Venerdì, 18 gennaio 2019
Venerdì, 18 gennaio 2019
Ancora su «Ottocento Lombardo»
(Lecco, 20-10-18 / 20-01-19, Palazzo delle Paure).
Dalle nostre ricerche un primo risultato verso la consapevolezza critica.
Torna alle ombre dell’Ottocento
il dipinto «Monaca» di Francesco Hayez?
Sul suo dipinto «Monaca», donato per beneficenza, Hayez scrisse con l’orgoglio del vecchio combattente dell’arte:
“Hayez,
fatto a 89 anni”
“Hayez,
fatto a 89 anni”
Certo a sberleffo verso i suoi giovani concorrenti di tela e pennello, sul suo dipinto «Monaca» donato alla lotteria di beneficenza del 1879, il grande artista, vecchio ma ancora sulla breccia nel rinnovamento dell’arte pittorica in Italia scrisse orgogliosamente: «Hayez, fatto a 89 anni».
Molto amichevolmente, ci attendiamo ora celeri e cordiali scuse dalla curatrice d’arte Simona Bartolena che ha definito “deliranti” le nostre osservazioni e minacciato denunce per diffamazione.
Cordiali scuse ci attendiamo del pari da Simona Piazza (Assessore alla Cultura del Comune di Lecco) che, a fronte delle nobili esternazioni di Bartolena, le ha pubblicamente confermato “piena fiducia”.
Già un anno fa l’Assessore aveva minacciato il ricorso ai legali per nostre critiche a una “App” del Comune sui luoghi manzoniani, da lei onorati con 243 pacchiani errori e oltre 400 criticità linguistiche per la versione inglese (certificate da una prestigiosa Università milanese) (vedere per credere).
Allora avevamo amichevolmente lasciato correre. Ma ora, visto che la minaccia sembra essere diventata la divisa dell’Assessore alla Cultura, sempre amichevolmente diciamo: attendiamo cordiali scuse, ma che siano celeri!
Per chi non ha presenti i nostri precedenti interventi sull’argomento, di seguito ne proponiamo una breve sintesi (per approfondimenti vedi: Le molte monache di Hayez / «Ottocento Lombardo» a Lecco: una buona occasione sprecata / Chi ha realmente visitato la mostra «Ottocento Lombardo»?)
Fino a pochi giorni fa eravamo tutti certi che il «Monaca-Annoni» fosse riapparso nel 1995, dopo essere stato acquistato fortuitamente da un privato sul libero mercato (a lato la riproduzione).
Il 13 novembre/18 avevamo rese pubbliche le osservazioni critiche alla mostra «Ottocento Lombardo» (Lecco, 20-10-18 / 20-01-19); avevamo poi deciso di avviare una ricerca approfondita sul tema dopo l’abnorme reazione della curatrice Bartolena che aveva giudicato “deliranti” le nostre osservazioni di merito, minacciando querele per diffamazione.
Nel giro di due settimane abbiamo consultato un po’ di carte e il 3 gennaio/19 abbiamo trovato un documento (dobbiamo dire senza una particolare fatica) in base al quale possiamo affermare con un margine di sicurezza decisamente elevato — e salvo precise controprove tecniche — che il dipinto «La monaca» peritato dal Professor Mazzocca, è da ritenersi NON essere il dipinto «Monaca» donato da Hayez alla lotteria di beneficenza del 1879.
Nell’esposizione che segue informiamo i nostri lettori sul come siamo arrivati a individuare il documento rivelatore, inserendolo nel contesto di quel lontano 1879-80 milanese.
Ci teniamo a superare al più presto questo capitolo “hayeziano” delle nostre osservazioni per dedicarci (in un altro articolo, che uscirà a breve) al tema che è all’origine di queste nostre note.
Ossia al come gli artisti coevi a Manzoni trattarono la monaca manzoniana — o meglio di come la cancellarono a pro’ di una inoffensiva e insignificante icona, del tutto a-manzonizzata.
Urge fare chiarezza su questo tema, su cui regna scarsa conoscenza ma che rimane di grande attualità.
Ma veniamo al nostro racconto relativo ai dipinti «Monaca» di Hayez.
1 Nella prima estate del 1879 l’ottantottenne pittore Francesco Hayez (sarebbe morto da lì a tre anni — egli stesso ci ha descritto il sopraggiunto tremolio delle mani e gli scarti involontari del pennello) manifestò la propria solidarietà nei confronti di popolazioni colpite da gravi calamità naturali.
2 Proveniente dal Nord Europa, una straordinaria perturbazione investì in primavera l’Europa orientale: colpita dalla piena del fiume Tibisco (Tisza), il 12 marzo 1879, l’importante città ungherese di Szeghedino (Szegen) venne letteralmente cancellata da onde alte più di nove metri (6.000 abitazioni distrutte — il 95% del totale; oltre tremila i morti su 70.000 abitanti e diecine di migliaia i senza tetto).
A questa disgrazia (ma ci furono forti polemiche sul degrado nella tenuta degli argini), con l’invio di mezzi, uomini e denaro, si rispose da molti paesi europei: tra i primi l’Italia, anche per i ricordi della partecipazione delle migliaia di patrioti ungheresi alle nostre guerre risorgimentali (era ancora viva nella memoria la Legione Ungherese, coraggiosissima tra i Mille coraggiosi di Garibaldi).
3 Anche a Milano vi fu una forte mobilitazione, con sottoscrizioni a favore di Szeghedino e l’accoglienza di numerosi sfollati in istituti di carità e case private. Una mobilitazione che rimase impressa nella memoria e che portò pochi anni dopo anche a un errore di datazione nelle opere di Hayez.
Giulio Carotti in Appendice alle «Memorie» di Hayez (R. Accademia di Belle Arti, Milano, 1890) scrisse infatti (p. 282): «1878 — Studi di teste dal vero, offerto alla lotteria di beneficenza per gli innondati di Szeghedino».
La notazione di Carotti è errata per due elementi. Per l’anno: l’inondazione di Szeghedino avvenne infatti il 12 marzo 1879 (non 1878); per la menzione della lotteria di beneficenza: dalla cronaca risultano infatti sottoscrizioni in denaro, organizzate dalla ditta “Manzoni e C.”, ma non lotterie con doni da parte di artisti.
La lotteria venne invece lanciata tre mesi dopo la tragedia di Szeghedino, ma a favore di “inondati” italiani.
