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Note critiche a: «Viaggio nel mondo dei Promessi Sposi» – 7 aprile 2018 – RAI3/Alberto Angela

18 giugno 2018
Lettera aperta ad Alberto Angela – Quinto approfondimento

Quanto segue è uno degli otto allegati della «Lettera aperta ad Alberto Angela» di commento alla trasmissione «Viaggio nel mondo dei Promessi Sposi» andata in onda il 7 aprile 2018 – RAI3, 21:30.
I collegamenti alle altre parti della lettera sono riportati al piede di questa pagina o nel menù principale in testata.

La “vera storia” della Monaca di Monza, raccontata da RAI3-Angela?

Il nulla dietro una confusa cronachina tinta di rosa.

Cancellata la riflessione di Manzoni sul circolo annichilente — violenza subita / violenza data.

In compenso solo pavidi accenni all’aspro — ma storico — risvolto “erotico-criminale” della vicenda. 

PREMESSA

L’approfondimento di RAI3-ANGELA sulla vicenda della Monaca di Monza, è da trattare in parti distinte.

In esso confluiscono infatti elementi differenziati, tutti importanti per la comprensione del romanzo, di Manzoni, del Seicento.

Ma anche per constatare — purtroppo — la scarsa attenzione con cui la trasmissione RAI3-ANGELA ha presentato un argomento complesso, molto attrattivo per il pubblico italiano sensibile a tutto ciò che si riferisca al cattolicesimo.

E di come sia evidentemente al di là delle capacità culturali della trasmissione affrontare con la dovuta attenzione il problema analizzato da Manzoni attraverso la vicenda “Signora di Monza”.

Ossia la caratteristica capacità della violenza — vera peste psichica — di autoalimentarsi: chi ha subìto violenza sarà portato a infliggere violenza.

Per interrompere questo tipo di contagio è necessario un impegno sistematico e su più fronti. Ma nella trasmissione di RAI3-ANGELA tutto ciò non viene neppure immaginato.

[28.51] ALBERTO ANGELA: «La monaca di Monza è certamente uno di personaggi che più si imprime nella memoria di chi legge. Perché è un personaggio avvolto in una atmosfera particolare, morbosa, trasgressiva. Però per questo personaggio Manzoni si è documentato accuratamente. Prende appunti, scrive pagine su pagine e sviluppa una storia addirittura in sei capitoli. Questo in Fermo e Lucia, la prima versione dei Promessi Sposi. Ma poi per pudore o forse perché rischia di divagare troppo, taglia ogni dettaglio e risolve tutto in una frase che molti ricordano: “La sventurata rispose”. Ora la monaca, cioè, non lascia cadere le avances del suo seduttore. Ma cosa si nasconde dietro a quella frase? Qual è la vera storia della monaca di Monza?»

In questa trasmissione quella che sembra una attitudine di Alberto Angela a porsi con sincerità di fronte ai problemi, si manifesta spesso sotto forma di una impressionante non conoscenza del tema che espone.

Ci dicono che sia più o meno inevitabile in un conduttore che salta da un argomento all’altro per decine di trasmissioni all’anno. Dissentiamo: nessuno obbliga Angela a presentare al pubblico argomenti sui quali ha una infarinatura spesso neppure nella media: faccia meno ma meglio, come ci aveva abituati anni fa in aree della cultura più vicine alla sua formazione di naturalista e di storico della vita della Terra.

Nel corso di questa trasmissione, per esempio (rileggete le parole che abbiamo sopra riportato), Angela presenta il cosiddetto “Fermo e Lucia” come “la prima edizione” de “I Promessi Sposi”.

Il primo foglio della prima stesura del romanzo, rimasta manoscritta (1821).

La copertina della prima edizione de “I Promessi Sposi” (1827, la copertina venne stampata nel 1826).

La copertina della seconda e ultima edizione de “I Promessi Sposi – Storia della Colonna Infame” (1840).

Non comprendiamo da dove e da chi Angela abbia preso questa idea balzana. Vediamo di mettere insieme alcune banali verità.

Ciò che Angela chiama “prima edizione” de “I Promessi Sposi” sono i circa 800 fogli manoscritti, vergati da Manzoni tra il 1821 e 1823 come prima bozza del romanzo. Alcune parti di questa prima stesura sono state utilizzate da Manzoni per la prima edizione – questa sì! – de “I Promessi Sposi”, uscita tra il 1825 e il 1827 e chiamata convenzionalmente la “Ventisettana”. Ma molte parti sono state modificate anche radicalmente.

Quei manoscritti vennero letti solo da un ristretto gruppo di amici di Manzoni, i quali vi apportarono osservazioni e anche proprie redazioni (da Manzoni in parte accettate, altre rifiutate). E rimasero tra le carte di Manzoni per tutta la sua lunga vita senza che nessuno le vedesse e neppure ne sospettasse l’esistenza.

Solo nel 1905 (a quarant’anni dalla morte dello scrittore) quei manoscritti vennero analizzati, trascritti, interpretati, secondo le proprie capacità e obiettivi, da Giovanni Sforza che li pubblicò con Hoepli sotto il titolo “Brani inediti dei Promessi Sposi”.
Gli stessi manoscritti vennero poi ripresi, riorganizzati e pubblicati nel 1915 da Giuseppe Lesca, col titolo “Gli sposi promessi”.
Solo nel 1954, a cura di Alberto Chiari e Fausto Ghisalberti, quegli stessi manoscritti, naturalmente visti e organizzati con più profonda capacità filologica, vennero pubblicati col titolo «Fermo e Lucia – Prima composizione del 1821-1823 / Appendice Storica su la Colonna Infame – primo abbozzo del 1823».

