come letterato e come soldato, che lo distinguono — di far omaggio alle sue belle doti di cuore e di mente, al suo carattere leale, franco, provato fra i pericoli delle battaglie e nell’arringo amministrativo e legale.
Il nome dell’avv. Pozzi noi lo raccomandiamo come arra di concordia, indispensabile alla finale vittoria, sul candidato di destra e sugli altri, non meno pericolosi, di incerta sinistra.
Pel Comitato dell’associazione progressista in Como
Avv. Luigi Mazzuchelli — lng. Pietro Limoni — Felice Mondelli — Angelo Ruspini — lng. Giuseppe Casartelli — lng. Franchi Giuseppe.
Pel Comitato dell’associazione democratica Comense
Dott. Gilberto Scotti — Ing. Leone Beltramini — Corbella Clemente — Avv. Vincenzo Manzini — Scalabrini Prof. — Coduri Bartolomeo — Ostinelli Eugenio.
***
Sabato 4 novembre 1876 // L’Osservatore Cattolico
Abbiamo da Valsassina:
«Il ritiro della candidatura da parte dello Stoppani ha recato sorpresa molto salutare in molti sacerdoti i quali nella nostra valle si apprestano sciaguratamente a dare il loro voto. Spero che non pochi ristaranno dal loro cattivo proposito. Ormai non è questione di liberalismo, ma di dignità.
Si è notato con piacere la coincidenza della venuta di Sua Eccellenza l’Arcivescovo dal Rev.mo Prevosto di Lecco, e la rinunzia avvenuta dopo cinque, o sei giorni della candidatura da parte dello Stoppani. Questa coincidenza che non può essere fortuita deve illuminare il clero ad attenersi alla astensione ed a promuoverla, sicuro di far cosa gradita all’autorità costituita.»
***
Da questa carrellata di piccola cronaca elettorale non risulta un granché circa le ragioni per cui l’Associazione progressista di Como (l’organizzazione della Sinistra governativa sotto la cui competenza ricadevano le elezioni di Lecco) sabato 28 ottobre si accordò con l’Associazione democratica per togliere l’appoggio al proprio candidato ufficiale Stoppani per favorire invece il candidato radicale E. Pozzi, chiaramente il meno quotato per risultare vincitore (e infatti una volta ritiratosi Stoppani, Pozzi venne battuto sonoramente dall’altro candidato della Sinistra, Martelli, da tutti presentato come un infiltrato della Destra: un quadro non proprio chiaro a comprendersi).
L’unico elemento con un minimo di attendibilità potrebbe essere dato da quella piccola notazione de “La Perseveranza” del 21 ottobre che abbiamo riportato proprio al primo posto di questa “cronaca”.
La riprendiamo: «La candidatura dell’abate Stoppani ha perduto molto terreno in questi giorni, massime dopo che, in una riunione di preti, [tenutasi in Valsassina, NdR] venne deciso di sostenerne la candidatura per avere un rappresentante del Clero in Parlamento».
Tenuto conto che in Valsassina l’Abate Antonio Stoppani poteva contare su una vasta rete di presbiteri di tendenza rosminiana, effettivamente una affermazione di Stoppani avrebbe portato in Parlamento una tematica del tutto nuova, con possibili vaste ripercussioni su tutta una serie di dossier, in primis nell’impostare in forme del tutto nuove il problema del rapporto tra Stato e Vaticano. Cosa che poteva piacere poco a tanti.
Potrebbe suonare come una conferma della validità di questa pista, la notazione di Don Albertario del 4 novembre con la quale l’oltranzista del Vaticano teneva a stimmatizzare quei preti della Valsassina che avrebbero puntato su Stoppani per avere un rappresentante in Parlamento.
A proposito di quella nota di Don Albertario è invece da respingere l’insinuazione che Stoppani avesse rinunciato alla candidatura dopo il suo incontro, avvenuto il 25 ottobre presso la Canonica di Lecco, con l’Arcivescovo di Milano Luigi Nazari di Calabiana: secondo Don Albertario sarebbe stato l’Arcivescovo a premere su Stoppani perché si ritirasse.
In realtà sappiamo dalla lettera di Stoppani a Maggioni (scritta il 25 ottobre proprio al termine dell’incontro tra Stoppani e l’Arcivescovo) che Calabiana si mostrò invece molto morbido sulla questione.
E non a caso: Lei ricorderà, Signor Sindaco, che il “Il manifesto elettorale” della “Sacra Penitenzieria” del 26 settembre, con cui si dava via libera alla partecipazione dei cattolici alle elezioni del 1876, era stato sollecitato e inviato in assoluta anteprima anche all’Arcivescovo Calabiana.
Quando il prelato incontrò Stoppani il 25 ottobre non aveva quindi alcun motivo per premere su Stoppani perché si ritirasse. Ciò a prescindere dalla storia e dalle idee di Monsignor Calabiana, noto da vent’anni per l’impegno diretto in politica, prima nel Regno di Sardegna, poi nel nuovo Regno d’Italia di cui era anche Senatore: non era proprio l’uomo da dire alcunché contro la partecipazione di Stoppani alle elezioni.
Ma è tempo di concludere questo capitolo in cui abbiamo focalizzato alcuni importanti elementi di carattere generale ma che lascia ancora qualche nebulosità sulle relazioni tra le componenti della Sinistra che portarono Stoppani alla rinuncia: compito per i prossimi mesi sarà di andare a scavare tra la documentazione elettorale di quel 1876 per cercare di avere il quadro chiaro di tutta la vicenda.
Riteniamo comunque, Signor Sindaco, di avere con sufficienti argomenti mostrato l’assurdità di quanto da Lei detto circa l’impegno elettorale di Stoppani come “provocazione” contro il non-expedit, ecc. ecc. ecc.
Lecco, 25 Ott. 1876
Carissimo,
Se potessi tornare indietro d’una quindicina di giorni, non mi sentirei, se fosse come oggi, il coraggio di fare quello che ho fatto quindici giorni fa. Ire di nemici, abbandono di amici, lettere di disapprovazione, accuse di ambizione, etc. — e più di tutto la prospettiva dell’avvenire buio quanto può esserlo. Eppure mi son messo sopra questa via pensando che fosse quella della volontà di Dio, nè, pensando ancora che possa essere tale veramente, avrei ora il coraggio, la coscienza di abbandonarla. Ormai sono ridotto a questo solo punto che, se la cosa è “lecita”, la faccio, e cento ragioni del resto mi impongono il dovere di farla. Il fratello D. Pietro e la mamma mi hanno detto che tu hai potuto verificare che nulla osta alla “lecitudine”. Ho bisogno che tu mi scriva subito, per togliermi qualunque dubbio in proposito. Parla pur chiaro: dimmi la via che hai tenuto per assicurarti; sicuro che la tua lettera non uscirà dalle mie mani. Intanto vedo che l’Osserv. Cattolico dice che l’astensione è presentemente un dovere e insieme una misura politica, e la ragione sarebbe (attenti bene!) che non si può disporre di tempo sufficiente a preparare gli animi, nè si ha copia sufficiente di candidati. Dunque anche per l’organo più avanzato del clericalismo non c’è una legge che proibisca di essere eletto o elettore; ma semplicemente una vista di opportunità. Come la volpe della favola; non vogliamo mangiare l’uva, perchè non ci arriviamo a coglierla.
