Mercoledì 29 aprile 2015
Lecco, Palazzo delle Paure.
Conferenza pubblica nel quadro dell’iniziativa «Tre incontri sulla vita e sull’opera dell’Abate Stoppani»
Energia per la nuova nazione.
L’Abate Stoppani alla ricerca dei petroli d’Italia.
Relatore: Fabio Stoppani
Centro Studi Abate Stoppani
Per informazioni sull’iniziativa «Tre incontri sulla vita e l’opera dell’Abate Stoppani», svoltasi in Lecco il 15, il 22 e il 29 aprile 2015, vedi il nostro contributo «Cronaca di cultura cittadina».
Nota della Redazione. Di seguito presentiamo le tavole trasmesse nel corso della conferenza pubblica (29 aprile 2015, Lecco, Palazzo delle Paure) a supporto visivo della relazione. Le abbiamo riproposte senza modifiche, così come erano state predisposte per la proiezione a supporto di un discorso pronunciato a braccio.
Le tavole – di per sé quasi tutte abbastanza auto-esplicative – isolatamente o accorpate per temi, sono accompagnate da testi di approfondimento, scritti sintetizzando il discorso tenuto dal relatore (che è durato circa 45 minuti) di cui si è preferito mantenere il taglio discorsivo.
FIGURA 1
Per vent’anni – dal 1861 al 1881 – l’Abate Stoppani si dedicò alla individuazione e sfruttamento delle risorse energetiche reperibili sul territorio nazionale. La sua attività si sviluppò su tutti i piani: della ricerca scientifica; della organizzazione razionale e democratica delle risorse statali per opere su larga scala; della diretta ricerca sul campo per individuare le aree più produttive e farne oggetto di impegno imprenditoriale.
È un aspetto della vita di Antonio Stoppani poco conosciuto ma importante per comprenderne meglio la figura di cittadino e di scienziato. Inoltre, dato il ruolo che egli giocò nel dibattito politico-istituzionale sui problemi energetici della nuova nazione, le sue idee ci sono utili per comprendere meglio anche alcune caratteristiche della nostra vita nazionale e del nostro sviluppo economico.
La sua attività si concentrò in particolare sul PETROLIO, appena individuato (Stati Uniti, 1859) come efficiente materia prima per l’illuminazione civile e industriale. In questo fu in Italia (ma non solo) un vero precursore, anticipatore di talento di molte elaborazioni che si affermarono a livello generale solo dopo molti decenni dalla sua scomparsa.
Per primo Stoppani vide la configurazione geologica dell’Italia come favorevole all’estrazione del petrolio.
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Fu tra i primi a utilizzare moderne tecnologie (importate dagli Stati Uniti) per lo sfruttamento dei pozzi, in aree che oggi sono al centro di quella rilevante estrazione petrolifera che viene attuata sul territorio nazionale (4% del consumo energetico complessivo).
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Fu in Italia il più coerente sostenitore dell’origine inorganica del petrolio (teoria abiotica), oggi fatta propria da grandi centri di produzione mondiali, come la Russia.
Come conseguenza della sua concezione dell’origine inorganica dei petroli, ne sostenne la non esauribilità. Ritenne infatti che il petrolio fosse un prodotto dell’attività tellurica del globo, eterno quindi, quanto meno quanto la vita della terra.
In termini attuali, possiamo dire che Stoppani considerò il petrolio come una fonte di energia rinnovabile, parte del grande complesso dei fluidi che si muovono nell’immenso spazio sotterraneo del nostro pianeta.
Una materia perfetta per arginare lo sfruttamento intensivo del patrimonio forestale (l’Abate parlava di “scure vandalica”) che, proprio a partire dalla metà dell’Ottocento venne colpito in modo serissimo nel nostro paese.
Ovviamente Stoppani vedeva solo gli aspetti positivi di questa straordinaria materia prima e non poteva avere neppure idea dei problemi che lo sfruttamento altrettanto vandalico del petrolio avrebbe determinato.
Ma – considerando il suo approccio a questi temi – siamo convinti che oggi l’Abate Stoppani sarebbe il capo-fila nella politica delle risorse energetiche alternative e rinnovabili.
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FIGURA 2 e 3
Per apprezzare il taglio del tutto innovativo dell’attività dell’Abate Stoppani nella ricerca e nello sfruttamento del petrolio in Italia, è opportuno avere un quadro dell’attuale situazione in proposito e fornire qualche dato del consumo energetico nazionale.
Nel 2005 in Italia si sono consumati 197,59 MTEP (Milioni di Tonnellate Equivalenti di Petrolio).
Il 4% di questo consumo – ossia 7,96 MTEP – è stato coperto da idrocarburi estratti sul territorio nazionale.
Nel 1860 questi 7,96 MTEP avrebbero coperto il 70% dell’intero fabbisogno energetico nazionale, che era pari a 11,29 MTEP (il 6% dell’attuale).
Le idee di Stoppani erano scarsamente condivise a livello governativo, dove l’attenzione era posta sul problema della individuazione e sfruttamento del carbone.
Le sue idee e la sua attività sul petrolio italiano furono sostenute e sviluppate solo da imprenditori privati che non riuscivano però a mobilitare i capitali necessari ai grandi lavori infrastrutturali (strade, ferrovie, depositi) che sarebbero stati necesari per uno sfruttamento su larga scala della nuova materia prima.
Ma i fatti hanno dimostrato che in Italia il petrolio c’era – e in grandi quantità.
Prendendo le cose con l’opportuno buon senso, possiamo dire che se le idee di Stoppani fossero state appoggiate con i dovuti mezzi, il petrolio avrebbe potuto già allora giocare un ruolo importante nell’economia nazionale, affiancandosi al carbone su cui – invece – si concentrarono le risorse governative.
Ma così non fu, nonostante la situazione italiana imponesse l’adozione di misure eccezionali, per colmare il divario tra la realtà energetico-produttiva del paese e i compiti assolutamente inediti che l’unificazione dell’Italia imponeva nei fatti, al di là di ogni schieramento politico.
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FIGURA 4
Sul piano produttivo, rispetto agli altri paesi europei il nostro paese era in enorme deficit. Nel 1860 la potenza sviluppata in cavalli vapore dall’Italia era il 2% e il 4,5% di quella rispettivamente di Gran Bretagna e Francia (50.000 contro 2.450.000 e 1.120.000).
Con l’unificazione del 1861 il nuovo Regno d’Italia, data la sua posizione geo-politica nel Mediterraneo (allora lo scacchiere più importante nelle relazioni di potenza), si trovava a giocare un ruolo inedito nella politica internazionale e nella necessità di unire il paese sul piano produttivo oltre che su quello politico-istituzionale.
Era necessaria una flotta mercatile e militare almeno da media potenza. E poi infrastrutture portuali e cantieri navali. E una rete ferroviaria per collegare le diverse componenti della lunga penisola. Ci voleva molto ferro e molta energia per lavorarlo.
Era indispensabile quindi in via preliminare avere un’idea chiara di cosa ci fosse nella nuova Italia in termini di materie prime. La questione era decisiva per stabilire se l’Italia poteva – almeno in parte – essere autonoma dalle forniture estere. C’è ferro in Italia? E quanto ce n’è e dove? Quanto combustibile e dove?
Queste domande erano ineludibili e per darvi una risposta venne avviato – bisogna riconoscerlo, in modo rapido e operativo, almeno nella fase iniziale – il progetto per la realizzazione della Carta Geologica della nuova nazione.
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FIGURA 5, 6 e 7
Nonostante il secolare ritardo (nel 2015, una moderna carta geologica completa di tutto il territorio nazionale non è ancora disponibile) oggi è però possibile avere un quadro della situazione geologica di ogni zona con una rappresentazione grafica di buon livello e – per alcune aree – anche di grande dettaglio.
Nella Tavola 7 è riportata la carta geologica del territorio lecchese e ogni cittadino del lariano è potenzialmente in grado di farsi un’idea abbastanza precisa del terreno che gli sta sotto i piedi e tutto intorno. Diciamo “potenzialmente” perché leggere una mappa geologica è ancora un lavoro da “specialisti” e una cultura geologica generalizzata è ancora tutta da inventare. In questo la città di Lecco, ispirandosi proprio a Stoppani, potrebbe porsi all’avanguardia perché si diffonda in Italia la capacità di “leggere” le mappe geologiche, così come qualsiasi altro documento – nel nostro paese, al centro di grandi movimenti tellurici, ce ne sarebbe bisogno.