Da quel 1954 quei manoscritti di Manzoni del 1821-23 sono convenzionalmente chiamati “Fermo e Lucia” e oggi in libreria sono presentati in volume. Possono così sembrare a chi non conosce la vicenda come un “altro” romanzo di Manzoni o – appunto – come la sua “prima edizione”. Ma non è così.

Proprio come non sono la trasmissione di Angela, cui il telespettatore assiste il sabato sera, le molte giornate di discussioni, scritture, revisioni, prove, rifacimenti, tagli, aggiunte e ripensamenti che stanno dietro alle due ore della trasmissione realmente andata in onda.

In molte sue parti questa prima stesura di Manzoni è perfettamente definita sul piano letterario. Ed è utilissima per comprendere il processo attraverso cui Manzoni giunse a scrivere uno dei romanzi fondanti della letteratura italiana e mondiale. Ma chi la vuole presentare come una “prima edizione” di quel romanzo stesso fa, nella migliore delle ipotesi, opera di disinformazione.

Perché è opportuno dire con chiarezza che tra quella prima stesura e il romanzo come lo pubblicò Manzoni — ossia per come Manzoni volle che fosse conosciuto — vi sono differenze molto rilevanti sul piano dei contenuti.
In quella prima stesura Manzoni aveva inserito, e anche molto sviluppato, situazioni, idee e suggestioni che poi decise di NON presentare al lettore.

Tra questi temi che Manzoni decise di NON presentare al pubblico vi è tutta la parte “erotico-criminale” della vicenda della “Signora di Monza”.

Nella prima stesura Manzoni aveva pensato si potessero tenere insieme le sue riflessioni sulla violenza all’interno della famiglia e uno spaccato crudo e veritiero della società secentesca.

Nel pubblicare “I Promessi Sposi” aveva invece compreso che la vicenda di una bella monaca che conduce per anni in un convento di clausura una giostra di sesso di gruppo, con un aborto, una nascita clandestina, due uccisi per strada, una suora assassinata nella sua cella, complice un giovanotto ricco, bello, aitante e spadaccino provetto, avrebbe seppellito ogni sua considerazione etica, e condannato il romanzo forse a una fiammata di notorietà ma certamente alla rapida scomparsa, come i tanti polpettoni ottocenteschi di cui oggi nessuno ricorda più neppure il nome.

Fa quasi tenerezza Angela quando dice: «Ma poi per pudore o forse perché rischia di divagare troppo, taglia ogni dettaglio e risolve tutto in una frase che molti ricordano: «La sventurata rispose».

Ma via! Ma Angela e i suoi consulenti hanno mai comparato quei primi appunti e “I Promessi Sposi”?
Non si sono accorti che Manzoni ne “I Promessi Sposi” ha tagliato decisamente la parte “erotico-criminale” della vicenda mentre ha lasciato pressoché invariata tutta la parte relativa alla violenza psicologica cui viene sottoposta la giovane Geltrude da parte del padre?

Non si sono accorti che la denuncia della coartazione di una adolescente da parte della sua famiglia e della società (lasciata quasi invariata da Manzoni in quei primi appunti e nel romanzo pubblicato) è infinitamente più “forte” e “scandalosa” del mostrare l’irrequietezza sensuale, ribellistica e anche criminale di adulti, alla fine padroni della propria vita?

Manzoni fece una scelta precisa, e decise di lasciare allo stato di manoscritto tante belle trovate letterarie (anche molto interessanti per tanti aspetti) ma distoniche rispetto al suo obiettivo principale.

RAI3-ANGELA hanno invece scelto di proporci lo ”scarto” di Manzoni. Va benissimo.
Ma allora si sarebbe dovuto: prima di tutto dichiararlo (per non creare confusioni in chi non ha ben presenti queste tematiche) e, in secondo luogo, farlo con la dovuta completezza e approfondimento, perché anche la rappresentazione di comportamenti negativi potesse almeno favorire la consapevolezza critica del telespettatore.

RAI3-ANGELA avrebbero dovuto cioè andare direttamente alla fonte del versante “erotico-criminale”, ossia alle carte del processo condotto nel 1608 contro Suor Virginia, Osio, le Suore del quadrangolo erotico e un sacerdote pornografo, che tenta di sedurre Suor Virginia ma poi passa ad altra Suora e la fa sua complice in atti osceni nel parlatorio del convento, attraverso la grata che divide le monache in clausura dal mondo.

Ma RAI3-ANGELA non sono stati in grado neppure di concepire una simile operazione di ricostruzione storica (sono tutti fatti purtroppo verissimi) e si sono fermati spaventati, rimanendo con un piede dentro e uno fuori dalla scena della confusione di menti e ruoli. Ne dicono qualcosina ma tacciono quasi tutto, terrorizzati dall’idea di finire nel tritacarne delle inevitabili reazioni del mondo cattolico.

Il lettore avrà compreso che questo “approfondimento” di RAI3-ANGELA non ci è proprio piaciuto. Ma dal momento che ci siamo posti l’obiettivo di fare una analisi il più possibile oggettiva della trasmissione, allora andiamo avanti.