L’affare della mia candidatura qui va avanti. Se io volessi ritirarmi ora, perderei l’onore, perderei ogni influenza pel bene della religione, mi ucciderei moralmente, perchè tutti avrebbero diritto di trattarmi come leggero, come un uomo senza convinzioni, come un pazzo. — Scrivi e prega. —
Aff. tuo Antonio Stoppani
_______
P.S. Oggi mi trovai per circa 3 ore in Canonica coll’Arcivescovo venuto a trovare il prevosto di Lecco. Il fratello D. Pietro lo prese in disparte per parlargli un pochino della mia candidatura. S. Eccellenza parlò all’incirca come parlano i miei migliori amici. Manifestò i suoi timori ch’io m’abbia a trovar male ed a perdere più o meno quella riputazione e quell’ascendente che ho guadagnato. Lamentò molto liberamente che quel buon uomo di Pio IX si sia lasciato prendere da quella lega che non vuole nè eletti nè elettori. Manifestò tuttavia la speranza che si abbiano ora a modificare un poco, e disse avergli fatto senso il passo dell’Osservat. Catt., di cui ti dissi sopra. Manifestò pure delle speranze che il nostro governo sia migliore del precedente, lodando il Depretis, che disse in Piemonte chiamarsi il buon uomo. Mostrò tutta la persuasione circa le mie buone intenzioni. Quanto alla mia possibile andata a Roma, disse dubitare assai che là mi diano il celebret, cosa che mi spiacerebbe moltissimo. Vedi che in complesso non c’è nulla d’allegro per me, ma quando fossi certo di essere giustificato davanti a Dio, affronterei tutto coraggiosamente nella speranza di bene per la Chiesa e per la patria.
Lecco, 7 ottobre 1876.
«Amici carissimi,
Voi mi chiedete se sarei disposto ad accettare il mandato di rappresentare al Parlamento nazionale il collegio di Lecco, dichiarandovi pronti dal canto vostro a favorire la mia candidatura.
L’uscire, foss’anche per breve tempo, dal campo dei pacifici studi, in cui mi tenni chiuso fino ad una età più che matura, per gettarmi in quello delle lotte politiche, in circostanze eccezionalmente difficili e con una divisa a cui i tempi sono tutt’altro che favorevoli, è cosa che mi dà molto a pensare, e che, senza dar torto a voi, potrebbe sembrar a chiunque, a dir poco, una inconsideratezza. Tuttavia confesso che una testimonianza di sì larga fiducia da parte de’ miei concittadini e conterranei, non dovesse anche solleticare vivamente il mio amor proprio, mi arrecherebbe una soddisfazione grandissima, e mi parrebbe un premio del pari insperato che esuberante allo scarso contributo che io potessi per avventura aver portato allo svolgimento intellettuale della patria comune.
Aggiungasi a questi, altri moventi meno subbiettivi, come i sintomi di risveglio verso idee più ragionevoli, più miti, più tolleranti di quella parte del partito retrivo che è di buona fede e di buone intenzioni; l’idea che possa stabilirsi un regime veramente costituzionale (quello della uguale tutela dei diritti di tutti) tra l’oligarchia che regnava usurpandone il nome, e l’internazionalismo che mira a regnare sotto il nome di repubblica; la speranza insomma che il ridestarsi degli spiriti nazionali, benché sotto le oscure sembianze di una crisi, l’innesto di nuovi elementi sul vecchio tronco della rappresentanza nazionale, le esperienze del passato, tutto quel non so che di indefinito che pullula, direi quasi, da tanti bisogni, da tante aspirazioni e può pigliar forma e sostanza in seno al nuovo Parlamento, possano approdare a quel meglio, a cui ciascuno dovrebbe reputarsi felice di poter in qualunque modo contribuire. Intendo a quanta severità di indizi io vado ad espormi. Ma in ogni caso preferirei la disillusione, l’amarezza, dopo la prova tentata colla più retta intenzione e colla miglior volontà, al rimprovero d’essermi sottratto quando più urgeva il bisogno e quando il voto de’ miei concittadini mi apriva la via a promuovere più efficacemente il bene della patria.
Perciò, quando il voto della maggioranza degli Elettori si pronunciasse spontaneo in mio favore, quando fossi certo di dovere ii mio mandato, non semplicemente alla fortuna, non sempre veggente, d’una lotta elettorale, ma alla fiducia illuminata e consapevole de’ miei Elettori; sarei disposto ad accettare. Anzi vi autorizzo fin d’ora a dichiarare in questo senso la mia accettazione.
Credo che non mi domanderete quel che si dice un programma, nè me lo domanderanno gli Elettori. Sono nato e cresciuto fra loro. Quelli del mandamento di Lecco mi conoscono personalmente. Nei mandamenti di Bellano e d’Introbbio conto un sì gran numero di ottimi conoscenti ed amici, che gli Elettori non dovranno andar lontani ad assumere quelle informazioni sul conto mio, che possano, nel caso migliore, inspirar loro quella confidenza, senza la quale nessuno dovrebbe deporre nell’urna elettorale la sua scheda. Ebbi del resto troppe volte occasione negli scritti da me pubblicati di far palesi le mie convinzioni in materia di religione, di politica, di interessi sociali. Deputato al Parlamento non rinnegherei, no, certo, il mio passato, nè abdicherei a nessuna delle mie convinzioni. Inteso a procurare con tutte le mie forze il bene della patria e, dove si concilii col bene comune, quello speciale del mio Collegio, dopo aver, studiato le questioni che potessero venire sottoposte al voto del Parlamento, non potrei prender norma in via definitiva che dalla mia coscienza.
Vi accontentate di questo? Della vostra risposta non dubito. Quella degli Elettori l’attendo tranquillamente dall’urna.
Lecco, 7 ottobre 1876.
L’affezionatissimo vostro
ANTONIO STOPPANI.
Proposizione 10
Il Sindaco di Lecco Gattinoni tace sulla collocazione sociale della famiglia di Stoppani nella Lecco del 1824 nonché sulla importante presenza nella sua vita di ben sette fratelli e tre sorelle.
Pone in modo ambiguo il rapporto tra il padre e la madre del Nostro, “… avuto con Giovanni Maria Stoppani”.
«…è un grande onore, e per certi versi un dovere essere qui questa mattina a celebrare il bicentenario della nascita di uno dei nostri più illustri concittadini, Antonio Stoppani, che proprio in questa casa vedeva la luce, nel cuore di Lecco, nella centralissima Piazza XX Settembre …
… immaginiamo quindi che al piano superiore, in una stanza, duecento anni fa come oggi, una mamma (Lucia Pecoroni) teneva in braccio il piccolo Antonio (avuto con Giovanni Maria Stoppani)»
Signor Sindaco, dalle Sue parole il lettore è inevitabilmente indotto a ritenere che tra Lucia Pecoroni e Giovanni Maria Stoppani vi fosse un rapporto di libero amore, che cioè Lucia fosse una single (per usare il linguaggio di oggi) che avesse concepito l’Antonio con Giovanni Maria, il quale aveva riconosciuto il piccolo.
E non invece che il citato Giovanni Maria fosse dal 28 novembre 1818 il coniuge di Lucia Pecoroni con il quale aveva già dato alla luce tre maschietti e una femminuccia, purtroppo morta alla nascita.
Pensiamo che questo dettaglio Le sia sfuggito per distrazione ma è da notare che nessuno di quanti hanno scritto o letto il discorso prima che Lei lo pronunciasse, si sia accorto di questa ambiguità.
La quale ci sembra non solo indizio di superficialità nella stesura di documenti ufficiali del Comune (tale è il Suo discorso, Sindaco) ma anche di ignoranza e inconsapevolezza del contesto sociale in cui nacque e visse l’Abate Stoppani.
