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21 dicembre 2017
Quando il passato sostiene il presente
Esattamente 80 anni fa, il 21 dicembre 1937, si ricordò in Parigi il ritorno alla religione di Manzoni, che una certa tradizione fissa al 2 aprile 1810.

Nel nome di Manzoni per stringere la “mano tesa ai cattolici” del Front Populaire di Blum.

Papa Pio XI, pressato dalla “statolatria” del regime fascista e dal “neo-paganesimo” della Germania nazista, anche attraverso il nome di Manzoni, alla fine del 1937 volle indicare i criteri etico-culturali di una possibile collaborazione tra Vaticano e Fronte Popolare francese.
Al contempo cercò di proporre la struttura culturale cattolica come il più coerente tutore della memoria e del magistero di Alessandro Manzoni in Italia.
Sopra, la Chiesa di Saint-Roch a Parigi.
Sotto, la targa in marmo murata su un pilastro della chiesa il 21 dicembre 1937 (“Alessandro Manzoni parisien”, Istituto Italiano di Cultura di Parigi, 1953 e, più sotto, la targa da una foto attuale, cortesia di www.atrieste.eu).
Il 21 dicembre 1937, esattamente 80 anni fa, nella Chiesa di Saint-Roch a Parigi, venne ricordato con una pubblica cerimonia, organizzata da un Comitato misto italo-francese, il ritorno di Alessandro Manzoni ai principi religiosi del suo battesimo.

Sulla targa in marmo, murata in quel giorno nella chiesa, si legge:
«EN CETTE EGLISE / LE CELEBRE ECRIVAIN ITALIEN / ALEXANDRE MANZONI / RETROUVA LA FOI DE SON BAPTEME / LEAVRIL 1810».
(«In questa Chiesa / il celebre scrittore italiano / Alessandro Manzoni / ritrovò la fede del suo battesimo / il 2 aprile 1810»).

La cerimonia, affollata e fastosa (vi fu anche un concerto con musica scritta appositamente da Delafosse sul brano «Noi ti imploriam placabile – Spirto discendi ancora» dell’inno La Pentecoste di Manzoni) si svolse alla presenza del Vescovo Valerio Valeri, Nunzio Apostolico in Francia; di una folta delegazione di autorità religiose e civili francesi.

Tra queste, Richard (per il Consiglio municipale di Parigi) ed Enriquez, capo di Gabinetto del Ministero dell’Educazione, in rappresentanza del Ministro Jean Zay, grazie al quale – in deroga alla legge – era stato consentito di apporre la targa di memoria al Manzoni (Zay, di origini ebraiche e di fede protestante, fu uno dei ministri del Front Populaire più stimati per le ampie riforme progressiste introdotte nel sistema scolastico; fu poi assassinato nel 1940 da membri della Milizia di Vichy per la sua opposizione al collaborazionismo con la Germania nazista).

Il senso dell’iniziativa fu illustrato da un lungo e molto articolato discorso (oltre cinquanta minuti) dell’Accademico di Francia Georges Grente, Vescovo di Mans, incentrato sul significato della conversione di Manzoni anche per i suoi riflessi sulla contemporaneità.

La cerimonia fu presieduta dal Cardinale Jean Verdier, arcivescovo di Parigi, notoriamente di orientamenti democratici.

Due giorni dopo, il 23 dicembre nel suo discorso di Natale ai parigini, lo stesso Cardinale Verdier espresse per la prima volta, chiaramente e a nome del Papa, l’intenzione di stringere la “mano tesa ai cattolici”, offerta dai comunisti francesi come aspetto originale delle alleanze proposte dal Front Populaire di Léon Blum, giunto al governo nel giugno del 1936.

Prima di arrivare a questa cerimonia vi furono due anni esatti di preparazione culturale e diplomatica, condotta da un Comitato misto italo-francese, attivo sia in Italia sia in Francia.

Questo era composto da figure importanti del mondo cattolico dei due Paesi: ne era Presidente Onorario il già ricordato Cardinale Jean Verdier, arcivescovo di Parigi; Presidente effettivo il conte Giuseppe Dalla Torre (dal 1920 al 1960 direttore de L’Osservatore Romano, gran comis laico della diplomazia del Vaticano).

Tra i suoi membri, per parte francese, gli Accademici di Francia George Goyau (storico della chiesa) e Louis Medelin (studioso del periodo napoleonico); Padre Gillet (Superiore dei Predicatori Domenicani); Mons. Auguste Boudinhon (Rettore di S. Luigi dei Francesi); Mons. Renato Fontenelle (canonico di S. Pietro) e come Segretario Robert Jacquin, professore a Notre Dame.

Per parte italiana (tutti molto attivi e non di pura facciata) contava il Senatore e opinionista marchese Filippo Crispolti; il critico e teorico del teatro Silvio D’Amico; il manzonista don Cesare Angelini; il già convinto ateo, l’Accademico d’Italia Giovanni Papini, creatore di riviste che lasciarono un segno profondo nella cultura laica italiana del primo Novecento (Il Leonardo, La Voce, Lacerba), autore nel 1921 del religiosissimo libro “Storia di Cristo”, tradotto in oltre venti lingue di tutto il mondo.

Ma, prima di tutti, dobbiamo ricordare come ideatore dell’intero progetto (assieme a Dalla Torre), Padre Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica di Milano; anch’egli già ateo militante ma dal 1911 protagonista della cultura cattolica italiana per oltre cinquant’anni.

A lui si deve alla fine del 1935 l’avvio del lavorio in Francia e in Italia che portò, due anni dopo, alla cerimonia del 1937, propedeutica al dialogo con il Fronte Popolare, in contraddizione solo apparente con le sue non celate posizioni pubbliche di appoggio al regime mussoliniano su certi aspetti della vita politica e sociale.

A Gemelli si deve anche il dibattito, a tratti anche aspro e alla vicenda della targa ben collegato, con l’ideologo del regime Giovanni Gentile su chi e come si dovesse in Italia gestire la figura e l’opera di Manzoni.

Papa Pio XI e la memoria di Manzoni

Sullo sfondo, a indirizzare e ispirare – anche operativamente – l’intera azione del Comitato fu Papa Pio XI, grande estimatore non solo del talento artistico di Manzoni ma soprattutto del suo carisma nella divulgazione della dottrina cattolica.

Riteniamo opportuno ricordare qui che dei venti discorsi pronunciati da Pio XI tra il febbraio 1922 e il dicembre 1938, solo due riportano parole di una figura non appartenente alla tradizione cristiana e alla gerarchia ecclesiastica

Padre Agostino Gemelli e Giuseppe Dalla Torre.
Spesso in disaccordo su aspetti anche importanti degli orientamenti politici (Dalla Torre era un convinto democratico) per decenni formarono una coppia estremamente efficace e determinata per l’affermazione del cattolicesimo in Italia e in Europa.
Entrambi i discorsi sono della seconda metà del 1936 ed entrambi citano ampiamente e direttamente Alessandro Manzoni, come riferimento etico-culturale di due momenti della risposta che Pio XI diede sul piano dei principi generali del cattolicesimo alla offerta di collaborazione avanzata da Maurice Thorez, segretario del Partito Comunista Francese, il 17 aprile 1936, nell’ultimo discorso (radiofonico, quindi con un pubblico vastissimo) prima delle elezioni che portarono al governo il Front Populaire di Léon Blum, con l’appoggio esterno dei comunisti.
Vediamoli:
Il primo, 12 maggio 1936 (dall’Archivio Web del Vaticano).
«SIAMO ANCORA» – Allocuzione di Sua Santità Pio XI in occasione dell’inaugurazione dell’esposizione mondiale della stampa cattolica.

