Mercoledì, 6 settembre 2023
Centro Studi Abate Stoppani — Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sulla celebrazione in Milano del 150º della morte di A. Manzoni. Il testo ha la medesima scansione in 18 pagine del fascicolo a stampa.
Per scaricare il fascicolo in PDF: 150º Manzoni_Lettera al Presidente Mattarella
22 maggio 2023.
150º anniversario della morte di Alessandro Manzoni.
Lettera aperta
al Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella.
Lecco, 6 settembre 2023.
Caro Presidente Mattarella,
come cittadini, Le siamo veramente grati per quanto Lei ha fatto e detto in Milano per il 150º della morte di Alessandro Manzoni.
Come legati a Lecco e come storici, dobbiamo invece farLe alcune osservazioni critiche (che Lei senza alcun dubbio accoglierà); e chiederLe qualcosa (che Lei certo saprà accordarci di buon grado) …
Caro Presidente Mattarella,
come cittadini, Le siamo veramente grati per quanto Lei ha fatto e detto in Milano per il 150º della morte di Alessandro Manzoni.
Come legati a Lecco e come storici, dobbiamo invece farLe alcune osservazioni critiche (che Lei senza alcun dubbio accoglierà); e chiederLe qualcosa (che Lei certo saprà accordarci di buon grado) …
Presidente Sergio Mattarella
Lecco, 6 settembre 2023
Oggetto: Anche Lecco è città di Alessandro Manzoni e dei Promessi Sposi.
Caro Presidente Mattarella,
seguo sempre con interesse quanto accade attorno all’autore de “I Promessi Sposi” — come storico e anche per tradizione famigliare (il lecchese mio bisnonno Giovanni Maria era fratello dell’Abate Antonio Stoppani, dalla morte di Manzoni tra i più consapevoli e attivi in Italia nel tutelarne la figura dagli assalti del Vaticano anti-conciliatorista).
Ho quindi prestato viva attenzione a quanto da Lei fatto e detto in Milano in occasione del 150º anniversario della morte di A. Manzoni per il quale La ringrazio come cittadino italiano.
Ma per il quale — come quasi-lecchese e come osservatore della realtà — debbo manifestarLe anche alcune osservazioni critiche (che Lei saprà accogliere); e una richiesta (che Lei certo saprà soddisfare).
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Con il nostro Centro Studi abbiamo seguito, condividendone il senso, la cerimonia svoltasi al mattino del 22 maggio al Famedio di Milano: il “Silenzio d’ordinanza”, con il Capo dello Stato in deferente “attenti” di fronte alla tomba di Manzoni, ha indicato meglio di mille parole come l’uomo che promosse a sentire comune le leggi dell’umanità, della fraternità, della giustizia sia da considerare come un Padre della Patria, non solo quella del primo Re d’Italia a cui egli diede la sua fiducia — ma proprio la nostra di oggi, in accelerata e sempre più sfavorevole trasformazione.
Abbiamo poi ascoltato il discorso (tutt’altro che di circostanza) che Lei, caro Presidente, ha pronunciato nel pomeriggio alla Casa del Manzoni di Via Morone 1, a coronamento degli altri quattro che lo avevano preceduto con altri accenti (Giuseppe Sala, Sindaco di Milano; Attilio Fontana, Presidente della Regione Lombardia; Angelo Stella e Giovanni Bazoli, Presidenti del Centro Nazionale Studi Manzoniani) e della lettura, da parte della brava Eleonora Giovanardi, del brano del Cap. VI de “I Promessi Sposi”, narrante il confronto tra Padre Cristoforo e Don Rodrigo.
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Rimanendo felicemente fedele al lascito etico-civile di Manzoni, il discorso del Capo dello Stato è risultato di sorprendente e perfettamente condivisibile attualità — una inusuale lectio magistralis di vivo manzonismo.
Leggendo la realtà politico-sociale dei nostri giorni attraverso il pensiero di Manzoni, Lei, caro Presidente, ci ha ricordato infatti i fondamentali di una collettività sana:
… aspirazione alla libertà, all’indipendenza, all’autodeterminazione …
… ripugnanza e opposizione nei confronti della tirannide, dell’abuso di potere, della violenza, dell’ingiustizia, specialmente contro i poveri, gli umili, gli indifesi …
… nulla essere più nefasto della ragion di Stato calpestante i diritti di uomini e popolazioni
… nulla di più sacro della vita umana … la verità prevalga sulla menzogna, la tolleranza sull’odio, la pietà sulla violenza, la morale sulla convenienza …
… è la persona in sé destinataria di diritti universali, di tutela e protezione, non la sua appartenenza a una stirpe, a una etnia … è l’uomo in quanto tale, e non solo in quanto appartenente a una nazione, a essere portatore di dignità e di diritti …
… non esiste supremazia basata sulla razza, sull’appartenenza e, in definitiva, sulla sopraffazione, sulla persecuzione, sulla prevalenza del più forte … concetti e assunti espressamente posti alla base della nostra Costituzione repubblicana …
… illeciti sono gli accordi internazionali ratificati sulla testa dei popoli e degli Stati: ingiusti e moralmente nulli i trattati stipulati da alcuni sugli affari d’altri, senza sentirli e con il solo titolo della forza … inaudita e iniquissima la teoria che attribuisce ad alcuni il diritto di costituire un diritto sopra gli altri …
22 maggio 2023 / 150º anniversario della morte di Alessandro Manzoni.
Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lecco, 10 settembre 2023.
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… da condannare quelle classi dirigenti che assecondano il consenso registrato nei sondaggi, piuttosto che costruire politiche di ampio respiro, proiettate al futuro …
… la “Storia della Colonna infame” svela i rischi della collettività quando i detentori del potere politico, legislativo, giudiziario compiacciono gli umori delle folle anonime, i pregiudizi, gli stereotipi, cercandone l’effimero consenso e portando a tutti tragedie, lutti e rovine …
… da preservare a tutti i costi l’Italia unita, perché non ritorni a essere una mera espressione geografica, ma la sintesi alta di un unico popolo, orgoglioso della sua cultura, della sua storia, della sua lingua, delle sue radici.
Bravo Presidente, siamo con Lei!
Un discorso il Suo, caro Mattarella, di perfetto ricordo di Manzoni e quindi — coerentemente con il di lui magistero — tutto incentrato sull’oggi, sulle problematiche che si pongono alla nostra collettività nonché sulla giusta direzione per affrontarle in modo responsabile, degno della migliore umanità.
Fin qui quanto da Lei detto in occasione del 150º della morte di A. Manzoni.
Lo ripetiamo come cittadini: tutto del tutto condivisibile.
Ma per quanto NON è stato detto?
ConfermandoLe la nostra vicinanza, riprendiamo quanto Le avevamo anticipato: abbiamo da rivolgerLe una lamentela e avanzarLe una richiesta.
Chi tiene alla cultura e alla memoria collettiva si è infatti — inevitabilmente — posto il problema di quanto, in Milano in quel 22 maggio 2023, NON è stato detto né da Lei, degnissimo Presidente, né da alcuno degli altri quattro intervenuti alla celebrazione svoltasi a Casa del Manzoni.
Da nessuno degli oratori, infatti, è stato fatto il più piccolo cenno a Lecco e all’ambiente lariano.
Silenzio su quel territorio che tutto il mondo conosce proprio grazie alle prime parole del romanzo di cui è inizio e termine (“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti …”) e di cui, lui vivente, Manzoni venne riconosciuto anche in Europa come “genius locis”.
Silenzio su quella Lecco che ne “I Promessi Sposi” è simbolo della natura (manifestazione del divino — per Manzoni, si intende), delle scelte esistenziali dell’individuo, delle relazioni inter-personali — centro primario della macchina narrativa del romanzo.
Mentre l’altro centro — Milano — è emblema della collettività, del confronto sociale e politico, dell’esaltazione dell’umanità attraverso la cultura e la fede e insieme della sua negazione attraverso il pregiudizio, il sopruso, l’ignoranza.
Due poli (il privato e il pubblico / la splendente natura umanizzata e la anonima e spesso anche lercia città) che non possono essere disgiunti, pena la decadenza dell’intera costruzione etica manzoniana che Lei, Presidente, ha così bene rappresentato nel Suo discorso.
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Si potrà dire che neppure un Suo predecessore, il Presidente Giovanni Leone, il 22 maggio 1973 anch’egli a Milano in occasione del 1º centenario della morte di Manzoni, fece alcun riferimento a Lecco (e neppure Papa Paolo VI ne fece menzione nella sua lettera in ricordo di Manzoni del 19 maggio 1973 al Cardinale Giovanni Colombo, Arcivescovo di Milano) — sono dati di fatto ma non necessariamente condivisibili.
