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Note critiche a: «Viaggio nel mondo dei Promessi Sposi» – 7 aprile 2018 – RAI3/Alberto Angela

18 giugno 2018
Lettera aperta ad Alberto Angela – Settimo approfondimento

Quanto segue è uno degli otto allegati della «Lettera aperta ad Alberto Angela» di commento alla trasmissione «Viaggio nel mondo dei Promessi Sposi» andata in onda il 7 aprile 2018 – RAI3, 21:30.
I collegamenti alle altre parti della lettera sono riportati al piede di questa pagina o nel menù principale in testata.

Come e perché il tema delle possibili sinergie tra scienze della storia e scienze della vita sia stato da RAI3-ANGELA così malamente proposto da ispirare quasi diffidenza.

La ricerca biochimica “EVA-Ethyl Vinyl Acetate” sui “Libri Mortuorum” dell’Archivio di Stato di Milano.

Incomprensibili imprecisioni sui titolari della ricerca.
Manzoni: un testimonial buono per ogni comunicazione promo-commerciale.
Capovolta per banale ignoranza storia e natura dei “Libri Mortuorum” del 1630. L’Archivio di Stato non consenta manipolazioni sui documenti della città.

L’Archivio di Stato di Milano, ha collaborato con RAI3-ANGELA per alcuni approfondimenti della trasmissione:

.«La Monaca di Monza» (vedi qui per un nostro commento)
.«La peste manzoniana tra le carte d’Archivio. La Biochimica incontra la Storia».

Su questa collaborazione l’Archivio il 22 marzo 2018 scriveva sul proprio spazio Facebook:

«Grazie Alberto Angela per averci dato la possibilità di far conoscere al grande pubblico l’Archivio di Stato di Milano e l’ingente patrimonio culturale che conserva.
Prossimamente su #Ulisse #Rai3 #valorizzazione #patrimonioculturale #archiviodistatomilano».

Perché il lettore possa seguirci nella nostra analisi è indispensabile che gli poniamo uno accanto all’altro i mattoncini con cui RAI3-ANGELA hanno costruito questo capitolo della trasmissione.

Intanto: cosa è questa ricerca “EVA”?

Cerchiamo di dirlo in pochissime parole, grazie alla documentazione a disposizione di chiunque, scambi di opinione con i protagonisti della ricerca stessa e la collaborazione di strutture pubbliche di Milano: il Politecnico, l’Università degli Studi, l’Archivio di Stato; il Civico Archivio Fotografico; il Museo Morando delle Civiche Raccolte Storiche.

 Presso l’Archivio di Stato di Milano sono conservati gli annuali registri dei decessi della città, denominati “Libri Mortuorum”, che coprono 350 anni di storia della città (dal 1451 al 1801). Tre di questi registri riguardano il 1630, l’anno della grande peste descritta da Manzoni. Su questi tre “Libri Mortuorum” è disponibile sul sito dell’Archivio una scheda chiara ed esaustiva.

Un gruppo di esperti in biochimica ha messo a punto una metodologia denominata “EVA-Ethyl Vinyl Acetate” per “catturare” da libri, abiti, ecc., vecchi anche di secoli, tracce di proteine senza rovinare i supporti. La ricerca viene condotta mediante spettrometria di massa, una tecnica analitica realizzata con apparecchiature molto sofisticate (da 3 milioni di Euro in su) per l’identificazione di sostanze sconosciute nonché per l’analisi di tracce di sostanze.

c   In Accordo con l’Archivio di Stato di Milano questi esperti in biochimica hanno sottoposto ad analisi 11 pagine dei tre “Libri Mortuorum” del 1630 (Atti di governo, Popolazione antica, BUSTA 119).
Hanno certificato di avere così individuato tracce di “Yersinia Pestis” (la peste che colpì Milano nel 1630); di proteine di alcuni alimenti (mais, carote, ceci); di cheratine (costituenti di peli, capelli, zoccoli, unghie) umane, di pecora (Ovis aries), di topo e/o di ratto.

La ricerca è stata presentata nell’articolo «Of mice and men: Traces of life in the death registries of the 1630 plague in Milano» [«Uomini e topi: tracce di vita nei registri mortuari della peste del 1630 in Milano»].