«La Chiesa riconosce allo Stato la sua propria sfera d’azione e ne insegna, ne comanda il coscienzioso rispetto; ma non può ammettere che la politica faccia a meno della morale e non può dimenticare il precetto del divin Fondatore che, secondo la forte e profonda espressione del nostro grande Manzoni [4], le comandava di occuparsi in proprio, “di impadronirsi della morale” dovunque essa entra e deve entrare: “docentes eos servare omnia quaecumque mandavi vobis” [5].

[4] Osservazioni sulla morale cattolica, cap. III, in principio. [5] Matth., XXVIII, 20.

In questo discorso Pio XI cita il Manzoni apologista, affiancandolo direttamente all’evangelista Matteo. È la risposta diretta al discorso di Thorez del 17 aprile 1936 già ricordato. Pio XI ribadisce la fedeltà dei cattolici alle proprie convinzioni religiose che non possono entrare in contrasto con le opportunità della politica.

L’analisi di questi aspetti ci porterebbe molto lontano e sarà oggetto di successive trattazioni. Qui vogliamo solo segnalare che con questo richiamo Pio XI volle rivolgersi sia al comunista Thorez (accusato per questo di opportunismo dalla destra francese, che premeva per uno schieramento anti-socialista del Vaticano) sia alle tendenze, in Francia molto attive, del cattolicesimo di base, vicino nella quotidianità all’ambiente popolare e resosi subito disponibile alla collaborazione con il Front Populaire.

Il secondo, 14 settembre 1936 [Archivio Web del Vaticano]
«LA VOSTRA PRESENZA» – Allocuzione di Sua Santità Pio XI ai vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli profughi dalla Spagna.

Due le citazioni di Manzoni:

a. «Fu ben detto che il sangue di un uomo solo sparso per mano del suo fratello è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra [10]; che dire in presenza delle stragi fraterne che ancora continuamente si annunciano?»
[10] A. Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica, cap. VII, dopo l’inizio.
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b. «Si è detto in questi ultimi giorni che Religione e Chiesa Cattolica si sono mostrate impari e inefficaci contro quelle sciagure e quei mali, e si è creduto di darne prova coll’esempio della Spagna e non di essa sola. Quadra pienamente a questo proposito l’osservazione di A. Manzoni: “per giustificare la Chiesa non è mai necessario ricorrere a degli esempi: basta esaminare le sue massime” [11]. L’osservazione è evidente oltreché solida e profonda.»
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[11] A. Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica, cap. VII.

Pio XI (al mondo, Achille Ratti – Desio, 31 maggio 1857) fu Pontefice dal 1922 al 10 febbraio 1939. In gioventù fu legato alle figure del modernismo cattolico di fine 800, che gli diedero una memoria evoluta della figura di A. Manzoni, a fine ’800 visto con non particolare simpatia dalla gerarchia vaticana per il suo dichiarato appoggio a Roma capitale.

Dal mondo ideale di Manzoni, Pio XI mutuò molto della sua netta avversione per le teorie e la pratica razzista attuata dalla Germania nazista e dall’Italia fascista.

Il giovane Ratti fu allievo negli studi di scienze naturali di Giuseppe Mercalli (l’ideatore dell’omonima scala dei terremoti), a sua volta allievo e stretto amico dell’Abate Stoppani. Nel corso di questa sua esperienza giovanile Ratti fu incaricato da Mercalli di redigere il XII capitolo della sua opera sui terremoti di Italia (Vulcani e fenomeni vulcanici in Italia – Vallardi, 1883), nel quale lo scienziato-geologo sistematizzava con un grande apparato storico-statistico le idee di fondo sui fenomeni tellurici tracciate nei decenni precedenti dall’Abate Stoppani e dallo stesso esposte in forma discorsiva nel suo “Il Bel Paese” (assieme alle “Osservazioni sulla morale cattolica” di Manzoni, uno dei libri sempre presenti sulla scrivania di Pio XI).

Il XII capitolo, curato da Ratti, si intitola «I terremoti storici italiani», ed è un utile catalogo che descrive in sessanta pagine più di mille sismi avvenuti fra il 1450 avanti Cristo e il 1881.

Sopra: Papa Pio XI al tavolo di studio. Achille Ratti fu per formazione e temperamento uno studioso, esperto nelle lingue antiche e medio-orientali.
Sotto: (al centro del gruppo) durante un’escursione alpinistica (buon arrampicatore, il giovane Ratti conosceva a fondo tutta la catena delle Prealpi lombarde).

Con questo discorso Pio XI cercava di mantenere la Chiesa in equilibrio tra le forze in campo nella Spagna squassata dalle prime battute della guerra civile e di sottrarre il Vaticano al richiamo sempre più pressante che le forze antidemocratiche e golpiste spagnole facevano perché si arrivasse alla “crociata” contro il Frente Popular spagnolo, omologo del Front Populaire francese, che aveva lanciato la proposta di una alleanza contro le dittature.

Non si fa fatica a comprendere come in discorsi ufficiali del Pontefice questi richiami, così inusuali e straordinari, a Manzoni, a un laico, già ateo e giacobino, aspirante cantore di una campagna di scristianizzazione nell’Italia del primo ’800, e poi divenuto uno dei più efficaci apologeti del cattolicesimo contemporaneo dovessero colpire le immaginazioni e collegarsi immediatamente al parallelo lavorio per la posa della targa in Saint-Roch, segno simbolico di come la Chiesa si potesse mostrare aperta ma nella più rigida difesa della propria fisionomia.

Al di là del quadro esistenziale che ognuno può coltivare, non si può non riconoscere un ottimo livello di comprensione delle forze in campo a questa azione di comunicazione vaticana.

La cerimonia del 21 dicembre 1937 fu in effetti un evento molto ben meditato che ebbe un notevole riscontro mediatico (soprattutto in Francia) e che ripropose, in evidente relazione a momenti importanti della vita collettiva internazionale, l’attualità culturale e sociale di Alessandro Manzoni, dimostratasi intatta a oltre sessant’anni dalla sua scomparsa.

Sulla base di una specifica ricerca che il nostro Centro Studi Abate Stoppani va conducendo con documenti anche inediti, riteniamo di potere affermare che da parte di Pio XI e del suo Segretario di Stato, Cardinale Pacelli (sarà Pio XII nel 1939) quella cerimonia del 21 dicembre 1937 fu pensata e gestita come tassello culturale di una più ampia azione politico-diplomatica, tesa a definire un piano di collaborazione tra il Front Populaire francese di Léon Blum e il Vaticano, sempre più minacciato dall’aggressività dei regimi anti-democratici di Germania e Italia, che lo stesso Pio XI definì come “neo-paganesimo” hitleriano e “statolatria” mussoliniana.

Nonostante questa sua ampia valenza, di questa cerimonia e del suo significato politico-culturale si perse quasi immediatamente ogni traccia.

Il rapido esaurimento del Front Populaire di Blum e di Deladier; la morte di Pio XI (febbraio 1939) e poi l’inizio della guerra europea con l’invasione della Polonia da parte della Germania (settembre 1939) vanificarono infatti le ipotesi culturali e politiche che ne erano state le precondizioni.

Riteniamo inoltre che i drammatici sviluppi della situazione internazionale suggerissero agli stessi protagonisti di quell’episodio di metterne in ombra sia le motivazioni di fondo politico-diplomatiche sia il ruolo delle figure che ne avevano animato l’attività.

A sostegno immediatamente recepibile di questa nostra valutazione (diciamo esplicitamente “nostra” ritenendo di essere in assoluto i primi a sviluppare questo tema), per il momento pensiamo possano essere sufficientemente stimolanti due richiami documentali.

Il primo è di uno dei protagonisti dell’intera vicenda, il già ricordato direttore dell’Osservatore Romano e, nell’azione e nella comunicazione, l’anima propulsiva del Comitato promotore.

