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12 marzo 2017

L’Abate Stoppani e l’assistenza ai feriti nelle tre Guerre di Indipendenza.

«… avendo avuto occasione di assistere centinaia di feriti nelle guerre dell’italiana indipendenza … »

L’Abate Stoppani nel ruolo di probiviro della Croce Rossa, nel corso della III Guerra di Indipendenza del 1866. L’Abate era inquadrato nella Seconda Squadra della Croce Rossa di Milano (comandata dal chirurgo Fumagalli), e aggregato al primo corpo d’armata di Cialdini.

Presentazione della Redazione
Di seguito riportiamo un articolo che il nostro Centro Studi ha trasmesso 12 marzo 2017 a LeccoNews. La testata, diretta da Sandro Terrani, l’11 aveva pubblicato una precisa cronaca sulla conferenza di presentazione del libro “Il Capitano l’è ferito” di Faccinetto, tenutasi il 10 marzo al Palazzo delle Paure di Lecco, a cui anche il nostro centro aveva assistito. Sollecitati dal tema sollevato da Faccinetto, abbiamo raccolto alcuni appunti stesi nel tempo e ne abbiamo fatto un breve testo, che abbiamo inviato a LeccoNews chiedendo ospitalità. Il Direttore Terrani, molto gentilmente, ha dato spazio al nostro breve scritto (vedi l’articolo sulla testata), che riportiamo qui sotto integralmente.

Rispetto al testo dell’articolo possiamo precisare un paio di elementi.
• Bettega, il compagno dell’Abate di cui avevamo detto di non sapere molto più del cognome, in realtà era Giovanni Battista Bettega. Qualche anno più tardi il ’48, gli Stoppani e i Bettega si legarono attraverso il matrimonio tra Camilla Carolina, una sorella dell’Abate e Teodoro Bettega di Dorio.
• Della sua squadra in Croce Rossa, l’Abate era probiviro, la figura responsabile della sua cassa e della moralità. Da non confondere con la figura del Cappellano militare, che è tutt’altra cosa.

Cortese attenzione
Sandro Terrani – Direttore di LeccoNews

Gentile direttore Terrani,
il nostro Centro Studi Abate Stoppani è impegnato in un vasto lavoro conoscitivo sulla figura e l’opera dell’Abate Stoppani. In questo quadro cerchiamo di seguire i momenti collettivi di Lecco da cui possono uscire spunti per attualizzare la figura di questo illustre lecchese.
Avendo seguito con interesse la conferenza del 10 marzo di presentazione del libro di Faccinetto, e letto la corretta ed esaustiva relazione della signora Manuela Valsecchi, abbiamo pensato che forse avrebbe potuto interessare i Suoi lettori avere qualche informazione aggiuntiva su elementi vicini al tema trattato da Faccinetto.
Augurandomi che Lei possa trovare le nostra nota degna di attenzione e adatta al Suo pubblico, in allegato Le trasmetto la fotografia di Stoppani di cui si parla nel corpo della nota. Nel caso decidesse di usarla, Le sarei grato se potesse porre accanto alla foto la scritta: “Cortesia di SiMUL–Sistema Museale di Lecco”.

Come Lei sa, l’Abate Stoppani è stato nella sua maturità (1857-1891) una delle personalità più influenti sulla fisionomia della Lecco di allora, importante nelle scelte culturali e sociali della città, pur risiedendo a Milano o a Firenze. Insieme, ha svolto un ruolo molto definito proprio negli avvenimenti, descritti da Faccinetto nei tre capitoli del libro dedicati alle corrispondenti Guerre di Indipendenza, ai quali, nella presentazione del 10, si è potuto solo accennare.

In un suo libro di memorie (”Viaggio in Oriente”, Il Rosmini, 1886), l’Abate ricordava in estrema sintesi la sua esperienza: «poiché, avendo avuto occasione di assistere centinaia di feriti nelle guerre dell’italiana indipendenza, sapevo, per dottrina e per esperienza, quanto i patemi d’animo e l’avvilimento dello spirito esercitino nell’andamento di tutte le malattie, specialmente dove ci sono ferite, una perniciosa influenza, che può farle letali … » .
In effetti, l’Abate, nato a Lecco nel 1824, partecipò di persona e come assistente ai feriti, a momenti significativi delle tre guerre di indipendenza: Battaglia di Santa Lucia (6 maggio 1848); assistenza, negli avamposti e in Milano, ai feriti di San Martino e Solferino (giugno 1859); battaglia di Custoza (20 giugno 1866).