[29:50] VOCE FUORI CAMPO: «La nostra indagine sulla Monaca di Monza parte dall’Archivio di Stato di Milano, dove il passato e il presente della storia è racchiuso in un labirinto di corridoi, un percorso nei secoli alla ricerca di documenti che potranno far luce sulla storia della Monaca Marianna de Leyva, al secolo Suor Virginia detta la Signora di Monza.
Abbiamo ripercorso i luoghi attraverso il Catasto Teresiano per capire cosa è rimasto oggi di antichi palazzi, conventi e luoghi di prigionia dell’epoca

Il lettore si fissi queste parole. Ci parlano di una “nostra indagine sulla Monaca di Monza” svolta negli Archivi di Stato di Milano e attraverso il mitico Catasto Teresiano.

Sentendo queste parole lo spettatore si fa necessariamente molto attento: si aspetta che la RAI, la più grande azienda culturale del paese, stia per renderlo partecipe di notizie e documenti (che egli immagina inediti) riguardanti:

a. “palazzi, conventi, e luoghi di prigionia” (evidentemente mai visti prima, pensa il telespettatore), e in più …

b. novità sulla vicenda, desunte da “documenti che potranno far luce sulla storia” (quella vera, si intende, con nomi e cognomi veri, e fatti comprovati).

Come però avviene altre volte nella trasmissione, alle grandi promesse seguono piccoli fatti. Per esempio – e solo per ricordarne una – della promessa di “documenti” si perde ogni traccia.

E anche della “STORIA”, quella con la “S” maiuscola, viene detto pochino. Anzi, salvo tre date sparate all’inizio (ma una è sbagliata), si ha l’impressione che a un certo punto a sceneggiatori e consulenti sia mancata la voglia o la capacità di darci uno squarcio vivo e istruttivo del primissimo Seicento, il teaser permanente della trasmissione.

E quindi, alla fine, dopo la promessa altisonante di “far luce sulla storia”, RAI3-ANGELA hanno finito per proporci in lunghi otto minuti una cronachina confusa e risibile della parte “erotico-criminale” della vicenda (da cui, lo abbiamo visto, Manzoni si tenne accuratamente lontano) che, oltre a pacchiani strafalcioni è incomprensibilmente empatica della linea difensiva adottata dalla “Signora”, la cui inconsistenza emerge con chiarezza dagli atti del processo.

E sì! perché di quel processo da 150 anni sono ben noti tutti gli atti e i verbali di interrogatorio.

RAI3-ANGELA non ne dicono assolutamente nulla, e così il telespettatore è portato a ritenere che quanto gli sta proponendo la trasmissione sia il frutto della “ricerca” annunciata in apertura di episodio.

Dagli “Atti del processo” emerge con chiarezza la piena responsabilità della Signora. Non solo nella violazione delle leggi ecclesiastiche (è un’area da cui i più sono lontani) ma anche e soprattutto nel risvolto criminale della vicenda (che invece interessa la sensibilità civile di tutti).

Lo può verificare chiunque leggendo il fascicolo processuale, comprensivo di verbali di interrogatori e sentenze, che è stato pubblicato già 150 anni fa, ma che nel 1985 è stato riproposto da Garzanti in utile edizione critica, a cura del Centro Nazionale Studi Manzoniani. Ne suggeriamo la lettura perché è un raro documento sul nostro passato, molto utile a comprendere il nostro presente.

È anche opportuno dire che fin dai primi anni del Seicento questi “Atti del processo“ sono custoditi con cura e rigore dalla gerarchia ecclesiastica, in particolare dall’Archivio Diocesano di Milano (nel secolo scorso si deve al Cardinal Montini il consenso alla sua presentazione al pubblico da parte di Mario Mazzucchelli, di cui parleremo più sotto).

Ma torniamo alla trasmissione.
Dopo un perentorio «Ma chi era Marianna de Leyva? Cosa si nascondeva dietro quel convento di clausura di Monza all’inizio del 1600?» a sottolineare il carattere “serio” della “indagine”, si passa ai fatti.

Errori, deformazioni biografiche, fantasie topografiche.

[30:33] VOCE FUORI CAMPO: «Marianna nasce nel 1573 a Milano.
Rimasta orfana di madre in tenera età, sembrava subito destinata al convento. Persino i giocattoli che riceveva in dono erano bambole vestite da suora.»

Errore – Mai abbiamo visto riportare quel “1573” come data di nascita di Marianna de Leyva. Si sa con certezza che il matrimonio tra la madre e il padre della futura monaca fu celebrato il 22 dicembre 1574: è abbastanza improbabile che la loro figlia fosse nata un anno prima del matrimonio.
Come data di nascita della Signora di Monza, gli studiosi propendono per il dicembre 1575.

FantasiaRAI3-ANGELA ignorano ben noti dati biografici della futura Monaca. Il 26 giugno 1586, in veste di tutore (la madre era morta nel 1577) il padre Don Martino scrive al Re di Spagna chiedendo venga assegnata una dote per la figlia Marianna, perché essa ne possa usare per il matrimonio appena raggiunta l’età consentita (ASmi, da Paccagnini, 1985).

Quindi, quando Marianna aveva 11 anni, il padre pensava per lei ancora a un “normale” futuro matrimoniale.
La decisione di fare della figlia una monaca è successiva, a seguito di un nuovo matrimonio, contratto da Don Martino in Spagna, tra il 1587 e il 1588, e della nascita di altri figli (maschi per di più).

La trasmissione supera poi d’un sol balzo la penosa violenza psicologica cui la giovane Marianna fu sottoposta in famiglia e che costituisce invece il cuore delle riflessioni di Manzoni.

