I riscontri alla nostra analisi
A seguito della nostra analisi sulla mostra “Ottocento Lombardo” (Lecco, 20 ottobre 2018 – 20 gennaio 2019) si sono avute prese di posizione.
Alcune scomposte (una letterina solo insultante e minacciante della curatrice della mostra).
Altre di corretto dibattito culturale, veicolate attraverso due giornali locali che vi hanno dedicato spazio con lodevole spirito di cronaca.
A tutti abbiamo dato risposta:
- a Simona Bartolena con “Miscere utile dulci”;
- a “La Provincia di Lecco” con la lettera aperta «Al di “qua” e al di “là” del Resegone. Il vantaggio di essere “provinciali”, per l’innovazione.»;
- a “Il Giornale di Lecco” con la lettera aperta all’Assessore Piazza: «Grazie per il “grazie”. Ma imbocchiamo una miglior via.»
Senz’appello la bocciatura della mostra «Ottocento lombardo» allestita dal 20 ottobre a Palazzo delle Paure. Il giudizio è del Centro Studi Abate Stoppani, a conclusione di una puntigliosa disamina lunga ventisette capitoli. Fabio Stonpani, nipote dell’illustre geologo lecchese, l’ha inviata come lettera aperta al sindaco e all’assessore alla Cultura Simona Piazza. La quale replica confermando la piena fiducia agli organizzatori e alla curatrice della mostra. (a pagina 4)
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LA POLEMICA — Lettera aperta a sindaco e assessore dal Centro Studi Abate Stoppani sull’evento a Palazzo delle Paure.
L’erede di Stoppani stronca la mostra: «Avulsa, anonima e azzoppata da errori» La polemica Lettera aperta a sindaco e assessore dal Centro Studi Abate Stoppani sull’evento a Palazzo delle Paure.
La stroncatura è a dir poco puntigliosa. Articolata in cinque sezioni e ventisette capitoli, spacca il capello in quattro a dimostrazione che la mostra «Ottocento lombardo», ospite dal 20 ottobre scorso a Palazzo delle Paure, sarebbe «un’occasione sprecata». Il severo e implacabile recensore è Fabio Stoppani, pronipote di Giovanni Maria che fu fratello minore del più celebre Antonio, scienziato geologo, cui è intitolato il Centro Studi Abate Stoppani. La valutazione critica, non benevola, è stata espressa con una lettera aperta indirizzata al sindaco Virginio Brivio e all’assessore alla Cultura Simona Piazza, «per favorire un’auspicabile correzione di rotta per le prossime manifestazioni in programma» l’intento dichiarato. «Visitata attentamente la mostra, analizzati gli strumenti di comunicazione approntati per la sua promozione e svolgimento, ci sembra di potere affermare con sicurezza che gli orientamenti di sindaco e assessore sono stati drasticamente disattesi dagli organizzatori e dalla curatrice» afferma il recensore Stoppani. Ricordando che, all’inaugurazione dell’evento, era stata evidenziata «la necessità di valorizzare il patrimonio artistico presente nei musei della città, nonché la sua esperienza culturale, anche in campo letterario». Secondo Stoppani la ViDi srl, società che ha organizzato la mostra di pittura e scultura curata da Simona Bartolena, avrebbe invece fatto altro. Per la cronaca, «Ottocento Lombardo» è la seconda «grande mostra», dopo quella fotografica dedicata a Robert Doisneau, che il Comune affida a ViDi con l’obiettivo di inserire Lecco in un più ampio circuito di esposizioni a carattere culturale. Il contratto con scadenza 2020) ne prevede altre quattro.
«Una mostra senza fisionomia. Avulsa dalla cultura di Lecco, azzoppata da grossolani errori» il giudizio sintetico di Stoppani. Che articolato in «cinque punti» (in realtà sono sei) suona non meno spietato: «Solo velati accenni a Manzoni e ai Promessi Sposi – si rileva – Amnesia inspiegabile su pilastri della cultura lecchese dell’Ottocento quali lo scrittore Ghislanzoni e i pittori Todeschini e Pizzi. Neppure una parola sui tanti rapporti, con Manzoni e la sua opera, di molti degli artisti esposti. Silenzio tombale sulla rassegna annuale “Lecco città dei Promessi Sposi” 2018 a metà del cui svolgimento è stata inaugurata l’esposizione “Ottocento Lombardo”. Una mostra quindi anonima; astratta rispetto all’esperienza culturale di Lecco; inadeguata a richiamare l’attenzione sulla città. Di tutta evidenza concepita e realizzata senza l’indispensabile apporto degli esperti della cultura del territorio».