Prima Guerra di Indipendenza – 1848
Dichiarata guerra all’Austria all’indomani delle Cinque Giornate di Milano (18-23 marzo 1848), l’esercito del Regno di Sardegna battè gli austriaci a Pastrengo (30 aprile) e il 6 maggio ingaggiò battaglia presso il paese di Santa Lucia, per la presa di Verona. Dopo alterne e drammatiche vicende, alla fine di una micidiale giornata, gli austriaci risultarono vincitori. Le conseguenze della sconfitta furono serie: il Piemonte perse l’iniziativa strategica, che passò saldamente in mano agli avversari.
Questa battaglia, cui avevano partecipato circa 60.000 uomini, è ricordata come la più sanguinosa della Prima guerra di Indipendenza. Tra gli austriaci vi furono 190 feriti (un numero alto ma “nella norma”). Tra i piemontesi, a causa degli assalti condotti allo scoperto contro nemici al riparo, i feriti furono ben 776, con gravi conseguenze (“In questa giornata si ebbe a lamentare l’insufficiente servizio sanitario, e molti feriti dovettero morire per non essere stati soccorsi in tempo” – Bartologgi, 1889).
La battaglia di Santa Lucia, può essere però ricordata anche per un’altra minore e insolita particolarità. Aggregati alle esili strutture sanitarie stanziate nella vicina Somma Campagna, c’erano quattro giovani del Seminario di Milano, i quali, dopo avere partecipato all’insurrezione delle Cinque Giornate, avevano deciso di affiancarsi alle truppe piemontesi come assistenti ai feriti.

Questi giovani, pressoché coetanei, erano tutti di Lecco e dintorni: Cesare Maggioni, Bettega (di lui non sappiamo molto), Antonio Riva e Antonio Stoppani. I quattro, senza alcuna esperienza né medica né militare, praticamente senza mezzi, dovettero assistere un numero esorbitante di feriti. Ma trovarono anche modo di distinguersi: Antonio Riva, sotto una fitta fucileria, trascinò al riparo il ferito comandante del 5° fanteria Aosta (colonnello Caccia). Per questo ricevette un encomio pubblico da parte dell’allora principe Vittorio Emanuele, in prima fila nello scontro.
Il giovane Stoppani, già alle prime ore del pomeriggio, pensando che la battaglia fosse stata vinta dai piemontesi, aveva scritto (e immediatamente spedito a Lecco), una vivace descrizione, pubblicata (senza firma e con data 8 maggio 1848) sul Bollettino n. 28 del “Comitato di Pubblica Sicurezza di Lecco”. Sia detto qui solo per inciso: la lettera in questione (che non si è mai pensato di attribuire a Stoppani) è senz’altro sua, per ragioni che qui è superfluo dettagliare ma che emergono con facilità dalle circostanze descritte nella lettera stessa.
Dopo quel combattimento, iniziò il ripiegamento dell’esercito: Stoppani e compagni lasciarono le truppe, tornando al Seminario di Milano.

Seconda guerra di Indipendenza – 1859
Nella battaglie di Magenta (4 giugno) e di San Martino e Solferino (23 giugno), l’accanimento dei combattenti e il fuoco più rapido e preciso dovuto alla rigatura delle canne e all’accensione a percussione, determinò uno straordinario numero di feriti (oltre 30.000). Per soccorrerli si mobilitò l’intera popolazione della Lombardia. A Milano, fu molto attivo in questa opera il clero dell’ala progressista e filo piemontese, di cui erano figura in vista l’Abate Stoppani e suo fratello maggiore Pietro, anch’egli sacerdote. I due Stoppani, e con loro decine di sacerdoti, si dedicarono giorno e notte, e per oltre dieci giorni, all’assistenza di migliaia di feriti, facendo capo all’Ospedale di San Luca (Corso Italia), gestito da diciotto suore Marcelline, ispirate da Biraghi, una delle figure di punta del clero patriottico di Milano.

Terza guerra di Indipendenza – 1866
Nel giugno si ebbe la mobilitazione generale. L’Abate Stoppani in quei mesi stava seguendo, come primo esperto nella ricerca petrolifera in Italia, il progetto di due uomini d’affari (l’americano Mayo e l’italiano Botta). Appena fu ordinata la mobilitazione, l’Abate mollò senza tanti pentimenti i due petrolieri e seguì l’esercito, inquadrato nella Seconda Squadra della Croce Rossa di Milano, al comando del chirurgo Fumagalli, e aggregato al primo corpo d’armata di Cialdini.
Con la sua Squadra (l’Abate ne era l’Uomo Probo, responsabile della cassa e della disciplina), fu coinvolto nella battaglia di Custoza (24 giugno) e l’esperienza dovette essere pesante. Presso il “Fondo Stoppani”, conservato a Villa Manzoni in Lecco, oltre ai diplomi rilasciati a Stoppani per la sua partecipazione alle battaglie risorgimentali, è archiviata una fotografia dell’Abate in divisa di milite della Croce Rossa. L’espressione è di stanchezza, come di chi non dorme da un pezzo.