4 La grande perturbazione che aveva messo in ginocchio l’Ungheria nel marzo 1879, tra maggio e giugno colpì infatti anche l’Italia; e alle piogge da diluvio si aggiunsero terremoti e una intensa attività vulcanica in Campania ma soprattutto in Sicilia.
Il 26 maggio l’Etna si squarciò con una inedita doppia esplosione dei fianchi del cono procurando enormi danni alle campagne catanesi, devastate da impetuosi fiumi di fango eruttato dal vulcano.
Tra maggio e giugno si susseguirono in tutta Italia alluvioni di fortissima entità, in particolare su tutto il bacino padano, con straripamenti e rotture di argini del Tanaro e del Po tra il 5 e l’8 giugno, con oltre 50.000 sfollati (solo come riferimento generale indichiamo in successione geografica le località più colpite: Alessandria, Pavia, Lodi, Mantova, Mirandola, Modena, Bondeno, Ferrara).
La situazione fu veramente grave, quasi quanto l’analoga alluvione del 1872.
2 Proveniente dal Nord Europa, una straordinaria perturbazione investì in primavera l’Europa orientale: colpita dalla piena del fiume Tibisco (Tisza), il 12 marzo 1879, l’importante città ungherese di Szeghedino (Szegen) venne letteralmente cancellata da onde alte più di nove metri (6.000 abitazioni distrutte — il 95% del totale; oltre tremila i morti su 70.000 abitanti e diecine di migliaia i senza tetto).
A questa disgrazia (ma ci furono forti polemiche sul degrado nella tenuta degli argini), con l’invio di mezzi, uomini e denaro, si rispose da molti paesi europei: tra i primi l’Italia, anche per i ricordi della partecipazione delle migliaia di patrioti ungheresi alle nostre guerre risorgimentali (era ancora viva nella memoria la Legione Ungherese, coraggiosissima tra i Mille coraggiosi di Garibaldi).
3 Anche a Milano vi fu una forte mobilitazione, con sottoscrizioni a favore di Szeghedino e l’accoglienza di numerosi sfollati in istituti di carità e case private. Una mobilitazione che rimase impressa nella memoria e che portò pochi anni dopo anche a un errore di datazione nelle opere di Hayez.
Giulio Carotti in Appendice alle «Memorie» di Hayez (R. Accademia di Belle Arti, Milano, 1890) scrisse infatti (p. 282): «1878 — Studi di teste dal vero, offerto alla lotteria di beneficenza per gli innondati di Szeghedino».
La notazione di Carotti è errata per due elementi. Per l’anno: l’inondazione di Szeghedino avvenne infatti il 12 marzo 1879 (non 1878); per la menzione della lotteria di beneficenza: dalla cronaca risultano infatti sottoscrizioni in denaro, organizzate dalla ditta “Manzoni e C.”, ma non lotterie con doni da parte di artisti.
La lotteria venne invece lanciata tre mesi dopo la tragedia di Szeghedino, ma a favore di “inondati” italiani.
4 La grande perturbazione che aveva messo in ginocchio l’Ungheria nel marzo 1879, tra maggio e giugno colpì infatti anche l’Italia; e alle piogge da diluvio si aggiunsero terremoti e una intensa attività vulcanica in Campania ma soprattutto in Sicilia.
Il 26 maggio l’Etna si squarciò con una inedita doppia esplosione dei fianchi del cono procurando enormi danni alle campagne catanesi, devastate da impetuosi fiumi di fango eruttato dal vulcano.
Tra maggio e giugno si susseguirono in tutta Italia alluvioni di fortissima entità, in particolare su tutto il bacino padano, con straripamenti e rotture di argini del Tanaro e del Po tra il 5 e l’8 giugno, con oltre 50.000 sfollati (solo come riferimento generale indichiamo in successione geografica le località più colpite: Alessandria, Pavia, Lodi, Mantova, Mirandola, Modena, Bondeno, Ferrara).
La situazione fu veramente grave, quasi quanto l’analoga alluvione del 1872.
A Milano il 6 giugno 1879 si formò, per raccogliere fondi di immediato utilizzo e con sede nel palazzo municipale in Piazza Mercanti, un «Comitato Milanese di Soccorso ai danneggiati dalle inondazioni».
Ne fu Presidente il conte Aldo Annoni, senatore del Regno; Vice-Presidente il conte Carlo Borromeo; tra le prime idee, l’organizzazione di una lotteria benefica.
5 Anche gli artisti si mobilitarono. Numerosissimi furono i concerti e le rappresentazioni teatrali con incassi devoluti all’assistenza degl’inondati, in una gara artistico-solidaristica che ebbe il suo acme il 30 giugno, quando Giuseppe Verdi diresse alla Scala di Milano la “Messa da Requiem”, composta nel 1874 per commemorare Alessandro Manzoni.
In proposito ci consenta il lettore un piccolo inciso socio-politico (anche le opere d’arte e gli artisti vivono nella e della società).
Va da sé che, allora come oggi, dietro lo straripamento dei fiumi c’era ovviamente un andamento anomalo delle precipitazioni. Ma altrettanto “ovviamente” c’era una evidente incuria amministrativa: sugli argini dei fiumi non si faceva la manutenzione necessaria e i fondi a ciò destinati venivano impiegati per altre incombenze (son passati 140 anni ma oggi le cose vanno esattamente allo stesso modo).
13 Nel 1872, a fronte di una gravissima situazione alluvionale analoga a quella del 1879 di cui ci stiamo occupando, la così detta “destra storica” (allora al governo) aveva stanziato oltre 20 milioni (circa 400 milioni di Euro attuali) per la riparazione degli argini fluviali distrutti dalla piena e attivare un sistema generalizzato di prevenzione.
Nel 1876, tre anni prima della disastrosa alluvione del giugno 1879, la destra era stata scalzata dal potere (che deteneva dalla costituzione del nuovo Regno d’Italia, 1861) dalla nuova compagine governativa (la “sinistra storica”) guidata da Agostino Depretis.
Quando si verificò il disastro del 1879, gli esponenti della destra ebbero buon gioco nel dimostrare che dei 20 milioni stanziati se ne erano spesi 7 fino al 1876 ma che poi, arrivata la sinistra al governo, i rimanenti 13 milioni erano stati utilizzati per altri interventi, lasciando scoperta la manutenzione fluviale.