Stoppani affonda la lama quando rileva che a Milano si sta contemporaneamente svolgendo la mostra «Romanticismo» che si sovrappone in parte a quella di Lecco. Hayez è protagonista in entrambe, ma mentre a Milano si dà rilievo in un’apposita sezione alle tele di argomento manzoniano, «a Lecco “città dei Promessi Sposi” ciò è stato appositamente escluso per ragioni inconoscibili». «Ci troviamo di fronte a una impressionante manifestazione di dissociazione culturale che ha coinvolto Amministrazione comunale, organizzatori e curatore storico-artistico della mostra» sentenzia Stoppani con riferimento al mancato collegamento della mostra alla rassegna pure in corso «Lecco Città dei Promessi Sposi». Quanto ai «grossolani errori», Stoppani ne rileva sia nel materiale promozionale e a corredo della mostra, sia nell’esposizione («Un incredibile scambio di quadri nel percorso e nello pseudo-catalogo, pasticci sulla Terza Guerra di Indipendenza»). Dulcis in fundo, Stoppani evidenzia a pagina 7 del catalogo una imbarazzante dimenticanza nella presentazione da parte della società: «Il Presidente di ViDi Srl si guarda bene di dire una sola parola sulla collaborazione con il Comune di Lecco, che consente alla sua società privata di lavorare sul territorio lecchese, fruendo di un prestigioso teatro operativo».
La lunga (ventisette capitoli) nota critica conclude con l’elenco degli studiosi ed esperti che avrebbero potuto dare un contributo positivo e che invece non sono stati interpellati: Gianfranco Scotti, Aloisio Bonfanti, Angelo Borghi, Barbara Cattaneo, Francesco D’Alessio, Gian Luigi Daccò, Pietro Dettamanti, Marco Maggioni, Annibale Rota, Tiziana Rota, Marco Sampietro, Giovanna Virgilio.
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La feroce premessa
«“Ottocento Lombardo” Questa la scritta che è possibile leggere sui manifesti stradali sopra le “Lecco”, “Palazzo delle Paure”, “20 ottobre -20 gennaio”. Di che si tratta? dal manifesto non è dato saperlo. È un festival musicale? Un ciclo di lezioni? Un corso di specializzazione post-laurea? Un componimento teatrale? In che anno si svolge? Dalla comunicazione destinata al pubblico — manifesti, totem, annunci Web, catalogo ufficiale, pannelli informativi — non è dato saperlo». Questa la premessa con cui Fabio Stoppani del Centro studi Abate Stoppani demolisce la mostra di pittura in corso a Lecco.
(A sinistra, Simona Bartolena, curatrice della mostra, e Simona Piazza, assessore alla Cultura.)
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L’assessore l’ha presa con filosofia
«Pur che se ne parli, grazie Stoppani»
Vale la massima andreottiana: «L’importante è che se ne parli». L’assessore alla Cultura Simona Piazza sembra aver preso con (ironica) filosofia la stroncatura del concittadino Fabio Stoppani. La mostra di ViDi e Simona Bartolena disattende indirizzi e aspettative dell’Amministrazione comunale? «Riconfermiamo piena fiducia a ViDi, sia per l’organizzazione dell’evento sia per la validità del suo impianto scientifico. Siamo soddisfatti del risultato. L’obiettivo non era quello di rendere omaggio a Manzoni, quanto di proiettare Lecco fuori dai suoi consueti confini territoriali» dichiara l’assessore. Dedicando al meticoloso detrattore della mostra in corso a Palazzo delle Paure un sagace ringraziamento: «Anzitutto gli invidio questa sua capacità di analisi del dettaglio, che forse gli però ha un po’ precluso il bello della mostra nella sua totalità. Ringrazio ad ogni modo Stoppani: con il suo intervento ha offerto all’evento nuova visibilità sui media». Purché se ne parli, appunto…
Quanto ai lamentati grossolani errori: «L’Amministrazione comunale non ha competenza al riguardo, ogni riferimento fa capo a ViDi e alla curatela scientifica».
Milano, 20 novembre 2018
Oggetto: Grazie per il “grazie”. Ma imbocchiamo una miglior via.
Gentile Assessore Piazza,
in uno spazio-intervista all’interno dell’articolo «II Centro studi intitolato allo scienziato boccia l’Ottocento lombardo commissionato dal Comune.» (“Il Giornale di Lecco”, 19 c.m.), il giornalista Le attribuisce alcune frasi tra cui: «Ringrazio ad ogni modo Stoppani: con il suo intervento ha offerto all’evento nuova visibilità sui media […]».
Dati i toni non proprio commendevoli (“verificheremo con i nostri avvocati”, ecc.) con cui lo scorso anno Lei aveva accolto le nostre osservazioni sulla app del Comune dedicata ai luoghi manzoniani, e le recenti invettive minaccianti della curatrice Bartolena, ho molto apprezzato queste sue attuali parole di normale buon senso e La ringrazio seriamente per il suo “grazie” al nostro lavoro di analisi.