Nel suo “Memorie” (1965, pag. 127) Dalla Torre, pur sottacendo il proprio ruolo e non esponendo le finalità meno evidenti di quella cerimonia, fece intuire come essa fosse nel 1937 di stretta attualità:

«Nel dicembre 1937 partecipai alla inaugurazione di una lapide ad Alessandro Manzoni, nella Chiesa di San Rocco a Parigi. […] La solennità inaugurale, alle sei di sera, fu presieduta dal cardinale arcivescovo Verdier [… che …] chiuse la cerimonia con la benedizione eucaristica nel tempio affollato di accademici, di maestri, di elettissimo pubblico, assente l’ambasciatore d’Italia. Non c’era che il console generale Durazzo, intervenuto di propria iniziativa.
L’Ambasciata aveva creduto opportuno non farsi viva, perché l’iniziativa non aveva avuto né all’inizio né al suo compimento il minimo cenno fascista. Si parlò poi di un equivoco. Era meglio tacere.»

Il secondo richiamo, esplicitamente collegato al già ricordato discorso natalizio ai parigini del Cardinale Verdier e, implicitamente, al ricordo di Dalla Torre, è di Galeazzo Ciano, dal giugno 1936 Ministro degli Esteri del Governo Mussolini (Diario 1937-1943, 24 dicembre 1937, il giorno successivo al discorso di Natale del Cardinale Verdier già ricordato):

«Ho fatto fare un passo da Pignatti a Pacelli per l’atteggiamento filo-comunista del Cardinal Verdier. La Chiesa è troppo equivoca in certi suoi contatti con le sinistre. Mi rendo conto delle difficoltà create dall’urto con la Germania, ma il Vaticano va troppo oltre e mette in pericolo i suoi rapporti con noi. Mussolini dice che è pronto a spolverare i manganelli sulla groppa dei preti. Aggiunge che da noi ciò è facile perché il popolo italiano non è religioso. È soltanto superstizioso.»

A parte il tono gogliardico-squadrista, la valutazione di Ciano (di cui si ritiene una diretta responsabilità nell’omicidio dei fratelli Rosselli del giugno di questo 1937 di cui parliamo) rifletteva con precisione lo stato dei rapporti tra Vaticano e i regimi totalitari di Germania e Italia, all’interno dei quali si collocava la vicenda di quella targa in una chiesa di Parigi, a memoria del massimo scrittore del nostro Risorgimento, non a caso proprio in quel medesimo torno di tempo al centro di un dibattito, a tratti anche aspri, tra Padre Gemelli e Giovanni Gentile sul chi e sul come si dovesse gestire in Italia la figura di Manzoni.

Gemelli premeva per una co-gestione tra mondo cattolico e regime e indicava l’Università Cattolica come punto di riferimento. Gentile invece, nel quadro della mussoliniana fascistizzazione della cultura, spinse per la costituzione (luglio 1937), con se stesso Presidente incontrastato e con sede nella Casa di Manzoni di Via Morone in Milano, del Centro Nazionale di Studi Manzoniani.
Lo stesso che ha ancora lì la sua sede. Con altro spirito e obiettivi naturalmente (è oggi organismo di diritto privato) ma il comitato scientifico (Consiglio Direttivo) è ancora di nomina ministeriale.

Come già accennato, nel quadro della più ampia analisi sulla formazione del giovane Manzoni, attorno a questa cerimonia e al suo contesto storico il nostro Centro Studi Abate Stoppani va conducendo da tempo una ricerca che si va rivelando molto fruttuosa.
In attesa di una trattazione più ampia, che vedrà la luce fra alcuni mesi, vogliamo ora, in occasione degli ottanta anni da quel 21 dicembre 1937, proporre alcuni spunti della nostra ricerca, relativi all’avvio del progetto.

Documenti inediti o dimenticati

Si tratta di sei documenti (due articoli a stampa, quattro lettere) che indicano come l’intero progetto, su istanza italiana (protagonisti Padre GemelliDalla Torre), venne fatto partire dalla Francia, avendo come protagonista l’Abate Henry Couget, curato della chiesa di Saint-Roch, che sarà naturalmente parte attivissima del Comitato promotore e protagonista ospitante della cerimonia del 21 dicembre 1937.

1. Articolo a stampa scritto dall’abate Couget, curato della Chiesa di Saint-Roch, sul bollettino parrocchiale “Le Messager de Saint-Roch” (Gennaio 1936).
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2. Articolo a stampa, scritto da Giuseppe Dalla Torre, direttore de L’Osservatore Romano, apparso sulla rivista “Vita e Pensiero”, fucina editoriale del cattolicesimo militante, diretto da Padre Gemelli (Aprile 1936).
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3. Lettera di Dalla Torre all’Abate Couget, di commento all’articolo dell’Abate con l’invio del proprio (22 aprile 1936).
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4. Lettera di risposta dell’Abate Couget a Dalla Torre, con ringraziamenti e annuncio di pubblicazione dell’articolo di Dalla Torre sul bollettino della chiesa di Saint-Roch (28 aprile 1936).
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5. Lettera di Dalla Torre al Vescovo Valerio Valeri, Nunzio Apostolico in Francia, di annuncio della costituzione del Comitato promotore (25 marzo 1937).
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6. Lettera di risposta del Vescovo Valerio Valeri a Dalla Torre con l’augurio di buon lavoro per il Comitato (3 aprile 1937).

Con questi sei documenti, che indicano proprio il momento di avvio del progetto “cerimonia per la targa a Manzoni”, conclusosi il 21 dicembre 1937, iniziamo a porre nella disponibilità pubblica i primi risultati della nostra indagine.

Documento 1Le Messager de Saint-Roch
Bulletin Paroissial Mensuel / Gennaio 1936 – N 1 – pp. 5-10

[nostra traduzione dal francese]

Manzoni si è convertito a Saint-Roch?

Prima di tutto, chi era Manzoni?
Celebre poeta e romanziere italiano, il conte Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1784 [sic]; da parte di madre, era nipote del marchese Beccaria, scrittore italiano in relazioni con i filosofi francesi del 18º secolo e imbevuto egli stesso delle nuove idee. Nel 1805 Manzoni pubblicò a Parigi la sua prima composizione in versi “In morte di Carlo Imbonati”.

Malgrado la sua educazione filosofica e volterriana, e malgrado le sue amicizie francesi allacciate nel seno della “Società di Auteuil” di cui fu membro, egli si sentiva, soprattutto dopo il suo ritorno in Italia e dopo il suo matrimonio, attirato dal cattolicesimo.
La sua conversione ebbe una grande influenza sulla sua produzione letteraria; abbandonando ormai le forme pagane, egli inaugura quel genere di lirismo religioso, che presto sarà lo stesso, almeno ai loro inizi, dei nostri grandi romantici, Lamartine e V. Hugo. Nel 1810 [sic] fece apparire i suoi Inni Sacri, dedicati alle principali feste della religione cattolica. Il suo più celebre romanzo, pubblicato a Milano nel 1827, “I Promessi Sposi” (Les fiancés), lo resero veramente popolare e confermò la sua gloria di gran poeta religioso. Quando morì, nel 1873, Milano gli tributò funerali degni di un re.

Una tradizione, riportata da molti scrittori, vuole che la conversione di Manzoni ebbe luogo, a Parigi, nella Chiesa di Saint-Roch, nella sera del 2 aprile 1810, giorno del matrimonio di Napoleone 1º con l’Imperatrice Maria-Luisa.

Cosa bisogna pensarne?

