Osservazioni critiche sulla adeguatezza didattica del docu-film «Alessandro Manzoni, milanese d’Europa – L’immagine della parola». Un film di Pino Farinotti. Regia di Andrea Bellati. Scritto da Angelo Stella e Pino Farinotti. Prodotto dal Centro Nazionale Studi Manzoniani, con il contributo di Fondazione Cariplo.
Parlato del docu-film – I numeri tra [parentesi] si riferiscono ai fotogrammi sopra riportati.
Farinotti: «Un mese decisamente importante della vicenda di questa casa è il febbraio del 1860. Il 15 di quel mese arrivò qui Camillo Benso Conte di Cavour. Beh! visita importante. Ma tre giorni dopo arrivò nientemeno che il Re Vittorio Emanuele II. I due erano latori di una bella notizia per Alessandro Manzoni. Sarebbe stato fatto Senatore del Regno d’Italia. Fino a quel momento Manzoni non aveva dato tanta importanza a questa carica e dovettero muoversi personaggi rilevanti per fargliela accettare, col sorriso.»
Nostre osservazioni – Il brano citato è esemplare del metodo suggestivo spesso fatto proprio dal docu-film del Centro Nazionale Studi Manzoniani (d’ora in poi CNSM): sono richiamati alcuni dati reali – la nomina a Senatore di Manzoni (29 febbraio 1860); la visita allo stesso (nella casa di Via Morone) di Cavour (15 febbraio 1860). A questi dati reali si aggiungono poi dati “quasi reali”, che trasformano la realtà. Farinotti dice infatti che «Il 15 di quel mese arrivò qui Camillo Benso Conte di Cavour. Beh! visita importante. Ma tre giorni dopo arrivò nientemeno che il Re Vittorio Emanuele II.»
Lo spettatore è indotto a credere che oltre a Cavour anche Vittorio Emanuele II (tre giorni dopo, ossia il 18 febbraio) si sia recato nella casa di Via Morone in Milano. Le parole successive possono inoltre indurre a credere che queste due visite si fossero rese necessarie per convincere un riottoso Manzoni, indifferente all’importanza della carica senatoriale.
Riteniamo che questa sia una lettura non ancorata alla realtà di ciò che Manzoni pensava sulla propria nomina a senatore e soprattutto di ciò che realmente avvenne in quel febbraio 1860. Vediamo perché.
Il 20 gennaio 1860 Vittorio Emanuele II nomina Cavour Presidente del Consiglio, Ministro degli Esteri e dell’Interno per affrontare la situazione determinatasi a seguito della pace di Villafranca (l’Austria cedeva la Lombardia, tenendosi il Veneto).
Con le insurrezioni nei territori vaticani (Emilia, Marche) e l’imminenza di grandi novità (era in preparazione la spedizione dei Mille), si aprivano al Regno di Sardegna prospettive di un suo straordinario allargamento, proiettando la “questione romana” al centro dell’attenzione anche internazionale.
Per determinare un clima favorevole alla Corona, per la seconda metà del febbraio 1860 viene decisa una lunga visita ufficiale del Re e del Governo piemontese a Milano.
Qui la co-gestione straordinaria provvisoria da parte dell’esercito piemontese e di quello francese stava creando forti malumori. E Milano era il centro di raccolta per l’acquisto del “milione di fucili”, promosso da Garibaldi. La monarchia sabauda doveva dare un segnale forte e dimostrare di poter gestire la realtà politico-economica in rapido divenire.
Il 19 gennaio 1860 Pio IX emette l’Enciclica «Nullis certe» il cui contenuto politico viene così espresso: «Noi facciamo ogni sforzo per mantenere costantemente integre ed inviolate le possessioni temporali della Chiesa e i suoi diritti, i quali spettano a tutto l’Orbe cattolico; con ciò provvediamo altresì alla giusta causa degli altri Principi.»
Il 9 febbraio Vittorio Emanuele II risponde di essere disposto ad affidare al Vaticano il vicariato per le Romagne, Marche e Umbria. Il 14 febbraio Pio IX ribatte in termini duri: «La idea che V.M. ha pensato di manifestarmi, è una idea non savia, e certamente non degna di un Re cattolico e di un Re della Casa di Savoja.»