Lei mi consentirà però di rilevare che il problema non sta nei ringraziamenti o meno al nostro Centro Studi ma nel come possiamo tutti insieme contribuire allo sviluppo culturale di Lecco.
Sotto questo profilo ci sembrano inadeguate altre Sue parole, riportate dal giornalista: «Riconfermiamo piena fiducia a ViDi, sia per l’organizzazione dell’evento sia per la validità del suo impianto scientifico» e [quanto ai grossolani errori] «L’Amministrazione comunale non ha competenza al riguardo, ogni riferimento fa capo a ViDi e alla curatela scientifica.»
Innanzitutto è opportuno ricordare che responsabile di ciò che avviene attorno alla cultura della città – nel bene e nel male – non è la perfettamente sconosciuta società a responsabilità limitata di Milano “ViDi” (organizzatore e incassatore dell’evento) né la curatrice artistica Simona Bartolena ma è il Sindaco Brivio, Lei come Assessore alla cultura, più in generale l’intera Giunta.
In proposito, la Sua frase «L’Amministrazione comunale non ha competenza al riguardo, ogni riferimento fa capo a ViDi e alla curatela scientifica.» non ci lascia tranquilli.
Lei ha già chiesto l’intervento della curatrice quanto meno per rimediare al quadro erroneamente titolato? per l’inserimento nello pseudo-catalogo di un “errata corrige”? per la sostituzione dei cartoncini fasulli (già che si è in ristampa, con l’inserimento dell’anno di svolgimento?); per la realizzazione di una locandina fatta come si deve da apporre davanti a Palazzo delle Paure, alla biblioteca Pozzoli e negli altri centri di aggregazione quanto meno in quelli di gestione del Comune?
Inoltre, riconosciuto (come da noi mostrato e da nessuno smentito) che nella gestione dell’evento vi sono stati gravi errori, chi risarcirà Lecco per il danno che tali errori hanno già portato (e continueranno a portare) all’immagine della città di Manzoni?
In merito a ciò, nel contratto con cui il Comune ha assegnato la gestione degli eventi espositivi alla società ViDi Srl (che incassa direttamente tutti gli introiti derivanti dall’evento) è stata prevista una adeguata penale in caso di errori o inadempienze?
Se sì, a quanto ammonta questa penale? e in che modo Lei intende valersene?
Lei comprenderà che sarebbe veramente triste se qualcuno pensasse di cavarsela con una trita frasina del tipo “ma loro ci rimettono la faccia!”.
Alla città non interessa nulla della faccia dell’amministratore o del presidente di una qualsiasi società a responsabilità limitata come ViDi o della curatrice artistica Bartolena — sono fatti loro.
A Lecco interessa che la propria storica fisionomia di città di Manzoni e de “I Promessi Sposi” non finisca in uno squallido cestino per l’insipienza e la superficialità di chicchessia.
E curare che ciò non avvenga è previlegio e dovere in primo luogo Suo, come Assessore alla cultura, e del Sindaco — non è possibile, pilatescamente, lavarsene le mani.
In secondo luogo, ci sembra che Lei, confermando «piena fiducia a ViDi, sia per l’organizzazione dell’evento sia per la validità del suo impianto scientifico» non abbia in realtà compreso il senso della nostra analisi e quindi ci abbia dato un “grazie” viziato da incoerenza.
Quello che Lei definisce “impianto scientifico” della mostra è banalmente la cancellazione di qualsiasi riferimento a Manzoni e a Lecco in una mostra in cui non solo il nostro grande scrittore e la sua/nostra città potevano trovare una perfetta e coerente collocazione ma dare alla mostra stessa una qualità irraggiungibile da qualunque altra mostra sull’Ottocento lombardo che si potesse immaginare.
Nella nostra analisi abbiamo appositamente voluto esporre anche in dettaglio i debiti di almeno quattordici artisti presenti in mostra nei confronti direttamente di Manzoni, del suo romanzo e dello stesso territorio di Lecco.
È attraverso la valorizzazione di questi elementi che si sarebbero potuti attrarre visitatori dalle altre città della Lombardia. Non bisogna essere premi nobel per comprendere questa banalità.
E allora perché ci si è mossi esattamente al contrario, ignorando nella mostra ogni riferimento strutturato a Manzoni e cancellando del tutto Lecco, la città di Manzoni?
La risposta la troviamo sempre nelle Sue parole, riportate dal “Giornale di Lecco”: «L’obiettivo non era quello di rendere omaggio a Manzoni, quanto di proiettare Lecco fuori dai suoi consueti confini territoriali».
Ma ci scusi, Assessore Piazza, che significa questa frase?
