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7 ottobre 2017
Perché il Centro Nazionale Studi Manzoniani non risponde alla nostra critica al suo docu-film sul Manzoni?
Lettera aperta a tutti gli Organi della Fondazione Centro Nazionale Studi Manzoniani.

Don Rodrigo, dopo il fallito rapimento nella notte degli imbrogli, pensando a Lucia e a Renzo:

«E a Milano? Chi si cura di costoro a Milano?
Chi gli darebbe retta? Chi sa che ci siano?
Son come gente perduta sulla terra;
non hanno nè anche un padrone: gente di nessuno.»

(Manzoni, “I Promessi Sposi – Storia della Colonna Infame”, 1840, cap. XI, pag. 216)

Uscire da un silenzio sempre più offensivo per la collettività lecchese e per due dei suoi più illustri rappresentanti: Manzoni e Stoppani.

Gentili Signori,
il 22 settembre Vi abbiamo trasmesso le nostre critiche al docu-film «Alessandro Manzoni, milanese d’Europa», prodotto dal Centro Nazionale Studi Manzoniani (d’ora in poi CNSM) con testo del professor Angelo Stella. Nonostante l’ampio consenso alla nostra iniziativa, manifestato anche dalla stampa nazionale, da parte del CNSM non è stata a oggi 7 ottobre (dopo quindici giorni) espressa una sola parola pubblica su questa grave situazione.

Con la presente Vi rivolgiamo quindi un meditato appello: chiedete al Vostro Consiglio Direttivo e al Presidente Angelo Stella di esporre pubblicamente la posizione del CNSM sulla questione.

Le responsabilità culturali
Va da sé che il docu-film è un prodotto editoriale realizzato e messo in commercio dal CNSM, quindi con l’assenso e la certificazione culturale dei cinque membri del suo Consiglio Direttivo, dei quali uno è il Sindaco di Milano, gli altri quattro sono invece di nominati dal Ministro ai Beni Culturali, tutti stimati Professori universitari di letteratura e lingua italiana, in teoria i migliori garanti dell’attività scientifica del CNSM.

Di fronte a questa incresciosa situazione, il Consiglio Direttivo e i suoi membri devono quindi prendere una posizione pubblica. Ciò non solo per la loro dignità personale (cui potremmo anche essere indifferenti) ma per la dignità di un ruolo liberamente assunto all’interno di una struttura che la collettività considera di riferimento sotto il profilo etico e culturale. Di questa dignità professionale essi devono rispondere alla collettività, gestendo in modo responsabile – e risolvendo con la loro esperienza e competenza – anche le eventuali difficoltà che il CNSM può trovare sul suo cammino.

Nessuno ha infatti obbligato i Professori ad accettare la nomina con cui (Decreto 18 aprile 2014) il Ministro Franceschini li incaricava di rappresentare gli interessi culturali della nazione nell’ambito dell’esperienza manzoniana. Perché di questo si tratta.
I Professori sono stati nominati dal Ministro membri del Consiglio Direttivo per essere parte attiva e propositiva della memoria e della cultura manzoniana. Parte attiva e propositiva, non distruttiva, quali oggi appaiono essere come corresponsabili di quel docu-film e perdurando in un silenzio ignave e offensivo.

Dietro il silenzio, anche un fiacco tentativo di svalutazione
C’è da pensarlo, leggendo come il professor Stella, Presidente del CNSM ed estensore del testo del docu-film, ha risposto al giornalista Corrado Zunino di La Repubblica, che gli chiedeva un parere sulle nostre critiche [ https://​abatestoppani​.it/​w​p​-​c​o​n​t​e​n​t​/​u​p​l​o​a​d​s​/​2​0​1​7​/​1​0​/​1​7​1​0​0​5​_​R​e​p​u​b​b​l​i​c​a​_​p​a​g​0​1​-​2​3​.​pdf ].