A Milano la “destra storica” (dagli avversari detta amichevolmente “la consorteria”) contava tra i propri esponenti il conte Annoni (e anche la nobildonna Giuseppina Morosini).
Va da sé che dietro l’iniziativa benefica di Annoni, oltre a una certo sincera partecipazione per i problemi degli alluvionati, vi fosse anche una attenta gestione dell’assistenza come strumento di lotta politica.
Il discorso era abbastanza semplice: la sinistra ha distratto i fondi per le opere fluviali; di fronte al disastro, causato dalla sinistra, la destra milanese è in grado di assumersi le opportune responsabilità dimostrando di essere — nei fatti — ancora forza di governo.
Quando si verificò il disastro del 1879, gli esponenti della destra ebbero buon gioco nel dimostrare che dei 20 milioni stanziati se ne erano spesi 7 fino al 1876 ma che poi, arrivata la sinistra al governo, i rimanenti 13 milioni erano stati utilizzati per altri interventi, lasciando scoperta la manutenzione fluviale.
A Milano la “destra storica” (dagli avversari detta amichevolmente “la consorteria”) contava tra i propri esponenti il conte Annoni (e anche la nobildonna Giuseppina Morosini).
Va da sé che dietro l’iniziativa benefica di Annoni, oltre a una certo sincera partecipazione per i problemi degli alluvionati, vi fosse anche una attenta gestione dell’assistenza come strumento di lotta politica.
Il discorso era abbastanza semplice: la sinistra ha distratto i fondi per le opere fluviali; di fronte al disastro, causato dalla sinistra, la destra milanese è in grado di assumersi le opportune responsabilità dimostrando di essere — nei fatti — ancora forza di governo.
Chiudiamo qui la parentesi politica chiedendo però al lettore di farsi un nodo al fazzoletto, perché la questione salterà di nuovo fuori a ridosso della lotteria.
Ma torniamo a noi.
È quindi proprio al Palazzo Annoni di Porta Romana che il dipinto «Monaca» di Hayez, dovette essere notato tra fine giugno e primi luglio dalla contessa Giuseppina Negroni Prati Morosini.
Il dipinto le piacque; le piacque tanto da chiedere ad Hayez, tramite Angelina (la figlia adottiva dell’artista), di farne una copia per lei.
14 La nobildonna era sorella di Emilio Morosini (capo combattente nelle Cinque giornate di Milano e nel 1849 morto in difesa della Repubblica Romana); patriota ella stessa; sempre vicina in ogni attività benefica al conte Annoni.
Da sempre di Hayez era anche grande amica (sororale, si intende) e dell’artista scrisse sotto dettatura tra il 1869 e il 1875 le vicende della vita, pubblicate poi come «Francesco Hayez — Le mie memorie» nel 1890.
Hayez non poteva quindi che esaudire il desiderio dell’amica, come emerge dal suo epistolario.
È quindi proprio al Palazzo Annoni di Porta Romana che il dipinto «Monaca» di Hayez, dovette essere notato tra fine giugno e primi luglio dalla contessa Giuseppina Negroni Prati Morosini.
Il dipinto le piacque; le piacque tanto da chiedere ad Hayez, tramite Angelina (la figlia adottiva dell’artista), di farne una copia per lei.
14 La nobildonna era sorella di Emilio Morosini (capo combattente nelle Cinque giornate di Milano e nel 1849 morto in difesa della Repubblica Romana); patriota ella stessa; sempre vicina in ogni attività benefica al conte Annoni.
Da sempre di Hayez era anche grande amica (sororale, si intende) e dell’artista scrisse sotto dettatura tra il 1869 e il 1875 le vicende della vita, pubblicate poi come «Francesco Hayez — Le mie memorie» nel 1890.
Hayez non poteva quindi che esaudire il desiderio dell’amica, come emerge dal suo epistolario.
Immagini da «Ricordo artistico di Montemerlo: serate umoristiche dal 29 agosto al 7 settembre 1879 a beneficio degli inondati del Po», conservato presso la Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” – Castello Sforzesco Milano.
(Nostri gli scatti fotografici. Siamo a disposizione per sanare eventuali diritti spettanti a chiunque sia giuridicamente autorizzato a esercitare tale diritto).
19 Anche sotto la protezione di queste auguste attenzioni, con l’apertura della vendita dei biglietti, dal 1 settembre i diecimila premi vennero esposti nel “Padiglione del Caffè” (realizzato da Giuseppe Balzaretti nel 1863) sul così detto Monte Merlo ai giardini pubblici di Milano, divenendo in quella fine estate del 1879 un punto di ritrovo per i milanesi — e anche un museo d’arte.
Oggi quel padiglione è sede della “Scuola Materna dei Giardini di Porta Venezia”; allora il nome era di fantasia: “Monte” come richiamo ironico alla piattissima Milano, mentre “Merlo” era il nome di uno dei primi gestori del bar attivo nel padiglione.
20 Sempre dal CorSera (29-30 agosto/79) prendiamo una vivace presentazione dell’iniziativa:
Ferve il lavoro ai pubblici giardini per l’esposizione dei doni della lotteria di beneficenza a favore degl’inondati. Nell’interno del padiglione di Montemerlo il Comitato fa allestire scaffali e tavoli su cui verranno disposti i doni: all’esterno per cura della Famiglia Artistica, sorgono antenne e lampioni a gas per l’illuminazione, teatro per le marionette e le ombre, trapezi, parallele e barre per la ginnastica, ed altri misteriosi apparati, seminascosti sotto le ombrie dei sempreverdi. Il ballo dei fanciulli riuscirà di sicuro assai grazioso.
Il trattenimento sarà tutto e sempre rallegrato dalla musica. Tutti i corpi di musica disponibili si prestano volonterosi gratuitamente […].
La esimia direzione del gas […] ha accordato anche in questa circostanza il gas gratuitamente. I signori fratelli Bocconi hanno offerto scaffali e scansie, come già fecero per il Tiro a segno.
L’Associazione dei Veterani e dei Reduci presteranno gentilmente il loro concorso, intervenendo ogni giorno un certo numero di soci per coadiuvare il mantenimento dell’ordine ed il buon andamento di tutti i servizi. […]
Babbi, mamme, zii, zie, tutori ed educatori, conducete i vostri bambini a Montemerlo, andatevi con loro e ne sarete doppiamente contenti.
La tassa di ingresso è di soli cent. 50 per chi ha una statura compresa tra l’uno e i sette metri; l’ora è opportuna, il luogo è bello e simpatico, gli spettacoli saranno il non plus ultra di sè stessi.»