Che c’entra l’omaggio a Manzoni? e perché il richiamo a Manzoni dovrebbe essere contraddittorio al portare “Lecco fuori dai suoi confini territoriali”?
È vero proprio il contrario!
L’idea di una mostra focalizzata sull’Ottocento lombardo per attrarre l’attenzione su Lecco, poteva essere vincente.
Ma è solo valorizzando il contributo diretto di Manzoni allo sviluppo dell’arte figurativa dell’Ottocento, in Lombardia e in tutto il nostro paese — un tema bellissimo, crediamo mai da nessuno affrontato sistematicamente in una pubblica esposizione — che questa buona idea avrebbe potuto trasformare la mostra in un evento di successo, proprio per la sua unicità.
E non farla apparire come una pallida imitazione di analoghe iniziative che si svolgono contemporaneamente altrove – per esempio a Milano con la mostra “Romanticismo”, in gran parte sovrapponibile a quella di Lecco – ma con ben altri mezzi ed elementi attrattivi (non necessariamente condivisibili — ma da non trascurare — come la scintillante scenografia delle grandi sale e il confortevole bar alle ricche “Gallerie d’Italia”).
Solo attraverso il richiamo a Manzoni — ma solido, basato su documenti, con un bell’impianto informativo, e senza pacchiani errori da asilo della comunicazione — si poteva fare di questa mostra un vero faro su Lecco.
Per chiudere, ci consenta di considerare che la Sua frase, gracile sul piano logico, è però chiaramente espressiva di un retro-pensiero che pervade da anni la gestione culturale della città: che parlare di Manzoni sia in fondo una cosa ormai da “provinciali”, che sa di vecchio, da cui bisogna piano piano staccarsi, per dare spazio a un qualche altro valore — di cui però nessuno sa indicare neppure i lontani contorni.
È quanto vogliono certi spiriti forti che vorrebbero usare la parola “provinciale” come un manganello, cercando di accreditarsi come unici portatori di valori “di alto profilo”.
Attenzione: è un manganello di bambagia brandito da “anziani” o “giovani anziani“ (per l’anagrafe ci siamo dentro anche noi) non più adatti al pugilato.
Se un tempo “provinciale” poteva indicare correttamente realtà più arretrate e chiuse, oggi — nell’epoca della globalizzazione — ciò non solo non è più vero ma è volutamente mistificatorio.
È solo valorizzando le rispettive specifiche radici culturali che le tante parti del nostro paese possono oggi delineare un grande e innovativo quadro di insieme, presupposto per il confronto con le culture dell’intero pianeta.
Quindi, Assessore, Lei che non è né sciocca né incolta, rifletta su questi aspetti e li affronti in modo conseguente: avrà così l’appoggio della parte più consapevole della città.
Cordiali saluti.
Fabio Stoppani
Centro Studi Abate Stoppani
LA PROVINCIA / Lecco / pag. 19 / VENERDÌ 16 NOVEMBRE 2018
Stoppani stronca la mostra
«C’è troppo poco Manzoni»
A Palazzo delle Paure. «Senza fisionomia, avulsa dalla cultura di Lecco».
Ma l’esposizione ha voluto superare una visione riduttivamente cittadina.
GIANFRANCO COLOMBO
Fabio Stoppani, responsabile del Centro Studi Abate Stoppani, è noto per la sua intransigenza quando si parla di Alessandro Manzoni. Nei mesi scorsi ha calato la mannaia contro il Centro Nazionale Studi Manzoniani di Milano, contro il Comune di Lecco, per una app realizzata per promuovere i luoghi manzoniani, ed anche contro Alberto Angela, reo di aver realizzato un programma sui Promessi Sposi dimenticandosi di Lecco.
Questa volta le critiche di Fabio Stoppani sono rivolte alla mostra sull’Ottocento lombardo in corso al Palazzo delle Paure. Il nostro fustigatore la considera «una mostra senza fisionomia, avulsa dalla cultura di Lecco, azzoppata da grossolani errori», insomma per lui è un’occasione persa.
Accenni “velati”
«Nelle loro dichiarazioni di intenti — esordisce nella sua lettera stroncatura — il sindaco di Lecco Virginio Brivio e l’assessore alla cultura Simona Piazza, hanno evidenziato la necessità di valorizzare con questo evento il patrimonio artistico presente nei musei della città nonché la sua esperienza culturale, anche in campo letterario. Visitata attentamente la mostra, analizzati gli strumenti di comunicazione approntati per la sua promozione e svolgimento, ci sembra di potere affermare con sicurezza che gli orientamenti di sindaco e assessore sono stati drasticamente disattesi dagli organizzatori e dalla curatrice».