Sarebbe bello avere su questo punto una dichiarazione di Manzoni stesso, tratta dalle sue opere o dalla corrispondenza.
In mancanza di ciò, dobbiamo alla cortesia dell’eminente Rettore della Università Cattolica di Milano, il M.R. Padre Gemelli (1) la comunicazione di alcune testimonianze.

(1) Il Padre gemelli, medico italiano entrato nell’ordine dei Francescani, è un uomo molto preparato di cui i colleghi apprezzano la competenza. Egli ha tenuto alla Sorbona, il 23 e il 25 maggio scorso, su invito della Società di psicologia di Francia e della Società di linguistica, due conferenze esponendo i risultati delle sue ricerche sull’analisi elettroacustica del linguaggio

Le testimonianze si possono classificare in due gruppi: da un lato, i confidenti di Manzoni: Giovani Arrivabene, Giacomo Zanella e Stefano Stampa; dall’altro, gli scrittori che si sono fatti portatori di elementi tramandati: Giulio Carcano, Fabris e Giuseppe Giusti. Queste testimonianze concordano su molti punti, in particolare: 1º sul come il poeta effettivamente si convertì al cattolicesimo; 2º sul luogo da cui partì questa conversione, indicata in Parigi; tutti salvo uno (Fabris), dicono in una chiesa.

Quale chiesa? Tre, di cui due tra i confidenti di Manzoni, designano la chiesa di San Rocco (Arrivabene, Carcano, Zanella).
In quale data si sarebbe verificata questa conversione? Durate uno dei soggiorni di Manzoni a Parigi; ma quale? Durante il suo matrimonio, poiché gli è vicina la giovane moglie (Zanella, Fabris, Giusti). Uno solo, Fabris, dà una data precisa: nel 1810, durante il matrimonio di Napoleone 1º.

Cosa determina il ritorno di Manzoni al cattolicesimo? Quali furono le circostanze e le condizioni nelle quali si verificò questa evoluzione religiosa? Qui, i nostri autori differiscono su parecchi punti, anche se non vi è contraddizione assoluta nelle loro testimonianze.
Bisogna del resto rimarcare che questi scrittori hanno tutti pubblicato il racconto di questa conversione molto tempo, anche moltissimo tempo dopo che essa si verificasse. Non siamo dunque in presenza di documenti contemporanei, o quasi, all’evento. La tradizione orale ha potuto mantenersi per 65 anni, senza rischiare di subire qualche deformazione? Chi potrebbe affermarlo? Se questa deformazione ci fosse stata, essa non riguarderebbe che qualche dettaglio, poiché l’accordo tra questi scrittori è completo in relazione al fatto e alle circostanze principali, come abbiamo visto.

Le testimonianze citate concordano nel dire che una forte emozione fu all’origine di questa conversione: ma essi differiscono sul carattere di questa emozione.

Secondo Carcano, si tratterebbe di una crisi “intellettuale”, di una inquietudine religiosa, in particolare sull’esistenza di Dio. La “preghiera tormentata”, di cui parla Zanella, sarebbe del medesimo tipo?

Seguendo Arrivabene, vi sarebbe una “emozione artistica” alla base dell’evento: «Le note armoniose e soavi di un canto religioso arrivarono al suo udito. Egli entrò nel sacro luogo e ne uscì tutto commosso, cattolico e cattolico fervente».
Il figliastro di Manzoni, Stefano Stampa, attribuisce a un malessere passeggero la causa occasionale di questa conversione. Fabris va oltre e parla di una crisi di nervi. Giusti ricorda che Manzoni e la moglie si rifugiarono in una chiesa per sfuggire al pericolo di essere schiacciati dalla folla in preda al panico.

Queste divergenze sui dettagli si spiegano con la differenza dei punti di vista da cui si pongono questi autori; ma esse non sono inconciliabili.

Si potrebbe congetturare che le cose hanno potuto andare nel modo seguente:
Manzoni è agitato da una inquietudine religiosa. L’esistenza di Dio, in particolare, è un problema che lo preoccupa, e d’altra parte, egli si sente attratto verso il cattolicesimo. Il giorno del matrimonio di Napoleone 1º (2 aprile 1810), egli si trova con sua moglie mescolato alla folla in festa di Parigi. Si lanciano dei fuochi di artificio. Improvvisamente il panico, provocato forse dalla caduta di un petardo in fiamme, si impadronisce della moltitudine. È la corsa. Tutti vogliono fuggire, si gettano gli uni sugli altri, si scontrano, si colpiscono. La moglie di Manzoni rischia di essere soffocata; è già soffocata e il poeta ha l’impressione che essa gli morirà tra le braccia. La giovane coppia riesce infine a liberarsi e si rifugia nella chiesa di Saint-Roch, dove si celebrava una messa. L’emozione è stata così forte che Manzoni, a sua volta, si sente preso da un mancamento. Si siede “per lasciare passare il malessere”. La soavità dei canti religiosi, la tranquillità della chiesa, la consapevolezza che il pericolo è svanito gli rendono poco a poco la calma e contribuiscono a fargli riprendere le forze. Sente allora agitarsi in sé le potenze segrete che lo spingono verso il cattolicesimo. I suoi dubbi sull’esistenza di Dio gli ritornano alla mente; ma il sentimento che sua moglie e lui stesso sono sfuggiti a un grave pericolo lo scuotono e gli ispirano una ardente preghiera di riconoscenza. È per lui come una resurrezione. Egli si alza “credente” ed esce dalla chiesa «tutto commosso, cattolico, e cattolico fervente».

Questo tentativo di spiegazione non è senza dubbio che un’ipotesi, che ha però almeno il vantaggio di accordarsi con tutte le testimonianze riportate più sopra.

H. Couget
Canonico onorario
Curato di St-Roch.
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N.B. – Questo articolo stava per essere stampato quando abbiamo saputo che il marchese Piero Fossi ha appena [***] pubblicato, a Firenze, un’opera su Manzoni, nella quale si farebbe menzione della conversione del poeta, nella chiesa di Saint-Roch.
Se troveremo nuovi documenti, torneremo su questo argomento.

*** [Nostra nota: Abbiamo tradotto fedelmente da Couget «… on nous apprend que le marquis Piero Fossi vient de publier, à Florence, un ouvrage sur Manzoni …»
Ricordiamo che il libro di Piero Fossi venne pubblicato da Laterza nel 1933. Ma Couget mentre scrive non ha di sicuro sotto mano il libro di Fossi. Quindi il senso di quella espressione “appena”, deve essere contestualizzata e riferita a notizie che gli venivano dall’Italia].
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Testimonianze trasmesse dal M.R. Padre Gemelli

da Giovanni Arrivabene:
«Un giorno, essendo Manzoni a Parigi, passò per caso davanti alla chiesa di San Rocco. Le note armoniose e soavi di un canto religioso giunsero al suo udito. Entrò nel santo luogo e ne uscì tutto commosso, cattolico e cattolico fervente.» (L’A. lo apprese dallo stesso Manzoni).***
Arrivabene: «Memorie della mia vita» (1795-1859). Firenze, 1879, p. 81, in nota.

*** [Nostra nota: evidentemente l’Abate Couget riferisce questa ultima circostanza in base al materiale che gli venne fornito e che, con riguardo ad Arrivabene, egli fa iniziare con «Un giorno, ecc.». Ma, nelle sue “Memorie”, Arrivabene, dice la cosa in altro modo: « Narrasi che un giorno, ecc.»
Ossia, Arrivabene è preciso nel dire che questo episodio egli lo riporta come sentito da altri, non da Manzoni, come invece riportato da Couget.

