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Mi­lano, lu­nedì 23 set­tem­bre 2024

Lettera aperta a Mauro Gattinoni, Sindaco di Lecco.

Nel bicentenario della nascita, l’Abate

antonio stoppani

oltraggiato a Lecco, sua città natale

Nella targa Stoppani è presentato come un anonimo nessuno.
Ne è cancellata persino la nascita in Lecco.

Nel discorso del Sindaco
la sua vicenda umana, civile e scientifica
è falsata da puerili invenzioni e grossolane falsificazioni.

Della targa chiediamo l’immediata rimozione.
Del discorso una pubblica ritrattazione. 

Ringraziando, riceviamo e pubblichiamo.

Mar­tedì 23 set­tem­bre la Nota qui di se­guito pre­sen­tata è stata in­viata per co­no­scenza ai pro­mo­tori del Con­ve­gno «At­tua­lità di An­to­nio Stop­pani: vi­sioni e sfide delle geo­scienze nel terzo mil­len­nio» or­ga­niz­zato in Roma (23-24 set­tem­bre 2024) dalla “Ac­ca­de­mia Na­zio­nale delle Scienze detta dei XL” con­giun­ta­mente alla “Ac­ca­de­mia Na­zio­nale dei Lin­cei”.

Gio­vedì 26, il Prof. An­ni­bale Mot­tana (Pre­si­dente Ono­ra­rio della Ac­ca­de­mia Na­zio­nale delle Scienze detta dei XL), co-or­ga­niz­za­tore del Con­ve­gno, gio­vedì 26 set­tem­bre molto cor­te­se­mente ci ha così scritto:

«Gen­tile Si­gnor Stoppani,

la rin­gra­zio della sua cor­tese co­mu­ni­ca­zione.
[…]
A nome del co­mi­tato or­ga­niz­za­tore (Proff. G. Orom­belli, V. Aqui­lanti e io) ter­remo senz’altro conto delle sue os­ser­va­zioni nell’organizzare ora gli Atti (sono pre­vi­sti un vo­lume con­giunto delle due ac­ca­de­mie che rac­colga le co­mu­ni­ca­zioni pre­sen­tate e un ar­ti­colo solo in in­glese su una ri­vi­sta di alto im­patto in­ter­na­zio­nale) di cui le in­vie­remo co­pia non ap­pena in­for­mati del suo in­di­rizzo postale.

.

Di­stinti sa­luti
An­ni­bale Mottana»

Il discorso del Sindaco di Lecco, Mauro Gattinoni, pronunciato il 15 agosto 2024 per lo scoprimento della targa per il Bicentenario della nascita di Antonio Stoppani.

Si­gnor Sin­daco Gattinoni,

gio­vedì 15 ago­sto Lei ha inau­gu­rato una targa de­di­cata al 200esimo an­ni­ver­sa­rio della na­scita di An­to­nio Stop­pani, ap­po­sta dal Co­mune di Lecco sulla fac­ciata della casa dove egli nac­que do­me­nica 15 ago­sto 1824.

La ce­ri­mo­nia è stata ac­com­pa­gnata da un di­scorso pro­nun­ciato da Lei, nella Sua ve­ste di Sin­daco, e pub­bli­cato sul sito del Mu­ni­ci­pio, a que­sto in­di­rizzo Web:

https://​www​.co​mune​.lecco​.it/​i​n​d​e​x​.​p​h​p​/​a​u​t​o​-​g​e​n​e​r​a​-​d​a​l​-​t​i​t​o​l​o​/​a​l​l​e​g​a​t​i​-​n​e​w​s​-​c​o​m​u​n​e​/​2​1​9​8​8​-​2​4​-​0​8​-​1​5​-​c​e​l​e​b​r​a​z​i​o​n​e​-​d​i​-​a​n​t​o​n​i​o​-​s​t​o​p​p​a​n​i​-​d​i​s​c​o​r​s​o​-​s​i​n​d​a​c​o​/​f​ile

Il quale in­di­rizzo, però, dal qual­che giorno non porta più da nes­suna parte.
E sul sito del Co­mune il Suo di­scorso non è più re­pe­ri­bile in nes­sun modo: è scom­parso, come non fosse mai esistito.

Per la me­mo­ria di tutti noi è co­mun­que di­spo­ni­bile qui, sul no­stro sito, ed è stato ri­por­tato in­te­gral­mente da molti gior­nali on-line (ne ab­biamo gli op­por­tuni riscontri).

È im­por­tante che il Suo di­scorso non si vo­la­ti­lizzi: targa e di­scorso sono a oggi in­fatti gli unici do­cu­menti uf­fi­ciali che sulla vita e l’opera di Stop­pani con­se­gnano il punto di vi­sta della Am­mi­ni­stra­zione della sua città natale.

Il no­stro Cen­tro Studi ri­tiene e la targa e il Suo di­scorso un in­sulto all’Abate An­to­nio Stoppani.

La targa che di Stoppani cancella perfino il luogo della nascita.

La targa predisposta dal Comune di Lecco — e da Lei quindi — per ricordare il 200esimo della nascita di Antonio Stoppani si caratterizza per la vacuità dei contenuti, facendosi veicolo non di memoria ma di deformazione della personalità del commemorato.

Ha in sé però qualcosa di estremamente grave che ne rende obbligatoria la rimozione immediata e la sua sostituzione, a prescindere da ogni altra considerazione.

Rilegga il testo di questa targa, da Lei inaugurata il 15 agosto:

La città di Lecco
nel bicentenario della nascita
rende omaggio ad
Antonio Stoppani
Studioso e divulgatore
ineguagliabile delle nostre
bellezze naturali

Lecco, 15 ago­sto 2024

Le chiediamo: cosa manca in questo testo?
Non se ne è ancora accorto? Manca ciò che più conta:

che Lecco è la città natale
dell’Abate Antonio Stoppani!

Siamo arrivati al fondo!
Nella sua vita Stoppani visse e operò a lungo a Pavia, Milano, Firenze. Ognuna di queste città, nel ricordarlo, avrebbe anche potuto trascurare di citare il suo luogo di nascita.

Ma è il colmo che Lecco abbia rinnegato persino di essere la sua città natale.

Che vergogna il Suo discorso, Signor Sindaco!

Se nella composizione della targa l’Amministrazione della città di Lecco ha segnato uno dei più bassi livelli del suo rapporto con Antonio Stoppani, non ha voluto essere da meno anche nella redazione del discorso con cui Lei, il Primo cittadino, ha presentato al pubblico la targa stessa.

Di questo Suo discorso ogni proposizione è fasulla, contiene fantasie o deformazioni o incoerenze o inverosimili silenzi:

• ne ignora la famiglia, degnissimo esempio della migliore Lecco di allora

• lo fa fondatore di società scientifiche mai esistite

• lo fa esploratore di parti del globo da Stoppani mai visitate né nominate

• ne falsifica il pensiero e l’azione circa le elezioni del 1876

• inventa una sua mai avvenuta convocazione da parte di re Umberto I e ne falsifica il pensiero circa il ruolo proattivo della scienza di fronte ai grandi eventi della natura

• ne ignora la scrittura de “Il Bel Paese”, con i suoi tanti riferimenti a Lecco

• ne ignora il ruolo di promotore della Lecco di Manzoni

• ne ignora la attualissima concezione della nostra era come antropozoica

Ma il primato di questo disastroso discorso è una grottesca invenzione in cui Lei ha coinvolto direttamente anche la città di Lecco.

Lei ha detto e scritto che Stoppani tenne le sue ben note e apprezzate conferenze pubbliche “nel Seminario di Venegono” nel quale, a Suo dire, “invitava nobili e intellettuali milanesi”.

Ma dove vive Lei, Signor Sindaco?
La informiamo che il Seminario di Venegono

è stato edificato
40 anni dopo la morte di Stoppani.
Che la posa della prima pietra è del 1928, mentre l’inaugurazione da parte del Cardinale Schuster è del 1935.

Lei, di tutta evidenza, ignora completamente anche che Lecco nel 1928 (allora ne era rappresentante il Podestà Angelo Tubi) si fece parte attiva nella realizzazione del Seminario di Venegono assicurando di contribuire con propri reperti a renderne più ricco l’erigendo Museo naturalistico purché fosse titolato ad Antonio Stoppani.
Cosa che avvenne con soddisfazione di tutti alcuni anni dopo, nel 1952, ma di cui Lei non ha la minima consapevolezza.

***

La targa inaugurata il 15 agosto e il Suo relativo discorso sono al momento gli unici documenti ufficiali del Comune di Lecco dedicati al Bicentenario della nascita di Antonio Stoppani.

Purtroppo sia la targa sia il Suo discorso, caratterizzati da invenzioni, falsificazioni ideologiche e grotteschi silenzi sulla vita e l’opera della figura che si vorrebbe celebrare, sono entrambi oltraggiosi per l’Abate Antonio Stoppani.
In tale misura da richiedere una risposta pertinente, tesa a garantire al commemorato la corretta collocazione storica, anche alla luce di un evento significativo di cui rimarrà una traccia ben precisa.

Martedì 24 settembre, organizzato congiuntamente dalla Accademia Nazionale dei Lincei e dall’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, si terrà infatti a Roma il convegno «Attualità di Antonio Stoppani: visioni e sfide delle geoscienze nel terzo millennio».

A favore di questo convegno il Comune di Lecco ha erogato un contributo di mille Euro (€ 1.000,00).
Ai lavori del Convegno il Comune di Lecco parteciperà con un intervento del dott. Mauro Rossetto (Sistema Museale Urbano Lecchese) titolato: «Il patrimonio culturale documentario e iconografico di Stoppani conservato dai Musei di Lecco».

Nel Suo discorso del 15 agosto, Signor Sindaco, Lei ha citato come Sua fonte scientifica e storica proprio il dott. Rossetto, che, tra l’altro, era al Suo fianco nello scoprimento della targa il 15 agosto a Lecco.
Quindi, a meno che Lei non abbia tradito completamente la fonte da Lei stesso citata, è da pensare che il Dott. Rossetto condivida quelle fantasie, falsificazioni e silenzi che abbiamo già segnalato caratterizzare sia la targa sia il Suo discorso.

Abbiamo già avuto modo in svariate occasioni di segnalare (anche a Lei personalmente e con Pec, ma senza averne mai alcun riscontro) le gravi carenze storico-scientifiche che caratterizzano la struttura e la narrativa del Museo Manzoniano di Lecco; e anche la più totale assenza in quel contesto di un qualsivoglia riferimento ad Antonio Stoppani.
Proprio di quello Stoppani che fu il più acuto propugnatore del legame organico tra Manzoni e Lecco; l’autore della prima biografia del giovane Manzoni con la quale venivano fissati gli elementi di quel legame, nonché l’ideatore, promotore e organizzatore del grande e bel monumento a Manzoni che dal 1891 domina il centro della città lanciando all’Italia intera un messaggio etico la cui validità va ben oltre il mero omaggio di memoria a una grande personalità.

Tutti elementi incredibilmente assenti anche nel discorso che Lei ha svolto il 15 agosto, nominalmente alla memoria di Stoppani.

Non sappiamo come il dott. Rossetto svilupperà il suo intervento al Convegno di Roma ma… anche a evitare che si lasci scappare qualcuna delle fantasie e falsificazioni già ricordate, a Lei, ai cittadini di Lecco, agli interessati alla figura di Antonio Stoppani e al nostro Risorgimento, presentiamo qui di seguito il nostro contributo di storici, da tempo impegnati ad attualizzare l’opera e la figura dell’Abate Antonio Stoppani (bisnonno di chi scrive era Giovanni Maria, fratello minore di Antonio, anch’egli socio della Società Italiana di Scienze Naturali e suo assistente in molte delle ricerche sul campo realizzate dal fratello maggiore).

Distinti saluti.

Fabio Stoppani

*****

Queste le osservazioni al discorso del Sindaco …

Per ben co­min­ciare.
Il Sin­daco di Lecco Mauro Gat­ti­noni e la fi­gura di An­to­nio Stoppani.

1/ «venne convocato nel 1876 dal Re d’Italia Umberto Primo … che accadrà ai ghiacciai? … Non conosco il futuro, Maestà. Non so che succederà …»

… inventa una sua mai avvenuta convocazione da parte di Re Umberto I; ne anticipa di un quinquennio il discorso all’Accademia dei Lincei; ne deforma il pensiero sull’andamento dei ghiacciai e sul ruolo della geologia

2/ «La Cappadocia … la via della seta … i ghiacciai della Siberia …»

… lo fa esploratore di parti del globo da Stoppani mai visitate né nominate

3/ «grazie alla Società Italiana di Geologia da lui fondata … »

… lo fa fondatore di una società scientifica mai esistita

4/ «Mendel … Darwin … Stoppani …»

accosta fantasticamente Stoppani a Darwin in un indistinto evoluzionismo buono per tutte le occasioni

5/ «Conferenze al Seminario di Venegono … dove tutt’ora è disponibile il museo naturalistico … »

… lo fa conferenziere al Seminario di Venegono, edificato 40 anni dopo la sua morte — Ignora che il Museo naturalistico del Seminario è intitolato a Stoppani

6/ «Montagna, territorio, alpinismo e avventura, viaggi esplorativi in altre parti del mondo … l’Italia girata a piedi in lungo e in largo»

… ne fa una specie di beatnik girItalia giraMondo senza obbiettivi

7/ «DNA … Club Alpino Italiano … Cassin, Bonatti, Mauri …»

… lo assimila ai grandi atleti dell’alpinismo attuale: ridicola e falsante rappresentazione e per il naturalista e per gli atleti

8/ «sorvolo della città in mongolfiera … contro l’invasione austriaca … per ciò venne punito …»

… ne fa il trasvolatore in mongolfiera della città in rivolta — ne attribuisce al 1848 l’espulsione dall’insegnamento, che avvenne nel 1853 in altre circostanze

9/ «contro il non-expedit … si candidò per provocazione… per ragionare attorno al cristianesimo alla scienza, al ruolo della chiesa, a prendersi cura degli altri … »

… tace sul contesto delle elezioni del 1876, di Stoppani nasconde l’adesione alla Sinistra, ne falsifica pensiero e azione

10/ «Avuto con Giovanni Maria Stoppani»

… propone in modo ambiguo il rapporto tra la madre e il padre di Stoppani; ne ignora comunque la famiglia — inconsapevolezza della sua profonda ed evoluta religiosità

… e questi gli argomenti relativi alla targa:

Anche le targhe hanno una storia

Mostriamo le due contrapposte linee all’interno del Comune nel definire il testo della targa per il Bicentenario di Stoppani

All’estensore del testo della targa diamo del tu e diciamo…
… perché hai nascosto che Lecco è la città natale di Stoppani?

… perché lo hai presentato come un generico “studioso” / “divulgatore” e non come un geologo e paleontologo, uno scienziato di genio, un amatissimo docente universitario. Ossia per quello che fu?

… perché hai nascosto che era un presbitero conciliatorista e un originale teologo?
… perché hai nascosto che era un patriota democratico?
… perché hai nascosto che ha scritto “Il Bel Paese” e altri testi di grande valore?
… perché hai nascosto che a lui si deve il riconoscimento del legame tra Lecco e Manzoni?

… perché per ricordare la sua nascita gli hai realizzato una targa da cimitero? Ma buttala via!

Te ne suggeriamo noi un’altra senz’altro più adeguata!

Bicentenario
dell’Abate Antonio stoppani

Discorso del Sindaco Mauro gattinoni.
osservazioni critiche sul testo e nostri approfondimenti sull’Abate Stoppani.

Che pensa il Sindaco di Lecco Mauro Gattinoni dell’Abate Stoppani?

Si­gnor Sin­daco, per quanto ri­guarda il rap­porto che ci sem­bra Lei ab­bia con la fi­gura di Stop­pani, ab­biamo solo un ele­mento do­cu­men­tale che è però utile in quanto di ca­rat­tere non oc­ca­sio­nale e, quindi — per sua na­tura — va­lido fino a espli­cita modifica.

Nel Suo pro­gramma elet­to­rale per le ele­zioni am­mi­ni­stra­tive del set­tem­bre 2020 (con­di­viso da Am­bien­tal­mente, Con la Si­ni­stra Cam­bia Lecco, Fat­tore Lecco, Par­tito De­mo­cra­tico) Lei, Si­gnor Sin­daco, ci­tava una sola volta il nome di Stop­pani (af­fian­cato a quelli di Man­zoni e Ghi­slan­zoni) nell’unico pa­ra­grafo de­di­cato alla cul­tura (91 pa­role), evi­den­ziato con un ti­tolo tra il me­tal­lur­gico e il gastronomico:

«Non solo Manzoni, vergella e missultìn

Il DNA cul­tu­rale di Lecco è espresso dai grandi pro­ta­go­ni­sti del no­stro ter­ri­to­rio (Man­zoni, Stop­pani, Ghi­slan­zoni), dalla pro­ver­biale ope­ro­sità (la ver­gella) e dal pa­tri­mo­nio po­po­lare e della tra­di­zione (mis­sul­tìn). Oc­corre ap­pro­fon­dire le no­stre ra­dici va­lo­riz­zando pa­tri­mo­nio e iden­tità cul­tu­rali ri­par­tendo dai luo­ghi di frui­zione: tea­tri (a par­tire dal Tea­tro So­ciale), spazi all’aperto, poli mu­seali e una par­ti­co­lare at­ten­zione alla col­la­bo­ra­zione con i sog­getti lo­cali che pro­du­cono cul­tura. Per aprire la no­stra città, ren­dia­mola at­trat­tiva an­che con un ca­len­da­rio di eventi dif­fusi e per tutte le fa­sce d’età.»

Ci era su­bito parso come un espli­cito se­gnale del Suo spe­ciale rap­porto con la cul­tura della Lecco ri­sor­gi­men­tale il fatto che quel mi­sero pa­ra­grafo ri­por­tante i nomi di Man­zoni, Stop­pani e Ghi­slan­zoni com­pa­risse in una pa­gina do­mi­nata dal mo­nu­mento a Garibaldi.

Non ab­biamo al­cun­ché con­tro Ga­ri­baldi (anzi!) ma la ave­vamo tro­vata una scelta di co­mu­ni­ca­zione cu­riosa: in­fatti in Lecco ognuno dei tre per­so­naggi ha un suo mo­nu­mento; i mo­nu­menti a Man­zoni e Stop­pani sono de­ci­sa­mente no­te­voli come qua­lità ar­ti­stica e an­che come vi­si­bi­lità, e quello di Man­zoni è in più par­ti­co­lar­mente si­gni­fi­ca­tivo per la sto­ria della città.

È in­fatti il se­condo e ul­timo grande mo­nu­mento all’aperto de­di­cato in Ita­lia all’autore de “I Pro­messi Sposi” e venne rea­liz­zato gra­zie all’impegno quasi ven­ten­nale di Stop­pani che con quel mo­nu­mento volle non solo ri­cor­dare la fi­gura di Man­zoni ma so­prat­tutto fis­sare nel bronzo, nei tre al­to­ri­lievi del ba­sa­mento, i mes­saggi chiave della sua opera più po­po­lare (il ruolo della donna per la qua­lità etica della so­cietà; il ca­rat­tere nor­ma­tivo ma tem­pe­rato della giu­sti­zia; il ruolo dei ceti po­po­lari nella tu­tela delle li­bertà per tutti) vo­lendo al con­tempo porre Lecco alla at­ten­zione di tutta la co­mu­nità na­zio­nale; in ciò va­li­da­mente ap­pog­giato da Ghi­slan­zoni — che combinazione!

A parte que­sta in­ca­pa­cità a com­pren­dere come su quella pa­gina avrebbe do­vuto cam­peg­giare il mo­nu­mento a Man­zoni per la sua ri­le­vante va­lenza mo­rale e po­li­tica, ci aveva co­mun­que col­pito in quel suo pro­gramma elet­to­rale l’accostamento a Man­zoni dei “mis­sul­tìn” (per i non pra­tici del ter­ri­to­rio lec­chese, sono pe­scetti di lago an­cora pre­senti nella ri­sto­ra­zione lo­cale come tocco “tra­di­zio­nale”).

Dopo que­sta Sua no­te­vole in­di­ca­zione cul­tu­rale, fino all’inizio del 2024, quando si è co­min­ciato a par­lare del Bi­cen­te­na­rio della na­scita di An­to­nio Stop­pani, ci sem­bra che Lei, Si­gnor Sin­daco, non ab­bia mai fatto a Suo nome al­cuna co­mu­ni­ca­zione sull’Abate.

Ha in­vece con­sen­tito a che il Suo As­ses­sore alla Cul­tura Si­mona Piazza e il Di­ret­tore dei Mu­sei Ci­vici Mauro Ros­setto (da Lei, nel Suo di­scorso del 15 ago­sto rin­gra­ziato per il “con­tri­buto sto­rico-scien­ti­fico” an­che al Suo di­scorso) fa­ces­sero la parte delle “let­te­rine”, solo e sem­pre con­sen­zienti, nella pro­mo­zione della di­sa­strosa edi­zione Ei­naudi de “Il Bel Paese” in fa­vore della quale il Co­mune ha ac­cet­tato che la pa­rola stessa “Bi­cen­te­na­rio” ve­nisse ban­dita per­ché con­si­de­rata con­tro­pro­du­cente per i cri­teri com­mer­cial-edi­to­riali della Ei­naudi (se pub­bli­chi qual­che cosa per una ri­cor­renza, l’anno dopo quel li­bro “è già vec­chio” e ti ri­mane sul grop­pone) — su que­sto aspetto ab­biamo già detto qui.

Rin­fre­scata la me­mo­ria sul Suo rap­porto pub­blico con l’Abate An­to­nio Stop­pani, pos­siamo pas­sare alla ana­lisi del Suo di­scorso del 15 agosto.

––––––––––

Ab­biamo rias­sunto quanto da Lei pro­nun­ciato in 10 pro­po­si­zioni.
Di se­guito ana­liz­ze­remo ognuna di que­ste 10 pro­po­si­zioni se­gna­lan­done gli ele­menti er­ro­nei o de­vianti dalla realtà storica.

Proposizione 1

Il Sindaco di Lecco si inventa una mai avvenuta convocazione di Stoppani da parte di re Umberto Primo nel 1876 per averne un parere sull’andamento dei ghiacciai.

Anticipa di cinque anni una battuta del geologo al re; in più ne falsa il contenuto.

E insieme nasconde che l’incontro avvenne il 18 dicembre 1881, nel corso della Seduta Reale della Accademia dei Lincei di Roma, di cui Stoppani era socio dal 25 luglio 1875.

Dal di­scorso del Sin­daco di Lecco del 15 ago­sto 2024:

«Per con­clu­dere, un aned­doto: i bio­grafi di Stop­pani ri­cor­dano che, da ac­ca­de­mico di  [sic!] Lin­cei, venne con­vo­cato nel 1876 dal Re d’Italia Um­berto Primo che gli sot­to­pose quello che per lui era il que­sito più an­go­sciante: la ri­ti­rata dei ghiac­ciai; a vi­sta d’occhio, nel giro di una sola ge­ne­ra­zione si era ri­ti­rato il Bel­ve­dere sul Monte Rosa, così come il ghiac­ciaio del Ga­via, il Fel­la­ria, l’Adamello.
Quel fe­no­meno l’aveva os­ser­vato con i suoi oc­chi ed era pre­oc­cu­pato, e la sua do­manda era pres­sap­poco que­sta (dal mo­no­logo di An­drea Ca­ra­belli, 11 mag­gio 2024): “Mi dica pro­fes­sore, che sarà di que­ste Alpi? Si dis­sec­cherà ogni sor­gente e ari­dirà ogni fiume? E poi i la­ghi e la ve­ge­ta­zione? Do­vremo dire ad­dio alle col­ture di que­ste valli, a pa­scoli e ani­mali e li­mi­tare la vita alle pia­nure?”. Lo Stop­pani scien­ziato ri­spose con sin­ce­rità: “Non co­no­sco il fu­turo, Mae­stà. Non so che succederà”.

Ecco, noi oggi sap­piamo in­vece quanto le azioni di sal­va­guar­dia del clima, della na­tura, delle spe­cie ani­mali e ve­ge­tali, siano in mano a noi, alla scienza, certo, e alle nuove tec­no­lo­gie, ma an­che al no­stro stile di vita e di con­sumo quo­ti­diano che deve es­sere sem­pre più so­ste­ni­bile per non su­bire eventi estremi.»

Qui sotto:

Carta geo­gra­fica dell’Alta Ita­lia nell’epoca plio­ce­nica
Mu­seo di Sto­ria na­tu­rale “A. Stop­pani” del Se­mi­na­rio di Milano

Il ma­no­scritto di­se­gnato da Stop­pani raf­fi­gura la Pia­nura pa­dana in epoca plio­ce­nica (tra 5,33 e 2,58 mi­lioni di anni fa).

Per cor­te­sia del Mu­seo di Sto­ria na­tu­rale “A. Stop­pani” del Se­mi­na­rio di Mi­lano (presso il Se­mi­na­rio di Venegono).

Pessima idea per un Sindaco cancellare la storia vera e far proprie fantasie da teatro.

Si­gnor Sin­daco, ab­biamo vo­luto ri­por­tare per esteso que­sto brano del Suo di­scorso per­ché ci sem­bra una per­fetta sin­tesi dell’approccio in­co­scien­te­mente fan­ta­stico con cui da Lei (e dai Suoi sug­ge­ri­tori) si è scelto di com­me­mo­rare il Bi­cen­te­na­rio di An­to­nio Stop­pani del 15 ago­sto 2024.

La Sua nar­ra­zione so­pra ri­por­tata esprime pur­troppo il punto di vi­sta uf­fi­ciale del Co­mune di Lecco, ed è quindi op­por­tuno evi­den­ziarla per­ché siano chiare ai cit­ta­dini le ra­gioni per cui essa deve es­sere respinta:

a/ in un mo­mento del 1876 il pro­blema più pres­sante per re Um­berto I era la “ri­ti­rata dei ghiacciai”;

b/ il Re con­vocò lo Stop­pani e gli chiese: che suc­ce­derà? spa­ri­ranno sor­genti, fiumi, la­ghi? tutto si seccherà?

c/ l’esimio geo­logo ri­spose: che vuole da me Sua mae­stà? non so che dire, non co­no­sco il futuro!

Lei, Si­gnor Sin­daco, a so­ste­gno di que­sta im­pres­sio­nante rap­pre­sen­ta­zione delle re­gali an­sie na­tu­ra­li­sti­che del 1876 e della ve­ra­mente in­ve­ro­si­mile ri­spo­sta messa in bocca al No­stro, cita “bio­grafi di Stop­pani” e il “mo­no­logo di Adrea Ca­ra­belli dell’11 mag­gio 2024”.

Lei certo non avrà dif­fi­coltà a ri­ve­larci chi sono que­sti così in­for­mati “bio­grafi di Stop­pani” — ci fa­rebbe pro­prio piacere.

Nell’attesa, per dare una mano al let­tore, si­cu­ra­mente scosso da que­ste ine­dite in­for­ma­zioni, se­gna­liamo che il «mo­no­logo di An­drea Ca­ra­belli, 11 mag­gio 2024», da Lei ci­tato come au­to­re­vole fonte per le Sue con­si­de­ra­zioni, è il te­sto dello scrit­tore Giam­piero Piz­zol, ti­to­lato “Il pro­fes­sore con lo zaino in spalla” e re­ci­tato in poco più di 60 mi­nuti dall’attore An­drea Ca­ra­belli nello spet­ta­colo pre­sen­tato il 12 mag­gio (“12 mag­gio”, Sin­daco, non “11”) nella se­rata con­clu­siva del “1º Fe­sti­val delle Geo­scienze”, svol­tosi a Lecco dal 5 al 12 mag­gio 2024.

Ora, da parte Sua (o me­glio, dei Suoi sug­ge­ri­tori), pren­dere per la vi­cenda di Stop­pani come ri­fe­ri­mento sto­rico-scien­ti­fico il mo­no­logo di Piz­zol-Ca­ra­belli è cosa de­ci­sa­mente au­dace.
L’attore Ca­ra­belli è ef­fi­cace, an­cor più l’estensore del te­sto Piz­zol che ma­neg­gia con garbo una gra­de­vo­lis­sima prosa rimata.

Non è però ne­ces­sa­rio es­sere grandi esperti di vita e opera di Stop­pani per avere colto nella pur go­di­bile loro rap­pre­sen­ta­zione del 12 mag­gio la­cune sto­rio­gra­fi­che grandi come vari la­ghi di Como messi insieme.

Non ab­biamo re­more a par­lare chiaro, an­che per­ché ab­biamo avuto già modo nello scorso giu­gno di espri­mere di­ret­ta­mente a Ca­ra­belli e Piz­zol (non­ché al Suo As­ses­sore Cat­ta­neo) il no­stro ap­prez­za­mento per la qua­lità ar­ti­stica del loro la­voro ma an­che le più am­pie ri­serve per le evi­denti de­bo­lezze sto­rico-do­cu­men­tali.
I due ar­ti­sti, es­sendo per­sone se­rie, non hanno avuto dif­fi­coltà a ri­co­no­scere i li­miti del loro la­voro sul piano do­cu­men­tale e ci siamo la­sciati con l’augurio di even­tuali fu­ture col­la­bo­ra­zioni (Cat­ta­neo non ci ha risposto).

D’altra parte la di­vi­sione dei com­piti non è in sé un fatto ne­ga­tivo: gli ar­ti­sti fanno gli ar­ti­sti; agli sto­rici spetta dare loro gli stru­menti ade­guati per pro­durre una go­di­bile e in­sieme cor­retta in­for­ma­zione — ov­via­mente gli ar­ti­sti è op­por­tuno ne ten­gano conto.

Ciò che Lei, Si­gnor Sin­daco, in que­sto caso non ha pro­prio fatto, pre­fe­rendo fare il ri­pe­ti­tore (tra l’altro in­fe­dele) de­gli ar­ti­sti e non il Primo Cit­ta­dino della città.
E al­lora, come sto­rici, Le diamo una mano e rac­con­tiamo i fatti re­la­tivi all’episodio, da Lei ma­la­mente evo­cato, per come si è svolto nella realtà e non nella fan­ta­sia di que­sto o quel Suo suggeritore.

Stoppani e il ritiro dei ghiacciai.

Can­cel­liamo in­tanto quel Suo ri­chiamo al 1876 e alla pre­sunta con­vo­ca­zione di Stop­pani da parte di Re Um­berto I: pura fan­ta­sia da ce­sti­nare, come è da ce­sti­nare il brano dei fan­ta­siosi Ca­ra­belli e Piz­zol cui Lei si è ispirato.

E ar­ri­viamo in­vece alla realtà.

A Fi­renze, nel 1876, Stop­pani non venne con­vo­cato né in­con­trò al­cun Re.
Ebbe in­vece modo di par­lare con Um­berto I e con­sorte cin­que anni dopo, il 18 di­cem­bre 1881, giorno di Se­duta Reale della Ac­ca­de­mia dei Lin­cei di Roma, di cui Stop­pani era so­cio dal 25 lu­glio 1875 per la Classe di scienze fi­si­che, ma­te­ma­ti­che e naturali.

Se­duta reale” si­gni­fica che erano pre­senti il re Um­berto I e la re­gina Mar­ghe­rita, come da pro­to­collo per al­cune se­dute par­ti­co­lari (per avere un’idea dell’ambiente, qui sotto, tratto da “Il­lu­stra­zione Ita­liana” del 1881, ri­por­tiamo la raf­fi­gu­ra­zione non della se­duta in cui parlò Stop­pani ma di un’altra se­duta, ri­ser­vata alla as­se­gna­zione dei premi scientifici).

Per quella oc­ca­sione, nel pre­ce­dente 4 di­cem­bre, dal di­ret­tivo dell’Accademia all’Abate Stop­pani era stato ri­chie­sto di pre­sen­tare una re­la­zione sul «Re­cente re­gresso dei ghiac­ciai».
Per­ché pro­prio Stop­pani?
Per­ché ai primi del 1881 il na­tu­ra­li­sta Sviz­zero F. A. Fo­rel aveva pub­bli­cato su una ri­vi­sta scien­ti­fica (“Echo des Al­pes” — XVIIme an­née. – N° 1, Ge­nève, 1881) un so­stan­zioso ar­ti­colo nel quale espo­neva sue os­ser­va­zioni niente af­fatto ir­ri­le­vanti sull’andamento dei ghiac­ciai nell’intera ca­tena alpina.

Es­sendo ben noto ai mem­bri dell’Accademia che Stop­pani da al­meno vent’anni stu­diava il fe­no­meno e aveva rac­colto una gran mole di dati (pre­sen­tati al pub­blico nel suo ec­cel­lente “L’Era Neo­zoica”, pub­bli­cata da Val­lardi nel 1880, quindi l’anno pre­ce­dente a quella se­duta dell’Accademia) sem­brava op­por­tuno che la pri­ma­zia del trat­tare pub­bli­ca­mente un ar­go­mento ri­le­vante non ri­sul­tasse ap­pan­nag­gio esclu­sivo di un pur ri­spet­ta­bile e ri­spet­tato col­lega stra­niero ma ve­nisse al­meno con­di­viso con un noto scien­ziato ita­liano che all’argomento aveva de­di­cato molto tempo e risorse.

La cosa era ab­ba­stanza ov­via e, no­no­stante il breve pre­av­viso, tor­nato a Fi­renze, dove dai primi del 1878 in que­gli anni abi­tava e in­se­gnava, in tre giorni l’Abate aveva det­tato il te­sto di una re­la­zione di poco meno di 5.000 pa­role.
E il 18 di­cem­bre, come da pro­gramma, con il sup­porto di di­se­gni, lesse la sua re­la­zione che l’Accademia nel 1882 pub­blicò nei suoi “Atti”.

In­vi­tiamo il let­tore a leg­gere que­sta re­la­zione ti­to­lata “Sull’attuale re­gresso dei ghiac­ciai nelle Alpi” e la nota “Que­siti agli Al­pi­ni­sti per lo stu­dio delle va­ria­zioni dei ghiac­ciai”, fatta cir­co­lare at­tra­verso il “Bol­let­tino del Club Al­pino Ita­liano” (1878, 3º trim., n. 35 — vedi qui).
Ci vo­gliono poco più di dieci mi­nuti ma di se­guito la ri­por­tiamo co­mun­que in sin­tesi estrema e nel modo più di­scor­sivo possibile:

1/ tra la fine del ’700 e la prima metà dell’Ottocento, le zone al­pine, ca­rat­te­riz­zate dai grandi e noti ghiac­ciai del fronte ita­liano e di quello sviz­zero-fran­cese, erano del tutto im­pra­ti­ca­bili se non da esperti scalatori;

2/ nel ’600 e ai primi del ’700 le me­de­sime zone erano in­vece tran­si­ta­bili da nor­mali vian­danti ri­sul­tando quasi ine­si­stenti i ghiac­ciai: in poco più di un ven­ten­nio, a par­tire dal 1860, le stesse aree erano tor­nate più o meno nelle con­di­zioni del ’600;

3/ l’avanzata e il ri­tiro dei ghiac­ciai pos­sono quindi svi­lup­parsi con grande ce­le­rità e quasi sotto i no­stri occhi;

4/ per com­pren­derne le ra­gioni è ne­ces­sa­rio adot­tare cri­teri ri­go­ro­sa­mente scien­ti­fici e non un solo ap­pa­rente buon senso;

5/ è in­fatti già ben chiaro che l’avanzamento non può at­tri­buirsi esclu­si­va­mente a un raf­fred­da­mento ge­ne­ra­liz­zato della tem­pe­ra­tura sul globo;

6/ un peso ri­le­vante nell’avanzata e nel re­gresso dei ghiac­ciai ha in­fatti an­che il grado di umi­dità dell’aria e quindi la quan­tità delle pre­ci­pi­ta­zioni: può aversi avan­za­mento dei ghiac­ciai an­che con clima mite;

7/ avan­za­mento e re­gresso dei ghiac­ciai ha ca­rat­tere emi­nen­te­mente ci­clico, di cui bi­so­gna com­pren­dere le ra­gioni, a oggi non an­cora chiare.

Di que­sta re­la­zione di Stop­pani all’Accademia dei Lin­cei ab­biamo an­che la te­sti­mo­nianza del ni­pote / as­si­stente A.M. Cor­ne­lio che, nella sua bio­gra­fia di Stop­pani del 1898, ci ha ri­por­tato uno scam­bio di bat­tute che si sa­rebbe svolto tra Stop­pani e gli au­gu­sti so­vrani e che Lei, Si­gnor Sin­daco, ha ri­cor­dato con quel con­torno di pura in­ven­zione tar­gato Pizzol/Carabelli (ri­pe­tiamo le Sue pa­role: «Lo Stop­pani scien­ziato ri­spose con sin­ce­rità: “Non co­no­sco il fu­turo, Mae­stà. Non so che succederà”»).

Es­sendo Cor­ne­lio l’unica fonte di que­sto epi­so­dio, ci sem­bra op­por­tuno ri­por­tarne per esteso le pa­role (A.M. Cor­ne­lio, Vita di A. Stop­pani, p. 188):

«Nel 1881, lo Stop­pani, avendo fatto una gita a Roma colla fal­lace lu­singa di una buona ri­so­lu­zione della que­stione della Carta geo­lo­gica d’Italia, fu in­ca­ri­cato li per lì, con vive sol­le­ci­ta­zioni, del di­scorso da te­nersi alla se­duta reale dell’Accademia dei Lin­cei.
Ri­tor­nato su­bito a Fi­renze, dettò all’uopo in tre giorni una nota pre­li­mi­nare “Sull’attuale re­gresso dei ghiac­ciai nelle Alpi”, e, il dì fis­sato per la se­duta , egli era là a Roma, pronto come un sol­dato, di­nanzi agli au­gu­sti So­vrani d’Italia ed ai più il­lu­stri Lin­cei, a leg­gere il suo la­voro so­pra un fatto d’immensa por­tata per la fi­sica ter­re­stre e per la geologia.

I ghiac­ciai delle Alpi — egli disse — che ne ador­nano i gio­ghi di così se­vera bel­lezza, e danno pe­renne ali­mento ai fiumi, e fe­con­dità alle terre di così larga por­zione d’Italia, si bat­tono in ri­ti­rata da un pezzo , e se na­tura non prov­vede, la ge­ne­ra­zione pre­sente po­trebbe as­si­stere alla loro scomparsa.” […]

Don An­to­nio, in quell’occasione, ebbe spe­ciali con­gra­tu­la­zioni da S. M. la Re­gina Mar­ghe­rita, la quale, di­scesa dal trono, disse all’abate geo­logo : “Il re­gresso dei ghiac­ciai, pro­fes­sore, l’ha reso elo­quente quanto al­tri mai. Che belle ascen­sioni deve aver fatto per con­sta­tare il fenomeno!”…

E avrebbe con­ti­nuato, se S. M. il Re, av­vi­ci­nan­dosi allo Stop­pani, e bat­ten­do­gli fa­mi­gliar­mente sulla spalla, non avesse preso pur lui la pa­rola per con­gra­tu­larsi coll’oratore. Il breve dia­logo tra S. M. Re Um­berto e il sa­cer­dote geo­logo me­rita di es­sere ri­fe­rito:
— Sa, pro­fes­sore, che la sua re­la­zione sul re­gresso dei ghiac­ciai mi ha fatto una grande im­pres­sione?
— Lo credo, Mae­stà; si tratta di un grande fe­no­meno che mi­nac­cia di dis­sec­care le Alpi.
— Ap­punto, pro­fes­sore: sono ri­ma­sto im­pres­sio­nato an­che dalla per­fetta ve­ri­di­cità con cui ha par­lato del fe­no­meno, per­chè deve sa­pere che, fa­cendo al­cune escur­sioni nell’alto Pie­monte, ho ve­duto che i ghiac­ciai re­tro­ce­dono con­ti­nua­mente, e che le cose stanno pre­ci­sa­mente come dice lei. Ma che suc­ce­derà in fine? Man­cando i ghiac­ciai, man­cherà l’acqua, si dis­sec­che­ranno i tor­renti ed i fiumi? E la ve­ge­ta­zione? E gli ani­mali?
— Mae­stà, non si pre­oc­cupi troppo del fe­no­meno di quei ghiac­ciai che si ri­ti­rano dopo così grande in­va­sione: la­sci fare alla di­vina Prov­vi­denza, a cui non man­cano mai i mezzi di com­pen­sa­zione.
— Be­nis­simo, pro­fes­sore! escla­ma­rono in­sieme gli au­gu­sti Sovrani.»

*****

Come si vede, la rap­pre­sen­ta­zione che dà Cor­ne­lio del breve scam­bio di bat­tute tra i so­vrani e il prete-geo­logo è ben di­versa da quella che Lei, Si­gnor Sin­daco, ha vo­luto re­ga­larci il 15 agosto.

Stop­pani nella sua re­la­zione (lo ab­biamo vi­sto poco so­pra) aveva molto in­si­stito nell’indicare la ci­cli­cità del fe­no­meno dell’avanzata e del ri­tiro dei ghiac­ciai, che può ma­ni­fe­starsi an­che nell’arco della vita del sin­golo individuo.

Con­ver­sando con il Re, che evi­den­te­mente non aveva ca­pito bene la cosa (così come di certo non aveva letto il da poco uscito “L’Era Neo­zoica”), aveva ri­pe­tuto il con­cetto con una for­mula in realtà molto im­pe­gna­tiva sul piano con­cet­tuale ma che po­teva pas­sare come più alla por­tata dell’interlocutore, no­to­ria­mente non un grande pen­sa­tore, ol­tre che pi­gris­simo lettore.

Da que­sto punto di vi­sta la ver­sione dell’incontro con Um­berto I che Lei ha pro­po­sto è una ne­ga­zione non solo di quanto avrebbe detto Stop­pani a Re Um­berto I a Roma il 18 di­cem­bre all’Accademia dei Lin­cei, ma an­che una fal­si­fi­ca­zione del pen­siero sia dello Stop­pani teo­logo sia dello Stop­pani scienziato.

Lei in­fatti, Si­gnor Sindaco:

ha igno­rato il ri­fe­ri­mento di Stop­pani alla “Prov­vi­denza”;

gli ha messo in bocca la ne­ga­zione della stessa idea di fondo della geo­lo­gia come scienza in quella ul­tima parte del se­colo XIX.

Lasci fare alla divina Provvidenza”.

Dob­biamo ri­te­nere che la frase di Stop­pani a Um­berto I ri­fe­rita da Cor­ne­lio non sia una in­ven­zione agio­gra­fica ma il ri­cordo di quanto ef­fet­ti­va­mente detto dal prete-geo­logo. Quando uscì la bio­gra­fia nel 1898, Um­berto I e la con­sorte re­gina Mar­ghe­rita erano in­fatti en­trambi vivi e ve­geti e per­fet­ta­mente in grado di ri­cor­dare e quindi, even­tual­mente, di smen­tire quanto ri­fe­rito da Cornelio.

Quel “la­sci fare alla di­vina Prov­vi­denza” of­ferto alle au­gu­ste orec­chie, sarà certo stato ac­colto con la de­fe­renza do­vuta ai sa­cer­doti an­che dai so­vrani quando si en­tra nei campi mi­nati della teo­di­cea ma per il ro­smi­niano Stop­pani la cosa aveva un pre­ciso si­gni­fi­cato, per­fet­ta­mente op­po­sto a quello che Lei, Si­gnor Sin­daco ha vo­luto met­ter­gli in bocca.

È ben noto (im­ma­gi­niamo an­che a Lei) che il qua­dro di ri­fe­ri­mento teo­lo­gico-fi­lo­so­fico di Stop­pani pog­giava sulla ela­bo­ra­zione di An­to­nio Ro­smini che al con­cetto di “Prov­vi­denza” aveva de­di­cato fin da gio­va­nis­simo una molto ar­ti­co­lata riflessione.

Senza en­trare in una di­sa­mina sul con­cetto di Prov­vi­denza in Ro­smini-Man­zoni-Stop­pani, ci ba­sti ri­cor­dare alla buona che esso è tutto l’opposto del “che ne so: suc­ceda quel che suc­ceda” ed è in­vece l’affermazione che ogni azione dell’uomo si col­loca in un qua­dro de­ter­mi­nato dalla as­so­luta vit­to­ria del bene e del giu­sto; il che ci con­sente di sen­tirci li­beri da ogni an­sietà e pre­oc­cu­pa­zione e, quindi, di es­sere più forti.

Se re Um­berto Primo te­meva di tro­varsi senza ghiac­ciai sulle Alpi, Stop­pani gli di­ceva di non avere ti­more del fu­turo ma di at­trez­zarsi con in­tel­li­genza per tro­vare le so­lu­zioni a even­tuali fu­turi problemi.

Ma ve­niamo alla in­ve­ro­si­mile frase che Lei mette in bocca a Stop­pani, stu­pe­fa­cente per la sede e l’occasione in cui egli la avrebbe pronunciata.

«Non conosco il futuro, non so che succederà».

Detta in un con­sesso di scien­ziati, mem­bri della Ac­ca­de­mia dei Lin­cei, quindi, per de­fi­ni­zione, di uo­mini de­diti a stu­diare pas­sato e fu­turo per il mi­gliore agire nel pre­sente, quella frase sa­rebbe suo­nata come una be­stem­mia e una ne­ga­zione della pro­pria ra­gion d’essere.

La grande ac­qui­si­zione della geo­lo­gia di metà Ot­to­cento, gra­zie al con­tri­buto de­ter­mi­nante di Ja­mes Hut­ton e Char­les Lyell, stava pro­prio nella con­vin­zione che i fe­no­meni del pas­sato sono da con­si­de­rarsi pres­so­ché iden­tici a quelli che ve­diamo svol­gersi oggi sotto i no­stri oc­chi (“uni­for­mi­smo”). Che quindi, per com­pren­dere ciò che suc­cesse mi­lioni di anni fa, dob­biamo os­ser­vare at­ten­ta­mente ciò che av­viene in una man­ciata di anni oggi — ov­via­mente usando la te­sta.
E ciò vale an­che per quanto ri­guarda il fu­turo: ciò che suc­ce­derà do­mani non sarà molto di­verso da ciò che è già ac­ca­duto mi­gliaia di volte nel corso della lun­ghis­sima vita della terra e i cui ele­menti sono già pre­senti oggi, in bella vi­sta per gli scien­ziati de­gni di que­sto nome.

L’orientamento “uni­for­mi­stico” era in con­trap­po­si­zione con quello “ca­ta­stro­fi­sta” che po­stu­lava in­vece una sto­ria del globo ca­rat­te­riz­zata da grandi eventi straor­di­nari, non pre­ve­di­bili per definizione.

Il met­tere in bocca a Stop­pani quella in­sulsa frase «Non co­no­sco il fu­turo. Non so che suc­ce­derà» come Lei ha fatto, è ne­gare a Stop­pani le sue con­vin­zioni uni­for­mi­sti­che e met­terlo d’ufficio nel com­parto dei ca­ta­stro­fi­sti suoi av­ver­sari.
Ma non è finita!

Im­me­dia­ta­mente dopo quella frase af­fib­biata all’Abate —“Non co­no­sco il fu­turo. Non so che suc­ce­derà” — Lei si è messo in espli­cita con­trap­po­si­zione a Stop­pani (la ri­pe­tiamo per co­mo­dità): «Ecco, noi oggi sap­piamo in­vece quanto le azioni di sal­va­guar­dia del clima, della na­tura, delle spe­cie ani­mali e ve­ge­tali, siano in mano a noi, alla scienza, certo, e alle nuove tec­no­lo­gie, ma an­che al no­stro stile di vita e di con­sumo quo­ti­diano che deve es­sere sem­pre più so­ste­ni­bile per non su­bire eventi estremi» .

Con que­sta ar­ti­fi­ciosa e as­surda giu­stap­po­si­zione tra un sup­po­sto pen­siero di Stop­pani (a suo dire in­ca­pace a com­pren­dere il va­lore di una sana pra­tica so­ciale) e un po­si­tivo at­teg­gia­mento (del Sin­daco), Lei (forse in­con­sa­pe­vol­mente, forse) in­duce ine­vi­ta­bil­mente il let­tore a pen­sare che quel bab­beo di Stop­pani era si­cu­ra­mente una bella te­sta di teo­rico ma non era con­sa­pe­vole (o se ne sbat­teva) dell’importanza dell’azione dell’uomo nei con­fronti della na­tura.
E qui siamo ve­ra­mente al colmo.

L’Era Antropozoica.

Stop­pani è di que­sti tempi ci­tato più di quanto non av­ve­nisse nei de­cenni pre­ce­denti pro­prio per­ché oggi si com­prende me­glio ciò che egli per primo aveva evi­den­ziato con molta chia­rezza: l’incalcolabile peso dell’attività umana sulla stessa con­for­ma­zione del globo — nel bene (even­tuale) e nel male (certo). 

Stop­pani co­niò il nuovo ter­mine di “An­tro­po­cene” (epoca dell’uomo) per in­di­care il ruolo strut­tu­rale dell’uomo, so­prat­tutto dell’uomo mo­derno, quello della scienza e delle mac­chine, sulla con­fi­gu­ra­zione pro­fonda del pia­neta.
Il ter­mine al­lora non piac­que ai più an­che per­ché giu­di­cato creare con­fu­sione nella ter­mi­no­lo­gia scien­ti­fica, già com­plessa di per sé.

Ma oggi sem­pre più stu­diosi, in­tel­let­tuali o per­sone sem­pli­ce­mente sen­si­bili al reale, fanno ri­corso a que­sto ter­mine, ri­co­no­scen­done la pa­ter­nità a Stop­pani, tro­van­dolo bene rap­pre­sen­tare la no­stra epoca, sem­pre più do­mi­nata dall’uomo — spesso nel modo peggiore.

An­che solo in forza di que­sto ele­mento; an­che a vo­lere sot­ta­cere le tante in­tui­zioni ori­gi­nali quando non ge­niali sul piano scien­ti­fico che hanno ca­rat­te­riz­zato il prete-geo­logo lec­chese, il nome di Stop­pani si è con­qui­stato un po­sto in­tra­mon­ta­bile nel campo della scienza e dell’attività con­sa­pe­vole dell’uomo. 

E cosa fa il Sin­daco della sua città na­tale nel fe­steg­giare Stoppani?

Gli at­tri­bui­sce una at­ti­tu­dine per­fet­ta­mente con­tra­ria: lo pre­senta come un uomo in­dif­fe­rente all’azione, in­con­sa­pe­vole della fun­zione enor­me­mente po­si­tiva che l’uomo può svol­gere a pro’ della na­tura, per con­tra­stare e ri­me­diare ai tanti ele­menti ne­ga­tivi che in po­che cen­ti­naia di anni ha pro­dotto nella sua fre­ne­tica e in­co­sciente azione distruttiva.