Ma quali sono le mancanze così gravi che Fabio Stoppani individua in questa mostra? Innanzitutto per Stoppani gli accenni a Manzoni e a “I Promessi Sposi” sono «solo velati»; c’è poi «un’amnesia inspiegabile su pilastri della cultura lecchese dell’Ottocento quali lo scrittore Ghislanzoni e i pittori Todeschini e Pizzi»; in terzo luogo non si accenna ai «tanti rapporti, con Manzoni e la sua opera, di molti degli artisti esposti»; c’è «un silenzio tombale sulla rassegna annuale “Lecco città dei Promessi Sposi” 2018 a metà del cui svolgimento è stata inaugurata l’esposizione “Ottocento Lombardo”».
Ma è tutta un’altra cosa
In conclusione, per Fabio Stoppani, si tratta «di una mostra anonima, astratta rispetto all’esperienza culturale di Lecco; inadeguata a richiamare l’attenzione sulla città» e, inoltre, «concepita e realizzata senza l’indispensabile apporto degli esperti della cultura del territorio».
Osservazioni legittime, ovviamente, ma in questo caso le critiche di Stoppani hanno un peccato originale: la mostra sull’Ottocento lombardo in corso al Palazzo delle Paure non è stata costruita per celebrare Manzoni, l’abate Stoppani o i pittori lecchesi di quel periodo, è proprio un’altra cosa. Prendiamo atto che Fabio Stoppani avrebbe immaginato una mostra diversa, ma una volta tanto la mostra curata da Simona Bartolena ha voluto superare una visione riduttivamente lecchese. Ogni tanto è bene guardare oltre il Resegone e questa mostra lo fa proponendo un percorso di alto profilo.
Lettera a Gianfranco Colombo de “La Provincia di Lecco”
Al di “qua” e al di “là” del Resegone.
Il vantaggio di essere “provinciali”, per l’innovazione.
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Gentilissimo Colombo,
ringraziando Lei e “La Provincia di Lecco” per la cortese attenzione dedicataci, e da sempre apprezzando in Lei il cronista sensibile alla cultura, abbiamo letto con interesse l’articolo a Sua firma del 16 novembre (“Stoppani stronca la mostra. C’è troppo poco Manzoni”) sui commenti del nostro Centro Studi attorno alla mostra “Ottocento Lombardo” (Lecco, 20 ottobre 2018 – 20 gennaio 2019).
In poche righe Lei ha saputo ricordare con efficacia sia la nostra vigile attenzione alle attività “manzoniane” (soprattutto quando malamente gestite) sia esporre l’essenza delle nostre osservazioni alla mostra in questione.
Abbiamo anche apprezzato il tratto cavalleresco con cui da vero gentiluomo e diplomatico del Lario ha preferito non menzionare delle signore Bartolena e Piazza né i grossolani errori da noi evidenziati (scambio dei quadri, dimenticanza dell’anno di svolgimento, fuorvianti informazioni sui contenuti della mostra, inadeguatezza dello pseudo-catalogo, arbitraria titolazione del quadro di Hayez); né le ingiurie e le minacce della Bartolena stessa (“deliranti” le nostre osservazioni; “possibili denunce per diffamazione”), più meno sul medesimo registro delle esternazioni dell’Assessore Piazza (a proposito dei 243 errori da noi rilevati sulla app del Comune), da Lei raccolte nell’articolo-intervista del 13 novembre 2017.
Pur non essendo così diplomatici come Lei, possiamo convenire che si tratta di errori e comportamenti certo gravi ma tutto sommato secondari rispetto alla questione centrale delle strategie da perseguire per la salute culturale della città di Lecco.
E su questo richiamiamo la Sua attenzione.
Probabilmente a causa di nostre inadeguatezze espositive, ci è parso che nel Suo articolo vi sia una certa incoerenza tra premesse e conclusione.
Lei ha correttamente riportato il nostro punto di partenza:
— il Sindaco Brivio e l’Assessore Piazza hanno scritto e detto che la mostra avrebbe valorizzato il patrimonio artistico e anche letterario della Lecco dell’Ottocento.
E ha anche correttamente riportato le nostre deduzioni:
— gli organizzatori e la curatrice della mostra, ignorando del tutto Ghislanzoni, Todeschini, Pizzi (pilastri della cultura artistica dell’Ottocento lecchese) e accennando solo vagamente a Manzoni (figlio-padre di Lecco e pilastro della cultura dell’intera nazione) hanno tradito il mandato di Sindaco e Assessore.
Ha però concluso il suo articolo scrivendo:
«[…] la mostra curata da Simona Bartolena ha voluto superare una visione riduttivamente lecchese. Ogni tanto è bene guardare oltre il Resegone e questa mostra lo fa proponendo un percorso di alto profilo.»