Secondo la prassi, i risultati della ricerca sono stati controllati da validatori (referees), autonomi sia rispetto alla rivista sia rispetto agli autori. La ricerca validata è stata pubblicata nel maggio 2018 da “Journal of Proteomics”, rivista rivolta a scienziati e analisti nel campo della proteomica (la disciplina che studia l’intero corredo proteico contenuto in una cellula).

Cinque gli autori della ricerca:

• Alfonsina D’Amato – Quadram Institute Bioscience, Norwich Research Park, England, United Kingdom.
• Gleb Zilberstein, Svetlana Zilberstein – Spectrophon Ltd., Israel.
• Benedetto Luigi Compagnoni – Archivio di Stato di Milano, Italy.
• Pier Giorgio Righetti – Department of Chemistry, Materials and Chemical Engineering “Giulio Natta”, Politecnico di Milano, Italy.

Archivio di Stato di Milano: un’affollata Conferenza di validazione culturale.

L’Archivio di Stato di Milano ha presentato la ricerca al pubblico italiano il 16 dicembre 2017 con la conferenza «La peste manzoniana tra le carte d’Archivio. La Biochimica incontra la Storia» (Sala Conferenze di Via Senato).

Alla conferenza, moderata da Benedetto Luigi Compagnoni (Direttore dell’Archivio e co-autore della ricerca), sono intervenuti tre autori della ricerca (Righetti, D’Amico, Gleb Zilberstein) nonché il ricercatore Luca Fois (Università Bocconi) che ha svolto una relazione sul tema: «Il registro dei morti del Magistrato di Sanità della città di Milano nel periodo della peste manzoniana».

Nel corso della conferenza (visionabile a questo indirizzo) Luca Fois ha presentato i tre volumi di cui si compone il “Liber Mortuorum” del 1630, contenuti nella BUSTA 119 (Atti di Governo, Popolazione antica) su cui è stata condotta la ricerca «Of mice and men-Uomini e topi».

Con chiarezza espositiva Fois ha ricordato l’organizzazione a monte della compilazione dei Libri Mortuorum.

In Milano in ogni parrocchia (erano 80) veniva eletto un “Anziano”. Nel caso di un decesso la sua funzione era: identificare il defunto; indicare le cause presunte della morte; informarne il Magistrato di Sanità.

Il Magistrato inviava un medico per verificare la causa del decesso; questi stilava un referto che veniva depositato presso il Magistrato; su queste basi il decesso veniva riportato sul Liber Mortuorum nel giro di massimo cinque giorni (gli uffici del Magistrato di Sanità erano nelle immediate vicinanze del Duomo).

Fois ha poi riassunto i dati relativi ai decessi avvenuti in città e registrati dal Magistrato di Sanità sui tre Libri Mortuorum del 1630.
Come indicato nella tabella a lato, tra aprile e settembre vennero registrate 7.659 morti, delle quali 5.170 per peste e 2.489 per varie cause e “senza sospetto di peste” (s.p.s.)

Secondo Fois quella specifica s.p.s. (sine pestis suspicione) fino a epidemia conclamata deve essere valutata con riserva: le autorità all’inizio avevano infatti deciso di non evidenziare il contagio, imponendo di fatto ai medici di stendere referti fasulli.
Ma (diciamo noi) con la fine di aprile, quando si decise di intervenire contro la peste con ogni mezzo (affidando tra l’altro ai Frati Cappuccini la gestione del Lazzaretto) possiamo essere certi che la sigla s.p.s. indicasse che effettivamente un certo numero di morti (circa il 25%) era da attribuire a cause diverse dalla peste.

Dai “Libri Mortuorum” (BUSTA 119) e dalla Conferenza Stampa organizzata dall’Archivio di Stato di Milano il 16 dicembre 2017.

I dati sono ripresi dalla relazione Fois, con nostre interpolazioni per agosto. Per questo mese, essendovi registrazioni solo per i primi tre giorni, ne abbiamo ricavato una media, ovviamente solo orientativa.

s.p.s. sta per “sine pestis suspicione”, indicato nelle diagnosi per morti dovute a cause diverse dalla peste.

Aprile: 481 morti / 420 s.p.s. / 61 per peste.
Maggio: 859 morti / 400 s.p.s. / 459 per peste.
Giugno: 1.743 morti / 135 s.p.s. / 1.608 per peste.
Luglio: 2.961 morti / 287 s.p.s. / 2.674 per peste.
Agosto: 1.232 morti / 272 s.p.s. / 960 per peste.
Settembre: 383 morti / 171 s.p.s. / 272 per peste.