21 E il commento al primo giorno espositivo è entusiasta (CorSera, 01-09-79):
«Per gli’inondati
«A Montemerlo» — si leggeva ieri sera ad ogni ingresso e su molti alberi dei giardini pubblici. Una rigna di palloncini variopinti, scintillanti di luce, di fantastico effetto tra le foglie cupe degli alberi, additava la via alla elegante montagnola. La gente vi si avviava a frotte, a ondate. Le signore, tra le quali molte splendide di grazia e di bellezza, erano in gran numero; i bambini però non erano molti.
Una grande quantità di gente rimaneva di fuori, ascoltando la musica ed i festosi clamori. Abbiamo udito lagnanze sul prezzo del biglietto d’ingresso da molti che lo vorrebbero ridotto alla metà, per rendere possibile il divertimento alle famiglie numerose e di modesta fortuna. Abbiamo fatto cenno di queste lagnanze perchè le feste continueranno per altre quattro, cinque sere.
Montemerlo così festosamente illuminato, col gaio e fantastico padiglione, coi teatrini improvvisati, col carosello, coi giuochi, colle due musiche, con tanta gente, pareva un giardinetto incantato.
L’esposizione dei premi della lotteria è fatta leggiadramente nel Salone del caffè, gratuitamente concesso dai signori Valeriani e Gusberti, i quali per altro hanno fatto un assai buon affare per la gran gente, che accorre a ristorarsi ai tavoli del loro esercizio.
In mezzo al piazzale, sotto al padiglione, formato da lunghe striscie di stoffa rossa e da festoni di palloncini eleganti a foggia di grossi petali di giglio rovesciati, è la rotonda, ove, su di un ampio tappeto, i bambini e le bambine si sbizzarriscono a saltare e a ballare con il brio, la grazia e la leggiadria, che sono proprie della sua età.
Lì vicino una compagnia di saltimbanchi (quei bravi matti della famiglia artistica), in calzamaglie e lustrini, fanno gruppi, quadri, salti, esercizii ginnastici e giuochi d’ogni specie.
E nella loro truppa una amazzone ricciuta e improvvisata che fa molti salti e capriole piacevoli.
Nei teatrini posticci le marionette naturali e le ombre e i quadri dissolventi attraggono l’attenzione delle platee numerosissime e rumorose.
Qua e là gruppi di suonatori ambulanti scelti nel mazzo e rappresentanti delle caricature veramente artistiche, e perfino la fioraia Teresina miracolosamente salvata da una indigestione di lumache!…
Le risate, i balli, i suoni, le rappresentazioni, gli esercizi, gli applausi si alternarono allegramente fino al tardi.
Il divertimento è riuscito assai bene e ieri sera l’introito, che va a beneficio degli inondati, deve essere stato cospicuo.
Nella esposizione, abbiamo veduto moltissimi e variati doni, che costituiranno altrettanti premi della grande lotteria: gli eleganti e ricchi vasi giapponesi, donati dalla Regina, quadri ad olio, gioielli, ventagli, bottiglie piene di liquori e di vini prelibati, oleografie, chincaglierie, galanterie, libri, ecc. ecc. La pioggia dei doni continua.
Un bravo al benemerito Comitato di soccorso per gli inondati ed a quei capi gaj ed ameni della famiglia artistica.»
22 Nonostante le lamentele per il prezzo alto, alla fine di settembre erano stati venduti biglietti di ingresso al Padiglione Monte Merlo per 9.000 lire, quindi con un afflusso di almeno 18.000 adulti e con una grande eco mediatica, favorita dai divertimenti che ai Giardini la Famiglia Artistica offriva ai visitatori.
Apparentemente quindi tutto bene!
E infatti ai primi di ottobre (CorSera, 2-3 ottobre/79) il Comitato annunciò l’estrazione per la metà di novembre:
«Ora le cure del Comitato sono rivolte allo spaccio dei 100 mila Biglietti della Grande Lotteria — I diecimila premi fra i quali un migliaio almeno pregevolissimi o di cospicuo valore, sono disposti per ordine numerico nel Salone Municipale dei Giardini Pubblici. Il Catalogo ne sarà pubblicato in settimana e trovasi in corso di stampa. I principali Alberghi, Caffè, Bottiglierie ecc., tutti i Banchi del Lotto, e molte distinte Società assunsero gentilmente l’incarico di farsi centri per la vendita dei biglietti. — Anche dalle Provincie pervengono offerte e ricerche, per cui il Comitato confida di poter effettuare l’estrazione entro la prima metà del p.v. novembre, realizzando un lauto beneficio con cui chiudere degnamente l’opera insigne di beneficenza.»
Il Catalogo dei 10.000 premi.
CorSera, 11 ottobre 1879:
«Oggi riceviamo bell’e pubblicato il catalogo dei diecimila premi della grande lotteria di beneficenza; ciò prova essere compiuto il numero dei premi, per cui altro non manca all’esito completo di quest’ultimo atto della carità cittadina se non il favore e l’affluenza del pubblico all’acquisto dei biglietti. Mancheranno? Sarebbe colpa il solo dubitarlo.»
23 Il Catalogo della “Grande Lotteria per gl’inondati” è interessante sia come fatto di costume per la tipologia dei doni (si va dai pettini ai libri, dagli occhiali alle mutande, dai mobili ai gioielli — stiamo procedendo alla messa a data-base dei 10.000 articoli, potrà forse interessare qualche ricercatore specializzato in usi e costumi di fine Ottocento in Lombardia) sia perché tra i 10.000 oggetti donati vi sono numerose opere d’arte o di artigianato.
Di queste, il catalogo ne evidenzia in neretto circa 300, non sappiamo in base a quale criterio.
Noi, da queste 300, per il momento abbiamo selezionato le 116 per le quali è riportato il nome dell’autore (notiamo che un’opera di Valaperta data dal CorSera di giugno come donata, non compare nel catalogo, non sappiamo se per errore di redazione o per ripensamento dell’artista).
Queste 116 opere vennero donate da 83 artisti (quindi qualche artista donò più di un’opera), così da noi raggruppate per tipologia:
Pittura / disegno = 95 opere
Dipinti a olio: 47 (36 con cornice) / Acquerelli: 33 (10 con cornice) / Tempere: 5 (4 con cornice) / Disegni: 3 / Incisioni: 5 / Litografie: 1.
