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Note critiche a: «Viaggio nel mondo dei Promessi Sposi» – 7 aprile 2018 – RAI3/Alberto Angela

18 giugno 2018
Lettera aperta ad Alberto Angela – Terzo approfondimento

Quanto segue è uno degli otto allegati della «Lettera aperta ad Alberto Angela» di commento alla trasmissione «Viaggio nel mondo dei Promessi Sposi» andata in onda il 7 aprile 2018 – RAI3, 21:30.
I collegamenti alle altre parti della lettera sono riportati al piede di questa pagina o nel menù principale in testata.

Due diverse visuali sui “bravi” del Seicento.

Per Manzoni: prepotenti buoni a nulla, o professionisti della violenza al servizio della nobiltà.
Per RAI3-ANGELA: l’importante è il parrucchiere.

Sui “bravi” Manzoni scrive per indicare gli impotenti abusi della legge nonché l’impotente arroganza di Don Rodrigo.

Idee superate di RAI3-ANGELA sull’etimologia del lemma “bravo”.

Questa pagina è dedicata all’approfondimento “bravi”, che della trasmissione occupa 2:53 minuti pari al 2,3% del tempo complessivo.

Come vedremo, ogni approfondimento ha una sua peculiarità. Questo sui “bravi” ha lo sviare l’attenzione del telespettatore su aspetti del tutto marginali rispetto ai temi trattati da Manzoni, con la totale esclusione di ciò che invece gli stava più a cuore.

[05:50] – Angela: «I bravi. Sono davvero esistiti?
Beh! Bisogna dire che, in questo, il Manzoni è molto preciso.
I bravi esistevano effettivamente in quell’epoca. E questo strano nome – bravi – deriva dal latino “pravus”, che significava malvagio, cattivo. Ed effettivamente si vestivano in quel modo. E agivano in quel modo. E in questo Manzoni è molto preciso.
E lo scopriremo nel corso della puntata, in ogni dettaglio del romanzo. Beh! lui ha fatto delle ricerche e ha quindi delle descrizioni che sono, più che da romanzo, veramente da libro di storia.
»

In sequenza vengono mostrati:

uno spezzone da “Pain&Gain”, il filmetto americano di ottava categoria di un paio di anni fa, con il massiccio Dwayne Johnson che picchia tutti (un promo a favore della peggiore produzione cinematografica mondiale, di cui non si sentiva il bisogno);
.
spezzoni dal filmato di Nocita (quello costato 3 miliardi di vecchie lire – 5 milioni di Euro – con Sordi, Lancaster, ecc.) da ricordare unicamente per una buona cura nei costumi.

Con l’idea forse di rientrare nel tracciato, la trasmissione ci propone alcune animazioni cromatiche su disegni di faccine di “bravi”, che ricordano vagamente (molto vagamente) le illustrazioni dell’edizione 1840 de “I Promessi Sposi”.

Da questa sequenza RAI3-ANGELA il telespettatore può farsi l’idea che a Manzoni interessasse molto il problema dell’acconciatura e dell’abbigliamento dei bravi. È così?

O è una rappresentazione deformante di RAI3-Angela ai danni del pensiero e del romanzo di Manzoni? Vediamo.

Le due categorie dei “bravi” del Seicento per Manzoni:
— prepotenti pronti a tutto e buoni a nulla
— professionisti della violenza, al servizio della nobiltà indipendente.

Nelle prime battute del romanzo Manzoni attira l’attenzione sul discorso “bravi”, citando le grida governative per due ragioni:

a) mostrare l’impotenza del dettato di qualsiasi legge o direttiva se non si va alla radice materiale dei problemi;
.
b) mostrare come proprio da questa impotenza delle leggi “astratte” nasce l’arbitrio giuridico-poliziesco.

Leggiamo Manzoni:

Sul primo punto — ossia l’impotenza delle leggi se non si va alla radice materiale dei problemi — così Manzoni scrive ne “I Promessi Sposi”, pag. 21 (nell’edizione Redaelli del 1840, come sempre di seguito):