A parte queste considerazioni, torniamo a dire che oggi abbiamo a disposizione un notevole apparato conoscitivo della nostra struttura geologica. Ma nel 1861, alla costituzione del Regno d’Italia di Vittorio Emanuele II, la situazione era del tutto diversa.
La geologia aveva appena cominciato ad affermarsi come scienza autonoma (con i primi contributi anche di Stoppani, che ne sarà il grande sistematizzatore negli anni successivi). Si dovevano ancora compiere passi importanti come l’unificazione del linguaggio e della rappresentazione grafica dei fenomeni.
Erano disponibili ricerche sui diversi territori ma quasi sempre frutto dell’iniziativa individuale degli scienziati locali. I quali, in mancanza di criteri generalmente riconosciuti, usavano linguaggi e criteri differenziati.
L’Abate Stoppani fin dalla sua prima formazione di scienziato fu un convinto assertore delle carte geologiche e della loro utilità come elemento preliminare a ogni iniziativa – conoscere per fare.
Ne “Il Bel Paese”, scritto quindici anni dopo per rendere popolari i temi della ricerca scientifica, scriveva: «I diversi colori indicano i diversi terreni; i segni di convenzione possono indicare i rapporti dei terreni fra loro, i loro modi di sviluppo, i minerali che contengono, ecc. Infine, per dirla breve, una buona carta geologica di un paese vi dice non solo com’è configurato topograficamente, cioè alla superficie, ma anche com’è composto nell’interno; nè solo come è composto, ma per quali fasi giunse ad avere l’attuale composizione e configurazione, quali siano le sue ricchezze minerali, ecc., ecc. Insomma la carta geologica è l’espressione più completa di una regione ed è una delle più gloriose ed utili imprese che possano essere eseguite da un geologo, e venir promosse da una provincia o da una nazione.» (“ll Bel Paese”, Agnelli 1876, Serata VI – pag. 98).
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FIGURA 8 e 9
Decreto istitutivo della Giunta per la Carta Geologica – 8 agosto 1861.
Con il Governo di Bettino Ricasoli, Filippo Cordova (Ministro d’Agricoltura, Industria e Commercio – MAIC) si rivolge a Vittorio Emanuele II perché si operi rapidamente sul piano legislativo per realizzare la Carta Geologica del Regno:
«Sire, Non vi è alcuna attività in cui non sia evidente la mancanza di una buona Carta Geologica, fatta in proporzioni adatte al servizio delle miniere, dei boschi e delle foreste, allo studio dei terreni da bonificare, delle condizioni dell’agricoltura e di tutte le industrie estrattive del Regno, dei porti, delle spiagge … Per questo chiedo alla M.V. di emanarne il decreto istitutivo …»
Il Re emana immediatamente il relativo decreto:
«Vittorio Emanuele II / Per grazia di Dio e per volontà della Nazione / Re d’Italia
Sulla proposizione del Ministro d’agricoltura, industria e commercio / Abbiamo ordinato e ordiniamo:
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Art. 1. È convocata una Giunta consultiva per discutere i metodi e stabilire le norme per la formazione della Carta Geologica d’Italia.
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Art. 2. La Giunta si riunirà in Firenze nel giorno dell’apertura dell’Esposizione italiana d’Industria e belle arti e prodotti agrari, ecc.
A metà Settembre del 1861, in Firenze, nel quadro della prima esposizione nazionale del nuovo regno, si aprono i lavori della Giunta per la Carta Geologica. È costituita da 16 membri e dispone di venti giorni per decidere come governare il territorio della nuova nazione.
Presidente della Giunta è il ligure Lorenzo Nicolò Pareto (1800-1865, apprezzato geologo, di idee progressiste, con una lunga esperienza amministrativa nel regno di Sardegna). Vice-Presidente è il toscano Paolo Savi (1798-1862, Ordinario di geologia a Pisa).
Due i Segretari:
• Giorgio Gemmellaro (1832-1904, Sicilia, collaboratore di Charles Lyell, con Garibaldi nella spedizione in Sicilia, Ordinario di geologia a Palermo);
• Antonio Stoppani (1824-1891, Lombardia, sacerdote, già noto nel ’48 per la partecipazione alle Cinque Giornate di Milano, poi espulso dagli austriaci dalle scuole per l’attività patriottica, impostosi nell’ambiente scientifico per il suo “Studi geologici e paleontologici sulla Lombardia” del 1857, impegnato nella guerra di Indipendenza del 1859 e molto attivo nel gruppo dei sacerdoti conciliatoristi di Milano).
Questi gli altri dieci membri della Giunta: Capellini, prof. Giovanni, Emilia, 1833 • Cocchi, prof. Igino, Toscana, 1827 • Costa, prof. O. Gabriele, Campania, 1789 • Curioni, nob. Giulio, Lombardia, 1796 • Doderlein, prof. Pietro, Emilia, 1810 • Gastaldi, avv. Bartolomeo, Piemonte, 1818 • Omboni, prof. Giovanni, Lombardia, 1829 • Orsini, cav. Antonio, Marche, 1788 • Scarabelli, cav. Giuseppe, Romagna, 1820 • Sella, comm. Quintino, Piemonte, 1827 • Spada, conte Alessandro, Umbria, 1800; Strozzi, marchese Carlo, Piemonte, 1800.
Come si vede, complessivamente un’età media di 50 anni che (esclusi i 7 membri della generazione di fine ’700) è di 36 anni per i nove della nuova (il più giovane è Capellini, con 28 anni). Quasi tutti si sono impegnati molto attivamente – e anche in armi – nel processo risorgimentale. In maggioranza sono scienziati di mestiere, impegnati (ma non tutti) nell’insegnamento universitario. Pochi i funzionari governativi – ma alla loro testa vi è il giovane e brillante Quintino Sella. In grande maggioranza sono del Centro-Nord.
Quest’ultimo è un dato da tenere presente perché, con l’eccezione di un rappresentante a testa di Sicilia e Campania, il quadro dirigente scientifico incaricato della definizione della Carta Geologica escluse in partenza una parte cospicua del nuovo paese, quanto meno in termini di territorio – ciò che interessa alla geologia.
Chi deve fare la Carta Geologica?
La questione venne subito posta dagli scienziati in modo netto:
la comunità scientifica dei diversi territori
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oppure
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gli ingegneri del Corpo delle Miniere?
A questa domanda venne data una risposta inadeguata. E ciò determinò il sostanziale insabbiamento del progetto, da cui progressivamente si staccò l’Abate Stoppani per intraprendere un solitario percorso di ricerca scientifica e di attività sul campo nella ricerca dei petroli d’Italia.
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FIGURA 10
Chi deve fare la carta geologica: gli scienziati dei diversi territori o il Corpo delle Miniere?
Era questa la domanda con cui si avviò la discussione all’interno della Giunta, determinandone la spaccatura quasi esattamente a metà.
Da un lato stavano i geologi “scienziati”, di formazione naturalistica, spesso con forti esperienze umanistiche.
Secondo questo gruppo (e l’Abate Stoppani ne era esponente tra i più decisi) gli scienziati “naturalisti” erano i più adatti per stendere la grande nuova carta geologica della nazione. E ciò per due buone ragioni.
1. Conoscevano bene i propri territori. Li attraversavano da tempo in lungo e in largo, sperimentando sul campo la validità delle nuove teorie che, proprio in quegli anni, venivano a determinare la struttura della geologia come scienza. Molti di loro avevano già steso delle buone carte locali.
Si trattava di unificare i linguaggi, definire criteri omogenei di riferimento, assicurare una direzione centralizzata che facesse da motore e da collante.
2. La geologia è una scienza giovane, in rapido e continuo divenire. Si arricchisce continuamente dell‘apporto delle altre scienze. Da qui la sua forza e la capacità di comprensione dei fenomeni, anche complessi, di cui si occupa.
La sua base non è solo tecnica ma attinge alla conoscenza della geografia e della storia. Si nutre delle diverse intuizioni, anche di tipo filosofico. Solo così può essere normativa e predittiva, come si conviene per la formazione della carta geologica, che deve riflettere la vita complessiva della nazione.