Come è noto l’autore de “I Promessi Sposi” dedicò alla descrizione del come Marianna venne “costretta” a farsi monaca ben cinquanta pagine del suo romanzo, a testimonianza dell’importanza simbolica che egli vi attribuiva: la violenza, anche — e soprattutto — quella silenziosa che avviene in famiglia, ha un’importanza determinante nella formazione della personalità: chi è stato vittima della violenza tenderà a esercitarla su altri, più deboli di lui.

Di tutto ciò neppure una parola da parte di RAI3-ANGELA, più attratti evidentemente dal lato “deviante” della Monaca già adulta.
E per scaldare il telespettatore, la trasmissione fa una puntatina anche nella topografia della Monza di oggi, collegandola a quella di quattro secoli fa.

[31:11] VOCE FUORI CAMPO: «Ancora oggi troviamo Via della Signora e quel famoso muro di divisione con la casa di Giovanni Paolo Osio, l’amore proibito e sofferto di Marianna».
.
A sostegno, viene mostrato al telespettatore l’attuale bel muro giallo caldo (che fiancheggia un tratto della lunga e zigzagante “Via della Signora”) che sfuma poi in quello che si vuole intendere sia il medesimo muro quattrocento anni fa: con tanto di monaca che si reca furtiva all’incontro con l’amato, cavallo parcheggiato, torre/campanile sullo sfondo.

Il regista voleva certo mostrare un “come è adesso / come era prima” perché lo spettatore entrasse nell’atmosfera giusta. Ma la cosa è stata condotta in modo così irrispettoso della realtà storica e anche del semplice buon senso da suggerire una messa a punto.

Non tema il lettore: non siamo mossi da acribia topografica. In realtà, il cercare di mostrare come case e cose dovessero essere all’epoca di svolgimento dei fatti, non è così banale come può apparire a prima vista. E ciò per almeno per due motivi.

Primo. Da molti commentatori è stato notato come la disposizione della casa di Osio/Egidio rispetto al convento di Santa Margherita rendesse quasi inevitabile il dipanarsi della vicenda amorosa.
E in effetti è facile concordare che proprio contiguità e giustapposizione di muri, tetti, finestre e balconi potessero essere prima invitanti occasioni per la conoscenza tra i due giovani e poi strumenti per il dispiegarsi della passione.

Secondo. Il lettore che conosca l’intera vicenda sa che, vista scoperta la catena dei propri delitti, di fronte al Cardinale Borromeo Suor Virginia (in Manzoni Gertrude) ha uno scatto da vera Signora di Monza e gli urla in faccia: «sono nubile e libera di sposare chi voglio».
Non è difficile cogliere in questa frase di sfida una inedita e politicamente “scandalosa” visione del rapporto Chiesa/Nobiltà, simboleggiata dall’unione carnale tra gli amanti ma anche dall’intreccio architettonico tra il chiostro di clausura della Signora di Monza (già in sé una evidente contraddizione) e il palazzo di una casata, mossa da una esasperata volontà di impunità di fronte alla legge del potere centrale.

È sotto questo profilo che può acquistare un certo interesse anche l’aspetto topografico della vicenda, altrimenti del tutto irrilevante.

Ma torniamo alla Via della Signora.
Riproponiamo la ripresa di RAI3-ANGELA e, sotto, l’immagine del medesimo tratto della via ma ripreso dalla visuale opposta, che mostra sullo sfondo il campanile dell’allora Santa Margherita (oggi S. Maurizio). Dall’altra nostra immagine appare chiaro che il fotografo di RAI3-ANGELA, per non riprendere il campanile di Santa Margherita/San Maurizio, ha dovuto voltargli le spalle (il famoso muro è lì evidenziato in giallo) e puntare l’obiettivo nella direzione opposta.

Vi chiederete: perché RAI3-ANGELA avrebbero voluto evitare di mostrare il campanile di Santa Margherita/San Maurizio?
Non sappiamo francamente che rispondere.
Sta di fatto che, mostrando il campanile, sarebbe apparso immediatamente che quel muro di Via della Signora, mostrato da RAI3-ANGELA, NON poteva assolutamente essere di divisione tra la casa di Osio e il Monastero di Suor Virginia.

Configurazioni topografiche compatibili con la realtà.

Appurato che Via della Signora, mostrata da RAI3-Angela, non poteva in alcun modo segnare il confine tra casa degli Osio e Monastero, è possibile farsi un’idea di quale realmente ne fosse la rispettiva disposizione topografica nel 1608?

Ci proviamo, pur con tutte le cautele del caso.
Interpellati, l’Archivio Civico di Monza ha infatti dichiarato di non avere documenti che possano attestare alcunché con certezza; l’Archivio di Stato di Milano ci ha fatto presente che i primi mappali disponibili per Monza sono parte del Catasto Teresiano, che si iniziò a tracciare nel 1721 (a più di un secolo di distanza dalla vicenda).

Abbiamo quindi consultato (belle le immagini digitali messe a disposizione del pubblico dall’Archivio di Stato di Milano) la Mappa 23 di Monza, di cui a lato mostriamo un particolare relativo all’area di nostro interesse.

La parte che abbiamo contornato in bianco equivale con buona approssimazione all’area occupata dalle case degli Osio, demolite dopo la condanna a morte dell’amante della Monaca nel 1608.
L’area contornata in giallo indica la pianta del Monastero e del suo orto, secondo quanto scritto sul Catasto Teresiano.

Per un più facile orientamento, abbiamo riportato le denominazioni attuali degli assi viari che si sono conservati pressochè intatti nei quattro secoli che ci dividono da quella vicenda.