Lei ci consentirà di rilevare una certa sfasatura nella rappresentazione dei diversi soggetti in campo: Brivio e Piazza scrivono e dicono che bisogna valorizzare il patrimonio artistico e letterario lecchese; Bartolena dice che bisogna guardare “oltre il Resegone” e “proporre un percorso di alto profilo” (qualunque cosa ciò voglia dire).
Ricordato che “oltre il Resegone” rispetto a Lecco vi sono solo meravigliose ma deserte montagne (e, in fondo in fondo, la Svizzera), converrà che qualche cosa non ha funzionato tra committente (Comune) ed esecutore (Bartolena).
Tanto più che la stessa Bartolena, ancora a due settimane dall’inizio della mostra, era in grande accordo con il dettato dei committenti. Infatti scriveva in lungo e in largo che nella mostra ci sarebbe stata “una ricca iconografia manzoniana”, di cui però non si è vista traccia.
Evidentemente, per ragioni ignote a noi e forse anche a Lei (ma perfettamente note quanto meno ad altri Assessori — si facessero sentire anche loro ogni tanto!), c’è stato un improvviso cambio di registro nell’intera concezione della mostra, di cui sono tracce evidenti la confusione e la mediocrità nella sua promozione e comunicazione nonché nella stessa sua struttura.
E poi mi consenta di affermare a buon diritto che l’espressione “oltre il Resegone”, sopra riportata, sembra “suonare bene” ma è proprio debolina nei contenuti.
Che significa infatti «superare una visione riduttivamente lecchese […] guardare oltre il Resegone per proporre un percorso di alto profilo»?
A parte che in queste parole c’è l’implicita idea che la realtà “al di qua del Resegone”, ossia Lecco, sia sinonimo di “basso profilo”, secondo Lei (e Bartolena e Piazza, di cui forse Lei ha raccolto il pensiero) Manzoni, rappresentante sommo del patrimonio letterario della città di Lecco e dell’intera Italia, È o NON È una figura di “alto profilo”?
Parlare nell’evento del ruolo di Manzoni nelle arti figurative dell’Ottocento (in modo quindi assolutamente pertinente) ne avrebbe fatto una mostra di “basso profilo”? o non l’avrebbe invece posizionata a un livello irraggiungibile da qualunque altra iniziativa più o meno concorrente?
E Ghislanzoni? Il geniale autore di tanti libretti di grandissime opere (anche di Giuseppe Verdi), tuttora seguite quotidianamente da milioni di ascoltatori di tutto il mondo, cosa è? È di “alto” o di “basso” profilo?
E i lecchesi Todeschini e Pizzi, considerati unanimemente come eccellenti rappresentanti della pittura dell’Ottocento lombardo, sono di “alto“ o di “basso“ profilo? Porre anch’essi in mostra, la avrebbe resa di “basso” profilo?
Il dire che quattordici dei quaranta artisti presentati alla mostra (d’Azeglio, Hayez, Molteni, Bisi, Gozzi, Cornienti, Cremona, Bertini, Induno, De Albertis, Grandi, Bianchi, Previati) non solo si sono tutti esplicitamente ispirati a Manzoni ma che molti di loro hanno lavorato direttamente con Manzoni o sulle diverse edizioni de “I Promessi Sposi”, cosa è: di “basso” o di “alto” profilo?
Gentile Colombo,
Lei capisce bene che la frase da Lei richiamata sul “di qua“ e “di là” del Resegone, a orecchie un po’ attente, suonano solo come parole in libertà con cui cercare di mettere in ombra errori pacchiani e una debole visione strategica dell’azione culturale.
Come Lei ricorderà, nel caso da Lei citato della nostra critica al disastroso film “A. Manzoni, milanese d’Europa” del Centro Nazionale Studi Manzoniani, il Presidente Angelo Stella cercò infelicemente di cavarsela definendo “provinciali” le nostre osservazioni.
Nell’attuale caso di “Ottocento Lombardo” Bartolena e Piazza ribattono sullo stesso tasto, appellandosi a un “superamento del Resegone” (in opposizione ovviamente a una “visione riduttivamente lecchese”) come garanzia di un “percorso di alto profilo”.
La cosa non è da sottovalutare e ci consenta quindi, per concludere, di avanzare qualche considerazione su questo aspetto.
Da questo episodio di vita lecchese possiamo dedurre che alcuni ritengono che lo sviluppo culturale di Lecco passi attraverso il suo farsi parte indifferenziata di una cultura uniformata (una ruota, identica alle altre, di un treno senza contrassegni, adatto solo a indistinguibili pianure).
Secondo il nostro orientamento (qua e là verbalmente condiviso dagli Amministratori ma disatteso nei fatti) Lecco può invece trovare una nuova strada di sviluppo culturale attraverso la definizione puntuale delle proprie specificità e il ricorso al proprio unico e irripetibile patrimonio artistico e letterario (un treno tutto su misura, con speciali ingranaggi di meccanica culturale, attrezzato per confrontarsi con i territori più diversi).