Dall’altro lato stavano i funzionari dello Stato. Questo secondo gruppo sosteneva che l’organismo più adatto non andava neppure inventato, perché c’era già: era il Corpo delle Miniere.
Questa struttura era stata costituita anni prima (1822: Regio Corpo delle Miniere Sarde, con compiti tecnici e amministrativi, e Consiglio Superiore delle Miniere, con compiti di indirizzo) come braccio operativo della monarchia sabauda per la ricerca e lo sfruttamento delle miniere, soprattutto – ma non solo – di carbone e ferro.
Si trattava di un corpo militarizzato, formato da ingegneri con una forte preparazione tecnico-matematica, alle strette dipendenze dell’Esecutivo.
Per rendere il Corpo adeguato ai nuovi compiti, si doveva immettere nei suoi ruoli un certo numero di scienziati e avviare un programma di adeguamento e di formazione “naturalista” per il personale già operativo.
L’esperienza nelle applicazioni pratiche della ricerca e dell’estrazione delle risorse minerarie, unite alla forza della gerarchia e all’unità di comando, ne avrebbero fatto l’organismo più adatto per la realizzazione della carta geologica.
Il vero tema del dibattito. Di tutta evidenza dietro queste due diverse visioni (ognuna suffragata da validi argomenti) c’era un problema non detto apertamente né allora né poi (e neppure nella storiografia sull’argomento) che poteva così riassumersi:
la ricerca geologica deve ubbidire alle direttive (e agli interessi dell’esecutivo centrale governativo) oppure deve esprimere le esigenze e le peculiarità delle diverse aree del paese?
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i responsabili della ricerca geologica devono essere funzionari di Stato, legati alla gerarchia, oppure liberi scienziati, espressione della libera cultura?
Dopo un dibattito molto acceso su questo aspetto (decisivo anche per la fisionomia del nuovo Stato), nonostante si fosse manifestata una prevalenza del “partito degli scienziati”, la punto del progetto esecutivo fu affidata al giovane e brillante Quintino Sella.
Questi, rampollo di una famiglia di imprenditori del tessile, ingegnere arruolato nel Corpo delle Miniere, insegnante universitario di geometria e di matematica, con esperienza internazionale, era l’espressione evoluta del ceto dirigente sabaudo. Di certo un giovane attivo e di talento, di buona indole caratteriale e – cosa non da poco – personalmente del tutto onesto e scrupoloso.
Sella, dopo due mesi, e un giro conoscitivo in Europa per analizzare i sistemi adottati nei diversi paesi, mette a punto il progetto esecutivo per la Carta Geologica, che viene approvato.
La sua proposta affidava il lavoro della Carta Geologica al Corpo delle Miniere, con qualche innovazione. Si prevedeva infatti l’inserimento nella struttura del Corpo di un certo numero di scienziati naturalisti, che sarebbero stati addestrati per gli aspetti più tecnici del lavoro e mandati in missione all’estero per apprendere quanto di meglio ci fosse nel settore.
Venne quindi istituito un “Comitato per la realizzazione della Carta Geologica” che inglobava un certo numero di “scienziati naturalisti” (ma tra questi non c’era l‘Abate Stoppani).
Venne inoltre deciso un primo stanziamento di fondi abbastanza rilevante per dare corso al progetto.
Gli scienziati “naturalisti”, in parte arruolati, in parte con la convinzione di riuscire comunque a fare valere i propri orientamenti, grazie alla superiorità intellettuale, pur con mugugni non sempre a mezza bocca, accettarono la situazione.
Ma dopo pochi mesi, avviene un completo capovolgimento.
Lo strappo di Sella. A fronte del gravissimo deficit finanziario del nuovo Stato, il 3 marzo 1862 Quintino Sella viene nominato Ministro delle Finanze con il compito di arrivare al pareggio di bilancio.
Da buon burocrate di talento, Sella si mette al lavoro tagliando a destra e a manca. E una delle prime voci a cadere sotto le sue forbici è proprio il progetto “Carta Geologica”, cui vengono sottratti tutti i fondi.
Come scrisse anni dopo l’Abate Stoppani (che fu comunque sempre in ottimi rapporti personali con Sella):
«Quando si dice Ministro Sella, si fa un connubio, oso dire mostruoso, tra due enti, l’uno antipaticissimo come un creditore qualunque, l’altro simpaticissimo.»
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«Dopo pochi mesi, la Carta geologica, patrocinata dallo scienziato Sella, viene quindi affossata da Sella, il Ministro delle Finanze.»
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FIGURA 11
Dal 1862 al 1881. La via del petrolio. Una campagna lunga vent’anni per dare energia all’Italia.
Di fronte al “suicidio / omicidio” scientifico perpetrato con incredibile miopia e incoscienza da Quintino Sella ai danni della costituenda Carta Geologica (forse con qualche sottaciuta non benevola intenzione nei riguardi della indubbia superiorità intellettuale dei “naturalisti”), Stoppani cominciò a prendere le distanze dal Comitato appena istituito e a tracciare le linee di un percorso di vita, studio e azione che lo guidò per i successivi venti anni, alla ricerca e allo sfruttamento dei petroli d’Italia.
Questi i pilastri del suo orientamento:
Reagire all’inerzia. Il colpo di mano attuato da Sella e dai suoi a favore del “Corpo delle Miniere”, aveva provocato nel gruppo degli “scienziati naturalisti” una reazione di rifiuto. Stoppani dava loro ragione e scriveva:
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«dàlli, dàlli (lo so ben io che fungeva le parti di segretario), a furia di transazioni, di concessioni, di stanchezza, si riuscì a formulare un progetto … una cosa da far pietà»
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ma concludeva che
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«Certo il Sella, diventato di fatto direttore della Carta Geologica, sarebbe riuscito a qualche cosa. Veramente quel programma pativa, secondo me, molte eccezioni. Ma via, qualche cosa si sarebbe fatto.»L’Abate sarebbe stato cioè favorevole a compromessi anche importanti, purché si avviasse il progetto. Ciò che Stoppani temeva maggiormente era l’inerzia che sembrava essere calata su tutta l’attività governativa dopo gli sforzi della guerra del ’59 e la costituzione del nuovo Regno. Fare. Fare. Fare. Questo era lo spirito che si sforzava in ogni modo di trasmettere ai colleghi.
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Ricerca indipendente dalla ragion di Stato. Lo sciagurato intervento di Sella improntato al taglio indiscriminato delle voci di spesa, aveva portato inevitabilmente il Comitato nominato per la Carta Geologica all’immobilismo — niente soldi, niente attività.
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L’Abate considerò questo strangolamento come la peggior iattura che ci si potesse aspettare. Da qui la scelta di rendere ancora più ferma la sua opposizione a che il progetto della Carta Geologica venisse affidato a un corpo completamente alle dipendenze dell’Esecutivo.
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Secondo il suo parere, la via d’uscita era garantire i mezzi e il coordinamento autorevole agli scienziati locali. Una volta tornato Quintino Sella al ruolo di semplice parlamentare, Stoppani indicò nel giovane avversario-amico la figura più adatta a fare da coordinatore nazionale dei diversi centri operativi. Purché si tenesse ben distante dalle esigenze della ragion di Stato.
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Pensiero critico e innovativo. Stoppani riteneva che uno dei più gravi ostacoli per lo sviluppo di una geologia veramente al servizio della collettività fosse la fissità sulle esperienze del passato. Bisogna rinnovarsi continuamente. Non dare nulla per scontato. Battere nuove strade. Studiare con gli strumenti della scienza ciò che l’esperienza ci pone di fronte, senza pregiudizi. Compulsare l’esperienza internazionale.
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Si tratta di punti programmatici chiari, su cui non sono necessarie molte altre parole. Resta da illustrare a partire da quali esperienze l’Abate ritenne che potesse essere utile percorrere LA VIA DEL PETROLIO.
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FIGURA 12, 13 e 14
1853-1858. È dai dollari e dalla scienza che zampilla il petrolio.
A partire da osservazioni più o meno casuali fatte attorno al 1853 in Pensylvania, l’americano George H. Bissell intuisce che il petrolio può essere un affare, pur senza averne una chiara idea da perseguire sul piano operativo.