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Da Giulio Carcano:
«Quando era a Parigi (se non è indiscreto rivelare confidenze intimissime), egli era entrato un giorno nella chiesa di Saint-Roch, la mente tutta occupata da gravi pensieri che lo tormentavano. “Mio Dio, – aveva detto – se tu esisti, rivelati a me!” E da quella chiesa egli era uscito credente.»
Carcano: «Vita di A. Manzoni », Milano, 1873, pag. 11.
In una lettera a de Gubernatis, Carcano indica la sua fonte: «Il fatto è vero; le parole sono esatte. Manzoni le ripeté in una confidenza intima a uno dei suoi migliori amici … che me ne scrisse. (D. Natale Ceroli) e io non avrei mai osato cambiare una sillaba.»***
Carcano: “Epistolario”. Milano, 1896, vol. X, p. 442-443.

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Da Giacomo Zanella:
«Durante un viaggio che egli fece a Parigi con sua moglie, entrò un giorno nella chiesa di San Rocco, dove, dopo una tormentata preghiera, si rialzò credente, pensando da quel momento, come mi disse un giorno, all’inno della Resurrezione.»
Zanella: «Storia della Letteratura italiana dalla metà del 700 ai giorni nostri ». Milano, 1880, p. 219.

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da Stefano Stampa:
«Figlio della seconda moglie di Manzoni. Egli riporta di avere sentito raccontare dallo stesso Manzoni, in famiglia, che una volta, in Parigi, sentendosi male e sul punto di svenire … era entrato in una chiesa per sedersi e lasciar passare il malessere. La tranquillità della chiesa, la ripresa delle forze, la scomparsa della paura del male l’avevano disposto ad accogliere con maggiore simpatia quelle idee, dalle quali era già attratto.»
Stefano Stampa: «A. Manzoni. La sua famiglia, i suoi amici ».

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da Fabris:
«A proposito della crisi di nervi che lo prese nel 1815, alla notizia della sconfitta di Waterloo, Manzoni diceva: «L’impressione che ricevetti a quella notizia fu così forte, che mi riprese quella malattia nervosa, che mi era cominciata a Parigi cinque anni prima, quando mi trovai con mia moglie circondato dalla folla alle feste pubbliche per il matrimonio di Napoleone. Mia moglie corse il pericolo di essere soffocata, e io, vedendo questa cara sposa che mi veniva quasi a morire tra le braccia, fui preso da questa orribile malattia nervosa …»
Fabris: «Memorie Manzoniane ”. Milano, 1901, pag. 43.

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da Giuseppe Giusti:
«Grande amico di Manzoni, ricordò a una signora, nel 1845, questo episodio raccontato dallo stesso Manzoni: “Un giorno che Manzoni era con sua moglie a uno spettacolo, dove si lanciavano fuochi di artificio, un fuoco provocò degli inconvenienti. La folla si agitò, la gente fuggì all’impazzata. La giovane coppia corse un serio pericolo. Egli finì per trovarsi in una chiesa.»
«Scritti postumi di A. Manzoni», a cura di G. Sforza. Milano, 1900, p. 281.

Da queste testimonianze un poco differenti tra loro ma sicure e tutte d’accordo nell’affermare che in una chiesa di Parigi (Saint-Roch) vi fu un cambiamento improvviso in Manzoni, Garzia, Salvatori, Ruffini traggono questa conclusione:
«Sarebbe quindi in questa sera (ossia il 2 aprile 1810), durante le celebrazioni del matrimonio di Napoleone con Maria-Luisa) che si compì in Manzoni il cosiddetto miracolo della chiesa di Saint-Roch.»
(Vedi R. Ruffini: «La vita religiosa di A. Manzoni». Bari, 19310, vol. I, p. 172.)

*** Fine dell’articolo di Couget.***

Su questo articolo diremo di più, quando avremo terminato di raccogliere le prime elaborazioni giornalistiche che, soprattutto in Francia, cominciarono nel 1936 a proporre alla pubblica opinione il ricordo della conversione di Manzoni, formalizzata poi con la cerimonia del 21 dicembre 1937.

Vorremmo però già qui anticipare una considerazione sulla bibliografia fornita da Padre Gemelli a don Couget, curato di Saint-Roch.

Tra le diverse riportate da Couget, la nota di Carcano è forse la più interessante essendo una delle poche testimonianze a nostro avviso degne di fede nella congerie di dichiarazioni sulla conversione di Manzoni, per lo più estrapolazioni letterarie (alcune in buona fede, altre meno), riprese da non ben precisati “si dice”.

La fonte cui si riferisce Carcano è invece veramente affidabile, anche se poco richiamata dagli storici. Il sacerdote Natale Ceroli (detto da Carcano, “uno dei migliori amici di Manzoni”) fu quotidianamente e per oltre dieci anni l’assistente del Manzoni stesso per la gestione dell’archivio, della biblioteca e della corrispondenza di Via Morone.
Era inoltre, a volte con altri, ma per lo più da solo, l’accompagnatore di Manzoni nelle sue due ore di passeggiata quotidiana per le vie di Milano.
Nel corso di questa lunga e amichevole frequentazione Ceroli raccolse nella propria mente una messe notevole di ricordi e osservazioni di Manzoni, di cui la cerchia degli amici era ben consapevole. A lui quindi giustamente si rivolse Carcano nel preparare il discorso che pronunciò nell’agosto 1873 – a cui poi tutti fecero riferimento, ma spesso tagliando e cambiando a seconda dell’estro.
E allo stesso Ceroli si devono molte idee cui fece riferimento l’Abate Stoppani (a sua volta per trent’anni amico strettissimo di Ceroli) nello stendere il suo “I Primi anni di A. Manzoni”.

Data la serietà di Carcano, è però il caso di segnalare qui che la citazione che ne fa Couget (sulla base del materiale pervenutogli dall’Italia) è incompleta. Leggiamo tutto il brano di Carcano (Lettera a De Gubernatis del 6 maggio 1882):

«E prima di tutto, circa la storia o leggenda della conversione del Manzoni da quell’ora che uscì dalla chiesa di S. Rocco, mi par proprio che quanto io ne dissi in quelle poche pagine di ricordanza scritte poco dopo la di lui morte, [la già ricordata lettura dell’agosto 1873] non sia stato né ben capito, né bene interpretato. Io non ho mai pensato di far credere a un subitaneo rivolgimento di quella grande anima, a un miracolo.
Il fatto è vero; le parole sono testuali; il Manzoni le ripeté nella intima confidenza a uno de’ suoi migliori amici che per anni e anni gli fu assiduo visitatore, e di cui egli faceva altissima stima, e che me lo scrisse (Don Natale Ceroli), né io avrei osato mutarvi pure una sillaba. Del resto, in quella mezza pagina ov’io narrai la visita a S. Rocco, dissi precisamente così: “Fu questa (il matrimonio a Parigi) la prima occasione per il Manzoni di studiar meglio le cose religiose ; e da quell’ora sentì, meditò lungamente, né il mutamento del suo cuore fu l’opera del soave affetto e delle perdute illusioni giovanili; ma fu la conseguenza di una severa e profonda ricerca. La sua mente logica, incontentabile, lo conduceva a penetrare le ragioni della storia e della vita; e come nessuno più di lui seppe unire la fede con la libertà del pensiero, attenendosi, ecc. ecc. „ Come si può dire, dopo questo, ch’io narri e creda la conversione del Manzoni un miracolo? Ognuno sa che, nelle lotte del pensiero, v’è un momento in cui cessa la guerra del dubbio, e la volontà vince. E questo io credo che avvenne del poeta al momento che entrava in S. Rocco. Egli sentì e volle la fede, e l’ebbe in quell’ora la prima volta.»