Rias­su­mendo: que­sta Sua pro­po­si­zione, Si­gnor Sin­daco, è uno straor­di­na­rio ina­nel­la­mento di in­fan­tili fan­ta­sie (quella in­ven­tata con­vo­ca­zione di Stop­pani da parte del Re è pro­prio straor­di­na­ria), de­for­ma­zioni della realtà, fal­si­fi­ca­zioni del pen­siero di Stop­pani, che si sarà certo ram­ma­ri­cato di es­sere fe­steg­giato in quel modo così ba­lordo — complimenti!

Giu­sto per com­ple­tezza, ri­cor­diamo che a par­tire da­gli anni im­me­dia­ta­mente suc­ces­sivi alla scom­parsa di An­to­nio Stop­pani (1891) il ci­clo gla­cio­lo­gico si riav­viò dando luogo a una sen­si­bile ri­for­ma­zione dei ghiac­ciai per un pe­riodo che si estese a tutti gli anni ’30 del se­colo pas­sato (il No­stro si sa­rebbe sfre­gato le mani — certo: il pro­cesso è ci­clico) e i no­stri coe­ta­nei dell’immediato se­condo do­po­guerra ri­cor­dano si­cu­ra­mente le grandi ne­vi­cate — e le in­ter­mi­na­bili piogge — che ac­com­pa­gna­rono la no­stra ado­le­scenza (di Lecco si di­ceva fosse il pi­scia­toio d’Italia) e che de­ter­mi­na­rono verso gli anni ’60 una nuova ri­presa dei ghiac­ciai, prima della at­tuale grossa ritirata.

Proposizione 2

Il Sindaco di Lecco presenta Stoppani come esploratore di parti del globo dal geologo mai visitate né nominate …

«… ab­biamo avuto modo di ri­cor­dare poco fa, gra­zie all’intervento sto­rico e scien­ti­fico del dott. Mauro Ros­setto, di­ret­tore dei Mu­sei Ci­vici cit­ta­dini, quel bam­bino, An­to­nio, di­ven­terà nel tempo il “pa­dre” della geo­lo­gia e della pa­leon­to­lo­gia ita­liana, con i suoi studi e le sue ri­cer­che, con escur­sioni sul campo im­per­vie dai monti della Gri­gna ai de­serti della Cap­pa­do­cia, dalla via della seta di Marco Polo, ai ghiac­ciai della Siberia.»

Si­gnor Sin­daco, Lei quindi at­tri­bui­sce a Stoppani:

a/ l’avere bat­tuto i de­serti della Cap­pa­do­cia
b/ l’avere per­corso la via della seta di Marco Polo (al­meno un po­chino)
c/ l’avere esplo­rato i ghiac­ciai della Siberia.

Lei, Si­gnor Sin­daco, certo co­no­sce la fa­vola di Esopo: vo­lendo la rana ap­pa­rire grande più del bue, gon­fiò tanto e tanto la pelle che scop­piò.
Non c’è nulla di peg­gio di balle but­tate lì per ren­dere grande un per­so­nag­gio che non ne ha bi­so­gno
.

Stop­pani in­fatti né andò mai in Cap­pa­do­cia; né se­guì in al­cun modo al­cuna trac­cia di Marco Polo; tanto meno ebbe a che fare con i ghiac­ciai della Siberia.

Il Medio-Oriente.

Per quanto ri­guarda i da Lei ci­tati “de­serti della Cap­pa­do­cia” e “la via della seta di Marco Polo”, pos­siamo fare ri­fe­ri­mento all’unico viag­gio che Stop­pani fece in Tur­chia e in Li­bano-Si­ria con par­tenza da Mi­lano il 21 ago­sto 1874, e che narrò di­ste­sa­mente nel suo “Da Mi­lano a Da­ma­sco”, edito nel 1888.

Stop­pani e i suoi nove com­pa­gni di viag­gio (9 preti e un gio­vane pa­tri­zio) par­ti­rono da Brin­disi; pas­sando per Corfù e Atene ar­ri­va­rono a Smirne; da lì si por­ta­rono, sem­pre per nave, a Istan­bul; tor­na­rono, sem­pre per nave, a Smirne e da qui, con un viag­gio du­rato sei giorni — an­che que­sto per nave — si por­ta­rono a Bey­ruth (Li­bano, pro­prio dalla parte op­po­sta della Cap­pa­do­cia, da cui di­sta 800 chi­lo­me­tri) e da lì a Da­ma­sco, sem­pre ben lon­tano dalla Cap­pa­do­cia.
Da Da­ma­sco par­ti­rono con una pri­vata pro­pria ca­ro­vana a ca­vallo per vi­si­tare le ca­tene mon­tuose del Li­bano e dell’Antilibano. Stop­pani era riu­scito a con­vin­cere gli amici a que­sta di­gres­sione ri­spetto all’asse prin­ci­pale del viag­gio per po­tere os­ser­vare di per­sona ciò che egli aveva de­scritto nella sua opera «Pa­ral­lelo tra i due si­stemi delle Alpi e del Li­bano», edito nel 1875.
Ma ap­pena par­titi da Da­ma­sco, av­viene un in­ci­dente: un ca­vallo troppo vi­vace, bi­stic­cian­dosi con quello ca­val­cato da Stop­pani, col­pi­sce con una zoc­co­lata la gamba de­stra dell’Abate, frat­tu­ran­do­gliela ma­la­mente (l’Abate ne ri­sen­tirà per tutti gli anni suc­ces­sivi).
Per Stop­pani il viag­gio fi­ni­sce qui: tra­spor­tato in let­tiga a Da­ma­sco vi ri­mane per 42 giorni ospite del Con­sole ita­liano e poi da qui ri­torna a Bey­ruth, dove (pas­sando per Jaffa ed Ales­san­dria — giro lungo), si im­barca per Napoli.

Quindi, nei de­serti della Cap­pa­do­cia Stop­pani non ci è an­dato né ci ha la­sciato al­cun­ché di scritto — nulla di nulla!

E men che meno si può par­lare di al­cun le­game con Marco Polo che se­guì tutt’altri per­corsi da quelle po­che tappe se­guite da Stop­pani in Li­bano e Si­ria — forse Lei ha con­fuso il viag­gio di Stop­pani in Me­dio Oriente con il ten­ta­tivo di Carlo Mauri di ri­per­cor­rere la Via della Seta a ca­vallo, bloc­cato dalla do­gana ci­nese (Mauri era an­che lui lec­chese ma vo­lere at­tri­buire a Stop­pani la esu­be­rante ten­denza all’avventura dell’estroso Carlo è fare un torto a entrambi).

Nel suo già ci­tato “Viag­gio a Da­ma­sco”, l’unico ri­fe­ri­mento di Stop­pani a Marco Polo è alla fine del ca­pi­tolo XVI: l’Abate os­serva con at­ten­zione un va­saio all’opera e de­scrive le fasi at­tra­verso cui l’artigiano rea­lizza una olla, il ti­pico re­ci­piente per uso di cu­cina del Me­di­ter­ra­neo e così con­clude: «Per­chè, gi­rando gi­rando l’olla non si sven­tri per ef­fetto della forza cen­tri­fuga, una fu­ni­cella la trat­tiene, fa­scian­dola giro giro a spi­rale che l’accompagna su su a mano a mano che cre­sce, fino all’ultimo giro. Così si for­mano le olle sul Bo­sforo, di­rebbe Marco Polo: né io so dire al­tri­menti.»
Tutto qui circa il rap­porto tra il prete-geo­logo e Marco Polo.

E che dire dei ghiacciai della Siberia?

An­che in que­sto caso la fan­ta­sia Le ha preso la mano Si­gnor Sin­daco (o me­glio la mano del suo re­dat­tore). In­tanto la co­sid­detta Si­be­ria è un ter­ri­to­rio im­menso, una grande de­pres­sione ca­rat­te­riz­zata per tutta la fa­scia nord non da ghiac­ciai ma da quello che oggi de­fi­niamo “per­ma­frost”, os­sia ter­reno ghiac­ciato tutto l’anno che con­serva al suo in­terno realtà fau­ni­sti­che e ve­ge­tali vec­chie an­che di die­cine di mi­gliaia di anni.
L’immensa pia­nura de­no­mi­nata Si­be­ria con­ven­zio­nal­mente viene fatta ini­ziare dal lato orien­tale de­gli Urali, dove Stop­pani non mise mai né mano né piede né occhi.

Stop­pani nel 1887 fece un viag­gio scien­ti­fico in Rus­sia, in oc­ca­sione dell’eclisse to­tale di Sole pre­vi­sta per il 19 ago­sto; con lui al­cuni amici-col­le­ghi tra cui Fran­ce­sco Grassi e Fe­de­rico Colombo.

Fran­ce­sco Grassi, in­se­gnante di fi­sica alle scuole su­pe­riori e au­tore de “La Fi­sica e l’elettronica”, fondò la So­cietà Elet­trica Ita­liana. Scrisse, in vi­sta pro­prio della eclisse dell’agosto 1887 un det­ta­gliato ar­ti­colo che ap­parve qual­che mese prima del viag­gio, nel feb­braio del 1887, su “Il Ro­smini”, la ri­vi­sta edita da Stop­pani nel 1887 e poi fi­nita all’Indice.
Mon­si­gnor Fe­de­rico Co­lombo (Asso 1852-1927), a Me­rate in­se­gnava presso il col­le­gio Ales­san­dro Man­zoni e dal 1889 presso l’Istituto delle “Dame In­glesi”. Una la­pide, mu­rata su una pa­rete in­terna dell’istituto, lo ri­corda come “ca­me­riere se­greto” di Pio XI di cui, nell’infanzia, era stato com­pa­gno di gio­chi.
In campo scien­ti­fico (se­condo no­ti­zie del Bol­let­tino Par­roc­chiale di Me­rate, mag­gio 1923 p. 13):

«A Me­rate, sul colle di San Rocco, sor­gerà fra poco un po­ten­tis­simo Os­ser­va­to­rio Astro­no­mico il quale non sarà se­condo ai mag­giori d’Europa. Sap­piamo da fonte si­cura che la scelta di tale lo­ca­lità come fa­vo­re­vo­lis­sima agli studi astro­no­mici e me­te­reo­lo­gici è frutto e co­rona il la­voro as­si­duo e pa­ziente e fi­nora troppo igno­rato di un dot­tis­simo e mo­de­sto sa­cer­dote: il prof. Don Fe­de­rico Co­lombo. Da anni e anni l’egregio pro­fes­sore rac­co­glie senza in­ter­ru­zione i dati me­teo­ro­lo­gici di que­sta plaga, i quali, tra­smessi all’Osservatorio del Col­le­gio Ro­mano, hanno at­ti­rato l’attenzione di emi­nenti scienziati.»

Della at­ti­vità di scien­ziato di Co­lombo parla an­che Mer­calli, nel de­scri­vere il ter­re­moto di Lecco del mag­gio 1887: «… feci io stesso al­cune gite sul luogo del ter­re­moto. Di­verse no­ti­zie però mi ven­nero gen­til­mente co­mu­ni­cate dal Rev. Prof. D. Fe­de­rico Co­lombo di Me­rate e da al­tri miei amici.»

Del viag­gio in Rus­sia del 1887 Stop­pani non ci ha la­sciato molto. Sulla già ci­tata ri­vi­sta “Il Ro­smini”, nel 1887 e 1888, pub­blicò parte della cor­ri­spon­denza te­nuta con i fra­telli nel corso del viag­gio in Rus­sia; in quelle let­tere di in­te­resse scien­ti­fico ci sono rag­gua­gli di am­bienti fi­sici vi­sti di sfug­gita du­rante il viag­gio Da­ni­marca > Sve­zia > Pie­tro­burgo > Mo­sca men­tre ci sono ab­ba­stanza det­ta­gliate ri­fles­sioni su­gli aspetti ar­ti­stico-re­li­giosi ri­scon­trati nelle due città russe.

Di ta­glio esclu­si­va­mente scien­ti­fico è in­vece una breve Nota, ti­to­lata «Re­mi­ni­scenze del mio viag­gio al Nord Eu­ropa nel 1887» (pub­bli­cata po­stuma su “Exe­me­ron”, To­rino, 1893), con la quale sin­te­tizza il suo pen­siero circa l’andamento nel Nord Eu­ropa delle grandi gla­cia­zioni. È all’interno di que­sta nota l’unico ri­fe­ri­mento al tra­gitto che ef­fet­ti­va­mente egli compì in quel viag­gio in Russia.

Progetti e realtà.

Sulla ri­vi­sta “Il Ro­smini” edita da Stop­pani, nel fa­sci­colo 2 del 1887, p. 188 e 189, si legge:

«Viag­gio scien­ti­fico. — Il 20 dello scorso lu­glio, par­ti­rono per la Rus­sia quat­tro no­stri con­cit­ta­dini, i pro­fes­sori An­to­nio Stop­pani e Fran­ce­sco Grassi, ed i gio­vani dot­tori Fran­ce­sco Ca­stelli e Paolo Ma­pelli. […] L’itinerario dei viag­gia­tori è que­sto: Mo­naco, Ber­lino, Co­pe­na­ghen, Ep­sala, Sto­colma, Fin­lan­dia, Pie­tro­burgo, Mo­sca, Ni­sch­nii-No­v­go­rod [Niž­nij No­v­go­rod], dove avrà luogo la gran fiera, Ca­san [Ka­zan], Perm e Je­ca­te­rin­burgo [Eka­te­rim­burg], ove si farà l’Esposizione Si­be­riana.
La di­stinta co­mi­tiva mi­la­nese af­fronta i di­sagi di sì lungo viag­gio per studi scien­ti­fici, e si pro­pone di ve­dere il grande spet­ta­colo dell’eclisse del 20 ago­sto [in realtà 19 ago­sto] in una sta­zione che sarà pre­di­spo­sta ap­po­si­ta­mente, fra Mo­sca e Pie­tro­burgo, dall’illustre comm. Otto Struve.
Il prof. Grassi si pro­pone di fare studi spe­ciali d’indole me­teo­ro­lo­gica. Il prof. Stop­pani, in­vece, farà studi sui ter­reni, spe­cial­mente nell’isola Go­thland.
Pro­ba­bil­mente il ri­torno della co­mi­tiva sarà di­ret­ta­mente da Je­ca­te­rin­burgo a Vienna. Que­sta è l’idea pru­den­ziale del prof. Grassi; ma il prof. Stop­pani, il più an­ziano dei viag­gia­tori, ma sem­pre franco e ar­dito, par­tendo espresse agli amici il de­si­de­rio di ri­tor­nare dalla ca­tena de­gli Urali al Mar Ca­spio, di va­li­care il Cau­caso, di at­tra­ver­sare il Mar Nero, la Tur­chia, ecc., ecc.

Quindi, que­ste erano le pri­mi­tive in­ten­zioni della co­mi­tiva:
— da Pie­tro­burgo ar­ri­vare a Mo­sca (nei cui pressi era pre­vi­sta la sta­zione a loro ri­ser­vata per l’osservazione dell’eclisse);
— il 19 ago­sto vi­sio­nare l’eclisse;
— pro­se­guire (430 chi­lo­me­tri) verso Niž­nij No­v­go­rod (sul fiume Volga, a circa 100 chi­lo­me­tri dal fronte oc­ci­den­tale de­gli Urali) al fine di vi­si­tare la grande fiera che vi si svol­geva ogni anno e fre­quen­tata da ol­tre 200.000 per­sone da tutta la Rus­sia;
— per­cor­rendo 400 chi­lo­me­tri spo­starsi a Ka­zan, sem­pre sul Volga, sem­pre sul lato oc­ci­den­tale de­gli Urali;
— da lì, su­pe­rando gli Urali ed en­trando nella Si­be­ria oc­ci­den­tale, spo­starsi a Perm (al­tri 590 chi­lo­me­tri);
— da Perm (con al­tri 430 chi­lo­me­tri) — per vi­si­tare l’Esposizione Si­be­riana — a Eka­te­rim­burg (que­sta sì sul lato orien­tale de­gli Urali ma as­so­lu­ta­mente al di fuori di qual­siasi con­te­sto che fa­cesse pen­sare ai ghiacciai).

Fin qui quindi nes­suno pen­sava a nes­su­nis­simo ghiac­ciaio: Grassi era in­te­res­sato alla me­teo­ro­lo­gia, Stop­pani all’isola Go­thland (nel mar Bal­tico, quindi lon­ta­nis­sima dalla Si­be­ria), geo­lo­gi­ca­mente ricca di cal­cari, nota per la grande quan­tità di fos­sili (circa 1500 spe­cie diverse).

La no­stra co­mi­tiva era evi­den­te­mente molto in­te­res­sata so­prat­tutto a vi­sio­nare le grandi fiere che si svol­ge­vano nell’Impero russo.

Per il ri­torno, Stop­pani aveva una mezza idea fare un giro lungo:
— Da Eka­te­rin­burg tor­nare verso gli Urali (quindi al­lon­ta­nan­dosi dalla Si­be­ria);
— scen­dere (non sap­piamo con qual tra­gitto) verso il Mar Ca­spio;
— da qui, ta­gliando verso Sud-ovest, in­ter­cet­tare la ca­tena delle grandi mon­ta­gne del Cau­caso:
— scen­dere in Geor­gia verso qual­che porto del mar Nero e, co­steg­giando la Tur­chia, rien­trare nel Me­di­ter­ra­neo, Bari o Brin­disi, poi su in treno verso la Gri­gna.
Si dirà: largo progetto!

E in­fatti le cose an­da­rono di­ver­sa­mente.
Si badi bene che la Rus­sia del 1887 era molto me­glio ser­vita dai treni di quanto non fosse l’Italia (ri­ba­diamo che Stop­pani non aveva per la Rus­sia piani di esplo­ra­zione di po­sti mai vi­sti dall’uomo ma la vi­sita ad am­bienti che egli ri­te­neva utili alla com­pren­sione della realtà — me­glio se già uma­niz­zati, per­cor­ri­bili con ogni mezzo di tra­sporto fer­ro­via­rio o nau­tico e do­tato delle nor­mali con­di­zioni al­ber­ghiere rin­ve­ni­bili in ogni parte d’Europa).

Sulla eclisse del 19 ago­sto (il mo­tivo prin­ci­pale per cui egli era par­tito, ol­tre a la­sciare per un poco l’ambiente mi­la­nese, sur­ri­scal­dato dalla causa in­ten­tata e vinta con­tro Don Al­ber­ta­rio) Stop­pani nulla ci ha la­sciato e quindi ne ri­por­tiamo noi qual­che cosa rac­colta qua e là.

Di­ciamo su­bito che la spe­di­zione andò a farsi be­ne­dire per­ché, con­tra­ria­mente a ogni aspet­ta­tiva, in tutta l’area dove la so­cietà scien­ti­fica di Pie­tro­grado aveva pre­vi­sto si po­si­zio­nas­sero i col­le­ghi stra­nieri, il giorno dell’eclisse calò una fitta neb­bia che im­pedì una qual­si­vo­glia ri­le­va­zione.
Sulla ri­vi­sta sta­tu­ni­tense “The Si­de­real Mes­sen­ger” del gen­naio 1888 (NASA Astro­phy­sics Data Sy­stem) si ri­por­tano i nomi dei com­po­nenti di una delle de­le­ga­zioni ita­liane:
«I Si­gnori Grassi, Co­lombo e Stop­pani di Mi­lano erano di stanza nei pressi di Klin per ef­fet­tuare os­ser­va­zioni fo­to­me­tri­che della co­rona.»
Solo che…
«A Klin, dopo una notte umida e nu­vo­losa, al mat­tino pre­sto si sono vi­ste delle chiazze di cielo az­zurro che hanno su­sci­tato spe­ranze il­lu­so­rie, ma du­rante l’eclisse il cielo è stato av­volto da un gri­gio opaco e ha pre­valso una neb­bia scozzese.»

I tre mi­la­nesi ca­va­lieri dell’eclisse non riu­sci­rono quindi a ve­dere as­so­lu­ta­mente nulla.

Klin (90 chi­lo­me­tri a Nord-Ovest da Mo­sca) di­stava (e di­sta) circa 1400 chi­lo­me­tri dal lato oc­ci­den­tale dei Monti Urali, ol­tre i quali ha con­ven­zio­nal­mente ini­zio la Si­be­ria. Da lì Stop­pani si spo­stò a Niž­nij No­v­go­rod, im­por­tante città della Rus­sia di ieri e di oggi, di­stante da­gli Urali circa 1000 km. Poi na­vi­gando sul Volga (nelle re­la­ti­va­mente co­mode ca­bine dei grandi bat­telli flu­viali russi — non a nuoto o in pi­roga, come si con­ver­rebbe a ogni vero “esplo­ra­tore”), scese verso Sud-est, toc­cando Ka­zan, e poi, de­ci­sa­mente a Sud, verso Sa­mara, al­lon­ta­nan­dosi dalla ca­tena mon­tuosa che di­vide l’Europa dall’Asia. Da Sa­mara prese un treno; se ne andò a Kiev e da lì, con un paio di tratte, ar­rivò a Vienna.

Qui sotto: in ROSSO il per­corso ini­zial­mente pen­sato da Stop­pani: Mo­sca — Niž­nij No­v­go­rod – Ka­zan – Perm – Eka­te­rin­burg – Mar Ca­spio – Ca­tena del Cau­caso / Mar Nero – Tur­chia – Me­di­ter­ra­neo – Brindisi.

In BLU il per­corso ef­fet­ti­va­mente fatto: Mo­sca – Ni­zhni No­v­gord – Ka­zan – Sim­birsk (Ul’janov) – Sa­mara – Kiev – Vienna.

Proposizione 3

Il Sindaco di Lecco Gattinoni attribuisce a Stoppani la fondazione di una società scientifica mai esistita.

«… al­tre ini­zia­tive sono in pro­gramma in au­tunno in città pro­prio gra­zie alla So­cietà Ita­liana di Geo­lo­gia da lui fondata.»

Si­gnor Sin­daco, la “So­cietà Ita­liana di Geo­lo­gia”, la cui fon­da­zione Lei at­tri­bui­sce a Stop­pani, non è mai esistita.

Quella de­no­mi­na­zione è la ma­io­nese del nome di due so­cietà scien­ti­fi­che net­ta­mente di­stinte che sono sì en­trate nella vita di Stop­pani ma con mo­da­lità, cir­co­stanze e tempi del tutto distinti.

Il 10 aprile 1855 la do­manda per la co­sti­tu­zione di una so­cietà geo­lo­gica venne pre­sen­tata alla au­striaca “Ec­celsa I. R. Luo­go­te­nenza” da Am­bro­gio Ro­biati e con­tro­fir­mata da An­to­nio Villa, Se­ba­stiano Mon­dolfo, Giu­seppe Bal­samo-Cri­velli, Apol­li­nare Rocca-Sa­po­riti, Fe­de­rico Venanzio.

Il 15 gen­naio 1856 un De­creto Luo­go­te­nen­ziale au­striaco con­sen­tiva la co­sti­tu­zione della So­cietà, con la de­no­mi­na­zione di “So­cietà Geo­lo­gica re­si­dente in Mi­lano”, senza pro­prio nulla di “ita­liano”.
Es­sendo Mi­lano in Lom­bar­dia, que­sta es­sendo parte del Re­gno Lom­bardo Ve­neto, a sua volta parte dell’Impero Au­striaco, era im­pen­sa­bile che in Lom­bar­dia (o nel Ve­neto) po­tesse na­scere una qual­si­vo­glia strut­tura, scien­ti­fica o an­che del gioco delle bocce, che si con­no­tasse an­che di stri­scio come “ita­liana” — la cosa è troppo ov­via per per­derci al­tre parole.

La nuova “So­cietà Geo­lo­gica re­si­dente in Mi­lano” co­min­ciò su­bito a di­bat­tere sui prin­ci­pali temi scien­ti­fici — geo­lo­gici e non — a rac­co­gliere soci e met­tere a punto il re­go­la­mento (ap­pro­vato uf­fi­cial­mente con Im­pe­rial Re­gio De­creto del 23 lu­glio 1857).
Il 1° set­tem­bre 1858 il pro­fes­sor Ro­biati an­nun­ciava che la So­cietà avrebbe co­min­ciato a vi­vere da sé, a te­nere re­go­lari adunanze.

Se­guendo gli orien­ta­menti emersi già nei primi mesi di vita della so­cietà, nella se­duta del 22 gen­naio 1860 il nome venne mu­tato, dando vita alla “So­cietà Ita­liana di Scienze Na­tu­rali” tutt’ora ben at­tiva.
Es­sendo la Lom­bar­dia li­bera dopo il giu­gno del 1859, l’aggettivo “ita­liana” era fi­nal­mente utilizzabile.

E An­to­nio Stop­pani che ruolo ebbe in que­ste vicende?

Non quella di “fon­da­tore” nel senso en­fa­tico che Lei ha gli ha vo­luto dare e che spetta in­vece al già ci­tato Am­bro­gio Ro­biati, uni­ta­mente a fi­gure come Giu­seppe Bal­samo-Cri­velli, Gio­vanni Om­boni, Gae­tano Bar­zanò, Giu­lio Cu­rioni, Gior­gio Jan, Emi­lio Cor­na­lia, i fra­telli Gio­vanni Bat­ti­sta e An­to­nio Villa, Fe­de­rico Ve­nan­zio, Se­ba­stiano Mon­dolfo, Apol­li­nare Rocca-Sa­po­riti.
Stop­pani, certo tra i più at­tivi a par­tire dal 1856, nell’elenco uf­fi­ciale del 23 lu­glio 1857 è uno dei 153 in­di­cati come “soci fon­da­tori” cioè quei sog­getti che ave­vano dato l’adesione al progetto.

Il nome di Stop­pani com­pare per la prima volta ne­gli “Atti” della “So­cietà Ita­liana di Scienze Na­tu­rali”, nel ver­bale della Se­duta del 3 ago­sto 1856 (p. 45): «Il so­cio Stop­pani viene in­vi­tato a coor­di­nare e ren­dere noti al pub­blico i ri­sul­tati delle lun­ghe sue ri­cer­che so­pra i din­torni di Lecco».

Nei mesi suc­ces­sivi il suo nome com­pare sem­pre più spesso in re­la­zione a rap­porti, ap­prez­za­menti e di­scus­sioni sulle opere che mano mano egli pub­blica: da­gli “Studi geo­lo­gici e pa­leon­to­lo­gici sulla Lom­bar­dia” (1857) ai primi fa­sci­coli della mo­nu­men­tale e be­nis­simo il­lu­strata “Pa­léon­to­lo­gie lom­barde”, ter­mi­nata solo nel 1880.
Nella se­duta del 1 di­cem­bre 1858, Stop­pani viene all’unanimità no­mi­nato Se­gre­ta­rio della So­cietà, as­sieme all’amico Om­boni dando ini­zio a quella sim­biosi tra il prete-geo­logo e la “So­cietà Ita­liana di Scienze Na­tu­rali” che lo portò a ri­co­prire quella me­de­sima ca­rica fino al 1877 (quando egli si tra­sferì a Fi­renze) e poi Pre­si­dente dal 1883 al 1890.

E di quella tal al­tra so­cietà, messa in ma­io­nese dal Suo con­su­lente, Si­gnor Sin­daco, che pos­siamo dire?

Come ab­biamo vi­sto, la “So­cietà Ita­liana di Geo­lo­gia”, che se­condo Lei avrebbe fon­dato Stop­pani, non è mai esistita.

L’altra en­tità che ha nel nome qual­che af­fi­nità con il fan­ta­sma da Lei evo­cato è la “So­cietà Geo­lo­gica Ita­liana”, fon­data a Bo­lo­gna nel 1882 per im­pulso di Quin­tino Sella e di Cap­pel­lini (en­trambi amici-com­pe­ti­tori di Stoppani).

Il No­stro, che non ebbe fun­zione al­cuna nella sua co­sti­tu­zione, fu Pre­si­dente di que­sta so­cietà per l’anno 1884.

Le se­gnalo che la sin­tesi di que­ste in­for­ma­zioni è re­pe­ri­bile in po­chi se­condi, con­sul­tando an­che solo il sito Web della SISN:

«La So­cietà Ita­liana di Scienze Na­tu­rali (SISN) è un’Associazione scien­ti­fica senza scopo di lu­cro, che ha il fine di con­tri­buire al pro­gresso e alla dif­fu­sione delle di­sci­pline na­tu­ra­li­sti­che. La So­cietà Ita­liana di Scienze Na­tu­rali ha sede in Mi­lano presso il Mu­seo Ci­vico di Sto­ria Na­tu­rale, dove è ospi­tata dal 1866. E’ stata fon­data nel marzo 1856, col nome di “So­cietà Geo­lo­gica re­si­dente in Mi­lano” ed il suo Re­go­la­mento fu ap­pro­vato uf­fi­cial­mente con Im­pe­rial Re­gio De­creto del 23 lu­glio 1857. La de­no­mi­na­zione di “So­cietà Ita­liana di Scienze Na­tu­rali” fu adot­tata nell’adunanza del 22 gen­naio 1860.»

Lo fac­cia pre­sente ai Suoi di­sin­for­mati consulenti.

Proposizione 4

Il Sindaco di Lecco accosta fantasticamente Stoppani a Darwin in un indistinto evoluzionismo buono per tutte le occasioni.

Ne ignora la specificità del contributo alla comprensione della storia del globo.

«Ecco, per dare un’idea della reale por­tata delle sco­perte e delle teo­rie (cer­ta­mente al­quanto pio­nie­ri­sti­che di An­to­nio Stop­pani), pen­siamo quanto stava ac­ca­dendo all’interno della co­mu­nità scien­ti­fica nel re­sto d’Europa pro­prio in quel pe­riodo ec­ce­zio­nale: men­tre in Ita­lia l’abate An­to­nio Stop­pani (1824-1891) ri­scri­veva la sto­ria della terra leg­gen­dola tra le rocce, nei fos­sili, nei ter­re­moti come nei vul­cani, il coe­ta­neo pa­dre ago­sti­niano Gre­gor Men­del, in Mo­ra­via (im­pero Asbur­gico, 1822-1884) sco­priva i ca­rat­teri ere­di­tari, le “leggi” della do­mi­nanza e della re­ces­si­vità, av­viando quelli che sa­reb­bero con­fluiti ne­gli studi di ge­ne­tica. Nello stesso pe­riodo, in In­ghil­terra, Char­les Dar­win (1809-1882) ma­tu­rava la sua teo­ria di­rom­pente dell’evoluzione della spe­cie, po­nendo in ma­niera ir­re­ver­si­bile uno spar­tiac­que tra un “prima” ed un “poi”, nell’ambito delle scienze na­tu­rali. E con que­sto ab­biamo detto tutto circa la por­tata uni­ver­sale del la­voro di Stop­pani nel pro­gresso della scienza e, per certi versi, nella com­pren­sione della na­tura, del mondo, dell’uomo.»

Quindi, Si­gnor Sin­daco, per ciò che si può com­pren­dere da que­sta Sua scon­clu­sio­nata pro­po­si­zione, se­condo Lei il senso dell’opera e del pen­siero di Stop­pani può es­sere colto ap­pieno — e an­che as­sunto a va­lore uni­ver­sale — in quanto parte più ele­vata di quel va­sto mo­vi­mento scien­ti­fico-cul­tu­rale che vide come pro­ta­go­ni­sti an­che e so­prat­tutto Men­del e Darwin.

Letto di­strat­ta­mente sem­bre­rebbe che Lei, col­lo­cando Stop­pani sul po­dio più alto del pen­siero scien­ti­fico e an­che fi­lo­so­fico del se­colo XIX, ab­bia vo­luto far­gli un com­pli­mento fino a oggi mai da nes­suno osato e nep­pure con­ce­pito.
In realtà, con que­sto pa­taf­fio, che ine­vi­ta­bil­mente può es­sere letto an­che come una ir­ri­dente per­nac­chia, Lei ha an­cora una volta dato una grossa mano a im­mer­gere nel ri­di­colo la me­mo­ria di Stop­pani, stra­vol­gen­done al con­tempo il reale pensiero.

Incoerente accostamento di nomi eccellenti.

In­tanto chia­riamo per­ché ab­biamo de­fi­nito come “scon­clu­sio­nate” le sue pa­role. Da parte no­stra non vi è al­cuna in­ten­zione of­fen­siva ma solo la con­sta­ta­zione di un pro­blema di or­ga­niz­za­zione del pen­siero e dell’esposizione.
Ri­legga con noi le Sue 150 pa­role, Si­gnor Sindaco.

Per Men­del, Lei in­dica come si­gni­fi­ca­tive le sue “leggi della do­mi­nanza e della recessività”.

Per Dar­win Lei in­dica la “teo­ria dell’evoluzione della specie”.

Per Stop­pani in­vece Lei non in­dica as­so­lu­ta­mente in cosa sa­rebbe co­sti­tuito il suo con­tri­buto scientifico.

Non è d’accordo?
Si ri­legga, Si­gnor Sin­daco: Lei ha scritto e detto che Stop­pani “ri­scri­veva la sto­ria della terra leg­gen­dola tra le rocce, nei fos­sili, nei ter­re­moti come nei vul­cani”.
Non ha però nep­pure lon­ta­na­mente ac­cen­nato con quali idee e se­guendo quali teo­rie o pre­sup­po­sti con­cet­tuali Stop­pani avrebbe com­piuto que­sta “ri­let­tura”.

Sotto que­sto pro­filo il suo di­scorso non ha al­cun si­gni­fi­cato e po­tremmo chiu­dere qui que­sto ca­pi­tolo li­mi­tan­doci a fare del sar­ca­smo sulla Sua ca­pa­cità o meno di svol­gere un pen­siero com­piuto.
C’è però un ri­svolto nella in­coe­renza della Sua nar­ra­zione che ci sem­bra op­por­tuno non trascurare.

In­di­cando i fon­da­menti teo­rici di Dar­win e di Men­del ma NON quelli di Stop­pani, Lei, Si­gnor Sin­daco, viene in­fatti a dare per sot­tin­teso che Stop­pani ap­par­te­nesse al me­de­simo mondo con­cet­tuale di Dar­win e di Men­del.
Una evi­dente fal­si­fi­ca­zione della sto­ria e del pen­siero di Stop­pani che però, cu­rio­sa­mente, sta co­min­ciando, per il mo­mento in modo sot­ter­ra­neo, a es­sere ma­ni­fe­stata qua e là.

Alla base di que­sta ten­denza ri­te­niamo vi sia la scelta da parte della Chiesa (sem­pre stata molto cauta nel va­lu­tare l’ipotesi dar­wi­niana) di in­tro­durre zitti zitti Stop­pani (al suo tempo messo all’Indice, come il suo ri­fe­ri­mento Ro­smini — oggi in­se­rito in un so­lido per­corso di “bea­ti­fi­ca­zione”) nel grande fi­lone di un in­di­stinto evo­lu­zio­ni­smo, so­stan­zial­mente ac­cet­tato dalla ge­rar­chia — certo senza espli­citi ri­chiami a Dar­win ma la­sciando mille porte aperte per una sua sot­tin­tesa pre­senza. Ma di que­sto trat­te­remo in al­tra occasione.

Tor­nando a noi, pro­ce­diamo per gradi ini­ziando con bre­vis­simi ac­cenni a Dar­win, Men­del, Stop­pani e i loro re­ci­proci rapporti.

Char­les Dar­win — Prima di di­ve­nire straor­di­na­ria­mente noto nel 1859 per la sua “Ori­gine delle spe­cie, per mezzo della se­le­zione na­tu­rale” Dar­win fu un na­tu­ra­li­sta che ma­turò pre­sto un forte in­te­resse per la geo­lo­gia an­che gra­zie alla co­no­scenza del li­bro “Prin­cipi di geo­lo­gia” (1833-35) di Char­les Lyell (1797-1875) sui cui pre­sup­po­sti con­cet­tuali Dar­win basò tutte le pro­prie suc­ces­sive ela­bo­ra­zioni sull’evoluzione.
Con la sua opera Lyell aveva svi­lup­pato nella ver­sione de­fi­ni­tiva la teo­ria dello uni­for­mi­ta­ri­smo po­nendo le basi della mo­derna geo­lo­gia (“uni­for­mi­ta­ri­smo”, o “at­tua­li­smo”, è il prin­ci­pio se­condo il quale i pro­cessi na­tu­rali che hanno ope­rato nei tempi pas­sati sono gli stessi che pos­sono es­sere os­ser­vati nel tempo pre­sente e nel domani).

Jo­hann (Gre­gor) Men­del — Come ogni na­tu­ra­li­sta con so­lidi studi su­pe­riori alle spalle, Men­del aveva una co­no­scenza evo­luta della geo­lo­gia ma non ne aveva fa­mi­lia­rità ope­ra­tiva, es­sen­dosi pre­va­len­te­mente de­di­cato alla ma­te­ma­tica e alla fi­sica, ol­tre­ché, na­tu­ral­mente, alla bo­ta­nica.
Scrisse in te­de­sco “Espe­ri­menti sulla ibri­diz­za­zione delle piante”, ri­sul­tato di anni di espe­ri­menti, che pub­blicò nel 1866 in 40 (qua­ranta) co­pie. Co­no­sceva si­cu­ra­mente “L’origine delle spe­cie” di Dar­win cui mandò co­pia del suo li­bro che però Dar­win al­tret­tanto si­cu­ra­mente non lesse.

La sua opera ri­mase semi sco­no­sciuta e di­men­ti­cata fino all’inizio del XX se­colo (solo nel 1901, venne tra­dotta in in­glese), quando i suoi espe­ri­menti ven­nero re­pli­cati e ve­ri­fi­cati nel 1900. In Ita­lia le leggi di Men­del fu­rono men­zio­nate per la prima volta dal bo­ta­nico Giu­seppe Cu­boni in un suo la­voro del 1903.
Dopo una die­cina d’anni, gli evo­lu­zio­ni­sti di tutta Eu­ropa, in­sod­di­sfatti per la man­canza nell’ipotesi dar­wi­niana di una so­lida teo­ria della ere­di­ta­rietà, co­min­cia­rono a met­tere in si­ner­gia le espe­rienze di Dar­win e di Men­del dando vita verso il 1930 alla “Nuova sin­tesi”, che ri­vi­ta­lizzò la de­cli­nante teo­ria della “lotta per la so­prav­vi­venza”, così come la aveva con­ce­pita ed espressa Darwin.

An­to­nio Stop­pani — Esat­ta­mente come Dar­win, trovò nei “Prin­cipi di geo­lo­gia” di Lyell il punto di ri­fe­ri­mento con­cet­tuale per la sua ma­tu­ra­zione scien­ti­fica, con­di­vi­den­done la gran­dis­sima parte delle idee circa rocce, fos­sili, ter­re­moti, vul­cani. Con lo scien­ziato in­glese, Stop­pani po­le­mizzò quando que­sti si fece mal­le­va­dore della ipo­tesi dar­wi­niana in ri­fe­ri­mento alla an­ti­chità dell’uomo.
Nelle sue opere, so­prat­tutto nel suo “Note a un corso di geo­lo­gia” del 1866 (poi “Corso di Geo­lo­gia” del 1871), Stop­pani fece molti ri­fe­ri­menti, an­che elo­gia­tivi, alle idee e alle os­ser­va­zioni geo­lo­gi­che di Dar­win, in par­ti­co­lare sul tema della for­ma­zione de­gli atolli.

A po­chi mesi dalla pub­bli­ca­zione nel 1859 della “Ori­gine della spe­cie”, sulle idee di Dar­win Stop­pani co­min­ciò a svi­lup­pare os­ser­va­zioni cri­ti­che, tutte di ca­rat­tere emi­nen­te­mente scien­ti­fico (con mai nes­su­nis­simo ac­cenno ad aspetti etico-re­li­giosi), in li­nea con la gran parte dei geo­logi di tutto il mondo, in­sod­di­sfatti della man­canza di ri­scon­tri pa­leon­to­lo­gici sul campo alla ipo­tesi darwiniana.

In modo più so­stan­ziale (e ba­san­dosi su con­si­de­ra­zioni di ca­rat­tere em­brio­lo­gico) nel 1872 Stop­pani de­dicò una cir­co­stan­ziata cri­tica all’ipotesi di Dar­win nel suo “Note a un corso di geo­lo­gia”, cui nes­suno — al­lora e oggi — ha mai ri­spo­sto. Ci ri­sulta che nel no­stro tempo re­cente, l’unico spe­cia­li­sta a ci­tare e cri­ti­care in pub­blico que­sta ela­bo­ra­zione di Stop­pani (sep­pur in modo per noi as­so­lu­ta­mente ina­de­guato e an­che for­te­mente ideo­lo­gico) sia stato Gio­vanni Pinna, già Di­ret­tore del Mu­seo di Sto­ria Na­tu­rale di Mi­lano in un suo in­ter­vento, nel 1991, pro­prio qui a Lecco, in oc­ca­sione del cen­te­na­rio della morte di Stop­pani (più sotto ri­pren­diamo l’argomento con tutta la op­por­tuna documentazione).

La ap­pena ri­cor­data cri­tica cir­co­stan­ziata di Stop­pani alla ipo­tesi dar­wi­niana ha come pre­sup­po­sto che le te­sti­mo­nianze fos­sili in­di­cano una ge­ne­rale ten­denza de­gli or­ga­ni­smi verso forme sem­pre più com­plesse.
Ciò per ri­cor­dare che Stop­pani non ebbe mai al­cuna re­mora a fare pro­pria l’idea di tra­sfor­ma­zione-evo­lu­zione, ov­via per qual­siasi pa­leon­to­logo de­gno di que­sto nome.
D’altra parte po­che set­ti­mane dopo la pub­bli­ca­zione della “Ori­gine delle spe­cie” di Dar­win un alto pre­lato in­glese in­vitò i pre­oc­cu­pati fe­deli a non farsi troppi pro­blemi né sulla idea di evo­lu­zione né su quella di lotta per la so­prav­vi­venza come pe­ri­co­losi per l’idea della esi­stenza di Dio. Il pre­lato sug­ge­riva che ba­sta pen­sare che tutti i fe­no­meni e an­che le loro mo­da­lità di svol­gi­mento (quindi an­che la evo­lu­zione e an­nessi) sono pre­de­ter­mi­nati da Dio.

Per­fet­ta­mente con­vinto (già prima di Dar­win) circa il pen­sare alle spe­cie come in tra­sfor­ma­zione, Stop­pani fu in­vece an­che aspro nel va­lu­tare le ma­ni­fe­sta­zioni più ba­na­liz­zanti della ipo­tesi di Dar­win da parte dei so­dali ita­liani dello scien­ziato in­glese. L’Abate li con­si­de­rava troppo rozzi e im­pre­pa­rati per oc­cu­parsi se­ria­mente della que­stione: per esem­pio trattò in modo in­fa­sti­dito la al­lora da molti so­ste­nuta di­scen­denza dell’uomo dalle scimmie.

Que­ste sue cri­ti­che gli at­ti­ra­rono l’ostilità dei dar­wi­ni­sti no­strani (osti­lità tut­tora do­mi­nante) ma in pro­po­sito è op­por­tuno ri­cor­dare che da ol­tre un se­colo nes­sun dar­wi­ni­sta con un mi­nimo di cer­vello si az­zarda più a so­ste­nere che l’uomo di­scende dalle scim­mie e che quindi lo scien­ziato Stop­pani era in­fa­sti­dito a ra­gion ve­duta delle ba­na­liz­za­zioni che an­da­vano di moda in con­fe­renze e di­bat­titi di se­guaci di Dar­win, da Stop­pani ri­te­nuti dei bru bru senza competenza.

Per quanto ri­guarda le cri­ti­che su base pa­leon­to­lo­gica di Stop­pani a Dar­win (lo ab­biamo già detto, al­lora con­di­vise da mol­tis­simi geo­logi), a di­stanza di mezzo se­colo da quelle cri­ti­che, i dar­wi­ni­sti do­vet­tero pren­dere atto della loro con­gruità e im­po­stare la pro­pria teo­ria su basi in gran parte di­verse da quelle de­fi­nite da Dar­win.
Nei con­fronti della per­sona di Dar­win Stop­pani ebbe in­vece solo espres­sioni di dis­senso scien­ti­fico, li­mi­tan­dosi a ri­le­vare che il na­tu­ra­li­sta in­glese si era fatto pren­dere la mano da ipo­tesi che do­ve­vano an­cora su­pe­rare il va­glio dell’esperienza (Stop­pani non parlò mai di “teo­ria” dar­wi­niana).
Stop­pani non fece mai al­cun ri­fe­ri­mento a Men­del la cui opera pro­ba­bil­mente non co­nobbe affatto.

Arruolamento di Stoppani in una indistinta galassia evoluzionista.

Ab­biamo ac­cen­nato so­pra alla ten­denza (an­cora sot­ter­ra­nea ma ope­rante, so­prat­tutto in area cat­to­lica) di pre­sen­tare Stop­pani come so­stan­zial­mente vi­cino alle po­si­zioni di Dar­win — e ciò solo per­ché Stop­pani ha, fin dall’inizio del di­bat­tito nei con­fronti del dar­wi­ni­smo, po­stu­lato la tra­sfor­ma­zione de­gli or­ga­ni­smi verso forme sem­pre più complesse.

La cosa è da re­gi­strare per­ché in tutti que­sti anni, chi si è oc­cu­pato delle idee scien­ti­fico-fi­lo­so­fi­che dell’Abate Stop­pani, ha do­vuto — pro­prio al con­tra­rio — met­tere in chiaro il senso della sua sem­pre at­tiva cri­tica alla ipo­tesi del na­tu­ra­li­sta in­glese sul come si ve­ri­fica que­sta tra­sfor­ma­zione.
 Si è trat­tato sem­mai di tu­te­lare Stop­pani da­gli at­tac­chi an­che sgan­ghe­rati che i rap­pre­sen­tanti del po­si­ti­vi­smo ita­liano di ieri — e del neo dar­wi­ni­smo di oggi — gli hanno sem­pre por­tato con una straor­di­na­ria di­mo­stra­zione di im­po­tenza in­tel­let­tuale (at­ten­zione, noi non siamo anti-dar­wi­ni­sti — anzi — ma solo sto­rici, in­te­res­sati alla verità).

Se sfo­gliate la poca stampa de­di­cata al tema, tro­ve­rete che i dar­wi­ni­sti del suo tempo, alle po­si­zioni dell’Abate non hanno de­di­cato un rigo di cri­tica scien­ti­fica, li­mi­tan­dosi a tra­vi­sarne il pen­siero estra­po­lando senza con­te­stua­liz­za­zione al­cune espres­sioni o frasi scritte dall’Abate per ben de­fi­niti con­te­sti.
 Un clas­sico è l’uso be­cero di sue espres­sioni po­le­mi­che (“Il Dogma e le Scienze po­si­tive”, 1886) nei con­fronti dell’istituzione in Fi­renze di una cat­te­dra uni­ver­si­ta­ria de­di­cata alla “an­tro­po­lo­gia” in cui l’uomo era po­sto esclu­si­va­mente come uno dei tanti ani­mali, senza al­cuna con­si­de­ra­zione sulla sua ori­gi­nale e unica com­ples­sità.
 In quel con­te­sto l’Abate Stop­pani se­gna­lava vi­va­ce­mente che, pro­se­guendo su quel trac­ciato, le scienze na­tu­rali — da lui ri­te­nute fonte as­so­luta di ve­rità — erano de­sti­nate a ri­dursi a mi­sera cosa: l’osservazione ri­te­niamo fosse del tutto con­di­vi­si­bile an­che dai ma­te­ria­li­sti più seri della sua epoca.

An­cora nel 1983, nel suo da tutti ci­tato “Il dar­wi­ni­smo in Ita­lia”, Giu­seppe Mon­ta­lenti (Bel­fa­gor. Vol. 38, 1, 1983) circa le po­si­zioni dell’Abate si per­met­teva di li­mi­tarsi a que­sta ano­dina osservazione:

«Un al­tro av­ver­sa­rio scien­ti­fi­ca­mente bene qua­li­fi­cato fu il geo­logo sa­cer­dote An­to­nio Stop­pani (1821-1895) au­tore, fra l’altro, di un fa­moso li­bro di­vul­ga­tivo: “II bel Paese” (1875 [sic!]) e di un’opera su “II dogma e le scienze po­si­tive” (1886, 2a ed.). Giu­sta­mente dice il Ca­ne­strini (loc. cit.): “ … egli ebbe il torto di usare verso l’evoluzionismo un lin­guag­gio che non do­veva ado­pe­rare un uomo di tanta scienza e di sì alta fama”».

E, più vi­cino al no­stro oggi, an­che Telmo Pie­vani, uno dei più noti di­vul­ga­tori del nuovo dar­wi­ni­smo, nel suo “In­tro­du­zione a Dar­win” (La­terza, 2012) a pro­po­sito di Stop­pani, si li­mita a scri­vere (p. 171):

«Non erano man­cate certo le rea­zioni anti-dar­wi­niane, sem­pre sotto forma di li­belli, di sa­tire e di opu­scoli fi­lo­so­fici e re­li­giosi che nulla ave­vano a che ve­dere con la scienza, con l’eccezione delle cri­ti­che per­ti­nenti mosse dallo zoo­logo Gio­vanni Giu­seppe Bian­coni a Bo­lo­gna, cer­ta­mente più mi­rate di quelle vi­ru­lente del geo­logo e abate An­to­nio Stop­pani.»

Va da sé che Pie­vani non ha mai speso una pa­rola di con­fu­ta­zione di quelle cri­ti­che di Stop­pani che egli giu­dica “vi­ru­lente”. Ci au­gu­riamo che da que­sta no­stra Nota qual­cuno di se­rio in campo dar­wi­niano, sot­to­ponga a cri­tica scien­ti­fica le po­si­zioni espresse da Stop­pani nel 1867 e da nes­suno mai com­men­tate — sa­remmo i primi a rin­gra­ziare e a darne il più am­pio risalto.

Già che siamo in tema di lec­chesi ri­cor­renze bi­cen­te­nari, può es­sere utile ri­cor­dare an­che che pro­prio in Lecco, in oc­ca­sione del cen­te­simo an­ni­ver­sa­rio della morte, il 29-30 no­vem­bre 1991 si tenne il con­ve­gno «An­to­nio Stop­pani tra scienza e let­te­ra­tura» (vo­luto dal Co­mune di Lecco e a cura di Gian Luigi Daccò, al­lora Di­ret­tore dei Mu­sei Ci­vici della città) nel quale, da parte del re­la­tore Gio­vanni Pinna (già Di­ret­tore del Mu­seo di Sto­ria Na­tu­rale di Mi­lano) venne sfer­rato un in­cre­di­bile at­tacco pro­prio con­tro il com­me­mo­rato Stop­pani, ac­cu­sato — na­tu­ral­mente senza al­cun con­trad­dit­to­rio — di una osti­lità solo pre­giu­di­ziale e per nulla scien­ti­fica a Dar­win e all’evoluzionismo.