Fino a quel momento il petrolio affiorante qua e là, veniva usato in vari modi, anche come medicinale. Sicuramente Bissel lo aveva visto usare, benché con mezzi elementari, come illuminante.
Si rivolge quindi alla scienza per avere sul petrolio un parere di carattere generale. Per 1.000 dollari (più o meno 20.000 Euro di oggi), Benjamin Silliman, il migliore chimico degli Stati Uniti, gli dà una risposta precisa: «il petrolio è un’eccellente materia illuminante e può trovare molte applicazioni nell’industria.»
Bissell porta il capitale della sua società a 10 milioni di dollari (100.000 azioni da $ 100), equivalenti agli attuali 200 milioni di Euro e il chimico Silliman vi investe tutti i suoi risparmi.
Comincia un periodo piuttosto agitato di esplorazioni per individuare una fonte di petrolio in grado di fornire un buon quantitativo. I criteri di ricerca sono infatti poco più evoluti di quelli usati dagli indiani nativi (usavano il petrolio per la scabbia dei cavalli) o degli estrattori di sale (spesso le due componenti si trovavano associate). I mesi passano senza alcun risultato apprezzabile e Bissel arriva a pensare di rinunciare al progetto.
1859. Lunedì 29 agosto Pensylvania, Titusville. Il Colonnello Drake (l’incaricato di Bissel) scopre una grossa vena di petrolio, a 60 metri di profondità. Il petrolio sgorga in abbondanza e l’operazione parte alla grande.
Stoccato e trasportato con ogni mezzo immaginabile (qualcuno veramente curioso, l’aneddotica è divertente) il petrolio di Bissel-Silliman (tra l’altro di ottima qualità) viene venduto con facilità in tutta la regione.
Visti i risultati, chiunque ha un pezzo di terra a Titusville si mette a scavare. Nel giro di cinque mesi, in un’area ristrettissima sorgono 65 pozzi di estrazione.
È la corsa all’oro nero – il petrolio si vende a 40 dollari al barile (venti volte più di oggi).
1862. Crollo del prezzo. Nel giro di un anno da 40 dollari al barile si passa a 10 centesimi. È un disastro per chi vi ha investito tutto quanto possedeva.
Oltre al dissesto provocato dalla guerra civile in pieno corso, le cause del crollo sono semplici: vi è troppa offerta concentrata in un’area troppo ristretta. Mancano completamente le strutture per il trasporto e lo stoccaggio nelle altre parti del paese.
Si fa strada un raffinatore di Cleveland, John D. Rockfeller, il fondatore della dinastia, che trova la soluzione. La sua diagnosi è precisa: è con l’organizzazione commerciale che vive il petrolio.
Rockfeller, usando anche metodi disinvolti, riesce ad avere condizioni vantaggiose per il trasporto ferroviario e su questa base impone prezzi di monopolio, alla fonte e al mercato finale. In poco meno di 24 mesi è a capo di una delle più grandi compagnie americane.
Nel giro di pochissimi anni negli Stati Uniti maturano quindi le esperienze fondamentali per fare del petrolio una innovativa materia prima formidabile per l’utilità produttiva e fonte di potenziali enormi guadagni.
In Italia l’Abate Stoppani segue con attenzione queste vicende. Il rapporto Silliman gli apre nuovi orizzonti. L’Abate conosce bene le problematiche dell’illuminazione – tra l’altro suo padre si è fatto in Lecco un’ottima posizione producendo e commerciando candele.
Attraverso la Società Italiana di Scienze Naturali di cui è uno dei principali esponenti, Stoppani può tenersi al giorno delle esperienze di molti paesi, tra cui la Russia (erano già attive da tempo le estrazioni nell‘area caucasica e sul Mar Caspio), gli Stati Uniti e il Canada.
Per la documentazione da questo paese gli dà una mano Quintino Sella (nonostante gli scontri anche aspri per la Carta Geologica, sono in ottimi rapporti personali), che ha un canale aperto con la Geological Survey of Canada.
L’Abate – pur continuando a occuparsi della ricerca di materie prime energetiche oltre al carbone (per esempio, la torba), si concentra sull’argomento petrolio e rapidamente ne diventa il maggior esperto in Italia.
Sulla base delle prime idee che se ne è fatto, è infatti convinto che la struttura geologica del nostro paese sia perfettamente coerente con una presenza – e abbondante – di petrolio.
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FIGURA 15
1862-1877. Alla ricerca dei Petroli d’Italia.
Per diciotto anni Stoppani svolge una serrata attività per definire e dimostrare una propria autonoma e rigorosa teoria sull’origine del petrolio.
Immediatamente, sulla scorta della sua conoscenza approfondita del territorio nazionale e della manifesta capacità di inquadrare i problemi secondo un rigoroso schema scientifico, viene richiesto come consulente anche da investitori stranieri, Negli anni successivi diventa anche azionista e Presidente di una società italiana costituita per l’estrazione e la vendita del petrolio nel Centro-Sud del paese.
Il nostro Centro Studi sta lavorando a un libro sull’argomento. Rimandandovi per una più ampia trattazione, ci limitiamo qui a esporre per capi le tappe del percorso di conoscenza e di divulgazione dell’Abate Stoppani in relazione alla ricerca e sfruttamento del petrolio.
1862. «Far conoscere gli scisti bituminosi esistenti nell’alta Italia, sotto tutti i loro rapporti scientifici ed industriali». (Premio biennale per il 1864 – Reale Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti).
1864. «Saggio di una storia naturale dei petroli» (“Il Politecnico”, 1864, novembre).
1864. «Note per un Corso di Geologia: I carboni / Le torbe / I petroli.» (fascicoli mensili, poi raccolti in tre volumi)
1865. «Relazione di un’esplorazione geologica di alcuni distretti petroliferi nelle Provincie di Parma e di Piacenza.»
1866. «I Petroli in Italia». (“Il Politecnico“, 1866, gennaio-agosto).
1866. «Dei terreni paleozoici e specialmente del terreno carbonifero nelle Alpi e in Italia.»
1871. «Corso di Geologia del professore Antonio Stoppani. Vol. I – Dinamica Terrestre.»
1876. «Il Bel Paese».
1877. «I Petroli in Italia.» (Lettera 20 giugno 1877 a Il Sole).
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FIGURA 16, 17, 18, 19, 20 e 21
1864. L’impianto teorico.
Il primo lavoro sistematico di Stoppani dedicato al petrolio è il «Saggio di una storia naturale dei petroli».
L’articolo è una sistematizzazione del discorso letto presso il Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere nelle tornate del 7 e 21 luglio 1864. Con questa pubblicazione, l’Abate tenne a fissare i termini della propria elaborazione, per non farsi scavalcare (anche involontariamente) da altri studiosi, stimolati e indirizzati dalle sue prime elaborazioni.
Il “saggio” esce su “Il Politecnico” del novembre 1864, nel periodo in cui la rivista (già di Carlo Cattaneo) è diretta da Ernest Stamm (1834-1875), un francese, ingegnere-meccanico e imprenditore tessile di grande talento, che per un breve periodo sarà alla testa della prestigiosa rivista.
Il saggio è notevole, per la novità del tema trattato e per il metodo. L’Abate insiste sul rapporto che deve essere visto e tenuto tra nuove acquisizioni tecnologiche ed ecologia. Il linguaggio è modernissimo e in sotto traccia è percorso dal concetto di sostenibilità nello sviluppo (le parole sono del nostro tempo, ma il taglio concettuale di Stoppani è esattamente su questa linea).
Notevole anche il legame esplicito che l’Abate definisce tra sguardo scientifico ed espressione poetica. Il sapere dell’uomo è unitario: non si può parlare di tecnologia, materie prime, produzione senza avere un quadro chiaro dello sviluppo storico dell’umanità. Il petrolio può essere compreso fino in fondo solo se sappiamo apprezzare anche la poesia di Virgilio (che prima di essere poeta fu uno studioso di scienze naturali).
Al centro del saggio di Stoppani è l’indagine sull’origine dei petroli. Non basta trovarlo, non basta sfruttarlo. Dobbiamo avere idee chiare sulla sua natura e origine.