Vediamo cosa ne scrive Zunino:

«Il presidente del Centro nazionale studi manzoniani, Angelo Stella, replica infastidito: “Gli eredi dell’Abate Stoppani non hanno capito le finezze di questo documento, i suggerimenti, i non detti. Anch’io sul lavoro del regista potrei fare osservazioni, ma non è facile ridurre un film di un’ora e mezza a cinquanta minuti. E là dove ci sono errori, si può correggere. Lo spero, almeno. Di certo, non si usa Manzoni per fatti di cultura provinciali: parliamo di un allievo di Voltaire non dell’Abate Stoppani».

Queste 71 parole, riportate virgolettate dal giornalista di La Repubblica, ci raccontano meglio di un saggio di dieci pagine dell’insofferenza di Angelo Stella rispetto a critiche che hanno evidenziato – nel docu-film che reca la sua firma, sia chiaro – una sua comprovata ignoranza e superficialità nelle questioni manzoniane.

Non solo, ma anche di un esplicito fastidio rispetto a idee sulla figura di Manzoni la cui origine si deve all’Abate Antonio Stoppani e che noi abbiamo sviluppato e attualizzato. Di quell’Abate Stoppani ben noto per i suoi contributi innovativi a tutela della figura di Manzoni e verso il quale la cittadinanza di Lecco mantiene una costante e attenta memoria.

A parte il veramente comico riferimento a una nostra incomprensione sul valore dei «non detti» – perfetto per un teatro dell’assurdo – con quelle poche parole riportate dal giornalista Zunino il Professor Stella infatti:

a. Riconosce che nel docu-film vi sono «errori».
Ma non dice che sono errori imputabili solo a se medesimo in quanto estensore dei testi. Li attribuisce invece (dobbiamo dire in modo poco elegante) a sottintese pecche nel lavoro del regista Bellati, come se questi avesse messo in circolazione il docu-film a insaputa del professor Stella, del Consiglio Direttivo, del CNSM.
Non solo: mettendo le mani avanti («dove ci sono errori, si può correggere. Lo spero, almeno») Stella esprime anche dubbi sulla possibilità di correggere questi errori (modo aulico per dire che non ci pensa neppure lontanamente, oppure che non è in grado di controllare ciò di cui egli stesso dovrebbe essere motore primo – il che sarebbe decisamente peggio).

b. «Stiamo parlando di un allievo di Voltaire non dell’Abate Stoppani» / UNO.
Il professor Stella oltre alle tante del docu-film, accenna qui a una nuova invenzione storica: una supposta diversità di prospettive ideali tra Manzoni e l’Abate Stoppani.

A parte che tra gli amici illuministi dell’anticlericale Voltaire abati e preti erano ben rappresentati, il professor Stella ignora evidentemente che Manzoni si era staccato molto presto dall’eredità filosofica del filosofo francese.
E che quindi il Manzoni che conosciamo, l’autore degli “Inni Sacri”, delle “Tragedie”, de “I Promessi Sposi – Storia della Colonna Infame”, de “La rivoluzione francese del 1789” dei tanti contributi sulla lingua italiana, della reciproca stima con Garibaldi, dell’Unità d’Italia, della fine del temporalismo del Vaticano, aveva, a partire dai suoi 24 anni, imboccato tutt’altri percorsi di ispirazione.

Manzoni, come tutti i giovani con un po’ di cervello, fu “allievo” di tante figure. Per esempio di Vincenzo Monti, da cui – sia lode agli dei – si staccò ben presto, soprattutto nella prepotente pulsione di questi a leccare i piedi al potente di turno. Fu “allievo” anche di “scristianizzatori” francesi e italiani (Cabanis per esempio, o Carlo Botta, intimi dei due Manzoni – madre e figlio ricongiunti – nel periodo parigino). E nel suo primo componimento poetico di ispirazione politica (per altro notevole per un quindicenne) scrive inneggiando alla ghigliottina contro le teste coronate – forse “allievo” di qualche terrorista parigino (il suo amico e mentore Fauriel lo avrà poi di certo ragguagliato in proposito, narrandogli di cose interessanti, conosciute di prima mano). Il richiamo di Stella alle figure di cui Manzoni fu “allievo” è quindi un po’ debolino.