Scultura = 22 opere
Bronzo: 1 / Marmo: 4 (2 con piedestallo) / Terracotta: 5 / Gesso: 11 / Cera: 1 (vi è raffigurato Alessandro Manzoni).
Gli artisti e le opere donate.
Per questo elenco abbiamo ripreso il testo esattamente come riportato nel Catalogo (quindi anche con le sue incoerenze formali): in questa forma originale forse può essere utile a chi è impegnato sistematicamente nell’arte per individuare eventualmente questa o quella opera oggetto di studio o ricerca.
Tra parentesi è indicato il numero progressivo col quale gli oggetti sono nel Catalogo, proposti nell’ordine con cui sono pervenuti al Comitato organizzatore.
Notiamo in proposito che su 116 opere donate, 26 sono collocate tra i primi 5.000; 90 nei successivi 5.000.
Ciò fa pensare che molte delle opere donate vennero predisposte, o rifinite, o dotate di cornice, appositamente per la lotteria.
Tra queste, possiamo ricordare i dipinti di Hayez: «Una schiava» (5656) e «Ritratto di monaca» che è tra gli ultimissimi, al n. 9804.
Mentre era in corso la vendita dei biglietti, ai primi di novembre — improvvisamente — un telegrafico e anche confuso comunicato del Comitato dichiarava il rinvio dell’estrazione a data da definirsi (CorSera, 12-13 novembre/79):
«PER GL’INONDATI
Il Comitato milanese di soccorso agli inondati, in seduta 6 corrente mese, sulle risultanze della relazione dei propri commissari che visitarono le località particolarmente danneggiate e di tra loro proposta, deliberava una ulteriore erogazione di L. 100.000; incaricato del riparto fra le provincie danneggiate il proprio ufficio di presidenza in concorso dei predetti signori Commissari.
Contemporaneamente il Comitato, visto che si avvicina l’opera in cui la cittadinanza ha il pio costume di largheggiare di offerte a favore delle molte istituzioni locali di beneficenza; nel dubbio di incagliare altre opere di carità cittadina ha deliberato di rimandare a miglior tempo l’estrazione della Lotteria.»
L’interruzione alla vendita dei biglietti della lotteria, decisa a metà novembre dagli organizzatori, proprio quando si sarebbe dovuta tenere l’estrazione, fu forse determinata dall’arrivo dell’inverno, quando tradizionalmente le organizzazioni benefiche di base si trovavano più pressate per l’assistenza ai poveri, esposti ai rigori della stagione fredda.
Forse gli organizzatori avevano tirato troppo il là nel tempo e la cittadinanza nei cinque mesi passati aveva già dato un notevole contributo in danaro (oltre 300.000 Lire sulle 700.000 raccolte in tutta Italia, per un importo del contributo milanese stimabile in circa 6 milioni di Euro).
Il biglietto di ingresso per Monte Merlo era inoltre di 50 centesimi (più o meno i nostri 10 Euro, vi erano state lamentele per l’alto costo) ed evidentemente furono pochi i cittadini che volessero ancora mettere tasca al portafoglio per l’acquisto dei biglietti della lotteria (1 biglietto = 1 Lira = circa 20 Euro).
Il fattore economico non va sottovalutato. In quegli anni il Professor Abate Antonio Stoppani, ordinario di Geologia al Politecnico di Milano prendeva 4.500 Lire lorde all’anno: per lui 1 lira era l’equivalente dei nostri 20 Euro, il prof. poteva anche permetterselo. Ma un maestro delle elementari prendeva circa 300 Lire all’anno: per lui il biglietto era quindi l’equivalente di 130 Euro! e per la sua collega donna, che prendeva circa 220 Lire, valeva 180 Euro! Da qui la comprensibile cautela nell’acquisto del biglietto per la lotteria del Senatore Annoni da parte dei ceti meno favoriti.
A parte ogni considerazione sui perché e percome, che successe poi della «Grande Lotteria per gli’inondati» del conte Aldo Annoni?
25 Dopo il rinvio annunciato il 6 novembre dal Comitato organizzatore, se ne riparlò alla fine del mese (CorSera, 30 novembre 1879):
«Ora che la stagione ha ripopolato la città nostra, richiamando dalla campagna i signori villeggianti, il Comitato confida che lo spaccio dei biglietti della lotteria prenderà nuovo slancio; ed a raggiungere il benefico intento, rivolge nuovo appello alla cittadinanza, ed in speciale modo alle gentili signore milanesi, che già hanno validamente cooperato allo splendido risultato delle sottoscrizioni in offerte.[…]
Dal Comitato venne stabilito definitivamente di fare l’estrazione della Grande Lotteria di Beneficenza per il giorno 10 febbraio.» [il venerdì dell’ultima settimana di Carnevale 1880]
Ci stiamo avvicinando quindi al momento in cui il nostro dipinto «Monaca» donato da Hayez verrà sorteggiato con gli altri 9.999 premi e troverà una nuova casa.
Come il lettore ricorderà, più sopra avevamo accennato al carattere anche politico della iniziativa benefica promossa dal conte Annoni (la destra milanese aveva stimmatizzato la distrazione da parte del Governo di sinistra dei fondi a suo tempo stanziati per la manutenzione fluviale. Con questa iniziativa benefica su larga scala mostrava di essere nei fatti ancora la parte da cui potevano giungere ai meno fortunati aiuti concreti).
26 Certo alla luce di quel sempre presente risvolto politico dell’iniziativa, pochi giorni prima della prevista estrazione della lotteria, il CorSera del 10-11 febbraio (quindi tre giorni prima) con un lungo articolo titolato «Quattro cattivi versi», riprendeva di Olindo Guerrini un “Epigramma”, da poco apparso su alcuni giornali “democratici” e ne proponeva la critica:
A i padri vecchi ed a le madri inferme
noi strappiamo il figliolo
per cacciarlo a morir nelle caserme
di tifo e di vajolo,
e il deserto villan ci chiama ladri,
tendendo il pugno scarno,
e i bimbi nudi e le piangenti madri
chiedono pane indarno.
Volete voi la fame e i suoi dolori,
o volete l’avanzo?
— Vogliam la fame — han detto i senatori
e sono andati a pranzo.
A pochi giorni dall’estrazione della lotteria di Milano, questo epigramma del socialisteggiante Guerrini era evidentemente indirizzato al ricco Senatore Annoni, promotore e organizzatore della lotteria stessa.