L’attacco di Pinna così si concludeva:

«An­che l’ipotesi dell’organizzazione del mondo or­ga­nico che aveva pub­bli­cato nel 1867 non de­ri­vava da un’esperienza di­retta di la­voro pa­leon­to­lo­gico, ma era co­struita sulla base di co­no­scenze let­te­ra­rie. […] Stop­pani di fronte al pro­blema scien­ti­fico dell’evoluzione si chiuse dun­que in se stesso, con­ti­nuando da un lato il la­voro di de­scri­zione pa­leon­to­lo­gica, pro­se­guendo dall’altro una cam­pa­gna de­ni­gra­to­ria delle idee evo­lu­zio­ni­ste, con­dotta con toni di sprez­zante de­ri­sione. […] Il suo spe­ri­men­ta­li­smo esa­cer­bato, […] e l’essersi te­nuto in di­sparte dal di­bat­tito bio­lo­gico e pa­leon­to­lo­gico del suo tempo, con­tri­bui­rono cer­ta­mente a iso­lare la scienza ita­liana, e la pa­leon­to­lo­gia in par­ti­co­lare.»

Le stolte frasi di Pinna giu­sti­fi­cano una qual­che ri­spo­sta più vi­cina alla realtà, come quelle di ma­trice cat­to­lica cui ac­cen­na­vamo poco so­pra, ma non certo un ca­po­vol­gi­mento del dato sto­rico: se non nelle forme grot­te­sche di­pinte dai dar­wi­niani di ieri e di oggi, è co­mun­que un dato inop­pu­gna­bile che l’Abate Stop­pani fu sem­pre cri­tico nei con­fronti del dar­wi­ni­smo, a suo modo di ve­dere molto lon­tano dal po­tere es­sere ac­colto come con­di­vi­si­bile teo­ria scien­ti­fica e da con­si­de­rare, fino a nuove ac­qui­si­zioni di fatto, come mera ipo­tesi di lavoro.

D’altra parte la sto­ria reale del dar­wi­ni­smo, pas­sato in po­chi de­cenni at­tra­verso tra­sfor­ma­zioni an­che ra­di­cali ci sug­ge­ri­sce che le re­more scien­ti­fi­che di Stop­pani all’ipotesi così come la pose Dar­win nel 1859 e nei suc­ces­sivi anni erano più che fon­date, come am­mi­sero più tardi gli stessi dar­wi­ni­sti più ac­corti sul piano intellettuale.

Il quesito scientifico posto dall’Abate Stoppani cui i darwinisti mai risposero – né ieri né oggi.

L’uscita della prima edi­zione della “Ori­gine” di Dar­win (24 no­vem­bre 1859) non su­scitò in Ita­lia gran­dis­sime rea­zioni (il “Po­li­tec­nico” ne fece una pre­sen­ta­zione piut­to­sto ano­dina qual­che mese dopo) an­che per­ché il 1860 fu un anno de­ci­sivo per le sorti del no­stro Paese dopo il grosso ri­sul­tato della Se­conda Guerra di In­di­pen­denza.
 In quel pe­riodo l’Abate fu parte at­tiva con il fra­tello mag­giore Pie­tro (più avanti e per tanti anni Pre­vo­sto della Ba­si­lica di Santa Ma­ria della Pas­sione in Mi­lano) nella azione del clero con­ci­lia­to­ri­sta mi­la­nese per fa­vo­rire il di­sfa­ci­mento del po­tere tem­po­rale di Pio IX e la na­scita del nuovo Re­gno d’Italia (vi par­te­cipò in prima per­sona an­che A. Man­zoni). Im­me­dia­ta­mente dopo il marzo 1861 Stop­pani fu da Quin­tino Sella coin­volto come Se­gre­ta­rio (con Ge­mel­laro) della su­bito for­mata “Com­mis­sione per la Carta Geo­lo­gica”, do­cu­mento fon­da­men­tale per l’operatività del nuovo Stato.

No­no­stante la si­tua­zione ec­ce­zio­nale, ri­le­viamo che l’Abate Stop­pani fu co­mun­que tra i primi in Ita­lia a oc­cu­parsi della “ipo­tesi” evo­lu­zio­ni­sta di Dar­win. Ne tro­viamo ac­cenni già in suoi in­ter­venti del 1860 e ne ab­biamo una espli­cita espres­sione in suoi due saggi sulla pa­leon­to­lo­gia, pub­bli­cati tre anni dopo.
 Nella se­duta della So­cietà di Scienze Na­tu­rali di Mi­lano del 1 aprile 1860, nella re­la­zione «Ri­sul­tati pa­leon­to­lo­gici e geo­lo­gici de­dotti dallo stu­dio dei pe­tre­fatti d’Esino», ri­mar­cando la co­pia im­pres­sio­nante di no­vità por­tate dall’analisi scru­po­losa di una pur mi­nu­scola par­ti­cella del ter­ri­to­rio la­riano, l’Abate Stop­pani fece espli­cito ri­fe­ri­mento cri­tico alla nuova ipo­tesi ap­pena for­mu­lata da Darwin:

«Un nu­mero così con­si­de­re­vole di spe­cie nuove pro­ve­nienti da una sola lo­ca­lità […] ser­virà […] a dif­fi­dare gli stu­diosi circa le leggi pro­gres­sive della or­ga­niz­za­zione ed i di­versi ri­sul­tati che si vol­lero troppo pre­ci­pi­to­sa­mente de­durre sia dai con­fronti nu­me­rici, sia dal pa­ra­gone delle forme, sui rap­porti delle faune spente tra loro, o di que­ste me­de­sime colla fauna at­tuale. Fin­ché mille e mille lo­ca­lità, sco­no­sciute alla scienza, come lo erano te­stè i din­torni di Esino, po­tranno al pari di que­sti por­gere alla pa­leon­to­lo­gia sì ricco tri­buto, sia per nu­mero che per no­vità di forme, non può la scienza, per ri­guardo a certe que­stioni, lu­sin­garsi di ri­sul­tati ap­pena ap­pros­si­ma­tivi, ar­ri­schiando di­ver­sa­mente o di di­sdirsi ad ogni piè so­spinto o di in­ti­si­chire trin­ce­rata osti­na­ta­mente nelle gret­tezze di un si­stema

Come si vede, da parte del sa­cer­dote Stop­pani, nes­su­nis­simo ri­fe­ri­mento a que­stioni ideo­lo­gi­che ma solo il ri­chiamo ai cri­teri della ri­cerca scien­ti­fica.
 Della cui ne­ces­sità, d’altra parte, lo stesso Dar­win era per­fet­ta­mente con­sa­pe­vole: la scar­sità di prove pa­leon­to­lo­gi­che a so­ste­gno della ipo­tesi evo­lu­zio­ni­stica, fu in­fatti da su­bito il prin­ci­pale osta­colo sol­le­vato non da dog­ma­tici re­li­giosi ma pro­prio dai geo­logi ma­te­ria­li­sti, at­tenti a non con­fon­dere in­te­res­santi ipo­tesi con realtà ve­ri­fi­ca­bili e condivisibili.

Con la mente at­tenta alle que­stioni di me­todo, l’Abate, tra il no­vem­bre 1863 e il gen­naio 1864, pub­blicò su “Il Po­li­tec­nico” due lun­ghi saggi ti­to­lati “Dei pre­ci­pui fatti della pa­leon­to­lo­gia” con i quali per primo in Ita­lia in­di­cava nella pa­leon­to­lo­gia l’unica scienza in grado di dare ri­spo­sta ai pro­blemi sol­le­vati an­che dalla ipo­tesi evo­lu­zio­ni­sta di Dar­win.
 Nel lungo in­ter­vento, Stop­pani trac­ciava al con­tempo un coin­vol­gente qua­dro delle ma­ni­fe­sta­zioni della vita sul globo, evi­den­zian­done i mol­tis­simi ele­menti an­cora in­de­ci­fra­bili.
 
Tra que­sti, in par­ti­co­lare, non tanto la man­canza di una do­cu­men­ta­zione fos­sile in grado di cer­ti­fi­care l’ipotesi evo­lu­zio­ni­stica di Dar­win quanto l’inspiegabile dato di fatto, ri­scon­tra­bile pro­prio a par­tire dalle sco­perte sem­pre più am­pie della pa­leon­to­lo­gia, della di­scon­ti­nuità e in­coe­renza delle di­verse forme di vita nei lun­ghi tempi geologici. 

Con­clu­deva l’Abate que­sta prima am­pia di­sa­nima dei pro­blemi im­pli­citi nella ipo­tesi evo­lu­zio­ni­stica po­nendo una se­rie di quesiti:

«Ecco al­cuni pro­blemi pa­leon­to­lo­gici che sca­tu­ri­scono spon­ta­nei dai fatti ac­cen­nati: — L’estinzione delle spe­cie fu gra­duata o su­bi­ta­nea? pro­dutta da forze ca­ta­clit­ti­che estra­nee alle con­di­zioni dell’organismo e della vita, o fu una con­se­guenza na­tu­rale e ne­ces­sa­ria della li­mi­ta­zione o della na­tura dello stesso or­ga­ni­smo e della vita? Nell’ordine della na­tura e della pro­vi­denza che go­verna il creato per­chè l’estinzione suc­ces­siva di tante spe­cie e la crea­zione di al­tre? Ebbe luogo una vera estin­zione delle spe­cie, o non piut­to­sto la loro tra­sfor­ma­zione? Quale con­cetto in­fine la pa­leon­to­lo­gia ci dà della spe­cie? Da che de­riva quel ca­rat­tere pro­prio, quell’impronta quasi di fa­mi­glia che di­stin­gue cia­scuna fauna? Lo svi­luppo della or­ga­niz­za­zione, con­si­de­rato ne­gli es­seri che si suc­ce­det­tero o per crea­zione o per me­ta­mor­fosi fu gra­duato? En­tro quali li­miti lo fu? Quale in­fluenza ebbe la vita nelle di­verse epo­che sulla co­sti­tu­zione del globo? In quali rap­porti stanno le faune e le flore estinte colle vi­venti? Quali sono le ori­gini dell’uomo? Quali ele­menti pre­sta la pa­leon­to­lo­gia per de­ci­dere se l’intelligenza non è che un grado di svi­luppo de­gli es­seri creati sulla terra, o non piut­to­sto la crea­zione di una no­vella na­tura? Quale è il piano della crea­zione nella sin­tesi delle epo­che? Quale è fi­nal­mente l’avvenire del globo e della no­stra specie?»

Coe­ren­te­mente con que­ste do­mande (ri­ma­ste senza ri­spo­sta da parte dei dar­wi­ni­sti, nel 1863 an­cora in fase di de­fi­ni­zione in Ita­lia, ma an­che dopo de­cenni quando si erano ben sta­bi­liz­zati), l’Abate ri­pro­po­neva le me­de­sime te­ma­ti­che nel suo “Note ad un Corso An­nuale di Geo­lo­gia” (Mi­lano, 1867), ap­pron­tato per gli stu­denti del Po­li­tec­nico.
 Nella Ap­pen­dice 2 (“Sulla com­parsa e sullo svi­luppo dei tipi or­ga­nici nelle di­verse re­gioni del globo”), in un lungo in­ter­vento po­neva nuo­va­mente con forza agli evo­lu­zio­ni­sti la do­manda: po­sta come os­ser­va­bile e con­di­vi­si­bile una tra­sfor­ma­zione della vita verso una sem­pre mag­giore com­ples­sità nei grandi re­gni or­ga­nici, come pos­siamo spie­gare le frat­ture che si pre­sen­tano al loro in­terno? come pos­siamo ac­cet­tare che forme più com­plesse — de­fi­ni­ti­va­mente scom­parse — hanno pre­ce­duto di lun­ghi tempi geo­lo­gici le loro forme più sem­plici; come hanno po­tuto vi­vere spe­cie ri­ma­ste pres­so­ché in­va­riate fin dalla ori­gine della vita sulla terra, men­tre si sono spente cen­ti­naia di mi­gliaia di spe­cie an­che molto evo­lute?
 L’Abate al­le­gava alla sua espo­si­zione un dia­gramma cro­no­lo­gico che non ab­biamo mai vi­sto ri­pro­porre in al­cun te­sto (il già ri­cor­dato Gio­vanni Pinna si guardò bene dal mo­strarlo a Lecco nel 1991) e che quindi ora Le pre­sen­tiamo, Si­gnor Sin­daco, sug­ge­ren­doLe an­che di leg­gere il te­sto della Ap­pen­dice dell’Abate, di­spo­ni­bile a qui.

È op­por­tuno ri­mar­care che nes­suno in que­sti 150 anni ha mai dato una ri­spo­sta ai que­siti — solo ed emi­nen­te­mente scien­ti­fici — po­sti dall’Abate Stop­pani in quel lon­tano 1867.

Ne­gli anni suc­ces­sivi, pur mu­tan­done la forma, l’Abate con­ti­nuò a porre agli evo­lu­zio­ni­sti le me­de­sime do­mande, di­stri­buen­dole nei tre vo­lumi del suo “Corso di Geo­lo­gia” che, a par­tire dal 1871, so­sti­tuì il suo già ci­tato “Note per un Corso di geo­lo­gia”, ri­ma­nendo per de­cenni il te­sto pre­fe­rito non solo da­gli aspi­ranti in­ge­gneri dell’Istituto Tec­nico Su­pe­riore di Mi­lano, ma da tutti i let­tori con un mi­nimo di cul­tura che vo­les­sero te­nersi in­for­mati sui temi della geo­lo­gia, al­lora una scienza che l’Abate de­fi­niva “bam­bina” ma già ab­ba­stanza ro­bu­sta per ri­spon­dere alle esi­genze della nuova Ita­lia, gra­zie an­che a fi­gure come il No­stro di cui ce­le­briamo il Bi­cen­te­na­rio della nascita.

Dato quanto fin qui espresso, la con­clu­sione dell’analisi di que­sta Sua Pro­po­si­zione n. 9 ci sem­bra de­ci­sa­mente scon­tata ma per co­mo­dità di tutti la riepiloghiamo:

1/ è una Sua solo fan­ta­stica ri­co­stru­zione che il con­tri­buto scien­ti­fico ed etico-mo­rale di Stop­pani sia con­si­de­rato oggi come di “va­lore uni­ver­sale”. In realtà manca a oggi uno stu­dio plu­ri­set­to­riale per solo rias­su­merne gli ele­menti cen­trali con la ne­ces­sa­ria pro­fon­dità, pos­si­bile solo a una ana­lisi con­dotta da spe­cia­li­sti di va­ria formazione;

2/ è da con­si­de­rare come del pari fan­ta­siosa l’idea che Stop­pani possa in qual­che modo es­sere con­si­de­rato vi­cino a Dar­win sul pro­blema della tra­sfor­ma­zione delle spe­cie. Stop­pani oc­cupa un po­sto a sé la cui di­men­sione e va­li­dità deve tut­tora es­sere analizzata;

3/ il peg­giore re­galo che si può fare a Stop­pani è di por­tarne alle stelle il nome senza l’adeguato ap­pa­rato di mo­ti­va­zioni e di prove — l’Abate ri­fug­giva dai mez­zucci della pro­mo­zione da im­bo­ni­tori e sa­rebbe inor­ri­dito a leg­gere que­sto Suo brano che ab­biamo te­sté considerato.

Proposizione 5

Il Sindaco di Lecco presenta Stoppani come conferenziere al Seminario di Venegono, edificato 40 anni dopo la sua morte.
Ignora invece che a lui è intitolato il Museo naturalistico del Seminario stesso …”

« Già, per­ché ol­tre allo Stop­pani-scien­ziato, ci piace ri­cor­dare an­che lo Stop­pani-di­vul­ga­tore e nar­ra­tore, una sorta di “Piero An­gela” ca­pace di af­fa­sci­nare non solo ge­ne­ra­zioni in­tere di al­lievi presso le sue le­zioni te­nute al Po­li­tec­nico di Mi­lano (“il pro­fes­sore con lo zaino in spalla”), ma so­prat­tutto il coin­vol­gi­mento della gente co­mune, ine­sperta di scienza. Il suo “pub­blico” con­si­steva si­cu­ra­mente dalla no­biltà e da­gli in­tel­let­tuali mi­la­nesi, che ve­ni­vano in­vi­tati presso il se­mi­na­rio di Ve­ne­gono (dove tutt’ora è di­spo­ni­bile il mu­seo na­tu­ra­li­stico con una gran­dis­sima rac­colta di mi­ne­rali e fos­sili) per ascol­tare teo­rie che al­lora do­ve­vano ap­pa­rire al­quanto bizzarre […]»

Aiuto!!!!

E sì, Si­gnor Sin­daco, Lei ha pro­prio bi­so­gno di aiuto quanto meno per met­tere un po’ d’ordine nello staff che ha sug­ge­rito e vi­sio­nato que­sto di­scorso prima che Lei — in­co­scien­te­mente e senza al­cuna ve­ri­fica — lo pro­nun­ciasse il 15 ago­sto 2024 sulla pub­blica piazza.

Quindi, se­condo Lei e i suoi con­su­lenti, è cosa sto­ri­ca­mente ac­qui­sita che:

a/ l’Abate Stop­pani in­vi­tava al “Se­mi­na­rio di Ve­ne­gono” no­bili e in­tel­let­tuali mi­la­nesi per­ché as­si­stes­sero alle sue af­fa­sci­nanti conferenze;

b/ che in quello stesso Se­mi­na­rio di Ve­ne­gono “è tutt’ora di­spo­ni­bile” un mu­seo na­tu­ra­li­stico — quel “tutt’ora” ci fa ca­pire senza equi­voci che se­condo Lei già ai tempi di Stop­pani al Se­mi­na­rio di Ve­ne­gono fosse “di­spo­ni­bile” un mu­seo naturalistico.

È così? ne è pro­prio si­curo?
È in grado di dirci dove da Lei, o dai suoi as­si­stenti, sono state rin­ve­nute que­ste in­for­ma­zioni?
Lei sa che come pub­blico uf­fi­ciale ha de­gli ob­bli­ghi re­la­tivi alla ve­ri­di­cità di quanto af­ferma nelle Sue funzioni?

Sa­rebbe in­te­res­sante co­no­scere la fonte cui Lei si è ispi­rato an­che per­ché ci sem­bra che nes­suno — pro­prio nes­suno — al­meno ne­gli ul­timi 160 anni (da quando cioè l’Abate co­min­ciò a es­sere pub­bli­ca­mente co­no­sciuto come geo­logo) ab­bia mai detto al­cun­ché su que­ste con­fe­renze di Stop­pani al Se­mi­na­rio di Ve­ne­gono né tanto meno sulla con­tem­po­ra­nea pre­senza nel me­de­simo di un mu­seo naturalistico.

Forse il Dot­tor Ros­setto, Di­ret­tore dei Mu­sei Ci­vici di Lecco, nel pre­pa­rare l’intervento che svol­gerà sul “Fondo Stop­pani” all’Accademia dei Lin­cei di Roma il pros­simo 24 set­tem­bre, ha tro­vato qual­che do­cu­mento re­cante que­ste no­ti­zie che Lei ci ha tra­smesso il 15 ago­sto 2024, inau­gu­rando la targa de­di­cata a Stop­pani?
 Siamo ve­ra­mente cu­riosi per­ché vede, Si­gnor Sin­daco, c’è un pic­colo pro­blema di ca­rat­tere cronologico.

Lei certo sa (o do­vrebbe) che l’Abate Stop­pani tenne di­versi ci­cli di con­fe­renze a Mi­lano (da quelle svolte nel 1873 egli ri­cavò il suo “Ac­qua e terra” pub­bli­cato nel 1874).
E ov­via­mente sa (o do­vrebbe) che l’Abate ci la­sciò il 1 gen­naio 1891, an­cora re­la­ti­va­mente gio­vane (aveva 66 anni) per un at­tacco di an­gina pectoris.

Per quanto ri­guarda il Se­mi­na­rio di Ve­ne­gono, Lei evi­den­te­mente sa poco e quindi Le diamo una mano in­for­man­doLa che il Se­mi­na­rio di Ve­ne­gono, dove se­condo Lei l’Abate Stop­pani avrebbe in­vi­tato no­bili e in­tel­let­tuali mi­la­nesi ad as­si­stere alle sue con­fe­renze è stato edi­fi­cato quasi mezzo se­colo dopo la morte di Stop­pani; che la posa della prima pie­tra è del 1928, men­tre l’inaugurazione da parte del Car­di­nale Schu­ster è del 1935.

Stu­pito?

Sul fatto in sé non c’è molto da dire e ci li­mi­tiamo a ri­por­tare un foto re­la­tiva alla ce­ri­mo­nia della posa della prima pie­tra del grande com­plesso da parte del Car­di­nale Schu­ster, Ar­ci­ve­scovo di Mi­lano — 6 feb­braio 1928; tre ar­ti­coli del Cor­riere della Sera re­la­tivi: a que­sto evento (7 feb­braio 1928); alla fu­tura si­ste­ma­zione del Se­mi­na­rio (12 no­vem­bre 1928) — qui vi è un ri­fe­ri­mento a Lecco; alla inau­gu­ra­zione (13 mag­gio 1935); una foto del com­plesso terminato.

Da ri­cor­dare che come ele­mento or­ga­nico del Se­mi­na­rio, è stata co­struita una torre alta 64 me­tri che, a par­tire da­gli anni Trenta e per quasi mezzo se­colo, è stata sede dell’Osservatorio di Fi­sica Ter­re­stre — un gio­iello della scienza.

L’unico ele­mento che vor­remmo evi­den­ziare è un pic­colo tas­sello della sto­ria del Se­mi­na­rio di Ve­ne­gono (quella vera, non quella da Lei in­ven­tata) che ha un le­game con la sto­ria di Lecco, quella che Lei do­vrebbe conoscere.

Come ri­por­tato nell’articolo del Cor­Sera del 12 no­vem­bre 1928 (evi­den­zia­zione nostra):

«Già c’è stato chi ha pen­sato di do­tare l’attuale bi­blio­teca, ricca di in­cu­na­boli e vec­chi te­sti, di un mo­der­nis­simo ma­te­riale di con­sul­ta­zione: Lecco per conto suo sì è im­pe­gnata ad al­lar­gare l’attuale ga­bi­netto di sto­ria na­tu­rale pur­ché esso sia in­ti­to­lato al suo Stop­pani […]»

Con ciò pen­siamo di avere as­solto al do­vere non par­ti­co­lar­mente esal­tante di se­gna­lare a Lei e ai Suoi col­la­bo­ra­tori un pic­colo aspetto della sto­ria reale del Se­mi­na­rio di Ve­ne­gono nel se­colo passato.

Ma, vo­lendo darne qual­che no­ti­zia an­che dell’oggi, La in­for­miamo che il 1 mag­gio Mon­si­gnor Del­pini, Ve­scovo di Mi­lano, ha inau­gu­rato al Se­mi­na­rio di Ve­ne­gono una mo­stra de­di­cata all’Abate An­to­nio Stop­pani nella quale, su grandi pan­nelli, sono stati il­lu­strati gli ele­menti sa­lienti della vita e dell’opera di Stop­pani.
 A pre­sen­tare l’iniziativa erano sia l’ottimo Mon­si­gnor Gen­tili, da de­cenni im­pe­gnato nel fare del Mu­seo Stop­pani del Se­mi­na­rio di Ve­ne­gono non solo un “gio­iello”, come è stato au­to­re­vol­mente de­fi­nito, ma an­che un punto di ri­fe­ri­mento cul­tu­rale di alto li­vello.
 
Un punto di ri­fe­ri­mento sia per chi ri­tiene le scienze na­tu­rali stru­mento chiave per la com­pren­sione e il go­verno del no­stro mondo at­tuale, sia per chi è con­vinto che del ma­gi­stero scien­ti­fico e cul­tu­rale dell’Abate Stop­pani si debba an­cora sco­prire molto, a van­tag­gio di tutti.
 
Se­gna­liamo al­tresì che ad af­fian­care Don Gen­tili al Se­mi­na­rio di Ve­ne­gono vi sono va­li­dis­simi rap­pre­sen­tanti della nuova ge­ne­ra­zione di na­tu­ra­li­sti e sto­rici, come Vit­to­rio Pie­roni e Mauro Lo­ca­telli, ve­ra­mente molto preparati.

Non sa­rebbe stata una brutta cosa se, nell’occasione di que­sta inau­gu­ra­zione del 1 mag­gio, un rap­pre­sen­tante del Co­mune avesse fatto una vi­si­tina, an­che solo per fare atto di pre­senza.
 Ma ci ren­diamo conto che è chie­dere troppo a una Am­mi­ni­stra­zione che di tutta evi­denza dell’Abate Stop­pani pro­prio non im­porta nulla e lo va­luta molto meno dei “mis­sul­tìn” — che “al­meno se magnano”.

D’altra parte, tutto ciò è già ben noto a tutti. E a Lei, Si­gnor Sin­daco, an­che senza sco­mo­darsi con ri­cer­che d’archivio, sa­rebbe stato suf­fi­ciente dare una scorsa ai gior­nali di Lecco per avere il qua­dro della sto­ria, quella reale.
 Solo come esem­pio, pren­diamo il quo­ti­diano “Lecco on line” del 15-04-2024: nell’articolo “Il se­mi­na­rio di Ve­ne­gono de­dica una mo­stra a Stop­pani”, il gior­na­li­sta A.B. trac­cia una breve sin­tesi, del tutto com­pren­si­bile an­che ai di­stratti (evi­den­zia­zioni nostre):

«È uf­fi­ciale: il pros­simo 1° mag­gio 2024, alle ore 11.30, presso la sala Beato Car­di­nale Il­de­fonso Schu­ster del se­mi­na­rio ar­ci­ve­sco­vile Pio XI di Ve­ne­gono In­fe­riore (Va­rese), verrà aperta la mo­stra de­di­cata ad “An­to­nio Stop­pani ed il se­mi­na­rio di Mi­lano: tra fos­sili, li­bri e do­cu­menti”. L’esposizione sarà inau­gu­rata dall’arcivescovo mons. Ma­rio Del­pini: fos­sili, li­bri e do­cu­menti co­sti­tui­ranno il cuore della mo­stra de­di­cata a Stop­pani, prete am­bro­siano, scien­ziato lom­bardo e pa­dre della geo­lo­gia ita­liana.
 C’è da ri­cor­dare che nel cam­mino della sua for­ma­zione al sa­cer­do­zio Stop­pani non ha mai fre­quen­tato il se­mi­na­rio di Ve­ne­gono, che è stato uf­fi­cial­mente inau­gu­rato, pa­rec­chi anni dopo, nel 1935 dal car­di­nale ar­ci­ve­scovo Il­de­fonso Schu­ster. La nuo­vis­sima strut­tura, non an­cora com­ple­tata, vide i primi se­mi­na­ri­sti dell’allora qua­drien­nio teo­lo­gico mag­giore nel pe­riodo di va­canze in­terne dell’agosto 1930.
 
I se­mi­nari fre­quen­tati da An­to­nio Stop­pani sono stati per primo quello in Ca­stello di Lecco, alle prime pro­pag­gini di un monte che gli è stato molto caro: il san Mar­tino. Poi quelli di San Pie­tro Mar­tire a Se­veso, di Monza ed in­fine il qua­drien­nio teo­lo­gico in Mi­lano, presso il se­mi­na­rio mag­giore, in Porta Ve­ne­zia.
 
Il se­mi­na­rio di Ve­ne­gono con­serva scritti, do­cu­menti di An­to­nio Stop­pani, come i fos­sili da lui ri­tro­vati ed af­fi­dati nel tempo al mu­seo del se­mi­na­rio. Stop­pani è morto a Mi­lano nel 1891, dove era di­ret­tore dal 1883 del mu­seo ci­vico di sto­ria na­tu­rale.
 
Nell’anno 1952, con so­lenne uf­fi­ciale ce­ri­mo­nia, la città di Lecco rap­pre­sen­tata dal sin­daco Ugo Bar­te­sa­ghi, fece dono al se­mi­na­rio di Ve­ne­gono di un bu­sto dello Stop­pani scol­pito da Fran­ce­sco Wildt

Vi­sto! già quat­tro mesi fa il gior­na­li­sta A.B. aveva scritto tutto ciò che c’era da sa­pere: ba­stava leg­gere an­che distrattamente.

Per chiu­dere que­sto pe­no­sis­simo ca­pi­tolo, due pa­role sulle con­fe­renze dell’Abate (quelle vere).

In­tanto bi­so­gna ri­cor­dare che il te­nere con­fe­renze de­di­cate al pub­blico ge­ne­rico fa­ceva parte dei com­piti isti­tu­zio­nali dei Pro­fes­sori del “Re­gio Isti­tuto tec­nico su­pe­riore” di Mi­lano.
 Le con­fe­renze (si svol­ge­vano ten­den­zial­mente il gio­vedì po­me­rig­gio, presso il Sa­lone dei Giar­dini di Porta Ve­ne­zia) erano molto se­guite so­prat­tutto da si­gnore cul­tu­ral­mente già evo­lute (e be­ne­stanti) che po­te­vano per­met­tersi di de­di­care tempo a que­ste in­te­res­santi espo­si­zioni. Op­pure da eco­no­mi­ca­mente più mo­de­ste mae­stre che di certo ne avranno fatto mi­glior uso per edu­care i gio­vani loro stu­denti.
 
La par­te­ci­pa­zione alle con­fe­renze era a pa­ga­mento (mo­de­sto) e l’incasso ve­niva de­vo­luto a que­sta o quella strut­tura educativa.

Ai “Giar­dini” di Mi­lano l’Abate tenne molte con­fe­renze che gli pro­cu­ra­rono una buona no­to­rietà: in­va­ria­bil­mente quasi esi­tante all’inizio della re­la­zione, con lo sguardo fisso in un punto al di so­pra del pub­blico, ra­pi­da­mente en­trava nella parte, il tono si fa­ceva più fermo e, aiu­tato an­che dalla bella voce ba­ri­to­nale, Stop­pani col­piva gli ascol­ta­tori con la chia­rezza della espo­si­zione e l’originalità delle con­si­de­ra­zioni.
 Una delle sue più no­te­voli opere («Ac­qua e aria — Os­sia la pu­rezza del mare e dell’atmosfera fin dai pri­mordi del mondo ani­mato») venne re­datta pro­prio as­sem­blando 14 con­fe­renze te­nute nel 1873.

Si­gnor Sin­daco, di­men­ti­chi quelle mai fatte chia­mate a rac­colta di no­bili e in­tel­let­tuali mi­la­nesi da parte di Stop­pani nell’allora ine­si­stente Se­mi­na­rio di Ve­ne­gono: è roba da ri­sulta che la co­pre di ridicolo.

Proposizione 6

Il Sindaco di Lecco presenta Stoppani come un sorta di beatnik girItalia giraMondo senza un perché e non per quello che era: uno scienziato con precisi e sempre circostanziati obiettivi …

«… E poi via, per un cir­cuito vi­vace di con­fe­renze, in­se­gna­menti, spe­di­zioni, pub­bli­ca­zioni e ono­ri­fi­cenze ac­ca­de­mi­che, con la sua ca­pa­cità di leg­gere in ma­niera ar­mo­nica e com­ple­men­tare tutto quel mondo me­ra­vi­glioso che lega in­sieme mon­ta­gna, ter­ri­to­rio, al­pi­ni­smo e av­ven­tura, viaggi esplo­ra­tivi in al­tre parti del mondo, e un in­fi­nito af­fetto verso il no­stro “Bel Paese”, l’Italia gi­rata a piedi in lungo e in largo, il Paese più bello del mondo.»

Que­sta è una delle uni­che due Pro­po­si­zioni (l’altra è la im­me­dia­ta­mente suc­ces­siva) con le quali Lei ci dà la Sua vi­sione d’insieme di Stop­pani. Ne emerge una im­ma­gine tutta pro­mo­zio­nale tesa all’attrazione del tu­ri­sta ideale per il ter­ri­to­rio lec­chese.
 Un cam­mi­na­tore, un trek­ker d’altri tempi — ma na­tu­ral­mente una per­sona a po­sto. Un Jack Ke­rouac — ma senza dro­ghe e donne. Un Ke­rouac da se­mi­na­rio si po­trebbe de­fi­nire — ma senza nean­che un vago sen­tore di re­li­gione.
 
Un pro­to­tipo buono per ogni uso e quindi ine­si­stente. So­prat­tutto se ac­co­stato alla fi­sio­no­mia di Stop­pani che tutto fu tranne quella fi­gura da Lei delineata.

Lo di­ciamo senza ani­mo­sità: que­sta Pro­po­si­zione 6 è ve­ra­mente la peg­giore di tutto il Suo di­scorso. Per­ché è tutta falsa, e ci sem­bra non per in­ge­nua inconsapevolezza.

Quel le­gare in­sieme mon­ta­gna, ter­ri­to­rio, al­pi­ni­smo e av­ven­tura può an­dare forse bene per un pie­ghe­vole pen­sato per i tu­ri­sti ma nulla ha a che ve­dere con Stop­pani.
 La mon­ta­gna è sem­pre stata per Stop­pani luogo di ec­cel­lenza per la co­no­scenza della vita del pia­neta.
 
Sia in quanto de­po­sito delle te­sti­mo­nianze fos­sili di come la vita si è svi­lup­pata in ere lon­tane dalla no­stra mi­lioni di anni.
 
Sia in quanto pro­dotto de­gli scon­vol­gi­menti in­terni del globo che si ma­ni­fe­stano at­tra­verso i vul­cani (sono mon­ta­gne an­che quelle!).
 
Sia (per lo meno quelle più alte) in quanto con­den­sa­tori dell’umidità at­mo­sfe­rica in piog­gia e neve; quindi in quanto pro­dut­tori dei ghiac­ciai, es­sen­ziali per la con­ti­nuità del ri­for­ni­mento idrico per le col­ti­va­zioni e per la no­stra esi­stenza quotidiana.

Ed è stata una delle ma­ni­fe­sta­zioni della na­tura nelle quali egli ri­co­no­sceva con mag­giore lim­pi­dezza il le­game con il di­vino: niente a che fare né col ter­ri­to­rio come di certo lo in­tende Lei né con l’avventura, qua­lun­que cosa Lei in­tende espri­mere con que­sta espres­sione buona per co­la­zione, pranzo, ape­ri­tivo e cena.
 Av­ven­tura per Stop­pani è solo ciò che eti­mo­lo­gi­ca­mente in­dica: il fu­turo. E que­sto per Stop­pani è già scritto nell’oggi e nel passato.

Ciò che in­te­res­sava a Stop­pani non era la vi­sione di cose nuove ma la com­pren­sione delle realtà an­ti­che, la com­pren­sione delle ra­gioni ul­time, per quanto pos­si­bile alla mente scien­ti­fica dell’uomo; ol­tre alla quale c’è la com­pren­sione del reale con al­tri stru­menti che non ap­par­ten­gono alla scienza ma alla re­li­gione.
 In ciò si può certo dis­sen­tire da Stop­pani (noi ab­biamo idee di­verse in ma­te­ria) ma que­sta era la sua vi­sione e nel com­me­mo­rarlo non pos­siamo so­vrap­por­gli la no­stra vi­sione e sen­si­bi­lità.
 
Se non uniamo la sfac­cet­ta­tura re­li­giosa del suo io a quella scien­ti­fica, non com­pren­diamo nulla né dello Stop­pani scien­ziato né dello Stop­pani pre­sbi­tero (o “prete” come di­ciamo alla buona).
 
Pa­rola che in­fatti Lei mai cita, li­mi­tan­dosi — una sola volta — a ri­cor­darlo come “sa­cer­dote” con tutta la am­bi­guità che ciò com­porta (ogni re­li­gione ha sa­cer­doti, ma solo il cri­stia­ne­simo ha presbiteri).

Con que­sta Pro­po­si­zione n. 6 Lei ha can­cel­lato la fi­sio­no­mia di Stop­pani e an­che i dati della sua esi­stenza di uomo. Non era un “in­se­gnante”: an­che uno spaz­zino — con tutto il ri­spetto — “in­se­gna” al suo ine­sperto as­si­stente. Stop­pani è stato un do­cente uni­ver­si­ta­rio, Or­di­na­rio di geo­lo­gia e an­nessi all’Università di Pa­via, Mi­lano, Fi­renze — ci vuol tanto a dirlo?

E per­ché Lei non ha ri­cor­dato al­meno quat­tro, cin­que ti­toli delle sue “pub­bli­ca­zioni” — non vuol pas­sare per ven­di­tore porta a porta di enciclopedie?

Quando Lei parla di “viaggi esplo­ra­tivi” fuori d’Italia, uno im­ma­gina l’Abate con ca­sco co­lo­niale, sti­vali e fu­cile in qual­che parte dell’Africa an­cora ignota (per gli eu­ro­pei! a chi ci abi­tava da mil­lenni era più che nota, ov­via­mente): op­pure con scar­poni, pel­licce e guan­toni alla guida di slitte trai­nate da mute di cani sui ghiacci po­lari.
 Beh! di que­sti viaggi Stop­pani non ne fatto nean­che uno. L’Abate ha sem­pre bat­tuto luo­ghi più che co­no­sciuti. A lui in­te­res­sava non sco­prire nuove terre ma co­gliere in quelle già note ciò che al­tri non ave­vano sa­puto vedere.

E quanto al gi­rare l’Italia a piedi in lungo e in largo, Lei è pro­prio fuori strada.
 In­tanto Stop­pani usava tutti i mezzi più pra­tici e co­modi per ar­ri­vare da qual­che parte: treno, ca­lesse, ca­valli, muli — na­tu­ral­mente in Gri­gna non po­teva an­dare col treno — e nean­che noi. E quindi cam­mi­nava, come tutti.
 In se­condo luogo è una gran balla che ab­bia gi­rato l’Italia in lungo e in largo. Si legga quel dia­rio di la­voro che è “Il Bel Paese” e si mu­ni­sca di una car­tina, carta e penna. Si ac­cor­gerà che in certe re­gioni dell’Italia Stop­pani non ha pra­ti­ca­mente mai messo piede e che in quelle vi­si­tate, i suoi per­corsi sono sem­pre stati fi­na­liz­zati a obiet­tivi ben pre­cisi, an­che molto li­mi­tati.
 
Quando si recò in Abruzzo nell’estate del 1864, andò dritto a Tocco di Ca­sau­ria, a 45 chi­lo­me­tri da Pe­scara, per ve­ri­fi­care al­cune ipo­tesi circa l’esistenza di fi­loni pe­tro­li­feri. Al Gran Sasso e alla Ma­iella, belle e in­te­res­santi ca­tene mon­tuose, non diede nep­pure uno sguardo e nep­pure ne la­sciò al­cun­ché di scritto — pos­siamo dire che ab­bia gi­rato in lungo e in largo l’Abruzzo?
 
E quando nell’agosto del 1869 andò in Si­ci­lia con il fra­tello Gio­vanni Ma­ria, che fece? An­che lì andò dritto a Ca­ta­nia per par­te­ci­pare alla IV Riu­nione straor­di­na­ria della “So­cietà Ita­liana di Scienze Na­tu­rali (SISN)” di cui ab­biamo già par­lato (23-26 ago­sto 1869); dalla città salì im­me­dia­ta­mente sull’Etna. Come egli stesso ne scrive in modo umo­ri­stico ne “Il Bel Paese”, la spe­di­zione fu un mezzo fia­sco per­ché i grandi “esplo­ra­tori” non riu­sci­rono ad ar­ri­vare in cima al vul­cano per una neb­bia mi­ci­diale (la stessa che gli fece sal­tare la spe­di­zione in Rus­sia del 1887) che co­strinse lo squa­drone de­gli in­ti­riz­ziti na­tu­ra­li­sti a scen­der­sene sulla co­sta con le pive nel sacco, pren­dere la prima nave e ri­par­tir­sene verso nord.

E in al­cune re­gioni — come la Sar­de­gna — pro­prio non ci andò, no­no­stante il loro grande in­te­resse geo­lo­gico che na­tu­ral­mente egli co­no­sceva at­tra­verso gli studi di La­mar­mora ma senza averne avuto una vi­sione di­retta. O an­che la Ca­la­bria o la Puglia.

Que­sto per dire che Stop­pani non fu un gi­ra­bel­mondo come Lei lo vor­rebbe pre­sen­tare: era uno scien­ziato — e un im­pren­di­tore — che si spo­stava certo su e giù per l’Italia ma se­condo pro­grammi ben de­fi­niti. Certo che andò molte volte a Roma: ma era o per di­scu­tere sulla Carta Geo­lo­gica o per av­viare o con­so­li­dare rap­porti con ele­menti del Va­ti­cano aperti a so­lu­zioni po­si­tive del con­flitto con il Re­gno d’Italia.
 E quando gi­ron­zo­lava non era per ve­dere le “bel­lezze na­tu­rali” ma per ca­pire come fun­zio­nava que­sto be­ne­detto globo e qual era stata la sua sto­ria.
 
Per com­pren­derlo ba­sta leg­gere il dia­rio di la­voro che stese ai suoi primi passi da geo­logo in una gi­ron­zo­lata dalle vo­stre parti — prendo un brano a caso di una pa­gina a caso:

«15 set­tem­bre 1856 – Da Cor­te­nova a Olda.

Le pa­reti della valle che scorre sotto Cre­meno e si bi­forca sotto a Mez­zacca sono tutte di are­na­rie keu­pe­riane, verdi, rosse, nere. Si ve­dono spin­gersi sul ramo de­stro fin sotto il M. Bob­bio, sul si­ni­stro ci ac­com­pa­gnano fino al Cul­mine S. Pie­tro, mu­tan­dosi in sci­sti neri e quindi in vere lu­ma­chelle. Sulla strada gli er­ra­tici a Ma­dre­pore danno in­di­zio dell’esistenza di tal banco. Di­scen­dendo dal Cul­mine si cal­pe­stano sem­pre gli sci­sti neri. Un’ora prima di Ve­de­setta strati di S. Cas­siano più ca­rat­te­riz­zato ad am­masso di Avi­cule, che so­mi­gliano alla Avi­cula in­flata, ma ne­gli sci­sti neri, ed al­tri strati che danno in­di­zio del de­po­sito lia­sico alla Co­sta della Santa, coll’Avicula in­torta e Esche­rii? An­che qui batto sulla ne­ces­sità di ben di­stin­guere i fos­sili dell’un de­po­sito e dell’altro, cui du­bito as­sai con­fusi dai geo­logi, quando pure l’estremo Lias ed il su­pe­riore S. Cas­siano non ab­biano alla fine a for­mare un solo iden­tico de­po­sito. Una mezz’ora da Ve­de­setta Ma­dre­pora in po­sto (Pli­ca­tula in­tus striata). Il letto della Val Ta­leg­gio, sia il ramo di Mor­te­rone, sia del Cul­mine, sia l’Enna ecc. è tutto sca­vato ne­gli sci­sti neri i cui li­miti sem­brano pre­ci­sare la strada dal Cul­mine a Sot­to­chiesa, e più in­nanzi da Pè­ghera fino a Bura fino a Brem­billa. Qui fos­sili ovunque.»

Per con­clu­dere, Le se­gnalo che le ul­time pa­role del Suo brano ci­tato — il Paese più bello del mondo — Stop­pani non le avrebbe mai usate ri­fe­rite all’Italia: le aveva già scritte — ma ri­fe­rite a Lecco — un al­tro si­gnore, il cui mo­nu­mento Lei vede certo ogni giorno: tal Ales­san­dro Man­zoni, alla cui me­mo­ria Stop­pani de­dicò gli ul­timi vent’anni di vita e di cui Lei nel Suo di­scorso non ha nep­pure fatto il nome — che vergogna!

Ci­tando Pe­trarca, Stop­pani de­finì l’Italia per quello che era (e an­cora è) “Il bel paese ch’Appennin parte e il mar cir­conda e l’Alpe” — quel “più” è una Sua en­ne­sima invenzione.

Proposizione 7

Il sindaco di Lecco assimila Stoppani ai grandi atleti dell’alpinismo attuale: troppo buono! ma è una ridicola e falsante rappresentazione per Stoppani e per gli atleti …

« Per certi versi, è cu­rioso in­tra­ve­dere nella vita di Stop­pani quel filo rosso che lega in­sieme un certo Dna che uni­sce i mag­giori per­so­naggi lec­chesi: l’amore per la mon­ta­gna che darà vita alle prime espe­rienze del Club Al­pino Ita­liano a Lecco (di cui quest’anno ri­cor­rono i 150 anni di fon­da­zione) e di cui Stop­pani fu pre­si­dente della se­zione di Mi­lano e Ma­rio Cer­me­nati, suo al­lievo, pre­si­dente del so­da­li­zio lec­chese; fino a giun­gere al gi­gante dell’alpinismo del No­ve­cento, Ric­cardo Cas­sin. E come non ve­dere, nelle spe­di­zioni esplo­ra­tive geo­lo­gico-na­tu­ra­li­sti­che di Stop­pani, lo spi­rito av­ven­tu­roso e l’impulso alla nar­ra­zione ed alla di­vul­ga­zione di Wal­ter Bo­natti o di Carlo Mauri.»

Troppo buono, Si­gnor Sin­daco, ma dob­biamo con­fer­mare che an­che in que­sto caso Lei è ine­so­ra­bil­mente fuori strada.

A dif­fe­renza del ter­zetto di straor­di­nari atleti da Lei ci­tati come le­gati dai tre mi­liardi di cop­pie di nu­cleo­tidi di un co­mune Dna umano, l’Abate Stop­pani era solo un nor­male cam­mi­na­tore. Certo te­nace, certo re­si­stente ma del tutto sprov­vi­sto di quelle ca­rat­te­ri­sti­che psico-fi­si­che — e so­prat­tutto di quelle mo­ti­va­zioni — che hanno con­sen­tito a Cas­sin, Bo­natti e Mauri di con­qui­starsi un po­sto di ec­cel­lenza nella sto­ria dell’alpinismo.

An­che se il suo mondo di ri­fe­ri­mento era col­lo­cato su al­tre vette della co­no­scenza, di certo Stop­pani am­mi­rava i Cas­sin, i Bo­natti, i Mauri del suo tempo (ce ne sono sem­pre di uo­mini fuori del co­mune).
 Ma non po­teva fare a meno di un poco di iro­nia, na­sco­sto sotto quei due-tre strati di bo­no­mia che as­su­meva quando vo­leva espri­mere il pro­prio pen­siero senza creare ri­sen­ti­mento nell’interlocutore.

Si­gnor Sin­daco, Le sug­ge­riamo di farsi una ri­let­tura de “Il Bel Paese”, Se­rata II, nella quale l’abate tratta di­ste­sa­mente del Club Al­pino Ita­liano e dell’alpinismo an­che da un punto di vi­sta spor­tivo.
 In par­ti­co­lare ri­chia­miamo la Sua at­ten­zione su un brano di quella Se­rata e sulle re­la­tive note a piè di pa­gina (pp. 21-22 della prima edi­zione Agnelli del 1876):

«II nome stesso di Club al­pino già vi dice che c’entra qual­cosa d’inglese. È im­pos­si­bile che non ab­biate letto o sen­tito par­lar quanto ba­sta per sa­pere che ci sono de­gli uo­mini di pa­sta così fer­ri­gna che met­tono ogni lor gu­sto nell’inerpicarsi su pei di­rupi, come gli orsi e i ca­mo­sci, e cre­dono d’aver rag­giunto lo scopo della loro vita quando pos­sano met­tersi sotto i piedi una cima, te­nuta per inac­ces­si­bile prima di loro. Que­sta fatta di uo­mini, che ri­corda in qual­che modo gli an­ti­chi Ci­clopi (1), s’è tanto mol­ti­pli­cata in que­sti ul­timi anni, che or­mai non v’è forse una cima nelle Alpi che possa dirsi in­tatta; e se an­diamo in­nanzi di que­sto passo, l’epiteto d’inaccessibile an­drà can­cel­lato, quanto ai monti, dal dizionario.

Se mi do­man­date a qual na­zione ap­par­ten­gano que­sti Nem­brotti (2), vi dirò che non v’ha forse na­zione, la quale non ne vanti al­cuno; ma credo che va­dano di­stinti so­pra tutti, per nu­mero e per va­lore, gli Sviz­zeri e gl’Inglesi.»

_______

(1) Gi­ganti smi­su­rati, con un sol oc­chio cir­co­lare in fronte, come in­dica il loro nome che in greco si­gni­fica oc­chio ro­tondo. Essi abi­ta­vano i monti, ne pas­seg­gia­van le vette, ne cer­ca­vano e ne la­vo­ra­vano i me­talli na­sco­sti. Ta­lora erano rap­pre­sen­tati come pa­stori sel­vaggi; tal al­tra come fab­bri­ca­tori di edi­fici, com­po­sti di grandi ma­ci­gni, più o meno grezzi, e chia­mati tut­tora mura ciclopiche.

(2) Nem­rod, di­scen­dente di Cham, chia­mato dalla Bib­bia ro­bu­sto cac­cia­tore da­vanti a Dio, pas­sato in pro­ver­bio per in­di­care un uomo ro­bu­sto, vio­lento, in­tra­pren­di­tore d’audaci imprese.

Ci sem­bra che fino a ora nes­suno ab­bia ri­le­vato il cau­stico umo­ri­smo di quei ri­fe­ri­menti alla Bib­bia e al mito clas­sico che i suoi in­ter­lo­cu­tori di al­lora (i vari Sella, Gior­dano) avranno in­vece colto im­me­dia­ta­mente con un sor­riso a mezza bocca.

Nella Bib­bia Nem­rod, ol­tre che come “in­tra­pren­di­tore d’audaci im­prese”, è ri­cor­dato come fon­da­tore e reg­gi­tore della città di Ba­bele, fa­mosa per la sua esten­sione e ma­gni­fi­cenza. Gli abi­tanti, in­su­per­biti, co­strui­rono la fa­mosa Torre per sca­lare il cielo e porsi all’altezza della di­vi­nità. La quale non gradì e li di­sperse per il mondo to­gliendo loro la ca­pa­cità di in­ten­dersi l’un l’altro.
 Dal canto loro i Ci­clopi sono anch’essi por­ta­tori di una dop­pia fac­cia: da un lato grandi co­strut­tori di mura e città; dall’altro vio­lenti, vio­la­tori dei di­ritti delle genti e an­che antropofagi.