Appurato quello che doveva essere lo spazio occupato dalle case degli Osio, possiamo andare oltre e ipotizzare anche una loro più dettagliata disposizione? Anche qui ci proviamo, raddoppiando però gli inviti alla prudenza.

Più sotto proponiamo la topografia attuale dell’area del Monastero/Casa Osio e di Via della Signora (ignoriamo come allora venisse chiamata) con l’indicazione di come verosimilmente (sottolineiamo verosimilmente) dovevano essere disposti i vari edifici.

Il complesso formato da Casa Osio / Monastero è desunto da un mappale proposto da Mario Mazzucchelli nel suo libro del 1960 (La Monaca di Monza) nel quale riporta gran parte degli “Atti del processo” a Suor Virginia e a Paolo Osio.

Il documento proposto da Mazzucchelli è titolato «Addì 9 marzo 1623. Misura del sito in Monza che fu di Gio. Paolo Osio» ed è presentato dall’autore come «antico mappale di Monza del 1623», senza ulteriori indicazioni bibliografiche o archivistiche, il che suggerisce di considerarlo con estrema cautela.

Presso l’Archivio di Stato di Milano, grazie alla competenza, pazienza e cordialità dei funzionari e dei ricercatori, abbiamo rinvenuto un mappale da cui “potrebbe” avere preso spunto Mazzucchelli (ASmi, Atti di Governo, Finanze e Confische, Busta 2132).

Diciamo “potrebbe” perché ci sembra che, a partire da quello schizzo (inserito in una pratica del 1608, relativa ai beni degli Osio), Mazzucchelli avrebbe dovuto lavorare molto di fantasia per trarne il suo schema, che è invece molto preciso e dettagliato.

Inoltre il mappale Mazzucchelli, pur seguendo nelle linee generali quanto rappresentato dallo schizzo della Busta 2132, ne differisce in non pochi dettagli, senza apparenti ragioni. Ciò sembrerebbe suggerire che Mazzucchelli si sia ispirato a un altro documento a noi non noto. Oppure che abbia voluto dare una propria interpretazione “topografica” alle deposizioni del processo, che entrano spesso in dettagli logistici.

Ciò detto per chiarezza, proponiamo al lettore sia lo schema di Mazzucchelli (i colori sono nostri) sia una nostra estrapolazione realizzata sovrapponendo l’elaborazione di Mazzucchelli alla realtà topografica attuale.

Essendo il Monastero di Santa Margherita andato distrutto nel 1750, è ben visibile che l’intera area ha subìto vistose trasformazioni.
I principali assi viari sono però rimasti pressoché invariati. Tra questi l’attuale “Via della Signora”, che piace a RAI3-ANGELA ma che in nessun modo poteva fare da collegamento tra Casa Osio e il Monastero, essendo lontana da entrambi un cento metri.

L’unica via che costeggiava la Casa degli Osio era l’attuale Via Santa Margherita, che termina (e terminava) sulla facciata della chiesa/monastero.

Esaurita la topografia torniamo alle passioni.

Dopo la non irresistibile parentesi topografica, la trasmissione RAI3-ANGELA prosegue tratteggiando lo sviluppo del rapporto passionale tra Suor Virginia e Paolo Osio.

Segnaliamo al lettore che, obbligati dalla oscurità di quanto RAI3-ANGELA propongono ai loro due milioni di telespettatori, saremo qui costretti a una analisi di dettaglio e che, per chiarezza, divideremo in blocchi logici le poche frasi dedicate da RAI3-ANGELA al nascere dell’impossibile passione.

[31:13] VOCE FUORI CAMPO:
.
1. 
«La loro storia non fu però un classico colpo di fulmine. Virginia un giorno si accorge che una sua educanda amoreggia con il vicino del convento, l’Osio appunto. La ragazza viene subito allontanata dal monastero.
.
 2. 
E Osio, accusato di avere ucciso un agente fiscale della famiglia de Leyva, probabilmente per vendetta personale, fugge da Monza.
.
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3. 
Dopo un anno, ottiene la grazia dalla stessa Suor Virginia e torna a casa.
Con la complicità delle monache, Osio riesce a incontrare Suor Virginia per ringraziarla. Scoppia l’amore fra i due.»

Come è facile constatare, tra le proposizioni 2) e 3) vi è una plausibile coerenza. A parte il taglio un po’ comico delle immagini, sulle circostanze attraverso cui si verifica questo “scoppio d’amore”, il discorso sta in piedi: Osio è in difficoltà, è aiutato da Virginia, la ringrazia, scocca la scintilla.

Ma qual è il rapporto logico tra 1) e 2) che la VOCE FUORI CAMPO ci indica come un continuo? Alla luce delle informazioni che ci dà la trasmissione, tra l’amoreggiamento dell’educanda, l’intervento di Virginia e l’omicidio dell’esattore dei Leyva, non vi è rapporto alcuno.

E ciò che la gran parte degli spettatori può avere conservato dalle letture scolastiche di Manzoni non aiuta per nulla.

Manzoni infatti non ne parla assolutamente e ne “I Promessi Sposi” nell’edizione definitiva del 1840 (identica salvo lievissime varianti linguistiche rispetto alla prima del 1827) si limita a scrivere:

«Costui, da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar lì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall’empietà dell’impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose.»

In Manzoni quindi nessun riferimento né all’amoreggiamento tra Osio/Egidio e l’educanda né al conseguente intervento di Virginia/Gertrude né all’allontanamento dal convento dell’educanda, né tanto meno all’omicidio dell’agente fiscale e conseguente fuga di Osio, ecc. ecc.