Alcuni spiriti forti ritengono che il nostro orientamento sia “passatista” e “provinciale”, per l’appunto, contrapposto a una loro visione “attualista” e “universalista”.
“Provinciale” è anzi utilizzato dagli stessi quasi come strumento di offesa; presentato come sinonimo di piccineria intellettuale, miope visione dell’insieme, ecc.
Spesso questi stessi spiriti sono così “forti” da non riuscire ad accorgersi dei mutamenti della realtà, e ce li troviamo sempre più spesso tra i piedi come immobili pietre.
In altri momenti storici “provincialismo” può essere stato correttamente individuato nelle sue accezioni negative. Era nella natura dei rapporti reali che le “metropoli”, contrapposte alle “province”, fossero più attive, aperte, pronte a cogliere il nuovo e il progresso.
Oggi questi rapporti reali sono però mutati. La globalizzazione delle relazioni implica il progressivo svuotamento delle “metropoli” e lo speculare progressivo rafforzamento delle “province”.
È un processo inevitabile: le “metropoli” soffrono di anonimato culturale e mancano di radici profonde.
Al contrario, le “province” ne godono ancora e proprio grazie a esse possono contribuire allo sviluppo collettivo con la forza della propria specificità.
Chi non comprende questo processo e le sue implicazioni è destinato al fallimento.
Chi vuole un nuovo sviluppo culturale di Lecco, anziché quasi vergognarsi della propria esperienza — e per dare un contributo serio e costruttivo a un positivo e articolato sviluppo collettivo — dovrebbe scrivere sulle proprie insegne “viva la nostra inconfondibile fisionomia”, “viva la nostra specificità” e soprattutto “viva la provincia di Lecco”.
Con questo (che i maliziosi potranno anche prendere come uno spot a pro’ della Sua testata), un grazie per l’attenzione, un saluto a Lei nonché al direttore Suo omonimo, e un cordiale “alla prossima”.
Fabio Stoppani
Dalla Dottoressa Simona Bartolena a Fabio Stoppani:
Gentile signor Stoppani,
Mi sono molto divertita a leggere le sue deliranti parole. Dopodiché le ricordo che, se non fosse per la palese illogicita delle sue esternazioni, ci sarebbero gli estremi per una denuncia per diffamazione.
La pregherei quindi di pensarci due volte prima di infangare il lavoro di studiosi seri e animati da sincera passione per una materia su cui lavorano con dedizione da anni.
Considero la questione chiusa perché davvero non ho tempo per simili sciocchezze e seguirla su questo terreno è un insulto alla mia intelligenza e a quella di chi ha sostenuto e voluto la mostra di Palazzo delle Paure.
La saluto cordialmente
Simona Bartolena
Da Fabio Stoppani alla Dottoressa Simona Bartolena:
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Alla cortese attenzione:
• Dott.ssa Simona Bartolena
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per conoscenza:
• Dott.ssa Simona Piazza, Assessore alla cultura Comune di Lecco
• Dott.ssa Barbara Cattaneo, Direttrice del Sistema Museale Urbano Lecchese
• a tutti gli interessati allo sviluppo culturale della città di Lecco.
Gentile Dottoressa Bartolena,
il 15 novembre 2018 (ore 14:37) ho ricevuto via e-mail una nota a Sua firma, con parole e taglio molto prossimi all’insulto e alla minaccia, inviata anche alle signore Piazza e Cattaneo.
Lei infatti mi scrive:
«Mi sono molto divertita a leggere le sue deliranti parole. Dopodiché le ricordo che, se non fosse per la palese illogicita [sic!] delle sue esternazioni, ci sarebbero gli estremi per una denuncia per diffamazione.
La pregherei quindi di pensarci due volte prima di infangare il lavoro di studiosi seri e animati da sincera passione per una materia su cui lavorano con dedizione da anni.
Considero la questione chiusa perché davvero non ho tempo per simili sciocchezze e seguirla su questo terreno è un insulto alla mia intelligenza e a quella di chi ha sostenuto e voluto la mostra di Palazzo delle Paure.»
Dal momento che nella Sua nota non è indicato in alcun modo a che cosa Lei si riferisca, presumo che sia una qualche forma di risposta alla Nota critica da me resa pubblica nella giornata di ieri mercoledì 14 novembre, sul sito Web del Centro Studi Abate Stoppani, sulla mostra di pittura e scultura “Ottocento Lombardo” (Lecco, Palazzo delle Paure, 20 ottobre 2018 – 20 gennaio 2019) da Lei curata in collaborazione con la società ViDi Srl, su incarico del Comune di Lecco.