In opposizione alla maggioranza della comunità scientifica, Stoppani sostiene la doppia origine del petrolio. Di certo molte sorgenti sono il prodotto di fenomeni organici. Queste fonti sono a esaurimento.
Ma l’origine della gran parte del petrolio è abiotica e legata all’attività tellurica del globo:
«Il nostro concetto è diverso da tutti gli esposti. Io ammetto come indubitabile che la produzione degli idrocarburi minerali è in rapporto coll’attività vulcanica e un tale asserto può stare benissimo coll’ipotesi della distillazione, come con quella della fermentazione.
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Vi è però nel mio concetto un’asserzione assai più avanzata, ed è che anche la produzione dei petroli è fenomeno vulcanico, e che prodotto vulcanico è il petrolio, come ogni altro qualunque dei minerali vulcanici, indipendentemente da qualunque organica sostanza.»
Per l’aspetto chimico della questione, Stoppani si rifà a Marcellin Berthelot, insigne chimico francese e futuro Ministro dell’Istruzione pubblica.
«Una curiosa esperienza di Berthelot depone tutto in nostro favore. Servendosi della pila e dell’arco elettrico che si produce tra due punte di carbone, in una atmosfera di idrogeno, e a temperatura eccessivamente elevata, con trasporto di carbone da un polo all’altro, ottenne, per la diretta combinazione dell’idrogeno col carbonio, l’acetilene [diacetilene], carburo d’idrogeno la cui formula è C4 H2.»
Contattato da Stoppani, Berthelot gli scrive (Parigi, 27 febbraio 1865).
«Signore, ho letto il vostro lavoro con molto interesse. Sull’origine dei Petroli i chimici inclinano verso la distillazione, ma conosco molti geologi di valore che condividono la vostra opinione.
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Io non oso ancora pronunciarmi, malgrado il sostegno che le vostre idee forniscono alle mie tesi sulla formazione dei carburi d’idrogeno.
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Mancano ancora alcuni fatti di carattere geologico per risolvere la questione. Ma certamente è solo ponendo il problema con quella chiarezza che caratterizza le vostre posizioni che si arriverà a fare le scoperte che decideranno la cosa. Distintissimi saluti.»
Qualche anno dopo Berthelot pubblicava un proprio lavoro in cui si sosteneva esattamente la posizione di Stoppani, ma senza farne pubblica citazione.
L’altro punto di riferimento di Stoppani per la teoria abiotica è il russo Mendeleev. Nei suoi scritti questi sostiene:
«Il petrolio è nato nelle profondità della Terra, ed è solo lì che dobbiamo cercare la sua origine…
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Se questi carburi si formano con alta temperatura e alta pressione (condizioni presenti all’interno del globo) non mancheranno, secondo Berthelot, di trasformarsi in carburi saturi, analoghi a quelli del petrolio. Ho constatato che il petrolio non può avere origine organica.
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Ho cercato quindi di individuare una soluzione alternativa. Che ho trovato confermata dalla disposizione delle sorgenti di petrolio, dalle proporzioni probabili dei metalli all’interno della terra, dai passaggi delle acque attraverso le fessure e dall’azione dell’acqua sui carburi metallici.»
Anche a seguito di questi confronti (alcuni diretti) con figure della comunità scientifica internazionale, queste le conclusioni riassuntive di Stoppani:
1º Petrolio e nafta, sono prodotti colla combinazione diretta, per effetto dell’attività interna del globo, senza concorso delle sostanze organiche.
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2° Gli idrocarburi minerali, liquidi, vischiosi o solidi, non sono che modalità dello stesso prodotto d’origine interna.
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3° La trasformazione del petrolio liquido in bitume, asfalto, è un fenomeno di ossidazione.
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4º Il petrolio, versandosi all’esterno, generalmente in circolazione colle acque, si ammassa in bacini e crea, letti o ammassi di bitume.
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5º Il petrolio, filtrando attraverso le rocce sedimentari o eruttive, si annida nella cavità, che si convertono in tasche di idrocarburo liquido.
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6° I calcari e i grès bituminosi o asfaltici e i piroschisti, sono rocce imbevute di petrolio.
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7° Le rocce petroleifere o bituminose, possono incontrarsi, a qualunque livello nella serie stratigrafica.
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8º Il presentarsi delle rocce petroleifere nei terreni più antichi come nei più moderni, rende assai probabile che gli idrocarburi minerali, come gli altri prodotti dell’attività vulcanica, siano stati generati in tutte le epoche geologiche.
Entro il 1866, può dirsi vinta la prima fase della campagna dell’Abate, tesa a definire una teoria solida e completa.
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A fronte dei lavori di pura ricognizione di Cappellini, Canestrini, Du Jardin, Molon, e altri italiani impegnati nel settore, Stoppani è l’unico in Italia e nel mondo occidentale ad avere formulato una teoria completa e scientificamente solida sull’origine dei petroli.
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FIGURA 22
1864. Consulenze sul campo.
Alla fine del 1864 l’Abate Stoppani si trovò a essere in Italia l‘unico scienziato ad avere formulato una teoria completa sull’origine del petrolio.
E ciò non solo sulla base di un’ampia e multidisciplinare ricerca concettuale ma anche in forza di puntuali indagini sul campo, estese a tutta Italia.
Il suo “Saggio sui petroli d’Italia” è una vera e propria inchiesta – quasi di taglio giornalistico – tesa a dimostrare quanto l’Italia fosse un’area di interesse per l’estrazione petrolifera.
Nella sua consapevolezza su questo aspetto della realtà energetica del nostro paese, l’Abate godeva di un vantaggio incommensurabile sugli altri geologi del nostro paese.
A titolo esemplificativo, basti qui ricordare che Giovanni Capellini (viene da qualcuno presentato come il primo in Italia a occuparsi di petrolio), recatosi negli Stati Uniti nel 1863, non si accorse per nulla di stare attraversando la terra da dove il petrolio stava entrando di forza nella nostra vita quotidiana.
Ancora nel 1867 (nonostante nel 1864 avesse fatto da consulente petrolifero nell’attuale Romania per conto di una società inglese) nel suo libro di ricordi sul “viaggio scientifico” negli Stati Uniti del 1863, anche solo il semplice lemma “petrolio” non è rinvenibile neppure una volta, a testimonianza di quanto fosse lontano dal tema prima di ricevere la sveglia da Stoppani.
Tornando all’Abate, è del tutto naturale che la sua nota attenzione al problemi del petrolio e la sua conoscenza diretta delle aree più promettenti per il suo sfruttamento, gli portassero richieste di collaborazione da parte di imprenditori, stimolati dall’esempio americano.
Nel 1864 gli fu chiesta assistenza scientifica da Maurizio Laschi, un imprenditore di Vicenza, cui Stoppani era stato raccomandato dal naturalista Francesco Secondo Beggiato (a lungo Presidente dell’Accademia Olimpica di Vicenza e da anni impegnato nelle ricerche collegate alle sostanze bituminose) in grado di apprezzare la validità delle linee teoriche tracciate da Stoppani sui petroli.
In altra sede (il nostro libro in preparazione “Energia per l’Italia. L’Abate Stoppani e la via del petrolio”) tracciamo nei dettagli questa prima consulenza per un “petroliere” da parte di Stoppani, svoltasi a Tocco da Casauria in provincia di Pescara. Qui ci basti ricordare che l’Abate lasciò traccia ampia di questa sua prima esperienza sul campo in molte pagine de “Il Bel Paese”.
Un’altra consulenza fu a fianco del chimico Carlo Cassola, anch’egli convinto sostenitore dell’autonomia energetica italiana, che gli fece conoscere le aree del centro-sud (San Giovanni Incarico) dove anni dopo si svilupperà la fase “imprenditoriale” di Stoppani (non lontano da Tempa Rossa, dove oggi sono attivi i pozzi più produttivi della Total).
Un’esperienza particolare gli venne dalla consulenza sviluppata per due imprenditori “petrolieri” provenienti dagli Stati Uniti, Vincenzo Botta e William S. Mayo, per i quali svolse un’intensissima campagna di ricerche nei distretti di Piacenza, Parma e Modena.