Nella targa che Lei ha apposto su quella casa, di quei genitori non è detto neppure il nome. Il che, nel caso del Nostro, è una grave omissione storica perché quei genitori (entrambi in modo significativo, seppure diverso) furono determinanti per le caratteristiche, la fisionomia e le scelte di vita di Stoppani: in questo caso possiamo dire sicuramente che senza “quei” genitori l’Abate Stoppani sarebbe stato altro da quello che conosciamo.
Nel Suo discorso, dei genitori Lei ha ricordato solo il nome: con lo stesso numero di parole di quelle dedicate alla “dolce musica – ninna nanna” Lei poteva suscitare qualche più utile suggestione in chi la ascoltava (e che la legge) sia per la fisionomia dei genitori e dei fratelli di Antonio sia per la collocazione sociale della famiglia di Stoppani — due aspetti importantissimi per comprendere il senso e la traiettoria della sua vita.
La posizione della famiglia Stoppani nella Lecco del 1824
«… vedeva la luce, nel cuore di Lecco, nella centralissima Piazza XX Settembre»
Dalle Sue parole, Signor Sindaco, il lettore trae la convinzione che al momento della nascita di Antonio Stoppani (15 agosto 1824) quella parte di Lecco in cui Lei svolgeva il Suo discorso, si chiamasse “Piazza XX Settembre”, il che ovviamente non è.
La denominazione “XX Settembre” è stata posta nel 1895, a commemorare l’entrata in Roma dei bersaglieri del Generale Cosenz, attraverso la breccia di Porta Pia, il 20 settembre 1870.
Prima del 1895 quell’ambiente urbano si chiamava “Piazza Mercato”.
Non è solo un problema di chiarezza sulla storia della nostra Italia contemporanea o di nomenclatura urbanistica quanto di consapevolezza dell’ambiente in cui si formò il futuro geologo: la casa natale di Stoppani era infatti uno dei negozi di coloniali più attivi di tutta Lecco e probabilmente dell’intero Lario.
Tacendo di questo aspetto della vita di Stoppani Lei ha perso una ottima occasione per seppellire definitivamente una vulgata pietistica che vuole vedere la famiglia di Stoppani come di modesta estrazione sociale e di ridotte possibilità economiche. Così ridotte da dovere mandare in Seminario ben cinque degli otto figli maschi per dare loro una certa preparazione culturale.
Le cose non stavano affatto in questi termini! Questa è una rappresentazione del tutto falsa della realtà di quella famiglia.
La famiglia di Stoppani era di facoltosi commercianti, impegnati in prima persona in un lavoro quotidiano anche faticoso ma con notevoli ritorni economici. E la loro condizione sociale li collocava tra le prime famiglie della non ancora città.
I genitori di Antonio, Lucia Pecoroni e il marito Giovanni Maria, erano titolari di una fiorente attività commerciale che funzionava alla grande proprio nei giorni in cui si radunavano ai margini di Piazza Mercato (nella attuale Piazza Cermenati, allora tenuta a prato e degradante sul lago) gli artigiani locali per vendere le minuterie metalliche in cui era specializzata Lecco (filo di ferro, chiodi, ecc.) e animali da carne.
Ma erano anche titolari di due laboratori molto avviati: uno per la produzione del cioccolato, l’altro per la produzione di candele (di cera e di sego) quest’ultimo fonte anche di qualche dissapore con i vicini (risolto con corposi indennizzi monetari).
È intuitivo come quell’ambiente produttivo e commerciale dovesse imprimersi nella fantasia del piccolo Antonio e abbia costituito un elemento di carattere emotivo nell’interesse che egli pose ai problemi della illuminazione, ovviamente importantissimi non solo per la vita quotidiana ma soprattutto per le attività produttive.
Appena negli USA si cominciò (siamo nel 1860) a utilizzare in modo estensivo i raffinati del greggio, Stoppani ne colse immediatamente le potenzialità rivoluzionarie e pensò bene di dedicarsi alla ricerca del petrolio in Italia, un tema cui dedicò notevoli risorse intellettuali e organizzative nella sua attività scientifica e anche imprenditoriale e che ne fece il pioniere in assoluto della ricerca petrolifera in Italia.
La spiccata religiosità.
«… teneva in braccio il piccolo Antonio (avuto con Giovanni Maria Stoppani)»
La inevitabilmente ambigua espressione da Lei usata per indicare il rapporto tra la Madre Lucia e il padre Giovanni Maria Stoppani, il non ricordare cioè che Giovanni Maria non era solo il “compagno” di Lucia ma anche il suo coniuge, implica da parte Sua, Signor Sindaco, la più evidente inconsapevolezza della fisionomia ideologica dei due coniugi, genitori di Antonio Stoppani.
Come Lei certo sa per un cattolico il matrimonio non è solo il riconoscimento e la definizione sociale di un legame di coppia, con tutte le determinazioni che ne derivano sotto ogni profilo giuridico, ma è soprattutto “la via per la santificazione”.
Abbiamo come dato incontrovertibile che i due coniugi Stoppani, Lucia e Giovanni Maria, fossero particolarmente religiosi e che la loro appartenenza alla comunità cattolica fosse un elemento costante e determinante per le loro scelte esistenziali.
Cinque degli otto maschi figli dei due coniugi vennero mandati in Seminario (e quattro di questi presero gli ordini) non perché in questo modo la famiglia avrebbe risparmiato sulle spese di istruzione (dato molto diffuso allora, naturalmente) ma perché i genitori di Stoppani erano non solo molto religiosi ma erano soprattutto convinti della funzione indispensabile dei presbiteri per il benessere della collettività.
Su questo aspetto ideologico, fortemente presente nel territorio lariano e della Valtellina, sarà necessario condurre uno studio approfondito. Ma intanto è opportuno — per una visione realistica (e quindi utile) della vicenda di Stoppani rimarcare questo elemento strutturale della cultura dei suoi due genitori.
La madre Lucia.
Lucia Pecoroni non fu solo la generatrice e prima educatrice del Nostro, dandogli in dote la sensibilità artistico-musicale (Lucia conosceva la musica e suonava bene il pianoforte — chiamiamolo così per semplicità) e la facondia nel parlare (Lucia apprezzava la nostra letteratura e recitò in rappresentazioni teatrali che le famiglie borghesi di Lecco organizzavano per intrattenimento amicale), ma anche la portatrice di una importante rete di relazioni sociali di rilevante livello culturale e politico, aperta nei sentimenti nonché democratica negli orientamenti ideologici e culturali.
Pietro Pecoroni, padre di Lucia, fu patriota nella fase del primo Napoleone e subì la galera per 11 mesi durante il breve ritorno degli Austriaci nel 1799. Poi, nella fase napoleonica, fu anche imprenditore di successo nella tessitura, consentendo alla figlia di mettersi, alla pari col marito Giovanni Maria, in una attività produttiva e commerciale, certo impegnativa e anche faticosa, ma di soddisfazione.
La madre di Lucia (Maria Lucia — un pasticcio questi nomi ricorrenti) era invece figlia di Giuseppe Arrigoni (famiglia molto ben piazzata nella Lecco di allora).
Questo Giuseppe Arrigoni (bisnonno quindi dell’Abate) era fratello di Giovanna, la quale era bisnonna del noto Antonio Ghislanzoni, letterato e autore di tanti libretti d’opera di successo, tra i quali quello dell’Aida di Verdi.
I due Antonio erano quindi coetanei ma anche cugini di terzo grado. Benché lontani ideologicamente, Ghislanzoni fu al fianco del cugino nella erezione del monumento a Manzoni in Lecco, cosa sempre ignorata dall’Amministrazione lecchese.