La programmata visita a Milano assume quindi una nuova dimensione determinata da questa particolare frizione con il Vaticano. Nella città era infatti presente una forte componente del clero favorevole alla soluzione conciliatorista e da tempo in lotta per un superamento della politica temporalistica del Vaticano.
Il 13 febbraio d’Azeglio giunge a Milano. Il 15 è la volta di Re Vittorio Emanuele II, con Cavour e il Governo, accolti con grandi manifestazioni di simpatia (a lato, il ricordo dell’accoglienza alla stazione ferroviaria di Porta Nuova).
Viene indicato come Governatore Massimo d’Azeglio, già apprezzato dalla città come artista, letterato, patriota, genero di Manzoni. Il compito assegnatogli è creare le condizioni per il miglior passaggio alla nuova amministrazione, che sarebbe uscita dalle elezioni previste per il maggio successivo.
La sera stessa (15 febbraio) Cavour, dopo essersi lungamente consultato con d’Azeglio, si reca con lui da Manzoni («La Lombardia», 16 marzo 1860, pag. 3: «Jeri [mercoledì 15 febbraio] S.E. il Conte Cavour accompagnato dal nostro Governatore, marchese d’Azeglio, si recò a visitare Alessandro Manzoni; s’intrattenne con lui più d’un’ora.»).
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Il giorno seguente [16 febbraio] Manzoni si recò dal Re («La Lombardia», 17 febbraio 1860, pag. 3: «Il nostro illustre concittadino Alessandro Manzoni ebbe ieri particolare udienza da S.M.»
Abbiamo quindi appurato che:
1º. In un momento di crisi acuta nei rapporti con il Vaticano, il Re Vittorio Emanuele II e Cavour si recarono a Milano (entrambi il 15 febbraio) in visita ufficiale per consolidare il passaggio della Lombardia al Regno di Sardegna (non per convincere Manzoni a farsi nominare Senatore).
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2º. Il 16 febbraio Manzoni si recò a Palazzo Reale dal Re – e non il 18 il Re da Manzoni, in via Morone, come sottintende il docu-film (ricordate cosa dice Farinotti: «Il 15 di quel mese arrivò qui Camillo Benso Conte di Cavour. Beh! visita importante. Ma tre giorni dopo arrivò nientemeno che il Re Vittorio Emanuele II» e come del resto si scrive nel sito di Casa Manzoni (www.casadelmanzoni.it/content/la-vita) o in testi di accademici (Amedeo Quondam, «Risorgimento a memoria: le poesie degli italiani», pag. 187).
Ci si chiede il perché di questi errori, evitabili con una abbastanza agevole consultazione della cronaca dell’epoca. Come ha fatto il nostro Centro Studi Abate Stoppani.
Resta da chiarire di cosa parlassero i nostri personaggi negli incontri del 15 e del 16 febbraio 1860.
Due parole intanto sulla “nomina a Senatore”. In vista dell’ingrandimento del Regno di Sardegna, Re e Governo avevano interesse a rafforzare la struttura del Senato con uomini legati alla monarchia, provenienti dai nuovi territori. Nel 1860 vennero infatti nominati ben 68 nuovi senatori (in tutti i dieci anni precedenti erano stati 44), dei quali trentuno il 29 febbraio 1860 (tra questi Manzoni) e i rimanenti nel successivo mese di marzo.
Cavour, molto attivo in questa azione di reclutamento, pensò anche a Manzoni, che gli aveva già espresso la propria simpatia. Il poeta, il 26 agosto 1859, all’indomani delle dimissioni di Cavour, in dissenso sulla pace di Villafranca, gli aveva scritto: «noi siamo fissi a non credere ch’Ella sia disoccupata, né che, a cose non finite, il suo animo possa volere un riposo che l’Italia non vorrebbe.»
Il docu-film del CNSM fa intendere che Manzoni avesse una scarsa considerazione del Senato (“Fino a quel momento Manzoni non aveva dato tanta importanza a questa carica”), da qui le sue resistenze alla nomina. Non sembrerebbe questa però la realtà a lettore terzo.