«Ora, quest’impunità minacciata e insultata, ma non distrutta dalle gride, doveva naturalmente, a ogni minaccia, e a ogni insulto, adoperar nuovi sforzi e nuove invenzioni, per conservarsi.
.
Così accadeva in effetto; e, all’apparire delle gride dirette a comprimere i violenti, questi cercavano nella loro forza reale i nuovi mezzi più opportuni, per continuare a far ciò che le gride venivano a proibire.
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Potevan ben esse inceppare a ogni passo, e molestare l’uomo bonario, che fosse senza forza propria e senza protezione; perché, col fine d’aver sotto la mano ogni uomo, per prevenire o per punire ogni delitto, assoggettavano ogni mossa del privato al volere arbitrario d’esecutori d’ogni genere.
.
Ma chi, prima di commettere il delitto, aveva prese le sue misure per ricoverarsi a tempo in un convento, in un palazzo, dove i birri non avrebber mai osato metter piede; chi, senz’altre precauzioni, portava una livrea che impegnasse a difenderlo la vanità e l’interesse d’una famiglia potente, di tutto un ceto, era libero nelle sue operazioni, e poteva ridersi di tutto quel fracasso delle gride.»

Come è “preciso” Manzoni!

Non può esservi efficacia della legge formale se l’impalcatura politico-sociale complessiva non è ben definita e consolidata.

È un discorso che Manzoni fa a prescindere dal Seicento e che riprenderà nel suo “La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859”.

Un discorso che è alla base anche della sua scelta a favore del Regno d’Italia nel 1861 e poi del trasferimento della capitale a Roma, in lotta aperta con il potere temporale del Vaticano.

Su quest’ultimo punto una riflessione semi-umoristica. Al [3:50] Angela dice di Manzoni: «Era contro il potere dei Papi.» Al conduttore è sfuggito il dettaglio del “temporale”, una inezia, visto che su questo in Italia ci si è divisi e odiati per sessant’anni (e la soluzione del 1929 è stata tra le peggiori possibili – Manzoni sarebbe inorridito).

Sul secondo punto – dall’impotenza all’arbitrio – (pag. 14, a commento della Grida del 12 aprile 1584):

«Che qualsivoglia persona, così di questa Città, come forestiera, che per due testimonj consterà esser tenuto, e comunemente riputato per bravo, et aver tal nome, ancorchè non si verifichi aver fatto delitto alcuno … per questa sola riputazione di bravo, senza altri indizj, possa dai detti giudici e da ognuno di loro esser posto alla corda et al tormento, per processo informativo…. et ancorchè non confessi delitto alcuno, tuttavia sia mandato alla galea, per detto triennio, per la sola opinione e nome di bravo, come di sopra.»

Con queste poche parole Manzoni sottolinea l’impotenza della legge ma insieme il suo carattere vessatorio quando non riposi su un potere condiviso.

Una legge impotente verso i forti ma base formale efficacissima per sanguinari attacchi ai deboli, come nel caso dei due disgraziati, Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora, condannati come untori sulla base di accuse del tutto casuali e solo “di opinione”.

Cosa dice invece RAI3-Angela a partire da queste riflessioni che Manzoni propone al lettore già alle prime pagine del romanzo?

Nulla! RAI3-ANGELA ignorano assolutamente questo aspetto (cancellano cioè il senso dell’intero romanzo) e richiamano invece l’attenzione del telespettatore su una questione veramente da nulla – l’acconciatura dei bravi.

Ma per sopra mercato, anziché mostrarci i disegni voluti da Manzoni per l’edizione 1840 del romanzo (magari con qualche giochino cromatico a ravvivare la trasmissione), Angela ci presenta alcuni disegni con faccine di bravi firmate da Giuseppe Rava, che ricordano vagamente quelle volute da Manzoni.

Purtroppo però queste faccine non solo sul piano artistico non dicono proprio nulla di più rispetto ai disegni prodotti da Gonin e compagni con la ferma direzione di Manzoni (non ce ne voglia Rava, un grafico dei giorni nostri specializzato in illustrazioni di ambientazione militare, che sappiamo essere un apprezzato professionista).

Sul piano della grafica quelle illustrazioni di Manzoni-Gonin (oltre 400, e allora una vera novità), realizzate dopo accurate ricerche iconografiche e con costi altissimi, avevano detto probabilmente tutto ciò che c’era da dire sull’argomento.

Ma le faccine proposte da RAI3-ANGELA sono nettamente fuori registro soprattutto per il contenuto.

Manzoni raffigura i suoi bravi non dal parrucchiere, come fanno RAI3-ANGELA, ma in azione.

I bravi de “I Promessi Sposi” sono infatti mostrati in una delle funzioni centrali per gli sgherri di ieri e di oggi: apparire sempre e comunque temibili (vi proponiamo a lato alcune illustrazioni, come ce le ha conservate l’utile «Immagini manzoniane: bozze delle illustrazioni per l’edizione de “I Promessi sposi” del 1840», a cura di Guido Mura e Michele Losacco).