E infatti, se risaliamo indietro di un altro mezzo secolo, vediamo che nel 1923 le cose andarono diversamente e (senza volerne trarre alcuna positiva considerazione sulla fisionomia politica delle Autorità proponenti nonché su alcuni protagonisti dell’evento), in occasione del 50º della morte dello scrittore, Milano e Lecco si divisero quasi equamente l’onore di rappresentare Manzoni — diciamo “quasi” perché la bilancia dell’attenzione istituzionale venne inclinata a favore di Lecco.
22 maggio 2023 / 150º anniversario della morte di Alessandro Manzoni.
Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lecco, 10 settembre 2023.
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Sul piano formale, toccò al diciottenne Principe Ereditario Umberto di rappresentare le Istituzioni. A Milano, domenica 20, in un turbinio di incontri e visite iniziate alle 7,30 (rassegna Associazioni Militari a Palazzo Reale; visita al Castello Sforzesco; cerimonia all’Università Bocconi a ricordo degli studenti caduti in guerra; visita al Museo Poldi Pezzoli) il Principe di Piemonte si reca alla Casa del Manzoni di Via Morone 1 (circa alle ore 11,00): all’ingresso incontra i parenti del celebrato; al piano terra ne visita lo studio-biblioteca; al piano superiore (la cronaca lo dice “commosso”) sosta nella appositamente ricomposta camera ove il poeta morì — alle 11,30 è già in strada, pronto ad altre visite, incontri, pranzi …
Sempre domenica 20, ma a Lecco, si svolge con gran concorso di popolo un nutritissimo corteo formato dalle scolaresche della città, recanti corone al monumento di Manzoni.
Lunedì 21, a Milano, nel pomeriggio, il Ministro dell’Istruzione Giovanni Gentile tiene alla Scala un discorso di commemorazione (nessun accenno a Lecco) — prima di parlare legge un telegramma di Mussolini: «Voglia considerarmi presente alla celebrazione manzoniana, rievocatrice delle grandezze della nostra letteratura, del genio della nostra stirpe» (da notare quello “stirpe”, pro-memoria per le leggi razziali di 15 anni dopo e sinonimo della “etnia” richiamata anche recentemente da qualcuno — caro Presidente quanto ha fatto bene a parlare chiaro su questi aspetti nel Suo ottimo discorso!).
E il 22 maggio (il giorno della ricorrenza vera e propria della morte del Nostro) che successe?
A Milano, nel pomeriggio, Arturo Toscanini diresse alla Scala il “Requiem”, composto 49 anni prima da Giuseppe Verdi.
Ma per il 50º anniversario della morte di Manzoni, la commemorazione ufficiale, presenziata dal principe Umberto come rappresentante dello Stato, si tenne … a Lecco!
22 maggio 2023 / 150º anniversario della morte di Alessandro Manzoni.
Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lecco, 10 settembre 2023.
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Alle 15,30 giunge a Lecco in auto il principe Umberto di Savoia. Sostato brevemente alla Sottoprefettura, tra acclamazioni della folla si reca in carrozza alla Basilica di San Nicolò. Lì il Cardinale Maffi tiene il discorso di commemorazione per il Cinquantesimo della morte di Manzoni.
A parte la valutazione che ognuno può dare e del Principe Umberto (negli anni successivi prono al fascismo, anche nelle sue manifestazioni più aberranti) e del Cardinale Maffi, da ricordare per i contributi all’astronomia ma da dimenticare come ultra nazionalista (l’unico principe della Chiesa a benedire le truppe italiane nell’assalto alla Libia nel 1911), è da constatare che lo Stato italiano ritenne che la cerimonia commemorativa del 50º della morte di Manzoni dovesse tenersi a Lecco.
E che nell’ora di discorso su Manzoni, di fronte a 2.000 cittadini (tutti seduti, in assoluto silenzio), in apertura il Cardinale Maffi con belle e non avare parole accostò al grande scrittore l’Abate Antonio Stoppani (entrambi, pur con percorsi diversi, ci portano alla condivisione dei sublimi mondi della natura e della umana fratellanza) richiamandolo ancora qua e là nel discorso.
Al termine della cerimonia, dopo una sosta alla Camera di Commercio, in auto con Mario Cermenati (patron politico-culturale della cerimonia) il principe si reca ai “luoghi manzoniani” e quindi a Villa Manzoni al Caleotto; lì, accompagnato da signore bianco vestite e alti ufficiali, anch’egli visita (molto rapidamente) le due esposizioni già ricordate; scruta con apposito potente cannocchiale i resti della rocca di Vercurago (detta dell’innominato); riparte in fretta per prendere il treno delle 18,00. Parte anche il Cardinal Tosi.
Rimane in Lecco invece il Cardinale Maffi che visita il monumento a Manzoni e interloquisce con la folla che rimane fitta in città fino a sera.
Mercoledì 23 maggio mattina il Cardinale Maffi torna a Villa Manzoni al Caleotto e vi celebra la Messa nella Cappella privata della Villa.
«Alla Nobile e Illustre Famiglia Scola || per la squisita cortesia 22-23 .V. 1923 || con commossa riconoscenza || Ossequiando – benedicendo || P. Card. Maffi || Arciv. di Pisa».
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Certi di fare cosa utile, segnaliamo alla Direzione del Museo (che evidentemente ignora essersi tenuta in Lecco il 22 maggio 1923 la commemorazione per il Cinquantesimo della morte del personaggio cui è dedicato il museo) che sul fronte del pannello illustrativo della Sala 4 sono presenti varie disinformazioni su cui sarebbe opportuno intervenire (le evidenziamo per comodità):
«[…] lo dimostrano anche le fotografie realizzate in occasione dell’importante visita di Re Umberto Il di Savoia (allora Principe Ereditario) e quella del Cardinale Pietro Maffei, Arcivescovo di Pisa, entrambe avvenute tra il 1922 e il 1923.»
Sempre per comodità, ricapitoliamo quanto già più sopra narrato: in occasione del Cinquantesimo della morte di Alessandro Manzoni (22 maggio 1923), si recarono in visita a Villa Manzoni: il 22 il Principe Ereditario Umberto; il 22 e il 23 il Cardinale Maffi, Arcivescovo di Pisa, che il 22 svolse il discorso di commemorazione nella Basilica di San Niccolò in Lecco.
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Segnaliamo altresì l’errore rinvenibile sulla legenda del pannello, dove si legge:
«La visita del principe Umberto di Savoia a Villa Manzoni, giugno1923».
La visita avvenne il 22 maggio 1923.
Grazie!
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Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lecco, 10 settembre 2023.
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Con la differenza che nel 1973 il nome di Manzoni era almeno leggibile da chiunque e il commemorato, ritratto a calco del notissimo dipinto di Hayez, abbastanza facilmente riconoscibile.
Ma molto peggio è il ritratto, una rozza deformazione di una bella foto di Manzoni scattata da A. Duroni (A). La diversa informazione, data su Protofilia.it dal presidente CNSM, il già ricordato Professor Stella, è errata: lì è riportata infatti come fonte del ritratto una anonima incisione forse di fine Ottocento, per di più presentata a specchio, inducendo a pensare che Manzoni vestisse giacche da donna (B).
22 maggio 2023 / 150º anniversario della morte di Alessandro Manzoni.
Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lecco, 10 settembre 2023.
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Anche Lecco è città di Alessandro Manzoni.
Silenzio su quella Lecco nella quale la famiglia paterna di Manzoni, già due secoli prima della nascita dello scrittore, era parte tra le più influenti, nel bene e nel male si intende.
Originari della Valsassina, i Manzoni, proprietari di miniere di materie ferrose, si erano affermati in concorrenza accanita con altri possidenti, condotta con mille lite legali ma anche a colpi di spada e fucilate omicide a tradimento.
Non erano mancate a loro carico anche le accuse di veneficio pubblico ai tempi della peste del 1630, proprio quella narrata duecento anni dopo con tanta maestria e senso civico dal pronipote Alessandro. Soprusi, violenze e conflitti erano quindi intrinseci al quotidiano degli avoli di Don Lisander il quale, prima ancora di studiarle sui documenti, le vicende di Don Rodrigo, dell’innominato e dei processi-tortura senza fondamento le aveva certo sentite raccontare nella sua famiglia lecchese.
Quella Lecco che Manzoni stesso evocava come “il più bel paese del mondo”, avendovi passato l’infanzia, l’adolescenza (con le precoci e già notevoli esperienze politico-letterarie) e la prima maturità fino ai suoi 33 anni, con le geniali invenzioni poetiche nel nome di una religione nuovamente pura.
Quella Lecco di cui, come più facoltoso proprietario del territorio, tra il 1814 e il 1816 fu anche il primo deputato nei “Convocati Generali” — quanto ci sarebbe da scavare in quella direzione sul piano storiografico! E come sistematicamente vengono ignorati questi elementi così significativi!
Quella Lecco con cui, anche quando se ne allontanò a malincuore (la madre Giulia non legava con le matrone lecchesi) Manzoni continuò ad avere un costante legame sentimentale ed esistenziale attraverso notevoli concittadini, suoi amici da sempre.