Manzoni aveva perplessità di tipo solo personali. Ai primi di febbraio ne scrisse a Emilio Broglio, che a sua volta scrisse a Cavour:
«Manzoni mi prega […] di approfittare dell’amicizia di cui tu mi onori, per trarlo d’impiccio. Ha sentito dire, e anche letto su qualche giornale, che tu abbi intenzione di proporlo alla carica di senatore, e mi scrive:
“se mi cadesse sul capo questa sventura, io mi troverei nella insopportabile posizione di non potere né accettare né ricusare […]
.Lascio stare che a 75 anni viaggiare, mutare domicilio e abitudini, separarsi da una moglie inferma […]
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Ma v’ha di peggio. Di parlare in Senato non è nemmeno il caso di pensarci, giacché sono balbuziente […] sicché farei, certamente, ridere la gente alle mie spalle anche soltanto a voler rispondere, lì per lì, alla formula del giuramento, giu … giu… giuro!
Andare in Senato, è già una grossa difficoltà per un uomo che da quarant’anni, in causa di attacchi nervosi, non osa mai uscir solo di casa sua […]”
conchiude supplicando la maestà del Re e la bontà del Governo a volergli risparmiare un calice pieno di tanta amarezza.»
Broglio concludeva suggerendo di «trovare un mezzo termine da salvare capra e cavoli […], di far la cosa evitandone gli inconvenienti […], una nomina condizionale alla possibilità d’intervento».
Evidentemente la soluzione proposta da Broglio (la possibilità che Manzoni potesse evitare una presenza costante in Senato) venne accolta. In effetti, Manzoni (in tredici anni) fu presente in Senato solo in poche occasioni: sicuramente all’inaugurazione del Parlamento (Torino, 2 aprile 1860); al giuramento come Senatore (8 giugno 1860) e al voto per il trasferimento della capitale a Firenze (9 dicembre 1864 – non 10 dicembre, come indicato nel sito Web di Casa Manzoni – vedi QUI).
E allora, salvo confermare ciò che era già stato deciso a proposito delle “condizioni” per la nomina a Senatore, di che altro parlarono d’Azeglio, Cavour e il Re Vittorio Emanuele II con Manzoni tra il 15 e il 16 febbraio 1860?
Di seguito diamo la nostra risposta. Ma per questo dobbiamo toccare un tema che nel docu-film del CNSM è del tutto ignorato, ossia il legame strettissimo tra Manzoni, Rosmini e il movimento rosminiano-conciliatorista di Milano.
Proprio ai primi del 1860, in Milano, il canonico Giovanni Avignone aveva dato vita a «Il Conciliatore». Questo giornale (prima trisettimanale e presto divenuto quotidiano) era curato da un corpo redazionale formato in gran parte da sacerdoti (tra questi l’Abate Antonio Stoppani). La quarta pagina era dedicata a una corposa rubrica “politica”, tenuta in un primo momento da Luigi Sailer e poi da Giuseppe Merzario.
Il giornale, sostenitore della linea conciliatorista e anti temporalista, era vicino al Regno di Sardegna (in vista del suo evolversi in Regno d’Italia) e rifletteva le opinioni di una parte consistente (e la più attiva) del numeroso clero milanese. Importante, nel quadro dei rapporti ufficiali e ufficiosi tra il Regno di Sardegna e il Vaticano, per la questione dei destini dello Stato Pontificio. Nel luglio del 1860, attorno al giornale, si costituì anche una “Società Ecclesiastica” con intenti più strettamente “politici”.
Il Ministro degli Interni Cavour aveva favorito la nascita de «Il Conciliatore». Intermediario tra Camillo Cavour e il movimento rosminiano milanese era suo fratello Gustavo Cavour, per due decenni intimo di Rosmini. Il quale, nel 1848 e per conto di Carlo Alberto, aveva svolto in Roma una missione diplomatica presso Pio IX. La missione era fallita ma aveva fissato un precedente per un rapporto speciale tra quella parte innovativa del clero e la Corte sabauda, orientata all’unità d’Italia.
Manzoni aveva conosciuto Rosmini nel 1825 e fino al 1855 (morte del sacerdote) aveva intessuto con il religioso di Rovereto uno strettissimo rapporto culturale e personale, fondamentale per la fisionomia religiosa e filosofica di Manzoni (più sotto, la lapide presso il Centro Internazionale di Studi Rosminiani di Stresa, che riporta l’epigrafe di Fogazzaro: «Duplice vertice sublime di unica fiamma»). Alla morte di Rosmini, Manzoni aveva mantenuto stretti rapporti con il clero rosminiano di Milano e rosminiani erano i sacerdoti che ruotavano attorno al poeta. Alcuni dei quali anche strettamente legati alla sua vita personale.