È allora evidente che RAI3-ANGELA si sono rifatti ad altri documenti, per esempio a quegli ”Atti del processo”, di cui già abbiamo detto sopra e che mai vengono citati nella trasmissione.
Ma ciò è avvenuto in modo reticente e confuso, mettendo insieme circostanze che negli “Atti” vengono sì riportate ma con una consequenzialità tutta diversa rispetto a ciò che la trasmissione ha voluto proporre allo spettatore.

Per rimettere le cose un poco in ordine, giova allora andare a leggere proprio quegli “Atti del processo”. In particolare là dove è riportato il verbale dell’interrogatorio a Suor Virginia del 22 dicembre 1606, con la trascrizione integrale delle sue dichiarazioni, rese liberamente e senza alcuna costrizione fisica.

Alla domanda su come “ebbe inizio questo amore [con Osio]”, Virginia risponde:

«Il principio fu in questo modo che havendo io uno Ioseph Molteno fiscale in Monza et mio agente che faceva li [amore] miei fatti fu amazato dal detto Gio. Paolo e stando perciò esso Gio. Paolo retirato nel suo giardino quale è contiguo alla muraglia del detto monastero di s.ta Margarita et ritrovandomi a caso nella camera di sor Candida Brancolina vicina alla mia quale haveva una finestra che respondeva in detto giardino vedendomi lui a quella finestra mi salutò.
.
Et dopoi essendo io andata un’altra volta a quella fenestra, tornò salutarmi et mi acennò di volermi mandare una lettera et io che ero in colera con lui per l’homicidio sudetto e vedendolo così avanti agli ochi e parendomi che strapazasse la giustitia ne feci avvisato al signor Carlo Pirovano, più volte, a finché lo mandasse a pigliare e metterlo pregione [.]
Mandò sua madre a pregar la madre del monastero che volesse operare meco ch’io facessi che detto signor Carlo facesse soprasedere la condennatione contro di lui et che [179] anco operassi che gli fosse fatta la protesta e remissione [.]
.
Così la madre [del monastero, chiariamo noi] me lo pregò et poi anco me lo comandò sotto pena dell’obedienza [;] così io scrissi al detto signor Carlo che era auditore di Monza che fosse contento di farlo il quale mi scrisse che se bene era stato pregato da molti cavalieri et altri che non l’haveva voluto fare e che per amore mio se n’accontentava.
Et ciò inteso dal detto Gio. Paolo dal medesmo giardino me ne ringratiò assai dicendo che non mi sarebbe stato manco servitore di quello mi fosse il detto Molteno, et che dessiderava di scrivermi una lettera.
.
Così fra alcuni giorni essendo lui nel giardino mi mostrò una lettera che haveva in mano facendomi ceno di buttarla come la buttò dentro dalla murada la quale è tra il suo giardino et la corte delle gaiine del detto nostro monastero e mi pare che sor Ottavia Rizza andasse per essa e me la portò e perché veddi che tal lettera mi pareva che fosse uno poco licentiosa e che contenesse intentione di fare amore lasivo meco per ciò io gli rescrissi facendogli in essa mia un gran rebuffo e mi maravigliavo di lui che havesse questo ardire di trattare con un par mio a questa maniera e che desistesse che altrimente [179a] gli ne havrei fatto pentire. »

Ecco, così, a grandi linee, si sviluppò la reale conoscenza tra Virginia e Osio, come ci viene data dalla stessa protagonista della vicenda.
Come visto, Virginia non pone alcuna relazione tra la vicenda dell’educanda amoreggiante con Osio e l’avvio del rapporto di conoscenza tra lei stessa e Osio (che durò mesi, prima di arrivare ai “bacci e abbracciamenti”).

Virginia pone invece in evidenza la relazione tra l’omicidio e il suo successivo approccio e poi rapporto con Osio.
E la relazione sta nelle funzioni pubbliche che Virginia svolge di due anni in due anni, a rotazione con i figli di secondo letto del proprio padre. Virginia è infatti Contessa di Monza, è cioè l’autorità massima della città.

Nonostante il suo essere suora di clausura, svolge funzioni perfettamente pubbliche e nel parlatorio del convento discute, legge, firma tutto ciò che deve essere letto, discusso e firmato dalla massima autorità di una cittadina.
E quindi può anche dare ordini di arresto o revocarli.

Ma su questo aspetto la trasmissione RAI3-ANGELA nulla dice e il telespettatore, che non è tenuto a conoscere tutti questi risvolti, non capisce praticamente nulla di quanto sente dire da Angela.

Ma per cominciare a pensare a come “fare luce sulla storia”, è necessario andare ancora un poco più in là e considerare un inciso del verbale apparentemente incongruo (lo evidenziamo).

Rileggiamolo: «havendo io uno Ioseph Molteno fiscale in Monza et mio agente che faceva li [amore] miei fatti fu amazato dal detto Gio. Paolo».

Quelle parentesi redazionali poste a lato della parola “amore” segnalano una cancellatura: interrogata, Virginia parla; il segretario scrive “amore” (che poco ha a che fare con le tasse); poi Virginia — spontaneamente o richiesta di confermare o meno — corregge con “miei fatti”. Il segretario cancella la parola “amore” e scrive “miei fatti”.

Richiamata l’attenzione anche su questo dettaglio ci si potrebbe cominciare a porre la domanda sul che cosa vi fosse dietro l’omicidio e quali conseguenze questo portò anche al rapporto tra Virginia e Osio.