A co­no­scere un po­chino la cro­naca na­zio­nale del mo­mento in cui que­sti brani ven­nero scritti (l’anteprima è la pub­bli­ca­zione su “Le Prime Let­ture” di Sai­ler, pri­ma­vera del 1872) e sulle vi­cende della carta geo­lo­gica, in quel torno di tempo ca­rat­te­riz­zate da uno scon­tro molto se­rio tra le di­verse sue com­po­nenti, il senso di que­ste an­che le­pide pa­ra­bole di Stop­pani ap­pa­iono ab­ba­stanza com­pren­si­bili.
 Con la presa di Roma (set­tem­bre 1870) e il suo di­ve­nire ca­pi­tale del Re­gno d’Italia, Quin­tino Sella, grande so­ste­ni­tore dello spo­sta­mento da Fi­renze, fu at­ti­vis­simo nel lan­ciare piani di gran­diosa ri­strut­tu­ra­zione ur­ba­ni­stica. Piani su­bito tra­dotti in pra­tica e im­me­dia­ta­mente su­sci­ta­tori di gran­diose com­bine af­fa­ri­sti­che per la spar­ti­zione dei con­nessi pub­blici la­vori. Su que­sti af­fari Sella, pur non es­sen­dovi im­pli­cato per­so­nal­mente, chiuse l’unico oc­chio da Ci­clope, po­nendo così le pre­messe della crisi della De­stra sto­rica che portò al ri­bal­ta­mento par­la­men­tare del 1876, por­tando la Si­ni­stra al go­verno del Paese.
 
In quel torno di tempo, com­plice an­che pro­prio il tra­sfe­ri­mento della ca­pi­tale a Roma con i con­nessi squi­li­bri nelle va­rie at­ti­vità go­ver­na­tive, la que­stione della Carta Geo­lo­gica era ar­ri­vata a un punto di non ri­torno ve­dendo Stop­pani e il suo gruppo di geo­logi in urto ra­di­cale con le com­po­nenti go­ver­na­tive.
 
D’altra parte, in que­gli stessi mesi del 1872 nei quali scri­veva que­ste pa­gine (poi tutte con­fluite senza al­cuna va­ria­zione ne “Il Bel Paese” del 1876), l’Abate Stop­pani fir­mava, as­sieme ad al­tre per­so­na­lità del mondo cul­tu­rale e scien­ti­fico di Mi­lano, un pub­blico ma­ni­fe­sto con il quale, senza mezzi ter­mini ac­cu­sava di furto in­tel­let­tuale Som­me­lier, Gran­dis e Grat­toni, i tre in­ge­gneri che ave­vano rea­liz­zato il tra­foro del Fre­jus-Mon­ce­ni­sio, espres­sione di quel gruppo di ope­ra­tori che erano con Stop­pani in lotta aperta sulla que­stione della Carta Geo­lo­gica e di cui Sella e Gior­dano erano i prin­ci­pali rap­pre­sen­tanti.
 
Quindi in­sieme co­strut­tori di opere gran­diose ma an­che in­con­ten­ta­bili del suc­cesso e in­su­per­biti. Fi­gure gi­gan­te­sche, di grande ta­lento ma in­sieme sel­vaggi e vio­la­tori di ogni re­gola di nor­male collaborazione.

Guarda caso Sella e Gior­dano erano an­che tra i prin­ci­pali espo­nenti del Club Al­pino Ita­liano e non ci vuole molto a com­pren­dere come Stop­pani, con quelle bat­tute so­pra ri­cor­date, vo­leva ri­fe­rirsi pro­prio a loro, con quella per­ma­nente com­po­nente di at­tra­zione-di­stacco che ca­rat­te­rizzò i suoi rap­porti con quel gruppo che gli aveva aperto le porte dell’eccellenza scien­ti­fica e ope­ra­tiva ma in­sieme era lon­tano dal suo modo di ve­dere sia la scienza sia le sue ap­pli­ca­zioni alla vita collettiva.

Ma al­lora che rap­porto aveva Stop­pani con il CAI?
È più che noto che Stop­pani fu Pre­si­dente della Se­zione CAI di Mi­lano dalla fine del 1873. Da nes­suno viene ri­cor­dato in­vece che Stop­pani si iscrisse al CAI nella Se­zione di Son­drio, nel mo­mento della sua fon­da­zione, os­sia nell’agosto del 1872 (vedi qui). La cosa è da con­si­de­rare.
 
Il Club Al­pino Ita­liano venne in­fatti co­sti­tuito nell’ottobre 1863. L’Abate quindi, ben­ché fosse in con­tatto stret­tis­simo con al­cuni dei suoi fon­da­tori (i già ri­cor­dati Sella, Gior­dano, solo come esem­pio) per iscri­versi al CAI at­tese nove anni: non si può quindi par­lare di amore a prima vi­sta ma di un me­di­tato ma­tri­mo­nio di con­ve­nienza (nel senso mi­gliore del ter­mine, si in­tende). Per­ché?
 
Lo ab­biamo già an­ti­ci­pato so­pra: per­ché l’andare per mon­ta­gne per Stop­pani si­gni­fi­cava stu­diare, rac­co­gliere ma­te­riali su cui ri­flet­tere per co­struire e ve­ri­fi­care le pro­prie ipo­tesi — scien­ti­fi­che e morali.

Stop­pani, co­min­ciò a va­lu­tare l’opportunità di iscri­versi al Club quando si rese conto che quella as­so­cia­zione, nella prima fase solo eli­ta­ria, stava pren­dendo piede coin­vol­gendo sem­pre più an­che i gruppi di­ret­tivi e in­tel­let­tuali con i quali egli cer­cava una in­tesa per po­tere svol­gere una ine­dita ri­cerca col­let­tiva di co­no­scenza scien­ti­fica del ter­ri­to­rio na­zio­nale.
 Per esem­pio, per rac­co­gliere la massa di dati di cui aveva bi­so­gno per trarre ele­menti utili e pre­dit­tivi dalle os­ser­va­zioni in campo gla­cio­lo­gico, pensò di coin­vol­gere i soci del CAI, for­nendo loro il 25 giu­gno 1878 con una ap­po­sita cir­co­lare evi­den­ziando 12 punti di mag­giore in­te­resse (vedi qui). E que­sta fu una delle tante ini­zia­tive che egli prese per­ché il CAI fosse il brac­cio ope­ra­tivo (ma con­sa­pe­vole e in­tel­li­gente) di un pro­getto di in­te­resse col­let­tivo.
 
Al­tri mo­menti di que­sto pro­cesso di con­ta­mi­na­zione scien­ti­fica di una as­so­cia­zione con una forte com­po­nente an­che spor­tiva e lu­dica fu­rono le sta­zioni me­te­reo­lo­gi­che che egli con­vinse a rea­liz­zare per avere dati di prima mano sulle con­di­zioni di umi­dità, a suo av­viso es­sen­ziali per po­tere com­pren­dere il fe­no­meno della ri­ti­rata dei ghiacciai.

E quindi, alla luce di quanto fin qui espo­sto, che dire del DNA che se­condo Lei le­ghe­rebbe Stop­pani alle fi­gure dell’alpinismo dei no­stri anni?
 Sa­rebbe ne­ces­sa­rio un lungo di­scorso per chia­rire que­sto aspetto ma per il mo­mento ci con­ten­tiamo di ri­cor­dare che, con­sa­pe­vole dei pro­pri li­miti, l’Abate (di­screto pia­ni­sta e di­let­tante com­po­si­tore, ri­chie­sto per le se­rate mu­si­cali tra amici-preti, anch’essi com­pa­gni di escur­sioni) ci scher­zava so­pra e, con il so­lito bo­na­rio sar­ca­smo, di­ceva (Cor­ne­lio, p. 26):

«Ho le mani troppo pic­cole per es­sere un vero pia­ni­sta e le gambe troppo corte per es­sere un vero alpinista».

Proposizione 8

Il Sindaco di Lecco, dietro una infantile storiella di mongolfiere, nasconde il contrasto all’interno del clero milanese tra l’ala rosminiana, democratica e patriotica, e la gerarchia ecclesiastica, reazionaria e filo austriaca.

Dal di­scorso del Sin­daco del 15 ago­sto 2024:

«Non posso tra­scu­rare, in que­sto mio breve sa­luto, il ruolo dello Stop­pani-po­li­tico: fu ani­ma­tore delle 5 gior­nate di Mi­lano, quando, da se­mi­na­ri­sta, or­ga­nizzò il fa­moso sor­volo della città in mon­gol­fiera da cui fece pio­vere dei ma­ni­fe­sti in­sur­re­zio­nali con­tro l’invasione au­striaca, ov­via­mente ve­nen­done pu­nito con il di­vieto di insegnamento.»

È ve­ra­mente in­cre­di­bile come Lei, Sin­daco di una città lom­barda, per di più della città di An­to­nio Stop­pani, ab­bia po­tuto in così po­che pa­role in­fi­lare ben tre ca­stro­nate sulle Cin­que Gior­nate di Mi­lano del marzo 1848 e sulla vi­cenda di don An­to­nio ne­gli anni suc­ces­sivi alla rivolta.

Rias­su­miamo il Suo pensiero:

1/ Stop­pani fece pio­vere ma­ni­fe­sti da una mon­gol­fiera sor­vo­lante Milano

2/ i ma­ni­fe­sti erano con­tro la “in­va­sione” austriaca

3/ Stop­pani venne escluso dall’insegnamento a se­guito di que­sta azione.

Per quanto ri­guarda la ca­stro­nata della in­va­sione, la cosa mi­gliore è che Lei chieda aiuto a un qual­siasi Suo con­cit­ta­dino. Le spie­gherà che an­che a Lecco gli au­striaci nel 1848 ave­vano fatto la loro “in­va­sione” da ol­tre un se­colo; che ap­pena sen­tite le no­ti­zie di Mi­lano, an­che a Lecco i cit­ta­dini as­sa­li­rono la guar­ni­gione au­striaca che si ar­rese su­bito (sa­pe­vano che i lec­chesi non scher­za­vano, sta­vano lì a rom­per­gli i cosi da un bel pezzo). Di­sar­mata la truppa, i Suoi con­cit­ta­dini ave­vano for­mata una co­lonna ar­mata che si av­viò verso Mi­lano per dare una mano ai ri­vol­tosi. Si fac­cia spie­gare la cosa e poi ne parliamo.

Prima di en­trare nel me­rito delle al­tre due ca­stro­nate (mon­gol­fiera ed esclu­sione dall’insegnamento), vor­remmo però sia chiaro a Lei e an­che a chi ci legge che in que­sta Sua pro­po­si­zione, Si­gnor Sin­daco, Lei è in­ciam­pato in ba­nali er­rori di fatto ma so­prat­tutto ha espresso un pes­simo orien­ta­mento che va sem­pre più dif­fon­den­dosi: di una vi­cenda evi­den­ziare aspetti as­so­lu­ta­mente mar­gi­nali (o an­che to­tal­mente in­ven­tati) per non par­lare di quelli real­mente si­gni­fi­ca­tivi.

Stop­pani fu al­lon­ta­nato dall’insegnamento non per quella ri­di­cola sto­riella della mon­gol­fiera ma per tutt’altre ra­gioni.
 As­sieme a Stop­pani fu­rono in­fatti esclusi dall’insegnamento al­tri 19 pro­fes­sori dei Se­mi­nari lom­bardi, con età e ruoli di­versi ma le­gati dalla co­mune ade­sione al pen­siero dell’Abate An­to­nio Ro­smini, in quel torno di tempo im­por­tante sul piano re­li­gioso ma so­prat­tutto della po­li­tica nel senso più stretto.
 Con quell’allontanamento delle te­ste pen­santi dai Se­mi­nari lom­bardi, la ge­rar­chia ec­cle­sia­stica mi­la­nese, gui­data dal Ve­scovo Ro­milli, si adat­tava alla li­nea rea­zio­na­ria e bru­tal­mente anti ita­liana del go­verno au­striaco.
 Al­lon­ta­nati i do­centi ro­smi­niani, pro­gres­si­sti e pa­trio­tici, in­se­riva come do­centi ai Se­mi­nari mem­bri dell’ordine de­gli Oblati, rea­zio­nari nelle idee e nei com­por­ta­menti, per­fet­ta­mente sin­to­nici con la po­li­tica di chiu­sura e di op­pres­sione dell’Austria.

Il ri­chiamo che Lei fa, Si­gnor Sin­daco, a una di­men­sione solo in­di­vi­duale della vi­cenda di Stop­pani è un modo (con­sa­pe­vole o meno do­vrebbe dir­celo Lei) per te­nere la fi­gura di Stop­pani lon­tana dalla sua di­men­sione reale sul piano sto­rico af­fo­gan­dola in ri­di­cole in­ven­zioni aneddotiche.

Qui di se­guito, quindi:

prima di tutto to­gliamo dal campo le as­sur­dità in­fan­tili su mon­gol­fiera e piog­gia di ma­ni­fe­sti qua­ran­tot­te­schi da Lei pre­sen­tati come causa dei guai di Stoppani;

in se­conda istanza ve­niamo alle cose se­rie, os­sia del con­te­sto sto­rico che vide Stop­pani escluso nel 1853 dall’insegnamento — ri­pe­tiamo: con al­tri 19 pro­fes­sori dei Se­mi­nari.

… organizzò il famoso sorvolo della città in mongolfiera da cui fece piovere dei manifesti insurrezionali ….

Que­ste Sue pa­role su sor­volo, mon­gol­fiera e ma­ni­fe­sti sono de­ci­sa­mente scom­bi­nate. Al let­tore però due cose pos­sono ri­sul­tare ab­ba­stanza chiare:

1/ L’espressione “il fa­moso sor­volo” gli dice che, se­condo Lei, Stop­pani or­ga­nizzò que­sta “piog­gia” di ma­ni­fe­sti da una mon­gol­fiera una sola volta (se Lei avesse vo­luto ri­fe­rirsi a più azioni avrebbe in­fatti si­cu­ra­mente scritto “i fa­mosi sor­voli” — Lei è an­che pub­bli­ci­sta, fi­gu­ria­moci!).
E in­vece Stop­pani e com­pa­gni fe­cero al­zare in volo quasi trenta pal­loni ae­ro­sta­tici e al­tret­tanto fe­cero al­meno al­tri due po­sta­zioni in­sur­re­zio­nali, in to­tale au­to­no­mia dal Seminario.

2/ Quel Suo “[fece] pio­vere” (con l’attenzione sul “pio­vere”) dice al let­tore che, se­condo Lei, Stop­pani fece ca­lare dall’alto una ve­ra­mente grande quan­tità di ma­ni­fe­sti.
Se pen­siamo in­fatti che una piog­gia di nor­male in­ten­sità, in un mi­nuto, porta su un me­tro qua­drato di ter­reno più di 600.000 gocce d’acqua (sei­cen­to­mila), col ri­fe­rirsi a una “piog­gia di ma­ni­fe­sti” Lei certo ne aveva in mente 2-3 mila.

E que­sti ma­ni­fe­sti che for­mato ave­vano, se­condo Lei?
Un “ma­ni­fe­sto” stan­dard, oggi come nel 1848, mi­sura più o meno cm 70×100. An­che con­si­de­rando un for­mato ri­dotto, dob­biamo pen­sare al­meno a un 50×70 cen­ti­me­tri. Quindi la sua frase, tra­dotta in ter­mini più pre­cisi, sta­rebbe a in­di­care che Stop­pani lan­ciò in quel “fa­moso sor­volo” 2-3 mila ma­ni­fe­sti 50×70, pari, più o meno, a 50-60 chilogrammi.

3/ l’espressione “fece [pio­vere]” (con l’attenzione sul “fece”) of­fre in­vece al let­tore due opzioni:

a) prima op­zione: Stop­pani aveva esco­gi­tato un si­stema con cui, da lon­tano, “fare pio­vere” dalla mon­gol­fiera in sor­volo quei 2-3 mila ma­ni­fe­sti: una mic­cia? uno stil­li­ci­dio di ac­qua o sab­bia per pro­vo­care a un certo punto l’apertura di una botola?;

b) se­conda op­zione: Stop­pani, o un al­tro se­mi­na­ri­sta, era sulla mon­gol­fiera e quindi po­teva “fare pio­vere” i ma­ni­fe­sti a suo pia­ci­mento (po­teva cioè pren­derli e but­tarli nel vuoto senza tante storie).

Non aven­done mai nep­pure ac­cen­nato nes­suno la cosa è in­te­res­sante e di certo Lei ha fonti ine­dite che sa­remo tutti en­tu­sia­sti di co­no­scere an­che per­ché la Sua nar­ra­zione pone al­cuni problemi.

Le mongolfiere non si possono “manovrare”

Si­stema a di­stanza, esco­gi­tato da Stop­pani, op­pure pre­senza di Stop­pani (o al­tri) sulla mon­gol­fiera, Lei dà per scon­tato che que­sta po­tesse es­sere pi­lo­tata o al­meno fosse pos­si­bile pre­ve­dere con una buona ap­pros­si­ma­zione dove si sa­rebbe tro­vata in un dato mo­mento. Qui pro­prio non ci siamo, Si­gnor Sindaco.

Una mon­gol­fiera non è in­fatti in al­cun modo ma­no­vra­bile — punto!
Se è con pi­lota a bordo, que­sti, re­go­lando l’immissione dell’aria calda, può con­trol­larne la sa­lita verso l’alto o la di­scesa verso il basso. Non po­trà però in al­cun modo de­ci­derne gli spo­sta­menti la­te­rali: que­sti di­pen­dono esclu­si­va­mente dai venti che, alle va­rie al­tezze, la mon­gol­fiera può in­con­trare.
Se è senza pi­lota, l’unica ma­no­vra di­spo­ni­bile è riem­pirla di aria calda e lan­ciarla verso l’alto senza avere al­cuna pos­si­bi­lità di re­go­larne sia la di­scesa sia la direzione.

Quindi la Sua espres­sione “fece pio­vere” è pro­prio una stu­pi­dag­gine detta tanto per dire. E in­fatti Lei non dice “dove” Stop­pani avrebbe fatto pio­vere quei 2-3 mila ma­ni­fe­sti — è chiaro che Lei non ne ha nes­suna idea (e ri­te­niamo che non Le in­te­ressi pro­prio nulla).

Ma c’è un al­tro aspetto da considerare.

Per costruire una mongolfiera per trasporto uomo ci voleva almeno una settimana.

Vo­lendo sup­porre che Stop­pani (o un al­tro se­mi­na­ri­sta) fosse a bordo della mon­gol­fiera, pronto a lan­ciare nel suo tra­svolo quei 2-3 mila ma­ni­fe­sti, dob­biamo porci il pro­blema delle sue di­men­sioni.
 Sap­piamo che in un pal­lone ae­ro­sta­tico (tale è una mon­gol­fiera) il rap­porto vo­lu­me/­peso-tra­spor­tato è di 3 me­tri cubi d’aria per 1 chi­lo­grammo.
 Fatto 30 chili per la ce­sta porta pas­seg­gero; 10 chili di va­rie tec­ni­che; 60 chili per il pas­seg­gero (Stop­pani non era un gi­gante); 50 chili per i ma­ni­fe­sti, ab­biamo un peso di circa 150 chi­lo­grammi, os­sia 450 me­tri cubi di pal­lone, pari (sem­pli­fi­chiamo la forma per co­mo­dità) a una sfera di 9,5 me­tri di dia­me­tro.
 Va da sé che in nes­sun modo i se­mi­na­ri­sti avreb­bero po­tuto co­struire in quella si­tua­zione e in po­che ore un ap­pa­rato del ge­nere: quando a fine ’700 ven­nero lan­ciate le prime mon­gol­fiere con tra­sporto di un pas­seg­gero, per la loro rea­liz­za­zione era sti­mata una set­ti­mana di la­voro di 3 esperti operatori.

Con­clu­dendo, ci sem­bra di po­tere af­fer­mare che la sua frase sul “fa­moso sor­volo della città in una mon­gol­fiera” or­ga­niz­zato dallo Stop­pani che avrebbe “fatto pio­vere” “ma­ni­fe­sti” non vale un ac­ci­dente e che Lei si è fatto por­ta­tore di ciarle in­fan­tili senza nes­sun rap­porto né con Stop­pani né con un epi­so­dio im­por­tante della no­stra sto­ria risorgimentale.

Dopo le favole, la storia vera.

Ciò detto, La in­vi­tiamo se­guirci men­tre Le rac­con­tiamo cosa fos­sero, per­ché ven­nero co­struiti e con quali obiet­tivi i pro­ba­bil­mente ol­tre 100 “pal­loni” e “pal­lon­cini” che si al­za­rono in Mi­lano al se­condo e terzo giorno dei com­bat­ti­menti con la spe­ranza che il vento li por­tasse verso Nord, Nord-Ovest.

Anzi, lo fac­ciamo rac­con­tare da Vit­tore Ot­to­lini, in prima fila nelle Cin­que gior­nate, coe­ta­neo di Stop­pani del quale egli cita brani di con­ver­sa­zioni, te­nute de­cenni dopo tra amici e com­pa­gni di in­sur­re­zione (“La Ri­vo­lu­zione lom­barda del 1848 e 1849”, Mi­lano 1887):

«Lo Stop­pani, ram­men­tando con en­tu­sia­smo gio­va­nile i pre­ludi di quelle su­blimi gior­nate e tutto quello che ne se­guì, nar­rava agli amici:

«già dalla vi­gi­lia [il 17 marzo] in Se­mi­na­rio si aspet­ta­vano cose grosse, tanto che il ret­tore cre­dette di pre­ve­nire tutti quei gio­vani che il mo­mento su­premo era giunto […] alla prima sca­rica scro­sciata a S. Ba­bila, si capì che l’affare era co­min­ciato sul se­rio. Al­lora […] tutti i no­stri com­pa­gni fu­rono in piedi, coi bol­lenti spi­riti. […]
 Era una sma­nia in tutti, am­mi­re­vole, di but­tarsi fuori a fare qual­che cosa anch’essi, […] un po­po­lano tutto pe­sto e mal­con­cio, s’era messo a gri­dare: fuori! fuori ! alla bar­ri­cata ! alla bar­ri­cata ! …. Come uno sciame d’api fu­ri­bonde […] usci­rono tutti sul Corso, ap­pena in tempo per but­tarsi a terra, av­ver­titi che si pun­ta­vano i can­noni, ad evi­tare una sca­rica a mi­tra­glia. […] Da quel mo­mento l’opera dei se­mi­na­ri­sti si era cen­tu­pli­cata d’efficacia e la più bella ed im­po­nente bar­ri­cata di Mi­lano — quella del ponte di Porta Renza ve­niva eretta in po­che ore.»

Ma essi ave­vano ideato an­che di me­glio — con­ti­nua Ottolini.

A chi per primo ve­nuto in mente, lo Stop­pani non può ri­cor­dare, ma il fatto sta che fin dalla se­conda gior­nata era sorta l’idea di man­dare all’aria i pal­loni coi di­spacci del Go­verno prov­vi­so­rio.
Lo Stop­pani, fra i mag­giori di età, e ad­detto al ga­bi­netto di fi­sica, prese is­so­fatto la di­re­zione della fac­cenda. Tolse i cas­set­toni dai letti, ne fece grandi ta­vole, diede carta, colla e fu­ni­celle ai com­pa­gni più gio­vi­netti, li armò di for­bici, di­se­gnò e ta­gliò la carta in grandi spic­chi, ed in un mo­mento il primo e gran pal­lone era fatto.
A quello ne se­gui­rono al­tri do­dici più ampi, senza te­ner conto dei mi­nori. Ai pal­loni ve­ni­vano ap­pesi i rap­porti e le istru­zioni del Go­verno, alle quali, per conto loro, i Se­mi­na­ri­sti ag­giun­ge­vano le pro­prie, in­ci­tando abil­mente le po­po­la­zioni a sol­le­varsi e ve­nire in aiuto.
Di quei pal­loni nep­pur uno mancò allo scopo, chè anzi – in un tempo piov­vi­gi­noso spi­rava un ven­ti­cello che co­stan­te­mente li spin­geva verso la Brianza ed il Co­ma­sco, pre­ci­sa­mente ciò che oc­cor­reva ai no­stri.
Il ser­vi­zio che quei pal­loni hanno reso alla causa co­mune fu pre­zio­sis­simo: tutto il con­tado, la Brianza e Lecco in­sor­sero, ed il re­sto ce lo dice la storia.»

Di­ciamo noi che i “pal­loni” che i se­mi­na­ri­sti di Mi­lano lan­cia­rono in cielo il 21 e il 22 marzo do­ve­vano avere un dia­me­tro di 140 cen­ti­me­tri, co­struiti solo in carta, con una por­tata di ca­rico di poco più di un chi­lo­grammo, quindi in grado di tra­spor­tare un pac­chetto di 150-200 vo­lan­tini stam­pati o ma­no­scritti, in un for­mato si­mile al no­stro A4 (21×29,7) — qui sotto due esem­plari di quei volantini.

Sem­pre lo stesso Ot­to­lini ri­porta un do­cu­mento in­te­res­sante al no­stro tema (p. 558):
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VIII / Do­cu­mento ine­dito, com­pro­vante che i pal­lon­cini lan­ciati nell’aria a chie­der soc­corso du­rante le 5 Gior­nate, fu­rono, per la mag­gior parte opera dei Se­mi­na­ri­sti di Milano

«Ri­ce­vuto dal si­gnor Vin­cenzo Gu­gliel­mini N. 100 fo­gli carta per palloni.

Il 21 marzo 1848
Il Se­mi­na­rio Mag­giore di Mi­lano 

Al­tra carta 200 il 22»
_______

Que­sta ri­ce­vuta è utile per due ragioni: 

— la prima è che Ot­to­lini (uno dei pro­ta­go­ni­sti delle 5 Gior­nate, poi ap­prez­zato pub­bli­ci­sta e sto­rico at­tento di que­gli av­ve­ni­menti) parla di “pal­lon­cini” (dif­fi­cile che così si po­tesse ri­fe­rire alla mon­gol­fiera di 8-9 me­tri da Lei in­ven­tata, Si­gnor Sindaco);

— la se­conda per­ché la ri­ce­vuta ci dice che tra lu­nedì 21 e mar­tedì 22 (terzo e quarto giorno dell’insurrezione, ini­ziata sa­bato 18) dal ti­po­grafo Gu­gliel­mini al Se­mi­na­rio fu­rono for­niti 300 fo­gli di carta de­sti­nati alla rea­liz­za­zione dei pal­loni.
 Il che ci dà una con­ferma in­di­retta del for­mato che do­ve­vano avere i pal­loni ap­pron­tati da Stop­pani e compagni.

Ve­diamo come:

1/ Sup­po­nendo per co­mo­dità di espo­si­zione che i fo­gli for­niti fos­sero del for­mato cm 70×100 (in realtà la mi­sura stan­dard era di un paio di cen­ti­me­tri in meno), 300 fo­gli cor­ri­spon­de­vano a 210 me­tri qua­drati di carta; con­si­de­rando (ma a spanne) un 20% di scarto, ab­biamo una su­per­fi­cie utile di 168 me­tri qua­dri di carta.

2/ Fa­cendo l’ipotesi che i pal­loni del Se­mi­na­rio fos­sero sfere con dia­me­tro di 140 cen­ti­me­tri (in realtà, per la forma, dob­biamo pen­sare a una pera col pic­ciuolo in basso), ab­biamo per ogni pal­lone una su­per­fi­cie di carta pari a mq 7.

3/ Dai 168 me­tri qua­dri utili i se­mi­na­ri­sti avreb­bero quindi po­tuto ri­ca­vare 1 pal­lone di prova, più 12 pal­loni di dia­me­tro cm 140, più una quin­di­cina di mi­nore am­piezza (di­ciamo dia­me­tro cm 100-120, per una por­tata di 7-800 grammi), che cor­ri­sponde a quanto in­di­cato da Ot­to­lini («in un mo­mento il primo e gran pal­lone era fatto. A quello ne se­gui­rono al­tri do­dici più ampi, senza te­ner conto dei mi­nori.»).
 Ov­vio che agli in­sorti in­te­res­sava di po­tere lan­ciare il mag­gior nu­mero pos­si­bile di pal­loni, an­che se di mi­nor carico.

Prima di chiu­dere que­sta prima parte de­di­cata alla po­sta ae­ro­nau­tica, è do­ve­roso ri­cor­dare che non fu solo il Se­mi­na­rio a lan­ciare pal­loni con vo­lan­tini e mes­saggi.
 Ce ne parla un al­tro pro­ta­go­ni­sta delle 5 Gior­nate, Vi­sconti Ve­no­sta, nel suo “I mar­tiri della ri­vo­lu­zione lom­barda” (Mi­lano, 1861), per esem­pio a p. 164:

«Il bi­so­gno di far co­no­scere la con­di­zione della no­stra città agli abi­tanti delle terre li­mi­trofe, sug­gerì a ta­luni, fra cui non dob­biamo di­men­ti­care Luigi Ron­chi, l’uso de’ pal­loni ae­ro­sta­tici. Dalla casa Be­sana a San Gior­gio in Pa­lazzo ne fu­rono in­nal­zati vari.

E an­cora a p. 221:

«Nelle cin­que gior­nate di blocco, lo stesso Du­nant di­ri­geva un’organata cor­ri­spon­denza ae­ro­sta­tica nella Gal­le­ria me­de­sima per mezzo di pal­loni [la al­lora esi­stente Gal­le­ria De Cri­sto­fo­ris, dava sull’attuale Corso Vit­to­rio Ema­nuele].
 Fra que­sti era­vene uno di forma co­los­sale adorno di quat­tro ban­diere a tre co­lori, rin­chiu­dente gli Av­visi che mano mano ve­ni­vano dal Go­verno Prov­vi­so­rio e dal Con­si­glio di Guerra pub­bli­cati in­torno agli av­ve­ni­menti della città, ai mezzi più ef­fi­caci di di­fen­derla.
 Ne fece an­che esso [Du­nant] stam­pare de­gli al­tri se­pa­rati in ca­rat­teri grandi ed in­tel­li­gi­bili ad ogni vil­lico, e tutti con­ve­nien­te­mente col­locò nei pal­loni, che po­scia spedì at­tra­verso le li­nee de­gli as­se­dianti, por­ta­tori delle no­stre sorti ai cam­pa­gnuoli, e fa­centi sven­to­lare nel li­bero aere l’italiana bandiera.»

Forse il Suo sug­ge­ri­tore, Si­gnor Sin­daco, ha fatto il so­lito purè e ha at­tri­buito a Stop­pani que­sto pal­lone-im­ma­gine, rea­liz­zato da Du­nant per gal­va­niz­zare gli spi­riti dei com­bat­tenti in­terni ed esterni alla città.
 Pos­siamo pre­su­mere che que­sto pal­lone “co­los­sale” di Du­nant (co­mun­que senza pi­lota-pas­seg­gero) avesse un dia­me­tro di 5-6 me­tri (quasi l’altezza di due piani di una abi­ta­zione), per una por­tata di 20-25 chilogrammi.

Dove finirono questi palloni?

Ab­biamo già chia­rito che i pal­loni ae­ro­sta­tici, con pi­lota o senza, pos­sono es­sere ma­no­vrati solo verso l’alto o verso il basso, gli spo­sta­menti la­te­rali di­pen­dendo solo ed esclu­si­va­mente dal vento.
 An­che co­no­scendo i venti che in marzo sono so­liti sof­fiare su Mi­lano e in quali ore, si po­teva solo spe­rare di po­tere man­dare i pal­loni più o meno in una certa di­re­zione ma senza averne al­cuna certezza.

E in­fatti (ci­tiamo an­cora Ve­no­sta, p. 211, no­stre le an­no­ta­zioni sui punti cardinali):

«al­cuni pal­loni at­ter­ra­rono poco ol­tre le mura cit­ta­dine, a Cal­vai­rate [Sud-Est] e Tre­vi­glio [Est], al­tri an­da­rono più lon­tano, nei pressi di Gor­gon­zola [Nord-Est], in Brianza [Nord] e nel Co­ma­sco [Nord-Ovest], al­tri an­cora at­ter­rano in ter­ri­to­rio pia­cen­tino [Sud-Est], in Pie­monte [Ovest] e nel Can­ton Ti­cino [Nord-Ovest]. Ri­spon­dendo agli ap­pelli, dalle cam­pa­gne gruppi di pa­trioti ar­mati si di­res­sero verso Milano.»

Chia­rito quindi che Stop­pani mai “sor­volò Mi­lano per fare pio­vere ma­ni­fe­sti in­ci­tanti all’insurrezione” come da Lei in­cau­ta­mente detto e scritto, Si­gnor Sin­daco, ma fu­rono in­vece da più po­sta­zioni in­nal­zati nu­me­rosi pal­loni con le­gati pac­chetti di vo­lan­tini o ro­toli di ma­ni­fe­sti per por­tare no­ti­zia dell’insurrezione il più lon­tano pos­si­bile, pos­siamo pas­sare alla se­conda ca­stro­nata, os­sia alla ra­gione per cui Stop­pani venne escluso dall’insegnamento.

I due Ar­ci­ve­scovi di Mi­lano che si suc­ce­det­tero nel pe­riodo di in­cu­ba­zione del 1848 e ne­gli anni suc­ces­sivi.
 Alla si­ni­stra di chi guarda, Karl Ka­je­tan von Gay­sruck (a Mi­lano dal 1818 al no­vem­bre del 1846), au­striaco, ostile ai rea­zio­nari e au­stria­canti Oblati e aperto verso i pa­trioti e pro­gres­si­sti ro­smi­niani.
 A de­stra, Carlo Bar­to­lo­meo Ro­milli, ita­liano, di idee esat­ta­mente op­po­ste (a Mi­lano dall’aprile 1847 al mag­gio 1859).

L’espulsione dall’insegnamento.

Ri­pren­diamo il fi­nale della Sua frase che stiamo ana­liz­zando (sot­to­li­nea­tura no­stra):
«[…] da cui fece pio­vere dei ma­ni­fe­sti in­sur­re­zio­nali con­tro l’invasione au­striaca, ov­via­mente ve­nen­done pu­nito con il di­vieto di in­se­gna­mento

Quindi Lei so­stiene espli­ci­ta­mente che Stop­pani venne escluso dall’insegnamento per avere fatto pio­vere ma­ni­fe­sti an­ti­au­striaci dalla fa­mosa mon­gol­fiera.
 Lei non in­dica “quando” e con quali mo­da­lità Stop­pani venne escluso dall’insegnamento ma im­pli­ci­ta­mente Lei sug­ge­ri­sce al let­tore che ciò “ov­via­mente” av­venne quando gli au­striaci, rien­trati vit­to­riosi in Mi­lano il 6 ago­sto 1848, co­min­cia­rono a fare i conti con chi li aveva com­bat­tuti du­rante le 5 Giornate.

È si­curo che le cose siano an­date così? I fatti (ben do­cu­men­tati) di­cono che le cose sono an­date in tutt’altro modo:

— in primo luogo l’esclusione dall’insegnamento colpì Stop­pani non con il rien­tro de­gli au­striaci in Mi­lano nell’estate del 1848 ma ben 5 anni dopo, nell’agosto del 1853 — sor­preso? Cin­que anni dopo!

— in se­condo luogo nes­suno im­putò mai a Stop­pani al­cun­ché su mon­gol­fiere e an­nesse piogge di manifesti.

Ve­diamo di chia­rirLe le idee.

1/ Stop­pani venne as­sunto come in­se­gnante nel Se­mi­na­rio di Se­veso poco dopo la sua or­di­na­zione a pre­sbi­tero (ago­sto del 1848) e lì ri­mase fino all’agosto del 1853, quando, per im­pulso e de­ci­sione delle au­to­rità ec­cle­sia­sti­che mi­la­nesi, venne escluso dall’insegnamento.
 At­ten­zione: per im­pulso e de­ci­sione delle au­to­rità ec­cle­sia­sti­che! que­sto è un punto im­por­tante su cui tor­ne­remo più sotto con gli op­por­tuni det­ta­gli: se non si hanno le idee chiare su que­sto aspetto della vi­cenda, non si ca­pi­sce nulla né su ciò che ca­pitò a Stop­pani nel 1853 né ciò che gli ca­pitò nei de­cenni suc­ces­sivi nei rap­porti con quella parte della ge­rar­chia ec­cle­sia­stica ri­ma­sta sem­pre rea­zio­na­ria, nel 1880 come nel 1853.

2/ Stop­pani non fu il solo a su­bire que­sta mi­sura: egli fu in­fatti solo uno dei 20 (venti) ec­cle­sia­stici, di di­versi Se­mi­nari lom­bardi, di di­versa età e con di­verse fun­zioni, che ven­nero esclusi dall’insegnamento col me­de­simo prov­ve­di­mento nell’agosto del 1853.

3/ Nelle note della po­li­zia au­striaca, re­datte su que­sti ec­cle­sia­stici espulsi nell’agosto 1853, per Stop­pani nes­suno se­gnalò mai che fosse l’organizzatore nel 1848 del sor­volo in mon­gol­fiera come Lei fa­vo­leg­gia, o di qual­siasi al­tra azione even­tual­mente svolta nel corso dell’insurrezione.
 Ven­nero in­vece evi­den­ziate due sue ca­rat­te­ri­sti­che, gravi per un re­gime as­so­lu­ti­stico: l’essere “di prin­cipj li­be­rali” e l’essere “poco cauto nei di­scorsi”.

Ma ve­diamo di con­te­stua­liz­zare que­sti ele­menti, ci­tando an­che gli op­por­tuni documenti.

La conclusione dell’insurrezione del 1848.

Men­tre nell’agosto 1848, pro­ve­niente da Est Ra­de­tsky si av­vi­ci­nava a Mi­lano per ri­pren­derne il con­trollo, dalla parte op­po­sta, verso il Pie­monte, usciva una co­lonna di 60-70 mila mi­la­nesi.
 Es­sendo stata la ri­volta un fatto col­let­tivo cui ave­vano par­te­ci­pato tutti i cit­ta­dini, co­loro che ave­vano agito con mo­da­lità pe­nal­mente per­se­gui­bili — cioè pra­ti­ca­mente tutta la po­po­la­zione — fug­gi­vano da­gli au­striaci per evi­tar di fi­nire in ga­lera o peggio.

Ra­de­tsky si rese conto che se non avesse preso una de­ci­sione di com­pro­messo, avrebbe go­ver­nato su una città morta. Rien­trato a Mi­lano, im­pose la legge mar­ziale e ap­plicò la legge sta­ta­ria con al­cune fu­ci­la­zioni per vio­la­zione della stessa; im­pose tasse sup­ple­men­tari a ri­sar­ci­mento dei danni pro­dotti nei com­bat­ti­menti — ma non pro­ce­dette a rap­pre­sa­glie di ca­rat­tere penale.

A rin­for­zare il ten­ta­tivo di cal­mare le ac­que, il 20 set­tem­bre 1848, l’imperatore d’Austria, Fer­di­nando I, da Vienna, annunciava:

«Nella lu­singa di ve­dere in breve ri­sta­bi­lita la pace in tutte le pro­vin­cie del re­gno lom­bardo-ve­neto, ed ani­mati dal de­si­de­rio di fare par­te­ci­pare le sue po­po­la­zioni a tutte le li­bertà, di cui già go­dono le al­tre pro­vin­cie dell’impero au­striaco, pro­viamo il bi­so­gno di ren­der note fin d’ora le No­stre in­ten­zioni in pro­po­sito.
 Ab­biamo già ac­cor­dato a tutti gli abi­tanti del re­gno lom­bardo-ve­neto in­di­stin­ta­mente pieno per­dono per la parte che po­tes­sero avere presa agli av­ve­ni­menti po­li­tici del cor­rente anno, or­di­nando che non possa farsi luogo con­tro di loro ad al­cuna in­qui­si­zione o pu­ni­zione, salvi quei ri­guardi che si tro­vasse op­por­tuno di avervi nella con­ferma di pub­blici impieghi.»

Un anno dopo, il Ra­de­tsky ri­badì la vo­lontà di ga­ran­tire la più am­pia im­pu­nità per ogni reato com­messo nei giorni dell’insurrezione a tutti — con l’eccezione di 53 per­so­na­lità di di­verse pro­vin­cie lom­barde, a suo giu­di­zio re­spon­sa­bili po­li­tici della in­sur­re­zione delle Cin­que gior­nate (se­gna­liamo che di que­ste 53 per­so­na­lità, 25 sono in­di­cate nell’elenco di Ra­de­tsky come “no­bili”, di va­rio livello).

A lato il Pro­clama di Ra­de­tsky del 12 ago­sto 1849, di cui ci­tiamo le parti di no­stro interesse:

«Molti sud­diti Lom­bardo-Ve­neti, i quali in causa dei po­li­tici scon­vol­gi­menti si erano al­lon­ta­nati dal loro paese, sono già rien­trati nel Re­gno senza sof­frire al­cuna mo­le­stia per la parte presa nei me­de­simi.
 […] io mi trovo in­dotto a di­chia­rare a to­gli­mento di ogni dub­biezza ed a con­forto dei tre­pi­danti, che tutti i sud­diti Lom­bardo-Ve­neti tut­tora as­senti all’estero per causa de­gli scon­vol­gi­menti po­li­tici, pos­sono li­be­ra­mente e im­pu­ne­mente ri­tor­nare nel Re­gno […] tanto essi quanto i già rien­trati, sa­ranno trat­tati come tutti gli al­tri sud­diti, ec­cet­tuati gli in­di­vi­dui no­mi­na­ta­mente de­scritti nell’Elenco sottoposto.»

Gli au­striaci ave­vano cioè de­ciso di adot­tare mi­sure po­li­ti­che e non di ca­rat­tere giu­di­zia­rio: nes­sun ac­cordo con gli ele­menti ri­te­nuti di­ri­genti dell’insurrezione; en­trambi gli oc­chi chiusi per tutti gli al­tri. Ciò in­di­pen­den­te­mente dai reati even­tual­mente com­messi nelle cin­que giornate.

Nel corso de­gli scon­tri gli au­striaci uc­ci­sero ol­tre 500 mi­la­nesi — com­bat­tenti ma an­che molti as­so­lu­ta­mente inermi: vec­chi, donne, bam­bini e, in nu­me­rosi casi, in modo ve­ra­mente be­stiale.
 Gli in­sorti uc­ci­sero circa 100 mi­li­tari au­striaci, tutti bene ar­mati e ad­de­strati; as­sieme ai no­stri cu­ra­rono an­che i loro fe­riti e si asten­nero da ogni tipo di rap­pre­sa­glia: sotto que­sto punto di vi­sta, una ri­volta forse unica nella storia.

Salvo al­cuni casi iso­lati, do­vuti a ini­zia­tive di suoi sin­goli uf­fi­ciali o sol­dati, Ra­de­tsky ri­tenne più con­ve­niente man­te­nere le pro­messe: pra­ti­ca­mente nes­suno dei mi­la­nesi fu per­se­gui­tato per quanto av­ve­nuto sulle bar­ri­cate, no­no­stante molti dei com­bat­tenti in­sorti (tra que­sti an­che non po­chi preti) fos­sero fi­gure ben note a tutta la cit­ta­di­nanza.
 Le è chiaro, Si­gnor Sin­daco? Al­tro che mongolfiere!

Stop­pani (che aveva se­guito l’esercito pie­mon­tese e par­te­ci­pato, sep­pure come in­fer­miere, alla san­gui­no­sis­sima bat­ta­glia di Santa Lu­cia del 23 mag­gio), poté se­guire senza pro­blemi il pro­prio per­corso: di­venne pre­sbi­tero nell’agosto del ’48 e co­min­ciò im­me­dia­ta­mente a in­se­gnare in Se­mi­na­rio senza che nes­suno mai gli con­te­stasse al­cun­ché circa pal­loni o mon­gol­fiere o qual­siasi al­tra cosa re­la­tiva alle 5 Giornate.

Va da sé che il con­trollo au­striaco si fece molto più duro: le truppe ven­nero te­nute in per­ma­nente as­setto di guerra; con l’applicazione della legge sta­ta­ria chiun­que tro­vato ar­mato o in at­teg­gia­menti so­spetti, ve­niva giu­di­cato all’istante e pu­nito, an­che con la fu­ci­la­zione im­me­diata.
 Sul piano dei rap­porti po­li­tici, verso il gruppo di­ri­gente, escluso dalla am­ni­stia ed emi­grato pre­va­len­te­mente in Pie­monte, si man­tenne un at­teg­gia­mento di to­tale chiu­sura e si fece sem­pre più strada l’idea di un espro­prio to­tale dei loro beni, no­no­stante la più am­pia op­po­si­zione su que­sto aspetto da parte de­gli Stati eu­ro­pei che vi ve­de­vano una grave vio­la­zione del di­ritto di proprietà.

La rivolta del 6 febbraio 1853.

Dopo il ’49, con la so­stan­ziale messa al si­len­zio della op­po­si­zione pa­trio­tica di ispi­ra­zione li­be­rale, le istanze in­di­pen­den­ti­ste ven­nero so­ste­nute pre­va­len­te­mente da mi­li­tanti so­cia­li­steg­gianti di estra­zione po­po­lare o sim­pa­tiz­zanti di Maz­zini.
 Come, per esem­pio, il ben noto Ama­tore (An­to­nio) Sciesa: a Mi­lano, la sera del 30 lu­glio 1851, in corso di Porta Ti­ci­nese, venne tro­vato in pos­sesso di ma­ni­fe­sti in­di­pen­den­ti­sti. Con pro­cesso som­ma­rio con­dan­nato a morte, venne fu­ci­lato il 2 ago­sto — se­condo la tra­di­zione, fatto pas­sare da­vanti alla casa dove vi­veva con mo­glie e fi­gli per­ché ri­ve­lasse i nomi dei com­pa­gni in cam­bio della vita, disse “ti­remm in­nanz” — an­diamo avanti!

La re­pres­sione più am­pia fu at­tuata nel man­to­vano.
 Il Co­mi­tato in­di­pen­den­ti­sta lo­cale, fon­dato alla fine del 1850, era di­retto da don En­rico Taz­zoli, pre­lato di orien­ta­mento maz­zi­niano, che fu ar­re­stato il 27 gen­naio 1852. A ca­tena ven­nero ar­re­stati 110 pa­trioti ap­par­te­nenti ai co­mi­tati delle va­rie pro­vince lom­bardo-ve­nete (tra cui Tito Speri, pro­ta­go­ni­sta delle Dieci gior­nate di Bre­scia).
 Il 7 di­cem­bre 1852 ven­nero im­pic­cati Gio­vanni Zam­belli, An­gelo Scar­sel­lini, Ber­nardo De Ca­nal, Carlo Poma e lo stesso En­rico Taz­zoli. Il ve­scovo di Man­tova, mon­si­gnor Corti, tentò una me­dia­zione. Ma il Se­gre­ta­rio di Stato va­ti­cano si ri­fiutò di in­ter­ve­nire e gli or­dinò di pro­ce­dere, prima dell’esecuzione, alla ri­du­zione allo stato lai­cale di don Tazzoli.

È in que­sto clima che ma­turò la ten­tata ri­volta del 6 feb­braio del 1853 a Milano.

Come noto, il pro­getto in­sur­re­zio­nale fu con­ce­pito da Maz­zini per dare una ri­spo­sta forte allo stil­li­ci­dio di ese­cu­zioni e in­car­ce­ra­zioni da parte au­striaca.
 So­ste­nuto da ele­menti po­po­lari, in parte di ispi­ra­zione so­cia­li­sta, in parte maz­zi­niani, il pro­getto venne però re­spinto dalla bor­ghe­sia mi­la­nese per­ché troppo orien­tato in senso re­pub­bli­cano e po­po­lare e per­ché man­cante di una guida ri­co­no­sciuta e af­fi­da­bile.
 Maz­zini (in­co­scien­te­mente) non ne tenne conto e man­tenne fermo il pro­getto di ri­volta i cui espo­nenti di punta fu­rono prin­ci­pal­mente ar­ti­giani, pic­coli com­mer­cianti e ope­rai.
 L’azione in­sur­re­zio­nale, con­dotta con co­rag­gio per­so­nale, non ebbe al­cuna se­ria pre­pa­ra­zione sul piano mi­li­tare e venne stron­cata im­me­dia­ta­mente con l’esecuzione per strada di chiun­que fosse colto in at­teg­gia­menti so­spetti.
 L’azione co­min­ciò do­me­nica 6 feb­braio (ul­timo giorno di car­ne­vale) alle 16,45 con l’aggressione con armi bian­che a sin­goli uf­fi­ciali e sol­dati au­striaci in li­bera uscita —è in que­ste prime azioni che si ebbe la mag­gior parte dei dieci morti e dei 54 fe­riti per parte au­striaca.
 Pic­coli gruppi di ri­vol­tosi ini­zia­rono ad eri­gere bar­ri­cate in al­cune zone di Mi­lano (Porta Tosa, Santo Ste­fano, al Car­ro­bio e al Cor­du­sio) ma senza coor­di­na­mento e so­prat­tutto senza ot­te­nere l’appoggio po­po­lare. L’unica azione di un certo ri­lievo fu l’assalto alla Gran Guar­dia al Pa­lazzo Reale dove una ven­tina di ri­vol­tosi (nei piani do­ve­vano es­sere 200) riu­sci­rono a im­pos­ses­sarsi di al­cuni fu­cili e di due can­non­cini, ve­nendo però su­bito dopo neu­tra­liz­zati.
 Senza l’appoggio della bor­ghe­sia e della no­biltà (che nel ‘48 ave­vano ca­peg­giato la ri­volta), i circa 400 tra ar­ti­giani, ope­rai e po­polo mi­nuto che ave­vano dato corpo alla ri­volta ven­nero in po­che ore di­spersi.
 Nel corso de­gli scon­tri i ri­vol­tosi su­bi­rono solo tre morti e una cin­quan­tina di fe­riti ma en­tro la gior­nata suc­ces­siva ven­nero ar­re­state più di 800 per­sone e im­me­dia­ta­mente com­mi­nate 17 con­danne a morte.
 La fal­lita ri­volta se­gnò la fine in Ita­lia delle azioni in­sur­re­zio­nali, sem­pre va­gheg­giate da Mazzini.

Ulteriore giro di vite del Feldmaresciallo Radetsky.

No­no­stante la evi­dente non par­te­ci­pa­zione della po­po­la­zione alla fal­lita azione in­sur­re­zio­nale, pren­dendo la palla al balzo, le au­to­rità au­stria­che de­ci­sero di dare una ul­te­riore stretta al con­trollo po­li­tico-mi­li­tare su Mi­lano e di ri­sol­vere una volta per tutte la que­stione de­gli emi­grati del 1848.