Il CorSera se ne fece difensore con un lungo commento (occupa metà della prima pagina del giornale) tra cui scegliamo il brano più direttamente collegato alla lotteria:
«Il villano ci chiama ladri, dice il signor Guerrini. E qui pur troppo del vero c’è. Quella parola non è generalmente detta, ma noi pure conveniamo che molta parte delle miserande plebi campagnole d’Italia cresce ab antico con poca simpatia in cuore pei ricchi che le sfruttano. E quand’anche sia pura retorica il venirci a raccontare che il villano tende il pugno come un atto di minaccia, ciò non toglie che dalla valle di lagrime delle sue privazioni egli levi la mano chiedendo pietà per lui e pei bimbi nudi e le madri piangenti. Ma non indarno. Il signor Guerrini non poteva scegliere momento meno opportuno per dir così. Nel giorno in cui da un capo all’altro d’Italia, con movimento nuovo dei cuori, generale, vorremmo quasi dire entusiastico, corre la parola d’ordine: soccorriamo i poveri; all’indomani del magnifico slancio di tutta Italia a favore degli inondati, no, non si può dire, nemmeno in poesia, che il povero chiede indarno. L’è una bugia, una cattiveria. C’è stato il signor Guerrini fra gli inondati ? Molto probabilmente, no. Noi ci siamo stati, pel nostro ufficio, e li abbiamo sentiti buoni, commossi, forti nella sventura, benedire ai signori che mostravano di tanto interessarsi per loro. Così come, pel nostro ufficio noi facciamo passare quotidianamente sotto gli occhi tutti i giornali d’Italia, e da mesi ne vediamo occupate le colonne da sottoscrizioni dei ricchi a favore dei poveri.
Prenda in mano la cetra, signor poeta, e canti questo santo inno d’amore, lo incoraggi, lo sproni a cose più grandi ancora, ad una carità altamente civile, diversa da quella dei conventi, degna di uomini liberi, progressisti e democratici sul serio — non a parole e poesie.
Intanto che il signor Guerrini compone i suoi epigrammi, molti di coloro che egli mira a pungere sono negli uffici delle Congregazioni e dei Comitati di soccorso a lavorare sui registri, a radunare coperte, a disporre per brodi, minestre, ecc.
Tutta prosa, più poetica assai della poesia del signor Guerrini, e più vera.»
Ciò riportato per dovere di cronaca, arriviamo finalmente alla tanto attesa estrazione della lotteria.
“Hayez,
fatto a 89 anni”
“Hayez,
fatto a 89 anni”
CorSera, 12-13 febbraio 1880, pag. 2.
Dall’articolo «Lotteria per gl’inondati» traiamo un brano dedicato al dipinto «Monaca» donato nel 1879 da Hayez per la mostra di beneficenza svoltasi il 13 febbraio 1880.
Ecco svelato il gran mistero!
Dall’attento lavoro del cronista del CorSera di 139 anni fa abbiamo così appreso — che il dipinto titolato «La monaca» peritato dal professor Mazzocca come di Hayez e identificato con un dipinto «Monaca» donato dall’artista alla lotteria di beneficenza del 1879, con altissima probabilità non è quel dipinto che si è sempre detto donato da Hayez alla lotteria.
Sul dipinto peritato da Mazzocca nel 1995 ed esposto a Milano 2009, Monza 2016 e a Lecco 2018 in «Ottocento Lombardo», non compare infatti alcuna scritta, né di Hayez né di altri.
Sappiamo che opportunamente la proprietà del dipinto farà eseguire una perizia tecnica per verificare senza ombra di dubbio che sotto strati più recenti di vernice non si nasconda un eventuale autografo hayeziano.
La cosa è piuttosto remota ma: mai dire mai!
Ripetiamo quanto già sopra accennato: nel caso risulti che nel dipinto non sia in alcun modo presente la frase «Hayez, fatto a 89 anni» ne deriva necessariamente che il dipinto peritato da Mazzocca nel 1995 non sia di Hayez?
Niente affatto!
Potrebbe benissimo essere un terzo dipinto «Monaca» del maestro del Romanticismo.
Se dalle analisi tecniche risultasse però definitivamente che il dipinto peritato da Mazzocca nel 1995 non è il dipinto donato da Hayez alla lotteria del 1879, per confermarne la autografia hayeziana sarebbe indispensabile rivedere ex-novo la perizia del 1995, sia ricorrendo alle nuove metodologie anche strumentali sia con un nuovo approccio storico-documentale.
Se dobbiamo essere sinceri, noi per individuare un elemento abbastanza significativo non abbiamo dovuto fare grandi sforzi se non passare qualche ora attaccati agli ormai antidiluviani proiettori della Sormani di Milano e rovinarci gli occhi nel decifrare alcuni negativi veramente in cattive condizioni del Corriere della Sera del 1880.
Siamo certi che gli specialisti sapranno trovare altri e ancora più interessanti documenti.
E la “vincita” del conte Annoni?
Sulla scorta delle testimonianze della critica coeva e attuale (Mongeri 1883, Carotti 1890, Nicodemi 1962, Coradeschi 1971, Mazzocca 1994 e 1995), abbiamo sempre scritto che il dipinto donato da Hayez alla lotteria del 1879 venne vinto dal conte Aldo Annoni (che era anche il Presidente del Comitato organizzatore).
27 A dire il vero, al momento, non abbiamo individuato alcun documento da cui risultasse in che modo ciò sarebbe avvenuto.
È anche possibile che Annoni avesse acquistato un bel numero di biglietti, per dare di tasca sua una mano alla buona riuscita dell’iniziativa (abbiamo visto che c’erano questioni anche politiche dietro di essa) e che quindi le sue probabilità all’estrazione fossero più alte di tanti altri partecipanti.
Ma è anche possibile che Annoni si sia mosso come quel signore descritto nell’articolo di cui abbiamo consigliato la lettura integrale, il quale, innamorato di una statuina di Massimo d’Azeglio, aveva sì comprato 200 biglietti (4.000,00 Euro) ma si era anche pubblicamente dichiarato pronto a comprarla subito e a ottimo prezzo da chi fosse stato più fortunato di lui.
È quindi possibile che Annoni (o un suo incaricato) abbia tenuto d’occhio il dipinto «Monaca» di Hayez e lo abbia acquistato da un vincitore, forse altrettanto amante dell’arte del conte ma non con lo stesso portafoglio.