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FIGURA 22
1864-1866. Capitali americani – Vincenzo Botta e William Mayo
Nell’autunno del 1864, da Torino, arrivò a Stoppani una breve comunicazione di Quintino Sella:
«Caro amico, Ti porterà questa mia lettera il prof. Vincenzo Botta, di cui certo conosci il nome, e che illustra l’Italia agli Stati Uniti.
Egli vorrebbe occuparsi di petroli. Io non posso quindi rendergli migliore servizio che procurandogli la tua conoscenza.
Ti sarò quindi grato se vorrai essergli cortese delle indicazioni che i tuoi studi in proposito ti pongono in grado di fornirgli.
Addio, a rivederci alla Spezia. Tuo aff.mo Q. Sella.»
Questa segnalazione di Sella avvia un’esperienza che sarà molto importante per Stoppani. Per la prima volta entra in contatto con operatori perfettamente al corrente di tutti gli aspetti relativi al petrolio. I suoi nuovi clienti hanno le idee chiare e hanno già maturato esperienze dirette: a fronte della concorrenza sfrenata interna agli Stati Uniti, vogliono aprire un fronte d‘affari in Italia, ancora alla preistoria sulla via del petrolio.
Queste caratteristiche dei committenti – l’italiano Botta, da anni residente negli Stati Uniti e soprattutto William Mayo, un “petroliere” yankee in piena regola – daranno modo a Stoppani di agire in un normale contesto imprenditoriale. Di conoscere da vicino nuovi metodi di ricerca e figure professionali evolute, come erano i tecnici americani ingaggiati per l‘impresa.
L’operazione, avviata con le migliori prospettive, andò in fumo per l’entrata in guerra dell’Italia nel 1866 contro l’Austria (III Guerra di Indipendenza).
Da un lato Stoppani, aggregatosi con la Croce Rossa di Milano al Secondo Corpo d’Armata di Cialdini, sospese quasi dall’oggi al domani la sua opera di consulente.
Dall’altro, con lo sconvolgimento delle procedure di concessione governativa, venne posto un freno improvviso al progetto degli imprenditori d’oltre Oceano.
Qualche parola sui due clienti dell’Abate, che presentavano caratteristiche particolari.
Il piemontese Vincenzo Botta (1818-1894, nessun rapporto con lo storico Carlo), già seminarista di ispirazione rosminiana, fu professore di filosofia all’università di Torino, poi nel Parlamento sabaudo, poi relatore con Luigi Parola sul sistema educativo in Germania. Nel 1853 incontrò a Torino la scrittrice statunitense Anne Lynch, molto attratta dall’Italia (tenne una corrispondenza regolare con la contessa Clara Maffei, l’ottima amica di Manzoni). Botta si trasferì a New York dove sposò Lync naturalizzandosi americano e avviando una carriera di docente universitario come direttore del dipartimento di lingua e letteratura italiana, molto legato alla moglie che animava un salotto letterario di ottimo livello, dove conobbe Mayo.
William Mayo (1812-1895), medico di formazione, fu romanziere per passione, godendo anche di una buona notorietà fino a che non fu messo in ombra da Herman Melville, che ne imitò il mondo letterario e lo stile, ma con maggiore abilità e successo di pubblico. Mayo nel 1851 sposò Helen C. Stuyvesant, ricca ereditiera, e si dedicò agli affari, e quindi, al momento del boom, anche al petrolio. Nella sua permanenza in Italia Mayo, di idee democratiche, scrisse cose oggi parecchio curiose (anche se bene intenzionate) nel suggerire rimedi al problema della malaria – ma di questo nel nostro libro in preparazione.
Date le caratteristiche dei due americani, l’Abate trovò questa consulenza abbastanza gradevole anche sul piano personale — almeno nella prima fase.
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FIGURA 22
1865, 1 ottobre — Relazione ai Sig. Botta e Mayo.
Come consulente dei due investitori americani, l’Abate Stoppani compie una ricerca molto approfondita in una delle aree che sembravano di maggiore interesse – nelle provincie di Modena, Parma e Piacenza e ne ricava un’ampia relazione.
Dalla relazione di Stoppani, preliminare all‘avvio del progetto:
«Questi i distretti da me visitati:
1º Dintorni di Sassuolo, Montegibbio e Nirano, costituenti un bacino petroleifero dipendente dal Secchia (Modenese).
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2º Dintorni di Miano, Sant’Andrea, Fornovo, Neviano de’ Rossi, Ozzano e Riccò, costituenti un bacino petroleifero sulle sponde del Taro (Parmigiano).
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3º Distretto petroleifero di Montecchino (Piacentino).
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Condizioni imprescindibili per il successo.
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1. Metodi nuovi di scavo, coll’impiego di macchine perforanti, con quella abbondanza di mezzi che esigono l’istituzione di una grande società la quale possa disporre di grossi capitali.
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2. Profondità molto maggiori.
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3. Questioni morali. – Non sono lontano dal sospettare che vi si frapponga qualche difficoltà d’ordine morale … trattandosi di persone influenti in paese, nasce il sospetto che le rivendicazioni di carattere legale non abbiano altro motivo che cercare di inserirsi nell’affare.
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4. Indispensabile che le concessioni governative prevedano territori molto estesi.»
Dalla relazione emerge con chiarezza che il progetto aveva buone prospettive ma era necessario immettere più fondi del previsto, perché “condizioni morali” inaspettate (ossia concorrenti locali) imponevano di prevedere aree di concessione più ampie di quanto progettato. Bisognava evitare che vicini intraprendenti scavassero pozzi vicini e si attaccassero alle fonti eventualmente individuate, risucchiandone il petrolio con pozzi trasversali.
Queste “condizioni morali” risulteranno decisive, anche per la situazione che si viene a determinare nell’estate del 1866.
1866, 20 giugno – L’Italia entra in guerra contro l’Austria a fianco della Prussia per completare con il Veneto l’unificazione italiana.
L’Abate Stoppani parte con la Croce Rossa, aggregato al Terzo Corpo d’Armata di Cialdini. Nella Firenze (dal 1864 capitale del nuovo Regno) e Milano deserte, Botta e Mayo si trovano senza interlocutori – il Re è al fronte alla testa dell’esercito e la struttura governativa è impegnata nelle operazioni belliche.
Ritiratosi a Parigi, lo sconsolato Mayo scrive a Botta:
«Avrei potuto immaginare di tutto ma non di capitare in mezzo a una guerra.
Mi sono già giocato sessantamila dollari e ne avrò altri quindicimila di debito. E ora arriva questa mazzata italiana. Mi sento come se dovessi dissolvermi o impazzire o altro. Sono veramente di una tristezza sconfinata.»
Il 22 agosto 1866, dietro le pressioni continue dei due imprenditori (avevano già speso l’equivalente di 1.200.000 Euro, solo per le fasi preliminari), il Reggente Eugenio di Savoia firma una concessione, ma ridotta quanto a dimensioni del territorio da sfruttare. I due imprenditori americani non demordono e insistono per avere le aree previste nel progetto di Stoppani.
Rientrato l’Abate nella vita civile pochi mesi dopo, l’accordo di consulenza rimane in sospeso, in attesa di verificare lo sviluppo delle cose. Che però non è positivo. Contro la loro opposizione, nel 1868 vengono accordate altre concessioni – ma ai concorrenti – in aree limitrofe alle loro. Per i due imprenditori americani è la fine del progetto.
Nonostante la cattiva riuscita dell’impresa, grazie all’esperienza fatta, Stoppani matura la consapevolezza che in Italia il problema di capitali adeguati si pone in modo ancora più forte che negli Stati Uniti, dove a volte – complice la grande estensione e la presenza di terre praticamente “libere” (basta ignorare i diritti dei nativi, naturalmente) – la fortuna può arridere anche a ricercatori con scarsi mezzi.
Il nome di Stoppani è ormai saldamente collegato a quello di qualsiasi iniziativa collegata al petrolio che si voglia sviluppare in Italia e l’Abate viene spesso consultato nel corso degli anni successivi.
Grazie alla molteplicità di queste esperienze, in Stoppani si rafforza la convinzione che la ricerca delle aree da sfruttare e il loro sfruttamento devono ubbidire a criteri scientifici e imprenditoriali rigorosi.