Il 9 feb­braio, Ra­de­tsky de­cretò che:

1 — La città di Mi­lano viene po­sta nel più stretto stato di as­se­dio, il quale, con tutte le sue con­se­guenze, verrà man­te­nuto con il mas­simo ri­gore.
2 — Ver­ranno al­lon­ta­nati dalla città di Mi­lano tutti i fo­re­stieri so­spetti.
3 — La città di Mi­lano do­vrà prov­ve­dere al so­sten­ta­mento dei fe­riti per tutta la loro vita, come al­tresì per quello delle fa­mi­glie de­gli uc­cisi.
4 — Sino alla con­se­gna e pu­ni­zione dei pro­mo­tori ed isti­ga­tori dei mi­sfatti com­messi, la città di Mi­lano do­vrà da pa­gare all’intiera guar­ni­gione una so­prat­tassa […].
5 — Mi ri­servo di in­flig­gere alla città di Mi­lano, se­condo il ri­sul­tato delle in­qui­si­zioni, la ben me­ri­tata ul­te­riore pena e con­tri­bu­zione.
––––––––––
La mi­sura di espul­sione dei “fo­re­stieri so­spetti” era presa da Ra­de­tsky con­tro lo sviz­zero Can­ton Ti­cino, come rap­pre­sa­glia per l’ospitalità data agli esuli ita­liani.
 A se­guito dell’editto ol­tre 6.000 emi­grati dal Can­ton Ti­cino, la­vo­ranti in Mi­lano come mu­ra­tori, fac­chini, pic­coli am­bu­lanti, ar­ti­giani ven­nero co­stretti a la­sciare la Lom­bar­dia en­tro le 48 ore.

Ma que­sto era solo l’inizio.
 Il 13 feb­braio Ra­de­tsky ren­deva nota la “So­vrana Ri­so­lu­zione 13 feb­braio 1853” (quindi pro­ve­niente di­ret­ta­mente da Vienna) che, con de­cor­renza im­me­diata, san­civa il se­que­stro dei beni de­gli emi­grati.
 A es­sere col­piti dal prov­ve­di­mento fu­rono i pro­fu­ghi po­li­tici, an­che gli stessi che in pre­ce­denza erano stati di­chia­rati come emi­grati re­go­lari e sciolti dalla cit­ta­di­nanza au­striaca.
 Fu­rono col­piti an­che co­loro che ave­vano ot­te­nuto re­go­lar­mente la cit­ta­di­nanza di al­tri paesi, e in par­ti­co­lare gli ol­tre 1.000 esuli lom­bardo-ve­neti tra­sfe­ri­tisi a To­rino e in al­tri cen­tri del Re­gno sardo.

Con que­ste mi­sure ve­niva por­tato alle ul­time con­se­guenze lo stran­go­la­mento non solo de­gli op­po­si­tori di­chia­rati ma di tutta la po­po­la­zione mi­la­nese, in­di­pen­den­te­mente da quanto even­tual­mente fatto con­tro i do­mi­nanti au­striaci nel 1848.

Colpire le borse ma soprattutto colpire le menti.

Al Feld­ma­re­sciallo Ra­de­tsky il fal­lito ten­ta­tivo in­sur­re­zio­nale del 6 feb­braio of­frì quindi l’occasione per chiu­dere de­fi­ni­ti­va­mente i conti con quella parte della no­biltà e dell’alta bor­ghe­sia mi­la­nese re­frat­ta­ria a ogni ac­cordo con il go­verno austriaco.

Al Ve­scovo Ro­milli diede in­vece l’opportunità di li­be­rarsi di quella parte del clero mi­la­nese, pa­trio­tica e de­mo­cra­tica (e in­sieme molto in­fluente) che dal ’49, nel se­gno della dot­trina e dell’esempio dell’Abate An­to­nio Ro­smini, met­teva in di­scus­sione la sua au­to­rità di Ve­scovo pie­gato al go­verno au­striaco e dava un ta­glio in­con­fon­di­bile di in­tel­li­genza e li­bertà all’insegnamento de­gli ol­tre 500 aspi­ranti pre­sbi­teri che si for­ma­vano nei Se­mi­nari lom­bardi.
 Già all’indomani del rien­tro in Mi­lano de­gli au­striaci (ago­sto ’48) l’Arcivescovo Ro­milli (du­rante le 5 Gior­nate so­li­dale con i ri­vol­tosi ma im­me­dia­ta­mente dopo ub­bi­diente agli au­striaci) aveva co­min­ciato a pen­sare a una pro­gres­siva so­sti­tu­zione dei do­centi dei Se­mi­nari, in larga parte so­dali di Ro­smini, con mem­bri dell’ordine de­gli Oblati.
 E chi erano gli Oblati? Ne di­ciamo solo l’essenziale utile al no­stro discorso.

Or­dine re­li­gioso fon­dato nell’ultimo quarto del ’500 da Carlo Bor­ro­meo per farne un corpo alle di­rette di­pen­denze del Ve­scovo come am­mi­ni­stra­tori e in­se­gnanti dei Se­mi­nari, con l’arrivo in Mi­lano de­gli au­striaci nel 1717, gli Oblati si erano pro­gres­si­va­mente al­li­neati alla ten­denze più con­ser­va­trici del clero lom­bardo, tro­van­dosi sem­pre più vi­cini ai più po­tenti e noti ge­suiti.
 Con la sop­pres­sione dell’ordine dei ge­suiti nel 1773, ave­vano ac­qui­stato peso, schie­ran­dosi a fianco di quella parte dell’aristocrazia mi­la­nese (quelli del “bi­scot­tino”) più im­pe­gnata alla con­ser­va­zione dello sta­tus quo so­ciale e de­ci­sa­mente al­leata con i go­ver­nanti austriaci.

Sop­pressi nel 1810 da Na­po­leone I, dopo il 1814 e il ri­torno de­gli Au­striaci, la loro re­stau­ra­zione in Lom­bar­dia venne osta­co­lata con fer­mezza dall’Arcivescovo Gay­sruck che, pur au­striaco, mal sop­por­tava i loro orien­ta­menti net­ta­mente rea­zio­nari e che diede in­vece spa­zio alle ten­denze più aperte del clero lom­bardo — tra que­ste ai se­guaci di An­to­nio Ro­smini cui egli aveva af­fi­dato il com­pito di edu­care gli aspi­ranti pre­sbi­teri nei Se­mi­nari.
 Sotto la loro in­fluenza si era for­mata una ge­ne­ra­zione di preti che avrebbe avuto un grande peso un paio di de­cenni dopo quando si formò il Re­gno d’Italia con Vit­to­rio Ema­nuele II.

Prendere la palla al balzo — agosto 1853

Ci­tiamo da Ca­sti­glioni “Gay­sruck e Ro­milli, Ar­ci­ve­scovi di Mi­lano” (Mi­lano 1938, p. 184):
––––––––––
«Il conte Mi­chele Stras­soldo, Con­si­gliere e Luo­go­te­nente di Lom­bar­dia, de­nun­ciava all’arcivescovo Ro­milli che «al­cuni com­po­ni­menti poe­tici resi pub­blici» erano usciti dal Se­mi­na­rio teo­lo­gico.
 I ful­mini scop­pia­rono su tutti i Se­mi­nari mi­la­nesi. L’Arcivescovo si portò a Monza, giac­ché il Feld­ma­re­sciallo ri­sie­deva in quella Villa Reale. Gli si dice che S. M. l’Imperatore è già in­for­mato di tutto e che bi­so­gna prov­ve­dere, se non si vuole che da Vienna ven­gano in­viati pro­fes­sori stra­nieri sui quali il Go­verno po­teva fare as­se­gna­mento.
 L’Arcivescovo al­lora «pensò di of­frire come prov­ve­di­mento di­sci­pli­nare quanto aveva in animo di rea­liz­zare con tutta pace, cioè di riaf­fi­dare in­te­gral­mente la di­re­zione, l’amministrazione e l’istruzione dei Se­mi­nari alla Con­gre­ga­zione de­gli Oblati», come si esprime il prof. don Gio­vanni Stop­pani [uno dei ni­poti dell’Abate Stop­pani] in un ar­ti­colo rie­su­ma­tivo di quel do­lo­roso epi­so­dio della sto­ria dei Se­mi­nari dio­ce­sani (cfr. Hu­mi­li­tas, 1938, p. 726).
 La Con­gre­ga­zione dio­ce­sana de­gli Oblati che il car­di­nale Gay­sruck non aveva per­messo che si ri­sta­bi­lisse in forma uf­fi­ciale dopo la sop­pres­sione del 1810, an­dava ap­punto al­lora rior­ga­niz­zan­dosi sotto il Pre­vo­sto Ge­ne­rale don An­gelo Mol­teni. Di essi al­cuni erano già en­trati nei Se­mi­nari spe­cial­mente in quello di Monza […]

Mons. Cac­cia [brac­cio de­stro del Ve­scovo Ro­milli] il 9 lu­glio 1853 fece la pro­po­sta al conte Stras­soldo del rein­gresso to­tale de­gli Oblati in Se­mi­na­rio e del con­se­guente li­cen­zia­mento di tutti i pro­fes­sori non ap­par­te­nenti alla Con­gre­ga­zione.
 La pro­po­sta venne ac­cet­tata con en­tu­sia­smo e sod­di­sfa­zione di tutte e due le au­to­rità. Il Luo­go­te­nente, ac­cu­sando ri­ce­vuta del piano ar­ci­ve­sco­vile, ap­pro­fitta per lo­dare la sag­gia de­ci­sione «per­chè cosi si estir­perà nella gio­ventù av­viata al sa­cer­do­zio la vel­leità di abu­sare della stampa».

Il 23 lu­glio viene pub­bli­cato il de­creto ar­ci­ve­sco­vile che af­fida i Se­mi­nari alla Con­gre­ga­zione de­gli Oblati. Il 20 ago­sto è no­mi­nato il nuovo Ret­tore Ge­ne­rale don Carlo Cas­sina, al po­sto di don Giu­seppe Del Tor­chio. Il nuovo Ret­tore il 28 ago­sto no­ti­fica per iscritto agli in­te­res­sati le di­spo­si­zioni dell’Arcivescovo […].

Fu­rono così messi alla porta:

dal Se­mi­na­rio Mag­giore di Mi­lano:
Ret­tore G. Tor­chio; vi­ce­ret­tori Gio­vanni Cac­cia e Gio­vanni Cri­velli; di­ret­tore spi­ri­tuale Pie­tro Tac­coni; pro­fes­sori Gae­tano An­noni, Luigi Mae­stri, Fe­lice ed Ales­san­dro Pestalozza;

dal Se­mi­na­rio gin­na­siale di S. Pie­tro Mar­tire presso Bar­las­sina  [Se­veso]:
Ret­tore Abramo Fran­cioli; ca­te­chi­sta Fe­de­rico Sal­vioni; vi­ce­ret­tore Giu­seppe Giac­chetti; pro­fes­sori Na­tale Ce­roli, Adal­berto Ca­tena, Carlo Te­sta, An­to­nio Stop­pani, Gae­tano Bet­tega, Gio­vanni Ma­joli, Giu­seppe Ri­pa­monti, Luigi Todeschini;

dal Se­mi­na­rio gin­na­siale di Pol­le­gio  [bassa Le­ven­tina]:
Ret­tore Ce­sare Bertoglio.»

Fin qui la ri­co­stru­zione (quella vera, non di fan­ta­sia) di come si ar­rivò alla esclu­sione dall’insegnamento di Stop­pani e de­gli al­tri suoi 19 col­le­ghi gra­zie all’accordo tra la ge­rar­chia della Chiesa di Mi­lano e il Go­verno austriaco.

Ve­diamo ora come, per conto pro­prio, la po­li­zia au­striaca se­guì la vicenda.

Sbirresca segnalazione particolare per il professor Antonio Stoppani.

L’Arcivescovo Ro­milli aveva fatto la sua parte man­dando a spasso i do­centi dei Se­mi­nari, pa­trioti e ro­smi­niani, e met­tendo al loro po­sto gli au­stria­canti Oblati.
 Dal canto suo la po­li­zia au­striaca non dor­miva e se­guiva con at­ten­zione que­sto gruppo di 20 do­centi, no­to­ria­mente con­trari all’Austria e quindi, po­ten­zial­mente, fonte di pos­si­bili fu­ture grane.

Dall’Archivio di Stato di Mi­lano (Can­cel­le­rie au­stria­che / Pezzo 112 / Fa­sci­colo 73) tra­iamo un do­cu­mento, re­datto da un fun­zio­na­rio di po­li­zia il 22 gen­naio 1854, con l’elenco di 15 dei 20 esclusi dall’insegnamento, con re­la­tive osservazioni:

• Tor­chio Giu­seppe , fa­vo­re­voli in­for­ma­zioni • Cac­cia Gio­vanni, nulla in con­tra­rio • Tac­coni Pie­tro, nulla in con­tra­rio • Pe­sta­lozza Fe­lice, fa­vo­re­voli in­for­ma­zioni • Mae­stri Luigi, nulla in con­tra­rio • An­noni Gae­tano, nulla in contrario

• Pe­sta­lozza Ales­san­dro
 fi­gura a pag. 132 del gior­nale “Il 22 Marzo” fra i fir­ma­tari di un an­nun­zio dal ti­tolo: As­so­cia­zione re­li­giosa. In esso si fa ap­pello a tutti che hanno la ca­rità di re­li­gione e di pa­tria. «Poi­ché la re­li­gione ha preso tanto me­ri­te­vole parte ne­gli ul­timi me­mo­randi fatti, poi­ché il Clero ed ogni buon cit­ta­dino li­bero può in­nal­zare la voce, rac­co­glia­moci, ecc.»

• Giac­chetti Giu­seppe, nulla in con­tra­rio • To­de­schini Lu­ciano, buone in­for­ma­zioni • Ce­roli Na­tale, buone in­for­ma­zioni • Ca­tena Adal­berto, buone in­for­ma­zioni • Te­sta Carlo, buone in­for­ma­zioni 

• Stop­pani An­to­nio
 all’epoca del 1848 tro­va­vasi in qua­lità di stu­dente presso il Se­mi­na­rio Ar­ci­ve­sco­vile in Mi­lano, non of­frendo mo­tivi a si­ni­stri ri­mar­chi; ma po­ste­rior­mente si mo­strò di prin­cipj li­be­rali e poco cauto nei di­scorsi. L’attuale di lui con­dotta non of­fre ap­pa­renti mo­tivi a con­tra­rie osservazioni

• Bet­tega Gae­tano, buone in­for­ma­zioni • Ma­joli Gio­vanni, buone in­for­ma­zioni • Ri­pa­monti Giu­seppe, buone informazioni.

––––––––––

Come si vede, le uni­che due se­gna­la­zioni at­ten­zio­nali sono ri­fe­rite ad Ales­san­dro Pe­sta­lozza per avere fir­mato un ap­pello sul gior­nale “22 marzo” nel 1848 e ad An­to­nio Stop­pani: non per avere “fatto pio­vere ma­ni­fe­sti da una mon­gol­fiera”, come da Lei so­ste­nuto, Si­gnor Sin­daco, ma per­ché “di prin­cipj li­be­rali e poco cauto nei di­scorsi”.

Pe­sta­lozza e Stop­pani di certo non vi­dero mai que­sta no­ta­zione del 1854 ma non sa­rebbe loro di­spia­ciuto di tro­varsi in­sieme evi­den­ziati dalla po­li­zia au­striaca: si erano co­no­sciuti vent’anni prima al Se­mi­na­rio di Monza, Pe­sta­lozza come pro­fes­sore, Stop­pani come al­lievo.
 Ales­san­dro Pe­sta­lozza  (1807-1871), fu in­timo amico e so­dale di Ro­smini del quale di­vulgò e com­mentò il pen­siero nel suo “Ele­menti di Fi­lo­so­fia” del 1845, a tutt’oggi una delle mi­gliori opere sul si­stema fi­lo­so­fico del ro­ve­re­tano stu­diando la quale Stop­pani si formò da un punto di vi­sta fi­lo­so­fico.
 
Po­chi anni dopo, quando Stop­pani nel 1857 pub­blicò il suo “Studi geo­lo­gici e pa­leon­to­lo­gici sulla Lom­bar­dia”, tra i primi a ri­ce­verne co­pia fu Pe­sta­lozza il quale così ri­spon­deva all’autore il 13 marzo 1858 (Cor­ne­lio, p. 68):

«Adesso la­sciami fare tante con­gra­tu­la­zioni per l’opera di geo­lo­gia che hai pub­bli­cata. Ve­ra­mente io non posso darne un giu­di­zio, trat­tan­dosi di ma­te­ria che ap­pena ho sfio­rata ne­gli anni che fui all’Università di Pa­via. […] A ogni modo poi, l’aver ten­tato d’illustrare la scienza, che, nell’ordine fi­sico e na­tu­rale, tiene, se non il primo, certo il se­condo po­sto, fa onore e al tuo in­ge­gno e al ceto cui ap­par­tieni.
 Per ul­timo non posso ta­certi la dolce im­pres­sione che l’animo mio ha ri­ce­vuto al ri­ve­dere i ca­rat­teri di uno dei miei più cari sco­lari, e della cui re­cente pro­mo­zione in co­de­sta Bi­blio­teca [l’Ambrosiana di Mi­lano] ho gioito, come di cosa mia pro­pria.» 

Per con­clu­dere que­sto ca­pi­tolo, ri­cor­diamo che a evi­tare al gio­vane pre­sbi­tero, “di prin­cipj li­be­rali” e “poco cauto nei di­scorsi”, pos­si­bili guai con la po­li­zia au­striaca, in­ter­ven­nero i Porro, lon­tani pa­renti della fa­mi­glia pa­terna, che esfil­tra­rono da Mi­lano lo Stop­pani, ospi­tan­dolo nel pro­prio pa­lazzo di Como e fa­cen­done l’istitutore dei gio­vani fi­gli.
 L’Abate si salvò così da com­pli­ca­zioni che certo gli sa­reb­bero ve­nute dal suo at­teg­gia­mento con­te­sta­tore troppo sco­perto e, in­sieme, fu co­stretto ad ab­brac­ciare una nuova at­ti­vità — quella che come geo­logo gli diede pre­sti­gio e un campo d’azione di alto li­vello. 

Si­gnor Sin­daco, in tutto il Suo di­scorso non c’è nep­pure una pa­rola sull’essere Stop­pani un pre­sbi­tero, os­sia nep­pure una pa­rola sulla più in­tima na­tura dell’uomo che Lei ha fatto mo­stra di vo­lere ono­rare.
 
Pen­siamo che da parte Sua ciò non sia solo frutto di igno­ranza o in­con­sa­pe­vo­lezza ma una pre­cisa scelta.
 Forse per non ri­mar­care la pro­fonda frat­tura che si ve­ri­ficò nel no­stro Ri­sor­gi­mento tra l’ala rea­zio­na­ria (e an­che sor­dida) della ge­rar­chia ec­cle­sia­stica, in­de­gna di rap­pre­sen­tare i sen­ti­menti re­li­giosi di una no­te­vole parte d’Italia, e l’ala colta, pro­gres­si­sta, one­sta, ve­ra­mente de­gna di es­sere chia­mata cat­to­lico-cri­stiana — lo di­ciamo vo­len­tieri come pen­sa­tori lon­tani da ogni religione. 

Sta di fatto che l’esclusione dei preti ro­smi­niani dai Se­mi­nari e la loro so­sti­tu­zione con gli Oblati fece in un bat­tito di ci­glia pre­ci­pi­tare la qua­lità dell’insegnamento e del senso di co­mu­nità nei luo­ghi di for­ma­zione dei pre­sbi­teri, de­ter­mi­nando una ge­ne­ra­zione di preti mi­la­nesi di me­dio­cris­sima qualità.

La Sua fan­ta­sia a pro­po­sito dei ma­ni­fe­sti fatti pio­vere da un mon­gol­fiera nel 1848 come causa della esclu­sione di Stop­pani dall’insegnamento nel 1853 in­dica solo l’incapacità di avere un’idea se­ria sulla in­tera vi­cenda per­so­nale e pro­fes­sio­nale del No­stro e, an­nac­quando la sto­ria vera con ri­di­cole fan­ta­sie ado­le­scen­ziali, ri­schia molto con­cre­ta­mente di svi­lirne la memoria.

S.E. Marco Min­ghetti / Pre­si­dente del Ga­bi­netto e Mi­ni­stro delle Finanze.

Mal­grado gli anni che sul gobbo tiene / Con­ti­nua a ba­loc­carsi il fan­ciul­lone / Per­suaso d’esser unico a far bene / Con­duce a mal par­tito la Nazione.

Proposizione 9

Lei, Signor Sindaco, tace sul contesto delle elezioni del 1876 e falsa la posizione della Chiesa sul non-expedit. Nasconde lo schierarsi di Stoppani con la Sinistra e falsa le ragioni del suo ritirarsi dalla competizione elettorale.

Dal di­scorso del Sin­daco del 15 ago­sto 2024:

« […] Stop­pani, da sa­cer­dote, espo­nente del clero, ma al con­tempo scien­ziato, e aperto so­ste­ni­tore di idee li­be­rali, con­te­stò du­ra­mente le po­si­zioni del Va­ti­cano che, in re­la­zione alle ele­zioni de­mo­cra­ti­che suc­ces­sive all’unificazione del Re­gno d’Italia nel 1861, at­tra­verso il “non ex­pe­dit” di fatto vie­tava (espli­ci­ta­mente con Leone XIII nel 1886) ai cat­to­lici di can­di­darsi alle ele­zioni e ad­di­rit­tura di par­te­ci­pare al voto. In quel clima, e in tutta ri­spo­sta, An­to­nio Stop­pani si can­didò alle ele­zioni po­li­ti­che dell’autunno 1876 pro­prio nel col­le­gio di Lecco, pro­vo­cando così grande di­bat­tito da parte dei cat­to­lici con­ser­va­tori, at­ti­ran­dosi cri­ti­che per le idee così fer­ma­mente espresse. Suo scopo non era certo quello di ot­te­nere un seg­gio in par­la­mento, ma quello di scuo­tere gli animi, in­vi­tare tutti ad un ra­gio­na­mento at­torno al cri­stia­ne­simo, alla scienza, al ruolo della chiesa, a pren­dersi cura de­gli al­tri. Per que­sto ri­tirò la sua pro­vo­ca­to­ria can­di­da­tura due set­ti­mane prima del voto.»

Si­gnor Sin­daco, sulla realtà sto­rica delle ele­zioni del 1876, non­ché sulle re­la­tive in­ten­zioni e com­por­ta­menti di Stop­pani, Lei si è fatto por­ta­voce di una vera e pro­pria fal­si­fi­ca­zione, cui è op­por­tuno dare una pre­cisa ri­spo­sta sul piano storico-documentale.

Sin­te­tiz­ziamo per punti la nar­ra­zione che, con il brano so­pra ri­por­tato, Lei ha pro­po­sto alla città di Stoppani:

1/ At­tra­verso il non-ex­pe­dit, il Va­ti­cano vietò di fatto ai cat­to­lici la par­te­ci­pa­zione alle ele­zioni del 1876, così come già nelle pre­ce­denti, a par­tire dal 1861.

2/ Da prete, scien­ziato e an­che li­be­rale, Stop­pani con­te­stò du­ra­mente que­sta po­li­tica del Va­ti­cano e con­tro di essa de­cise di par­te­ci­pare alle ele­zioni del 1876.

3/ Con que­sto ge­sto vo­leva “scuo­tere gli animi”, “at­ti­rare su di sé le cri­ti­che dei cat­to­lici con­ser­va­tori”, per po­tere con essi svi­lup­pare un ra­gio­na­mento su “cri­stia­ne­simo”, “scienza”, “ruolo della chiesa”, il “pren­dersi cura de­gli altri”.

4/ Egli non vo­leva ot­te­nere un seg­gio in Par­la­mento: è per que­sta ra­gione che, a due set­ti­mane dalle ele­zioni, egli ri­tirò la sua can­di­da­tura che aveva pro­po­sto solo come “pro­vo­ca­to­ria”.

Si­gnor Sin­daco, que­sta Sua in­cre­di­bile sto­riella è una rie­la­bo­ra­zione fan­ta­siosa dell’articolo “An­to­nio Stop­pani” di Wi­ki­pe­dia, già molto gros­so­lano di suo.

Pur sti­mando lo sforzo dei vo­lon­tari della en­ci­clo­pe­dia on-line, è ov­vio che do­vendo com­pi­lare un te­sto uf­fi­ciale qual è il Suo di­scorso, tutto ciò che è lì espo­sto deve es­sere ac­cu­ra­ta­mente ve­ri­fi­cato.
 Cosa che Lei si è ben guar­dato di fare, ri­te­nendo an­che op­por­tuno fare di molto peg­gio: ta­gliando cioè le po­che parti più o meno at­ten­di­bili e ag­giun­gen­dovi Sue pro­prie in­ven­zioni, tratte di peso da quel mo­no­logo re­ci­tato da Ca­ra­belli il 12 mag­gio 2024 al ter­mine del Fe­sti­val Geo­lo­gico di Lecco che Lei cita nel Suo di­scorso come re­fe­rente.
 Con tutta la sim­pa­tia per il bravo at­tore An­drea Ca­ra­belli e per Giam­piero Piz­zol che ha scritto il te­sto, di­ciamo chiaro e tondo che il loro ela­bo­rato è in gran parte pura fan­ta­sia, con un rap­porto molto vago con la realtà sto­rica — e Lei ci si è but­tato a pe­sce come un ra­gaz­zetto alle prime armi.
 
Sul con­tri­buto di Ca­ra­belli e Piz­zol non ab­biamo pro­blemi a espri­merci con la ne­ces­sa­ria chia­rezza: ab­biamo già avuto modo di espri­mere di­ret­ta­mente a loro (e all’Assessore Cat­ta­neo) le no­stre po­si­zioni: sono per­sone se­rie e siamo certi che hanno preso le no­stre os­ser­va­zioni nel giu­sto modo.

Da parte no­stra ve­diamo di fare un po’ di chia­rezza in que­sto pa­stroc­chio che Lei ha spac­ciato come do­cu­mento uf­fi­ciale del Co­mune di Lecco su un epi­so­dio im­por­tante della sto­ria di noi tutti e della vita di Stop­pani, da Lei così mal rap­pre­sen­tato nel Suo discorso.

Cosa aveva scritto Stoppani ai suoi potenziali elettori di Lecco?

Il 7 ot­to­bre 1876 Stop­pani rese pub­blica una pro­pria let­tera aperta agli “Amici di Lecco”.

Ri­man­dando qui per il te­sto com­pleto, ne diamo una breve sin­tesi, utile al no­stro discorso:

1/ Mi chie­dete se sono di­spo­sto a rap­pre­sen­tare il col­le­gio di Lecco al Parlamento.

2/ Get­tarmi nelle lotte po­li­ti­che è cosa che mi pre­oc­cupa ma es­sere pre­scelto da voi mi da­rebbe però la forza per con­tri­buire allo svi­luppo della collettività.

3/ An­che nel par­tito che ha fin qui go­ver­nato si ri­sve­gliano idee più ra­gio­ne­voli per un re­gime ve­ra­mente co­sti­tu­zio­nale, cioè di tu­tela dei di­ritti di tutti — sia con­tro la vec­chia oli­gar­chia che usur­pava il nome della Co­sti­tu­zione sia con­tro l’internazionalismo repubblicano.

4/ So che la mia scelta non sarà ap­prez­zata da tutti; pre­fe­ri­sco però ogni cri­tica all’essermi sot­tratto al do­vere di con­tri­buire al bene della pa­tria; ac­cetto quindi la can­di­da­tura che mi proponete.

5/ Non oc­corre vi pre­senti un pro­gramma: mi co­no­scete tutti dalla na­scita; sa­pete tutti cosa io pensi in ma­te­ria di re­li­gione, di po­li­tica, di in­te­ressi sociali.

6/ In Par­la­mento ri­marrò fermo sulle mie con­vin­zioni; fa­vo­rirò gli in­te­ressi col­let­tivi e quelli del Col­le­gio di Lecco coe­renti con il bene co­mune; ub­bi­dirò solo alla mia coscienza.

7/ Non du­bito che voi vi pos­siate ac­con­ten­tare di que­sta mia pro­messa; at­tendo dall’urna la ri­spo­sta de­gli elettori.

Lecco, 7 ot­to­bre 1876

Que­sto te­sto ri­flette esat­ta­mente il pen­siero e le pa­role di Stop­pani (qui per il te­sto in­te­grale).

Ab­biamo una do­manda per Lei, Si­gnor Sin­daco: dove vede nella let­tera di Stop­pani agli elet­tori quella “pro­vo­ca­zione” di cui Lei parla nel Suo di­scorso; quella vo­lontà di “scuo­tere gli animi”, di “at­ti­rare su di sé le cri­ti­che dei cat­to­lici con­ser­va­tori”, per po­tere con essi svi­lup­pare un ra­gio­na­mento su “cri­stia­ne­simo”, “scienza”, “ruolo della chiesa”, il “pren­dersi cura de­gli al­tri”?
 Dove? Non c’è nulla. Lei ha in­ven­tato tutto!

Met­tendo in bocca a Stop­pani idee che as­so­lu­ta­mente non gli ap­par­ten­gono Lei ha com­messo una gra­vis­sima scor­ret­tezza sia per­ché, in ge­ne­rale, non bi­so­gna in­ven­tare balle, sia per­ché Lei è il Primo cit­ta­dino di una im­por­tante città, per di più della città na­tale di Stop­pani e non può per­met­tersi di uscire dal se­mi­nato con frasi far­loc­che.
 Ma an­diamo avanti.

Cronologia inventata.

Siamo pre­oc­cu­pati per la città an­che per­ché Lei ha evi­den­te­mente un ca­len­da­rio tutto suo. Lei so­stiene che Stop­pani ri­tirò la sua can­di­da­tura «due set­ti­mane prima del voto».
Quindi, sic­come le ele­zioni si sa­reb­bero te­nute il 5 no­vem­bre, se­condo la di Lei cro­no­lo­gia, Si­gnor Sin­daco, Stop­pani ri­tirò la can­di­da­tura sa­bato 21 ot­to­bre (si fac­cia i suoi conti).
 Bene! Cioè male, malissimo!

Ab­biamo in­fatti (A. M. Cor­ne­lio “Let­tere di A. Stop­pani al Pa­dre Ce­sare Mag­gioni” — Mi­lano, 1910) una let­tera di Stop­pani all’amico e con­fes­sore don Ce­sare Mag­gioni di mer­co­ledì 25 ot­to­bre, quindi quat­tro giorni dopo il da Lei af­fer­mato suo ri­tiro della can­di­da­tura, che così con­clude ( vedi qui ):

«Or­mai sono ri­dotto a que­sto solo punto che, se la cosa è le­cita, la fac­cio, e cento ra­gioni mi im­pon­gono il do­vere di farla. Il fra­tello D. Pie­tro e la mamma mi hanno detto che tu hai po­tuto ve­ri­fi­care che nulla osta alla le­ci­tu­dine. Ho bi­so­gno che tu mi scriva su­bito per to­gliermi qua­lun­que dub­bio in pro­po­sito. […]
L’affare della mia can­di­da­tura qui va avanti. Se io vo­lessi ri­ti­rarmi ora, per­de­rei l’onore, per­de­rei ogni in­fluenza pel bene della re­li­gione, mi uc­ci­de­rei mo­ral­mente, per­ché tutti avreb­bero di­ritto di trat­tarmi come leg­gero, come un uomo senza con­vin­zioni, come un pazzo.»

I casi evi­den­te­mente sono due: o Stop­pani, dopo avere ri­ti­rato la can­di­da­tura il sa­bato 21, quat­tro giorni dopo, il mer­co­ledì 25 con­ti­nuava a re­ci­tare la parte del can­di­dato in­gan­nando il suo mi­gliore amico e con­fes­sore Mag­gioni, il pro­prio fra­tello Pie­tro (Pre­vo­sto della più im­por­tante Chiesa di Mi­lano) e la ado­rata ma­dre Lu­cia (quella che Lei ha omag­giato con la rosa) op­pure Lei non ha pro­prio nes­suna idea di come si svol­sero quelle ele­zioni del 1876, pro­prio in quella città che Lei amministra.

Ap­pu­rata la Sua de­pre­ca­bile igno­ranza di do­cu­menti già noti a tutti da ol­tre un se­colo, non­ché la più ele­men­tare co­no­scenza della per­so­na­lità di Stop­pani, po­tremmo an­che chiu­dere qui su que­sto ar­go­mento.
 Ma per dare su­bito un ta­glio al dif­fon­dersi di de­pri­menti re­vi­sioni della sto­ria di noi tutti e della vi­cenda di Stop­pani, è op­por­tuno en­trare nel me­rito di quelle ele­zioni del 1876.

E cominciamo da un Suo incredibile silenzio.

Lei in­fatti non dice una pa­rola:
su cosa fosse in gioco in quelle ele­zioni del 1876;
con quale schie­ra­mento Stop­pani de­cise di pre­sen­tarsi.

Ma scusi Si­gnor Sin­daco: sa­rebbe come se qual­cuno, par­lando delle ele­zioni am­mi­ni­stra­tive di Lecco del 2020, con le quali Lei è di­ven­tato il Primo cit­ta­dino di Lecco, evi­tasse ac­cu­ra­ta­mente di dire quali fos­sero le forze in campo e con chi Lei af­frontò e vinse la com­pe­ti­zione — cosa pen­se­rebbe Lei di que­sto qual­cuno?
 Le fa­rebbe pia­cere es­sere ri­cor­dato come un can­di­dato ano­nimo? Non Le sem­bre­rebbe il mi­nimo sin­da­cale ri­cor­dare al­meno che fa­ce­vano capo a Lei quat­tro for­ma­zioni del cen­tro sinistra?

Cosa c’era in gioco in quelle elezioni del 1876?

Su que­sti mo­menti della vita na­zio­nale Lei, Si­gnor Sin­daco, non aveva l’obbligo di scri­vere un li­bro di sto­ria ma si­cu­ra­mente, nel Suo di­scorso, avrebbe do­vuto al­meno ri­cor­dare che nelle ele­zioni del no­vem­bre 1876, cui lo Stop­pani (di anni 52) aveva de­ciso di con­cor­rere, si do­veva de­ci­dere di un rin­no­va­mento ra­di­cale dell’assetto po­li­tico della nuova Ita­lia.
 Le se­gnalo che da tutti i com­men­ta­tori di al­lora e di oggi, quelle ele­zioni ven­gono pre­sen­tate come straor­di­na­ria­mente im­por­tanti — molti ne scri­vono ad­di­rit­tura come di una “ri­vo­lu­zione par­la­men­tare”!
 Il 18 marzo 1876 il Go­verno di de­stra di Min­ghetti venne messo in mi­no­ranza: su una ba­nale que­stione pro­ce­du­rale, una forte fra­zione della de­stra (for­te­mente con­tra­ria alla na­zio­na­liz­za­zione delle fer­ro­vie — vero tema in di­scus­sione in­sieme alla tassa sul ma­ci­nato) votò con la Si­ni­stra.
 Senza fare una piega Re Vit­to­rio Ema­nuele II diede l’incarico per la for­ma­zione di un nuovo go­verno ad Ago­stino De­pre­tis. Il quale, il 25 marzo, pre­sentò un go­verno com­po­sto solo da ele­menti della Si­ni­stra; dopo 16 anni la De­stra Sto­rica si tro­vava così esclusa dalla ge­stione del paese.
 In que­sto ine­dito go­verno della Si­ni­stra, a Mi­ni­stro dei La­vori Pub­blici venne no­mi­nato Giu­seppe Za­nar­delli. Es­sendo la De­stra cla­mo­ro­sa­mente crol­lata sulla que­stione delle fer­ro­vie, il ruolo e il peso di Za­nar­delli in quella fase ri­sul­ta­vano de­ci­sa­mente ri­le­vanti (te­nere a mente que­ste cir­co­stanze).
 Per con­so­li­dare la nuova si­tua­zione, De­pre­tis e i suoi de­ci­sero im­me­dia­ta­mente per ele­zioni an­ti­ci­pate da te­nersi nel no­vem­bre del 1876; le quali si con­clu­sero con un ple­bi­scito a fa­vore della Si­ni­stra: 285 seggi con­tro i 63 della De­stra (+152 vari al­tri +8 dell’estrema ra­di­cale ve­ri­fica le sta­ti­sti­che uf­fi­ciali) — un vero ca­po­vol­gi­mento dei rap­porti di forza par­la­men­tari i cui ef­fetti sa­reb­bero du­rati molto a lungo.

Così al­meno ac­cen­nato al qua­dro ge­ne­rale di ri­fe­ri­mento, pos­siamo ora in­di­care per quale dei due schie­ra­menti aveva de­ciso di can­di­darsi l’Abate An­to­nio Stoppani.

Per la De­stra, per la Si­ni­stra o per qual­che al­tra mi­ste­riosa entità?

Alle elezioni del 1876 Stoppani si presentò con la Sinistra — era questa la sua “provocazione”!

Lei ha detto che il sa­cer­dote Stop­pani de­cise di pre­sen­tarsi alle ele­zioni del ’76 per met­tere in di­scus­sione, da li­be­rale, il non-ex­pe­dit del Va­ti­cano che egli avrebbe già da tempo “con­te­stato du­ra­mente”. Pura fan­ta­sia!
 Lo ab­biamo già detto poco so­pra: Stop­pani si pre­sentò alle ele­zioni di­chia­rando molto espli­ci­ta­mente che, se eletto, avendo certo un oc­chio di ri­guardo per quelli del ter­ri­to­rio la­riano, avrebbe fatto gli in­te­ressi di tutti i cit­ta­dini ita­liani, in con­ti­nuità con quanto egli aveva sem­pre fatto e scritto in ma­te­ria po­li­tica, so­ciale e re­li­giosa; nella pro­spet­tiva di una so­cietà più de­mo­cra­tica, in rot­tura con la ge­stione oli­gar­chica fino ad al­lora do­mi­nante e fa­cendo ar­gine all’internazionalismo re­pub­bli­cano (dalla Prima In­ter­na­zio­nale era già uscito Maz­zini in dis­senso, so­prat­tutto con i mar­xi­sti, sulla que­stione della “lotta di classe” come discrimine).

Nelle mo­ti­va­zioni date al pub­blico per il­lu­strare la sua scelta (vedi an­cora qui la let­tera agli elet­tori di Lecco già il­lu­strata so­pra), Stop­pani non toccò nep­pure alla lon­tana il tema del non-expedit.

In pri­vato, nella sua già ci­tata let­tera del 27 ot­to­bre 1876 all’amico, so­dale e con­fes­sore sa­cer­dote Ce­sare Mag­gioni (ri­ve­dila qui), si ri­fe­ri­sce al non-ex­pe­dit ma per espri­mere esat­ta­mente il con­tra­rio di quello che Lei gli ha messo in bocca e nella te­sta.
 Stop­pani sol­le­cita in­fatti all’amico di rag­gua­gliarlo al più pre­sto sulla si­lente in­chie­sta che Mag­gioni aveva svolto circa il va­lore vin­co­lante o meno del non-ex­pe­dit: su que­sta que­stione egli non vo­leva in­fatti tra­sgre­dire alle in­di­ca­zioni della Chiesa.
 All’amico Mag­gioni (lo ab­biamo già vi­sto) Stop­pani con­ferma: se è le­cito, con­ti­nuo (sot­tin­teso, se non è le­cito, mi fermo).
 Stop­pani in­forma l’amico che gli stessi ul­tra-con­ser­va­tori del Va­ti­cano (l’Osservatore Cat­to­lico di Don Al­ber­ta­rio) in pro­po­sito hanno chia­ra­mente af­fer­mato che il non-ex­pe­dit era solo un pro­blema di op­por­tu­nità, non di prin­ci­pio. Sono pro­prio loro a scri­verlo: al campo cat­to­lico man­cano gli uo­mini e la strut­tura per af­fron­tare una sfida elet­to­rale — e quindi è me­glio aste­nersi. Ma se si fosse ri­te­nuto con­ve­niente, l’indicazione sa­rebbe stata di par­te­ci­pare, ec­come!
 E infatti…

Già dall’aprile del 1876 il vaticano si era attivato per togliere di mezzo il non-expedit: viva le elezioni politiche!

Sulla base di do­cu­menti della “Pe­ni­ten­zie­ria apo­sto­lica” (il Tri­bu­nale ec­cle­sia­stico com­pe­tente per gra­zie, as­so­lu­zioni, com­mu­ta­zioni di pena, san­zioni, que­stioni di co­scienza) è per­fet­ta­mente noto che im­me­dia­ta­mente dopo la for­ma­zione del primo go­verno della Si­ni­stra (marzo 1876), lo stesso Papa Pio IX si era messo in mo­vi­mento per af­fron­tare la nuova situazione.

Pren­diamo dal sag­gio di Sa­retta Ma­rotta “ Il non-ex­pe­dit”  [https://www.treccani.it/enciclopedia/il-non-expedit_(Cristiani-d’Italia)/]:

«Il 5 aprile Pio IX in­ca­ricò mon­si­gnor Lo­renzo Nina, as­ses­sore del Sant’Uffizio, di con­vo­care “una con­gre­ga­zione spe­ciale da pren­dersi dal seno della Su­prema” per di­scu­tere quale do­vesse es­sere la po­si­zione della Santa Sede nel nuovo con­te­sto po­li­tico, con­vinto a ciò “dalle mol­te­plici e rei­te­rate di­mande e in­qui­si­to­rie” che gli erano nel frat­tempo giunte da molti cattolici.»

Per­ché que­sta de­ci­sione di Pio IX? Ma­rotta ri­sponde con chia­rezza e quindi la ci­tiamo ancora:

«Nel marzo 1876 ca­deva la De­stra Sto­rica: per la Santa Sede era l’allarmante se­gnale […] della ir­re­ver­si­bi­lità del pro­cesso uni­ta­rio e della per­dita del po­tere tem­po­rale […]: l’ascesa delle si­ni­stre era av­ve­nuta […] senza di­strug­gere il re­gno uni­ta­rio. Se i cat­to­lici si erano aste­nuti dalle urne prin­ci­pal­mente per non ral­len­tare que­sto pre­sunto pro­cesso di­sgre­ga­tivo della crea­tura ita­liana, sei anni dopo Porta Pia, in­se­diato il primo go­verno De­pre­tis, era chiara la ne­ces­sità di una di­versa strategia.»

Nella do­cu­men­ta­zione per la con­vo­ca­zione della “con­gre­ga­zione spe­ciale” era in­cluso un do­cu­mento ela­bo­rato qual­che anno prima da Giu­seppe Car­doni (Ve­scovo di Lo­reto non­ché pre­si­dente dell’Accademia ec­cle­sia­stica) e da Ca­millo Tar­quini (che nel 1873 sa­rebbe stato creato Car­di­nale).
 En­trambi, nel 1865, ave­vano espresso idee (al­lora ri­ma­ste ina­scol­tate) che nel 1876 si mo­stra­vano però estre­ma­mente at­tuali. Se­guiamo an­cora Ma­rotta che cita il do­cu­mento di Car­doni – Tar­quini (sot­to­li­nea­ture no­stre): 

«Essi ri­fe­ri­vano di come i fa­vo­re­voli alla par­te­ci­pa­zione, chia­mati “i ben­pen­santi ita­liani”, si fos­sero per­suasi dei van­taggi che po­te­vano pro­ve­nire dall’elezione di de­pu­tati cat­to­lici pro­prio gra­zie all’esperienza ma­tu­rata in campo am­mi­ni­stra­tivo, ove «gli in­te­ressi […] nell’ordine re­li­gioso po­li­tico e so­ciale hanno tro­vato un sen­si­bile mi­glio­ra­mento».

Per que­sto, as­sieme alla po­nenza* pre­pa­ra­to­ria alla se­duta, ve­niva al­le­gata una bozza di pos­si­bile “pro­clama dei Cat­to­lici per le ele­zioni po­li­ti­che”, at­tra­verso cui spie­gare all’elettorato le ra­gioni dell’intervento e il pro­gramma elet­to­rale, in cui fi­gu­rava la di­fesa dei beni ec­cle­sia­stici, del ma­tri­mo­nio, della mo­ra­lità, della li­bertà di in­se­gna­mento, dell’indipendenza del pontefice:

mu­tate so­stan­zial­mente le cir­co­stanze, è ne­ces­sa­rio mu­tare il modo di ope­rare. Se fin qui era spe­diente te­nersi pas­sivi in fac­cia ad in­va­sioni po­li­ti­che, non pi­gliando parte alla nuova forma di vita pub­blica da esse in­tro­dotta, ora non è più così. Il con­trad­dire colla voce, co­gli scritti e col fatto di una no­bile e co­scien­ziosa asten­sione non è più ba­stante[…]. Dalle urne po­li­ti­che escono i le­gi­sla­tori; ac­cor­ria­movi”».

––––
* [No­stra nota] La “po­nenza” è la rac­colta di tutte le carte pro­dotte e ri­te­nute im­por­tanti che viene pre­sen­tata in forma stam­pata ai car­di­nali coin­volti in una spe­ci­fica riu­nione della Con­gre­ga­zione. I car­di­nali tro­vano in quella po­nenza la de­scri­zione sto­rica della que­stione a loro pro­po­sta e il dub­bio a cui de­vono ri­spon­dere, con in al­le­gato le carte più si­gni­fi­ca­tive pro­dotte dalle isti­tu­zioni o per­sone coin­volte e gli even­tuali voti dei consultori.

La “con­gre­ga­zione spe­ciale” in­detta da Pio IX aprì i la­vori il 30 no­vem­bre di quell’anno (a ele­zioni ter­mi­nate) e si con­cluse con una ri­so­lu­zione di cui, se­guendo an­cora Ma­rotta, ri­por­tiamo la parte di mag­giore in­te­resse per il no­stro di­scorso (evi­den­zia­zione nostra):

«Tutti gli Emi­nen­tis­simi sono con­ve­nuti in mas­sima del li­cere; e che alla con­di­zione a cui è ri­dotta la cosa pub­blica se­gna­ta­mente per tutto quello che si ri­fe­ri­sca alla re­li­gione ed ai di­ritti della chiesa, non solo è un di­ritto ma è un do­vere ri­go­roso dei cat­to­lici di pren­der parte alle ele­zioni po­li­ti­che. […] Però tutti egual­mente gli Em.mi sono stati con­cordi non es­ser ne­ces­sa­rio che si ri­sponda ora al que­sito di mas­sima an­che sul ri­flesso che es­sendo im­mi­nente la pub­bli­ca­zione della nuova legge elet­to­rale è bene che prima si co­no­sca il te­nore della me­de­sima. In quella vece hanno rav­vi­sato op­por­tuno che fin da ora si dia corpo ad al­cune prat­ti­che ten­denti a pre­di­sporre il terreno».

Tali «prat­ti­che» pre­ve­de­vano il «pre­pa­rare la opi­nione pub­blica e istruire le masse» onde «rad­driz­zare al­cune idee false» e po­te­vano at­tuarsi so­prat­tutto con l’«av­ver­tire al­cuni gior­na­li­sti a non oc­cu­parsi con ca­lore ul­te­rior­mente del prin­ci­pio fin qui so­ste­nuto né eletti né elet­tori e la­sciarlo ca­dere ap­poco ap­poco» e con lo scri­vere ad al­cuni ve­scovi «per esplo­rare e co­no­scere la opi­nione dei cat­to­lici sull’argomento».

Ri­pren­dendo noi il di­scorso, ci sem­bra inu­tile in que­sta sede in­si­stere ol­tre: è in­con­tro­ver­ti­bile che nella pri­ma­vera-estate del 1876 i ver­tici della Chiesa (quella tem­po­ra­li­sta, con cui era da tempo in con­flitto Stop­pani) erano al la­voro per ve­dere come po­tere sfrut­tare le ele­zioni a pro­prio fa­vore: ba­sta con il non-ex­pe­dit, pren­diamo atto della realtà e cer­chiamo di uti­liz­zare le isti­tu­zioni dello Stato laico per ri­durre al mi­nimo il danno.

Ab­biamo già detto che la “Con­gre­ga­zione” ini­ziò i la­vori a ele­zioni con­cluse. È però ov­vio, pro­prio per la qua­lità dei ma­te­riali pre­pa­ra­tori, che gli orien­ta­menti che ne emer­sero fos­sero già am­pia­mente pre­vi­sti — e in­fatti ven­nero an­che anticipati.

Pren­diamo dalla Gaz­zetta di Ber­gamo del 26 mag­gio 1876, p. 2 / p. 490 una fin biz­zarra ac­cen­tua­zione della po­si­zione del Va­ti­cano sulle ele­zioni am­mi­ni­stra­tive (per le quali non vi­geva il non-ex­pe­dit, cosa sem­pre da ricordare):

«I cle­ri­cali e le ele­zioni
Al Va­ti­cano si è or­di­nato a tutti gli ex-im­pie­gati pon­ti­fici di ac­cor­rere com­patti alle urne nelle pros­sime ele­zioni am­mi­ni­stra­tive. A co­loro che man­cas­sero di ot­tem­pe­rare al sud­detto or­dine si è fatto sa­pere non po­tranno più con­tare sulla per­ce­zione dei loro stipendi.»

Non male!
Ma le an­ti­ci­pa­zioni di un cam­bio ra­di­cale di at­teg­gia­mento della Chiesa si al­lar­ga­vano an­che alle ele­zioni po­li­ti­che. 

In­fatti, per­ché le cose fos­sero ben chiare ai fe­deli già per le ele­zioni di no­vem­bre, la Sa­cra Pe­ni­ten­zie­ria, il 26 set­tem­bre aveva pro­dotto un “ma­ni­fe­sto elet­to­rale” (a cir­co­la­zione in­terna ri­ser­vata), in cui si da­vano al­cune an­ti­ci­pa­zioni (pren­diamo la no­ti­zia dal Cor­riere della Sera del 30 ot­to­bre 1876 ma il te­sto fu ri­por­tato da tutti i gior­nali, no­stre le evidenziazioni).

«I CLERICALI ALLE URNE

Chia­miamo l’attenzione de’ no­stri let­tori sul grave do­cu­mento che ci è in­viato dal no­stro cor­ri­spon­dente ro­mano.
 Esso se­gna il prin­ci­pio d’una ri­vo­lu­zione nel par­tito cle­ri­cale. La vec­chia mas­sima “Nè eletti nè elet­tori” è ab­ban­do­nata, al­meno per una parte d’Italia, ed i cle­ri­cali si ap­pre­stano a spie­gare la loro in­fluenza in Par­la­mento. È que­sto un pe­ri­colo pel par­tito li­be­rale, ma in que­sto pe­ri­colo sta forse la sua salute.