28 Ecco questa è la storia del dipinto donato da Hayez per la lotteria del 1879, che è sembrato per qualche anno fosse il dipinto «La monaca» presentato a Milano, Monza e Lecco come “ispirato da Manzoni” e che invece con ogni probabilità dobbiamo dare da oggi ancora per disperso.
Ci auguriamo naturalmente che comunque, anche se ignoto, sia bello e vegeto, magari appeso in qualche casa più o meno patrizia di Milano.
Se così è, invitiamo i fortunati possessori a non tenerselo solo per sé. Lo mostrino, ne organizzino la visione pubblica.
Se c’è la firma «Hayez / fatto a 89 anni» saremo certi di essere veramente di fronte all’ultimo canto innovatore del vecchio e mai domo artista venessian/milanés, amante dell’arte e delle belle donne — rigorosamente: non monache ma odalische.
Per concludere veramente, anche con un ponte verso il prossimo e ultimo articolo dedicato a come gli artisti coevi a Manzoni si impegnarono (salvo rare eccezioni) a cancellare la monaca manzoniana sostituendola con una innocua icona, non possiamo non richiamare il lettore al fatto che in tutta questa vicenda non è mai apparso neppure di sfuggita un qualsiasi elemento che potesse fare pensare a una “ispirazione manzoniana” in Hayez nel mettere mano ai suoi dipinti «Monaca».
Per la verità non sappiamo assolutamente come Hayez vedesse la monaca manzoniana. In proposito non abbiamo alcuna testimonianza e nelle sue «Memorie» non si fa alcun riferimento a “I Promessi Sposi”.
29 Troviamo però nelle «Memorie» dell’artista il racconto di un episodio vissuto dal giovane Hayez nel periodo da lui vissuto a Roma tra il 1809 e il 1817, che con un convento monacale ha una stretta attinenza.
Il giovane Hayez era estremamente agile e abile arrampicatore: per burla si issava sulle più alte statue di Roma (anche rischiando di rompersi il collo), ma sempre con successo e tra le gran risate dei giovani compagni artisti e chiassosi nottambuli.
Per queste sue doti atletiche era stato richiesto da amici architetti di disegnare per tutti loro alcuni monumenti dall’alto, da un punto che richiedeva capacità da scalatore.
Di buon grado Hayez si era prestato e una mattina si arrampicò su una alta e inagibile piattaforma. Da lì poteva vedere i monumenti romani da una prospettiva inusuale e — guarda caso — anche il cortile di un convento.
Ma leggiamo dalle sue parole («Memorie», a cura di Fernando Mazzocca e Caterina Ferri:, pp. 83-84):
«Disegnai dall’alto i monumenti del Campo Vaccino, ossia il Foro Romano, così le colonne di Giove Statore, il Tempio della Concordia, quello dell’Antonino e Faustina e il Tempio della Pace e molti altri.
Fu appunto quando mi trovavo sull’alto di questo tempio che io potevo guardare forse senza essere veduto entro il giardino d’un convento di cui non ricordo il nome; vidi fra molte educande una giovinetta snella e graziosa che mi stava guardando: io le feci colla mano un saluto, senza però parlare, essa mi corrispose nello stesso modo, per quel giorno null’altro. Il giorno appresso la vidi venir sola nello stesso angolo del giardino, mentre le altre ne erano discoste e occupate ai sollazzi permessi nell’ora della ricreazione: azzardai un saluto, e vi aggiunsi qualche parola che pure non le dispiacesse, perché l’indomani tornò allo stesso posto, e per farmisi sentire muoveva le fronde di un grosso albero che era sulla nostra visuale e che per conseguenza intercettava la vista. Capii che questa giovinetta, quantunque non parlasse, sentiva volentieri qualche parola che io sottovoce cercavo di farle intendere; parole che tentavano a farle capire la mia simpatia; ma siccome ella doveva, per non essere scoperta, avvicinarsi alle compagne, io le dissi prima ch’ella si allontanasse che il giorno dopo alla stessa ora sarei tornato a salutarla, e le gettai un bacio.
Intanto il mio lavoro poteva essere in quel giorno terminato, ma io ad arte feci nascere il bisogno di dovere tornare qualche altra volta per ultimarlo. La faccenda andò tanto avanti che la ragazza s’era molto riscaldata e mi disse che era stanca di stare in convento. Queste parole mi fecero tanto senso che dopo matura riflessione, e pensando alle conseguenze che questi appuntamenti potevano portare, me ne astenni del tutto.
Ciò non sfuggì all’occhio degli Architetti, miei compagni, ma la cosa finì e non ebbe altro seguito.»
Non sappiamo se questo racconto (per altro del tutto verosimile, come ci è stato assicurato da una educanda dei tempi nostri) sia stato inserito da Hayez nelle «Memorie» per malizia nei confronti del racconto di Manzoni o solo per nostalgia dell’estro che in giovane età tanti sogni e simpatiche esperienze gli aveva garantito.
30. Riassumendo.
Avevamo svolto ai primi di novembre una critica di dettaglio della mostra «Ottocento Lombardo» (Lecco, 20-10-18 / 20-01-19) mettendone in luce:
la totale estraneità rispetto alla tradizione culturale di Lecco;
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la cancellazione del ruolo di Manzoni nello sviluppo anche delle arti figurative dell’Ottocento;
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la cancellazione degli stretti legami tra molti degli artisti esposti e l’opera di Manzoni o dello stesso Manzoni;
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un errore pacchiano nella titolazione di un’opera esposta;
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un grossolano errore su tutti gli strumenti di comunicazione al pubblico con la non menzione dell’anno di svolgimento della mostra;
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la totale mancanza di informazioni tese a favorire le visite alla mostra, per esempio evidenziando la possibilità di ingresso attraverso la tessera «Abbonamento Musei Lombardia» (45,00 / 35,00 Euro, un anno di visita senza limiti a tutte le iniziative convenzionate per tutti i musei della Lombardia).
ma soprattutto:
l’attribuzione a una ispirazione manzoniana per un dipinto attribuito ad Hayez senza il minimo riferimento documentale e al quale era stato mutato il titolo da «Monaca» a «La monaca», per ragioni a nostro avviso solo promozionali.