Basti ricordare Francesco Ticozzi (tra l’altro zio della madre dell’Abate Antonio Stoppani) — nel 1797 tra i primi nelle lotte democratico-patriottiche del territorio nella Repubblica Cisalpina; duramente detenuto nel breve ritorno degli austriaci nel 1799; poi Prefetto di Napoleone e Croce di Ferro; sempre intimo della famiglia Manzoni e consulente di Alessandro fino alla propria morte, 1824. Fu proprio Ticozzi a stendere il testamento di Pietro Manzoni che indicava il figlio Alessandro come erede universale e legava alla moglie Giulia Beccaria “due pendenti di diamanti”.
Quel riferimento ai “due pendenti” (più duri anche dell’acciaio) fu, da parte di Don Pietro in punto di morte, una battuta decisamente brillante, a ricordo/smentita della gherminella avvocatesca che quindici anni prima (1792) aveva consentito alla moglie Giulia (già protesa verso l’Imbonati, un galante forse non mediocre ma di certo tra i più ricchi di Lombardia) di ottenere la separazione.
E come? attraverso la di lei attestazione di malformazioni dell’apparato genitale dello sposo (“Don Pietro non ha i testicoli”). Dall’altro lato, a conferma, i suoi amici giuravano: “il padre vero è Giovanni Verri” (scappatoia dai rigori matrimoniali della Sacra Rota cui si prestavano, pur di liberarsi di mogli non gradite, anche mariti noti per l’intensa e comprovata attività erotica extra-coniugale).
Sia detto per inciso: nessuno aveva imposto a Donna Giulia di maritarsi con Pietro Manzoni, né tanto meno nessuno poteva impedirle di separarsene con pieno diritto (e vantaggio) dopo la prima notte di nozze, resasi conto delle eventuali mancanze anatomiche del novello sposo — peraltro in ottime condizioni economiche — ma all’altezza delle nozze (1782) Imbonati non era ancora alle viste.
Basti ricordare Giuseppe Bovara, uno dei migliori architetti dell’epoca, che con Manzoni tenne per tutta la lunga vita (morì anch’egli nel 1873) un rapporto di speciale amicizia, maturazione delle frequentazioni infantili e adolescenziali (Bovara poco più che bimbo aveva già talento d’ingegnere e intratteneva Alessandro con modelli di chiuse per l’irrigazione).
Divenuto famoso Manzoni, in memoria di questa pluridecennale e sempre viva amicizia, i figli di Bovara acquistarono il capanno per la caccia delle allodole, già stato in Lecco del giovane Alessandro, facendone un tempietto in onore dello scrittore.
22 maggio 2023 / 150º anniversario della morte di Alessandro Manzoni.
Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
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Basti ricordare Caterina Panzeri, la sveglia contadina che, alla cascina Costa di Galbiate di proprietà dei Manzoni (a pochi chilometri dal Caleotto, sul Monte Barro, prospiciente Lecco e il Resegone — ne prenda nota la Casa del Manzoni), dal secondo giorno di vita tenne Alessandro a balia e, fino ai cinque anni, lo allevò come uno dei suoi figli. Manzoni vecchio teneva ancora memoria fresca e affettuosissima di quei suoi fratelli di latte / compagni di chiassosi giuochi agresti.
Quella Lecco che da decenni, ogni anno, dedica una serie di eventi pubblici alla memoria manzoniana cui, negli anni, spesso hanno partecipato come relatori gli oggi dimentichi Professori del Centro Nazionale Studi Manzoniani. Per questo 2023, a commemorazione della scomparsa dello scrittore (pur con tutti i soliti limiti), sono stati predisposti oltre 30 momenti di incontro, iniziati ai primi di maggio e in corso di realizzazione fino a dicembre — vedi l’apposito sito Web “manzonilecco150anni.it”.
Come è stato possibile ignorare tutto ciò?
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Silenzio su quella Lecco che di Manzoni mantiene tuttora testimonianze non solo spirituali o artistiche ma tangibili, tangibilissime — ma per le quali la parola d’ordine da un pezzo imperante in quel di Milano è “ignoratele!” “non parlatene!”.
Come Villa Manzoni al Caleotto, dei Manzoni dal 1614 e dal 1940 Monumento Nazionale:
Regio Decreto 29 febbraio 1940-XVIII, n. 1354.
Dichiarazione di monumenti nazionali della casa nativa di Alessandro Manzoni in Milano, della Villa del Caleotto a Lecco e dell’ex Convento dei Cappuccini di Pescarenico.
.
Vittorio Emanuele III [ecc.] …
Volendo che i luoghi dove nacque, studiò e visse Alessandro Manzoni siano particolarmente conservati all’ossequio degli Italiani, oltre che tutelati come edifici di importante interesse storico; / Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per l’educazione nazionale; / Abbiamo decretato e decretiamo:Sono dichiarati monumenti nazionali i seguenti immobili:
1º Casa nativa di Alessandro Manzoni sita al n. 16 della via Uberto Visconti di Modrone (ex via S. Damiano) di Milano;
2º Villa del Caleotto a Lecco;
3º Ex Convento dei Cappuccini di Pescarenico.
.Dato a Roma, addì 29 febbraio 1940-XVIII / Vittorio Emanuele III.
Sottolineando quel «Volendo che i luoghi dove nacque, studiò e visse Alessandro Manzoni», riassumiamo: due dei tre Monumenti Nazionali dedicati a Manzoni sono in Lecco, attivi e frequentati — il terzo, in Milano, è praticamente inesistente (da non confondere con Casa del Manzoni di Via Morone 1, certo ben restaurata grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo, teca di documenti utilissimi, sede del CNSM — ma non Monumento Nazionale).
Villa Manzoni al Caleotto di Lecco — Una grande dimora da ottimati, a un tiro dal magnifico Ponte Azzone Visconti, per secoli l’unico passaggio sull’Adda — mille volte percorso da Manzoni nel corso delle sue peregrinazioni nel territorio, su cui:
«Passano i cavalli di Wallenstein, passano i fanti di Merode, passano i cavalli di Anhalt, passano i fanti di Brandeburgo, e poi i cavalli di Montecuccoli, e poi quelli di Ferrari; passa Altringer, passa Furstenberg, passa Colloredo; passano i Croati, passa Torquato Conti, passano altri e altri; quando piacque al cielo, passò anche Galasso, che fu l’ultimo.»
Un grande edificio all’interno del quale, al termine della prima italica avventura napoleonica, nella “battaglia di Lecco” del 1799, si scontrarono dragoni francesi e cosacchi russi mescolando a secchi il loro sangue nelle stesse sale che oggi pacificamente visitiamo — quanti racconti di vita vissuta narrati dal famiglio Comino, rustico mentore e nascosto dispensiere del sempre affamato e fantasioso adolescente Manzoni!
Villa Manzoni al Caleotto di Lecco — Una prestigiosa residenza (a due passi da quel fiume la cui voce tante volte risuona nel romanzo) a soggiornare nella quale il diciottenne poeta lecchese (complice il padre Pietro, ben lieto dei talenti del figlio) poteva degnamente invitare l’aedo d’Italia Vincenzo Monti inviandogli l’ “Adda”, l’idillio per lui appositamente composto “in un giorno”.
22 maggio 2023 / 150º anniversario della morte di Alessandro Manzoni.
Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lecco, 10 settembre 2023.
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Una grande casa di famiglia, ai tempi del giovane Alessandro gaiamente popolata da quattro zie paterne ex-monache (di una di queste è noto il carattere vivace e spiritoso), affettuose vice-madri con le quali passare giornate tutt’altro che grigie e tristi.
E comunque perfetto luogo di ritrovo per la numerosa famiglia composta anche dalle tre zie paterne maritate a figure di spicco del territorio: zia Emilia Maria, sposa del Nobile Massimiliano Manzoni di Barzio (proprietario del forno della Bobbia e abitante in Lecco); zia Francesca Maria, sposa del Nobile Guicciardo de Guicciardi di Ponte Valtellina; zia Maria Maddalena Rosa, sposa del Nobile Gerolamo Gemelli di Orta (storico e intellettuale) — per tutti: palazzi, denaro, cultura, relazioni.
Più tardi, dalla primavera all’autunno, una lieta dimora per la numerosa famiglia formata da Alessandro e dalla sempre amata Enrichetta, adattissima anche alle chiassose corse sfrenate dei figli (e della moglie che, quanto a sana spensieratezza, non stava certo in seconda fila).
E con la nonna Giulia (tra una vociata e l’altra ai bambini: “fate poco chiasso, papà sta scrivendo”) impegnata nello “studio sotto il portico” (oggi non più esistente) a trattare con i numerosi coloni in visita alla casa padronale per omaggi in natura, fare i conti, pagare i fitti, ricevere prestiti (Manzoni aveva tenute in tutto il territorio, base per ramificate e differenziate relazioni sociali).