Ma dal 1809 Manzoni era tornato alla religione del suo battesimo (quindi ben lontano da Voltaire). E dal 1825 al 1855 si era pubblicamente posto come allievo spirituale e partner culturale dell’Abate Antonio Rosmini (1797-1855). Proprio quel Rosmini di cui l’Abate Stoppani (più giovane di trent’anni) fu in Italia uno dei più attivi sostenitori per tutta la vita e in particolare dal 1860 al 1891.
Il Professor Stella quindi ignora (e nel docu-film infatti non si nomina mai Rosmini) che il Manzoni che conosciamo (si può essere o meno in sintonia con lui per questo, non è qui il punto) si pose come “allievo” dello stesso maestro al cui pensiero si formò il giovane seminarista Stoppani, attraverso l’insegnamento di Alessandro Pestalozza, guarda caso insieme grande divulgatore di Rosmini e grande amico di Manzoni.

c. «Stiamo parlando di un allievo di Voltaire non dell’Abate Stoppani» / DUE
Il professor Stella esprime inoltre una non celata sottostima per la figura dell’Abate Stoppani, a differenza di quando giovedì 26 novembre 2015, al nostro primo incontro, ce ne parlò di persona con grande apprezzamento. Il professor Stella evidentemente allora parlava tanto per cortesia e oggi rivela il suo vero pensiero, mostrando di ignorare l’importanza dell’Abate Stoppani per la nostra storia risorgimentale e per la nostra cultura scientifica e umanistica.

Antonio Stoppani (Lecco, 1824 – Milano, 1891) fu infatti non solo il grande sistematizzatore della scienza geologica in Italia ma anche il precursore a livello mondiale di teorie – per esempio sulla stretta interdipendenza tra i diversi fenomeni di vita del globo; per esempio sull’origine dei petroli e sul loro sfruttamento, nonché su tutto il grandioso fenomeno dell’attività tellurica – oggi riprese da importanti parti del mondo scientifico.

E fu acuto sostenitore, contro il rozzo positivismo ottocentesco (guardato con disgusto anche dai maestri del materialismo dialettico) di osservazioni scientificamente fondate rispetto ad alcuni assunti della teoria darwiniana dell’evoluzione (in sé mai negata dall’Abate), che allora gli attirarono gli strali dei cosiddetti positivisti della cattedra. Ma dichiarate poi del tutto corrette dai loro nipoti, i neodarwinisti di ottanta anni dopo, a metà del secolo scorso.

E ancora: anche nel campo dello sviluppo della lingua italiana l’Abate esercitò una notevole influenza. Nel suo “Il Bel Paese” (1876, per decenni il terzo libro più letto in Italia) e nei suoi numerosissimi scritti di geologia seppe presentare in un linguaggio comprensibile a tutta la popolazione – dagli accademici agli illetterati – i grandi problemi delle scienze della natura, elaborando l’italiano che ancora oggi viene utilizzato in quel ramo di studi.

Una figura questa – del “vero” Abate Stoppani – che ci pare un po’ diversa da quella adombrata dalle parole di Stella «stiamo parlando di un allievo di Voltaire non dell’Abate Stoppani», dalle quali il lettore inesperto e fidente nella “autorità” accademica del professor Stella potrebbe forse ravvisare un pretuncolo di campagna, indegno di figurare a fianco di Manzoni.