Ma RAI3-ANGELA non ne accennano neppure. E a nostra volta noi qui non aggiungiamo nulla perché ci metteremmo un paio d’ore, contentandoci per il momento di avere posto una questione di metodo.

E il richiamo alla vicenda della educanda che “amoreggiava” con Osio?

Questo richiamo, che RAI3-ANGELA pongono come prima subordinata, inducendo il telespettatore ad assegnarle una grande rilevanza, nella realtà (rispecchiata nel verbale dell’interrogatorio a Suor Virginia) non solo è posto parecchio lontano – tre pagine – dalle dichiarazioni di Virginia che abbiamo sopra riportato ma soprattutto in tutt’altro contesto.

Virginia, a conclusione del racconto di come si svolse il primo incontro a tu per tu con Osio (dopo mesi di sguardi da lontano, lettere, doni scambiati attraverso i servitori di Osio) fa riferimento al lontano episodio nel quale verosimilmente per la prima volta essa ebbe uno scambio di parole con lui.

Probabilmente da una finestra del convento da cui si poteva avere la visuale sia sull’orto di Osio (che lì stava, arrampicato su un albero da dove lanciava qualche frutto all’educanda) sia sul giardino del convento, dove stava l’educanda, ben divisa da un bel muro dal seduttore, là dove il termine “amoreggiare” deve comunque essere inteso in un senso molto lontano dal nostro attuale.

Ma leggiamo dalla deposizione di Virginia:

«La sudetta Ottavia Caterina la quale era mia confidentissima, e sapeva tutto quello era passato con lettere tra me e detto Osio tolse la chiave del detto parlatoriino e la buttò dal giardino delle monache per disopra del muro in strada al detto Osio e così esso entrò di notte nel detto parlatoriino et raggionassimo tra di noi di cose di creanza et mi dimandò perdono dell’homicidio comesso nel detto Molteno et mi si esibì a farmi ogni servitio in suo scontro et in somma mostrò quella maggiore modestia che si potesse più immaginare.»

E immediatamente di seguito, spontaneamente e non come risposta a una domanda specifica:

«Detto Gio. Paolo Osio faceva l’amore con la signorina Isabella Ortensia secolare la quale era nel monastero in dozena et havendo io trovato che stavano guardandosi l’uno e l’altro alla cortina delle galline gli feci un gran rebuffo che portasse così poco rispetto al monastero massime che detta giovane era data in mia custodia e questo fu prima che mi scrivesse le prime lettere, et esso se n’andò via bassando la testa [180a] senza dire altro.»

Appare chiaro dal contesto come il ricordo di quel loro primo scambio di idee – lei severa a fargli un “rebuffo”, da vera Maestra delle educande, lui silenzioso e a testa bassa – le venisse alla mente come una buffa situazione, a fronte dell’intesa seria e aperta del primo a tu per tu avvenuto – di nascosto – nel parlatorio del convento.

È chiaro che sul come si svolgesse in realtà questo primo incontro, Virginia dà un quadro edulcorato, coerente con la linea difensiva adottata nel corso del processo: non negare ciò che non poteva essere negato ma purgato in ogni possibile modo da risvolti erotici.

Dalle testimonianze delle suore che le tenevano bordone emerge infatti in modo molto esplicito che in quell’incontro nel parlatorio Virginia ebbe il primo vero rapporto sessuale con Osio, dopo incontri, più a meno a distanza, avvenuti tra le due porte di ingresso del convento, con le suore a lei addette, sempre di sentinella.

Ma su questo non vale la pena di dir altro e andiamo avanti nell’ascolto della trasmissione.

[32:04] VOCE FUORI CAMPO:
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1.   «La situazione però precipita e Osio commette anche degli omicidi per nascondere la storia.
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 2.  Prova persino a uccidere le suore complici dell’amore tra lui e Suor Virginia. Ma ormai è troppo tardi per nascondere.
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 3. Osio viene assassinato e Suor Virginia e le compagne di convento vengono imprigionate e condotte al “Bocchetto” di Milano

Come già sopra, analizziamo questo testo nel dettaglio.
Il parlato dura 22 secondi e si compone di 53 parole per tre proposizioni. Queste, sia nell’articolato interno sia nella rispettiva disposizione temporale, contengono deformazioni sostanziali rispetto al dato storico-processuale impedendo all’ascoltatore di comprendere alcunché di quanto realmente accaduto.
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Prima proposizione.

[32:04] VOCE FUORI CAMPO: «La situazione però precipita e Osio commette anche degli omicidi per nascondere la storia.»
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Deformazione – Nella vicenda gli assassinati sono tre: due cittadini che avevano “parlato troppo”; una conversa che si apprestava a rivelare il tutto.

RAI3-ANGELA tacciono sulla complicità attiva della Signora in quest’ultimo omicidio, perpetrato proprio nel convento, accertata dalle indagini e confermata nella condanna a Suor Virginia.
Come andarono le cose?

Dopo anni di spericolato ménage “erotico-sentimentale” (in cui erano state coinvolte due altre suore, Ottavia Rizzi e Benedetta Homati), Caterina da Meda, una conversa estranea alla tresca, minaccia di rivelare il tutto a Monsignor Barca che a fine luglio 1606 avrebbe presieduto l’annuale Capitolo del Monastero.