Un ampio edificio padronale, senza particolari caratteristiche estetico-artistiche ma che funge bene da sede dell’ormai trentennale Museo Manzoniano al cui ingresso, tra i ringraziamenti, sono citati i Professori del CNSM Gian Marco Gaspari, Paola Italia, Angelo Stella nonché Jone Riva di Casa del Manzoni a testimoniare che, ancorché silenti in questo 2023, i “milanesi” la strada per Lecco la conoscono bene.
Un museo che, con appena un poco più di intelligenza sui mille vantaggi della cultura da parte della catena decisionale del Comune di Lecco — e un po’ più di competenza — potrebbe degnamente assurgere a terzo polo della memoria manzoniana dopo la Braidense e la Casa del Manzoni di Milano. Divenendo, per. es., centro conservativo sia delle vaste esperienze culturali e di relazioni di Manzoni nel lecchese sia delle tante attività svolte in Lecco da lecchesi per la memoria dello scrittore sia delle mille e mille realizzazioni che su Manzoni sono state prodotte nel mondo in duecento anni sui più diversi mezzi di comunicazione — un campo vastissimo e di grande interesse.
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Come l’Ex-Convento dei Cappuccini di Pescarenico — Oggi benissimo restaurato (assieme alla attigua Chiesa di SS. Materno e Lucia), nel ’600 svolgeva un importante ruolo come snodo delle relazioni tra Como e Bergamo, sia come sede di sosta per gli ecclesiastici itineranti (con funzioni anche giudiziarie, non dimentichiamolo) sia per soldati sbandati o per perseguitati, in fuga dal dominio oppressivo della Spagna verso la più libera Repubblica di Venezia.
Nel romanzo, caro Presidente, ve ne è un chiaro riflesso (i tre fuggiaschi dal tiranno locale si salvano nella notte del tentato rapimento proprio grazie al sostegno della comunità religiosa di Pescarenico). Ma il Convento, dal 1940 Monumento Nazionale, è nel romanzo soprattutto l’umile dimora di Padre Cristoforo, gran protagonista dell’intera narrazione e personificazione del pentimento attivamente caritativo come scioglimento dalla colpa del delitto.
Sono del Convento di Pescarenico i frati questuanti che vi fanno capo per distribuire ai miserabili il sostentamento; ed è dal Convento di Pescarenico che la mattina si muove Padre Cristoforo per affrontare (nel suo palazzo lecchese) Don Rodrigo in quello scontro che la brava Eleonora Giovanardi ha così bene recitato, strappando anche a Lei, Presidente, un cordiale apprezzamento.
Silenziare l’esistenza di questa antica dimora di monaci altruisti, proprio nel commemorare Manzoni, è un volere negare l’insegnamento etico dell’artista che fece presa — e lo fa tuttora — sul sentire di chi sente giusto (religioso o materialista che sia), e anche offendere il lirismo nostalgico di chi quei luoghi ha vissuto e vive:
«Il convento era situato (e la fabbrica ne sussiste tuttavia) al di fuori, e in faccia all’entrata della terra, con di mezzo la strada che da Lecco conduce a Bergamo. Il cielo era tutto sereno: di mano in mano che il sole s’alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalle sommità de monti opposti, scendere, come spiegandosi rapidamente, giù per i pendii, e nella valle.»
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Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lecco, 10 settembre 2023.
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Come l’imponente e significante monumento in bronzo che, opera di Confalonieri, dal 1891 nel centro di Lecco ricorda l’autore de “I Promessi Sposi”.
È in tutta Italia il secondo e ultimo monumento all’aperto dedicato a Manzoni, dopo quello del Barzaghi che dal 1883 sorge a Milano in Piazza San Fedele, ma di quello ben superiore quanto a messaggio etico e sociale. È un bel monumento, nobilmente parlante anche ai più semplici, con i suoi tre altorilievi in bronzo che ne arricchiscono la base.
Esemplificando didascalicamente il romanzo, rappresentano la violenza — di cui le donne sono le prime vittime ma insieme le più capaci nel renderla vana donando pace alla collettività. Il perdono — come ipotesi di soluzione dei conflitti personali e sociali. La vittoria degli umili contro i sopraffattori — vada a vederlo Presidente, magari in incognito, per poterne meglio gustare la qualità artistica e di pensiero.
Per la sua concezione e realizzazione fu determinante il lecchese Abate Antonio Stoppani che (nel progetto originario, ferocemente ostacolato dalla gerarchia vaticana) lo voleva edificare in contemporanea con il monumento a Rosmini in Milano, allora all’Indice del Vaticano.
Nonostante gli inciampi, a fine ’800 l’Abate Stoppani fu tra i primi a fare comprendere e accettare a tutto il nostro bel Paese il legame organico e inscindibile tra Lecco e l’autore de “I Promessi Sposi” — affiancato in ciò da altre ben note personalità lecchesi, anch’essi talentosi difensori dell’opera e della memoria del Manzoni, come il geniale librettista Antonio Ghislanzoni (ex seminarista, socialista, cugino dell’Abate) e il preparatissimo naturalista Mario Cermenati (lo abbiamo già incontrato come coordinatore della celebrazione del cinquantesimo del 1923).
E ciò anche a contrastare la tendenza, perseguita tenacemente dai meneghini, di considerare Manzoni come tutto e solo “milanese”.
*****
Alessandro Manzoni è certo “milanese”
ma altrettanto certamente è anche “lecchese”.
Già nella commemorazione all’Istituto Lombardo, a pochi mesi dalla morte di Manzoni, Giulio Carcano ne accennava l’origine solo con una risicata frasetta («era d’antica famiglia, oriunda di Valsàssina, ov’ebbe già feudi e onoranze») e in sessanta pagine, contenenti 11.000 parole, diceva il lemma “Lecco” solo una volta, e in un anonimo inciso topografico: «La famiglia, la quale soggiornava gran parte dell’anno al Galeotto, vecchio palazzo in vicinanza di Lecco, vi condusse il fanciullo […]». — 31 parole.
Calco perfezionato dal Professor A. Stella, Presidente del CNSM. Nella lunga pagina su “protofilia.it”, sopra ricordata, Stella, su 8.200 parole, ricorda anch’egli Lecco una sola volta: «discendeva da una nobile famiglia di Barzio, in Valsassina, e stabilitasi a Lecco (nella località del Caleotto) nel 1612», riuscendo a dedicare le 19 parole della frase non al legame tra Alessandro Manzoni e Lecco ma tra Lecco e la di lui “famiglia nel 1612”. Complimenti per il virtuosismo!
Carcano allora e Stella oggi, cioè, danno per scontata la appartenenza esclusiva di Manzoni a Milano sul piano biografico; e dimenticano anche il ruolo centrale della città lariana nel romanzo: un silenzio da non apprezzare in un intellettuale come Carcano, certo non sprovveduto e frequentatore abituale del Manzoni — ma decisamente incongruo nel Presidente del Centro Nazionale Studi Manzoniani nel cui Statuto è chiaramente indicata la missione «promuovere e coordinare gli studi e le ricerche intorno alla vita ed alle opere di Alessandro Manzoni […]».
È per ciò che, a volte, viene proprio da chiedersi: ma questi letterati di allora (e di oggi) lo hanno letto almeno una volta il romanzo del da loro laudatissimo Don Lisander? Certo che lo hanno letto! ma preferivano (e preferiscono) sorvolare su quella ingombrante Lecco, di cui nessuno voleva (e vuole) neppure pronunciare il nome! Nel 1873 come nel 2023!
Provi a immaginare, caro Presidente, una commemorazione di Manzoni in cui si parli solo di Lecco e del territorio lariano e si citi Milano solo per dire che “è vicina a Monza” oppure, in didascalia a una vignetta, “Duomo di Milano”!
22 maggio 2023 / 150º anniversario della morte di Alessandro Manzoni.
Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lecco, 10 settembre 2023.
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A stretto giro, però, l’Abate Stoppani, forte della sua solida lecchesità (e dei suoi legami con l’ambiente che in Lecco aveva frequentato la famiglia Manzoni fino al 1818) nonché della più che fraterna amicizia con l’Abate Ceroli (che di Manzoni fu per gli ultimi tredici anni del poeta, suo assistente e compagno di passeggiate in Milano), passò immediatamente a chiarire le cose nel 1874 con il suo eccellente libretto “I primi anni del giovane A. Manzoni”, mettendo bene in luce il legame inscindibile tra Lecco e Manzoni, sul piano biografico ma soprattutto su quello etico e “morale”.
Tema che l’Abate chiarì ulteriormente anni dopo, con il grande monumento a Manzoni in Lecco, di cui abbiamo appena detto e attraverso cui propose la città lariana come un vero e proprio “altare” nazionale alla memoria manzoniana, operazione approvata e accettata da tutta Italia.
L’azione dell’Abate mise un macigno sulla tendenza di appropriazione municipalista del Manzoni da parte dei milanesi. Lecco fu così, fino alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, la sede naturale dei congressi manzoniani e delle iniziative culturali relative al nostro scrittore.