Chissà che pensano di questo atteggiamento del Professor Stella i lecchesi, che proprio di recente hanno voluto pubblicamente onorare il loro (e nostro) Abate Stoppani con il restauro del bel monumento che porta le firme di Vedani e di Fiocchi e che svetta in Piazza Stoppani sul lungo lago di Lecco, con alle spalle la stupenda corona del Resegone.
Quello stesso Resegone di cui nel docu-film su Manzoni – ignorato del tutto il San Martino, il monte “sorgente dall’acque” per eccellenza – il Professor Stella ha voluto mostrare solo una inquadratura lontana e velata, ripresa non da Lecco (si sarebbe vista la città del Manzoni, anch’essa mai mostrata nella sua dimensione di grande centro) ma dalla sponda del Lago di Garlate, alcuni chilometri più a valle.

d. «Di certo, non si usa Manzoni per fatti di cultura provinciali»
Così il professor Stella definisce le 48 pagine di analisi che il nostro Centro Studi Abate Stoppani ha prodotto. Nelle quali sono evidenziati 20 errori madornali presenti nel docu-film e gravi travisamenti su aspetti importantissimi della vita di Manzoni (in primo luogo il suo legame con Lecco e il territorio lariano), dovuti in primo luogo proprio allo stesso Stella.

Don Rodrigo, parlando di quel Renzo e di quella Lucia che gli si oppongono con forza e successo, dice:
«E a Milano? Chi si cura di costoro a Milano? Chi gli darebbe retta? Chi sa che ci siano? Son come gente perduta sulla terra; non hanno nè anche un padrone: gente di nessuno.» (Manzoni, I Promessi Sposi, 1840, cap. IX, pag. 216).

Il signorotto (aspirante prepotente ma impotente nei fatti) manifestava così la propria concezione di un mondo ruotante attorno ai tanti se stesso che vedeva in giro – i padroni appunto. Così può forse apparire il professor Stella che, per quanto nato e vissuto in provincia a sua volta, pensa di sminuire le critiche che gli abbiamo rivolte – e di fronte alla cui correttezza è costretto al silenzio di merito – cavandosela da “gran signore” infastidito dai «fatti di cultura provinciali».

In quale pasticcio si è cacciato il Professor Stella! Anziché chiedere scusa ai lecchesi, agli estimatori di Manzoni, ai suoi colleghi impegnati seriamente nella pubblica istruzione. Anziché rimediare al mal fatto, rincara la dose, cercando di rifugiarsi in una ingenua albagia che non fa che aggravare la sua posizione.

La parola d‘ordine è “cancellare il legame tra Lecco e Manzoni”
Il Professor Stella chiama “provinciale” il nostro richiamo a non attentare alla realtà del legame tra Manzoni, Lecco e il territorio lariano e vorrebbe usare questo termine come un disvalore.
È proprio il contrario. Viva il “provincialismo” quando sostiene – con ragioni pertinentissime – la verità storica, contro le deformazioni interessate dei “metropolitani”.
Perché il centro di tutta la questione sta proprio qui.

Il “fil rouge” (così si dice nella critica elegante) di tutto il docu-film del CNSM sta proprio in questo aspetto: sbianchettare il legame tra Manzoni e la terra dei suoi padri, per farne un “milanese doc”, opportunamente ripulito dalle scorie “provinciali” di stampo lecchese, galbiatese, meratese, e via e via enumerando tutti i borghi e i luoghi dove si è formata la personalità umana e artistica di Manzoni e nei quali si esprime la collettività lariana che – tutta indistintamente – riconosce in Manzoni uno dei suoi più illustri e beneamati figli e maestri.

Di chi era figlio Manzoni?
A questo aspetto della questione abbiamo dedicato gli ultimi e più corposi capitoli della nostra analisi, entrando anche in dettagli di critica testuale, indispensabili per averne un quadro il più possibile esaustivo.
Ci limitiamo quindi a qualche richiamo di sintesi, invitando al nostro sito il lettore per approfondimenti [ https://​abatestoppani​.it/​p​a​d​r​e​-​a​l​e​s​s​a​n​d​r​o​-​m​a​n​z​o​ni/ ].