Un’altra sorella di Giuseppe Arrigoni era Marianna, la quale sposò il molto apprezzato notaio avvocato Francesco Ticozzi, a sua volta acceso patriota anti austriaco, Prefetto napoleonico e Croce di Ferro.
Tra l’altro notaio di fiducia della famiglia Manzoni (fu lui a stendere il testamento di Pietro con cui il figlio Alessandro era indicato come suo unico erede e nel quale vi è uno spiritoso riferimento a quella tal questione dei “mancanti testicoli del coniuge” per mezzo della quale la moglie Giulia aveva potuto legalmente separarsi per fare coppia con il ricchissimo Imbonati).
Il quale notaio-Prefetto Francesco Ticozzi era fratello di Stefano, già prete di San Giovanni alla Castagna in Lecco; poi spretatosi con la rivoluzione francese; poi anch’egli alto funzionario di Napoleone I; poi prolifico e originale critico d’arte (a lui si devono i primi studi di concezione moderna su alcune figure apicali della nostra pittura quali Tiziano Vecellio di Pieve di Cadore) e traduttore di importanti opere, come quella “Storia delle repubbliche italiane del Medio Evo” di Sismondi, a critica della quale Alessandro Manzoni scrisse il suo “Osservazioni sulla morale cattolica”.
Come si vede, da parte di madre, una ben ricca dote di parentele, di sangue o acquisite, e di relazioni intellettuali per il futuro prete-geologo, il 15 agosto afasicamente celebrato dal Sindaco della sua città.
Se al Comune di Lecco non si ha dimestichezza con gli alberi genealogici della città suggeriamo a tutti i funzionari di farsi fare un corso accelerato da un loro concittadino, certo a loro noto. Il quale, oltre a essere validissimo ingegnere, è anche profondo conoscitore della storia della città per le cui famiglie più influenti nel passato più o meno recente ha pubblicato una scaffalata di ottimi studi (è solo grazie ai suoi scritti che siamo riusciti a districarci nel presentare come cugini Stoppani e Ghislanzoni). Le figure cui rivolgersi per non fare la parte degli sperduti, a Lecco ci sono — basta alzare un poco lo sguardo dalle scarpette da corsa montanina.
Il padre Giovanni Maria.
Nonostante il padre fosse chiamato “Giuanin bona grazia” per la spontanea cortesia e amabilità, dal genitore il piccolo Antonio, a causa del proprio carattere vivace (e a volte eccessivamente burlone), prese la sua parte di castighi, come si usava a quei tempi, con uno staffile usato con perizia sulle natiche del futuro teologo-geologo (lo stesso Abate da adulto riconosceva di essersi spesso ampiamente meritati quei sensibili rabbuffi paterni).
Ma, molto opportunamente, fu questo stesso padre che, a metà degli anni ’50 del loro secolo, consentì all’Antonio di imboccare dopo il 1855 la via della geologia con un generoso prestito (poi convertito in dono) di 80.000 Euro equivalenti.
Strada obbligata per lo Stoppani questa della geologia, in quanto, essendo dal 1848 professore di grammatica latina al Seminario Arcivescovile di S. Pietro Martire di Seveso, nel 1853 (nel 1853, ripetiamo), segnalato dagli austriaci per essere di “principj liberali” ed essere “poco cauto nei discorsi”, fu, con altri 19 colleghi, licenziato, con divieto di insegnare in qualsivoglia scuola del Regno Lombardo-Veneto
Dal padre, Antonio prese anche una serie di rapporti familiari che, sebbene dilavati dal tempo, gli vennero buoni in quel già citato 1853 quando, nel pieno della feroce reazione austriaca alla tentata insurrezione mazziniana di Milano del febbraio, i nobili Porro (imparentati alla lontana con gli Stoppani) lo presero sotto la loro protezione, allocandolo nel loro palazzo di Como e facendolo istitutore dei loro piccoli figli, in attesa che si calmassero le acque della politica.
Sulle origini nobiliari degli Stoppani, l’Abate (forse pensando a eventuali rivalse patrimoniali essendo sempre alla disinteressata caccia di quattrini a pro’ della scienza e per le innumerevoli azioni caritatevoli di cui si faceva carico) fece ricerche risalendo al Seicento milanese, in pieno dominio spagnolo (quanto qui diciamo è anticipazione di uno studio che stiamo sviluppando — il lettore non se ne avrà quindi a male se non indichiamo le nostre fonti documentarie — che comunque ci sono e verranno quanto prima rese pubbliche).
Nel 1544 emerge un Giovanni Battista Stoppani, Decurione di Como; un suo figlio, Bernardo, genera un Cristoforo e un Antonio; si distacca un ramo della famiglia non più a Como, ma a Laglio e nella Valsassina. E un altro Antonio si stabilisce in Spagna, a Madrid.
Nel 1619 un Francesco Stoppani è a Milano, cambista, maritato con Margarita de Margaritis; da questo matrimonio nascono Cristoforo e Carlo Giacinto. Attratti dallo zio vivente a Madrid, i due rampolli lo raggiungono. Lì Cristoforo sposa Isabella Martinez di Madrid, secondo le favole familiari figlia illegittima del Re Filippo IV — Felipe el Grande, per il amici “El rey Planeta”; torna a Milano dove educa due figli, Francesco e Giovanni.
Gli Stoppani sono ormai ben piazzati, essendo Francesco divenuto subappaltante della regia delle Poste dello Stato di cui era titolare il principe Antonio Teodoro Trivulzio. Anche se in subappalto era carica di grande lucro, con gestione di molte centinaia di figure tra funzionari, avvocati, contabili, militari, poliziotti, cavallari.
Dopo la morte del Principe nel 1678 Francesco viene fatto Questore e successivamente, nel 1685, Prefetto Generale di Sua Maestà, divenendo così “padrone delle poste” del Ducato di Milano.
Nel 1716 diventa marchese — ecco le origini nobiliari della famiglia: cambio di valuta, poste e cavalli!
Uno dei figli di questo marchese Francesco, fu Gianfrancesco (poi rinominato Giovanni Francesco) che sarà Cardinale, diplomatico di fama e poi, per molti anni, Legato Pontificio a Urbino e Pescara, morendo nel 1774.
Da qui, probabilmente, attraverso qualche famigliare, assistente dell’illustre parente Cardinale, originano gli Stoppani delle Marche, dando innesco alla fiaba che Renilde Stoppani, madre di Maria Montessori, fosse sorella del nostro Abate, cosa ovviamente non vera e facilmente dimostrabile e dimostrata — ciò nonostante anche in Lecco c’è ancora chi continua a propalare la stupida panzana che la Montessori fosse nipote dell’Abate.
Giovanni Maria, padre del Nostro, era rampollo di un ramo cadetto di questa non larghissima famiglia, caduto in disgrazia economica che, per campare, aveva dovuto ritirarsi a zappare avanzi di vecchie proprietà signorili in quel di Zelbio, sull’altro ramo del Lago di Como. Il giovanissimo Giovanni Maria era giunto a Lecco a fine ’700, impiegato in una cereria di cui era proprietario un Cremona legato agli Arrigoni Socca e zio di Lucia Pecoroni, la futura madre del Nostro — da qui il matrimonio e la sua ascesa commerciale che, grazie anche ai vecchi agganci familiari nel milanese, gli avevano consentito di sposare la socialmente meglio piazzata Lucia Pecoroni.
La larga fratellanza.
Per non parlare dei dieci fra fratelli e sorelle di cui era parte l’Antonio e su cui è opportuno dire qualcosa.