Dal canto loro i milanesi ci misero più di un secolo a decidersi di tornare all’arrembaggio del “brand” manzoniano, ricorrendo a una strategia rozza ma evidentemente efficace.
In tempi a noi vicini, i meneghini, accodandosi a narratori (gradevoli affabulatori ma pessimi storici e osservatori) e argomentando a colpi di “si diceva” e di un dipinto farlocco, hanno avuto la bella idea di affibbiare ufficialmente al Manzoni un padre naturale, nella figura di Giovanni, il più giovane dei Verri, simpatico e inconcludente debosciato ma quasi certamente loro concittadino.
Presidente, dia una occhiata al sito Web di Casa del Manzoni; vi troverà scritto, senza alcuna riserva: «Già all’epoca pochi erano i dubbi sulla vera identità del padre del bambino: non Pietro Manzoni, marito di Giulia, ma Giovanni Verri» dando a intendere che allora in Milano non si parlasse d’altro e che ne siano rimaste ampie e attendibili testimonianze. Che, invece, a 240 anni dal fattaccio risultano essere solo tre, apparse pubblicamente solo a partire dal 1905 e di ben modesto valore critico-storico:
1/ Carte Custodi del 1827-29 (rimaneggiate e pubblicate dal bibliotecario Lucien Auvray nel 1905):
«Giulia Beccaria, ripugnando di vivere col marito D. Pietro Manzoni, si era decisa a provocare il divorzio per il fondato motivo di essere egli inabile al matrimonio, per la mancanza de’ testicoli; ma siccome trovavasi gravida, ne fu dissuasa dagli amici per non pubblicare la sua vergogna: onde partorì al marito il figlio non suo, Alessandro.[…] Per asseveranza di Pietro Taglioretti, di Sigismondo Riva e di altri amici della Giulia Beccaria-Manzoni, il vero padre di Alessandro Manzoni fu il cavalier Giovanni Verri.»
Perfetto! Queste le due frasi di Custodi sempre riportate dai “milan-verristi” — che si fermano però sempre a mezza strada: veritiere o meno che siano, esse sono infatti solo due di altre frasi, ben più serie, che vedremo più sotto.
Tornando alle notizie anatomico-relazionali sopra riportate, Custodi non dice né quando né da chi le ebbe e le annotò senza curarsi della loro evidente contraddizione: gli amici di Giulia, da un lato le suggeriscono di non parlare di impotenza del marito: essendo incinta si autoaccuserebbe di adulterio; dall’altro dicono in giro (anzi “asseverano”) che Giulia è una adultera fatta e finita.
In realtà le due frasi possono acquistare un certo senso se le leggiamo come parti della già ricordata gherminella: conosciuto Carlo Imbonati, per arrivare alla separazione, Giulia adotta la strategia dell’impotenza di Don Pietro; gli amici (tra questi Taglioretti, succeduto a Giovanni nel ruolo di cavalier servente) le tengono bordone dicendo che sì! lei aveva un amante, il suo primo uomo.
Ma attenzione: gli amici si guardano bene dal confermare la disfunzione fisica di Don Pietro e lasciano che Giulia ne sia testimone unica. Ovviamente, se Don Pietro era invece dotato di normali “pendenti” (ricorda, Presidente, la battuta del testamento?), Alessandro poteva essere figlio suo (o di qualunque altro maschio avesse avuto, nel giugno 1784, rapporti intimi con Giulia Beccaria).
Sempre con riferimento a Giulia, ecco un altro disinformato e sciatto appunto di Custodi:
«La conversione religiosa della Giulia era stata incominciata, vivente ancora Giuseppe Imbonati, in Parigi, dall’ex-vescovo Grégoire».
Tre sciocchezze in una frasina corta corta: a/ l’Imbonati “della Giulia” si chiamava “Carlo”, “Giuseppe” era il di lui padre, morto nel 1768; b/ è ampiamente assodato che “la Giulia” si associò all’evoluzione religiosa di Alessandro ed Enrichetta nel 1810 (cinque anni dopo la morte di Imbonati); c/ in essa evoluzione Grégoire non ebbe nessunissimo ruolo.
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Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lecco, 10 settembre 2023.
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Giova ricordare che gli appena ricordati appunti di Custodi erano sparsi tra le migliaia di carte del suo archivio; che vennero arbitrariamente assemblati dal bibliotecario Auvray sotto il titolo “Contre Manzoni” (da lui inventato a propri fini editorial-promozionali) — soprattutto, che vi sono altre frasi di Custodi ben più meritorie di attenzione:
«Assicurasi che Alessandro Manzoni siasi trovato tra i nobili spettatori che nel giorno 20 aprile 1814 applaudivano, su la piazza di S. Fedele di Milano, agli sforzi de’ tumultuanti, i quali finirono coll’assassinio del ministro Prina».
Custodi non ci dice chi lo avesse “assicurato” della complicità di Manzoni in un efferato omicidio. Sappiamo però che egli era legatissimo a Prina, di cui fu assistente e amico personale.
Sappiamo inoltre che Manzoni era politicamente lontano da Prina ma anche che si dissociò immediatamente dal suo assassinio. Ne scrisse il 24 aprile a Fauriel (nostra traduzione):
«Mio cugino vi parlerà della rivoluzione che ebbe luogo qui. È stata unanime, e oso definirla saggia e pura, pur se disgraziatamente macchiata da un omicidio; perché è certo che coloro che hanno fatto la rivoluzione (la parte più grande e la migliore della città) non vi hanno avuto nulla a che fare essendo cosa lontanissima dal loro carattere. I responsabili dell’assassinio sono figuri che hanno approfittato del movimento popolare per dirigerlo contro un uomo che era oggetto dell’odio pubblico, il ministro delle Finanze, che hanno massacrato nonostante tutti gli sforzi che molti hanno fatto per strapparglielo dalle mani. Si sa, del resto, che il popolo è ovunque buona giuria e cattivo tribunale; nonostante ciò posso assicurare che tutte le persone oneste ne hanno provato grande repulsione.»
Tutti coloro che giurano sul Custodi per quanto riguarda la paternità verriana, dovrebbero a questo punto seguirlo anche in questa sua “rivelazione” politica — e quindi ritenere Manzoni complice dell’omicidio del Ministro Prina. O no?
Per soprammercato, nelle stesse carte (del 1829) troviamo anche una ridicola stroncatura de “I Promessi Sposi”:
«Il lusso delle descrizioni era così abbondante nel testo originale de’ Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, che all’atto di stamparlo, lo accorciò e mutilò in più luoghi e per lunghi tratti in ciascuno di essi; il che prova due cose: 1° l’intemperanza dello scrittore; 2º una distemperatezza d’idee e di modi di narrazione, non che la poca connessione et successione loro. onde si possono lasciare o togliere a piacere, senza che ne apparisca difetto nella serie del discorso.»
Che facciamo? ribaltiamo la vita politica e religiosa di Manzoni e famiglia, nonché l’intiera evoluzione dalla “Prima minuta” alla “Ventisettana”, sulla base dei livori di Custodi nei confronti dei propri avversari politici? L’indagine storica — a differenza delle chiacchiere — non funziona così!
2/ Lettera di Gorani del 1808 a Giovanni Verri (parzialmente pubblicata da Giulini nel 1925 e, completa, da Campolungo nel 1998 — nostra trascrizione da foto dell’originale):
«Dona Giulia Manzoni colloca il di lei figlio e vostro e gli dà in moglie una figlia di quel Blondel di Vevay […] Questa figlia […] è stata educata in Genevra. Imaginatevi ora cosa diranno le nostre dame milanesi quando sapranno che un cavagliere ricco sposa la figlia d’un mercante e fittabile e quel che è peggio ancora per esse, una eretica? […]».
Bene! Ma a Gorani chi l’aveva detto che Alessandro fosse figlio di Giovanni? Egli frequentò certo il giovane Verri — ma ben prima della comparsa di Giulia Beccaria, da lui forse solo intravista anni dopo. Nel 1785 era lontano da Milano già da sei anni e avrà sentito parlare della nascita di Alessandro chissà quando e da chi: un perfetto testimone da nulla. Per di più molto approssimativo.
Gorani dà infatti come di “Vevay” il Blondel padre (che era invece di Villette/Losanna); lo dice “mercante fittabile” (e invece era grande proprietario di terre confiscate alla Chiesa, ben noto in Milano per avere proprio allora acquistato palazzo Imbonati); dà come “educata a Genevra” Enrichetta, che lo fu invece esclusivamente in Lombardia; dice “cavagliere” Alessandro Manzoni, che mai lo fu.