Naturalmente i bravi di Manzoni minacciano inermi e fragili cittadini: un sacerdote pauroso per scelta; il console-contadino del paese appoggiato alla sua zappa; un semplice oste. I minacciati sono mostrati a evidenza come anche fisicamente non in grado di opporsi loro in alcun modo.

I minaccianti invece sono grandi grossi e con le facce sempre burbere – a guardarle par di sentire anche la voce pesante degli omaccioni e il tono sempre brusco e pronto all’ira.

Naturalmente, nonostante questa loro imponenza rispetto ai deboli, gli sgherri che Manzoni ci mostra sono bravi di “seconda scelta”, buoni solo per il lavoro di bassa lega, come appunto intimorire chi non può neppure rispondere.

Perché Manzoni, parlando dei bravi, utilizza nel romanzo due distinti registri, riflettendo la realtà storica – questa volta sì, ma RAI3-ANGELA non se ne è accorto.

Certo! perché negli anni tra metà ’500 e metà ’600 i bravi potevano esser divisi in due distinte categorie.

Da un lato i veri professionisti della forza e della violenza sistematica.

Erano in gran parte soldati di mestiere, già nei ruoli delle tante “bande” del Rinascimento italiano spazzate dai più moderni eserciti d’oltralpe e rimasti quindi a spasso. Erano impiegati per le azioni di gruppo, quando c’era da opporsi anche alla forza pubblica.

Fra di loro naturalmente anche spadaccini di talento, addetti al reparto ”omicidi mirati”, per eliminare gli avversari anche alla luce del sole, magari col pretesto dell’onore.

Dall’altro lato invece le mezze figure della sopraffazione “quanto basta”.

Ladri, truffatori, ruffiani, a disposizione per azioni di intimidazione o per piccole risse occasionali, al soldo di chiunque potesse pagare e volesse fare il prepotente in ambienti ristretti, come Don Rodrigo.

Questi bravi da osteria appena appena trovavano qualche resistenza se la davano a gambe e venivano anche presi a bastonate dai bravi di prima classe che non amavano quei cialtroni che attiravano troppo l’attenzione della polizia per questioni da nulla.

È questa seconda scelta della delinquenza che Manzoni rappresenta nei bravi di Don Rodrigo, incapaci anche di rapire una ragazza, e spaventati come galline dal solo suono di una campana, come nella famosa “notte degli imbrogli”.

Manzoni usa il registro del comico per fare meglio emergere il drammatico.

I bravi guidati dal Griso sono della stessa pasta di Don Rodrigo, una mezza figura anche come sopraffattore, pronto a tutto al tavolo da pranzo ma buono a nulla nei fatti e scopertamente sempre timoroso e ossequiente della legge, con solo qualche mediocre “fuori registro” dettato da intemperanza.
Un aspirante violentatore che per il rapimento dell’oggetto dei suoi desideri non riesce che ad aprire la borsa per pagare chi gli risolva il problema: i veri bravi.

È chiaro! i bravi di prima scelta – nel romanzo e nella storia vera – sono infatti quelli dell’Innominato. E lo stesso Innominato è lui stesso un bravo di prima qualità: assassino e violento ma anche socialmente ben piazzato; non solo capo-banda ma anche autorevole comandante, con esperienza e mentalità da militare quando occorra.

Ma basta su questo aspetto e sui suoi risvolti da “barbieria” e passiamo a un diverso argomento.

Idee superate di RAI3-ANGELA sull’etimologia del lemma “bravo”. Le cose sono sempre più complicate di quanto appare a prima vista.

Rileggiamo una frase dell’intervento di Angela riportato all’inizio:

«Bisogna dire che, in questo, il Manzoni è molto preciso. I bravi esistevano effettivamente in quell’epoca. E questo strano nome – bravi – deriva dal latino “pravus”, che significava malvagio, cattivo. Ed effettivamente si vestivano in quel modo. E agivano in quel modo. E in questo Manzoni è molto preciso

L’ipotesi etimologica di RAI3-ANGELA inserita tra quelle due frasi reiterate – «Manzoni era molto preciso» – potrebbe indurre lo spettatore a ritenere che quella stessa ipotesi etimologica fosse condivisa da Manzoni.

È così? O si tratta di una semplice suggestione?