Sulla paternità di don Lisander è stato scritto molto ma molto si continua a scrivere perché in realtà da quasi 200 anni se ne è scritto ben poco di documentato – anzi, quasi nulla. Ne è una dimostrazione proprio il docu-film del CNSM che vuol darne una interpretazione tanto non documentata quanto interessata.

Il CNSM dice: a Milano si “sapeva” che Manzoni era figlio di Giovanni Verri; ne è prova il ritratto di Giulia Beccaria Manzoni e del piccolo Alessandro che “sappiamo” essere stato regalato da Giulia al suo amante Verri.
Abbiamo dimostrato nella nostra analisi che entrambe le affermazioni non hanno alcun fondamento (il “si sapeva” poggia esclusivamente su due scarni riferimenti rimasti ignoti al pubblico per più di cento anni; il quadro indicato è di tutta evidenza altro da ciò che è generalmente accettato) e potremmo anche chiuderla così.

Il problema è che queste supposte “prove” servono al CNSM per veicolare un argomento che è al centro di tutto il docu-film: affermare una assoluta “milanesità” del Manzoni – quindi con la sostanziale cancellazione del suo rapporto con Lecco – a partire da una presunta paternità biologica di un “milanese”.

È evidentemente una pura strumentalizzazione – per altro grossolana e volgare – per fare di Manzoni un “brand” commercial-culturale da impiegare a uso e consumo esclusivo delle strutture milanesi (commerciali e istituzionali), con la benedizione di Cariplo.

Perché la cosa ci indigna? per due ragioni.

Prima di tutto perché deforma la verità storica – e questo è un peccato non ”veniale”, ma “mortale”, “mortalissimo”, soprattutto se il “peccatore” è una struttura la cui missione dovrebbe essere proprio la difesa attenta della verità storica su Manzoni.

Che Alessandro fosse o meno figlio naturale di Verri, lui in vita e dopo, non ebbe alcuna conseguenza né formale né morale; non ebbe nessunissima importanza per Manzoni, la sua famiglia, la cultura, la nuova Italia e noi. Giovanni Verri non se ne occupò mai e la madre Giulia solo quando le venne comodo per un riposizionamento sociale, quando Alessandro aveva già vent’anni.

Egli fu allevato in tutto e per tutto dal padre Pietro Manzoni che lo considerò e trattò sempre come un normalissimo figlio; passò tutta l’infanzia, l’adolescenza e molti momenti della prima maturità a Lecco, di cui fu anche rappresentante legale. Considerò per questo il territorio lariano come il “paese più bello del mondo” e lo volle consegnare alla memoria dell’umanità con il suo “I Promessi Sposi”.

In secondo luogo perché introduce un criterio metodologico che ha in sé una goccia di potente veleno.
Il considerare il dato biologico come fondativo della personalità di un essere umano, ignorando tutti i dati della formazione, dell’ambiente famigliare e sociale – esattamente ciò che fa il docu-film sul Manzoni – potrebbe aprire la porta a teorie razziste, distruttive dell’uomo, come la storia anche recente ci ha ampiamente dimostrato.

Ecco perché su questa questione della paternità di Manzoni bisogna tenere la guardia alta e rispondere agli atteggiamenti di impotente ma proterva sufficienza con la forza della verità.

Per queste ragioni rinnoviamo l’invito alle componenti del CNSM:

a fare esprimere dal proprio Consiglio Direttivo una posizione pubblica su tutta questa vicenda;

a suggerire al professor Nigro, quando inaugurerà la rassegna manzoniana di Lecco venerdì 13 ottobre 2017 ( natürlich, come professore del Politecnico di Zurigo e non come figlio della luminosa Catania nonché membro del Consiglio Direttivo del CNSM), di iniziare la sua prolusione con un “ Cittadini lecchesi, scusateci per l’infelice docu-film sul Manzoni e per la cancellazione del suo rapporto con Lecco. Rimedieremo presto e bene”.

a suggerire alla professoressa Italia e al Professor Stella (membri del Consiglio Direttivo del CNSM), quando il 19 ottobre 2017 saranno come relatori al Palazzo delle Paure di Lecco, di avviare le loro presuntivamente interessanti prolusioni con un “ Cittadini lecchesi, scusateci per l’infelice docu-film sul Manzoni e per la cancellazione del suo rapporto con Lecco. Rimedieremo presto e bene”.