Su quel nutrito gruppo di fratelli il futuro Abate poté infatti sempre contare per le sue azioni sociali, culturali e politiche, tra cui — giova anticiparlo — la lunga gestazione del monumento a Manzoni, inaugurato l’11 ottobre 1891, su cui Lei, caro Sindaco non ha detto neppure una parola: ci pensiamo noi più avanti.
Degli undici vissuti sui quindici generati da mamma Lucia, otto erano maschi e tre femmine, altrettanto importanti quanto a sostegno fattivo al Nostro.
La prima, Maria Gabriele Chiara (del 1827, moglie di Zaccaria Cornelio) i cui due figli, a partire dal 1875 furono sempre in squadra con lo zio: Francesca (nota col nome di Cecchina), come autorevole “direttrice di casa / amanuense / segretariona” dell’Abate (dagli intimi sottovoce nominata “la Cavour”); Angelo Maria, come accompagnatore – assistente, autore della prima biografia dello zio, viziata da eccessivo quietismo ecclesiale ma comunque ancora utile, a saperla leggere.
La seconda sorella, Lucia (detta Cia, del 1835, moglie di Pietro Todeschini) psicologicamente sempre molto vicina all’Abate, madre di otto figli tra cui il talentoso Giovanni, dello zio geologo pittore e grafico ufficiale, a sua volta generatore di artisti di buona mano.
Una terza sorella, Camilla Carolina (1833), risulta meno presente nelle vita dell’Abate ma solo perché spostatasi da Lecco a Dorio, allora piccolo paese vicino a Colico, natale del marito Teodoro Bettega (segnaliamo in questo una lacuna del quadro generalogico tracciato dal sempre preciso Penasa che la indica come nata il 4 maggio 1833 ma senza alcuna altra indicazione — come fosse morta alla nascita).
Tra i sette maschi fratelli dell’Abate, ci limitiamo qui a ricordare i tre preti.
Angiolo Faustino (del 1821), barnabita, morto nel ’47 in odore di santità, forse per le eccessive prove penitenziali cui si assoggettava, ma — pare — di grandissimo talento intellettuale e forza morale, rimasto sempre vivissimo nella memoria dei fratelli tutti, di sicuro ispiratore della da tutti riconosciuta profonda religiosità del futuro Abate.
E Pietro (del 1819) il primogenito, sacerdote, uomo di temperamento e di organizzazione più che di studi.
Nell’insurrezione del ’48 di Milano, coraggioso gestore dell’ospedale di fortuna allestito nella Basilica di Sant’Ambrogio per i feriti nei combattimenti e periglioso diplomatico (pare che in una trattativa con gli austriaci avesse gettato per aria il tavolo della riunione, lasciando allibiti gli alti ufficiali, nemici ma in quel momento parlamentari — ma può essere leggenda a indicare il suo temperamento).
Negli anni ’60 Segretario della Società dei conciliatoristi milanesi, la struttura che garantì l’appoggio del clero milanese al nuovo Regno d’Italia nel marzo 1861. Dal 1874, Prevosto della Basilica di Santa Maria della Passione, la principale chiesa della città di Milano.
E Carlo (del 1837), anch’egli geologo, insegnante di scienze naturali in Istituti in Lunigiana e a Noto, in Sicilia. È figura poco ricordata ma non doveva essere un mediocre. Scrisse articoli su riviste a cui collaborava il più noto fratello; da “Il Bel Paese” sappiamo che scrisse un trattato sui marmi di Carrara non pubblicato perché bruciato sul tempo da uno studio analogo (citato da Stoppani).
Carlo, anch’egli patriota e di orientamento democratico, firmò nel 1862 con i due fratelli Pietro e Antonio la petizione Passaglia (modo infallibile per finire nel quaderno nero della gerarchia ecclesiastica).
Era probabilmente di temperamento non proprio accondiscendente e forse soffrì della onnipresenza del fratello maggiore, inevitabilmente sempre il primo in ogni ambito in cui potevano incrociarsi. Morì in Sicilia, lontano dalla famiglia, e di lui è rimasto ottimo ricordo negli istituti in cui insegnò.
Ha pubblicato “Il radiometro di Crookes: lezioni popolari sul calorico” e “Passeggiate nei dintorni di Modica”, entrambi scritti in Sicilia con il collega Pietro Lancetta.
I due fratelli sacerdoti di Antonio Stoppani, soprattutto nella prima parte della sua vita gli furono di validissimo aiuto nelle discussioni (anche molto accese e non solo teologiche) con il clero temporalista. In molte situazioni Antonio contava veramente per tre.
Mentre in ambito geologico, grazie ai fratelli, il prof. Stoppani valeva addirittura per quattro. Oltre a lui, soci della Società Italiana Scienze Naturali erano infatti Giovanni Maria (1831, bisnonno di chi scrive), il già citato fratello Don Carlo e l’ex-seminarista Ferdinando (1838, anche egli avviato al sacerdozio ma prestissimo trasmigrato allo stato laico) che gli diedero certo una valida mano per il posizionamento all’interno della comunità scientifica lombarda.
Non che gli altri due fratelli laici (Giuseppe e Luigi Camillo, entrambi commercianti) fossero da meno di quelli fin qui ricordati ma ne parleremo in altra occasione.
Qui basti a sottolineare come nel momento della commemorazione del Bicentenario di Antonio Stoppani, una qualche parola in più da parte del Sindaco su questi aspetti della vita del commemorato ci sarebbero stati bene — e chi meglio del Primo cittadino le dovrebbe ricordare queste cose, così vicine alla vita intima della comunità?
Anche qui non ci vuole molto per documentarsi: basta dare un occhio alla biblioteca dei Musei cittadini e non sedersi sulle favole di questo o quel funzionario pigro e/o fantasioso.
Bicentenario
dell’Abate Antonio stoppani
targa — osservazioni critiche e proposta alternativa
Anche le targhe hanno una storia.
Come tutto ciò che ci circonda, anche la targa inaugurata il 15 agosto 2024 in occasione del Bicentenario della nascita di Antonio Stoppani ha una sua storia. Storia che ci sembra non inutile ricordare prima di entrare nel vivo delle nostre osservazioni critiche e avanzare la nostra proposta alternativa di targa — Sì! perché abbiamo una alternativa.
__________
Dall’Albo Pretorio del Comune di Lecco ricaviamo i documenti relativi alla targa in questione:
Con data 5 agosto 2024
Preventivo della società Formedil snc di Asso (CO) [le evidenziazioni sono nell’originale]:
––––––––––
«TARGA INCISA in memoria di Antonio Stoppani
Lastra in marmo nero lucido 40x57x2 cm con incisione di circa n.170 caratteri
Ad Antonio Stoppani, studioso e divulgatore ineguagliabile delle nostre bellezze naturali, nel bicentenario della nascita, la città di Lecco pose.
Lecco, 15 agosto 2024
Il Sindaco
Mauro Gattinoni
PREZZO € 800,00»
––––––––––
Evidentemente qualcuno del Comune, nel richiedere il preventivo di realizzazione, aveva anche inviato una prima ipotesi di testo.
Con data 5 agosto 2024
––––––––––
Determinazione n. 1127 del 05/08/2024, avente in oggetto: Commemorazione Bicentenario della nascita di Antonio Stoppani – Acquisto targa commemorativa.
Della “Determinazione” del Dirigente dell’Area 5 [ad interim, dal 16 aprile 2024, è il Segretario Generale Dott. Mario Sposto — NdR] riportiamo “Premessa” e “Decisione” (nostre le evidenziazioni):
Premessa:
«Tra gli obiettivi dell’Amministrazione vi è quello di affrontare un percorso di recupero della memoria storica che passa anche attraverso l’apposizione di targhe commemorative che possano ricordare, nel presente e nel futuro di tutti, soprattutto dei più giovani, la storia di personalità locali che si sono contraddistinte con l’impegno e con la realizzazione di progetti mirati alla elevazione culturale e sociale della comunità.