Manzoni ne “I Promessi Sposi” non fornisce alcuna idea sull’etimologia della parola “bravo”. Semplicemente la utilizza (una settantina di volte, al singolare e plurale, per indicare i “bravi-sgherri”).

Manzoni si limita a scrivere che “bravi“ vi erano nel 1583 (prima Grida da lui citata) e che “bravi“ vi erano nel 1632 (undicesima Grida citata).

E neppure richiama il lettore a una apparente “stranezza”: egli stesso nel romanzo utilizza infatti la parola “bravo” (una trentina di volte) nel senso che è oggi in uso e che cominciò ad apparire a partire dalla metà del ’700: “bravo giovane”, “bravi signori”, “eh bravo”, ecc. Proprio al contrario del significato che la parola aveva ai primi del Seicento e che lo stesso Manzoni utilizza per indicare gli sgherri dei signori, di prima o seconda scelta che fossero (su questo vedi più avanti la nostra citazione del Professor Patota).

E quindi l’etimologia proposta da Angela («deriva dal latino “PRAVUS”, che significava malvagio, cattivo») è da considerarsi un contributo originale di RAI3 alla cultura del pubblico del sabato sera, del tutto estranea a Manzoni.

Il che sarebbe da apprezzare se Angela non avesse fatto un’affermazione apparentemente precisa ma per niente scontata, essendovi sull’etimologia della parola “BRAVO” altre ipotesi.

Per esempio quella sostenuta dal professor Giuseppe Patota (Ordinario di Linguistica Italiana presso l’Università di Siena) che a questa parola ha dedicato un libro di 133 pagine (Il Mulino, 2016) nel quale suggerisce come origine “BARBARU (M)>BRAVO” con un discorso la cui lettura è un dovere/piacere sia per la varietà degli argomenti trattati sia per la leggerezza della parola, unita a un solido impianto scientifico.

da Giuseppe Patota, «Bravo!»

(pag. 36 e succ.): «Il termine ha il suo antecedente nel latino BARBARUS ‘straniero’, che a sua volta riflette il gr. βαρβαρος [bàrbaros] ‘straniero, incivile’ e che naturalmente ha dato origine, come è facile intuire, anche a barbaro.

Il Lessico Etimologico Italiano c’informa che barbaro è attestato, sia come aggettivo sia come nome, dalla seconda metà del Duecento in testi d’area toscana, mediana (cioè dell’Italia centrale senza la Toscana) e meridionale, e dai primi del Trecento in testi d’area settentrionale. Sulla sua valenza generalmente negativa (o, se si preferisce, non positiva) negli usi antichi e anche moderni, i dizionari storici e quelli dell’uso non lasciano spazio a dubbi. Presso i Greci dell’antichità, e in seguito presso i Romani, l’antecedente greco e latino di barbaro indicò lo ‘straniero’ che non apparteneva alla loro stirpe e civiltà e che, in quanto straniero, era da una parte rozzo e incivile (a), dall’altra crudele e feroce (b); entrambe queste serie di significati dal greco e dal latino passarono, insieme ad altre, agli antichi volgari italiani ed europei.

Bravobarbaro, dunque, sono parole sorelle: sicché non meraviglia che la prima, nella sua storia remota, abbia condiviso con la seconda la valenza negativa dell’antecedente greco e latino.

Che differenza c’è, in termini di fonetica storica, tra una parola e l’altra? Bravo è una voce cosiddetta «popolare»: presente nel latino parlato, ha subito le trasformazioni tipiche di una parola passata di bocca in bocca, di luogo in luogo, di generazione in generazione; barbaro, invece, è una voce cosiddetta «dotta»: assente dal latino parlato, è rimasta depositata per secoli nei soli testi latini scritti (storie, cronache, poesie, ecc.) ed è stata assunta direttamente nei testi italiani antichi ad opera di scriventi che l’avevano trovata nei testi latini.

La storia fonetica di barbaro è trasparente. Passando dal latino scritto all’italiano, la parola ha mantenuto la forma fonica originaria, adattando semplicemente la sua parte finale — tecnicamente, i morfemi –o, –a, –i, –e, distintivi del maschile, del femminile, del singolare e del plurale — alla morfologia dell’italiano.