Se così è, mi fa naturalmente piacere di averLe procurato un momento di divertimento (ho sempre cercato di seguire la massima oraziana — Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci / Lectorem delectando pariterque monendo) ma dalle Sue parole mi è rimasto un dubbio: con quale delle mie osservazioni Lei si è maggiormente divertita?
Nella mia nota ho infatti cercato di richiamare — cercando di divertire naturalmente — l’attenzione del lettore su alcune questioni generali attinenti le scelte di politica culturale del Comune di Lecco, invitando a non dimenticare il ruolo importante svolto da Manzoni anche nell’ambito delle arti figurative del nostro Ottocento.
Più nel dettaglio, ho ritenuto opportuno richiamare l’attenzione del lettore su alcuni madornali errori riscontrati in diversi momenti della mostra e della sua comunicazione, di cui ricordo qui solo i più pacchiani:
1. Nel cartellino informativo posto a lato del dipinto e nello pseudo-catalogo della mostra viene indicato come «Gerolamo Induno — Primolano. Un episodio degli scontri tra Piemontesi ed Austriaci, 1865 circa» un dipinto raffigurante né scontri né militari ma, in modo del tutto evidente, un episodio di vita quotidiana.Queste le nostre esatte parole: «Il dipinto raffigura un incidente di viaggio nella stagione invernale: in un percorso innevato, una carrozza si rovescia; contadini con attrezzi di lavoro si affrettano verso il luogo dell’incidente; una passeggera e la piccola figlia, visibilmente scosse, vengono accolte con partecipata simpatia da una paesana.»
2. Nel catalogo della mostra “La Monaca di Monza” (Monza, 2016), in un saggio a Sua firma, si attribuisce a Tranquillo Cremona una fotoincisione di tutta evidenza opera del maestro lecchese Giovan Battista Todeschini.
3. Al dipinto di Hayez (presentato nella mostra di Lecco come una delle opere “Omaggio a Manzoni”) Lei ha attribuito il titolo “La monaca”, senza alcuna motivazione storico-critica e con commenti esplicitamente tesi ad accreditare questo dipinto come la “versione” di Hayez della Signora di Monza descritta da Manzoni.In ciò smentendo il titolo “Monaca” attribuitogli nelle proprie “Memorie” dallo stesso Hayez, che varie altre monache dipinse, senza alcun riferimento a Manzoni e al suo romanzo.
4. In tutti gli strumenti a stampa di promozione e comunicazione dell’evento (manifesti stradali, pannelli e totem a Palazzo delle Paure, cartello di crediti all’interno della mostra; cartoncino informativo; copertina e frontespizio dello pseudo-catalogo) è stato dimenticato di indicare l’anno di svolgimento della mostra.
5. Nel cartoncino informativo della mostra in modo fuorviante si segnala che: «Un’attenzione particolare è riservata all’iconografia manzoniana, assai diffusa in Italia per tutto l’Ottocento», nonostante in mostra non vi sia alcuna iconografia manzoniana.
Nel medesimo cartoncino il logo di Palazzo delle Paure è stato sostituito da un rettangolo bianco; lo stesso per il logo di TreNord, partner dell’evento.
6. In nessun modo — né nello pseudo-catalogo né nei comunicati stampa della mostra — si fa alcun riferimento a “Lecco Città dei Promessi Sposi – 2018”, la rassegna annuale dedicata dalla città ad Alessandro Manzoni, nel pieno svolgimento della quale si è inaugurata la mostra “Ottocento Lombardo” da Lei curata.
Le chiediamo: di queste nostre osservazioni, quale La ha maggiormente divertita?
Come esperta storica dell’arte Lei non avrà certo alcuna difficoltà a risponderci e soprattutto a rispondere nel merito, colmando quelle che evidentemente Lei ritiene essere nostre patologiche lacune culturali.
Ci risponda per cortesia. Ci aiuti, per fare meglio alla prossima occasione.
Per quanto riguarda gli estremi relativi a una possibile denuncia per diffamazione, Le segnalo che nella mia nota ho esposto solo fatti ben definiti senza mai usare in alcun modo nei Suoi confronti espressioni denigratorie. Anzi, mi sono sempre riferito a Lei come “cordiale” ed “esperta nella storia dell’arte”, riportando per esteso tutte le sue frasi oggetto della mia critica.
È Lei invece che si espone al rischio di una denuncia defininendo “deliranti” le mie osservazioni, senza riportare UNA sola delle mie 18.839 parole.
In proposito — comunque — tengo ad amichevolmente suggerirLe che se Lei ritiene di essere stata da me in qualche modo diffamata non solo ha il diritto di ricorrere nelle sedi opportune alla tutela della Sua onorabilità ma ne ha anche il dovere.
In attesa di Sue risposte in merito e di merito, La saluto cordialmente.
Fabio Stoppani