È inoltre ben comprovata (basta sfogliare le sue “Memorie”) la disinvolta propensione di Gorani a raccontar fole a prescindere. E quando nel 1808 scrisse a Verri quella lettera, zeppa di complimenti, servili fin in modo imbarazzante, questi lo aveva appena aiutato a risolvere un problema, triplicandogli così le entrate: il riferirsi a Giovanni come padre del “cavagliere ricco” ha tutta l’aria sia di un ruffianesco ammiccamento dell’ormai anziano avventuriero alle doti da “tombeur de femmes” dell’amico della allegra prima maturità — sia di un promemoria sull’eventuale utile che all’amico (come lui, sempre alla cerca di denaro) poteva venirne dall’eventualmente manifestarsi come padre vero del “cavagliere ricco” (proprio all’opposto Dona Giulia aveva tutto l’interesse che la cosa rimanesse nel dimenticatoio).
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Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lecco, 10 settembre 2023.
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La lettera — anonima — (l’attribuzione a Gorani è data solo dal protocollo appostovi, apparentemente, dal destinatario) fu rinvenuta dallo storico Alessandro Giulini nell’Archivio Sormani Andreani Verri e dallo stesso pubblicata sul Marzocco del 5 luglio 1925 ma in modo fortemente reticente: solo in trascrizione testo; senza riportarne la data (mettendola così nel mazzo di corrispondenze di 30 anni prima); riportandone solo alcuni brani e censurando il “vostro” — un modo perfetto per farla passare quasi inosservata. Fu poi inspiegabilmente “sequestrata” da Alessandro Casati nel 1929; da lui tenuta per quasi un trentennio nella propria esclusiva disponibilità (senza dirne mai nulla nonostante si occupasse a tempo pieno di Gorani); dopo la sua morte, depositata nel 1967 alla Ambrosiana; lì (certo artatamente) resa irrintracciabile; infine da Campolunghi meritoriamente ritrovata e nel 1998 pubblicata (con fotografia) ma con 24 errori di trascrizione; pasticci sul tipo di carta; confusione sulle sue misure; cecità sulla tariffa di spedizione; affermazioni inverificabili su timbri postali e sigillo e, soprattutto, senza uno straccio di contestualizzazione critico-storica. Il tutto con il plauso del CNSM che pubblicò la presentazione acritica di Campolunghi aggiungendovi, di suo, un ulteriore errore di trascrizione (e 25!) e senza una parola di commento — forse perché, secondo Casa del Manzoni, “il documento parlava da solo”.
E invece quella lettera — quantomeno per la repubblica della critica storica — è perfettamente muta! Mentre sono troppe le sue “stravaganze”: il modo reticente della pubblicazione nel 1925 (come se Giulini ne fosse pochissimo convinto); il sequestro da parte di Casati; l’occultamento all’Ambrosiana; rozza e squinternata la sua struttura.
Delle 625 parole di cui si compone, 211 sono di elogio a Giovanni Verri, pari per ingegno a Pietro e ad Alessandro ma di essi più sensibile, nobile, generoso, amabile; 112 al raffreddore dell’altro fratello, l’ipocondriaco Carlo; 75 a una “vecchia e bruta” governante cui Giovanni aveva riaccordato il saluto e al di lei compagno, galoppino di Gorani; 147 a Donna Giulia, al matrimonio del “cavagliere ricco” Alessandro, al suo essere figlio di Giovanni, ai prevedibili commenti agri delle matrone milanesi, ai saluti da parte di Blasco (zio di Giulia); 66 alle raccomandazioni a Giovanni per la spedizione di un proprio pacco e a considerazioni sulle ciarle con cui i vecchi importunano i vecchi amici. Inoltre è zeppa di francesismi, contorsioni sintattiche, errori ortografici — una pessima qualità, difforme da altre lettere di Gorani, scritte in un stile espositivo decentemente strutturato sul piano logico e linguistico.
L’impressione che se ne riporta è di un testo che si sforza di presentare la paternità di Verri in un clima di familiarità e quotidianità — come se fosse cosa di cui, nel giro dei vecchi amici, si parlasse normalmente. Che fare?
Intanto (a evitare di intossicarsi con un piattino manzoniano, eventualmente cucinato a cavallo tra il cinquantesimo della morte del poeta e il centesimo della Ventisettana) della lettera deve essere prima di tutto provata l’autenticità con verifiche grafologiche e strumentali (autografi dell’estensore, della posta, del protocollo di entrata; verifiche su inchiostri, carta, ceralacca, colla, timbri, ecc. ecc.). Poi, se pure riconosciuta come “documento” e non banale patacca, ne deve essere analizzata l’attendibilità e la veridicità di contenuto attraverso una seria contestualizzazione (anche una confessione, piena ma senza riscontri oggettivi, non è di per sé accettabile come prova). In attesa, consideriamo quel foglio come una mera ipotesi di lavoro.
3/ Tommaseo, “Venti ore con Manzoni / Colloqui con Manzoni”. Nel tardo autunno 1855 l’ormai cieco Tommaseo dettò a due amanuensi la sintesi di circa 20 ore della conversazione avuta in ottobre con Manzoni; frammista a ricordi di colloqui svoltisi tra i due nel periodo 1824-27, ne ricavò 72 carte formato cm 21×15, manoscritte su entrambi i lati. A Giovanni Sforza, nel 1873, Tommaseo dichiarò “perso” il lavoro; l’anno successivo egli morì. Nel 1899 la figlia ne impacchettò l’intero archivio e lo consegnò alla Nazionale di Firenze con vincolo di non apertura fino al 1925. Il rosminiano De Vit ne diede notizia a Giulio Bonola che nel 1925 ne chiese l’accesso. Un suo inviato aprendo il pacco n. 99 trovò quelle 72 carte; le mostrò alla bibliotecaria Teresa Lodi (già allieva di Ermenegildo Pistelli) che le trattenne, di fatto sequestrandole (Bonola non ne ebbe più accesso se non nel 1927, dopo ricorsi al Ministero dell’Istruzione che impose alla Lodi la consegna del malsequestrato).
22 maggio 2023 / 150º anniversario della morte di Alessandro Manzoni.
Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lecco, 10 settembre 2023.
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Nell’ottobre 1926 Pistelli (prete, curatore di una edizione scolastica dei Promessi Sposi), con larghi elogi alla Lodi, ne anticipò i contenuti con due lunghi articoli sul Corriere della Sera, scritti “come manzoniano e come fascista” (sono sue parole); ai primi del 1927 egli morì. A dicembre 1928 Bonola pubblicò il dettato di Tommaseo sulla rivista “Il Convegno” con il titolo “20 ore con Manzoni” (con un disastroso pasticcio tipografico proprio sulla frase di nostro interesse), seguito ai primi del 1929 dalla bibliotecaria Lodi / Sansoni editore, con il titolo “Colloqui col Manzoni” con il quale l’opera è più conosciuta e citata (l’inqualificabile comportamento di Lodi è pressoché da tutti ignorato).
Come chiunque può immaginare, le possibilità di manipolazione di questi appunti di Tommaseo (da lui mai più rivisti dopo la dettatura) sono state infinite — sia dopo la sua morte sia dopo l’apertura del suo archivio. Ma veniamo a noi:
«Anco di Pietro Verri [Manzoni] ragiona con riverenza, tanto più ch’egli sa, e sua madre non glielo dissimulava, d’esser nepote di lui, cioè figliuolo d’un suo fratello, cavaliere di Malta.».
La frase (esplicito ricordo delle conversazioni del 1824-27) viene sempre così citata ma, con il solito vezzo, sempre resa mutila — nel testo, detto di Tommaseo, essa infatti così prosegue:
«[cavaliere di Malta]; e perché il Parini non era gran fatto amico ai Verri e al Beccaria egli [Manzoni] anni fa del Parini parlava con men riguardi d’adesso.»
Siamo a 9 righe dall’inizio dell’opera: una posizione perfetta perché il suo nucleo pruriginoso rimanga con certezza nella testa del lettore anche più distratto. Anche grazie alla tecnica del panino: la sfiziosa cotoletta “Manzoni figlio di Giovanni Verri” tra le fette “Verri-Beccaria” e “Parini”. L’effetto della frasina è garantito e pensato in modo che non appaiano immediatamente le sue grossolane assurdità, ossia:
a/ che Manzoni “SA” di essere figlio di Giovanni Verri — là dove il ”sa” indica certezza. Venuta da chi e quando? non dalla propria madre (questa, secondo Tommaseo, si limitava a non negarlo) ma da altre fonti — quali fossero e quando si fossero manifestate, non è detto;
b/ che Manzoni non solo “sapesse” ma ne fosse anche lusingato: infatti (sempre secondo Tommaseo) il sapere di essere figlio di Giovanni Verri rendeva a Manzoni ancora più da riverire il fratello di lui, Pietro;
c/ che ne fosse tanto contento da spingere il quarantenne e patologicamente riservato Manzoni a condividere la cosa con Tommaseo (semi sconosciuto e poco più che ventenne) infilando in valutazioni su Verri e Parini ricordi delle giovanili giostre amorose di Donna Giulia! narrandogli anche di una propria origine adulterina!! e ciò nel pieno di un riposizionamento tutto religione e famiglia attivato, anche teatralmente, dalla medesima Donna Giulia per rientrare nei ranghi della Milano bene!!!;
d/ che Manzoni fosse una così stupida macchietta da sfiatare in giudizi su figure come Verri e Parini in base a propri umorali sensi di appartenenza familiare: mi piace Verri perché è mio zio; mi disgusta Parini perché non è di lui amico.