Antonio Stoppani, nato il 15 agosto 1824 nella città di Lecco, è stato un geologo, paleontologo, patriota e presbitero italiano, considerato il padre della geologia mondiale. Una figura di primo piano nella storia della geologia, della paleontologia, della paletnologia e della glaciologia in Italia.
Nel bicentenario della nascita, l’amministrazione comunale intende collocare una targa commemorativa dedicata a questo studioso onorando non solo la sua figura ma anche il valore delle sue opere.»
Motivazione:
«Viste le premesse […] il Dirigente dell’area 5, procede ad affidare il servizio di realizzazione e posa in opera alla ditta Formedil s.n.c. […] impegnando contestualmente a favore della stessa la somma di €. 800,00.»
––––––––––
Quindi, appena ricevuto il preventivo del marmista, il Dirigente della Sezione 5 aveva dato l’ordine di realizzazione della targa ma delineando anche il quadro generale cui attenersi per il suo contenuto: suggerimenti in netta divergenza con il testo riportato sul preventivo. evidentemente comunicato da qualcuno al marmista.
Da quanto disponibile abbiamo quindi elementi per pensare che siano entrate in confronto due posizioni:
— da un lato, abbiamo una precisa e corretta indicazione del Dirigente dell’Area 5 sulla fisionomia di Stoppani che sottolinea quali elementi dovrebbero essere richiamati sulla targa (ripetiamo i suoi suggerimenti):
Antonio Stoppani, nato il 15 agosto 1824 nella città di Lecco, è stato un geologo, paleontologo, patriota e presbitero italiano, considerato il padre della geologia mondiale. Una figura di primo piano nella storia della geologia, della paleontologia, della paletnologia e della glaciologia in Italia […]
onorando non solo la sua figura ma anche il valore delle sue opere.
— sull’altra sponda abbiamo un qualcuno che ignora questi suggerimenti (niente “città natale”, niente “presbitero”, niente “patriota”, niente “geologo”, niente “paleontologo”, niente “valore delle opere”) ma… unitamente a insulse qualificazioni tipo “studioso”, “divulgatore”, vuole riportare su una targa pubblica, dedicata al più importante figlio della Lecco dell’Ottocento, il nome del Sindaco Mauro Gattinoni.
Evidentemente deve esservi stato un dibattito tra le due linee di comunicazione, risolto con la vittoria dei sostenitori del nulla ma con un compromesso: scompare il nome del Sindaco Gattinoni (è possibilissimo su indicazione dello stesso Sindaco, che non ci pare uno stolto vanaglorioso) ma rimane il testo insulso e insultante il nome e la memoria di Stoppani (lo ripetiamo):
La città di Lecco
nel bicentenario della nascita
rende omaggio ad
Antonio Stoppani
Studioso e divulgatore
ineguagliabile delle nostre
bellezze naturali
Lecco, 15 agosto 2024
Ciò detto, ci sembra utile sviluppare alcune considerazioni critiche sul contenuto della targa che, seppure orbata del riferimento al Sindaco, mantiene intatto il suo carattere insulso, in spregio alle indicazioni del Dirigente dell’Area 5.
All’estensore del testo della targa diamo del tu e diciamo…
Perché hai nascosto che Lecco è la città natale di Stoppani? Che per sua volontà è qui sepolto?
Dove è nato Antonio Stoppani? a Torino? Palermo? New York?
Tu nulla ne dici ma comprenderai che in una targa di commemorazione della nascita, non è cosa secondaria — direi che è invece la prima.
Da nessuna parte hai scritto che Lecco è stata la sua città natale!
È il colmo! Quante città e paesi in tutta Italia e nel Mondo potrebbero a ragione erigere targhe alla memoria di Stoppani!
Ma solo di una cittadina egli fu figlio! E questa si dimentica di ricordarlo!
E pensare che Stoppani a Lecco fu sempre attaccatissimo.
Che qui tornava appena possibile.
Che con il suo “Il Bel Paese” promosse splendidamente la città quant’altri mai.
Che con la prima biografia di Don Lisander e il monumento all’autore de “I Promessi Sposi”, ne fece la “Città di Manzoni” a fronte di tutta la nazione.
E dove è morto e sepolto quel prete-geologo?
Sul Vesuvio? a Bellano? sul Monte Torghatten? nelle miniere di Dudley? alla salsa di Nirano?
Si può certo morire casualmente dovunque ma nel caso di Stoppani essere morto a Milano ha un suo significato. È in quella città che egli divenne l’uomo e il prete e lo scienziato che tanti hanno stimato — ma tu hai ignorato la cosa.
E soprattutto hai ignorato che, come da lui disposto, egli è sepolto qui a Lecco, sua città natale. Come hai potuto dimenticarlo?
E l’Antonio è campato trent’anni o centodieci?
Converrai che non è irrilevante fissare il momento in cui il Nostro ci ha lasciati. Come fa il lettore a farsi un’idea, anche generica, del posto da lui occupato nella storia di noi tutti?
Tu hai scritto che è stato “studioso” e “divulgatore delle bellezze naturali”. Ma così può essere definito qualunque giovane intellettuale scomparso all’inizio di una vita promettente — qualcuno può pensare che l’Antonio sia caduto sulle barricate di Milano nel 1848, a pochi mesi dal compiere 24 anni. Oppure che sia stato uno di quei vecchioni che accompagnano alla tomba nipoti e pronipoti e abbia fatto in tempo a vedere la prima guerra del 1915.
Una targa alla memoria senza questa informazione è solo un anonimo pezzo di marmo.
E allora lo diciamo noi: l’Abate è morto il 1 gennaio 1891, relativamente giovane, di angina pectoris, quattro mesi dopo avere compiuto i 66 anni (la maggior parte dei suoi nove fratelli hanno invece superato gli 80).
Chissà che avrebbe fatto di più e di meglio l’Antonio se fosse campato almeno altri quindici anni! Perché non ne hai fatto memoria?
E di chi era figlio, quel benedetto Antonio Stoppani?
Dopo la cerimonia di scopertura della targa, il Sindaco ha posato una rosa e ricordato il nome di Lucia Pecoroni, la mamma di Antonio. Bravo! è l’unica cosa decente dell’intera faccenda.
Noi tutti siamo in gran parte come ci fecero i nostri genitori, cosa spesso trascurata, e a loro dobbiamo dare quantomeno rispetto e memoria. Ma l’Abate, per entrambi i genitori, aveva uno speciale profondo amore, consapevole di quanto egli dovesse loro, per tutti gli aspetti della sua vita.
E allora perché dimenticare Lucia Pecoroni e Giovanni Maria?
… perché lo hai presentato come un generico “studioso” e “divulgatore” e non come un geologo e paleontologo, un geniale scienziato, un amatissimo docente universitario. Ossia per quello che fu?
«Studioso delle bellezze naturali» — che espressione senza senso!
Che sono per te le “bellezze naturali”? mare? montagna? lago?
E il fango delle salse? e il petrolio? e le miniere di carbone? e i pipistrelli con la pioggia dei loro escrementi? e le vecchie di montagna sfatte dalla fatica? e l’affamato ciabattino poeta dell’Abruzzo? e la strage dei montanari dello Spitz? e gli scalatori morti sul Cervino? che sono? dove li mettiamo?
Tutto è “naturale” in quanto appartiene alla natura. E lo Stoppani ha “studiato” e “divulgato” tutto ciò e molto altro ancora. E quindi quella frase è proprio insulsa.