Perché la cosa curiosa è che i professori del CNSM, proprio quelli che hanno prodotto quel docu-film che minimizza con caparbietà il rapporto tra Manzoni e la “provinciale” Lecco, sono star-relatori (forse pagati, forse no, chiedere all’Amministrazione comunale di Lecco, comunque ampiamente citati e onorati) proprio nell’annuale iniziativa che a Lecco viene organizzata per illustrare il legame tra la città e Manzoni.

Per parte loro, gli organizzatori lecchesi della rassegna manzoniana, nel comunicato stampa del 14 settembre 2017 (a presentazione della rassegna stessa) hanno scritto (notate: quest’anno per la prima volta nella pluridecennale storia della promozione dell’evento): « Grazie a queste partnership, oltre a quella, “naturale” e pluridecennale, tra il nostro Museo Manzoniano e il Centro Nazionale di Studi Manzoniani di Milano».
E infatti, a testimonianza di questi straordinari legami, nel docu-film del CNSM, mentre Farinotti passa in silenzio davanti a Villa Manzoni, si guarda bene dal dire alcunché sul Museo Manzoniano che proprio lì ha la sua sede. E la macchina da presa si ferma immediatamente prima che compaiano gli striscioni molto evidenti su cui è scritto “Lecco, città del Manzoni”. Per modo che non si corra il rischio che nello spettatore si consolidi l’idea del legame tra Lecco e Manzoni.

Ma dopo le nostre critiche – o meglio, solo dopo che esse sono state riprese positivamente dalla stampa nazionale – gli organizzatori hanno forse cambiato posizione. Per esempio, nella News del Sindaco Brivio di ieri 6 ottobre non vi è nessuna menzione non solo della declamata “partnership naturale e pluridecennale” ma anche dello stesso Centro Nazionale Studi Manzoniani, finito forse nella categoria degli amici impresentabili.

Siano ingenue distrazioni (ci siamo abituati), siano piccole furbizie – queste sì “provinciali”, cui pure siamo abituati – tutto ciò aggrava il silenzio tenuto su tutta la questione dalle Autorità comunali di Lecco, sempre e comunque succubi – nella silenziosa ignavia – del CNSM.

Per queste Autorità comunali ci sarebbe da dire qualcosa a proposito degli struzzi (non quelli che digeriscono anche il ferro, a simbolo di tenacia, ma quelli che ficcano la testa nella sabbia).
Ma pensiamo di avere abusato anche troppo della pazienza del lettore e quindi terminiamo qui, augurandoci che il CNSM – e soprattutto i Professori del Consiglio Direttivo – prestino un orecchio attento e responsabile al nostro appello.

Ce ne sarebbe proprio bisogno. Per consentirci finalmente di mettere una pietra su questa squallida vicenda e occuparci d’altro.

Cordiali saluti
Fabio Stoppani – Presidente
Centro Studi Abate Stoppani
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Riferimenti:

ANSA IT, 5 ottobre 2017: “Appello a Fedeli: ritiri il film su Manzoni”

– La Repubblica, 5 ottobre 2017, edizione nazionale, giornalista Corrado Zunino: Prima pagina: «Imprecisioni e errori storici – Il film su Manzoni bocciato a scuola» / Pag. 23 «Manzoni, chi era costui? “Il docufilm per le scuole è pieno di strafalcioni” / 171005_Repubblica_pag01-23

Lettera alla Ministra Valeria Fedeli sull’idoneità didattica del docu-film “A. Manzoni, milanese d’Europa”.