Tanto per la cronaca, dopo questa apparizione nelle prime righe, nelle oltre 40.000 parole di cui si compongono i “Colloqui”, il nome Verri non compare mai più, nonostante il peso che Pietro ebbe in Manzoni, per es. per tutta l’elaborazione della “Storia della colonna infame”.
Traendo da questi “Colloqui” di Tommaseo, si potrebbe scrivere una non piccola enciclopedia della mistificazione, tanti sono i passaggi in cui, dando a intendere siano parole o pensieri di Manzoni, Tommaseo (sfibrato dalla borsa sempre vuota) tira fuori tutto il suo livore contro il mondo intero. È veramente incredibile come quel “egli sa” e quel “sua madre non glielo dissimulava” da quasi un secolo siano presi come elementi probanti su un aspetto non secondario per la memoria storica di Manzoni e del suo tempo!
Eppure, per questo 150º anniversario il Professor Stella, nella sua già ricordata memoria filatelica, seppure con inusitate titubanze, non è riuscito a fare a meno di ricascarci («è molto probabile che il padre naturale di Alessandro fosse un amante di Giulia, Giovanni Verri»), delle tre andando a citare proprio la testimonianza meno attendibile: «Dalle parole del Tommaseo pare evincersi come Verri fosse il vero padre dello scrittore.» (con quel “pare evincersi” il Presidente Stella si è guadagnata la tessera ad honorem del nostro club “Scienza & Ragione” — era ora, è il benvenuto!).
A dispetto dei segnalati inusuali accenti dubitativi, pertinacemente e sempre senza alcun supporto critico, lo ripetiamo, Casa del Manzoni insiste nel valorizzare un rapporto solo ed esclusivamente genetico tra Manzoni e il milanese Giovanni Verri, che non ebbe MAI nessunissima relazione di nessun tipo con Alessandro.
E ciò mentre cancella, con un grottesco silenzio, il più che accertato e trentennale legame famigliare, naturalistico, sociale ed etico che Manzoni ebbe con l’ambiente lecchese.
22 maggio 2023 / 150º anniversario della morte di Alessandro Manzoni.
Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lecco, 10 settembre 2023.
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Segnaliamo che, se pure fosse “verità” la paternità biologica del Verri, cosa impedirebbe il riconoscere contemporaneamente il legame imprescindibile tra Manzoni e Lecco se non una volgare smania di monopolio a pro’ di ben misurabili interessi di marketing culturale? (a proposito: quanto rende all’anno a Milano la storytelling della paternità Verri?).
È inutile girarci intorno: tutto ciò determina un combinato disposto che, al di là delle intenzioni, conduce inevitabilmente all’idea tecnicamente razzista dell’identità esistenziale basata sul sangue. Ma che rapporto può avere tale incivile impostazione con le cose belle — e così manzoniane — da Lei, caro Presidente, richiamate nel Suo discorso del 22 maggio, tenuto proprio in quella stessa Casa del Manzoni?
Purtroppo, tra le vittime dell’insulso chiacchiericcio vi sono anche le istituzioni comunali locali che hanno indotto Lecco a evirarsi, accettando supinamente le fantasie dei milanesi “verriani” e cancellando il nome di Manzoni dalle proprie insegne cittadine (fino al 2014 era “Lecco, città del Manzoni” — ora è “Lecco, città dei Promessi Sposi”).
E come se ne esce da questo assurdo pasticcio? Nel modo proprio della cultura: avviando una seria indagine critico-storica per arrivare a una “verità”, qualunque essa sia, sulla paternità di Manzoni (ma bisogna lavorarci anche con gli strumenti tecnico-scientifici più evoluti — anche analisi del DNA — da parte nostra, pronti al contributo). Comunque è opportuno fin da oggi evitare ogni possibile incoraggiamento alla ipotesi “genetico-verriana”, ricordando che a suo suffragio oggi esistono solo i TRE riferimenti sopra citati, evidenziandone al contempo la quasi nullità testimoniale.
Fin qui l’importanza di Lecco per la biografia di Manzoni; veniamo ora all’altro aspetto, essenziale a significarne invece il legame indissolubile anche con il suo romanzo.
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Lecco è la città del Manzoni
ma anche de “I Promessi Sposi”.
Caro Presidente,
ne abbiamo già accennato all’inizio di questa nostra: nel romanzo di Manzoni, Lecco e il suo territorio svolgono un ruolo fondamentale, in perfetto equilibrio con quello assegnato a Milano.
Lecco e il suo territorio, simbolo dell’individuo, delle sue particolarità esistenziali, delle relazioni personali / Milano, simbolo della collettività, della vita politica e sociale in tutte le sue manifestazioni, positive e negative.
I personaggi del romanzo sono distribuiti tra i due poli narrativi ma con distinte fisionomie.
Appartengono a Lecco e al suo territorio, o come nativi o come “stranieri trasferitisi”, le figure che nel romanzo vengono presentate come individui, con una loro specifica fisionomia soggettiva: Don Abbondio, Don Rodrigo, Perpetua, Renzo, Lucia, Agnese, Tonio, Padre Cristoforo, l’innominato — costituiscono la coorte più numerosa di figure nella romanzesca galleria manzoniana.
Appartengono a Milano, invece, i personaggi che rappresentano la Storia collettiva, o come protagonisti riconosciuti o come anonimi ingranaggi del complesso meccanismo sociale: il Cardinale Federico; il Padre Felice Casati; i medici Tadino e i due Settala; il governatore Ferrer; il vecchio mal vissuto; il notaio e i birri che arrestano Renzo; i giudici del processo a Piazza e Mora; il medico Francesco Enrico Acerbi, amico di Manzoni e anticipatore delle successive scoperte di Pasteur (è l’unica figura a lui contemporanea che Manzoni cita nel romanzo).
I due piani di svolgimento della nostra vita (l’individuale e il collettivo) sono da Manzoni tenuti quindi ben distinti, assegnando alla sfera dell’individuo l’ambiente che allo scrittore era più istintivamente vicino perché vissuto nella fasi della propria formazione.
E quindi, come è possibile commemorare Manzoni senza neppure nominare Lecco?
22 maggio 2023 / 150º anniversario della morte di Alessandro Manzoni.
Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lecco, 10 settembre 2023.
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Sul ruolo dell’ambiente nella poetica di Manzoni sono già stati scritti migliaia di commenti, alcuni di ottimo livello: lontanissima quindi da noi l’idea di ripetere concetti già espressi e acquisiti. Ci vogliamo invece limitare (muniti solo di carta, penna e delle più elementari nozioni dell’aritmetica) a pesare in pagine sia i personaggi sia i territori del romanzo.
I luoghi e gli ambienti del romanzo sono in prevalenza espressioni di Lecco e del suo territorio. Il loro perimetro è dato dal compasso dello sguardo, come indicato con precisione topografica nelle prime due pagine del capitolo primo: è una striscia di territorio lunga pochi chilometri che ha nell’Adda, nelle sue diverse configurazioni di lago-fiume-lago-fiume, il suo asse di riferimento.
Per dargli limiti condivisibili con i nostri parametri di oggi, possiamo fissarlo nei 15 chilometri che stanno tra Abbadia Lariana e Calolziocorte (è più o meno quanto si vede a occhio nudo da Galbiate, dove Manzoni passò l’infanzia, cresciuto dalla contadina Panzeri di cui Le abbiamo già parlato, Presidente). Quanti eventi si svolgono in quella manciata di chilometri!
Lì prende avvio il romanzo: la straordinaria descrizione d’apertura; l’incontro di Don Abbondio con i bravi di Don Rodrigo; il rinvio del matrimonio, primo punto della trama del racconto; l’urto tra Don Rodrigo e Padre Cristoforo; il tentato rapimento e il tentato matrimonio d’inganno; la fuga dei tre perseguitati (siamo già al cap. VIII e a pagina 164 sulle 746 della quarantana = pp. 155 = 21%).
Lì si svolge lo snodo chiave della vicenda personale dei promessi e del potente iniquo divenuto caritatevole: l’arrivo di Lucia alla fortezza dell’innominato; il di lui turbamento, già da tempo incubato; il suo incontro a Chiuso con il cardinale Federico; l’accettazione di una nuova prospettiva esistenziale; la liberazione di Lucia; il reinserimento nella collettività del fuorilegge che non sopportava avere chicchessia al di sopra di sé (cap. XX-XXVII — pp. 377-508 = p. 131 = 17%).