Sono molti gli imprenditori che investono anche somme rilevanti ma per la ricerca delle fonti di petrolio si affidano alla semplice osservazione superficiale del terreno: là dove sgorga qualche po‘ di petrolio, si scava, sperando di avere fortuna.
Stoppani sostiene ovviamente che bisogna abbandonare questi metodi primitivi e in via preliminare analizzare con cura la struttura geologica del suolo. Compiere indagini anche su larga scala, per potere individuare le aree più promettenti, prima ancora di mettere mano agli aspetti operativi.
Il modo migliore per presentare quale fosse sul tema la visione di Stoppani è riportare le sue stesse parole, tratte da un articolo pubblicato su “Il Sole – giornale commerciale agricolo-industriale” il 29 maggio 1877, in risposta a una lettera inviatagli dal rappresentante di una società inglese intenzionata a operare in Emilia per l’estrazione del petrolio:
«[…] Mi affretto a rispondere alle sue domande nel modo che mi è suggerito dallo studio e dall’esperienza di 14 anni, durante i quali non ho mai cessato di occuparmi di questa interessantissima questione dei petroli italiani.
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1º. L’esistenza di una zona pretrolifera italiana, che si estende a tutta la base degli Appennini verso l’Adriatico, con più evidenti manifestazioni nella Valle del Taro, tra Miano e Lesignano, è un fatto notorio da molto tempo, come da molto tempo ha dato luogo ad una industria esercitata a piccola scala, ma molti anni prima dell’introduzione dei petroli esteri. I particolari in proposito sono già consegnati fin dal 1866 alla mia memoria “I petroli in Italia”, pubblicata nel giornale “Il Politecnico” dello stesso anno, in seguito all’altro “Saggio di una storia naturale dei Petroli” pubblicata nello stesso giornale fino dal 1864.
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2º. Dallo studio di quella zona risalta indubitata l’esistenza di grandi magazzini naturali del prezioso liquido, capaci certamente di dare alimento ad una industria esercitata a scala molto maggiore, quando i suddetti magazzini fossero raggiunti con mezzi proporzionati.
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3º. Il giudizio espresso dagli egregi Forbes e Griffin sulla qualità decisamente superiore dei petroli della Concessione non è che la ripetizione esatta da quanti finora ebbero a sperimentare gli stessi petroli. È un fatto che i petroli di Miano e dintorni sono vari e superiori per bontà ai migliori petroli della Pensilvania. È pure un fatto che essi servirono già, come sono in natura, alla pubblica illuminazione di Parma e di Borgo San Donnino, e che ardono benissimo nelle così dette lucerne a lucilina.
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4º. Quanto ai tentativi finora fatti nella zona petrolifera dell’Emilia, con esito infelice per riguardo alla speculazione industriale, credo di potere affermare in massima ciò essere dipeso dalla poca serietà, dalla incompetenza delle persone e dalla scarsità dei mezzi in confronto alle speciali difficoltà che si affacciano all’industria applicata a questa particolare regione.
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5º. Divido del resto pienamente l’opinione espressa dal signor Griffin, che dalla miniera «coltivandola scientificamente con mezzi adeguati, si potrà ritrarne il petrolio in gran copia.»
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Questo giudizio del signor Griffin bisognerà però prenderlo in tutta la sua serietà, non dissimulandosi nessuna delle grandi difficoltà, per vincere le quali importano principalmente due cose: 1º Abilità e pratica affatto speciale del personale tecnico, che non si lasci illudere da ciò che si ottenne in America, dove son ben altre le condizioni dei terreni petroliferi; 2º l’impiego di capitali vistosi.
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Non lascierò di ripetere alla S.V. ciò che non ho mancato d’inculcare ai molti che in questi anni mi hanno fatto l’onore di consultarmi in proposito. Circa i petroli dell’Emilia, la questione non riguarda più nè la loro esistenza, che è un fatto, nè la loro qualità, che è eccellente, nè la loro abbondanza, che si può ritenere dimostrata. La massima, anzi l’unica difficoltà che dovrà superarsi dagli intraprenditori, è quella gravissima della natura del terreno, in cui s’incontrano all’esterno ndizi di petroli, e in cui furono praticati i pozzi dagli intraprenditori precedenti.
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Questo terreno constando fino a molta profondità principalmente di sabbie e di argille, è oltremodo cedevole e scorrevole ed ha insomma tutti i caratteri più opposti a ciò che richiederebbero la economia e la rapidità del lavoro, e la probabilità di ottenere dei flussi sufficientemente abbondanti per renderlo proficuo.
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La mia ferma convinzione, che ebbi occasione già di esprimere più volte anche a persone di greado molto elevato, e che godo di vedere conformi a quella esternata dal signor Griffin, è questa: che per ottenere sgorghi potenti ed un flusso regolare, è necessario assolutamente di oltrepassare collo sprofondamento dei pozzi tutta la zona dei terreni mobili superiori, per raggiungere le roccie più salde, per esempio i calcari, che stanno certamente al disotto delle argille; il che non si potrà ottenere in massima che mediante pozzi, i quali oltrepassino i 200 metri e siano disposti a discendere a profondità anche maggiori. A questa condizione soltanto potrà dirsi seria la nuova impresa e si potrà asserire ciò che dice il sig. Griffin che la “miniera è coltivata scientificamente e con mezzi adeguati”.»
Forte di queste convinzioni, dopo alcuni anni di consulenze, l’Abate decide di giocare la carta della ricerca, dell’estrazione e della lavorazione del petrolio con una propria struttura imprenditoriale.
Acquista un pacchetto di azioni e diventa Presidente di una società specializzata nella ricerca petrolifera nel Centro-Sud Italia.
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FIGURA 22
1877 — Azionista e Presidente della «Società Italiana delle miniere petroleifere in Terra di Lavoro».
«La Società Italiana delle miniere petroleifere in Terra di Lavoro, approvata con Reale decreto il 1 agosto 1876 … si presenta con fatti da mostrare e con promesse che è sicura di mantenere … Questa nuova Società per azioni, si ripromette di soddisfare già fin da quest’ora ad una parte almeno dei più urgenti bisogni dell’industria nazionale.»
In una lunga “Lettera al Direttore” de “Il Sole” del 20 giugno 1877, con queste parole l’Abate Stoppani lancia un promozionale a favore della neo-costituita “Società Italiana delle miniere petroleifere in Terra di Lavoro”.
Questa volta, nell’illustrare i vantaggi di uno sfruttamento scientifico del petrolio, spende il suo nome non in veste di consulente ma come azionista e Presidente di una società di capitali.
A quell’impresa (allora denominata “Società Sacchetti&C.“), Stoppani aveva cominciato a prestare i propri talenti come consulente fin dal 1872.
Sotto suo impulso la società, attrezzatasi con i macchinari acquistati dai due petrolieri americani che già abbiamo incontrato – i poco fortunati Botta e Mayo – si era impegnata in ricerche e perforazioni a San Giovanni Incarico (provincia di Frosinone), nel centro di quella che era la regione di Terra di Lavoro (l’antica “Campania felix”), oggi divisa tra Campania, Lazio e Molise.
Grazie alla consulenza di Stoppani, la Sacchetti&C. aveva trovato zone favorevoli all’estrazione. Tanto che, quando il 5 luglio del 1872, a 34 metri, si era trovata un’ottima vena, il pozzo venne denominato “Pozzo Stoppani”, in omaggio al geologo che, dopo attenti rilievi, aveva indicato con precisione il punto in cui scavare.
E lo stesso Sacchetti, direttore tecnico dei lavori, si era lasciato andare con un telegramma entusiasta alla sede di Milano: «In Italia, dopo il Papa, c’è un altro uomo infallibile: è il Prof. Stoppani».
La società aveva poi allargato il campo d’attività creando una distilleria, per facilitare l’immissione sul mercato del proprio prodotto. Nel 1872 il Governo aveva infatti abbattuto i dazi per le importazioni di idrocarburi dall’estero e moltissime imprese per la distillazione del petrolio avevano chiuso l’attività, lasciando scoperta la Sacchetti&C. nella filiera produttiva a valle.
Nel 1876 i proprietari dell’impresa avevano deciso di fare un investimento serio e avevano portato il capitale sociale a 350.000 Lire (più o meno 6 milioni di Euro di oggi). L’Abate si era lasciato convincere ad assumerne la carica di Presidente (oltre che di direttore scientifico) e ad acquistare 10 azioni (l’1,5%) per 5.000 lire (circa 100.000 Euro attuali).