Ma tu intendi forse riferirti solo alle cose “belle” della natura. I monti? (non troppo ripidi, però); il vento? (con moderazione!); il lago? (ma non le sue tempeste!). Insomma cosa sono per te le “bellezze naturali”?
E delle “bruttezze” che ne facciamo? diciamo che le ha “studiate” e “divulgate” qualcun altro?
È proprio una frase specchio: del vuoto culturale; dell’incapacità a comprendere ciò di cui si parla. Scusa, non voglio offenderti — ma con quelle parole sei tu che hai offeso la collettività lecchese.
«Le nostre bellezze naturali» — nostre di chi?
Di chi ha scritto quella targa? del Sindaco? dei lecchesi? e Bellano e Taceno e Premana dove li mettiamo? e Como, è nostra o no? e il Vesuvio e l’Etna, di chi sono? e il Niagara e il Mare dei Sargassi? anche quella è roba nostra? e il Perù con le sue montagne di guano che è? nostro o loro?
Eppure l’Abate di tutto ciò e di diecine e diecine di luoghi anche lontanissimi dal nostro bel paese ha scritto in lungo e in largo.
«Divulgatore di bellezze naturali» — Ma che intendi con ciò? Divulgare è semplificare ciò che è complesso. E cosa c’è di complesso nelle bellezze naturali? è complesso un tramonto sul San Martino? o l’orizzonte verso Nord nelle terse giornate di vento sul lago?
Questo Antonio Stoppani era un impiegato della pro-loco? o un gazzettiere pagato un tot a riga per la pubblicità degli ameni luoghi di vacanza sul Lario?
O forse volevi dire “presentatore”, alla Piero Angela? (del resto, è quello che pensa e dice il Signor Sindaco). Con tutto il rispetto per il bravo giornalista, è veramente incredibile che tu veda in Stoppani un suo precursore e non invece uno straordinario maestro collettivo — cosa completamente diversa.
… perché hai nascosto che era un presbitero conciliatorista e un originale teologo?
… perché hai nascosto che era un patriota democratico?
… perché hai nascosto che ha scritto “Il Bel Paese” e altri testi di grande valore?
… perché hai nascosto che a lui si deve il legame tra Lecco e Manzoni?
Hai dedicato la targa al dire nulla o cose con poco senso. E non hai neppure accennato agli elementi della ricca e luminosa personalità di Stoppani.
Ma come hai potuto non comprendere come questo silenzio è un insulto all’uomo che hai pensato di volere onorare?
Il Presbitero.
Stoppani non si sentiva forse prima di tutto un onesto prete progressista? Certo! come rosminiano conciliatorista fu di quelli che si batterono per salvare la Chiesa dal precipizio del temporalismo arci-reazionario.
Si può essere non religiosi (come noi) ma bisogna riconoscere a questo prete un grande spirito — i cattolici dovrebbero studiarlo meglio: la sua riflessione filosofica è importantissima per una religione adeguata ai nostri tempi.
Antonio disse sempre che l’essere prete gli era costata molta fatica nella sua azione scientifica, di docente e di tecnico pubblico — ma sempre ribadì che se fosse ritornato in vita avrebbe ancora fatto il prete, senza alcuna esitazione. Si sentiva e si diceva “prete scagnozzo”, l’ultimo dei preti, e ne era orgoglioso.
Perché non dire neppure una parola su ciò che ha costituito l’essenza di una vita?
Lo scienziato.
Sai certo che Stoppani è considerato un grande scienziato — ma forse non hai ben chiaro perché avresti dovuto scriverlo sulla targa. Lo aveva indicato anche il Dirigente della Sez. 5 nella Deliberazione del 5 agosto — lì lo si dice giustamente “scienziato” non “studioso”, cosa completamente diversa!
L’Abate si fece conoscere e accettare nel mondo della geologia con un imponente lavoro di ricerca paleontologica, originale e condotto con ammirata tenacia e forza proprio qui vicino a Lecco, sui Monti di Esino.
Oltre alla capacità di intenso lavoro sistematico lì evidenziato, Stoppani mostrò di possedere il dono della assimilazione e sintesi delle esperienze altrui.
La formazione storica, letteraria e filosofica acquisita nei quindici anni del Seminario; la completa padronanza del latino e del francese, la capacità di leggere con piena comprensione il tedesco e l’inglese, gli tennero sempre aperte le porte della produzione scientifica internazionale e da essa attinse a piene mani, riconoscendo sempre agli interessati i suoi debiti, di idee e di esperienze.
Per queste caratteristiche è ancor oggi considerato il migliore tra i sistematizzatori della geologia dell’epoca sua (chiamarlo “padre” della geologia italiana è forse gratificante ma è fuorviante in molti sensi: a volte il “far crescere” può essere più importante del “concepire”).
Lo scienziato di genio.
Ma dove Stoppani brilla di vera luce è la creatività nella ricerca scientifica.
Impegnato nella definizione della nuova Carta Geologica dell’appena costituito Regno d’Italia (marzo 1861), Stoppani trovò un campo di azione e di ricerca in cui brillò la sua grande capacità di collegare passato e presente: la ricerca degli idrocarburi nel bel paese.
Partendo dalle memorie del mondo classico, Stoppani seppe introdurre un elemento di assoluta novità nelle sue ricerche di questa nuova (seppure sempre esistita) materia prima, allora però limitata al campo della illuminazione, di alcune applicazioni in fonderia, dei rivestimenti impermeabili, della pavimentazione stradale, dello scorrimento delle componenti meccaniche, del riscaldamento dell’acqua nelle macchine a vapore (Stoppani, ne mancò di pochi anni l’applicazione ai motori a combustione interna che decise della indispensabilità del petrolio nella rivoluzione industriale).
Avendo letto degli esperimenti del chimico francese Marcellin Berthelot sulla produzione sintetica degli elementi, Stoppani elaborò la teoria abiotica (non organica) dell’origine dei petroli: certo, molta parte del prezioso liquido è il prodotto della distillazione naturale di materiale organico (questa era già allora — ed è tuttora — la teoria dominante negli USA e in Europa) ma molta parte è anche il risultato di sintesi chimiche che si verificano negli immani laboratori naturali attivi all’interno del globo, attraverso temperature e pressioni per noi inimmaginabili. Ne era convinto anche il famoso Dmitrij Ivanovič Mendeleev, l’inventore della tavola periodica degli elementi.
Prodotto all’interno del globo a grandi profondità, il petrolio sale alla nostra superficie attraverso i canali della sotterranea circolazione dei liquidi.
Questo prodotto di sintesi, offerto dal globo, è sempre rinnovato, e avrà fine solo quando avrà fine la vita della Terra, a differenza dei petroli di origine organica che non sono rinnovabili.
Questa idea di un rinnovo infinito delle disponibilità di petrolio, prodotto gratuitamente dalla natura, era ovviamente di grande attrazione per Stoppani, che vedeva in questo elemento (per noi all’origine di tanti problemi) una materia prima “ecologica” rispetto al taglio selvaggio delle grandi foreste da cui allora si traeva l’energia termica.
A differenza di quello di origine organica, il petrolio di origine abiotica è però rinvenibile (e quindi sfruttabile con vantaggio economico) solo a grandi profondità (anche chilometri) cui la tecnologia del tempo di Stoppani non era in grado di arrivare.
L’Abate il petrolio in Italia lo trovò e tentò anche di farci quattrini con una propria società — se ciò confermò le sue teorie, gli portò però poco in termini economici: era in anticipo sui tempi.