Lì va a buon fine la fuga di Renzo da Milano: la notte nell’oscuro bosco, sulle rive dell’Adda, il fiume di cui distingue infallibilmente il canto e asse portante del territorio; l’attraversamento delle sue acque e del confine, fuori dal mortifero dominio straniero (cap. XVI-XVII, pp. 308-342 = p. 34 = 5%).
Lì è il varco per la peste: dal ponte Azzone Visconti di Lecco (lo abbiamo già ricordato) i mercenari entrano nel Ducato di Milano portandovi la morte per contagio; da lì, i nostri paesani, passando da Chiuso, si rifugiano alla fortezza dell’innominato (cap. XXIX-XXXI, pp. 551-602 = p. 51 = 7%).
Lì si conclude la vicenda dei promessi: il ritorno di Renzo al paese natio; il ritorno di Lucia; il matrimonio finalmente celebrato da quello stesso curato dalla cui codardia tutto era iniziato; la chiusura del cerchio con il sacramento grande in Cristo e nella Chiesa che apre (per il cattolico Manzoni, si intende) la strada per la santificazione degli sposi, finalmente tali e non più solo promessi (cap. XXXVII-XXXVIII, pp. 711-746 = p. 35 pagine = 5%).
In totale quindi 406 pagine del romanzo (sulle 746 della quarantana — teniamo fuori dal conto la “Storia della colonna infame”), ossia il 55% del suo testo, riguarda fatti, vicende, riflessioni che hanno come ambientazione Lecco o il suo territorio — sembra quasi che Manzoni abbia usato il bilancino nel pareggiare le due aree del suo romanzo (e della sua vita), per non scontentare nessuno e dare opportune indicazioni ai futuri celebratori — da un secolo, distratti.
Ma dobbiamo accennare a un altro aspetto (stiamo per concludere questa lettera, caro Presidente — ci accordi ancora un poco della Sua attenzione).
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La poetica naturalistica di Manzoni si esprime esclusivamente in relazione a Lecco e al suo territorio. E sarebbe meraviglia il contrario: quale terra di Lombardia offre uno così vario e straordinario spettacolo della natura?
Molta della notorietà di Manzoni (soprattutto presso il grande pubblico) è dovuta alle due formidabili illustrazioni naturalistiche che il narratore ha inserito nel flusso dei primi accadimenti del romanzo: l’incipit (“Quel ramo del lago di Como …”) dedicato al tratteggio del territorio lariano (quella striscia di terra lunga 15 chilometri di cui Le abbiamo già detto) e, al cap. VIII, l’addio all’ambiente natio della fuggiasca Lucia nella notte degli imbrogli (“Addio, monti sorgenti dall’acque …”) che, oltre che una esplicita confessione autobiografica, è un compendio di teologia naturalistica.
Certo! Perché per Manzoni la natura è manifestazione del divino.
22 maggio 2023 / 150º anniversario della morte di Alessandro Manzoni.
Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Lecco, 10 settembre 2023.
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Non a caso Antonio Rosmini, nel 1826, appena ricevute da Manzoni le prime copie stampate del romanzo, gli dedicò il proprio scritto «Del Divino nella Natura» (dall’Introduzione):
«… dall’altra parte non parrà strano a nessuno, se non forse a voi solo, che io brami così di provocare il vostro giudizio sopra queste mie ricerche intorno al divino nell’ordine della natura, il quale si può dire comun patrimonio della Poesia e della Filosofia.
Qualora me lo negaste, io mi rivolgerei all’Italia, e le domanderei chi mai sia colui che, tra tutti i suoi figli, abbia più altamente pensato e sentito il nesso e l’intima unione di quelle due nobilissime figlie del pensiero umano, e gliel’abbia fatto sentire meglio di chicchessia e in modo novo e suo proprio.»
Abbiamo forse profittato un po’ troppo della Sua disponibilità, Presidente, ma ci pareva opportuno fissare il dato di fatto che Manzoni, sotto il profilo della struttura narrativa, della fisionomizzazione dei personaggi, della collocazione degli protagonisti umani nelle cornici abitative o naturalistiche, ha distribuito il proprio lavoro tra le due diverse sfere — Lecco e il lariano / Milano — in modo quasi perfettamente equilibrato ma con una certa prevalenza dell’ambiente in cui formò — infante, adolescente, giovane uomo — la propria personalità.
Ma è tempo di passare alla conclusione, tornando a quanto già nelle prime righe accennato.
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La nostra richiesta al Presidente Mattarella.
Caro Presidente,
ci pare coerente con le belle espressioni con cui Lei ha ricordato Manzoni il 22 maggio 2023 a Milano, riprendere le parole dell’Abate Stoppani (da lui predisposte per il discorso che preparò in vista della inaugurazione del monumento a Manzoni in Lecco — ma che non poté pronunciare essendo prematuramente scomparso):
«Lecco non poteva a lungo lasciare in oblio colui, da cui erano venuti dapprima il pensiero e il sentimento che danno vita all’azione, e che vantava tanti titoli di benemerenza verso questa terra da lui prediletta, dove veniva, fin dagli anni della sua prima giovinezza, a bevere a larghi sorsi l’aura della libertà. […]
Una popolazione intelligente, attiva, fervida, pronta all’ammirazione di tutto ciò che si presenta di bello, di buono e di grande, facile agli entusiasmi, liberale per tradizione, riottosa a qualunque genere di tirannia … »
Anche a ricordo di questo talentoso difensore della memoria di Manzoni (il prossimo anno ne commemoreremo il 200º della nascita), ci consenta di segnalarLe che martedì 7 novembre 2023 saranno passati 395 anni da quel martedì 7 novembre 1628 che Manzoni indica come giorno di inizio del suo romanzo, raccontandoci dell’incontro di Don Abbondio con i bravi di Don Rodrigo.
Nel ricordo di quella data, sempre fresca nella mente dei lecchesi anche dopo due secoli dalla pubblicazione del romanzo, Le chiediamo di esprimere la vicinanza del Capo dello Stato alla città di Lecco, purtroppo ignorata nel 150º della morte del suo cittadino Alessandro Manzoni.
Lei non ha certo bisogno di suggerimenti e, con le Sue note e apprezzate sobrietà e sagacia, saprà trovare il modo migliore per fare pervenire alla città di Manzoni e dei Promessi Sposi la Sua condivisione per la comune memoria di quel nostro vecchio e insieme giovanissimo Padre della Patria, da Lei così degnamente ricordato il 22 maggio 2023.
RingraziandoLa per la cortese attenzione, Le porgiamo i nostri più calorosi saluti.
Fabio Stoppani
Centro Studi Abate Stoppani
fabiostoppani@abatestoppani.it
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Per scaricare la lettera in formato PDF:
150º Manzoni_Lettera al Presidente Mattarella
Riferimenti ai materiali prodotti sul tema
dal Centro Studi Abate Stoppani:
1/ Attorno al legame organico tra A. Manzoni e Lecco con il suo territorio.
Insistita tendenza dei “milanesi” (ma anche di Alberto Angela e della TV di Stato; ma anche di Natalia Ginzburg) a ignorare il legame tra Manzoni, Lecco e il territorio lariano:
https://abatestoppani.it/lecco-citta-manzoni/
https://abatestoppani.it/caleotto-lecco-la-casa-di-manzoni/
https://abatestoppani.it/cancellata-lecco-dai-promessi-sposi-e-da-manzoni/
https://abatestoppani.it/ginzburg-e-la-famiglia-manzoni/
2/ Sul monumento a Manzoni in Lecco. Il ruolo determinante dell’Abate Stoppani. La truffa di Giosuè Carducci.
Narrazione della realizzazione del monumento a Manzoni in Lecco, eretto nell’ottobre 1891. Illustrazione del ruolo che vi ebbe l’Abate Stoppani sul piano culturale, morale e organizzativo. Dimostrazione del carattere truffaldino del “Discorso di Lecco” di Giosuè Carducci, tanto noto quanto mai pronunciato:
https://abatestoppani.it/esaltato-carducci-ignorato-stoppani/
https://abatestoppani.it/lecco-al-museo-manzoniano-cancellata-la-faccia-di-manzoni/
https://abatestoppani.it/storia-monumento-manzoni-lecco/
https://abatestoppani.it/125-anniversario-monumento-manzoni-lecco/
3/ Attorno al tema della paternità di A. Manzoni. Un dipinto farlocco.
Illustrazione delle posizioni di romanzieri-biografi sulla paternità verriana. Nostra dimostrazione sulla nullità documentale del noto dipinto raffigurante Giulia Beccaria e Alessandro Manzoni bambino, attribuito a Viappiani e da 200 anni alla dimora dei Manzoni in Brusuglio. La corretta trascrizione della lettera a Giovanni Verri, attribuita a Giuseppe Gorani; sua fragilità documentaria:
https://abatestoppani.it/padre-alessandro-manzoni/
https://abatestoppani.it/giulia-moglie-pietro-manzoni/
https://abatestoppani.it/ginzburg-e-la-famiglia-manzoni/