Il 27 luglio, le protagoniste della vicenda, guidate da Suor Virginia, dopo una ponderata analisi della situazione decidono di eliminarla. La sera successiva Osio la uccide alla loro presenza e col loro aiuto. Sono esse infatti a introdurlo nella stanza in cui la conversa era stata rinchiusa per disposizione di Virginia e sono esse che parlandole la distraggono perché Osio – da lei non visto – la possa colpire alla nuca con il basamento di un arcolaio.
Sono esse (in questo senza la partecipazione diretta di Suora Virginia) ad aiutare Osio nel trasportare il cadavere in una cantina del convento, da dove, la notte successiva, sempre col loro aiuto, l’omicida seppellisce il corpo, dopo averne spiccato la testa che getta in un pozzo abbandonato di Velate.

La dinamica dell’omicidio e le responsabilità delle tre suore, emergono con chiarezza dall’insieme delle deposizioni. Virginia cerca di sottrarvisi sostenendo di essere al corrente del piano omicidiario ma di essersi trovata lontano nel momento della sua esecuzione. Le deposizioni circostanziate delle suore complici la smentiscono e la sentenza si esprime di conseguenza.
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Seconda proposizione

[32:10] VOCE FUORI CAMPO: «[Osio] Prova persino a uccidere le suore complici dell’amore tra lui e Suor Virginia.»
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Deformazioni.
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a. L’espressione “complici dell’amore tra lui e suor Virginia”, indica una posizione delle suore esterno alla tresca, proponendole al più come omertose “facilitatrici”.
La realtà era ben diversa: le due monache Ottavia e Benedetta erano parte attiva e consenziente del quadrangolo sessuale al cui centro era il disponibile Osio.
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b. Il termine “prova” impiegato da RAI3-ANGELA è fuorviante. Osio commette un duplice “tentato omicidio”, nel Seicento punito esattamente come un omicidio effettivamente commesso.

Osio fa di tutto per eliminare le amanti-complici nell’omicidio della conversa a evitare che queste possano denunciarlo se pressate dagli inquirenti.
Convintele a fuggire dal convento ne getta una nel fiume Lambro colpendola ripetutamente con il calcio del fucile e lasciandola esangue in acqua, convinto di averla uccisa.

Fugge con l’altra promettendole ricchezze e piaceri salvo il giorno successivo gettarla in un pozzo asciutto profondo venti metri (è sempre lo stesso pozzo di Velate). A sua insaputa entrambe sopravvivono seppure gravemente ferite.
È dalle loro deposizioni che prende avvio il processo contro Osio.
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Terza proposizione

[32:15] VOCE FUORI CAMPO: «Ma ormai è troppo tardi per nascondere. Osio viene assassinato e Suor Virginia e le compagne di convento vengono imprigionate e condotte al “Bocchetto” di Milano
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Capovolgimento della sequenza logico-temporale.
Osio viene assassinato e suor Virginia ecc.RAI3-ANGELA presentano un successione temporale – e quindi di causa-effetto – rovesciata, che falsa l’andamento della vicenda, rendendola incomprensibile.
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Di seguito diamo invece il corretto svolgimento dei fatti, come ricostruito nel processo e dal dato investigativo (il lettore troverà piccole ripetizioni di quanto già detto, ma sono necessarie per la comprensione degli avvenimenti).

1. A seguito dell’omicidio della conversa di cui abbiamo detto sopra, in Monza si mormora. Osio fa assassinare un fabbro che ha parlato troppo.
Fuentes il governatore di Milano nel febbraio del 1607 fa arrestare Osio. Virginia scrive a Fuentes sostenendo che con Osio c’è solo una casta amicizia.
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2. Alla fine di settembre Osio fugge dal carcere. Il 6 ottobre fa uccidere lo speziale Rainerio, anch’egli troppo ciarliero.
Il 1 novembre [1607] Osio si fa nascondere in convento, nella stanza di Virginia e lì rimane due settimane, con la complicità delle solite suore.
È troppo e il Cardinale Borromeo viene avvertito: incontra Virginia e la invita a ravvedersi. Secondo quanto scrive Ripamonti (la fonte di Manzoni) Virginia si inalbera e gli dice chiaro di essere stata costretta a entrare in convento; che essa è nubile e che può accompagnarsi con chi vuole.
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3. Dopo quattro giorni Borromeo ordina il trasferimento di Virginia a Milano che viene eseguito sotto scorta armata verso il 15 novembre.
Osio, ancora nascosto nel convento, fugge e si dà alla macchia nei dintorni.
Cominciano gli interrogatori a civili e suore da parte di un vicario criminale.
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4. Il 29 novembre Osio convince Ottavia e Benedetta, le suore parte della tresca, a fuggire con lui. Fa di tutto per assassinarle ma, contro ogni aspettativa, le suore sopravvivono; ritrovate l’una il 30 novembre ancora nel fiume e l’altra l’1 dicembre tratta dal pozzo, raccontano i fatti all’inquirente.
Parallelamente al processo ecclesiastico verso le suore viene avviato il processo penale contro Osio e i suoi bravi latitanti.
Nel 1608 il tribunale condanna lui e due suoi “bravi” a morte, alla confisca dei beni, all’abbattimento delle loro abitazioni. Contro i condannati si emette un bando con taglia.
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5. Dopo qualche mese di latitanza disperata, Osio si rifugia da un amico di Milano. Questi lo accoglie ma immediatamente lo fa uccidere portandone la testa al governatore Fuentes, per riscuotere la taglia o patteggiare sue pendenze con la giustizia.

Ecco, così andarono le cose.
Domanda: perché RAI3-ANGELA anziché “fare luce sulla storia” hanno voluto confondere la vicenda rendendola incomprensibile?