Tra questi da ricordare don Giulio Ratti (1801-1869), dal 1831 alla morte parroco di San Fedele, confessore quotidiano del Manzoni, suo fiduciario su questioni riservate e intimo amico per trent’anni; in ottimi rapporti epistolari e personali con Massimo d’Azeglio.
Giulio Ratti, stimato tra il 1830 e il 1840 per l’impegno a favore della educazione popolare e per il caldeggiato patronato ai carcerati; molto attivo nelle Cinque giornate del 1848 (il 9 maggio aveva svolto in San Fedele una apprezzatissima allocuzione in favore della lotta di indipendenza, dando la benedizione alla neo-costituita Guardia Nazionale) nel 1858, dalla Corte piemontese, era stato proposto come Vescovo di Alessandria (proposta bocciata dal Vaticano); nel 1860 fu tra i principali esponenti del giornale “Il Conciliatore”, e di lì a poco sarebbe divenuto Presidente della “Società Ecclesiastica”, di cui abbiamo detto sopra.
Uno degli uomini di punta del conciliatorismo milanese, quindi, che abitava inoltre a due passi da Manzoni.
Tornando al nostro tema, abbiamo detto che il 15 febbraio Cavour va a trovare Manzoni in Via Morone con d’Azeglio e vi rimane più di un’ora. Il 16 è Manzoni che si reca in udienza particolare da Re Vittorio Emanuele II, a Palazzo Reale. Il 18 febbraio viene stampato un “Indirizzo” dei sacerdoti milanesi favorevoli alla “causa nazionale”. L’ “Indirizzo” è distribuito in Milano per la raccolta di firme di consenso dei sacerdoti. La sede di raccolta delle firme è la redazione de «Il Conciliatore».
Pochi giorni dopo, il 23 febbraio, una delegazione unitaria del clero milanese si reca dal Governatore d’Azeglio chiedendogli di adoperarsi per ottenere dal Re un’udienza. D’Azeglio li accoglie molto cordialmente e si fa mediatore dell’incontro. Che avviene il giorno seguente, 24 febbraio. Nel corso dell’incontro le Deputazioni consegnano al Re l’ “Indirizzo” già ricordato, firmato da oltre 600 sacerdoti e coadiutori milanesi (su poco più di 2.400, quindi una percentuale molto alta – la firma personale comportava una esplicita dissociazione rispetto ai superiori, ovviamente allineati al Vaticano).
Dell’incontro con il Re abbiamo una dettagliata relazione riportata dalla Gazzetta Ufficiale del Regno del 25 febbraio 1860, che riprende integralmente l’ “Indirizzo”, a testimonianza della grande importanza attribuita dal Governo e dalla Corte piemontese al rapporto con l’ala liberale del clero milanese. Riportiamo il documento, che non è un inedito ovviamente, ma che è stato scarsamente utilizzato dalla ricerca.
Gazzetta Ufficiale – Torino 25 febbraio 1860
«Leggesi nella “Lombardia” del 24: Come abbiamo già accennato, i reverendi prevosti parochi di questa città, riunitisi in congregazione fra loro, nominarono una Deputazione che andasse a nome di tutto il Clero parrocchiale ad ossequiare S.E. il Governatore di Milano, chiedendo insieme che volesse ottenere loro un’udienza da S. M. il Re, al quale desideravano di presentare un Indirizzo che manifestasse quali siano i veri sentimenti del clero milanese. Alla deputazione parrochiale se ne aggiunse un’altra nominata dai reverendi sigg. coadiutori e dagli altri sacerdoti di questa città, la quale avendo già in pronta un consimile Indirizzo a S. M. coperto da 600 firme, si unirono ai prevosti parochi, e si recarono con essi ad ossequiare S. E. il Governatore. Queste congiunte Deputazioni furono accolte con molta benevolenza dal signor Governatore, il quale encomiò grandemente questa mirabile unione di tutto il Clero milanese nei sentimenti di piena e leale adesione al Governo del Re ed alle libere nazionali istituzioni.
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Oggi [24/2] le Deputazioni si presentarono a S.M. al quale dissero queste parole:
«A Sua maestà il Re Vittorio Emanuele II.
Sire! Alle acclamazioni ed ai voti del popolo lombardo che dappertutto vi accompagnano in questa città, permettete, o Sire, che si uniscano anche le voci del clero, che, rappresentato dai prevosti parrochi, dai coadiutori e dai sacerdoti addetti alla pubblica istruzione, datane notizia a monsignor vescovo vicario generale-capitolare, sente il bisogno di ripetervi con vive parole i propri sentimenti.