Roma, 29 ot­to­bre.
 Il do­cu­mento elet­to­rale, ema­nato circa un mese fa, e pro­pria­mente ai 26 dello scorso set­tem­bre, da que­sta Sa­cra Pe­ni­ten­zie­ria, è qui sul mio tavolo […]:

––––––––

L’Ufficio della Sa­cra Pe­ni­ten­zie­ria, sen­titi i dub­bii ri­volti alla Santa Sede nelle pe­ti­zioni di al­cuni ve­scovi, di­chiara, in ub­bi­dienza agli or­dini di Sua San­tità papa Pio IX, quanto segue:

«Es­sendo che al­cuni ve­scovi delle pro­vince di Ve­ne­zia, Mi­lano, Ge­nova e Ca­gliari in­via­rono alla Santa Sede delle pe­ti­zioni, nelle quali cal­da­mente si pregò di chia­rire il dub­bio: se, in vi­sta delle im­mi­nenti ele­zioni per la Ca­mera dei de­pu­tati, si possa con tran­quilla co­scienza pren­dere parte alle ele­zioni sud­dette, ab­ben­chè la sede di essa Ca­mera sia stata tra­sfe­rita a Roma con cri­mi­nosa vio­lenza, il Sa­cro Uf­fi­cio di Pe­ni­ten­zie­ria, dopo aver ma­tu­ra­mente pon­de­rato que­sto que­sito per parte d’ognuno dei suoi mem­bri, de­cise do­versi rispondere:

«Che nulla vi sia da in­no­vare nelle istru­zioni più volte im­par­tite, o par­ti­co­lar­mente in quella emessa in data del 1 di­cem­bre 1866, nei pa­ra­grafi Primo e Se­condo, i quali a que­sto scopo sono qui ap­presso ripetuti:

«Prima Do­manda: In qual modo si deve ri­spon­dere a co­loro i quali chie­dono se pos­sano ac­cet­tare il man­dato di de­pu­tati al Par­la­mento?
Ri­spo­sta : Af­fer­ma­ti­va­mente, sotto le tre se­guenti condizioni:

— 1. i de­pu­tati eletti deb­bono ag­giun­gere alla for­mula del giu­ra­mento di fe­deltà e d’obbedienza al Re ed alle leggi le se­guenti pa­role: Salvo le leggi di­vine ed ecclesiastiche;

— 2. que­sta clau­sola dev’essere pro­nun­ziata, nell’atto di giu­rare, in modo tale che al­meno due te­sti­moni la pos­sano sen­tire;

— 3. i de­pu­tati suac­cen­nati deb­bono es­sere con­vinti e deb­bono di­chia­rare non solo di non ap­pog­giare nè vo­tare leggi in­giu­ste ed im­mo­rali, ma bensì di com­bat­terle qua­lora ve­nis­sero proposte.

«Se­conda Do­manda: Quale dev’essere il con­te­gno dei ve­scovi nel caso che ve­nis­sero ri­chie­sti di pro­muo­vere l’elezione di buoni de­pu­tati ?
Ri­spo­sta: Sono au­to­riz­zati a farlo, sotto la con­di­zione che gli stessi ve­scovi, in oc­ca­sione delle ele­zioni, qua­lora ve­nis­sero ri­chie­sti del loro ap­pog­gio, ram­men­tino al po­polo il do­vere d’ogni fe­dele d’impedire, per quanto ciò sia in suo po­tere, il male e di pro­muo­vere il bene. 

Dato a Roma, nel Sa­cro Uf­fi­cio della Pe­ni­ten­zie­ria, a di 26 set­tem­bre 1876. Fir­mati: Car­di­nale An­ton Ma­ria Pa­ne­bianco pe­ni­ten­ziere in capo; An­to­nio Ru­bini, segretario. »

––––––––

I pre­lati, cui fu di­retto que­sto do­cu­mento e i cui nomi si leg­gono in fondo ad esso, sono: l’arcivescovo di Mi­lano, il pa­triarca di Ve­ne­zia, i ve­scovi di Bel­luno, Fel­tre, Vi­cenza, Chiog­gia, Ve­rona, Pa­dova, Bre­scia, Crema, Lodi, Al­benga, Pa­via, Ge­nova, Tor­tona, Ven­ti­mi­glia, Oglia­stra.
 Leg­gendo que­sti nomi di città, viene spon­ta­nea la ri­fles­sione che tutti i pre­lati ap­par­ten­gono a dio­cesi o del Lom­bardo-Ve­neto ce­duto per trat­tato, o delle an­ti­che pro­vin­cie pie­mon­tesi e sarde, ere­di­tate le­git­ti­ma­mente dal re Vit­to­rio Ema­nuele. Pare quindi che an­che in ciò si pro­se­gua dalla Cu­ria ro­mana nella di­stin­zione di que­ste parti l’Italia dalle al­tre che fu­rono usur­pate ai loro le­git­timi prin­cipi ed al Pon­te­fice. È poi cu­rioso che la clau­sola re­strit­tiva debba es­sere sen­tita al­meno da due te­sti­moni. Am­messo che siano tre i cle­ri­cali, col­lo­can­dosi essi l’uno a fianco dell’altro, sarà molto fa­cile pre­starsi il re­ci­proco ser­vi­gio di te­sti­moni au­ri­co­lari, senza che gli al­tri col­le­ghi s’accorgano di nulla. Mez­zucci ge­sui­tici…».
Fin qui il Cor­Sera del 30 ot­to­bre 1876.

Pro­se­guiamo noi. Il gior­na­li­sta, ma­li­zioso co­no­sci­tore del mondo, sot­to­li­neava quindi in quale modo si po­teva fa­cil­mente su­pe­rare l’unico osta­colo che, sul piano nor­ma­tivo, an­cora si frap­po­neva alla par­te­ci­pa­zione dei cat­to­lici al Par­la­mento: il giu­ra­mento dei De­pu­tati al mo­mento dell’insediamento.
 Se­condo quanto espres­sa­mente scritto dalla Sa­cra Pe­ni­ten­zie­ria, alla for­mula del giu­ra­mento di fe­deltà e di ob­be­dienza al Re ed alle leggi, il De­pu­tato do­veva ag­giun­gere la pa­role: “Salvo le leggi di­vine ed ec­cle­sia­sti­che”, in modo che al­meno due te­sti­moni la po­tes­sero sen­tire.
 Dopo avere evi­den­ziato l’ipocrisia di tale ac­cor­gi­mento che of­friva una fa­ci­lis­sima via per elu­dere la norma, il gior­na­li­sta del Cor­Sera con­clu­deva: i cle­ri­cali si ap­pre­stano a usare la loro grande in­fluenza in Par­la­mento; per il par­tito li­be­rale (con que­sto ter­mine il Cor­riere si ri­fe­riva alla De­stra, cui il quo­ti­diano mi­la­nese era le­gato) que­sto è in­sieme un pe­ri­colo ma forse an­che una op­por­tu­nità.

È in­fatti ben noto che, so­prat­tutto nel Nord del paese, si erano in quei mesi av­viati rap­porti tra la De­stra e il Va­ti­cano per unire le forze in un qua­ran­tina di col­legi per osta­co­lare l’avanzata della Si­ni­stra. Ve­dremo più sotto come que­sta sot­ter­ra­nea in­tesa De­stra li­be­rale-Va­ti­cano de­ter­mi­nasse in­di­ret­ta­mente an­che la ri­nun­cia di Stop­pani al tor­neo elet­to­rale (le ten­denze più mo­de­rate della Si­ni­stra al go­verno pre­fe­ri­rono ap­pog­giare can­di­dati tran­sfu­ghi dalla De­stra — ma mo­de­rati — piut­to­sto che ele­menti della Si­ni­stra stessa — ma “di sinistra”).

Tor­nando a noi, è quindi ov­vio che, nelle grandi li­nee, que­sto nuovo orien­ta­mento della Chiesa do­ve­vano es­sere tra­pe­late fin da su­bito e già note an­che al di fuori della ri­stretta cer­chia della gerarchia.

Ri­cor­dando che il “pro­gramma elet­to­rale” della Pe­ni­ten­zie­ria va­ti­cana so­pra ci­tato era tra­pe­lato al pub­blico solo il 30 ot­to­bre e che Stop­pani ne aveva avuto certo sen­tore ma non cer­tezze, il 25 ot­to­bre egli chie­deva a Mag­gioni (evi­den­te­mente in grado più di lui di avere qual­che an­te­prima) con­ferma di come il non-ex­pe­dit non avesse so­stan­zial­mente più al­cun valore.

E quindi, Si­gnor Sin­daco, in cosa sa­rebbe con­si­stita la “pro­vo­ca­zione” di Stop­pani?
Erano gli stessi ver­tici della Chiesa rea­zio­na­ria a spin­gere i cat­to­lici alle urne!
È chiaro, o dob­biamo fare disegnini?

Ciò detto per quanto ri­guarda la fa­vola di Stop­pani che si pre­senta come te­sti­mo­nianza / pro­vo­ca­zione con­tro il non-ex­pe­dit, tor­niamo all’argomento delle rea­zioni che la sua can­di­da­tura suscitò.

I com­menti che Stop­pani su­scitò col suo pre­sen­tarsi alle ele­zioni erano le­gati solo ed esclu­si­va­mente al fatto che egli si fosse schie­rato con la Si­ni­stra!
 Se Stop­pani fosse sceso in campo con la De­stra, forse qual­cuno dell’ala più ol­tran­zi­sta della ge­rar­chia ec­cle­sia­stica avrebbe storto un po­chino la boc­cuc­cia ma niente più (sono ben do­cu­men­tati i casi di de­pu­tati cat­to­lici mo­de­rati — per esem­pio Ce­sare Cantù — la cui par­te­ci­pa­zione alla vita del Par­la­mento era stata sem­pre non solo tol­le­rata ma an­che ete­ro­di­retta dal Va­ti­cano).
 Ma un prete con la Si­ni­stra! No! que­sto i con­ser­va­tori del Va­ti­cano pro­prio non la po­te­vano man­dare giù.

Perchè Stoppani ruppe con la Destra e scelse la Sinistra?

L’Abate Stop­pani de­cise nella metà del 1876 di rom­pere con l’ambiente che nei quin­dici anni pas­sati lo aveva col­lo­cato in po­si­zioni api­cali sul piano scien­ti­fico e della at­ti­vità or­ga­niz­za­tiva del paese, per­ché la ge­stione della de­stra si era mo­strata fal­li­men­tare e con­flig­geva sem­pre più con gli orien­ta­menti scien­ti­fico-or­ga­niz­za­tivi che Stop­pani con­si­de­rava utili al van­tag­gio della an­cor gio­vane Italia.

È chiaro che il lungo so­da­li­zio tra il pre­sbi­tero-geo­logo e la De­stra sto­rica, du­rato 15 anni, si era fin dal prin­ci­pio ca­rat­te­riz­zato come com­plesso e an­che spesso dif­fi­cile.
 Quel gruppo di po­tere, an­ti­cle­ri­cale di for­ma­zione e come obiet­tivi, aveva di buon grado ca­ri­cato a bordo quel prete così bril­lante, an­che per mo­strare con la forza dell’esempio, che po­teva es­serci una col­la­bo­ra­zione tra lo Stato uni­ta­rio e il clero ap­pena ap­pena de­cente, li­bero dalle pec­che rea­zio­na­rie che ca­rat­te­riz­zava tanti pre­sbi­steri e Car­di­nali.
 Na­tu­ral­mente non erano man­cati i mo­menti di con­flitto che il tem­pe­ra­mento non certo re­mis­sivo del No­stro aveva a volte esa­cer­bato. In suoi scritti l’Abate sot­to­li­neò quanto a volte lo aveva osta­co­lato sotto tutti i pro­fili la sua con­di­zione di sa­cer­dote, mal vi­sta da una larga parte dei ri­sor­gi­men­tali — non di­men­ti­chiamo che Ga­ri­baldi (per al­tro sti­ma­tis­simo da Stop­pani che lo con­si­de­rava un vero eroe) non man­cava di de­fi­nire i preti come “un mezzo me­tro cubo di le­tame”. 

D’altra parte Stop­pani nel corso de­gli anni, pur man­te­nendo la pro­pria au­to­no­mia, a volte in modo rude, si era sem­pre di­mo­strato nei fatti più che af­fi­da­bile pro­prio sul piano po­li­tico.
 Nel 1860, quando a Mi­lano si era trat­tato di ap­pog­giare Vit­to­rio Ema­nuele per­ché di­ven­tasse re di una nuova Ita­lia quasi tutta riu­nita, i due preti e fra­telli Pie­tro e An­to­nio Stop­pani erano stati ef­fi­ca­cis­simi (con la So­cietà Ec­cle­sia­stica di cui Pie­tro era vice Pre­si­dente) nel pi­lo­tare il clero della città ad ap­pog­giare i Sa­voia.
 E poi, nel 1861-62, in oc­ca­sione dell’Indirizzo al papa di Pas­sa­glia, i tre preti Stop­pani (Pie­tro, An­to­nio e Carlo) erano stati in prima fila nell’appoggiare la li­nea anti tem­po­ra­li­sta con­tro gli in­tran­si­genti del Va­ti­cano.
 Su quella vi­cenda, anni dopo, nel 1886, l’Abate pub­blicò un molto ben fatto te­sto di po­li­tica-po­li­tica a fa­vore dello sta­bi­lire rap­porti di piena col­la­bo­ra­zione tra lo Stato uni­ta­rio e una Chiesa fi­nal­mente li­bera della za­vorra del po­tere tem­po­rale — lo legga, Si­gnor Sin­daco, «Gl’Intransigenti alla stre­gua dei fatti vec­chi e nuovi e nuo­vis­simi / Note po­stume ad un’Appendice sull’Indirizzo del Clero Ita­liano al Papa», è ve­ra­mente un te­sto che chi fa po­li­tica non può igno­rare, qua­lun­que sia il suo orientamento).

I contrasti sulla Carta Geologica — una questione mai risolta.

I pro­blemi tra Stop­pani e la De­stra, co­mun­que, non si erano ma­ni­fe­stati per ra­gioni eti­che o per l’appartenenza dell’Abate a una strut­tura vis­suta dai ri­sor­gi­men­tali come ostile (ciò che in ef­fetti era al­lora la Chiesa di Roma) quanto il modo ra­di­cal­mente di­verso di ve­dere le que­stioni scien­ti­fico-or­ga­niz­za­tive di in­te­resse na­zio­nale — cen­tra­liz­za­trice e fun­zio­nale solo all’esecutivo la com­pa­gine in­ge­gne­ri­stica, espres­sione del go­verno; po­li­cen­trica e at­tenta alle in­di­ca­zioni della scienza non­ché dei bi­so­gni delle parti più de­boli della po­po­la­zione il gruppo dei geo­logi come Stoppani.

Qui sotto, riu­nione della So­cietà Ita­liana di Scienze Na­tu­rali, Biella 3-6 Set­tem­bre 1864.
Nel corso dell’incontro Quin­tino Sella pre­sentò la bozza della “Carta geo­lo­gica in grande scala del Biel­lese”, rea­liz­zata in col­la­bo­ra­zione con Bar­to­lo­meo Ga­staldi e Gia­cinto Ber­ruti.
Nel corso dei la­vori, sulla que­stione dei ghiac­ciai, Stop­pani svolse un in­ter­vento che su­scitò un vi­vace dibattito.

Nel 1861, ap­pena for­mato il nuovo re­gno d’Italia, era stata isti­tuita la Com­mis­sione per la ste­sura della Carta Geo­lo­gica, pre­messa per ogni sen­sata de­ci­sione strut­tu­rale — dove fac­ciamo pas­sare le fer­ro­vie? quali ponti dob­biamo co­struire? quali porti po­ten­ziamo? quali le di­ret­tive più fun­zio­nali per i tra­sporti e la di­fesa? come af­fron­tiamo il pro­blema delle ma­te­rie prime e dell’energia? come or­ga­niz­ziamo cave, mi­niere, pozzi?
 Di­ri­gente di fatto della Com­mis­sione era Quin­tino Sella, gio­vane e bril­lante fun­zio­na­rio sta­tale. L’Abate venne chia­mato a par­te­ci­parvi as­sieme ad un’altra quin­di­cina di geo­logi e ne fu no­mi­nato Se­gre­ta­rio as­sieme al si­ci­liano Gae­tano Ge­mel­laro. 

La prima que­stione che si pose — e che ri­mase sem­pre l’elemento cen­trale del di­bat­tito in­terno alla Com­mis­sione — fu: a chi deve es­sere af­fi­data la ste­sura della Carta?
 Sella e il suo gruppo non ave­vano esi­ta­zioni: de­vono es­sere gli in­ge­gneri del Corpo delle Mi­niere, strut­tura già con­so­li­data, esperta di car­to­gra­fia e quant’altro, più che pre­pa­rata sul piano tec­nico, be­nis­simo strut­tu­rata e com­patta.
 Stop­pani e quelli che la pen­sa­vano come lui (le due parti più o meno si equi­va­le­vano come nu­mero) a loro volta ave­vano le idee chiare: gli in­ge­gneri sanno il fatto loro ma man­cano di pre­pa­ra­zione geo­lo­gica e cul­tu­rale, sono sra­di­cati dai ter­ri­tori; sono mi­li­ta­riz­zati, alle di­pen­denze del Re, cioè dell’esecutivo.
 A de­scri­vere la Carta de­vono es­sere i geo­logi lo­cali, do­tati de­gli stru­menti scien­ti­fici e della men­ta­lità più ade­guati; più li­beri nel fare pre­va­lere le ra­gioni di lunga por­tata della scienza, an­che in op­po­si­zione alle ra­gioni di breve pe­riodo dei Governi.

Chiun­que com­prende che die­tro que­sta que­stione di at­tri­bu­zioni vi era la que­stione vera: a quali in­te­ressi deve ri­spon­dere la ste­sura della Carta?

Agli esclu­sivi in­te­ressi dell’esecutivo cen­trale op­pure an­che a quelli lo­cali?
In ter­mini po­li­tici: cen­tra­liz­za­zione as­so­luta o democrazia?

In prima bat­tuta, per ov­vie ra­gioni, pre­valse la li­nea di Sella che po­teva con­tare sulla com­pat­tezza ideo­lo­gica e or­ga­niz­za­tiva del suo gruppo. Gli scien­ziati, espres­sione di ten­denze ete­ro­ge­nee, ben­ché ge­ne­ral­mente più quo­tati sul piano scien­ti­fico de­gli in­ge­gneri, do­vet­tero ab­boz­zare.
 Le de­ci­sioni fu­rono quindi frutto di com­pro­messi e scon­ten­ta­rono tutti, in par­ti­co­lare gli scien­ziati che si vi­dero ne­gata la pos­si­bi­lità di dare un vero con­tri­buto allo svi­luppo na­zio­nale.
 La que­stione ri­mase aperta e si tra­scinò ne­gli anni, por­tando a un di­stacco di fatto di Stop­pani dall’attività della Carta, no­no­stante tutti fa­ces­sero di tutto per non ar­ri­vare a una rot­tura de­fi­ni­tiva sul piano for­male con una fi­gura del suo pre­sti­gio e ca­pa­cità.
 Fin­chè, e tor­niamo a noi, non si ar­rivò a quel 1876.

Che si proponeva Stoppani col concorrere alle elezioni del 1876?

Ab­biamo fin qui chia­rito il qua­dro di fondo del per­ché delle ele­zioni an­ti­ci­pate del 1876; ab­biamo poi de­scritto in quale schie­ra­mento Stop­pani si schierò (la Si­ni­stra, dal marzo so­li­da­mente al go­verno).
Re­sta ora da chia­rire il per­ché della scelta di Stop­pani, an­che se il let­tore lo avrà già in­tuito da quanto fin qui espresso.

Lei ha scritto e detto, Si­gnor Sin­daco, che 

«Suo scopo [di Stop­pani] non era certo quello di ot­te­nere un seg­gio in par­la­mento, ma quello di scuo­tere gli animi, in­vi­tare tutti ad un ra­gio­na­mento at­torno al cri­stia­ne­simo, alla scienza, al ruolo della chiesa, a pren­dersi cura de­gli al­tri.»

Beh! Qui siamo pro­prio di fronte a un raro esem­pio di fanta-sto­ria in­te­grale, in cui cioè non c’è nep­pure un bri­ciolo di realtà e an­che un bel po’ di non ver­ba­liz­zati in­sulti all’intelligenza di Stop­pani, pre­sen­tato come un po­vero gi­rella che si di­verte a fare “pro­vo­ca­zioni”, nel bel mezzo di una crisi si­ste­mica della na­zione.
 Ve­diamo come in­vece stes­sero le cose. 

È chiaro che nel marzo 1876, con la De­stra fi­nita in mi­no­ranza per la sua pa­lese in­ca­pa­cità di ri­spon­dere ai pro­blemi nuovi che si po­ne­vano all’Italia, si po­te­vano aprire ine­dite pro­spet­tive a chi — come Stop­pani — aveva mar­ciato nei ran­ghi della De­stra ma sem­pre con ele­menti di dis­senso strut­tu­rale.
 L’Abate, at­tra­verso don An­to­nio Buc­cel­lati (suo amico da sem­pre, ro­smi­niano anch’esso, suo col­lega all’Università di Pa­via come do­cente di di­ritto), po­teva pen­sare di po­tersi in­fi­lare nel qua­dro go­ver­na­tivo e di col­la­bo­rare con Giu­seppe Za­nar­delli (di cui Buc­cel­lati era con­su­lente sulle que­stioni giu­ri­di­che) che nel go­verno for­mato nel marzo da De­pre­tis, era Mi­ni­stro dei La­vori Pub­blici (lo ab­biamo già ri­cor­dato), quindi pro­prio al po­sto giu­sto per le aspet­ta­tive di Stoppani.

Ma l’ipotesi Za­nar­delli per un fu­turo par­la­men­tare di Stop­pani ri­te­niamo sia ar­ri­vata in prima bat­tuta dal de­pu­tato Giu­seppe Mer­za­rio.
 Di Stop­pani que­sti era stato com­pa­gno in Se­mi­na­rio; nel 1861 in squa­dra con lui nella re­da­zione del Con­ci­lia­tore per il quale cu­rava la “Ru­brica po­li­tica” con note de­ci­sa­mente evo­lute (era il gior­nale dei preti con­ci­lia­to­ri­sti mi­la­nesi sul quale Stop­pani pub­blicò i suoi primi in­ter­venti). Dopo non molto Mer­za­rio si spretò ma con Stop­pani man­tenne sem­pre un ot­timo rap­porto di stima e di ami­ci­zia — ri­cor­diamo che l’11 ot­to­bre 1891 (quin­dici anni dopo que­sto 1876 di cui ci oc­cu­piamo), in man­canza di Stop­pani, morto dieci mesi prima, fu Mer­za­rio a im­pe­dire, con la sua au­to­rità di de­cano del Par­la­mento, che Car­ducci cer­casse di fare la prima donna alla inau­gu­ra­zione del Mo­nu­mento a Man­zoni in Lecco — su que­sto e sulla truffa poi messa in piedi dallo scor­nato e, in quella oc­ca­sione, in­tel­let­tual­mente di­so­ne­sto Car­ducci a pro­po­sito del “Di­scorso di Lecco”, vedi qui il no­stro stu­dio).

Di Za­nar­delli in­vece, Mer­za­rio nel 1848 era stato com­pa­gno d’armi nel Bat­ta­glione de­gli Stu­denti Lom­bardi e con lui aveva poi sem­pre man­te­nuto ot­timi rap­porti, fa­cendo an­che parte del gruppo par­la­men­tare vi­cino al Mi­ni­stro.
 Ri­te­niamo (ma è una no­stra ipo­tesi su cui bi­so­gnerà la­vo­rare) che l’idea di un in­gresso in po­li­tica di Stop­pani sia ve­nuta pro­prio a Mer­za­rio per raf­for­zare Za­nar­delli, non in buoni rap­porti con Ni­co­tera, già ga­ri­bal­dino e Mi­ni­stro de­gli In­terni, con forti le­gami con il me­ri­dione. Il quale Ni­co­tera, ben­ché nello stesso schie­ra­mento di si­ni­stra cui ap­par­te­neva il Mi­ni­stro dei La­vori Pub­blici, aveva con lui forti fri­zioni, pro­prio sulla que­stione delle fer­ro­vie, uno dei veri pro­blemi per Za­nar­delli.
 Stop­pani, con la sua lunga espe­rienza spe­ci­fica (le fer­ro­vie erano un ca­pi­tolo im­por­tante nella ste­sura della Carta Geo­lo­gica; egli stesso si era im­pe­gnato in im­por­tanti la­vori sul campo) po­teva rea­li­sti­ca­mente pen­sare di po­tere fi­nal­mente muo­versi a do­vere per lo svol­gi­mento del suo ruolo di geo­logo al ser­vi­zio della so­cietà; col­la­bo­rare inol­tre per un al­lar­ga­mento dei di­ritti ci­vili a tutti i cit­ta­dini.
 E quindi, ap­pena si ve­ri­ficò il cam­bio di ge­stione nel marzo del 1876, de­cise di ten­tare una nuova av­ven­tura, schie­ran­dosi con la Si­ni­stra di Depretis.

Con quale programma? Quello che aveva già molte volte esposto nei suoi scritti, soprattutto ne “Il Bel Paese”. 

Lo ab­biamo già an­ti­ci­pato in sin­tesi più so­pra: Stop­pani (vedi an­cora la let­tera agli elet­tori di Lecco), non pre­sentò al­cun “pro­gramma elet­to­rale” li­mi­tan­dosi a ri­cor­dare che quanto aveva in mente di fare lo aveva già reso noto nei suoi scritti — e in ef­fetti già mol­tis­simi co­no­sce­vano e ap­prez­za­vano quel for­mi­da­bile “san­tino elet­to­rale” che era “Il Bel Paese”, messo da Stop­pani nelle li­bre­rie il 25 lu­glio di quell’anno.
 In quel vo­lume, ap­prez­zato una­ni­me­mente dalla de­stra e dalla si­ni­stra, Stop­pani aveva il­lu­strato in lungo e in largo ciò che egli in­ten­deva per “Con­ver­sa­zioni sulle bel­lezze na­tu­rali, la geo­lo­gia e la geo­gra­fia fi­sica d’Italia”: la co­no­scenza ap­pro­fon­dita (non solo este­tica o di be­nes­sere psico-fi­sico) delle realtà na­tu­ra­li­sti­che del paese; la ri­cerca come pro­dotto della at­ti­vità di scien­ziati le­gati al ter­ri­to­rio; la ne­ces­sità (e la pos­si­bi­lità con­creta) di tro­vare nuove fonti ener­ge­ti­che; la co­no­scenza della strut­tura in­tima della na­tura da parte di tutti gli abi­tanti del bel paese.
 Ri­cor­diamo che Stop­pani, già ai primi di marzo del 1876 aveva per­fet­ta­mente pronto il suo “Il Bel Paese”; che ne aveva già ini­ziata la pro­mo­zione (vedi qui — è que­sto un pic­colo ine­dito su cui tor­ne­remo pre­sto in al­tra Nota) e che quindi avrebbe po­tuto / do­vuto esporre nelle li­bre­rie già alla fine di marzo.
E in­vece Stop­pani tenne nel cas­setto quella sua opera e la tirò fuori solo verso la fine di lu­glio as­si­cu­ran­dosi così, con le nu­me­rose re­cen­sioni che ne se­gui­rono sulla stampa di ogni ten­denza, una vi­si­bi­lità di alto li­vello — al­tro che uno dei so­liti e spesso pa­ro­lai pro­grammi elet­to­rali! Stop­pani aveva ap­pena sfor­nato una en­ci­clo­pe­dia del già fatto come scien­ziato e do­cente, del già detto come sa­cer­dote e come cit­ta­dino, ga­ran­zia del da farsi come De­pu­tato.

Ma an­diamo avanti!

L’Abate fu attaccato soprattutto dalla Destra anticlericale di governo, quella mangiapreti (e i preti reazionari si limitarono a ripetere pari pari le parole dei loro tradizionali avversari di Stato).

Ri­pren­diamo quando Lei ha scritto e detto::

«In quel clima [de­ter­mi­nato dal non-ex­pe­dit], e in tutta ri­spo­sta, An­to­nio Stop­pani si can­didò alle ele­zioni po­li­ti­che dell’autunno 1876 pro­prio nel col­le­gio di Lecco, pro­vo­cando così grande di­bat­tito da parte dei cat­to­lici con­ser­va­tori, at­ti­ran­dosi cri­ti­che per le idee così fer­ma­mente espresse. »

Si­gnor Sin­daco, ab­biamo già vi­sto come la Sua af­fer­ma­zione che Stop­pani si fosse can­di­dato come pro­vo­ca­zione con­tro il non-ex­pe­dit, non ha nes­su­nis­simo ri­scon­tro: è pura fan­ta­sia.
 Ve­diamo ora come an­che la Sua af­fer­ma­zione che Stop­pani ri­ce­vette “cri­ti­che” dai cat­to­lici con­ser­va­tori per la sua can­di­da­tura è sol­tanto una pic­cola parte della realtà, anzi una sub-realtà.

Il fronte pro­gres­si­sta, in­fatti, esultò per la can­di­da­tura di Stop­pani (più sotto ve­dremo con quali sper­ti­cate lodi ne scrisse il demo po­po­lare “Il Se­colo”, il quo­ti­diano più ven­duto in Ita­lia).
 Ma fu dalla de­stra an­ti­cle­ri­cale — sì “an­ti­cle­ri­cale”, non è un no­stro re­fuso — che venne l’attacco più duro, cir­co­stan­ziato e pieno di fiele con­tro il can­di­dato Stop­pani (più sotto ve­dremo come trattò la cosa “La Per­se­ve­ranza”, il quo­ti­diano mi­la­nese della De­stra di go­verno).
 In­vece — guarda guarda — i cat­to­lici con­ser­va­tori cui Lei si ri­fe­ri­sce, Si­gnor Sin­daco (i rea­zio­nari in­tran­si­genti tem­po­ra­li­sti, da sem­pre e per sem­pre ne­mici di Stop­pani) non dis­sero pra­ti­ca­mente nulla.
 La loro punta di lan­cia anti-con­ci­lia­to­ri­sta, l’Osservatore Cat­to­lico di Don Al­ber­ta­rio, si li­mitò a ci­tare, con tanto di osten­tate “vir­go­lette”, quanto aveva scritto “La Per­se­ve­ranza”, senza quasi una pa­rola di pro­prio com­mento: una cosa da la­sciare a bocca aperta, co­no­scendo la ine­sau­ri­bile ca­pa­cità di vo­mi­tare in­giu­rie e mal­di­cenze sem­pre di­mo­strata da Don Al­ber­ta­rio e compagni.

Sor­preso, Si­gnor Sindaco?

Ep­pure è pro­prio così. E ora, di quanto an­ti­ci­pato, diamo le prove documentarie.

Giovedì, 12 ottobre 1876 — «Il Secolo».

Entusiastico “benvenuto” al candidato Stoppani.

Di orien­ta­mento de­mo­cra­tico-ri­for­mi­sta, “Il Se­colo – Gaz­zetta di Mi­lano”, fon­dato nel 1864 fu in Ita­lia il quo­ti­diano più ven­duto per ol­tre trent’anni. Nel 1876 si schierò senza ri­serve per la Sinistra.

Nell’articolo che ri­por­tiamo (da noi tra­scritto let­te­ral­mente) vi sono in­cer­tezze espres­sive, che ab­biamo pre­fe­rito man­te­nere pro­prio come nell’originale: il senso è co­mun­que più che chiaro: viva il Can­di­dato della Si­ni­stra ri­for­mi­sta, il pro­fes­sor An­to­nio Stop­pani, ba­luardo con­tro il rap­pre­sen­tante della de­stra, Villa Pernice.

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«Il Se­colo» — Gio­vedi, 12 ot­to­bre 1876
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Ci scri­vono da Lecco, 11 ot­to­bre 1879:

Vi mando le pri­mi­zie e dirò an­che le de­fi­ni­tive no­ti­zie della lotta elet­to­rale del col­le­gio di Lecco.

Il Villa Per­nice [can­di­dato della De­stra NdR] spedì per po­sta il suo nuovo pro­gramma a tutti gli elet­tori. Quel pro­gramma in ge­ne­rale fu tro­vato piut­to­sto fran­ca­mente ci­nico, da non me­ri­tare di­scus­sione: e devo dirvi a onor del vero che il Per­nice non verrà più eletto in que­sto col­le­gio; ed a molti sem­bra im­pos­si­bile che lo sia stato per tre volte.
 Il suo com­pe­ti­tore è uno stu­pendo e no­bile in­ge­gno, di fama mon­diale, che voi mi­la­nesi co­no­scete be­nis­simo. Non si sa fi­nora se, eletto, sie­derà a si­ni­stra o al cen­tro della Ca­mera, quel che si sa, e che tutti gli elet­tori di Lecco pos­sono giu­rare in an­ti­ci­pa­zione, egli è che il loro nuovo de­pu­tato non vo­terà mai per gli in­te­ressi della con­sor­te­ria, nè mai una legge qua­lun­que re­strit­tiva alla li­bertà cit­ta­dina, dan­nosa alle in­du­strie, ves­sa­to­ria ed in­giu­sta per le po­po­la­zioni da qua­lun­que parte venga pro­po­sta: e ciò per­chè il suo eletto animo, l’aggiustatezza de’ suoi no­bili ed ele­vati sen­ti­menti, l’intemerata co­scienza, e la sua in­fa­ti­ca­bile ope­ro­sità sono arra agli elet­tori che il loro de­pu­tato farà sem­pre onore a chi lo elesse, come essi stessi ne sa­ranno ono­rati eleg­gen­dolo.
 In po­che pa­role: nelle ul­time ele­zioni mol­tis­simi elet­tori non vo­lendo il Villa e co­no­scendo de visu la ca­pa­cità del di lui com­pe­ti­tore, quan­tun­que ot­timo cit­ta­dino e di sen­ti­menti schiet­ta­mente li­be­rali, e forse an­che per vec­chio pro­ver­bio nemo pro­pheta in pa­tria, vo­ta­rono nella prima vo­ta­zione spon­ta­nea­mente senza darsi l’intesa, pel pro­fes­sore An­to­nio Stop­pani che si pro­pone da­gli elet­tori stessi a can­di­dato, avrà per sè quasi tutti, per non dir to­tal­mente, i voti de­gli elet­tori del col­le­gio di Lecco.
 La Per­se­ve­ranza e tutti i con­sorti del suo stampo, chec­chè av­venga, non po­tranno mai van­tarsi di avere lo Stop­pani dalla loro. Che se gli elet­tori di Lecco non avranno un de­pu­tato di si­ni­stra estrema, po­tranno sem­pre van­tarsi di avere un de­pu­tato di sen­ti­menti schiet­ta­mente e sin­ce­ra­mente li­be­rali, d’infaticabile ope­ro­sità, di este­sis­sima e pro­fonda dot­trina e scienza, forse troppo mo­de­sto e di animo mite e dolce, ma però sem­pre tale che la sua pa­rola sarà au­to­re­vole ed ascol­tata con de­fe­renza e ri­spetto da tutti i par­titi.
 Al Se­colo, gior­nale af­fatto in­di­pen­dente dai par­titi, non rie­sci­ranno sgra­dite que­ste no­ti­zie; e si può star si­curi che il Per­nice, già così pic­cin pic­cino, di fronte al suo com­pe­ti­tore di­ve­nendo im­per­cet­ti­bile, si eclis­serà com­ple­ta­mente e spa­rirà come nebbia.»

Lunedì, 16 ottobre — «La Perseveranza».
Dura e minacciosa la risposta del quotidiano milanese della Destra storica.

Sfre­gan­dosi le mani, il ri­for­mi­sta “Il Se­colo” sot­to­li­neava dun­que come, per quelle ele­zioni del 1876, la De­stra (e “La Per­se­ve­ranza”) non avreb­bero po­tuto con­tare su una fi­gura di pre­sti­gio come l’Abate Stop­pani.
 D’altra parte, nel corso di una co­la­zione, il mo­de­rato Sin­daco di Mi­lano Giu­lio Bel­lin­za­ghi aveva do­vuto re­gi­strare il no di Stop­pani al suo in­vito a re­ce­dere dalla can­di­da­tura (no­ti­zia de “L’Adda”).

Il quo­ti­diano per ec­cel­lenza della De­stra sto­rica, il mi­la­nese “La Per­se­ve­ranza”, de­cise quindi di in­ter­ve­nire nel modo più pe­sante per ri­durre al mi­nimo i danni che allo schie­ra­mento della De­stra po­neva la can­di­da­tura di Stop­pani nelle fila della Si­ni­stra.
 Era in­fatti fa­cile pen­sare che la scelta dell’Abate po­tesse spo­stare voti dalla De­stra alla Si­ni­stra non solo a Lecco (dove Stop­pani era co­mun­que certo di una vit­to­ria schiac­ciante su­gli al­tri can­di­dati) ma an­che in al­tri col­legi elet­to­rali, so­prat­tutto della Lom­bar­dia, dove Stop­pani era mag­gior­mente co­no­sciuto.
 L’intervento de “La Per­se­ve­ranza” si ren­deva in­di­spen­sa­bile an­che per­ché Stop­pani, nella sua let­tera agli elet­tori di Lecco, aveva uti­liz­zato espres­sioni de­ci­sa­mente dure con­tro la De­stra, ac­cu­san­dola di di­spo­ti­smo oli­gar­chico solo stru­men­tal­mente ri­chia­man­tesi alla Co­sti­tu­zione (“As­so­cia­zione co­sti­tu­zio­nale” era il nome della for­ma­zione creata dalla De­stra dopo la per­dita del Go­verno).
 Stop­pani aveva però la­sciato una larga porta aperta agli ele­menti che fino ad al­lora ave­vano vo­tato a de­stra ma che ora co­min­cia­vano ad avere “idee più miti” circa la ne­ces­sità di al­lar­gare la base elet­to­rale — un in­vito in piena re­gola a cam­biare li­nea, in vi­sta di un mu­ta­mento strut­tu­rale e in senso de­mo­cra­tico del qua­dro istituzionale.

Lu­nedì 16 ot­to­bre il quo­ti­diano mi­la­nese, in prima pa­gina, sotto la ru­brica “Cro­naca elet­to­rale”, ri­por­tava in­te­gral­mente la “Let­tera agli elet­tori di Lecco” resa pub­blica da Stop­pani il 7 ot­to­bre (è quella che ab­biamo più so­pra ri­cor­data).
 Gra­zie alla dif­fu­sione na­zio­nale de “La Per­se­ve­ranza” e all’alto li­vello so­ciale e de­ci­sio­nale dei suoi let­tori, la can­di­da­tura di Stop­pani usciva così dall’ambito pro­vin­ciale ed en­trava a pieno ti­tolo nella cro­naca dell’intero paese.
 Ma non era certo un pia­cere che il gior­nale vo­leva fare a Stop­pani: era il modo più ve­loce ed ef­fi­cace per met­terlo in cat­tiva luce agli oc­chi di tutta la bor­ghe­sia che fino a quel mo­mento aveva guar­dato con sim­pa­tia a quel prete-geo­logo-let­te­rato così di ta­lento, di­mo­stra­zione vi­vente di come il clero se­rio po­tesse la­vo­rare a stretto con­tatto con i più noti an­ti­cle­ri­cali della com­pa­gine governativa.

In­fatti, im­me­dia­ta­mente sotto il te­sto della let­tera di Stop­pani, dan­do­gli dello squi­li­brato, “La Per­se­ve­ranza” così com­men­tava (no­stri i ta­gli re­da­zio­nali, fatta per­fet­ta­mente salve pa­role e so­stanza del discorso).

L’abate Stop­pani, [con] co­de­sto suo cao­tico scritto, […] si pre­senta, can­di­dato mi­ni­ste­riale […] ave­vamo ap­prez­zata la sua fa­cile e chiara pa­rola; sic­ché non è stata poca la no­stra me­ra­vi­glia nel leg­gere que­sta con­fu­sis­sima let­tera […]. Essa tra­di­sce un tur­ba­mento pro­fondo dell’animo […].
 Com’egli, […] sa­cer­dote re­li­gio­sis­simo, ab­bia po­tuto […] pre­sen­tare la pro­pria can­di­da­tura, non s’intende […] egli im­pli­ci­ta­mente viene ad ap­pro­vare la po­li­tica re­li­giosa del Mi­ni­stero. E que­sto [è] tale da darci il di­ritto di met­tere in dub­bio, […] la sal­dezza delle sue con­vin­zioni; […] tanto da per­dere il filo di un retto ra­zio­ci­nio.
 […] una delle ra­gioni che lo hanno in­dotto […] è stata l’idea che possa sta­bi­lirsi un re­gime ve­ra­mente co­sti­tu­zio­nale tra l’oligarchia che re­gnava usur­pan­done il nome, e l’internazionalismo che mira a re­gnare sotto il nome di re­pub­blica. E cosa lo Stop­pani in­tenda per re­gime ve­ra­mente co­sti­tu­zio­nale, lo dice tra due pa­ren­tesi, quello dell’uguale tu­tela dei di­ritti di tutti. Dav­vero il dotto pro­fes­sore quand’esce dal suo campo, non ha ben fermo il giu­di­zio. […]
 Ap­prova l’abate Stop­pani ciò che il Mi­ni­stero ha fatto per le pro­ces­sioni re­li­giose, per le As­so­cia­zioni re­li­giose, per il Con­gresso di Bo­lo­gna? […] se lo di­sap­prova, ci dica per­ché si pre­senta can­di­dato ministeriale? 

E ci dica an­che in che modo co­de­sta po­li­tica del Mi­ni­stero possa aiu­tare quel ri­sve­glio verso idee più ra­gio­ne­voli, più miti, più tol­le­ranti di quella parte del par­tito re­trivo che è di buona fede […] ha poi detto […] che il Go­verno du­rato dal 1859 a que­sta parte è stato una oli­gar­chia. […]
 Per­ché la frase in­fe­lice dello Stop­pani po­tesse avere un si­gni­fi­cato […] bi­so­gne­rebbe […] che, il modo di suf­fra­gio al quale egli si sot­to­pone fosse di­verso da quello che è stato in vi­gore fin qui […] sic­ché il Go­verno che da que­sta ri­forma elet­to­rale uscisse, po­tesse, a petto dei pas­sati, re­pu­tarsi un Go­verno non di po­chi […] ma di molti. Ora que­sto non è […] da­vanti a que­sta nuova terra pro­messa […] la sua mente non è più così tran­quilla e lim­pida come da­vanti a quell’altra terra che ha con­tem­plata e stu­diata fin qui!
[…]
 E ora vol­gen­doci, non agli amici, ma agli elet­tori di Lecco, noi vor­remmo che ci pen­sas­sero ben bene prima di ri­cu­sare i loro voti al vec­chio loro de­pu­tato; e […] raf­fron­tino la let­tera scon­clu­sio­nata dello Stop­pani a quella sem­plice ma pre­cisa, del Villa-Per­nice […].
 Quanto agli amici dello Stop­pani, noi vor­remmo che gli fos­sero amici dav­vero; e che, per ri­spar­miare al sa­cer­dote, allo scien­ziato, le ama­rezze e i rin­cre­sci­menti di poi, non gli stuz­zi­cas­sero ora una tarda ed in­fe­lice ambizione.»

Ma que­sto era solo l’inizio delle danze.
Istan­ta­nea­mente molti dei rap­porti che Stop­pani aveva in­tes­suto ne­gli anni con amici e col­le­ghi (molti dei quali stret­ta­mente le­gati alla De­stra) en­tra­rono in crisi.
 An­che molte delle si­gnore della bor­ghe­sia che erano an­date ad ascol­tarlo con re­ve­rente am­mi­ra­zione alle con­fe­renze pub­bli­che, gli vol­ta­rono le spalle. Come in modo spi­ri­toso scrive il suo ni­pote-bio­grafo Cor­ne­lio esse «avreb­bero vo­luto che l’ammiratissimo Stop­pani di Mi­lano non fosse lo Stop­pani di Lecco».
 In breve, at­torno alla sua fi­gura si alzò una bar­riera di ran­co­rosa osti­lità che non si placò af­fatto quando egli ri­nun­ciò alla can­di­da­tura.
Ma tor­niamo a noi.

Clero rea­zio­na­rio e si­ni­stra ra­di­cale uniti nella lotta con­tro Stop­pani at­tra­verso un del tutto si­mile co­pia-in­colla dall’articolo del quo­ti­diano della De­stra, da Stop­pani de­fi­nita “oli­gar­chica”.

Giovedì, 19 ottobre — Curiosamente “L’Osservatore Cattolico” sta alla finestra.

Dopo l’uscita dell’articolo de “La Per­se­ve­ranza” di lu­nedì 16 ot­to­bre, quelle che sotto un certo pro­filo pos­siamo de­fi­nire le due ali estreme dello schie­ra­mento po­li­tico, usci­rono a di­stanza rav­vi­ci­nata con ar­ti­coli cu­rio­sa­mente molto si­mili ed espli­ci­ta­mente ri­chia­man­tesi alle ar­go­men­ta­zioni de “La Perseveranza”.

Letto lu­nedì l’articolo de “La Per­se­ve­ranza” (ed es­sersi pre­su­mi­bil­mente con­sul­tato), gio­vedì 19 sul suo “Os­ser­va­tore Cat­to­lico” Don Al­ber­ta­rio dava la li­nea ai suoi ma in modo ab­ba­stanza ano­malo: fa­cendo cioè par­lare al­tri — os­sia pren­den­dosi il mi­nimo di re­spon­sa­bi­lità per le in­for­ma­zioni e le idee esposte.

Qui, Si­gnor Sin­daco, può tro­vare l’articolo com­pleto; di se­guito ne pre­sen­tiamo una no­stra sin­tesi, as­so­lu­ta­mente fedele:

1/ Ri­spon­diamo alle pro­vo­ca­zioni dei fo­gli mo­de­rati come la Gaz­zetta d’Italia la quale, ci­tando la Per­se­ve­ranza, così dice:

2/ con una let­tera agli elet­tori Stop­pani ac­cetta una can­di­da­tura ministeriale;

3/ così ac­cetta la po­li­tica re­li­giosa del Mi­ni­stero, an­dando con­tro le pro­prie con­vin­zioni: evi­den­te­mente ha perso il raziocinio;

4/ Stop­pani vuole un as­setto isti­tu­zio­nale che ga­ran­ti­sca la tu­tela dei di­ritti per tutti; ma il Mi­ni­stero vieta le pro­ces­sioni re­li­giose a cui lui tiene: per­ché quindi si pre­senta come can­di­dato ministeriale?

5/ come può la po­li­tica in­tol­le­rante del Mi­ni­stero spin­gere gli ele­menti della De­stra che lui chiama in buona fede a orien­tarsi verso quelle che Stop­pani chiama idee più tol­le­ranti della Sinistra?

Espo­ste le po­si­zioni della Gazzetta/Perseveranza, l’Osservatore Cat­to­lico ci ri­cama un poco so­pra ma senza pro­porre nes­suna os­ser­va­zione pro­pria e senza cal­care la mano, anzi:

6/ ri­co­no­sce che Stop­pani può avere mo­ti­va­zioni con­di­vi­si­bili an­che da ele­menti dello schie­ra­mento cat­to­lico: poco male, fa­remo vo­len­tieri a meno di que­sti cat­tivi cattolici.

7/ dà no­ti­zia che due noti pe­rio­dici cat­to­lici si sono schie­rati con le po­si­zioni del prete-geo­logo; ri­chie­sti del per­ché i due pe­rio­dici hanno so­ste­nuto che non serve met­tersi in urto, bi­so­gna pren­dere Stop­pani con la dolcezza.

8/ Don Al­ber­ta­rio ac­con­sente all’idea ma fa pre­sente che bi­so­gna stare at­tenti che non sia Stop­pani a pren­dere loro.

Come si vede, nes­sun in­tem­pe­ranza e anzi una non tanto na­sco­sta pub­bli­cità.
Solo nella frase fi­nale Don Al­ber­ta­rio ri­prende quello che può es­sere con­si­de­rato il suo tono normale:

9/ quante sto­rie: Stop­pani è un bravo geo­logo e un grande scrit­tore; ma di­ciamo che come po­li­tico è così sca­dente da ri­ce­vere le­zioni per­sino dalla Perseveranza.

Per chi ab­bia letto qual­che cosa di Don Al­ber­ta­rio, è chiaro che il mu­sco­lare pub­bli­ci­sta del Va­ti­cano deve avere scritto que­sto ar­ti­colo dopo avere preso una ab­bon­dante dose di bro­muro: niente in­sulti, niente ca­lun­nie, niente mi­nacce: Stop­pani si can­dida? che ci im­porta, ognuno vada per la sua strada!

Rias­su­mendo: con­tra­ria­mente a quanto af­fer­mato dalla vul­gata cui Lei, Si­gnor Sin­daco, si è ac­co­dato, l’organo del cat­to­li­ce­simo più in­tran­si­gente, di fronte alla ini­zia­tiva elet­to­rale di Stop­pani, si li­mitò a ri­pe­tere le cri­ti­che già mosse al prete-geo­logo da una parte che ap­par­te­neva (teo­ri­ca­mente) al campo av­ver­sa­rio del cat­to­li­ce­simo stesso, senza as­so­lu­ta­mente cal­care la mano.
 Per­ché que­sto at­teg­gia­mento così di­stac­cato e im­pron­tato al la­sciar fare?

Non è dif­fi­cile com­pren­derlo: come ab­biamo già chia­rito so­pra, per le ele­zioni del 1876, la ge­rar­chia ec­cle­sia­stica aveva de­ciso di met­tere nel cas­setto più basso della scri­va­nia (da te­nere chiuso a chiave) tutta la pro­pa­ganda del non-ex­pe­dit e di met­tersi in campo cer­cando di con­qui­stare qual­che buona po­si­zione.
 Non si po­teva, in quel con­te­sto e con quel pro­getto fare la voce grossa con­tro Stop­pani: ciò avrebbe reso più dif­fi­cile fare di­ge­rire ai cat­to­lici, che fino ad al­lora erano ri­ma­sti fermi al non-ex­pe­dit, la ne­ces­sità di cam­biare linea.

Ci sa­reb­bero state al­tre oc­ca­sioni per fare i conti con quel fa­sti­dioso con­ci­lia­to­ri­sta di Stop­pani, così ben vi­sto e ap­prez­zato da tutti.

Sabato, 21 ottobre — “L’Adda”.
La sua critica a Stoppani riprende i temi de “La Perseveranza”.
Con in più un invito a non indebolire il fronte governativo, pressato dalle questioni internazionali.

Per com­ple­tare la ras­se­gna delle po­si­zioni delle di­verse forze po­li­ti­che nei con­fronti della can­di­da­tura di Stop­pani, diamo an­che quella del bi­set­ti­ma­nale la­riano “L’Adda”, or­gano della Si­ni­stra ra­di­cale che si au­to­de­fi­ni­sce espres­sione di un non me­glio spe­ci­fi­cato “par­tito de­mo­cra­tico” (at­ten­zione a non so­vrap­porre le di­zioni di al­lora con la realtà di oggi — sono pas­sati 148 anni!).