Come si è arrivati, invece, da BARBARUSbravo? L’ipotesi ricostruttiva avanzata da Jules Cornu (16) e accolta da quasi tutti i filologi romanzi — perché di ipotesi si tratta: le forme che riporto non sono documentate in testi scritti, e perciò sono convenzionalmente marcate da un asterisco — propone persuasivamente questi passaggi:
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– da BARBARU(M), per sincope della a postonica (= caduta interna della a collocata dopo la sillaba accentata), si è avuto *BARBRU;
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— *BARBRU è diventato *BABRU per dissimilazione: dato che pronunciare la sequenza rbr era difficile, i parlanti hanno lasciato cadere la prima [r];
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— *BABRU è diventato *BRABU per metatesi, cioè per un’inversione della posizione dei due fonemi [b] e [r], anche questa dovuta all’esigenza di rendere più agevole la pronuncia della parola;
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— il passaggio a [v] della [b] intervocalica di *BRABU (= *BRABU > *bravu) è un indebolimento articolatorio noto agli studiosi come «spirantizzazione dell’occlusiva labiale sonora intervocalica»: lo stesso che da parole latine come BABA(M), PLEBE(M), AMABA(T) ecc. ha portato alle voci italiane bava, pieve, amava ecc.;
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— la -u di *bravu è diventata o, dando bravo: nel cammino che dal latino ha portato all’italiano, questo è un passaggio comune a tutte le parole terminanti con questa stessa u non accentata, come per esempio LACU(M), LUPU(M), AMICU(M), che hanno dato lago, lupo, amico.

La ricostruzione che ho appena presentato, benché non documentata direttamente, è difficilmente confutabile. Esistono ipotesi alternative, come quella proposta da Jakob Malkiel, che parte da un prototipo germanico *braw, forma espressiva che evocherebbe il grido di guerra di invasori feroci, ma si sono dimostrate infondate.

Il doppio cammino di BARBARUS non ha riguardato soltanto le antiche lingue d’Italia, anzi: in altre varietà romanze i continuatori del latino volgare *BRABU sono attestati anche prima che nelle nostre. Il castigliano ha bravo dal 1030; il provenzale ha brau dalla seconda metà dell’XI secolo; il portoghese documenta bravo dal 1124; il catalano presenta brau dal 1284. Specularmente, la parola barbarus assunse, nel latino tardo e medievale, i vari significati di cui i succedanei di *brabus si fecero portatori in quasi tutta l’Europa romanza.

Lo scarto di centocinquant’anni fra il provenzale e l’italiano ha fatto ritenere ad alcuni studiosi che l’italoromanzo bravo sia un prestito dal provenzale brau. Su questo punto non so pronunciarmi: è un’ipotesi possibile, ma è altrettanto possibile che il nostro bravo sia il diretto succedaneo di *BRABU in area italiana, che peraltro è l’unica in cui l’aggettivo è usato molto per tempo anche in riferimento a esseri umani: nelle altre lingue neolatine menzionate, infatti, fino al Quattrocento, la parola si usa solo in riferimento ad animali (nell’accezione di ‘feroce’), a piante (nell’accezione di ‘selvaggio’) e a terreni (nell’accezione di ‘incolto’).»

Nelle 133 pagine del libro di Patota dedicato al lemma BRAVO non si rinviene neppure una citazione dell’ipotesi “PRAVUS>BRAVO”, proposta da RAI3-ANGELA.

Sollecitato da un insegnante di Lecco (insieme lettore del libro del professore e telespettatore di Angela) che chiedeva lumi utili ai suoi allievi, Patota in una comunicazione privata ha risposto:

«Gentile dottore, l’ipotesi di una derivazione di bravo da “pravus” (originariamente sostenuta da vari etimologisti) va scartata, oltre che per le ragioni storico-culturali che fanno preferire la trafila BARBARU(M) > BRAVO, anche per il semplice fatto che la sonorizzazione dell’occlusiva labiale sonora in posizione iniziale (la P di PRAVUS) non trova spiegazione. Buon lavoro.»

Non avendo in materia alcuna competenza qui ci fermiamo. Rilevando solo come dietro ogni manifestazione dell’agire umano vi siano competenze vaste e raffinate, fondamentali per cercare di capire in che mondo viviamo.

E che, quindi, argomenti solo apparentemente marginali non si possono liquidare con sbrigativi accenni definitori – almeno per prudenza bisognerebbe prevedere diverse elaborazioni.

Veramente in conclusione ci chiediamo con curiosità perché Angela, nella sua trasmissione dedicata al “mondo dei Promessi Sposi”, del professor Patota, oggi punta di lancia dell’italianistica italiana e degli studi linguistici su Manzoni, non abbia neppure citato il libro già ricordato che dal marzo 2016 è bene in vista in tutte le librerie d’Italia.