Tra l’insegnamento e le consulenze l’Abate guadagnava abbastanza bene. Ma spendeva anche molto per le sue ricerche geologiche, regalandone spesso e volentieri i risultati (per esempio al Museo di Scienze naturali di Milano).
Le 5.000 Lire non erano quindi poche ma evidentemente Stoppani si fidava della propria capacità nell’analisi e della forza produttiva della società.
Le cose andarono abbastanza bene fino a che non si presentò una situazione tipica: la Società produceva bene e molto ma aveva un portafoglio clienti non adeguato alla sue capacità produttive.
L’Abate si lanciò quindi anche in una campagna di promozione, con tanto di volantini, locandine, prospetti, esposizioni e dimostrazioni pubbliche del prodotto, elaborando e proponendo nuovi possibili impieghi del petrolio, soprattutto per la sua capacità illuminante.
I potenziali clienti erano gli stabilimenti nei quali il problema di una buona illuminazione sicura e salubre si poneva con particolare forza: industria tessile e cartaria. E poi i numerosi gasometri che dal petrolio ricavavano il gas illuminante, nettamente superiore e di maggior sicurezza rispetto a quello ricavato dal carbone.
Una particolare attenzione venne data anche ai sistematici utilizzatori di grassi e oli minerali: le ferrovie in primo luogo ma anche i trasporti cittadini.
La campagna promozionale produsse buoni risultati con aumento del monte ordini e – quindi – con l’obbligo di garantire una fornitura costante in termini quantitativi e qualitativi.
Fu quest’ultimo aspetto che determinò la svolta di Stoppani nei confronti della Società Italiana.
Nel febbraio del 1880 Stoppani legge la sua ultima relazione come Presidente. Preso atto del buon andamento della società, Stoppani rileva essere indispensabile allargare il campo d’azione:
Acquisire nuove concessioni per lo sfruttamento nelle aree del medesimo distretto petrolifero.
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Allargare il parco macchine con nuovi e più potenti attrezzature per potere spingere gli scavi a maggiori profondità di quelle consentite dai macchinari americani, utili solo entro i 150 metri.
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Sono indispensabili nuovi fondi attraverso una robusta ricapitalizzazione.
I soci, però, non sono disponibili a nuovi investimenti e ritengono opportuno impiegare in modo diverso i loro capitali.
Dalle ricerche che stiamo conducendo appare abbastanza chiaro che la maggioranza degli investitori (un gruppo molto ristretto di soci, dominato da Compagnoni, un uomo d’affari milanese, abituato a giri piuttosto ampi di denaro – ma di rapido ritorno) è orientata a impiegare i capitali in attività finanziarie, ritenute più remunerative.
Per Stoppani, questo dato di fatto, da egli stesso non controllabile data l’estrema esiguità della sua quota sociale (1,5%), determina il distacco dall’impresa.
Con il 1881 l’Abate, probabilmente anche deluso dal comportamento dei soci, attenti esclusivamente al rendimento rapido e poco ai contenuti scientifici, tecnologici e di utilità sociale dell’impresa (che possono richiedere tempi più lunghi), si ritira da ogni impegno sul fronte del petrolio.
Del resto, in quel breve torno di anni, si verificano alcune svolte tecnologiche direttamente incidenti sul settore energetico.
Nel 1879 Edison aveva messo a punto il suo sistema di illuminazione basato sull’elettricità. Giuseppe Colombo, rettore del Politecnico, grande amico di Stoppani e fino ad allora suo attivissimo sponsor per la diffusione dell’illuminazione a petrolio, comprese che una nuova epoca era alle porte e divenne rappresentante in Italia dello stesso Edison.
Un chiaro segnale che l’epoca dell’illuminazione a petrolio andava verso il tramonto.
Si sarebbe potuto cambiare rotta e, nel tempo necessario al cambiamento generalizzato dei sistemi di illuminazione, puntare sull’altro uso del petrolio che avrebbe segnato negli anni successivi la sua definitiva affermazione: quello di forza motrice.
Ma l’Abate non aveva le competenze necessarie ad affrontare questa svolta e – preso atto delle difficoltà interne alla Società Italiana – uscì dal mondo degli affari per mai più tornarvi.
Altri compiti – di natura completamente diversa – si presentavano. Proprio in quel periodo inizia per Stoppani un decennio di lotte ideologiche che lo vedono opporsi all’intransigentismo del Vaticano, alla testa della combattiva ma minoritaria tendenza conciliatorista di formazione rosminiana che in quegli anni cerca di suscitare la cristallizzazione in forme organizzate della tendenza cattolico-liberale.
Tracciando un bilancio dei venti anni dedicati dall’Abate ai problemi dell’energia in Italia, possiamo dire che, al di là delle specifiche vicende consulenziali o imprenditoriali, Stoppani poteva in complesso ritenersi soddisfatto, per una serie di motivi.
1º. Aveva definito una teoria solida, condivisa dai migliori scienziati europei del tempo (mai controbattuta in modo sistematico e convincente dagli avversari) che oggi ha sostenitori di grande peso. La teoria abiotica, avanzata in forme scientificamente definite da Stoppani, ha conosciuto una clamorosa affermazione alla metà del secolo passato.
Negli anni ’50 il regime staliniano dell’Unione Sovietica, pressato dalla necessità di innalzare il livello della grande industria, e alla ricerca quindi di una soluzione di lungo periodo del problema energetico, indice una conferenza permanente di alcune centinaia di scienziati per tracciare le linee dell’estrazione su larga scala del petrolio. Gli scienziati giungono alla conclusione che il petrolio ha origini sintetiche e che è strettamente collegato alle attività plutoniche del globo (esattamente le idee messe a punto da Stoppani). Su questa base vengono avviate ricerche mirate a estrarre il petrolio da grandi profondità – anche oltre gli 8 chilometri. Le ipotesi si dimostrano corrette e – molto rapidamente – la Russia diventa una grande produttrice ed esportatrice di idrocarburi.
Oggi questa teoria è accolta da molti scienziati anche del mondo “occidentale“.
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2º. Aveva mantenuto con coerenza un atteggiamento nei confronti dell’indagine sulla natura che lo colloca ancora oggi nel solco della più alta tradizione scientifico-umanistica: libera e di prospettiva.
La sua opposizione all’accentramento della ricerca scientifica nelle mani dell’Esecutivo, lo aveva spinto a percorrere strade inedite, puntando sulla creatività scientifica e sulla libertà di pensiero.
La sua concezione del petrolio come sottoprodotto costante e ininterrotto dell’attività del globo, riconosce nella Terra non una massa inerte ma un organismo pulsante, “vivo“, completamente interrelato. È una visione per i suoi tempi del tutto inusuale che oggi ha però conquistato la maggioranza degli scienziati.
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3º. Aveva indicato che qualunque risposta ai problemi energetici nazionali doveva assolutamente essere compatibile con il rispetto della natura, in particolare del patrimonio forestale. L’Abate si avvicinò con grande interesse al petrolio perché vide in esso una alternativa all’uso indiscriminato della legname come combustibile di facile approvvigionamento. Nella sua epoca l’abbattimento forsennato dei boschi si poneva come causa dei fenomeni di erosione e smottamento che costituiscono uno dei problemi principali della geologia del nostro paese.
Il petrolio avrebbe potuto essere estratto senza apportare alcun danno all’ambiente e irregimentato come qualunque altro liquido. L’uomo con i mezzi tecnologici a disposizione avrebbe potuto facilmente stoccarlo e dirigerlo nel migliore dei modi e con grande facilità, utilizzando le leggi dell’idraulica.
L’Abate Stoppani oggi – a distanza di 150 anni dalla sua prima intuizione sulla natura eccezionale del petrolio e avendo constatato i problemi portati da un suo uso dissennato – sarebbe alla testa della ricerca energetica eco-compatibile e rinnovabile.
Di questo suo figlio e della sua attività scientifica e civile Lecco può essere orgogliosa.
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Può farne uno dei simboli della sua attuale fisionomia di città insieme industriosa e fedele custode della natura.