La pre­sen­ta­zione che “L’Adda” fa di Stop­pani è anch’essa cu­rio­sa­mente al­li­neata su quanto già espresso da “La Per­se­ve­ranza”; anzi da parte del gior­nale della si­ni­stra ra­di­cale del la­riano vi è una espli­cita ap­pro­va­zione di quanto scritto dal gior­nale della De­stra.
 Con in più un in­si­stito ri­chiamo a non creare pro­blemi al go­verno della Si­ni­stra — è ab­ba­stanza evi­dente che il gior­nale ra­di­cale vuole se­gna­lare che Stop­pani, ben­ché can­di­dato mi­ni­ste­riale, po­trebbe es­sere fonte di pro­blemi per il Go­verno. Que­sta no­ta­zione è da te­nere a mente per­ché qui è già espresso in nuce il mo­tivo del ri­tiro di Stop­pani dalla com­pe­ti­zione elet­to­rale.
Ve­diamo.

Dopo avere espresso la più ferma av­ver­sione a Villa-Per­nice, can­di­dato per la De­stra e per Mar­telli can­di­dato per la Si­ni­stra ma giu­di­cato come un dop­pio gio­chi­sta, “L’Adda” con­ti­nua (evi­den­zia­zioni nostre):

«Un terzo can­di­dato, pure con pro­gramma, fu giu­di­cato dalla stessa Per­se­ve­ranza con po­tente ar­ti­colo , da quella Per­se­ve­ranza, che sem­pre alzò la sua voce per sol­le­vare a cielo il prof. Stop­pani, che sem­pre lo ap­pog­giò in tutte bi­so­gna, ma che ora lo con­si­glia a non porre al ci­mento la sua fama per que­stioni po­li­ti­che.
 Pro­fes­sore! Vero ali­mento del tuo cer­vello è la scienza, de­dica la tua vec­chiaia alla scienza che non tur­berà i tuoi sonni, e non so­spi­rare una tarda am­bi­zione.
 Tu non fo­sti mai uomo della po­li­tica av­vezzo alla di­sil­lu­sione, nei tuoi li­bri non si trat­tano que­stioni nè am­mi­ni­stra­tive, nè fi­nan­zia­rie e via di­cendo, ma solo di scienza, ed ora so­gna­sti tu pure di porti col mi­ni­stero at­tuale? Il di­lemma che in­nanzi ti pre­senta la tua amica Per­se­ve­ranza è forte, e sino dai primi passi fe­ri­sce a morte.
 Que­sto terzo è prete, e chec­ché ne di­cano, tale sarà sem­pre, o se mu­tasse av­viso cade nell’altro er­rore della con­trad­di­zione.
Nis­suno poi sarà da tanto da rin­fac­ciarci que­ste pa­role, come det­tate da per­fi­dia di sen­ti­menti, poi­ché da noi non si fece al­tro che rac­co­gliere i giu­dizi de­gli amici stessi dei candidati.

Ri­mane un quarto, […] che com­battè sem­pre colla penna i so­prusi di in­gan­na­tori go­verni gua­da­gnan­dosi ono­rato car­cere, one­sto, franco e forse ta­lora troppo ener­gico ed im­mu­ta­bile nelle sue ve­dute. Que­sti è l’avv. Er­ne­sto Pozzi, che certo rap­pre­sen­terà me­glio di qual­siasi al­tro il no­stro col­le­gio e la nazione.

Elet­tori!
Li­bero è a chiun­que il voto, ma nelle at­tuali con­di­zioni po­li­ti­che eu­ro­pee non ab­bi­so­gniamo di to­gliere forza all’attuale mi­ni­stero, poi­ché que­sto per­den­done, la na­zione ne sof­fre, e può per la man­canza di ener­gia, per di­scor­die in­terne di di­scre­panti opi­nioni sen­tirne grave pre­giu­di­zio il com­mer­cio, l’industria, la libertà.

Ab­biamo già ac­cen­nato che que­sto ar­ti­colo de “L’Adda” è in­te­res­sante per­ché fa in­tra­ve­dere quella che sarà la con­clu­sione della vi­cenda, os­sia il ri­tiro di Stop­pani dalla com­pe­ti­zione elet­to­rale.
Che è l’argomento che ora dob­biamo svol­gere do­vendo però, in via pre­li­mi­nare, dare un qua­dro delle forze in campo:

— la “As­so­cia­zione co­sti­tu­zio­nale” rap­pre­senta la De­stra sto­rica che in marzo aveva do­vuto la­sciare il co­mando del Governo;

— la “As­so­cia­zione pro­gres­si­sta” rap­pre­senta la Si­ni­stra di Go­verno ma in modo non omo­ge­neo: le due fi­gure di ri­fe­ri­mento sono il de­mo­cra­tico ri­for­mi­sta, coe­rente ma non molto ener­gico, Za­nar­delli (con il quale Stop­pani con­tava di po­tere col­la­bo­rare) e il ga­ri­bal­dino-maz­zi­niano Ni­co­tera, ap­pa­ren­te­mente rap­pre­sen­tante delle ten­denze più ra­di­cali; in realtà, per cal­colo di po­tere, più che di­spo­sto a com­pro­messi con la parte più rea­zio­na­ria dello schie­ra­mento politico;

— la “As­so­cia­zione de­mo­cra­tica” rap­pre­senta i re­pub­bli­cani, i più ra­di­cali sul piano isti­tu­zio­nale (a que­sta fa ri­fe­ri­mento il gior­nale “L’Adda” di cui ab­biamo par­lato poco sopra);

— la ge­rar­chia va­ti­cana. Ben­ché for­mal­mente fuori dai gio­chi di po­tere, ab­biamo vi­sto so­pra che con la ca­duta della De­stra, il Va­ti­cano si è im­me­dia­ta­mente at­ti­vato per la­sciar per­dere il non-ex­pe­dit e tro­vare una pro­pria collocazione.

Ab­ba­stanza evi­dente come tra que­ste quat­tro com­po­nenti i con­fini non fos­sero così fa­cil­mente trac­cia­bili e si ve­ri­fi­cas­sero anzi con­ta­mi­na­zioni as­so­lu­ta­mente ine­dite.
Ma ve­niamo a noi.

Non fu l’Abate a lasciare il campo: egli fu mollato da chi lo aveva fino a quel momento sostenuto.

I po­chi che si sono oc­cu­pati della vi­cenda dell’Abate in que­ste ele­zioni del 1876, hanno scritto che il com­por­ta­mento di Stop­pani in quel fran­gente è in­spie­ga­bile. Beh! an­che se Stop­pani non ci ha la­sciato nulla di scritto in pro­po­sito, la cosa è in­vece spie­ga­bi­lis­sima; ba­sta leg­gere la cro­naca di quei giorni e fare due + due.

Ab­biamo vi­sto all’inizio di que­sto ca­pi­tolo che nella sua let­tera a Mag­gioni di mer­co­ledì 25 ot­to­bre (vedi qui) Stop­pani, pur di­cen­dosi un poco scosso dalla quan­tità di cri­ti­che che gli erano pio­vute ad­dosso dopo la sua di­chia­ra­zione di par­te­ci­pa­zione alle ele­zioni, con­fer­mava la sua as­so­luta vo­lontà di ri­ma­nere sul campo, co­sti quel che costi!

E in­vece, do­me­nica 29 diede le di­mis­sioni ri­ti­ran­dosi dalla cam­pa­gna elet­to­rale; prese il primo treno per Mi­lano la­sciando Lecco e le ele­zioni in­ca­vo­lato nero.
Che era suc­cesso in quei quat­tro giorni?

Ab­ba­stanza sem­plice!
Una cosa fre­quente nelle com­pe­ti­zioni elet­to­rali che l’Abate non po­teva però né pre­ve­dere né forse an­che com­pren­dere: il gruppo che lo aveva ap­pog­giato nella sua di­scesa in campo, cam­biò im­prov­vi­sa­mente rotta e non solo ap­pog­giò un al­tro can­di­dato ma lo scelse nello schie­ra­mento della si­ni­stra ra­di­cale pa­tro­ci­nata da “L’Adda”, pro­prio quanto di più lon­tano si po­tesse pen­sare ri­spetto alle po­si­zioni di Stoppani.

Tutto qui.
Non fu l’Abate ad ab­ban­do­nare il campo; fu in­vece mol­lato da chi fino a quel mo­mento lo aveva cer­cato e sostenuto.

Per com­pren­dere come ciò si ve­ri­ficò, dob­biamo fare un pic­colo ex­cur­sus nei rap­porti all’interno delle di­verse com­po­nenti politiche.

La Sinistra, non sentendosi certissima della vittoria elettorale, lanciò una vasta campagna di coinvolgimento di ampi settori dei moderati — una prima prova di trasformismo.

Come si è più so­pra già ri­cor­dato, la ca­duta della De­stra, ben­ché già nell’aria da tempo per ra­gioni di fondo, era av­ve­nuta per una non pro­gram­ma­tica con­ver­genza di voti tra una parte della De­stra (con­tra­ria alla ri­sta­ta­liz­za­zione delle fer­ro­vie, nei pro­grammi di Min­ghetti, Sella e soci) e l’opposizione di Si­ni­stra.
 Il primo go­verno della Si­ni­stra poté es­sere va­rato e ini­ziare ad ope­rare solo con l’appoggio (a que­sto punto for­te­mente stru­men­tale) di quella parte della De­stra che aveva fatto ca­dere Min­ghetti per la que­stione delle fer­ro­vie).
 Per sot­trarsi a que­sto ab­brac­cio in­na­tu­rale, che po­teva in ogni mo­mento tra­sfor­marsi in una stretta mor­tale, la Si­ni­stra puntò im­me­dia­ta­mente a ele­zioni an­ti­ci­pate che po­tes­sero darle una più cre­di­bile base “eletta” e non frutto di com­bi­na­zioni di pa­lazzo.
 Ma il ri­sul­tato elet­to­rale non era così scon­tato. I se­dici anni di ge­stione della cosa pub­blica aveva sì lo­go­rato la De­stra ma an­che creato un largo certo po­li­tico-cul­tu­rale-so­ciale di de­stra che po­teva ri­ser­vare brutte sor­prese ai nuovi con­dut­tori del va­pore: alle urne in no­vem­bre si an­dava an­cora con la vec­chia legge elet­to­rale (e quindi su una base estre­ma­mente ri­stretta — meno di 500.000 per­sone su 22 mi­lioni di cit­ta­dini, cioè l’1,8% della popolazione).

A opera so­prat­tutto di Ni­co­tera, Mi­ni­stro de­gli In­terni (ma in que­sto se­guito da tutto lo schie­ra­mento della Si­ni­stra, salvo qual­che pic­colo di­stin­guo per i modi de­ci­sa­mente di­sin­volti del Mi­ni­stro) si av­viò una va­sta e ra­mi­fi­cata azione per fa­vo­rire in ogni modo (an­che quelli meno or­to­dossi) la vit­to­ria elet­to­rale.
 Fu av­viata una ca­pil­lare azione per­sua­siva su­gli im­pie­gati pub­blici con gra­ti­fi­che, spo­sta­menti, pro­mo­zioni.
 In­sieme si av­viò una ocu­lata azione sul piano giu­di­zia­rio per pas­sare un tratto di penna su al­cune cause ec­cel­lenti in cui erano coin­volte fi­gure utili ai fini elet­to­rali. 

L’azione più in­ci­siva e si­ste­ma­tica venne svolta però (come sem­pre) nella for­ma­zione delle li­ste elet­to­rali, nel cui ma­neg­gio si ve­ri­fi­ca­rono an­che mo­vi­menti ap­pa­ren­te­mente in­com­pren­si­bili o in­con­grui per­ché le­gati a spe­ci­fi­che si­tua­zioni lo­cali.
 Ciò si ve­ri­fica an­che oggi ma al­lora, con una Ita­lia molto più dif­fe­ren­ziata di quanto non sia ora (per con­di­zioni eco­no­mi­che, di cul­tura col­let­tiva, di lin­gua par­lata, di abi­tu­dini ali­men­tari, di espe­rienze sto­ri­che) le pe­cu­lia­rità lo­cali eb­bero un peso determinante.

Il Mi­ni­stro de­gli In­terni Ni­co­tera, uomo noto per la di­sin­vol­tura con cui eser­ci­tava il suo in­ca­rico, verso la fine di ot­to­bre si mise pe­san­te­mente in azione mo­bi­li­tando pre­fetti e sin­daci e det­tando la com­po­si­zione delle li­ste elet­to­rali, an­che pub­bli­ca­mente at­tra­verso il suo gior­nale “Il Ber­sa­gliere”.
 Uno dei ele­menti su cui Ni­co­tera puntò più de­ci­sa­mente fu la rac­colta e l’inglobamento dei tanti che ave­vano co­min­ciato ad ab­ban­do­nare la nave della De­stra per tro­varsi co­mun­que con un tet­tuc­cio so­pra la te­sta. Que­sta ope­ra­zione può es­sere vi­sta come l’anteprima di quello che sa­rebbe pas­sato alla sto­ria come “tra­sfor­mi­smo”: se ti tra­sformi, a me va bene — non ti fa­remo certo il terzo grado per sa­pere cosa ef­fet­ti­va­mente tu ab­bia nella te­sta.
 Que­sto ar­ruo­la­mento di estra­nei all’interno della Si­ni­stra fu spesso at­ti­vato at­tra­verso al­leanze vere e pro­prie (an­cor­ché se­grete) con il fronte cle­ri­cale — Lei ri­corda, Si­gnor Sin­daco, quanto detto a pro­po­sito dell’abbandono ra­pido del non-ex­pe­dit da parte della ge­rar­chia ec­cle­sia­stica.
 Fi­ni­rono così nelle li­ste della Si­ni­stra molte fi­gure che non solo erano state nella De­stra ma che non ave­vano mai fatto pub­bli­ca­mente nep­pure finta di aver cam­biato idea.
 Nella Si­ni­stra, que­sta di­sin­volta azione di in­clu­sione dei “ne­mici” di ieri, su­scitò qual­che ri­getto e in al­cune si­tua­zioni portò gli espo­nenti della Si­ni­stra a pren­dere de­ci­sioni au­to­nome — e an­che con­tra­rie — ri­spetto alle in­di­ca­zioni del pro­prio “Co­mi­tato Pro­gres­si­sta” cen­trale.
 Ma, in ge­ne­rale, le in­di­ca­zioni di Ni­co­tera ven­nero accettate.

La situazione di Lecco.

Per l’Abate Stop­pani la si­tua­zione nella pro­pria città na­tale si pre­sen­tava ab­ba­stanza semplice.

— A rap­pre­sen­tare la De­stra era can­di­dato Villa Per­nice, già de­pu­tato in tre le­gi­sla­ture; uomo di af­fari, da anni den­tro tutte le si­tua­zioni in cui gi­ra­vano quat­trini. Per l’occasione aveva fatto finta di es­sere di­ven­tato un poco più de­mo­cra­tico ma la cosa era così sco­per­ta­mente fa­sulla che tutti ci ri­de­vano an­che sopra.

— Per la Si­ni­stra (ma quella più ra­di­cale, an­che re­pub­bli­cana) si pre­sen­tava l’avvocato Er­ne­sto Pozzi, da sem­pre nelle file della de­mo­cra­zia, già sol­dato nella se­conda Guerra di In­di­pen­denza, co­no­sciuto, ab­ba­stanza sti­mato per le sue ca­rat­te­ri­sti­che morali.

— La can­di­da­tura dell’Abate Stop­pani, anch’egli nella Si­ni­stra, ma nella parte più mo­de­rata, si col­lo­cava quindi in un ideale cen­tro.
 Un pa­triota che non aveva mai man­cato a un ap­pun­ta­mento con le vi­cende della in­di­pen­denza e dell’unità na­zio­nale; non re­pub­bli­cano ma de­mo­cra­tico di sen­ti­menti e di idee; uno scien­ziato noto an­che a li­vello eu­ro­peo; ap­prez­zato per la grande cul­tura an­che uma­ni­stica; di grande espe­rienza or­ga­niz­za­tiva e am­mi­ni­stra­tiva ma­tu­rata in tanti anni di con­su­lenza nelle com­mis­sioni go­ver­na­tive; di ri­co­no­sciuta one­stà e di­rit­tura mo­rale; di fa­mi­glia sti­mata, ti­pica rap­pre­sen­tante della me­dia bor­ghe­sia lariana.

Stop­pani aveva però an­che delle “pec­che” che il gruppo della De­stra, con cui egli aveva col­la­bo­rato per 16 anni, co­no­sceva bene ma che per la Si­ni­stra po­te­vano non es­sere così evidenti:

— era troppo au­to­nomo, sia sul piano eco­no­mico che su quello in­tel­let­tuale e morale;

— era “poco cauto nei di­scorsi” (ri­cor­date che così lo aveva de­fi­nito un fun­zio­na­rio della po­li­zia po­li­tica au­striaca al mo­mento del suo al­lon­ta­na­mento nel 1853 dai Se­mi­nari lom­bardi). Os­sia era uno che non esi­tava ad espri­mere il pro­prio pen­siero e, quando era il caso, an­che ad al­zare la voce;

— era troppo “prete”: la sua no­to­ria e lunga lotta con­tro la ge­rar­chia nera della Chiesa po­teva ren­dere non così chiara la sua vera pas­sione.
 Come in­dis­so­lu­bil­mente le­gato alla Chiesa, con tutte le ener­gie fi­si­che e mo­rali egli vo­leva che la Chiesa stessa si rin­no­vasse per po­tere svol­gere la pro­pria vera fun­zione — oggi e do­mani come ieri — os­sia dare ri­spo­sta agli in­sop­pri­mi­bili bi­so­gni spi­ri­tuali dell’uomo.
 Non è ov­via­mente detto che que­sto suo es­sere pro­fon­da­mente uomo di Chiesa fosse vi­sto di buon oc­chio dalla Si­ni­stra al Governo.

A parte, però, que­sti “mi­nus”, sulla carta l’operazione Stop­pani sem­brava as­so­lu­ta­mente vin­cente ed egli stesso in cuor suo (e lo di­ceva ai suoi in­timi) sa­peva che già al primo turno avrebbe vinto a man bassa.
 An­che per­ché, die­tro di lui, ol­tre ai con­cit­ta­dini amici e agli at­ti­vis­simi fra­telli, laici e non (non di­men­ti­chiamo poi mamma Lu­cia, molto sti­mata e in­fluente) c’era il go­ver­na­tivo Co­mi­tato della As­so­cia­zione Pro­gres­si­sta, di cui ma­gna pars era Za­nar­delli con cui — lo ab­biamo già detto so­pra — i con­tatti sem­bra­vano fa­cili da av­viare e svi­lup­pare e che gli aveva as­si­cu­rato il suo pieno appoggio.

Che suc­cesse quindi?

Due settimane di piccola cronaca elettorale.

Sa­bato 21 ot­to­bre 1876  // La Per­se­ve­ranza

Lecco, 20 ot­to­bre
«[…]
La can­di­da­tura dell’abate Stop­pani ha per­duto molto ter­reno in que­sti giorni, mas­sime dopo che, in una riu­nione di preti, venne de­ciso di so­ste­nerne la can­di­da­tura per avere un rap­pre­sen­tante del Clero in Par­la­mento. E dire che quello dello Stop­pani è la can­di­da­tura del par­tito pro­gres­si­sta, anzi la vera can­di­da­tura of­fi­ciale!
L’opinione ge­ne­rale e gli amici in­timi dello Stop­pani bia­si­mano que­sta sua ri­so­lu­zione; anzi, se egli vuole con­ser­vare la grande stima di cui gode fra i suoi com­pae­sani, do­vrebbe, e glielo con­si­glio di cuore nell’interesse del suo nome, ri­ti­rarsi da una lotta in cui s’è così in­fe­li­ce­mente im­pe­gnato, e pre­gare gli elet­tori di vo­tare per vero can­di­dato di Lecco, l’on. Villa Per­nice.
[…]»

***

Lu­nedì-Mar­tedì, 22-23 ot­to­bre 1876  Il Se­colo – Gaz­zetta di Milano

Como. — Il Cir­colo elet­to­rale pro­gres­si­sta di Como, nella sua adu­nanza di ieri, [Lu­nedì 22 NdR] elesse a pro­prii can­di­dati: Bram­billa per il 1º Col­le­gio di Como; — Car­cano per il 2º; — Pe­luso per Ap­piano; — Biz­zoz­zero per Va­rese; — Pe­relli per Bri­vio; — Mer­za­rio per Erba; — Polli per Me­nag­gio; — Ado­moli per Ga­vi­rate e Stop­pani per Lecco .

***

Gio­vedì-Ve­nerdì, 26-27 ot­to­bre 1876  // Il Se­colo – Gaz­zetta di Milano

Lecco. — A ret­ti­fica di una no­ti­zia, che l’altro giorno ab­biamo tolto dalla Lom­bar­dia, dob­biamo di­chia­rare che l’Associazione Pro­gres­si­sta di Como ap­pog­gia a Lecco la can­di­da­tura dell’avv. Er­ne­sto Pozzi, e non quella del pro­fes­sore E.[sic!] Stop­pani. Il Pozzi fu eletto non ha guari Con­si­gliere pro­vin­ciale del man­da­mento di Lecco, e se rac­co­gliesse la mag­gio­ranza dei voti di quel Col­le­gio, noi sa­remmo i primi a ral­le­grar­cene. Ciò che frat­tanto più im­porta è che pro­gres­si­sti e de­mo­cra­tici s’intendano a riu­nione i loro voti so­pra un sol can­di­dato, men­tre l’averne tre of­fre troppo buon giuoco al can­di­dato del par­tito ca­duto, il Villa Pernice.

***

Ve­nerdì 27 ot­to­bre 1876  // L’Osservatore Cat­to­lico
Cor­ri­spon­denze Particolari

Lecco, 26 Ott. 1876

«Ad onta che il Sac. Prof. An­to­nio Stop­pani ab­bia in Lecco molte ade­sioni, e per­so­nali e per mezzo de’ suoi fra­telli, è co­stretto a ve­dersi po­sto in di­sparte dai pro­gres­si­sti.
 Aveva fatto senso spia­ce­vo­lis­simo il ve­dere il geo­logo per­dere la sua gra­vità e la di­gnità di scien­ziato e di Sa­cer­dote, pro­po­nen­dosi can­di­dato pro­gres­si­sta, e ac­cet­tando così e ap­pro­vando le in­fa­mie del Ni­co­tera; ma non fa meno senso il tro­vare lo Stop­pani in mezzo a tre fuo­chi.
 L’uno di­ret­to­gli dai mo­de­rati, i quali qui e sulla Per­se­ve­ranza gli die­dero una se­vera le­zione; l’altro dai pro­gres­si­sti che gen­til­mente lo mi­sero alla porta, e gli pre­po­sero l’avvocato Er­ne­sto Pozzi; l’altro dai cat­to­lici che de­plo­rano la con­dotta dell’ecclesiastico

A Dio spia­cente ed ai ne­mici sui.

Brutto ca­stigo! Il Bu­cel­lati ha un nuovo tipo da in­tro­durre nel suo po­ve­rello di ro­manzo; ro­manzo che ha per ti­tolo Al­lu­ci­nato, ma non spiega bene in prin­ci­pio se sia al­lu­ci­nato l’autore o il pro­ta­go­ni­sta; il che però ap­pare evi­dente dopo fat­tane let­tura; al­lu­ci­nato è l’autore.»

Do­me­nica 29 ot­to­bre 1876 — Da Stop­pani a don Maggioni

Mi­lano, 29 Ott. 1876

Ca­riss. amico
La tua buona let­tera as­sen­na­tis­sima e cor­dia­lis­sima mi trova qui a Mi­lano quasi in esi­glio, ve­nu­toci da ieri, [sa­bato 28] dopo aver ri­nun­ciato alla mia can­di­da­tura. Tu già ca­pi­sci il re­sto. Ho co­no­sciuto un pezzo di mondo di più; ma an­che que­sto pezzo l’ho tro­vato as­sai brutto e gan­gre­noso. Del re­sto ci sa­rebbe da scri­vere un vo­lume. Lo fa­remo a chiac­chere; quando ver­rai a tro­varmi. Sono tran­quil­lis­simo, non avendo nulla da rim­pro­ve­rarmi in tutto que­sto scom­pi­glio. Addio.

Aff. An­to­nio Stoppani

Gio­vedì-Ve­nerdì, 2-3 no­vem­bre 1876  // Il Se­colo – Gaz­zetta di Milano

IL SECOLO  ap­pog­gia i se­guenti can­di­dati:
[…]
Pro­vin­cia di Como
Lecco — E. Pozzi.

***

Gio­vedì 2 no­vem­bre 1876  // L’Adda
Ecco il ma­ni­fe­sto giunto da Como:

Agli Elet­tori del Col­le­gio di Lecco!
Como, li 28 ot­to­bre 1876.

L’associazione pro­gres­si­sta e la so­cietà de­mo­cra­tica di que­sta città, in al­tra delle pub­bli­che ge­ne­rali as­sem­blee te­nute, per la scelta dei can­di­dati ai col­legi del cir­con­da­rio, ri­ce­veva in­ca­rico da­gli elet­tori pre­senti di rac­co­man­dare la can­di­da­tura del mag­giore av­vo­cato Er­ne­sto Pozzi al col­le­gio di Lecco.
 L’essere il Pozzi cre­sciuto nelle aure sa­lu­bri di quel di Lecco — l’essere stato re­cen­te­mente eletto alla rap­pre­sen­tanza nel con­si­glio pro­vin­ciale e l’aver .rac­colto già buon nu­mero di voti nelle ul­time ele­zioni po­li­ti­che in con­fronto del can­di­dato di de­stra, ancor’oggi suo com­pe­ti­tore, di­spen­sano dal tes­serne il me­ri­tato elo­gio per­so­nale.
 Se vi fu tempo e ne­ces­sità di con­cor­dia fra pa­trioti li­be­rali e vo­lenti il be­nes­sere am­mi­ni­stra­tivo ed eco­no­mico del no­stro paese, egli è que­sto: la di­vi­sione e la di­scor­dia fra quanti non vo­gliono ri­tor­nare al go­verno dei de­stri, di fronte al la­voro di­sci­pli­nato e pres­sante de­gli av­ver­sari, non può che darci scon­fitta.
 Rac­co­man­dando agli elet­tori pro­gres­si­sti il nome dell’avv. Er­ne­sto Pozzi, noi sap­piamo di far omag­gio ai di­stinti me­riti pa­triot­tici, come let­te­rato e come sol­dato, che lo di­stin­guono — di far omag­gio alle sue belle doti di cuore e di mente, al suo ca­rat­tere leale, franco, pro­vato fra i pe­ri­coli delle bat­ta­glie e nell’arringo am­mi­ni­stra­tivo e le­gale.
 Il nome dell’avv. Pozzi noi lo rac­co­man­diamo come arra di con­cor­dia, in­di­spen­sa­bile alla fi­nale vit­to­ria, sul can­di­dato di de­stra e su­gli al­tri, non meno pe­ri­co­losi, di in­certa sinistra.

Pel Co­mi­tato dell’associazione pro­gres­si­sta in Como
Avv. Luigi Maz­zu­chelli — lng. Pie­tro Li­moni — Fe­lice Mon­delli — An­gelo Ru­spini — lng. Giu­seppe Ca­sar­telli — lng. Fran­chi Giuseppe.

Pel Co­mi­tato dell’associazione de­mo­cra­tica Co­mense
Dott. Gil­berto Scotti — Ing. Leone Bel­tra­mini — Cor­bella Cle­mente — Avv. Vin­cenzo Man­zini — Sca­la­brini Prof. — Co­duri Bar­to­lo­meo — Osti­nelli Eugenio.

***

Sa­bato 4 no­vem­bre 1876  // L’Osservatore Cattolico

Ab­biamo da Valsassina:

«Il ri­tiro della can­di­da­tura da parte dello Stop­pani ha re­cato sor­presa molto sa­lu­tare in molti sa­cer­doti i quali nella no­stra valle si ap­pre­stano scia­gu­ra­ta­mente a dare il loro voto. Spero che non po­chi ri­sta­ranno dal loro cat­tivo pro­po­sito. Or­mai non è que­stione di li­be­ra­li­smo, ma di di­gnità.
 Si è no­tato con pia­cere la coin­ci­denza della ve­nuta di Sua Ec­cel­lenza l’Arcivescovo dal Rev​.mo Pre­vo­sto di Lecco, e la ri­nun­zia av­ve­nuta dopo cin­que, o sei giorni della can­di­da­tura da parte dello Stop­pani. Que­sta coin­ci­denza che non può es­sere for­tuita deve il­lu­mi­nare il clero ad at­te­nersi alla asten­sione ed a pro­muo­verla, si­curo di far cosa gra­dita all’autorità costituita.»

***

Da que­sta car­rel­lata di pic­cola cro­naca elet­to­rale non ri­sulta un gran­ché circa le ra­gioni per cui l’As­so­cia­zione pro­gres­si­sta di Como (l’organizzazione della Si­ni­stra go­ver­na­tiva sotto la cui com­pe­tenza ri­ca­de­vano le ele­zioni di Lecco) sa­bato 28 ot­to­bre si ac­cordò con l’As­so­cia­zione de­mo­cra­tica per to­gliere l’appoggio al pro­prio can­di­dato uf­fi­ciale Stop­pani per fa­vo­rire in­vece il can­di­dato ra­di­cale E. Pozzi, chia­ra­mente il meno quo­tato per ri­sul­tare vin­ci­tore (e in­fatti una volta ri­ti­ra­tosi Stop­pani, Pozzi venne bat­tuto so­no­ra­mente dall’altro can­di­dato della Si­ni­stra, Mar­telli, da tutti pre­sen­tato come un in­fil­trato della De­stra: un qua­dro non pro­prio chiaro a comprendersi).

L’unico ele­mento con un mi­nimo di at­ten­di­bi­lità po­trebbe es­sere dato da quella pic­cola no­ta­zione de “La Per­se­ve­ranza” del 21 ot­to­bre che ab­biamo ri­por­tato pro­prio al primo po­sto di que­sta “cro­naca”.
La ri­pren­diamo: «La can­di­da­tura dell’abate Stop­pani ha per­duto molto ter­reno in que­sti giorni, mas­sime dopo che, in una riu­nione di preti, [te­nu­tasi in Val­sas­sina, NdR] venne de­ciso di so­ste­nerne la can­di­da­tura per avere un rap­pre­sen­tante del Clero in Parlamento».

Te­nuto conto che in Val­sas­sina l’Abate An­to­nio Stop­pani po­teva con­tare su una va­sta rete di pre­sbi­teri di ten­denza ro­smi­niana, ef­fet­ti­va­mente una af­fer­ma­zione di Stop­pani avrebbe por­tato in Par­la­mento una te­ma­tica del tutto nuova, con pos­si­bili va­ste ri­per­cus­sioni su tutta una se­rie di dos­sier, in pri­mis nell’impostare in forme del tutto nuove il pro­blema del rap­porto tra Stato e Va­ti­cano. Cosa che po­teva pia­cere poco a tanti.

Po­trebbe suo­nare come una con­ferma della va­li­dità di que­sta pi­sta, la no­ta­zione di Don Al­ber­ta­rio del 4 no­vem­bre con la quale l’oltranzista del Va­ti­cano te­neva a stim­ma­tiz­zare quei preti della Val­sas­sina che avreb­bero pun­tato su Stop­pani per avere un rap­pre­sen­tante in Parlamento.

A pro­po­sito di quella nota di Don Al­ber­ta­rio è in­vece da re­spin­gere l’insinuazione che Stop­pani avesse ri­nun­ciato alla can­di­da­tura dopo il suo in­con­tro, av­ve­nuto il 25 ot­to­bre presso la Ca­no­nica di Lecco, con l’Arcivescovo di Mi­lano Luigi Na­zari di Ca­la­biana: se­condo Don Al­ber­ta­rio sa­rebbe stato l’Arcivescovo a pre­mere su Stop­pani per­ché si ritirasse.

In realtà sap­piamo dalla let­tera di Stop­pani a Mag­gioni (scritta il 25 ot­to­bre pro­prio al ter­mine dell’incontro tra Stop­pani e l’Arcivescovo) che Ca­la­biana si mo­strò in­vece molto mor­bido sulla que­stione.
E non a caso: Lei ri­cor­derà, Si­gnor Sin­daco, che il “Il ma­ni­fe­sto elet­to­rale” della “Sa­cra Pe­ni­ten­zie­ria” del 26 set­tem­bre, con cui si dava via li­bera alla par­te­ci­pa­zione dei cat­to­lici alle ele­zioni del 1876, era stato sol­le­ci­tato e in­viato in as­so­luta an­te­prima an­che all’Arcivescovo Calabiana.

Quando il pre­lato in­con­trò Stop­pani il 25 ot­to­bre non aveva quindi al­cun mo­tivo per pre­mere su Stop­pani per­ché si ri­ti­rasse. Ciò a pre­scin­dere dalla sto­ria e dalle idee di Mon­si­gnor Ca­la­biana, noto da vent’anni per l’impegno di­retto in po­li­tica, prima nel Re­gno di Sar­de­gna, poi nel nuovo Re­gno d’Italia di cui era an­che Se­na­tore: non era pro­prio l’uomo da dire al­cun­ché con­tro la par­te­ci­pa­zione di Stop­pani alle elezioni.

Ma è tempo di con­clu­dere que­sto ca­pi­tolo in cui ab­biamo fo­ca­liz­zato al­cuni im­por­tanti ele­menti di ca­rat­tere ge­ne­rale ma che la­scia an­cora qual­che ne­bu­lo­sità sulle re­la­zioni tra le com­po­nenti della Si­ni­stra che por­ta­rono Stop­pani alla ri­nun­cia: com­pito per i pros­simi mesi sarà di an­dare a sca­vare tra la do­cu­men­ta­zione elet­to­rale di quel 1876 per cer­care di avere il qua­dro chiaro di tutta la vicenda.

Ri­te­niamo co­mun­que, Si­gnor Sin­daco, di avere con suf­fi­cienti ar­go­menti mo­strato l’assurdità di quanto da Lei detto circa l’impegno elet­to­rale di Stop­pani come “pro­vo­ca­zione” con­tro il non-ex­pe­dit, ecc. ecc. ecc.

Dalle Sue pa­role, caro Sin­daco, il let­tore trae la con­vin­zione che al mo­mento della na­scita di An­to­nio Stop­pani (15 ago­sto 1824) quella parte di Lecco si chia­masse Piazza XX Set­tem­bre, il che ov­via­mente non è.
 La de­no­mi­na­zione XX Set­tem­bre è stata po­sta nel 1895, a com­me­mo­rare l’entrata in Roma dei ber­sa­glieri del Ge­ne­rale Co­senz, at­tra­verso la brec­cia di Porta Pia, il 20 set­tem­bre 1870.
 Prima del 1895 quell’ambiente ur­bano si chia­mava “Piazza Mercato”.

Non è solo un pro­blema di chia­rezza sulla sto­ria della no­stra Ita­lia con­tem­po­ra­nea o di no­men­cla­tura ur­ba­ni­stica quanto di con­sa­pe­vo­lezza dell’ambiente in cui si formò il fu­turo geo­logo: la casa na­tale di Stop­pani era in­fatti una delle bot­te­ghe più at­tive di tutta Lecco e pro­ba­bil­mente dell’intero La­rio.
 I ge­ni­tori di An­to­nio, Lu­cia Pe­co­roni e il ma­rito Gio­vanni Ma­ria, erano in­fatti ti­to­lari di una fio­rente at­ti­vità com­mer­ciale che fun­zio­nava alla grande pro­prio nei giorni in cui si ra­du­na­vano ai mar­gini della Piazza del Mer­cato (nella at­tuale Piazza Cer­me­nati, al­lora te­nuta a prato e de­gra­dante sul lago) gli ar­ti­giani lo­cali per ven­dere le mi­nu­te­rie me­tal­li­che in cui era spe­cia­liz­zata Lecco (filo di ferro, chiodi, ecc.) e ani­mali da carne.  Ma erano an­che ti­to­lari di un la­bo­ra­to­rio per la pro­du­zione di can­dele, di cera e di sego, adia­cente ala ne­go­zio. È ov­vio come quell’ambiente pro­dut­tivo e com­mer­ciale si do­vesse im­pri­mere nella fan­ta­sia del pic­colo An­to­nio e fosse un ele­mento psi­co­lo­gico del suo in­te­resse ai pro­blemi della il­lu­mi­na­zione che egli scelse di ri­sol­vere so­sti­tuendo a cera e sego i pro­dotti della raf­fi­na­zione dei pe­troli — un tema cui de­dicò no­te­voli ri­sorse in­tel­let­tuali e or­ga­niz­za­tive nella sua at­ti­vità scien­ti­fica e an­che im­pren­di­to­riale e che ne fece il pio­niere in as­so­luto della ri­cerca pe­tro­li­fera in Italia.

Ha perso una buona oc­ca­sione, caro Sin­daco, per ri­cor­dare, so­prat­tutto ai più gio­vani e an­che im­pie­gando po­chis­sime pa­role, un pezzo di sto­ria della città, come era quando An­to­nio Stop­pani co­min­ciò la sua av­ven­tura di vita (e quando Lecco an­cora non po­teva de­fi­nirsi “città”) e an­che per ri­cor­dare un aspetto della sua at­ti­vità scientifica.

Proposizione 10

Il Sindaco di Lecco Gattinoni tace sulla collocazione sociale della famiglia di Stoppani nella Lecco del 1824 nonché sulla importante presenza nella sua vita di ben sette fratelli e due sorelle.

Pone in modo ambiguo il rapporto tra il padre e la madre del Nostro, “… avuto con Giovanni Maria Stoppani”.

« …è un grande onore, e per certi versi un do­vere es­sere qui que­sta mat­tina a ce­le­brare il bi­cen­te­na­rio della na­scita di uno dei no­stri più il­lu­stri con­cit­ta­dini, An­to­nio Stop­pani, che pro­prio in que­sta casa ve­deva la luce, nel cuore di Lecco, nella cen­tra­lis­sima Piazza XX Set­tem­bre …
… im­ma­gi­niamo quindi che al piano su­pe­riore, in una stanza, due­cento anni fa come oggi, una mamma (Lu­cia Pe­co­roni) te­neva in brac­cio il pic­colo An­to­nio (avuto con Gio­vanni Ma­ria Stoppani)»

Si­gnor Sin­daco, dalle Sue pa­role il let­tore è ine­vi­ta­bil­mente in­dotto a ri­te­nere che tra Lu­cia Pe­co­roni e Gio­vanni Ma­ria Stop­pani vi fosse un rap­porto di li­bero amore, che cioè Lu­cia fosse una sin­gle (per usare il lin­guag­gio di oggi) che avesse con­ce­pito l’Antonio con Gio­vanni Ma­ria, il quale aveva ri­co­no­sciuto il pic­colo.
 E non in­vece che il ci­tato Gio­vanni Ma­ria fosse dal 28 no­vem­bre 1818 il co­niuge di Lu­cia Pe­co­roni con il quale aveva già dato alla luce tre ma­schietti e una fem­mi­nuc­cia, pur­troppo morta alla nascita.

Pen­siamo che que­sto Le sia sfug­gito per di­stra­zione ma è da no­tare che nes­suno di quanti hanno scritto o letto il di­scorso prima che Lei lo pro­nun­ciasse, si sia ac­corto di que­sta am­bi­guità.
 La quale ci sem­bra non solo in­di­zio di su­per­fi­cia­lità nella ste­sura di do­cu­menti uf­fi­ciali del Co­mune (tale è il Suo di­scorso, Sin­daco) ma an­che di igno­ranza e in­con­sa­pe­vo­lezza del con­te­sto so­ciale in cui nac­que e visse l’Abate Stoppani.

Nella targa che Lei ha ap­po­sto su quella casa, di quei ge­ni­tori non è detto nep­pure il nome. Il che, nel caso del No­stro, è una grave omis­sione sto­rica per­ché quei ge­ni­tori (en­trambi in modo si­gni­fi­ca­tivo, sep­pure di­verso) fu­rono de­ter­mi­nanti per le ca­rat­te­ri­sti­che, la fi­sio­no­mia e le scelte di vita di Stop­pani: in que­sto caso pos­siamo dire si­cu­ra­mente che senza “quei” ge­ni­tori l’Abate Stop­pani sa­rebbe stato al­tro da quello che conosciamo.

Nel Suo di­scorso, dei ge­ni­tori Lei ha ri­cor­dato solo il nome: con lo stesso nu­mero di pa­role di quelle de­di­cate alla “dolce mu­sica – ninna nanna” Lei po­teva su­sci­tare qual­che più utile sug­ge­stione in chi la ascol­tava (e che la legge) sia per la fi­sio­no­mia dei ge­ni­tori e dei fra­telli di An­to­nio sia per la col­lo­ca­zione so­ciale della fa­mi­glia di Stop­pani — due aspetti im­por­tan­tis­simi per com­pren­dere il senso e la tra­iet­to­ria della sua vita.

La posizione della famiglia Stoppani nella Lecco del 1824

«… ve­deva la luce, nel cuore di Lecco, nella cen­tra­lis­sima Piazza XX Settembre»

Dalle Sue pa­role, Si­gnor Sin­daco, il let­tore trae la con­vin­zione che al mo­mento della na­scita di An­to­nio Stop­pani (15 ago­sto 1824) quella parte di Lecco in cui Lei svol­geva il Suo di­scorso, si chia­masse “Piazza XX Set­tem­bre”, il che ov­via­mente non è.

La de­no­mi­na­zione “XX Set­tem­bre” è stata po­sta nel 1895, a com­me­mo­rare l’entrata in Roma dei ber­sa­glieri del Ge­ne­rale Co­senz, at­tra­verso la brec­cia di Porta Pia, il 20 set­tem­bre 1870.
Prima del 1895 quell’ambiente ur­bano si chia­mava “Piazza Mercato”.

Non è solo un pro­blema di chia­rezza sulla sto­ria della no­stra Ita­lia con­tem­po­ra­nea o di no­men­cla­tura ur­ba­ni­stica quanto di con­sa­pe­vo­lezza dell’ambiente in cui si formò il fu­turo geo­logo: la casa na­tale di Stop­pani era in­fatti uno dei ne­gozi di co­lo­niali più at­tivi di tutta Lecco e pro­ba­bil­mente dell’intero Lario.

Ta­cendo di que­sto aspetto della vita di Stop­pani Lei ha perso una ot­tima oc­ca­sione per sep­pel­lire de­fi­ni­ti­va­mente una vul­gata pie­ti­stica che vuole ve­dere la fa­mi­glia di Stop­pani come di mo­de­sta estra­zione so­ciale e di ri­dotte pos­si­bi­lità eco­no­mi­che. Così ri­dotte da do­vere man­dare in Se­mi­na­rio ben cin­que de­gli otto fi­gli ma­schi per dare loro una certa pre­pa­ra­zione cul­tu­rale.
Le cose non sta­vano af­fatto in que­sti ter­mini! Que­sta è una rap­pre­sen­ta­zione del tutto falsa della realtà di quella famiglia.

La fa­mi­glia di Stop­pani era di fa­col­tosi com­mer­cianti, im­pe­gnati in prima per­sona in un la­voro quo­ti­diano an­che fa­ti­coso ma con no­te­voli ri­torni eco­no­mici. E la loro con­di­zione so­ciale li col­lo­cava tra le prime fa­mi­glie della non an­cora città.

I ge­ni­tori di An­to­nio, Lu­cia Pe­co­roni e il ma­rito Gio­vanni Ma­ria, erano ti­to­lari di una fio­rente at­ti­vità com­mer­ciale che fun­zio­nava alla grande pro­prio nei giorni in cui si ra­du­na­vano ai mar­gini di Piazza Mer­cato (nella at­tuale Piazza Cer­me­nati, al­lora te­nuta a prato e de­gra­dante sul lago) gli ar­ti­giani lo­cali per ven­dere le mi­nu­te­rie me­tal­li­che in cui era spe­cia­liz­zata Lecco (filo di ferro, chiodi, ecc.) e ani­mali da carne.
Ma erano an­che ti­to­lari di due la­bo­ra­tori molto av­viati: uno per la pro­du­zione del cioc­co­lato, l’altro per la pro­du­zione di can­dele (di cera e di sego) quest’ultimo fonte an­che di qual­che dis­sa­pore con i vi­cini (ri­solto con cor­posi in­den­nizzi monetari).

È in­tui­tivo come quell’ambiente pro­dut­tivo e com­mer­ciale do­vesse im­pri­mersi nella fan­ta­sia del pic­colo An­to­nio e ab­bia co­sti­tuito un ele­mento di ca­rat­tere emo­tivo nell’interesse che egli pose ai pro­blemi della il­lu­mi­na­zione, ov­via­mente im­por­tan­tis­simi non solo per la vita quo­ti­diana ma so­prat­tutto per le at­ti­vità produttive.

Ap­pena ne­gli USA si co­min­ciò (siamo nel 1860) a uti­liz­zare in modo esten­sivo i raf­fi­nati del greg­gio, Stop­pani ne colse im­me­dia­ta­mente le po­ten­zia­lità ri­vo­lu­zio­na­rie e pensò bene di de­di­carsi alla ri­cerca del pe­tro­lio in Ita­lia, un tema cui de­dicò no­te­voli ri­sorse in­tel­let­tuali e or­ga­niz­za­tive nella sua at­ti­vità scien­ti­fica e an­che im­pren­di­to­riale e che ne fece il pio­niere in as­so­luto della ri­cerca pe­tro­li­fera in Italia.

La spiccata religiosità.

«… te­neva in brac­cio il pic­colo An­to­nio (avuto con Gio­vanni Ma­ria Stoppani)»

La ine­vi­ta­bil­mente am­bi­gua espres­sione da Lei usata per in­di­care il rap­porto tra la Ma­dre Lu­cia e il pa­dre Gio­vanni Ma­ria Stop­pani, il non ri­cor­dare cioè che Gio­vanni Ma­ria non era solo il “com­pa­gno” di Lu­cia ma an­che il suo co­niuge, im­plica da parte Sua, Si­gnor Sin­daco, la più evi­dente in­con­sa­pe­vo­lezza della fi­sio­no­mia ideo­lo­gica dei due co­niugi, ge­ni­tori di An­to­nio Stoppani.

Come Lei certo sa per un cat­to­lico il ma­tri­mo­nio non è solo il ri­co­no­sci­mento e la de­fi­ni­zione so­ciale di un le­game di cop­pia, con tutte le de­ter­mi­na­zioni che ne de­ri­vano sotto ogni pro­filo giu­ri­dico, ma è so­prat­tutto “la via per la san­ti­fi­ca­zione”.

Ab­biamo come dato in­con­tro­ver­ti­bile che i due co­niugi Stop­pani, Lu­cia e Gio­vanni Ma­ria, fos­sero par­ti­co­lar­mente re­li­giosi e che la loro ap­par­te­nenza alla co­mu­nità cat­to­lica fosse un ele­mento co­stante e de­ter­mi­nante per le loro scelte esistenziali.

Cin­que de­gli otto ma­schi fi­gli dei due co­niugi ven­nero man­dati in Se­mi­na­rio (e quat­tro di que­sti pre­sero gli or­dini) non per­ché in que­sto modo la fa­mi­glia avrebbe ri­spar­miato sulle spese di istru­zione (dato molto dif­fuso al­lora, na­tu­ral­mente) ma per­ché i ge­ni­tori di Stop­pani erano non solo molto re­li­giosi ma erano so­prat­tutto con­vinti della fun­zione in­di­spen­sa­bile dei pre­sbi­teri per il be­nes­sere della col­let­ti­vità.
Su que­sto aspetto ideo­lo­gico, for­te­mente pre­sente nel ter­ri­to­rio la­riano e della Val­tel­lina, sarà ne­ces­sa­rio con­durre uno stu­dio ap­pro­fon­dito. Ma in­tanto è op­por­tuno — per una vi­sione rea­li­stica (e quindi utile) della vi­cenda di Stop­pani ri­mar­care que­sto ele­mento strut­tu­rale della cul­tura dei suoi due genitori.

La madre Lucia.

Lu­cia Pe­co­roni non fu solo la ge­ne­ra­trice e prima edu­ca­trice del No­stro, dan­do­gli in dote la sen­si­bi­lità ar­ti­stico-mu­si­cale (Lu­cia co­no­sceva la mu­sica e suo­nava bene il pia­no­forte — chia­mia­molo così per sem­pli­cità) e la fa­con­dia nel par­lare (Lu­cia ap­prez­zava la no­stra let­te­ra­tura e re­citò in rap­pre­sen­ta­zioni tea­trali che le fa­mi­glie bor­ghesi di Lecco or­ga­niz­za­vano per in­trat­te­ni­mento ami­cale), ma an­che la por­ta­trice di una im­por­tante rete di re­la­zioni so­ciali di ri­le­vante li­vello cul­tu­rale e po­li­tico, aperta nei sen­ti­menti non­ché de­mo­cra­tica ne­gli orien­ta­menti ideo­lo­gici e culturali.

Pie­tro Pe­co­roni, pa­dre di Lu­cia, fu pa­triota nella fase del primo Na­po­leone e subì la ga­lera per 11 mesi du­rante il breve ri­torno de­gli Au­striaci nel 1799. Poi, nella fase na­po­leo­nica, fu an­che im­pren­di­tore di suc­cesso nella tes­si­tura, con­sen­tendo alla fi­glia di met­tersi, alla pari col ma­rito Gio­vanni Ma­ria, in una at­ti­vità pro­dut­tiva e com­mer­ciale, certo im­pe­gna­tiva e an­che fa­ti­cosa, ma di soddisfazione.

La ma­dre di Lu­cia (Ma­ria Lu­cia — un pa­stic­cio que­sti nomi ri­cor­renti) era in­vece fi­glia di Giu­seppe Ar­ri­goni (fa­mi­glia molto ben piaz­zata nella Lecco di al­lora).
Que­sto Giu­seppe Ar­ri­goni (bi­snonno quindi dell’Abate) era fra­tello di Gio­vanna, la quale era bi­snonna del noto An­to­nio Ghi­slan­zoni, let­te­rato e au­tore di tanti li­bretti d’opera di suc­cesso, tra i quali quello dell’Aida di Verdi.
I due An­to­nio erano quindi coe­ta­nei ma an­che cu­gini di terzo grado. Ben­ché lon­tani ideo­lo­gi­ca­mente, Ghi­slan­zoni fu al fianco del cu­gino nella ere­zione del mo­nu­mento a Man­zoni in Lecco, cosa sem­pre igno­rata dall’Amministrazione lecchese.

Un’altra so­rella di Giu­seppe Ar­ri­goni era Ma­rianna, la quale sposò il molto ap­prez­zato no­taio av­vo­cato Fran­ce­sco Ti­cozzi, a sua volta ac­ceso pa­triota anti au­striaco, Pre­fetto na­po­leo­nico e Croce di Ferro.
Tra l’altro no­taio di fi­du­cia della fa­mi­glia Man­zoni (fu lui a sten­dere il te­sta­mento di Pie­tro con cui il fi­glio Ales­san­dro era in­di­cato come suo unico erede e nel quale vi è uno spi­ri­toso ri­fe­ri­mento a quella tal que­stione dei “man­canti te­sti­coli del co­niuge” per mezzo della quale la mo­glie Giu­lia aveva po­tuto le­gal­mente se­pa­rarsi per fare cop­pia con il ric­chis­simo Imbonati).