Documento 2 – Articolo di Dalla Torre
[testo riportato con nostre piccole mende redazionali, puramente ortografiche].
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Vita e Pensiero – Rassegna italiana di cultura

Fascicolo IV – Aprile 1936 – XVI – pag. 171-173

Il medesimo contenuto venne presentato (ma senza firma) su L’Osservatore Romano del 12 aprile 1936, pag. 2 con il titolo “La Resurrezione del Poeta della resurrezione

La conversione del Manzoni avvenne in San Rocco a Parigi?

L’idea e il proposito di ricordare in S. Rocco di Parigi la conversione di Alessandro Manzoni, ha destato in Francia non meno che tra noi cordiale interesse.
Ma … ma, anche la via delle migliori iniziative è seminata di « ma». E i « ma » sono delle obbiezioni poste innanzi per non precipitare irreparabilmente le cose.
Non per la lapide che una volta posta per isbaglio può esser sempre rimossa – quantunque se tutte le lapidi sbagliate dovessero essere rimosse, il lapidato mondo stenterebbe a conservarne ben poche – sibbene per coloro che avessero commesso l’errore di Iasciarla murare.

E qui si tratta di una chiesa, di una chiesa celebre. In fatto di letteratura ed arte un pantheon addirittura. Si tratta della Francia, si tratta dell’Italia; si tratta di un nome di fama mondiale e del più gran fatto che si leghi a quel nome, perché senza di esso Alessandro Manzoni non sarebbe stato «il Manzoni!».

E le obbiezioni naturalmente son queste: l’episodio avvenne proprio in San Rocco? E fu proprio una conversione? Cioè la conversione folgorò nell’aristocratica chiesa di Parigi, o sotto le sue volte ebbe epilogo e conferma? È chiaro che se non si rispondesse affermativamente alle due domande, la preconizzata lapide non avrebbe, almeno in quel luogo, ragione di essere.

Il Canonico H. Couget, Curato di San Rocco, nel suo Bollettino parrocchiale di Gennaio s’è chiesto appunto: Manzoni s’è convertito a San Rocco? E dopo di aver detto ai suoi lettori « d’abord qui était Manzoni? » … ha risposto all’altra domanda conchiudendo anzitutto che se il Fabris e il Giusti parlano d’una chiesa, l’Arrivabene, il Carcano, lo Zanella indicano San Rocco; e in secondo luogo che a San Rocco, rifugiatosi con la moglie Enrichetta Blondel la sera del 2 aprile 1810, dopo aver corso pericolo di vedersela morire fra le braccia per la stretta della folla, dopo essersi sentito quasi mancare in quel pio rifugio ove echeggiavano dei soavi canti religiosi, sentì « agitarsi in lui delle forze secrete che lo piegano al cattolicismo ». I suoi dubbi sull’esistenza di Dio si riaffacciano al suo spirito; ma la coscienza che insieme alla moglie è sfuggito a un grave pericolo lo afferra e gli ispira una ardente preghiera di riconoscenza. Fu per lui come una risurrezione. Ei si rialza credente ed esce di chiesa tutto commosso, cattolico e cattolico fervente.

Un giornale italiano definì tutto questo « una ingegnosa ipotesi intorno al possibile avvenimento che affrettò la conversione del nostro grande Alessandro Manzoni » non senza notare che « un altro distinto sacerdote francese, il rev. Jolivet, professore di filosofia, aggiunge qualche cosa all’ipotesi; in modo però da renderla – se si voglia – superflua » e trovava « interessante rilevare come questa seconda congettura possa meglio della prima avvicinarsi ai fatti quali furono nella vita del poeta ed al carattere di lui ».
Per lo Jolivet cioè « la riconquista della Fede data sicuramente prima della burrascosa serata parigina del 1810»; tant’è vero che, a parte l’influenza religiosa spiegata nell’animo del Manzoni dalla moglie, per quanto calvinista, incline al cattolicesimo, le nozze, già contratte secondo il rito riformato il 6 febbraio 1808, « erano state celebrate secondo il vero rito cattolico nel febbraio 1810 » alla Maddalena, e quindi più di un mese innanzi l’incidente. È vero altresì che il Jolivet non ha potuto verificare se nel quarto volume delle opere del poeta ci sia un accenno alla sera del 2 aprile, ma gli sembra di poter dire comunque « che l’emozione provata dal poeta e dalla moglie può avere avuto semmai l’effetto di rafforzare una conversione lungamente maturata e conclusa con la accettazione del matrimonio cattolico ». Se mai, la sola Enrichetta si convertì a San Rocco, visto che il 22 maggio di quell’anno ella abiurò al calvinismo e si fece cattolica. E dire che Piero Fossi nel suo volume « La conversione di Alessandro Manzoni » aveva fin dal 1933 rimosso ogni dubbio.

E anzitutto del fatto avvenuto nella Chiesa di San Rocco e non in altra, danno testimonianza oltre all’Arrivabene, al Carcano, allo Zanella, il Barbiera per averlo appreso dalla Contessa Maffei che lo sentì narrare dallo stesso Manzoni; David Norsa, che l’ebbe egualmente dal poeta; Carlo Magenta nella fede del figliastro di Manzoni, Carlo Stampa. Che il fatto consista nella conversione e nella « subita » conversione di Manzoni, lo attestano non solo il Carcano, il Giusti, l’Arrivabene, ancora – ai quali forse taluno potrebbe opporre vaghi accenni di precedenti inquietudini – non mai di conversione da parte del Carcano e d’altri, o di indisposizione fisica da parte di Cantù, di Giovanni Visconti Venosta, di Fabris, di Magenta – ma lo assicura Manzoni allo stesso Zanella, alla Maffei, al Nora, alla Contessa Diodata Saluzzo, alla figlia Vittoria. Allo Zanella cui confessò: « dopo affannosa preghiera mi levai credente »; alla Maffei, alla quale disse di aver esclamato in San Rocco: « Dio se esisti rivelati a me »; al Norsa: « O Dio se ci sei fammiti conoscere e toglimi da queste pene. Da quel momento credette »; alla Contessa Saluzzo cui il poeta scriveva nel 1828: « La espressione sincera di questa (persuasione) può, nel mio caso indurre un’idea purtroppo falsa, l’idea d’una fede custodita sempre con amore … mentre invece questa fede l’ho altre volte ripudiata e contradetta col pensiero, coi discorsi, con la condotta … ; per un eccesso di misericordia mi fu restituita »; alla figlia finalmente cui quest’accenno di misericordia fu rivelato, presente il Giorgini che ne scrisse nel 1876 a Carlo Magenta, così: Ma perché papà – le avea chiesto Vittoria – perchè non mi hai raccontato mai come andò che divenisti credente? Figliuola mia – rispose il Manzoni – ringrazia Iddio ch’ebbe pietà di me … quel Dio che si rivelò a San Paolo nella via di Damasco ».

Dunque convertito come Saulo: dunque la via di Damasco del Nostro passava per San Rocco.

Le obbiezioni di Jolivet? Il matrimonio cattolico prima del fatto? Cose ben note, studiate, discusse, decise: il battesimo cattolico della figliuoletta, il matrimonio cattolico erano avvenuti in ossequio alle tradizioni di famiglia naturalmente radicate in un aristocratico e in uno spirito profondamente conservatore. Ma conversione no.
Tanto vero che il matrimonio s’era fatto con dispensa dalla Confessione.

Le obbiezioni che possono sorgere tra la versione religiosa e quella psicofisica dell’episodio? Non reggono egualmente. Chi ne parlò in questo senso non lo fece per negare che in quelI’occasione non vi fosse stata una Conversione; ma per dire che anche in quell’occasione, come poi all’improvvisa notizia della sconfitta di Waterloo e quindi delle perdute speranze italiane, il Manzoni fu colto da una depressione nervosa che andò poi accentuandosi costante nella vecchiaia. I due effetti dello spaventoso turbamento non si elidono; sono insieme spiegatissimi, sono anzi le caratteristiche di molte strepitose conversioni.