Tra aprile e settembre abbiamo quindi:

7.659 decessi complessivi, di cui
5.170 per peste e 2.489 per varie cause e “senza sospetto di peste”.

Anche tenendo conto delle morti avvenute nei lazzaretti (e segnati su altri registri, lo vedremo più sotto) ne risultano decessi per peste in numero molto inferiore a quanto si ritiene sia effettivamente avvenuto in quel 1630 (ma su questo in altra sede).

Fois ha spiegato anche come i tre volumi della BUSTA 119, compilati in città e relativi esclusivamente ai decessi avvenuti in città (e nelle immediate vicinanze), non vanno confusi con altri 5 registri (tenuti nel 1630 nei quattro lazzaretti della città) dove sono segnati esclusivamente i decessi avvenuti nei lazzaretti stessi, e conservati in un’altra BUSTA, la 118.

Fois ha illustrato anche le differenze sostanziali tra questi due gruppi di documenti. Nei tre Libri Mortuorum redatti presso il Magistrato di Sanità, le registrazioni sono molto dettagliate: si indica la Porta della città (la circoscrizione) e la Parrocchia di appartenenza del defunto; suo nome e cognome; età; cause della morte; nome del medico (o del paramedico-barbiere) estensore della diagnosi di morte.

Nel cinque volumi redatti nei lazzaretti, invece, le registrazioni riportano solo il nome e cognome del defunto; non la zona di appartenenza; non l’età; non la causa di morte (si dava per scontata perché avvenuta al lazzaretto); non il nome del medico dichiarante. Questi cinque volumi dei lazzaretti sono naturalmente anch’essi interessanti, perché, ad esempio, riportano le registrazioni dei beni che i malati portavano al lazzaretto (arredi di casa, corredi, preziosi) e che venivano raccolti (con distinta e ricevuta) in locali sorvegliati dalla vigilanza interna. Ma sono tutt’altra cosa dai tre volumi del Magistrato di Sanità.

All’epoca, la struttura gestita dal Magistrato di Sanità di Milano era tra le più avanzate d’Europa. La continuità secolare, la completezza e l’accuratezza delle registrazioni fanno di questi “Libri Mortuorum“ un unicum al livello mondiale, ampiamente studiato per il loro rilevante valore statistico in campo demografico e medico. Fois ha anche ricordato che, a partire anche da questi “Libri Mortuorum”, nel 2013 l’Università degli Studi di Milano (con il supporto della Fondazione Policlinico Ca’ Granda e dell’Archivio di Stato di Milano) ha pubblicato l’innovativo studio “La popolazione di Milano dal Rinascimento” (Vaglienti-Cattaneo).

È quindi comprensibile che l’Archivio di Stato di Milano consideri questi “Libri Mortuorum” tra i più significativi dei documenti affidati alla sua custodia, non solo materiale ma anche culturale. E che presti grande attenzione in particolare ai tre volumi del 1630, utilizzati per la ricerca «Of mice and men-Uomini e topi».

Ha concluso la conferenza Gleb Zilberstein della Spectrophon Ltd., Israel, illustrando le possibili applicazioni della metodologia EVA per la preservazione di documenti d’archivio, altrimenti destinati alla consunzione: un campo sconfinato a livello internazionale.

Notevole eco sulla stampa anche nazionale: ma soprattutto per argomenti non trattati nella Conferenza.

Pur a fronte di questi dati interessanti i giornalisti hanno preferito concentrarsi su elementi considerati più ”attrattivi” benché non menzionati nella ricerca.

Il Corriere​.it (16-12-17/ Pierluigi Panza) riferisce della presenza di carbonchio-antrace; La Repubblica (16-12-17/ Simone Mosca) di antrace e di “unguento protettivo” (sul tipo di quello preparato dal barbiere Mora); La Stampa (17-12-17/ Alberto Mattioli) anch’essa di carbonchio-antrace e di unguento.

Ma né di “antrace” né di “unguenti” si dice alcunché nella ricerca validata e pubblicata sul “Journal of Proteomics”.
E allora, chi e come ha fornito ai giornalisti queste informazioni?