Ma nella stessa zona dove egli trovò il petrolio che riuscì a mettere sul mercato (per es. Tempa Rossa, in Basilicata), oggi traiamo il 10% del nostro fabbisogno nazionale, purtroppo con metodi da molti giustamente condannati.
Ma questa è un’altra storia e sicuramente oggi l’Abate sarebbe in prima fila nelle lotte per il rispetto ambientale.
La teoria abiotica dell’Abate, seguita allora solo da pochi scienziati (tra questi i suoi allievi Taramelli e Mercalli) non fece breccia nel mondo scientifico ufficiale.
Bisognerà attendere oltre 80 anni per assistere alla clamorosa affermazione della teoria abiotica di Stoppani per mano della scuola ucraina di geologia. Mobilitati da Stalin negli anni ’50 del secolo scorso, gli scienziati ucraini (molto evoluti) riuscirono a trovare il petrolio in Siberia (a profondità di chilometri) facendo della Russia uno dei principali produttori mondiali di petrolio — peraltro non avendo alcuna idea dell’esperienza pratico-teorica di Stoppani.
Per l’altro grande tema per cui Stoppani può essere considerato scienziato di genio — la concettualizzazione della attuale nostra era come Antropocene — ti rimando a quanto ne dico più sotto nel dialogo che svilupperò con il Sindaco a proposito del discorso con cui ha malamente inaugurato la targa di cui stiamo discutendo.
Lo scrittore.
Sai o no che per tutta la vita Stoppani è stato un formidabile educatore collettivo? che traeva grande soddisfazione dalla comprensione da parte dei meno colti dei problemi della scienza e della ricerca?
E non hai mai realizzato che ha dedicato gli ultimi vent’anni di sua vita a essere il più efficace promotore della Lecco di Manzoni?
E che sia stato un efficace scrittore, prolifico autore di tante importantissime opere, ne sei consapevole?
Tra queste sono certo da ricordare il «Corso di Geologia» del 1871, un’opera riconosciuta a livello mondiale come di grande livello per l’efficacissima sistematizzazione delle tante acquisizioni della geologia dell’Ottocento, ricca anche di osservazioni critiche dell’ipotesi darwiniana — tutte scientifiche — alle quali nessuno mai ha risposto (né allora né oggi) se non con insulti infantili.
E «Acqua e Aria – La Purezza del mare e dell’atmosfera» del 1875, una troppo poco citata esposizione della concezione scientifico-filosofica di Stoppani, frutto di seguitissime conferenze pubbliche da lui tenute in Milano e che egli considerò sempre la sua opera migliore (Papa Leone XIII gliene fece di persona i complimenti).
E «Il Bel Paese» del giugno 1876 — che non è una descrizione turistica dell’Italia ma la memoria della ricerca per nuove energie all’Italia e insieme il proprio “programma elettorale” per le elezioni del novembre.
E «L’Era Neozoica» del 1880, raccolta originalissima di tutte le sue acquisizioni e teorie sui fenomeni della glaciazione, allora (e oggi) al centro dell’attenzione anche della politica.
E «Il Dogma e le Scienze Positive» del 1884 una delle più acute indicazioni di come la religione dovrebbe porsi nei confronti dello sviluppo della scienza.
Una piccola curiosità: di copia di questo libro gli fece fare espressa richiesta Re Umberto I attraverso M. Valerio Anzino, Cappellano di Corte, anch’egli rosminiano. Nel Fondo Stoppani a Villa Manzoni di Lecco vi è la minuta della risposta di Stoppani al Re, la cui lettura ci è facile grazie alla pazienza e competenza di Ettore Penasa, professore in Lecco negli anni ’50 del secolo passato e ottimo ricercatore della vicenda di Stoppani — a lui siamo debitori per molti spunti biografici e a cui, nel Bicentenario dell’Abate, bisognerebbe pur dire un qualche cosa di sensato.
Hai mai pensato a tutto ciò?
Sì? E allora perché hai redatto quella targa così muta, così insulsa, così banale, così all’opposto del carattere e dell’esperienza dell’uomo cui è intestata? Perché non hai almeno seguito le precise indicazioni che circa il testo della targa ha messo nero su bianco il Dirigente della Sezione 5 del Comune?
Perché non ci hai messo un po’ di testa? perché non hai consultato chi poteva aiutarti? in primo luogo i cittadini di Lecco.
Sono certo che se tu avessi sottoposto il testo della targa a consultazione popolare, ne sarebbe uscito qualcosa di bello, vicino alla realtà e rispettosa di Antonio Stoppani, in quel tuo testo così immiserito e depresso.
… perché per ricordare la sua nascita gli hai fatto una targa da cimitero?
Abbiamo lasciato per ultimo l’aspetto estetico e funzionale della targa, in realtà la prima cosa che balza all’occhio di tutti.
La targa è per ricordare i 200 anni della nascita — della nascita!: perché cavolo hai scelto un marmo nero, che a tutti fa venire subito in mente la morte, la tomba.
Tra l’altro quella pietra non è neanche di casa nostra: sei andato a scegliere un Marmo Nero che oggi si estrae in Spagna o in Sud Africa.
Per carità, niente contro gli altri popoli ma con tutte le bellissime pietre che abbiamo in Italia, perché rivolgersi all’estero per una targa dedicata proprio allo Stoppani, grande esperto di mineralogia?
La cosa non è drammatica — è però un segno di disattenzione, di superficialità: che ci voleva a scegliere una bella pietra magari proprio di questa zona, delle Orobie, battute e studiate dal nostro per decenni?
Tra l’altro — è questa una cosa cui non hai certo fatto caso — nel commento al XX Congresso dei geologi che si tenne nel 1911 a Lecco, si ricorda che Stoppani considerava il marmo nero di Varenna come la pietra più bella del mondo!
C’è poi un’altra cosa importante che si insegna all’asilo della comunicazione: le scritte chiare su fondo scuro sono del 20% meno leggibili rispetto al contrario — lettere scure su fondo chiaro.
Quella targa, oltre a essere insulsa è anche poco leggibile: puoi scommettere che quando si sarà depositata un po’ di polvere nell’incisione delle lettere, si leggerà ancora meno — bisogna proprio toglierla da quel muro …
… te ne suggeriamo noi un’altra sicuramente più adatta!
Siccome so che anche tu hai testa e cuore, ti propongo qui una alternativa a quella miserevole targa scoperta dal Sindaco della città il 15 agosto.
Abbiamo considerato lo stesso ingombro (la nostra è solo 4 centimetri più alta) ma con le scritte scure su fondo chiaro. Il marmo potrebbe essere un Zandobbio o altro simile, cavato nel territorio delle Orobie, amatissimo da Stoppani.
Naturalmente ci sono un po’ di caratteri in più, ma il costo sarà solo di poco superiore agli 800 euro già malamente spesi.
Guarda con attenzione questa ipotesi di targa che ti proponiamo. Fai le tue considerazioni: certamente ti verrà in mente qualche variante utile e di buon senso: siamo aperti a ogni suggerimento.
Se la nostra proposta ti piace, premi sull’Amministrazione perché si cambi quella targa insulsa e la si sostituisca con questa che ti proponiamo o con un’altra altrettanto coerente con la figura di Stoppani.
Se all’Amministrazione hanno problemi per i quattrini, non ti preoccupare, quei 1.000-1.200 euro che servono per la nuova targa li raccogliamo in poco tempo tra i cittadini della nostra Lecco — che ha più testa e cuore dei suoi Amministratori.
Coraggio, datti da fare!
Questa la targa insulsa e offensiva per l’Abate Stoppani e la città di Lecco!
Quella da eliminare!
Qui sotto invece la nostra alternativa, sicuramente più adeguata.