Si può opporre che una stretta di folla, il timore che la moglie ne avesse danno anche grave, l’averlo schivato non bastano a convertire uno spirito forte, un alto intelletto? Ma sta di fatto che qui cade in equivoco lo stesso Curato di San Rocco.
Manzoni non avea visto in pericolo la moglie, l’avea perduta addirittura. Ne fanno precisa parola Cantù, la Maffei, De Gubernatis e Norsa. L’avea veduta strappata dal suo fianco, e andar alla deriva con la folla urlante dopo lo scoppio dei fuochi d’artificio; con la folla che abbatteva, calpestava, schiacciava. La certezza ch’ella sarebbe stata travolta, ch’egli se l’avesse ritrovata, l’avrebbe veduta massacrata o ferita, lo investì abbattendolo in una paurosa angoscia mortale. Sospinto fuori dal turbine, vagò per le vie vicine alla Piazza delle Tuilleries ov’era accaduto il sinistro.

Si trovò per caso dinnanzi a San Rocco, vi entrò. Si pregava. Una speranza, una calma improvvisa lo richiamarono a sè stesso rinfrancato: gli suggerirono l’invocazione ch’è una preghiera, un atto di fede.

La psicologia della crisi è nei suoi elementi proporzionata, nel suo sviluppo ineceppibile. O forse c’è una lacuna ancora?
Manzoni in quella sera tremenda, in quell’ora sperduta, ha gridato dal fondo dell’anima dinnanzi all’altare: « Signore, se esisti rivelati a me, dammi la mia Enrichetta ». Così, concordi, la Maffei, Carcano, De Gubernatis e Norsa. Dunque un dubbio disperato e un patto disperato; dunque, se mai, la conversione dopo il ritrovamento della moglie? No. Il Dio dell’Innominato, così come al terribile vecchio ne parla Federigo: il Dio, che già l’agitava da tempo, ecco, gli parlava nel cuore. Il grido del poeta è una risposta. Non si invoca chi si ignora o chi non c’ispira una fede o chi non è dalla nostra ragione o dal nostro istinto indicato capace di esaudirci. Un attimo, è vero; un baleno fra la voce interna e la nostra: un’ultima incertezza, mentre l’irresistibile senso d’una realtà non del tutto compresa è già in noi e ci possiede.

Un crepuscolo, sì; ma è la luce pel sole che lo illumina! Paolo, ancora, sulla via di Damasco, evocato dal Manzoni alla figlia Vittoria. Il persecutore non comprendeva, sentiva. Audiva tuttavia a tentoni quando si rizzò. Solo da Anania ebbe la luce piena degli occhi e della mente, come Manzoni la ebbe – tenga presente anche questo l’abate Jolivet – dai suoi direttori di spirito prima a Parigi e poi a Milano, ov’ei tornò finalmente alla vita sacramentale.
A San Rocco vera, indubbia, la risurrezione: « Si levò credente – così lo Zanella – e pensò come un giorno mi disse, sin d’allora, l’Inno della resurrezione».

È per questo che io già proposi che la lapide destinata a ricordare l’evento dica come Alessandro Manzoni a San Rocco provò in se stesso tutta la profonda verità del detto posto da Pascal sulle labbra del Signore per chi volendo tornare a Lui, crede di non possederlo ancora: « Non mi cercheresti se non mi avessi trovato ».

GIUSEPPE DALLA TORRE
direttore de « L’Osservatore Romano »

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*** Nostra nota: L’articolo di Dalla Torre è scritto con passione e abilità: in esso sono date risposte a obiezioni (latenti o già espresse) circa la liceità o meno di onorare in una chiesa un fenomeno perfettamente privato quale fu la conversione di Manzoni. Diciamo che le argomentazioni di Dalla Torre si presterebbero a numerose osservazioni. Ma le svolgeremo altrove.

Qui ci basti osservare che in questa prima fase i sacerdoti-pubblicisti francesi Couget e Jolivet (di quest’ultimo parleremo in altra occasione, era uno stimatissimo e molto noto filosofo del cristianesimo) tendevano a vedere nel ritorno alla religione di Manzoni un “processo graduale”.

Dalla Torre sentiva invece la necessità di rimarcarne un carattere “eccezionale”, quasi miracolistico (ma Dalla Torre è attento a non usare questa espressione) della conversione.
Per il momento ci basti osservare che per la miglior riuscita del progetto vi era evidentemente bisogno per i suoi promotori italiani di creare un certo tipo di cornice, di facile comprensione, ben memorizzabile e condivisibile da molti.

È interessante anche l’insistito riferimento a San Paolo. In esso è intesa buona parte dei contenuti dell’intero progetto per la targa a Manzoni nella chiesa di Parigi.
Appare abbastanza trasparente che, per i promotori, nel “ritorno alla religione” di Manzoni fosse chiaro il legame con il suo precedente “ateismo”. Che, anzi, proprio da elementi di quell’ateismo (aspirazione alla democrazia e alla libertà, anti-razzismo) traesse molti elementi della sua forza.

Si ricordi la vicenda narrata nel Vangelo: «Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati. E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Rispose: “Chi sei, o Signore?”. E la voce: “Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare”.» (Atti 9,1-9).

Come Paolo di Tarso, implacabile persecutore dei cristiani, colpito da luce divina, si trasformò nel San Paolo grande sistematizzatore del cristianesimo che conosciamo, così Manzoni (diciamo noi: da aspirante ispiratore di una campagna di scristianizzazione da condurre in Italia, resosi consapevole della debolezza strutturale di ogni movimento per l’unità e l’indipendenza d’Italia che prescindesse dall’unicità di lingua e di riferimenti etici) divenne uno dei più solidi pilastri del cattolicesimo di casa nostra e – insieme e per questo – un formidabile suscitatore dell’ondata politico-cultural-militare che nel giro di pochi decenni portò all’affermazione della nuova Italia – 1861.

Traspare chiaramente in filigrana il messaggio di Dalla Torre: Quella “conversione” di Manzoni fu un momento solo apparentemente “privato” e fu di fatto – attraverso una spinta non solo da raffinato intellettuale ma accessibile a tutti – il primo momento di un processo eminentemente pubblico, valido sempre, quindi anche nei travagliati momenti del 1936-37 e degno di essere legittimamente ricordato in un tempio del cattolicesimo.


Documento n. 3 – Lettera di Dalla Torre a Couget

[nostra traduzione dal francese]

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«Città del Vaticano, 22 aprile 1936

M.r l’Abbé M***. Couget
24, rue Saint Roch
Paris

Reverendissimo Abate,
ho ricevuto la vostra lettera indirizzata al rev. P. Gemelli.

Sono io che vi ho inviato il numero della rivista “Vita e Pensiero” sulla quale è apparso il mio articolo sulla conversione di Manzoni nella chiesa di St. Roch. Vi ho fatto questo invio per adempiere alla promessa fattavi personalmente nel corso del mio ultimo soggiorno a Parigi, di fornire la documentazione definitiva del fatto e del luogo dove si è verificato.
Vi invio qui anche la bibliografia: voi potete aggiungerla a quella che avete pubblicato ne “Le Messager de Saint-Roch” dello scorso gennaio.

Mi sembra pertanto, sulla base di questi documenti, che si possa ormai arrivare alla costituzione del Comitato per la targa commemorativa.
Quando avrò ricevuto la vostra risposta affermativa a questo riguardo, ne scriverò a P. Gemelli.
Nell’attesa, vogliate accogliere, Signor Abate, l’attestato del mio cordiale ricordo.
G. Dalla Torre»

***NdR: È un piccolo errore: Dalla Torre scrive a “M”. Couget, che si chiamava però Henry (equivoco tra H e M, cosa facile nella scrittura manuale).