La nostra fedeltà al Re posa sulla coscienza, e il nostro attaccamento alle libere istituzioni ha le sue radici nell’amore di Cristo e della Sua Chiesa, Quegli affrancatore divino dell’uman genere, questa maestra di perfetta civiltà. — Religione e Patria, ecco la nostra divisa: santi e cari nomi che non indicano un partito, ma racchiudono in sé tutti i nostri doveri, e come sacerdoti della Chiesa cattolica, e come cittadini di libero Stato. Esultanti dalla fortunata annessione della Lombardia alla gloriosa vostra corona siamo lieti di ordinarci sotto il vessillo dello Statuto, confidando che colla tutela delle nuove politiche istituzionali la religione cattolica, perpetua gloria d’Italia, sarà all’ingrandito regno il più saldo appoggio.
A questo intento, noi siamo stretti insieme per associare in leale e stabile accordo per la causa della Religione colla causa Nazionale per promuovere colla nostra missione aliena da ogni temporale interesse la morale dignità di un gran popolo ricostituitosi in nazione, per conservare immacolate e forti a questa Chiesa di Ambrogio le gloriose sue tradizioni.
Le vostre virtù, o Sire, il vostro amore per l’Italia, la saviezza del vostro Governo, il retto uso delle civili libertà ci condurranno a raggiungere questo grande scopo che noi riassumiamo in questi voti. Viva la Religione Cattolica! Viva lo Statuto! Viva il Re Vittorio Emanuele!
Ossequiosissimi Sudditi I deputati dai Prevosti Parochi, dai Coadiutori, dai Sacerdoti addetti alla pubblica istruzione a nome di tutto il Clero. Milano, il giorno 24 febbraio 1860.»
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S.M. il Re accolse con molta affabilità la Deputazione del Clero, e manifestò la sua viva compiacenza pei sentimenti espressi nell’Indirizzo. «In un momento» disse il Re «nel quale i partiti politici cercano di turbare le coscienze, traendo pretesto dalle questioni presenti sul potere temporale e spirituale, mi è molto caro l’accogliere i sentimenti del clero milanese così giusti, così prudenti, così moderati, e degni dell’antica fama del clero lombardo.»
E soggiunse in ultimo: «Vedo con soddisfazione ch’esso concorda con me nel riconoscere quanto importi all’Autorità spirituale il non discendere dall’alta sua sfera mescolandosi in questioni di politica terrena.»
Conosciuto questo quadro di riferimento, riteniamo che il lettore saprà darsi da sé la risposta alla domanda: di che avranno parlato i nostri personaggi in Milano, tra il 15 e il 16 febbraio 1860?
Si saranno affannati a fare “accettare con un sorriso” la nomina a Senatore a un Manzoni recalcitrante, come sostenuto nel docu-film del CNSM, oppure avranno discusso da esperti politici, abili comunicatori e responsabili patrioti sul come rendere pubblica e con la massima efficacia propagandistica l’adesione di una parte importante del clero milanese alla politica del Regno sabaudo?
Il lettore non ingenuo avrà già pensato che, anche se i giornali non ne fecero cenno, è altamente probabile che alla riunione in casa Manzoni, con Cavour e d’Azeglio, partecipasse anche don Ratti, il buon vicino di casa di Alessandro, a breve Presidente della Società Ecclesiastica dei preti conciliatoristi di Milano, di cui abbiamo già parlato.
A proposito dell’ “Indirizzo” dei preti rosminiano-conciliatoristi milanesi, alcuni vollero insinuare che fosse stato concordato in anticipo tra il clero “patriottico” e la Corte. Naturalmente gli interessati smentirono con forza.
Ma a distanza di tanti anni possiamo tranquillamente dire che fu proprio così. La “combine” tra Corte, Manzoni e clero liberale ci fu. Ma fu a fin di bene.
Nell’illustrazione: 24 febbraio 1860 – Le Deputazioni del clero progressista milanese presentano a Vittorio Emanuele II un “Indirizzo” di adesione alla politica del Regno di Sardegna, in vista della sua celere evoluzione in Regno d’Italia.
• PDF dell’Analisi critica
• indice dei venti episodi⇓