Il quale no­taio-Pre­fetto Fran­ce­sco Ti­cozzi era fra­tello di Ste­fano, già prete di San Gio­vanni alla Ca­sta­gna in Lecco; poi spre­ta­tosi con la ri­vo­lu­zione fran­cese; poi anch’egli alto fun­zio­na­rio di Na­po­leone I; poi pro­li­fico e ori­gi­nale cri­tico d’arte (a lui si de­vono i primi studi di con­ce­zione mo­derna su al­cune fi­gure api­cali della no­stra pit­tura quali Ti­ziano Ve­cel­lio di Pieve di Ca­dore) e tra­dut­tore di im­por­tanti opere, come quella “Sto­ria delle re­pub­bli­che ita­liane del Me­dio Evo” di Si­smondi, a cri­tica della quale Ales­san­dro Man­zoni scrisse il suo “Os­ser­va­zioni sulla mo­rale cattolica”.

Come si vede, da parte di ma­dre, una ben ricca dote di pa­ren­tele, di san­gue o ac­qui­site, e di re­la­zioni in­tel­let­tuali per il fu­turo prete-geo­logo, il 15 ago­sto afa­si­ca­mente ce­le­brato dal Sin­daco della sua città.

Se al Co­mune di Lecco non si ha di­me­sti­chezza con gli al­beri ge­nea­lo­gici della città sug­ge­riamo a tutti i fun­zio­nari di farsi fare un corso ac­ce­le­rato da un loro con­cit­ta­dino, certo a loro noto. Il quale, ol­tre a es­sere va­li­dis­simo in­ge­gnere, è an­che pro­fondo co­no­sci­tore della sto­ria della città per le cui fa­mi­glie più in­fluenti nel pas­sato più o meno re­cente ha pub­bli­cato una scaf­fa­lata di ot­timi studi (è solo gra­zie ai suoi scritti che siamo riu­sciti a di­stri­carci nel pre­sen­tare come cu­gini Stop­pani e Ghi­slan­zoni). Le fi­gure cui ri­vol­gersi per non fare la parte de­gli sper­duti, a Lecco ci sono — ba­sta al­zare un poco lo sguardo dalle scar­pette da corsa montanina.

Il padre Giovanni Maria.

No­no­stante il pa­dre fosse chia­mato “Giua­nin bona gra­zia” per la spon­ta­nea cor­te­sia e ama­bi­lità, dal ge­ni­tore il pic­colo An­to­nio, a causa del pro­prio ca­rat­tere vi­vace (e a volte ec­ces­si­va­mente bur­lone), prese la sua parte di ca­sti­ghi, come si usava a quei tempi, con uno staf­file usato con pe­ri­zia sulle na­ti­che del fu­turo teo­logo-geo­logo (lo stesso Abate da adulto ri­co­no­sceva di es­sersi spesso am­pia­mente me­ri­tati quei sen­si­bili rab­buffi pa­terni).
Ma, molto op­por­tu­na­mente, fu que­sto stesso pa­dre che, a metà de­gli anni ’50 del loro se­colo, con­sentì all’Antonio di im­boc­care dopo il 1855 la via della geo­lo­gia con un ge­ne­roso pre­stito (poi con­ver­tito in dono) di 80.000 Euro equivalenti. 

Strada ob­bli­gata per lo Stop­pani que­sta della geo­lo­gia, in quanto, es­sendo dal 1848 pro­fes­sore di gram­ma­tica la­tina al Se­mi­na­rio Ar­ci­ve­sco­vile di S. Pie­tro Mar­tire di Se­veso, nel 1853 (nel 1853, ri­pe­tiamo), se­gna­lato da­gli au­striaci per es­sere di “prin­cipj li­be­rali” ed es­sere “poco cauto nei di­scorsi”, fu, con al­tri 19 col­le­ghi, li­cen­ziato, con di­vieto di in­se­gnare in qual­si­vo­glia scuola del Re­gno Lombardo-Veneto

Dal pa­dre, An­to­nio prese an­che una se­rie di rap­porti fa­mi­liari che, seb­bene di­la­vati dal tempo, gli ven­nero buoni in quel già ci­tato 1853 quando, nel pieno della fe­roce rea­zione au­striaca alla ten­tata in­sur­re­zione maz­zi­niana di Mi­lano del feb­braio, i no­bili Porro (im­pa­ren­tati alla lon­tana con gli Stop­pani) lo pre­sero sotto la loro pro­te­zione, al­lo­can­dolo nel loro pa­lazzo di Como e fa­cen­dolo isti­tu­tore dei loro pic­coli fi­gli, in at­tesa che si cal­mas­sero le ac­que della politica.

Sulle ori­gini no­bi­liari de­gli Stop­pani, l’Abate (forse pen­sando a even­tuali ri­valse pa­tri­mo­niali es­sendo sem­pre alla di­sin­te­res­sata cac­cia di quat­trini a pro’ della scienza e per le in­nu­me­re­voli azioni ca­ri­ta­te­voli di cui si fa­ceva ca­rico) fece ri­cer­che ri­sa­lendo al Sei­cento mi­la­nese, in pieno do­mi­nio spa­gnolo (quanto qui di­ciamo è an­ti­ci­pa­zione di uno stu­dio che stiamo svi­lup­pando — il let­tore non se ne avrà quindi a male se non in­di­chiamo le no­stre fonti do­cu­men­ta­rie — che co­mun­que ci sono e ver­ranno quanto prima rese pubbliche).

Nel 1544 emerge un Gio­vanni Bat­ti­sta Stop­pani, De­cu­rione di Como; un suo fi­glio, Ber­nardo, ge­nera un Cri­sto­foro e un An­to­nio; si di­stacca un ramo della fa­mi­glia non più a Como, ma a La­glio e nella Val­sas­sina. E un al­tro An­to­nio si sta­bi­li­sce in Spa­gna, a Ma­drid.
Nel 1619 un Fran­ce­sco Stop­pani è a Mi­lano, cam­bi­sta, ma­ri­tato con Mar­ga­rita de Mar­ga­ri­tis; da que­sto ma­tri­mo­nio na­scono Cri­sto­foro e Carlo Gia­cinto. At­tratti dallo zio vi­vente a Ma­drid, i due ram­polli lo rag­giun­gono. Lì Cri­sto­foro sposa Isa­bella Mar­ti­nez di Ma­drid, se­condo le fa­vole fa­mi­liari fi­glia il­le­git­tima del Re Fi­lippo IV — Fe­lipe el Grande, per il amici “El rey Pla­neta”; torna a Mi­lano dove educa due fi­gli, Fran­ce­sco e Giovanni.

Gli Stop­pani sono or­mai ben piaz­zati, es­sendo Fran­ce­sco di­ve­nuto su­bap­pal­tante della re­gia delle Po­ste dello Stato di cui era ti­to­lare il prin­cipe An­to­nio Teo­doro Tri­vul­zio. An­che se in su­bap­palto era ca­rica di grande lu­cro, con ge­stione di molte cen­ti­naia di fi­gure tra fun­zio­nari, av­vo­cati, con­ta­bili, mi­li­tari, po­li­ziotti, ca­val­lari.
Dopo la morte del Prin­cipe nel 1678 Fran­ce­sco viene fatto Que­store e suc­ces­si­va­mente, nel 1685, Pre­fetto Ge­ne­rale di Sua Mae­stà, di­ve­nendo così “pa­drone delle po­ste” del Du­cato di Mi­lano.
Nel 1716 di­venta mar­chese — ecco le ori­gini no­bi­liari della fa­mi­glia: cam­bio di va­luta, po­ste e cavalli!

Uno dei fi­gli di que­sto mar­chese Fran­ce­sco, fu Gian­fran­ce­sco (poi ri­no­mi­nato Gio­vanni Fran­ce­sco) che sarà Car­di­nale, di­plo­ma­tico di fama e poi, per molti anni, Le­gato Pon­ti­fi­cio a Ur­bino e Pe­scara, mo­rendo nel 1774.
Da qui, pro­ba­bil­mente, at­tra­verso qual­che fa­mi­gliare, as­si­stente dell’illustre pa­rente Car­di­nale, ori­gi­nano gli Stop­pani delle Mar­che, dando in­ne­sco alla fiaba che Re­nilde Stop­pani, ma­dre di Ma­ria Mon­tes­sori, fosse so­rella del no­stro Abate, cosa ov­via­mente non vera e fa­cil­mente di­mo­stra­bile e di­mo­strata — ciò no­no­stante an­che in Lecco c’è an­cora chi con­ti­nua a pro­pa­lare la stu­pida pan­zana che la Mon­tes­sori fosse ni­pote dell’Abate.

Gio­vanni Ma­ria, pa­dre del No­stro, era ram­pollo di un ramo ca­detto di que­sta non lar­ghis­sima fa­mi­glia, ca­duto in di­sgra­zia eco­no­mica che, per cam­pare, aveva do­vuto ri­ti­rarsi a zap­pare avanzi di vec­chie pro­prietà si­gno­rili in quel di Zel­bio, sull’altro ramo del Lago di Como. Il gio­va­nis­simo Gio­vanni Ma­ria era giunto a Lecco a fine ’700, im­pie­gato in una ce­re­ria di cui era pro­prie­ta­rio un Cre­mona le­gato agli Ar­ri­goni Socca e zio di Lu­cia Pe­co­roni, la fu­tura ma­dre del No­stro — da qui il ma­tri­mo­nio e la sua ascesa com­mer­ciale che, gra­zie an­che ai vec­chi ag­ganci fa­mi­liari nel mi­la­nese, gli ave­vano con­sen­tito di spo­sare la so­cial­mente me­glio piaz­zata Lu­cia Pecoroni.

La larga fratellanza.

Per non par­lare dei dieci fra fra­telli e so­relle di cui era parte l’Antonio e su cui è op­por­tuno dire qual­cosa.
Su quel nu­trito gruppo di fra­telli il fu­turo Abate poté in­fatti sem­pre con­tare per le sue azioni so­ciali, cul­tu­rali e po­li­ti­che, tra cui — giova an­ti­ci­parlo — la lunga ge­sta­zione del mo­nu­mento a Man­zoni, inau­gu­rato l’11 ot­to­bre 1891, su cui Lei, caro Sin­daco non ha detto nep­pure una pa­rola: ci pen­siamo noi più avanti.

Dei dieci vis­suti sui quin­dici ge­ne­rati da mamma Lu­cia, otto erano ma­schi e due fem­mine, al­tret­tanto im­por­tanti quanto a so­ste­gno fat­tivo al No­stro.
 La prima, Ma­ria Ga­briele Chiara (del 1827, mo­glie di Zac­ca­ria Cor­ne­lio) i cui due fi­gli, a par­tire dal 1875 fu­rono sem­pre in squa­dra con lo zio: Fran­ce­sca (nota col nome di Cec­china), come au­to­re­vole “di­ret­trice di casa / ama­nuense / se­gre­ta­riona” dell’Abate (da­gli in­timi sot­to­voce no­mi­nata “la Ca­vour”); An­gelo Ma­ria, come ac­com­pa­gna­tore – as­si­stente, au­tore della prima bio­gra­fia dello zio, vi­ziata da ec­ces­sivo quie­ti­smo ec­cle­siale ma co­mun­que an­cora utile, a sa­perla leg­gere.
 
La se­conda so­rella, Lu­cia (detta Cia, del 1835, mo­glie di Pie­tro To­de­schini) psi­co­lo­gi­ca­mente sem­pre molto vi­cina all’Abate, ma­dre di otto fi­gli tra cui il ta­len­toso Gio­vanni, dello zio geo­logo pit­tore e gra­fico uf­fi­ciale, a sua volta ge­ne­ra­tore di ar­ti­sti di buona mano.

Tra i sette ma­schi fra­telli dell’Abate, ci li­mi­tiamo qui a ri­cor­dare i tre preti.

An­giolo Fau­stino (del 1821), bar­na­bita, morto nel ’47 in odore di san­tità, forse per le ec­ces­sive prove pe­ni­ten­ziali cui si as­sog­get­tava, ma — pare — di gran­dis­simo ta­lento in­tel­let­tuale e forza mo­rale, ri­ma­sto sem­pre vi­vis­simo nella me­mo­ria dei fra­telli tutti, di si­curo ispi­ra­tore della da tutti ri­co­no­sciuta pro­fonda re­li­gio­sità del fu­turo Abate.

Pie­tro (del 1819) il pri­mo­ge­nito, sa­cer­dote, uomo di tem­pe­ra­mento e di or­ga­niz­za­zione più che di studi.
 Nell’insurrezione del ’48 di Mi­lano, co­rag­gioso ge­store dell’ospedale di for­tuna al­le­stito nella Ba­si­lica di Sant’Ambrogio per i fe­riti nei com­bat­ti­menti e pe­ri­glioso di­plo­ma­tico (pare che in una trat­ta­tiva con gli au­striaci avesse get­tato per aria il ta­volo della riu­nione, la­sciando al­li­biti gli alti uf­fi­ciali, ne­mici ma in quel mo­mento par­la­men­tari — ma può es­sere leg­genda a in­di­care il suo tem­pe­ra­mento).
 
Ne­gli anni ’60 Se­gre­ta­rio della So­cietà dei con­ci­lia­to­ri­sti mi­la­nesi, la strut­tura che ga­rantì l’appoggio del clero mi­la­nese al nuovo Re­gno d’Italia nel marzo 1861. Dal 1874, Pre­vo­sto della Ba­si­lica di Santa Ma­ria della Pas­sione, la prin­ci­pale chiesa della città di Milano.

Carlo (del 1837), anch’egli geo­logo, in­se­gnante di scienze na­tu­rali in Isti­tuti in Lu­ni­giana e a Noto, in Si­ci­lia. È fi­gura poco ri­cor­data ma non do­veva es­sere un me­dio­cre. Scrisse ar­ti­coli su ri­vi­ste a cui col­la­bo­rava il più noto fra­tello; da “Il Bel Paese” sap­piamo che scrisse un trat­tato sui marmi di Car­rara non pub­bli­cato per­ché bru­ciato sul tempo da uno stu­dio ana­logo (ci­tato da Stop­pani).
 Carlo, anch’egli pa­triota e di orien­ta­mento de­mo­cra­tico, firmò nel 1862 con i due fra­telli Pie­tro e An­to­nio la pe­ti­zione Pas­sa­glia (modo in­fal­li­bile per fi­nire nel qua­derno nero della ge­rar­chia ec­cle­sia­stica).
 Era pro­ba­bil­mente di tem­pe­ra­mento non pro­prio ac­con­di­scen­dente e forse sof­frì della on­ni­pre­senza del fra­tello mag­giore, ine­vi­ta­bil­mente sem­pre il primo in ogni am­bito in cui po­te­vano in­cro­ciarsi. Morì in Si­ci­lia, lon­tano dalla fa­mi­glia, e di lui è ri­ma­sto ot­timo ri­cordo ne­gli isti­tuti in cui in­se­gnò.
 Ha pub­bli­cato
 “Il ra­dio­me­tro di Croo­kes: le­zioni po­po­lari sul ca­lo­rico” e “Pas­seg­giate nei din­torni di Mo­dica”, en­trambi scritti in Si­ci­lia con il col­lega Pie­tro Lancetta.

I due fra­telli sa­cer­doti di An­to­nio Stop­pani, so­prat­tutto nella prima parte della sua vita gli fu­rono di va­li­dis­simo aiuto nelle di­scus­sioni (an­che molto ac­cese e non solo teo­lo­gi­che) con il clero tem­po­ra­li­sta. In molte si­tua­zioni An­to­nio con­tava ve­ra­mente per tre.
 Pro­prio ciò che gli ac­ca­deva in am­bito geo­lo­gico dove (sem­pre nei primi anni di at­ti­vità scien­ti­fica) egli si av­valse del già ci­tato fra­tello Don Carlo e di Gio­vanni Ma­ria (1831, bi­snonno di chi scrive), en­trambi na­tu­ra­li­sti, che gli die­dero certo una mano per il po­si­zio­na­mento all’interno della “So­cietà Ita­liana di Scienze Na­tu­rali” (Gio­vanni Ma­ria ne era so­cio a tutti gli ef­fetti) e nelle sue ri­cer­che sul campo.
 In que­sto am­bito gli fu­rono spesso vi­cini, come as­si­stenti (forse an­che un po’ stra­paz­zati dal più ta­len­toso fra­tello mag­giore) Gio­vanni Ma­ria e il gio­vane Fer­di­nando (1838), l’ultimo della ni­diata (an­che egli av­viato al sa­cer­do­zio ma pre­stis­simo tra­smi­grato allo stato laico).

Non che gli al­tri due fra­telli laici (Giu­seppe e Luigi Ca­millo, en­trambi com­mer­cianti) fos­sero da meno di quelli fin qui ri­cor­dati ma ne par­le­remo in al­tra occasione.

Qui ba­sti a sot­to­li­neare come nel mo­mento della com­me­mo­ra­zione del Bi­cen­te­na­rio di An­to­nio Stop­pani, una qual­che pa­rola in più da parte del Sin­daco su que­sti aspetti della vita del com­me­mo­rato ci sa­reb­bero stati bene — e chi me­glio del Primo cit­ta­dino le do­vrebbe ri­cor­dare que­ste cose, così vi­cine alla vita in­tima della comunità?

An­che qui non ci vuole molto per do­cu­men­tarsi: ba­sta dare un oc­chio alla bi­blio­teca dei Mu­sei cit­ta­dini e non se­dersi sulle fa­vole di que­sto o quel fun­zio­na­rio pi­gro e/o fantasioso.

Bicentenario
dell’Abate Antonio stoppani

targa — osservazioni critiche e proposta alternativa

Anche le targhe hanno una storia.

Come tutto ciò che ci cir­conda, an­che la targa inau­gu­rata il 15 ago­sto 2024 in oc­ca­sione del Bi­cen­te­na­rio della na­scita di An­to­nio Stop­pani ha una sua sto­ria. Sto­ria che ci sem­bra non inu­tile ri­cor­dare prima di en­trare nel vivo delle no­stre os­ser­va­zioni cri­ti­che e avan­zare la no­stra pro­po­sta al­ter­na­tiva di targa — Sì! per­ché ab­biamo una al­ter­na­tiva.
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Dall’Albo Pre­to­rio del Co­mune di Lecco ri­ca­viamo i do­cu­menti re­la­tivi alla targa in questione:

Con data 5 ago­sto 2024 

Pre­ven­tivo della so­cietà For­me­dil snc di Asso (CO) [le evi­den­zia­zioni sono nell’originale]:

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«TARGA INCISA in me­mo­ria di An­to­nio Stop­pani
La­stra in marmo nero lu­cido 40x57x2 cm con in­ci­sione di circa n.170 caratteri

Ad An­to­nio Stop­pani, stu­dioso e di­vul­ga­tore ine­gua­glia­bile delle no­stre bel­lezze na­tu­rali, nel bi­cen­te­na­rio della na­scita, la città di Lecco pose.

Lecco, 15 ago­sto 2024

Il Sin­daco
Mauro Gat­ti­noni

PREZZO € 800,00»
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Evi­den­te­mente qual­cuno del Co­mune, nel ri­chie­dere il pre­ven­tivo di rea­liz­za­zione, aveva an­che in­viato una prima ipo­tesi di testo.

Con data 5 ago­sto 2024

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De­ter­mi­na­zione n. 1127 del 05/08/2024, avente in og­getto: Com­me­mo­ra­zione Bi­cen­te­na­rio della na­scita di An­to­nio Stop­pani – Ac­qui­sto targa com­me­mo­ra­tiva.

Della “De­ter­mi­na­zione” del Di­ri­gente dell’Area 5 [ad in­te­rim, dal 16 aprile 2024, è il Se­gre­ta­rio Ge­ne­rale Dott. Ma­rio Spo­sto — NdR] ri­por­tiamo “Pre­messa” e “De­ci­sione” (no­stre le evidenziazioni):

Pre­messa:
«Tra gli obiet­tivi dell’Amministrazione vi è quello di af­fron­tare un per­corso di re­cu­pero della me­mo­ria sto­rica che passa an­che at­tra­verso l’apposizione di tar­ghe com­me­mo­ra­tive che pos­sano ri­cor­dare, nel pre­sente e nel fu­turo di tutti, so­prat­tutto dei più gio­vani, la sto­ria di per­so­na­lità lo­cali che si sono con­trad­di­stinte con l’impegno e con la rea­liz­za­zione di pro­getti mi­rati alla ele­va­zione cul­tu­rale e so­ciale della comunità.

An­to­nio Stop­pani, nato il 15 ago­sto 1824 nella città di Lecco, è stato un geo­logo, pa­leon­to­logo, pa­triota e pre­sbi­tero ita­liano, con­si­de­rato il pa­dre della geo­lo­gia mon­diale. Una fi­gura di primo piano nella sto­ria della geo­lo­gia, della pa­leon­to­lo­gia, della pa­let­no­lo­gia e della gla­cio­lo­gia in Italia.

Nel bi­cen­te­na­rio della na­scita, l’amministrazione co­mu­nale in­tende col­lo­care una targa com­me­mo­ra­tiva de­di­cata a que­sto stu­dioso ono­rando non solo la sua fi­gura ma an­che il va­lore delle sue opere.»

Mo­ti­va­zione:
«Vi­ste le pre­messe […] il Di­ri­gente dell’area 5, pro­cede ad af­fi­dare il ser­vi­zio di rea­liz­za­zione e posa in opera alla ditta For­me­dil s.n.c. […] im­pe­gnando con­te­stual­mente a fa­vore della stessa la somma di €. 800,00.»

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Quindi, ap­pena ri­ce­vuto il pre­ven­tivo del mar­mi­sta, il Di­ri­gente della Se­zione 5 aveva dato l’ordine di rea­liz­za­zione della targa ma de­li­neando an­che il qua­dro ge­ne­rale cui at­te­nersi per il suo con­te­nuto: sug­ge­ri­menti in netta di­ver­genza con il te­sto ri­por­tato sul pre­ven­tivo. evi­den­te­mente co­mu­ni­cato da qual­cuno al marmista.

Da quanto di­spo­ni­bile ab­biamo quindi ele­menti per pen­sare che siano en­trate in con­fronto due posizioni:

da un lato, ab­biamo una pre­cisa e cor­retta in­di­ca­zione del Di­ri­gente dell’Area 5 sulla fi­sio­no­mia di Stop­pani che sot­to­li­nea quali ele­menti do­vreb­bero es­sere ri­chia­mati sulla targa (ri­pe­tiamo i suoi suggerimenti):

An­to­nio Stop­pani, nato il 15 ago­sto 1824 nella città di Lecco, è stato un geo­logo, pa­leon­to­logo, pa­triota e pre­sbi­tero ita­liano, con­si­de­rato il pa­dre della geo­lo­gia mon­diale. Una fi­gura di primo piano nella sto­ria della geo­lo­gia, della pa­leon­to­lo­gia, della pa­let­no­lo­gia e della gla­cio­lo­gia in Ita­lia […]
ono­rando non solo la sua fi­gura ma an­che il va­lore delle sue opere.

sull’altra sponda ab­biamo un qual­cuno che ignora que­sti sug­ge­ri­menti (niente “città na­tale”, niente “pre­sbi­tero”, niente “pa­triota”, niente “geo­logo”, niente “pa­leon­to­logo”, niente “va­lore delle opere”) ma… uni­ta­mente a in­sulse qua­li­fi­ca­zioni tipo “stu­dioso”, “di­vul­ga­tore”, vuole ri­por­tare su una targa pub­blica, de­di­cata al più im­por­tante fi­glio della Lecco dell’Ottocento, il nome del Sin­daco Mauro Gattinoni.

Evi­den­te­mente deve es­servi stato un di­bat­tito tra le due li­nee di co­mu­ni­ca­zione, ri­solto con la vit­to­ria dei so­ste­ni­tori del nulla ma con un com­pro­messo: scom­pare il nome del Sin­daco Gat­ti­noni (è pos­si­bi­lis­simo su in­di­ca­zione dello stesso Sin­daco, che non ci pare uno stolto va­na­glo­rioso) ma ri­mane il te­sto in­sulso e in­sul­tante il nome e la me­mo­ria di Stop­pani (lo ripetiamo):

La città di Lecco
nel bicentenario della nascita
rende omaggio ad
Antonio Stoppani
Studioso e divulgatore
ineguagliabile delle nostre
bellezze naturali

Lecco, 15 ago­sto 2024

Ciò detto, ci sem­bra utile svi­lup­pare al­cune con­si­de­ra­zioni cri­ti­che sul con­te­nuto della targa che, sep­pure or­bata del ri­fe­ri­mento al Sin­daco, man­tiene in­tatto il suo ca­rat­tere in­sulso, in spre­gio alle in­di­ca­zioni del Di­ri­gente dell’Area 5.

All’estensore del te­sto della targa diamo del tu e diciamo…

Perché hai nascosto che Lecco è la città natale di Stoppani? Che per sua volontà è qui sepolto?

Dove è nato An­to­nio Stop­pani? a To­rino? Pa­lermo? New York?
Tu nulla ne dici ma com­pren­de­rai che in una targa di com­me­mo­ra­zione della na­scita, non è cosa se­con­da­ria — di­rei che è in­vece la prima.

Da nes­suna parte hai scritto che Lecco è stata la sua città na­tale!
È il colmo! Quante città e paesi in tutta Ita­lia e nel Mondo po­treb­bero a ra­gione eri­gere tar­ghe alla me­mo­ria di Stop­pani!
Ma solo di una cit­ta­dina egli fu fi­glio! E que­sta si di­men­tica di ri­cor­darlo!
E pen­sare che Stop­pani a Lecco fu sem­pre at­tac­ca­tis­simo.
Che qui tor­nava ap­pena pos­si­bile.
Che con il suo “Il Bel Paese” pro­mosse splen­di­da­mente la città quant’altri mai.
Che con la prima bio­gra­fia di Don Li­san­der e il mo­nu­mento all’autore de “I Pro­messi Sposi”, ne fece la “Città di Man­zoni” a fronte di tutta la nazione.

E dove è morto e se­polto quel prete-geo­logo?
Sul Ve­su­vio? a Bel­lano? sul Monte Tor­ghat­ten? nelle mi­niere di Dud­ley? alla salsa di Ni­rano?
Si può certo mo­rire ca­sual­mente do­vun­que ma nel caso di Stop­pani es­sere morto a Mi­lano ha un suo si­gni­fi­cato. È in quella città che egli di­venne l’uomo e il prete e lo scien­ziato che tanti hanno sti­mato — ma tu hai igno­rato la cosa.
E so­prat­tutto hai igno­rato che, come da lui di­spo­sto, egli è se­polto qui a Lecco, sua città na­tale. Come hai po­tuto dimenticarlo?

E l’Antonio è cam­pato trent’anni o cen­to­dieci?
Con­ver­rai che non è ir­ri­le­vante fis­sare il mo­mento in cui il No­stro ci ha la­sciati. Come fa il let­tore a farsi un’idea, an­che ge­ne­rica, del po­sto da lui oc­cu­pato nella sto­ria di noi tutti?
Tu hai scritto che è stato “stu­dioso” e “di­vul­ga­tore delle bel­lezze na­tu­rali”. Ma così può es­sere de­fi­nito qua­lun­que gio­vane in­tel­let­tuale scom­parso all’inizio di una vita pro­met­tente — qual­cuno può pen­sare che l’Antonio sia ca­duto sulle bar­ri­cate di Mi­lano nel 1848, a po­chi mesi dal com­piere 24 anni. Op­pure che sia stato uno di quei vec­chioni che ac­com­pa­gnano alla tomba ni­poti e pro­ni­poti e ab­bia fatto in tempo a ve­dere la prima guerra del 1915.
Una targa alla me­mo­ria senza que­sta in­for­ma­zione è solo un ano­nimo pezzo di marmo.

E al­lora lo di­ciamo noi: l’Abate è morto il 1 gen­naio 1891, re­la­ti­va­mente gio­vane, di an­gina pec­to­ris, quat­tro mesi dopo avere com­piuto i 66 anni (la mag­gior parte dei suoi nove fra­telli hanno in­vece su­pe­rato gli 80).
Chissà che avrebbe fatto di più e di me­glio l’Antonio se fosse cam­pato al­meno al­tri quin­dici anni! Per­ché non ne hai fatto memoria?

E di chi era fi­glio, quel be­ne­detto An­to­nio Stop­pani?
Dopo la ce­ri­mo­nia di sco­per­tura della targa, il Sin­daco ha po­sato una rosa e ri­cor­dato il nome di Lu­cia Pe­co­roni, la mamma di An­to­nio. Bravo! è l’unica cosa de­cente dell’intera fac­cenda.
Noi tutti siamo in gran parte come ci fe­cero i no­stri ge­ni­tori, cosa spesso tra­scu­rata, e a loro dob­biamo dare quan­to­meno ri­spetto e me­mo­ria. Ma l’Abate, per en­trambi i ge­ni­tori, aveva uno spe­ciale pro­fondo amore, con­sa­pe­vole di quanto egli do­vesse loro, per tutti gli aspetti della sua vita.

E al­lora per­ché di­men­ti­care Lu­cia Pe­co­roni e Gio­vanni Maria?

… perché lo hai presentato come un generico “studioso” e “divulgatore” e non come un geologo e paleontologo, un geniale scienziato, un amatissimo docente universitario. Ossia per quello che fu?

«Stu­dioso delle bel­lezze na­tu­rali» — che espres­sione senza senso!

Che sono per te le “bel­lezze na­tu­rali”? mare? mon­ta­gna? lago?
E il fango delle salse? e il pe­tro­lio? e le mi­niere di car­bone? e i pi­pi­strelli con la piog­gia dei loro escre­menti? e le vec­chie di mon­ta­gna sfatte dalla fa­tica? e l’affamato cia­bat­tino poeta dell’Abruzzo? e la strage dei mon­ta­nari dello Spitz? e gli sca­la­tori morti sul Cer­vino? che sono? dove li met­tiamo?
Tutto è “na­tu­rale” in quanto ap­par­tiene alla na­tura. E lo Stop­pani ha “stu­diato” e “di­vul­gato” tutto ciò e molto al­tro an­cora. E quindi quella frase è pro­prio insulsa.

Ma tu in­tendi forse ri­fe­rirti solo alle cose “belle” della na­tura. I monti? (non troppo ri­pidi, però); il vento? (con mo­de­ra­zione!); il lago? (ma non le sue tem­pe­ste!). In­somma cosa sono per te le “bel­lezze na­tu­rali”?
E delle “brut­tezze” che ne fac­ciamo? di­ciamo che le ha “stu­diate” e “di­vul­gate” qual­cun al­tro?
È pro­prio una frase spec­chio: del vuoto cul­tu­rale; dell’incapacità a com­pren­dere ciò di cui si parla. Scusa, non vo­glio of­fen­derti — ma con quelle pa­role sei tu che hai of­feso la col­let­ti­vità lecchese.

«Le no­stre bel­lezze na­tu­rali» — no­stre di chi?
Di chi ha scritto quella targa? del Sin­daco? dei lec­chesi? e Bel­lano e Ta­ceno e Pre­mana dove li met­tiamo? e Como, è no­stra o no? e il Ve­su­vio e l’Etna, di chi sono? e il Nia­gara e il Mare dei Sar­gassi? an­che quella è roba no­stra? e il Perù con le sue mon­ta­gne di guano che è? no­stro o loro?
Ep­pure l’Abate di tutto ciò e di die­cine e die­cine di luo­ghi an­che lon­ta­nis­simi dal no­stro bel paese ha scritto in lungo e in largo.

«Di­vul­ga­tore di bel­lezze na­tu­rali» — Ma che in­tendi con ciò? Di­vul­gare è sem­pli­fi­care ciò che è com­plesso. E cosa c’è di com­plesso nelle bel­lezze na­tu­rali? è com­plesso un tra­monto sul San Mar­tino? o l’orizzonte verso Nord nelle terse gior­nate di vento sul lago?
Que­sto An­to­nio Stop­pani era un im­pie­gato della pro-loco? o un gaz­zet­tiere pa­gato un tot a riga per la pub­bli­cità de­gli ameni luo­ghi di va­canza sul Lario?

O forse vo­levi dire “pre­sen­ta­tore”, alla Piero An­gela? (del re­sto, è quello che pensa e dice il Si­gnor Sin­daco). Con tutto il ri­spetto per il bravo gior­na­li­sta, è ve­ra­mente in­cre­di­bile che tu veda in Stop­pani un suo pre­cur­sore e non in­vece uno straor­di­na­rio mae­stro col­let­tivo — cosa com­ple­ta­mente diversa.

… perché hai nascosto che era un presbitero conciliatorista e un originale teologo?
… perché hai nascosto che era un patriota democratico?
… perché hai nascosto che ha scritto “Il Bel Paese” e altri testi di grande valore?
… perché hai nascosto che a lui si deve il legame tra Lecco e Manzoni?

Hai de­di­cato la targa al dire nulla o cose con poco senso. E non hai nep­pure ac­cen­nato agli ele­menti della ricca e lu­mi­nosa per­so­na­lità di Stop­pani.
Ma come hai po­tuto non com­pren­dere come que­sto si­len­zio è un in­sulto all’uomo che hai pen­sato di vo­lere onorare?

Il Pre­sbi­tero.
Stop­pani non si sen­tiva forse prima di tutto un one­sto prete pro­gres­si­sta? Certo! come ro­smi­niano con­ci­lia­to­ri­sta fu di quelli che si bat­te­rono per sal­vare la Chiesa dal pre­ci­pi­zio del tem­po­ra­li­smo arci-rea­zio­na­rio.
Si può es­sere non re­li­giosi (come noi) ma bi­so­gna ri­co­no­scere a que­sto prete un grande spi­rito — i cat­to­lici do­vreb­bero stu­diarlo me­glio: la sua ri­fles­sione fi­lo­so­fica è im­por­tan­tis­sima per una re­li­gione ade­guata ai no­stri tempi.

An­to­nio disse sem­pre che l’essere prete gli era co­stata molta fa­tica nella sua azione scien­ti­fica, di do­cente e di tec­nico pub­blico — ma sem­pre ri­badì che se fosse ri­tor­nato in vita avrebbe an­cora fatto il prete, senza al­cuna esi­ta­zione. Si sen­tiva e si di­ceva “prete sca­gnozzo”, l’ultimo dei preti, e ne era orgoglioso.

Per­ché non dire nep­pure una pa­rola su ciò che ha co­sti­tuito l’essenza di una vita?

Lo scien­ziato.
Sai certo che Stop­pani è con­si­de­rato un grande scien­ziato — ma forse non hai ben chiaro per­ché avre­sti do­vuto scri­verlo sulla targa. Lo aveva in­di­cato an­che il Di­ri­gente della Sez. 5 nella De­li­be­ra­zione del 5 ago­sto — lì lo si dice giu­sta­mente “scien­ziato” non “stu­dioso”, cosa com­ple­ta­mente diversa!

L’Abate si fece co­no­scere e ac­cet­tare nel mondo della geo­lo­gia con un im­po­nente la­voro di ri­cerca pa­leon­to­lo­gica, ori­gi­nale e con­dotto con am­mi­rata te­na­cia e forza pro­prio qui vi­cino a Lecco, sui Monti di Esino.

Ol­tre alla ca­pa­cità di in­tenso la­voro si­ste­ma­tico lì evi­den­ziato, Stop­pani mo­strò di pos­se­dere il dono della as­si­mi­la­zione e sin­tesi delle espe­rienze al­trui.
La for­ma­zione sto­rica, let­te­ra­ria e fi­lo­so­fica ac­qui­sita nei quin­dici anni del Se­mi­na­rio; la com­pleta pa­dro­nanza del la­tino e del fran­cese, la ca­pa­cità di leg­gere con piena com­pren­sione il te­de­sco e l’inglese, gli ten­nero sem­pre aperte le porte della pro­du­zione scien­ti­fica in­ter­na­zio­nale e da essa at­tinse a piene mani, ri­co­no­scendo sem­pre agli in­te­res­sati i suoi de­biti, di idee e di esperienze.

Per que­ste ca­rat­te­ri­sti­che è an­cor oggi con­si­de­rato il mi­gliore tra i si­ste­ma­tiz­za­tori della geo­lo­gia dell’epoca sua (chia­marlo “pa­dre” della geo­lo­gia ita­liana è forse gra­ti­fi­cante ma è fuor­viante in molti sensi: a volte il “far cre­scere” può es­sere più im­por­tante del “con­ce­pire”).

Lo scien­ziato di ge­nio.
Ma dove Stop­pani brilla di vera luce è la crea­ti­vità nella ri­cerca scien­ti­fica.
Im­pe­gnato nella de­fi­ni­zione della nuova Carta Geo­lo­gica dell’appena co­sti­tuito Re­gno d’Italia (marzo 1861), Stop­pani trovò un campo di azione e di ri­cerca in cui brillò la sua grande ca­pa­cità di col­le­gare pas­sato e pre­sente: la ri­cerca de­gli idro­car­buri nel bel paese.

Par­tendo dalle me­mo­rie del mondo clas­sico, Stop­pani seppe in­tro­durre un ele­mento di as­so­luta no­vità nelle sue ri­cer­che di que­sta nuova (sep­pure sem­pre esi­stita) ma­te­ria prima, al­lora però li­mi­tata al campo della il­lu­mi­na­zione, di al­cune ap­pli­ca­zioni in fon­de­ria, dei ri­ve­sti­menti im­per­mea­bili, della pa­vi­men­ta­zione stra­dale, dello scor­ri­mento delle com­po­nenti mec­ca­ni­che, del ri­scal­da­mento dell’acqua nelle mac­chine a va­pore (Stop­pani, ne mancò di po­chi anni l’applicazione ai mo­tori a com­bu­stione in­terna che de­cise della in­di­spen­sa­bi­lità del pe­tro­lio nella ri­vo­lu­zione industriale).

Avendo letto de­gli espe­ri­menti del chi­mico fran­cese Mar­cel­lin Ber­the­lot sulla pro­du­zione sin­te­tica de­gli ele­menti, Stop­pani ela­borò la teo­ria abio­tica (non or­ga­nica) dell’origine dei pe­troli: certo, molta parte del pre­zioso li­quido è il pro­dotto della di­stil­la­zione na­tu­rale di ma­te­riale or­ga­nico (que­sta era già al­lora — ed è tut­tora — la teo­ria do­mi­nante ne­gli USA e in Eu­ropa) ma molta parte è an­che il ri­sul­tato di sin­tesi chi­mi­che che si ve­ri­fi­cano ne­gli im­mani la­bo­ra­tori na­tu­rali at­tivi all’interno del globo, at­tra­verso tem­pe­ra­ture e pres­sioni per noi inim­ma­gi­na­bili. Ne era con­vinto an­che il fa­moso Dmi­trij Iva­no­vič Men­de­leev, l’inventore della ta­vola pe­rio­dica de­gli elementi.

Pro­dotto all’interno del globo a grandi pro­fon­dità, il pe­tro­lio sale alla no­stra su­per­fi­cie at­tra­verso i ca­nali della sot­ter­ra­nea cir­co­la­zione dei li­quidi.
Que­sto pro­dotto di sin­tesi, of­ferto dal globo, è sem­pre rin­no­vato, e avrà fine solo quando avrà fine la vita della Terra, a dif­fe­renza dei pe­troli di ori­gine or­ga­nica che non sono rin­no­va­bili.
Que­sta idea di un rin­novo in­fi­nito delle di­spo­ni­bi­lità di pe­tro­lio, pro­dotto gra­tui­ta­mente dalla na­tura, era ov­via­mente di grande at­tra­zione per Stop­pani, che ve­deva in que­sto ele­mento (per noi all’origine di tanti pro­blemi) una ma­te­ria prima “eco­lo­gica” ri­spetto al ta­glio sel­vag­gio delle grandi fo­re­ste da cui al­lora si traeva l’energia termica.

A dif­fe­renza di quello di ori­gine or­ga­nica, il pe­tro­lio di ori­gine abio­tica è però rin­ve­ni­bile (e quindi sfrut­ta­bile con van­tag­gio eco­no­mico) solo a grandi pro­fon­dità (an­che chi­lo­me­tri) cui la tec­no­lo­gia del tempo di Stop­pani non era in grado di ar­ri­vare.
L’Abate il pe­tro­lio in Ita­lia lo trovò e tentò an­che di farci quat­trini con una pro­pria so­cietà — se ciò con­fermò le sue teo­rie, gli portò però poco in ter­mini eco­no­mici: era in an­ti­cipo sui tempi.
Ma nella stessa zona dove egli trovò il pe­tro­lio che riu­scì a met­tere sul mer­cato (per es. Tempa Rossa, in Ba­si­li­cata), oggi tra­iamo il 10% del no­stro fab­bi­so­gno na­zio­nale, pur­troppo con me­todi da molti giu­sta­mente con­dan­nati.
Ma que­sta è un’altra sto­ria e si­cu­ra­mente oggi l’Abate sa­rebbe in prima fila nelle lotte per il ri­spetto ambientale.

La teo­ria abio­tica dell’Abate, se­guita al­lora solo da po­chi scien­ziati (tra que­sti i suoi al­lievi Ta­ra­melli e Mer­calli) non fece brec­cia nel mondo scien­ti­fico uf­fi­ciale.
Bi­so­gnerà at­ten­dere ol­tre 80 anni per as­si­stere alla cla­mo­rosa af­fer­ma­zione della teo­ria abio­tica di Stop­pani per mano della scuola ucraina di geo­lo­gia. Mo­bi­li­tati da Sta­lin ne­gli anni ’50 del se­colo scorso, gli scien­ziati ucraini (molto evo­luti) riu­sci­rono a tro­vare il pe­tro­lio in Si­be­ria (a pro­fon­dità di chi­lo­me­tri) fa­cendo della Rus­sia uno dei prin­ci­pali pro­dut­tori mon­diali di pe­tro­lio — pe­ral­tro non avendo al­cuna idea dell’esperienza pra­tico-teo­rica di Stoppani.

Per l’altro grande tema per cui Stop­pani può es­sere con­si­de­rato scien­ziato di ge­nio — la con­cet­tua­liz­za­zione della at­tuale no­stra era come An­tro­po­cene — ti ri­mando a quanto ne dico più sotto nel dia­logo che svi­lup­però con il Sin­daco a pro­po­sito del di­scorso con cui ha ma­la­mente inau­gu­rato la targa di cui stiamo discutendo.

Lo scrit­tore.
Sai o no che per tutta la vita Stop­pani è stato un for­mi­da­bile edu­ca­tore col­let­tivo? che traeva grande sod­di­sfa­zione dalla com­pren­sione da parte dei meno colti dei pro­blemi della scienza e della ricerca?

E non hai mai rea­liz­zato che ha de­di­cato gli ul­timi vent’anni di sua vita a es­sere il più ef­fi­cace pro­mo­tore della Lecco di Manzoni?

E che sia stato un ef­fi­cace scrit­tore, pro­li­fico au­tore di tante im­por­tan­tis­sime opere, ne sei con­sa­pe­vole?
Tra que­ste sono certo da ri­cor­dare il «Corso di Geo­lo­gia» del 1871, un’opera ri­co­no­sciuta a li­vello mon­diale come di grande li­vello per l’efficacissima si­ste­ma­tiz­za­zione delle tante ac­qui­si­zioni della geo­lo­gia dell’Ottocento, ricca an­che di os­ser­va­zioni cri­ti­che dell’ipotesi dar­wi­niana — tutte scien­ti­fi­che — alle quali nes­suno mai ha ri­spo­sto (né al­lora né oggi) se non con in­sulti infantili.

E «Ac­qua e Aria – La Pu­rezza del mare e dell’atmosfera» del 1875, una troppo poco ci­tata espo­si­zione della con­ce­zione scien­ti­fico-fi­lo­so­fica di Stop­pani, frutto di se­gui­tis­sime con­fe­renze pub­bli­che da lui te­nute in Mi­lano e che egli con­si­derò sem­pre la sua opera mi­gliore (Papa Leone XIII gliene fece di per­sona i complimenti).

E «Il Bel Paese» del giu­gno 1876 — che non è una de­scri­zione tu­ri­stica dell’Italia ma la me­mo­ria della ri­cerca per nuove ener­gie all’Italia e in­sieme il pro­prio “pro­gramma elet­to­rale” per le ele­zioni del novembre.

E «L’Era Neo­zoica» del 1880, rac­colta ori­gi­na­lis­sima di tutte le sue ac­qui­si­zioni e teo­rie sui fe­no­meni della gla­cia­zione, al­lora (e oggi) al cen­tro dell’attenzione an­che della politica.

E «Il Dogma e le Scienze Po­si­tive» del 1884 una delle più acute in­di­ca­zioni di come la re­li­gione do­vrebbe porsi nei con­fronti dello svi­luppo della scienza.
Una pic­cola cu­rio­sità: di co­pia di que­sto li­bro gli fece fare espressa ri­chie­sta Re Um­berto I at­tra­verso M. Va­le­rio An­zino, Cap­pel­lano di Corte, anch’egli ro­smi­niano. Nel Fondo Stop­pani a Villa Man­zoni di Lecco vi è la mi­nuta della ri­spo­sta di Stop­pani al Re, la cui let­tura ci è fa­cile gra­zie alla pa­zienza e com­pe­tenza di Et­tore Pe­nasa, pro­fes­sore in Lecco ne­gli anni ’50 del se­colo pas­sato e ot­timo ri­cer­ca­tore della vi­cenda di Stop­pani — a lui siamo de­bi­tori per molti spunti bio­gra­fici e a cui, nel Bi­cen­te­na­rio dell’Abate, bi­so­gne­rebbe pur dire un qual­che cosa di sensato.

Hai mai pen­sato a tutto ciò?
Sì? E al­lora per­ché hai re­datto quella targa così muta, così in­sulsa, così ba­nale, così all’opposto del ca­rat­tere e dell’esperienza dell’uomo cui è in­te­stata? Per­ché non hai al­meno se­guito le pre­cise in­di­ca­zioni che circa il te­sto della targa ha messo nero su bianco il Di­ri­gente della Se­zione 5 del Comune?

Per­ché non ci hai messo un po’ di te­sta? per­ché non hai con­sul­tato chi po­teva aiu­tarti? in primo luogo i cit­ta­dini di Lecco.
Sono certo che se tu avessi sot­to­po­sto il te­sto della targa a con­sul­ta­zione po­po­lare, ne sa­rebbe uscito qual­cosa di bello, vi­cino alla realtà e ri­spet­tosa di An­to­nio Stop­pani, in quel tuo te­sto così im­mi­se­rito e depresso.

… perché per ricordare la sua nascita gli hai fatto una targa da cimitero?

Ab­biamo la­sciato per ul­timo l’aspetto este­tico e fun­zio­nale della targa, in realtà la prima cosa che balza all’occhio di tutti.

La targa è per ri­cor­dare i 200 anni della na­scita — della na­scita!: per­ché ca­volo hai scelto un marmo nero, che a tutti fa ve­nire su­bito in mente la morte, la tomba.

Tra l’altro quella pie­tra non è nean­che di casa no­stra: sei an­dato a sce­gliere un Marmo Nero che oggi si estrae in Spa­gna o in Sud Africa.
Per ca­rità, niente con­tro gli al­tri po­poli ma con tutte le bel­lis­sime pie­tre che ab­biamo in Ita­lia, per­ché ri­vol­gersi all’estero per una targa de­di­cata pro­prio allo Stop­pani, grande esperto di mi­ne­ra­lo­gia?
La cosa non è dram­ma­tica — è però un se­gno di di­sat­ten­zione, di su­per­fi­cia­lità: che ci vo­leva a sce­gliere una bella pie­tra ma­gari pro­prio di que­sta zona, delle Oro­bie, bat­tute e stu­diate dal no­stro per decenni?

Tra l’altro — è que­sta una cosa cui non hai certo fatto caso — nel com­mento al XX Con­gresso dei geo­logi che si tenne nel 1911 a Lecco, si ri­corda che Stop­pani con­si­de­rava il marmo nero di Va­renna come la pie­tra più bella del mondo!

C’è poi un’altra cosa im­por­tante che si in­se­gna all’asilo della co­mu­ni­ca­zione: le scritte chiare su fondo scuro sono del 20% meno leg­gi­bili ri­spetto al con­tra­rio — let­tere scure su fondo chiaro.

Quella targa, ol­tre a es­sere in­sulsa è an­che poco leg­gi­bile: puoi scom­met­tere che quando si sarà de­po­si­tata un po’ di pol­vere nell’incisione delle let­tere, si leg­gerà an­cora meno — bi­so­gna pro­prio to­glierla da quel muro …

… te ne suggeriamo noi un’altra sicuramente più adatta!

Sic­come so che an­che tu hai te­sta e cuore, ti pro­pongo qui una al­ter­na­tiva a quella mi­se­re­vole targa sco­perta dal Sin­daco della città il 15 agosto.

Ab­biamo con­si­de­rato lo stesso in­gom­bro (la no­stra è solo 4 cen­ti­me­tri più alta) ma con le scritte scure su fondo chiaro. Il marmo po­trebbe es­sere un Zan­dob­bio o al­tro si­mile, ca­vato nel ter­ri­to­rio delle Oro­bie, ama­tis­simo da Stop­pani.
Na­tu­ral­mente ci sono un po’ di ca­rat­teri in più, ma il co­sto sarà solo di poco su­pe­riore agli 800 euro già ma­la­mente spesi.

Guarda con at­ten­zione que­sta ipo­tesi di targa che ti pro­po­niamo. Fai le tue con­si­de­ra­zioni: cer­ta­mente ti verrà in mente qual­che va­riante utile e di buon senso: siamo aperti a ogni sug­ge­ri­mento.
Se la no­stra pro­po­sta ti piace, premi sull’Amministrazione per­ché si cambi quella targa in­sulsa e la si so­sti­tui­sca con que­sta che ti pro­po­niamo o con un’altra al­tret­tanto coe­rente con la fi­gura di Stoppani.

Se all’Amministrazione hanno pro­blemi per i quat­trini, non ti pre­oc­cu­pare, quei 1.000-1.200 euro che ser­vono per la nuova targa li rac­co­gliamo in poco tempo tra i cit­ta­dini della no­stra Lecco — che ha più te­sta e cuore dei suoi Amministratori.

Co­rag­gio, datti da fare!

Que­sta la targa in­sulsa e of­fen­siva per l’Abate Stop­pani e la città di Lecco!
Quella da eliminare!

Qui sotto in­vece la no­stra al­ter­na­tiva, si­cu­ra­mente più adeguata.

FINE!