Documento n. 4 – Lettera di Couget a Dalla Torre.

[nostra traduzione dal francese]

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Diocesi di Parigi
Parrocchia di Saint-Roch

Parigi, 28 aprile 1936

Signor Conte,
Vi ringrazio di avermi voluto trasmettere il vostro interessantissimo articolo su Manzoni (“Vita e Pensiero”) e di avermi fatto pervenire una nuova documentazione su questo argomento.
La pubblicherò nel prossimo numero del “Messager de Saint-Roch”. Se me ne date l’autorizzazione, pubblicherò del pari, nel medesimo numero, la traduzione francese del vostro articolo di “Vita e Pensiero”.
Come voi, credo che ora si possa pensare alla costituzione di un Comitato per la targa commemorativa. Se mi permettete di esporvi le mie idee in proposito, aggiungerò che io penserei a un Comitato formato da celebrità italiane e cattoliche, alle quali si potrà aggiungere un piccolo numero di celebrità francesi e cattoliche. Questo Comitato dovrebbe assumersi l’iniziativa per questa targa – che io non ho l’autorità di promuovere autonomamente. Il Comitato dovrebbe delegare due o tre delegati con cui potrei entrare in rapporto, per stabilire insieme il carattere e la dimensione della targa, il testo dell’iscrizione, il luogo da riservarle nella chiesa, i passi formali da compiere per ottenere l’autorizzazione dall’autorità civile, il programma della cerimonia di inaugurazione, ecc.
Sarò lieto di facilitare in questo modo il ricordo, in Parigi, di un grande poeta cattolico italiano.
Vogliate gradire, Signor Conte, l’espressione dei miei più distinti sentimenti.

H.C.
Canonico onorario
Curato di Saint-Roch


Documento n. 5 – Giuseppe Dalla Torre al Vescovo Valerio Valeri, Nunzio Apostolico in Francia.

[Archivio Segreto Vaticano – prot. 1604 – Diocesi = Parigi]

L’Osservatore Romano
il Direttore

Città del Vaticano, 25 marzo 1937

«Eccellenza,
Da tempo era sorta l’idea di ricordare nella Chiesa di San Rocco a Parigi, il ritorno alla fede cattolica di Alessandro Manzoni, che vi si era rifugiato sotto il peso di angosciosa sventura, la sera del 2 aprile 1810, invocando l’aiuto di Dio e rispondendo alla Sua Grazia. La lapide recherebbe la seguente semplice epigrafe: “En cette église = le célèbre écrivain italien = Alexandre Manzoni = retrouva la foi del son baptème = le 2 avril 1810”.
Il Comitato è così composto: dal sottoscritto come presidente, e come membri: MM. il Canonico Couget, Parroco di San Rocco, Geoges Goyau e Louis Medelin dell’Accademia Francese, Mons. Boudinhon Rettore di S. Luigi de’ Francesi a Roma, Mons. Renato Fontenelle, canonico di S. Pietro a Roma, Marchese Filippo Crispolti, senatore del Regno d’Italia. P. Agostino Gemelli, Magnifico Rettore della Università del S. Cuore, in Milano, Giovanni Papini, Silvio d’Amico, rev. Cesare Angelini, e il rev. Roberto Jacquin segretario. Esso, dopo averne umiliato notizia al Santo Padre, ha chiesto all’E.mo Cardinale Verdier, la Presidenza onoraria.
Nel comunicare a V.E. tutto questo, La prego di concedere alla iniziativa la Sua benevolenza e di volerla benedire.
Chinato al bacio del Sacro Anello, mi professo della E.V. Rev​.ma […]

G. Dalla Torre


Documento n. 6 – Vescovo Valerio Valeri, Nunzio Apostolico in Francia, a Dalla Torre

[Archivio Segreto Vaticano – Prot. 1604 – Diocesi = Parigi]

Sig. Conte Dalla Torre
Direttore “Osservatore Romano”

3 aprile 1937

«Le sono vivamente grato d’avermi voluto informare della costituzione di un Comitato, composto di pubblicisti ben conosciuti italiani e francesi, il quale si propone di ricordare, nella chiesa di S. Rocco a Parigi, il ritorno alla fede cattolica di Alessandro Manzoni.
Non ho bisogno di spender parole per dirLe quanto l’iniziativa mi sembri opportuna e degna di lode e con quali sentimenti formi i miei più sinceri voti per il felice raggiungimento delle nobili finalità che l’hanno ispirata.
Voglio poi credere che l’avvenimento – di così grande importanza nella vita e nell’attività dell’immortale scrittore – messo tanto opportunamente in rilievo _ farà comprendere a chi ne avesse bisogno, quali tesori di luce può suscitare la fede nelle intelligenze e nei cuori ed a quali frutti dare origine che si sarebbero altrimenti sperati invano.
La prego di gradire, sig. Direttore, insieme ai miei ringraziamenti e voti l’espressione … »

***** Fine dei Documenti *****

Queste due ultime lettere (fine marzo e inizio aprile 1937), scritte nel tono di una formale cordialità fanno riflettere e, pur nella loro dimensione documentalmente secondaria, confermano che dietro all’iniziativa per la cerimonia in ricordo di Manzoni non vi fossero solo motivazioni cultural-religiose ma anche il tema di grande attualità dei rapporti tra Vaticano e Front Populaire francese.

Come abbiamo visto dai Documenti 1-2-3-4, il lavoro di preparazione della cerimonia era stato avviato per iniziativa di P. Gemelli e di Dalla Torre già alla fine del 1935 e nei primi mesi del 1936 Della Torre aveva già pensato alla formazione del Comitato, evidentemente senza però parlarne con il Vescovo Valeri, dal luglio 1936 Nunzio Apostolico in Francia, teoricamente la prima figura che invece avrebbe dovuto essere consultata.

E infatti è abbastanza curioso che il Nunzio Valeri si riferisca ai membri del Comitato solo come a “pubblicisti”, quando invece nell’elenco di Dalla Torre sono indicate figure con ruoli molto importanti sia per la sfera sociale cattolica (Padre Gemelli, per esempio) sia della gerarchia ecclesiastica, in primo luogo il Cardinale Verdier, il religioso allora più influente in Francia (e di dichiarati sentimenti democratici).

Forse questa distonia tra i due interlocutori può essere spiegata con una diversità di orientamenti politici.
Dalla Torre era notoriamente di sentimenti anti-fascisti. Il 31 maggio 1930 era stato contro di lui spiccato un mandato d’arresto per la linea di aperta critica del regime perseguita da L’Osservatore Romano. Dalla Torre se l’era cavata in modo curioso: con uno strattone era sfuggito alla presa di un funzionario di polizia che stava procedendo per strada al suo arresto e con un agile “salto” (in termini proprio fisici) oltre la soglia del Vaticano si era messo in un territorio “straniero”, fuori dalla giurisdizione della polizia italiana. Il Vescovo Valeri aveva probabilmente altri orientamenti.

Durante l’occupazione tedesca della Francia, il Nunzio Valerio Valeri era stato vicino al collaborazionista generale Pétain, evidentemente al di là degli obblighi della diplomazia. Immediatamente dopo la liberazione, De Gaulle aveva infatti comunicato al Vaticano che, essendo Valeri persona non gradita al popolo francese, avrebbe dovuto essere immediatamente sostituito. Al posto di Valeri venne quindi inviato dalla Santa Sede l’Arcivescovo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, di altre sensibilità.

Fabio Stoppani
Centro Studi Abate Stoppani

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Si ringraziano per la collaborazione:
– Istituto Italiano di Cultura – Parigi
– Archivio Segreto del Vaticano
– Archivio Storico de L’Osservatore Romano.