Le nostre osservazioni, tutte scrupolosamente documentate:
dalla curatrice della mostra Simona Bartolena sono state definite “deliranti” e dalla stessa ci sono state rivolte minacce di denuncia per diffamazione;
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a questa elegante risposta di Bartolena, che ci limitiamo a definire “alla Don Rodrigo” (siamo a Lecco, no?), si è associata Simona Piazza (Assessore alla Cultura del Comune di Lecco) che, dopo le nostre osservazioni, ha confermato la “piena fiducia” agli organizzatori e alla curatrice Bartolena (solo per inciso, l’Assessore Piazza già un anno fa ci aveva minacciato il ricorso ai legali per nostre note a una “App” del Comune di Lecco dedicata ai luoghi manzoniani, onorati dall’Assessorato con 243 pacchiani errori e oltre 400 criticità linguistiche per la versione inglese, tutte certificate da una prestigiosa Università milanese).
La reazione abnorme della curatrice Bartolena e l’appoggio incondizionato accordatole dall’Assessore Piazza ci avevano suggerito di approfondire il tema. Abbiamo quindi:
a/ verificato che in merito al rapporto tra dipinto attribuito ad Hayez e Manzoni, a Lecco si era seguito un copione già sperimentato per altre due mostre (Castello Sforzesco, Milano 2009 / Villa Reale, Monza 2016), abbiamo chiesto delucidazioni alle direzioni di queste strutture;
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b/ da queste ci è stato risposto solo con insistenze e in modo evasivo;
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c/ siamo stati cortesemente indirizzati alla proprietà del dipinto che ci ha dato un quadro completamente differente: il dipinto è stato peritato dal Professor Mazzocca nel 1995, che gli ha attribuito il titolo «Monaca» già assegnatogli dallo stesso Hayez, identificandolo con un dipinto che la critica coeva e successiva (Carotti 1890, Nicodemi 1962) dicono donato da Hayez a una lotteria di beneficenza del 1789 dove sarebbe stato vinto dal conte Aldo Annoni.
La perizia di Mazzocca evidenziava anche una serie di elementi stilistici che collocherebbero il dipinto all’ultima fase dell’attività di Hayez, proiettata verso nuove prospettive artistiche; senza alcun riferimento a Manzoni e alla monaca di Monza.
Una perizia quindi condotta senza ricorso alle nuove metodiche chimiche-fotografiche ma di tipo “tradizionale”, basata su valutazioni stilistiche e su un elemento documentale non fortissimo; una perizia comunque da considerare come valida data l’esperienza e l’autorità indiscussa di Mazzocca;
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d/ nell’approfondimento della nostre ricerche, tese a indagare sul supposto rapporto dipinto/monaca manzoniana, abbiamo approfondito la vita e l’opera dell’ultimo Hayez nonché il suo lungo rapporto con Manzoni;
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e/ ci siamo così imbattuti in elementi di cronaca e documentari relativi alla lotteria del 1879 cui Hayez avrebbe donato il suo dipinto «Monaca»;
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f/ tra questi elementi una cronaca apparsa su Il Corriere della Sera del 12-13 febbraio 1880, nella quale è scritto in modo inequivocabile che il dipinto «Monaca» donato da Hayez alla lotteria del 1879 era contrassegnato da un autografo hayeziano recante: «Hayez / fatto a 89 anni»;
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g/ con questo elemento documentale, il presupposto di Mazzocca secondo cui il dipinto da lui peritato fosse da identificare con quello donato da Hayez per la lotteria del 1879, viene a cadere;
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h/ a seguito di tale elemento, non è detto che il dipinto «Monaca» peritato da Mazzocca nel 1995 non possa essere attribuito ugualmente ad Hayez: sta di fatto che non è quello donato da Hayez alla lotteria del 1879.
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Gentili lettori,
anche questa volta abbiamo dovuto un poco abusare della vostra attenzione ma riteniamo sia il caso di essere su tutti questi aspetti scrupolosi e il più possibile attenti alla realtà storico-documentale per avvicinarci, almeno un poco, alla precisione che pretendiamo dagli ingegneri nei loro calcoli strutturali o dal chirurgo quando interviene sulle nostre coronarie.
Ringraziando per l’attenzione, vi porgiamo i più cordiali saluti.
Fabio Stoppani
Centro Studi Abate Stoppani.
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P.S.
Di seguito vi anticipiamo lo schema dell’ultima parte di queste nostre note.
Parte Terza.
Che posto ha avuto nella pittura dell’Ottocento la monaca narrata e disegnata da Manzoni? Preoccupati delle reazioni di Chiesa e perbenisti, gli artisti (unica eccezione Mosè Bianchi) si guardarono bene dal metterci mano.
Questi i capitoli:
Alla pubblicazione de «I Promessi Sposi» nel 1827, i pittori (forse temendo reazioni clericali), tennero fermi matite e pennelli sulla vicenda della Signora di Monza. Negli affreschi ispirati al romanzo e approntati da Cianfanelli per gli appartamenti ducali a Palazzo Pitti in Firenze, anche il Granduca di Toscana Leopoldo II censura l’episodio.
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Dietro la facciata di una entusiastica ammirazione per il romanzo, scatta una reazione di fatto anti-manzoniana: apre la strada il furbo Giovanni Rosini con il suo risibile romanzetto (che però vende più del Manzoni ed è anche tradotto prima e in più lingue — Rosini si vanterà: «Il mio La Monaca di Monza ha ucciso i Promessi Sposi»).
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Con altro taglio (ma sulla stessa linea) segue a ruota Cesare Cantù (in rotta con Manzoni per ragioni anche personali): divulgando il Ripamonti con una propria traduzione in italiano, sposta l’asse dell’attenzione dai diversi temi etici posti da Manzoni a quello della facile cronaca scandalistica.
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Salgono sul carro della diversione Angelo Appiani di Monza e l’amico incisore Beretta: si inventano un “ritratto originale della Signora De Leyva” e insieme definiscono il canone anti-manzoniano della Monaca di Monza che si imporrà rapidamente: compostezza interiore (ed esteriore), serenità melanconica.
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Nonostante la risposta di Manzoni che, con Gonin, cerca di imporre la corretta iconografia con la Quarantana, i pochissimi pittori che si cimentano col tema capiscono l’antifona e si adeguano. In prima fila l’abile Molteni, che si assicura così citazioni a non finire, sempre rinnovate fino ai nostri giorni.
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Unica voce discordante è Mosè Bianchi, che non riesce però a sciogliere adeguatamente il nodo sotto il profilo artistico e scivola nella esasperazione.