Da questi brevi cenni abbiamo potuto constatare come l’Abate abbia sempre risposto senza esitazione alla chiamata del soccorso ai feriti. In questa sua piena disponibilità dobbiamo certamente vedere una forte adesione al precetto della carità, inteso nel senso più ampio, ma anche la sua costante tensione alla lotta per l’indipendenza e l’unità nazionale, che in quella fase caratterizzarono il clero rosminiano e conciliatorista, di cui l’Abate fu sempre un rappresentante di punta.

Nel ’48, i quattro diaconi Maggioni, Riva, Bettega e Stoppani aderivano convintamente al pensiero di Rosmini, che allora caratterizzava il clero democratico. Per questa ragione, nel 1853, furono, assieme a tanti altri, espulsi dagli Austriaci dal Seminario di Milano, per attività patriottica.
Nel ’59 era stato il clero conciliatorista e filo sabaudo di Milano a dedicarsi senza risparmio all’assistenza delle migliaia di feriti dell’esercito piemontese e francese. Una chiara dimostrazione della scelta di campo nello scontro tra “intransigenti”, ostili all’imminente Regno d’Italia, e “conciliatoristi”, favorevoli all’accordo tra Stato e Chiesa.
Nel ’66 questa dicotomia all’interno del clero non apparve con la medesima evidenza ma la terza Guerra di Indipendenza, con il suo risultato oggettivamente favorevole al nuovo Regno d’Italia, era vista dal Vaticano come l’anticipazione della guerra per la conquista di Roma, come infatti fu. La partecipazione al conflitto del quarantaduenne e ormai noto Abate Stoppani, inquadrato nell’esercito regio, aveva un chiaro connotato politico.

Ruolo dell’Abate Stoppani in Lecco nella questione della sanità militare
A questo punto la domanda che il lettore si pone è: l’attitudine di Stoppani a prestarsi con abnegazione e senza riserve all’assistenza ai feriti, in particolare nella Terza Guerra del 1866, ha avuto una qualche relazione con le attività svolte dal Comune di Lecco in occasione di questo evento così importante?
Faccinetto ci ha illustrato con chiarezza le misure prese in città già il 29 maggio 1866: mobilitazione; invito alla popolazione a predisporre corredi militari; istituzione di una commissione per fornire armi; definizione di piani di intervento infrastrutturale. Soprattutto la predisposizione di un capiente ospedale dedicato agli inevitabili feriti dell’imminente campagna.

Sappiamo del resto che Garibaldi, di stanza a Como per l’organizzazione del suo Corpo volontari, decise di compiere la sua quarta visita alla città. Il 13 giugno 1866, dal balcone dell’Albergo Croce di Malta, Garibaldi pronunciò parole che entusiasmarono la gioventù lecchese: «Voi siete una generazione fortunata, io vo declinando in età ma mi chiamo felicissimo d’essere ancora con voi. Prima di voi furonvi mille generazioni che vedevano i loro campi calpestati dallo straniero e le loro donne in preda a truppe mercenarie, e voi questa terra la libererete; i vostri figli e nipoti alzeranno la fronte e si glorieranno del vostro nome, lo ve lo dico: voi siete destinati a vincere … Io sono contento di essere con voi, e per certo faremo qualche cosa. Non è vero?»

Sappiamo anche che Garibaldi venne ricevuto da Giuseppe Resinelli, il Sindaco di Lecco, un galantuomo sensibile, sempre attento alla cultura e al benessere della città, che amministrò ininterrottamente fino al 1882. Si dà il caso che Giovanni Maria Stoppani, bisnonno dello scrivente e fratello minore dell’Abate, fosse marito di Barbara Resinelli, figlia del Sindaco.

Abbiamo già in altra sede (vedi il nostro studio sul Monumento a Manzoni in Lecco) messo in luce quanto l’Abate Stoppani fosse un entusiasta sostenitore di Garibaldi, di quanta stima godesse in Lecco e quanta influenza (naturalmente anche grazie ai rapporti familiari) potesse esercitare sulle questioni culturali e sociali della città.
Possiamo pensare che anche nel caso della mobilitazione del 1866, la sua voce e la sua influenza non dovettero mancare presso la cittadinanza e i suoi elementi di punta.

Dobbiamo riconoscere di non avere mai svolto un’indagine specifica sulle vicende sopra accennate. Il bel libro di Faccinetto ci dà la spinta a cercare nuovi elementi conoscitivi su questa parte importante per la memoria della città. Nel caso ci riesca di trovare qualche cosa di interessante, non mancheremo di darne tempestiva notizia.

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