Il giornalista Mosca ha inoltre riportato un virgolettato con due abbagli straordinari:
«“Per star dietro all’incessante flusso funebre, gli scribi erano allora alloggiati all’interno del Lazzaretto e qui compilavano a ciclo continuo l’elenco dei decessi che prevedeva nome, cognome, e sestiere di provenienza dei defunti”. “Ex peste obiit”, morto di peste scritto senza tregua. Il tale da Porta Orientale, la tale da Porta Cicca.»

L’idea è veramente balzana — ovviamente al Lazzaretto venivano portati i vivi per essere curati; i morti ai “fopponi“ (le fosse comuni) per esservi sepolti — e Mosca poteva certo essere più attento.
Ma di sicuro non ha elaborato da sé queste “informazioni/abbagli”. Ha certo ripreso idee trasmesse da qualcuno legato alla ricerca, in esplicita contrapposizione: con il presupposto documentale della ricerca; con la relazione di Luca Fois, svolta nella Conferenza stessa; con la certificazione dell’Archivio di Stato, secondo cui i Libri Mortuorum furono compilati dal Magistrato di sanità, in relazione esclusivamente alle morti avvenute in città e nelle immediate vicinanze.

E come RAI3-ANGELA hanno presentato la ricerca «Of mice and men-Uomini e topi»?

[1:38:10] VOCE FUORI CAMPO: «L’Archivio di Stato di Milano: 45 chilometri di documenti. Le tracce su carta, lasciate dagli abitanti della città su 14 secoli di storia. La nostra memoria come nazione, a cominciare dagli atti di nascita e di morte.
È sul registro dei morti del Lazzaretto che Manzoni ha condotto le sue ricerche.
Nome, quartiere di provenienza, età al momento della morte. Ex morte obiit, si legge, morto di peste. È il 1630, l’anno in cui la pestilenza infuria. Giorno dopo giorno le annotazione di morte si moltiplicano.

Ma queste pagine ingiallite oggi, a distanza di quasi 4 secoli, sono per qualcuno una miniera di informazioni. Pier Giorgio Righetti, Professore Onorario di chimica del Politecnico di Milano, con un innovativo metodo di indagine, chiamato EVA, è riuscito a riesumare lo spettro della morte nera.»

Con queste poche parole RAI3-ANGELA hanno mostrato di avere scarsa consapevolezza di ciò che presentano al pubblico.

Secondo RAI3-ANGELA infatti il «registro dei morti del Lazzaretto» riporterebbe nome, quartiere di provenienza, età al momento della morte, causa della morte stessa.

Non è così e lo abbiamo visto poche righe sopra: i “registri dei morti del Lazzaretto” riportano solo il nome dei defunti. Nessuna parola né sul quartiere di provenienza, né sull’età, né sulle cause della morte. Perché questa informazione errata ai suoi due milioni di telespettatori?

E poi, su che base quel riferimento a Manzoni che avrebbe consultato i Libri Mortuorum del 1630?
Nessuna documentazione presso l’Archivio di Stato di Milano può in qualche modo suffragare una ipotesi del genere. E neppure tra i documenti di Manzoni o nella sua corrispondenza vi è alcunché di specifico da potervisi collegare.

Tra l’altro possiamo essere certi che se Manzoni avesse consultato i registri di morte del 1630 ( i Libri Mortuorum e quelli dei lazzaretti) ce ne avrebbe dato notizia. La definizione del numero delle vittime è nel romanzo uno dei temi trattati con maggior spirito polemico nei confronti degli storici ufficiali, tra i quali Ripamonti.

Nel dare la cifra di 150.000 morti Ripamonti dice di rifarsi ai “registri civici”, ossia i Libri Mortuorum ed eventualmente i registri dei lazzaretti. Nei quali però (lo abbiamo già visto sopra) sono registrati non più di 15.000 morti, ossia il 10% della cifra portata da Ripamonti. Se Manzoni avesse consultato (direttamente o tramite incaricati) questi Libri Mortuorum del 1630, avrebbe certamente sollevato il problema.

[in sovrimpressione: Pier Giorgio Righetti, Chimico. Politecnico di Milano].

[1:39:18] RIGHETTI: «Ho sfogliato diversi registri di morte, soprattutto quelli dei mesi di giugno, luglio, agosto e settembre, cioè il picco della peste del 1630 e ho selezionato le pagine più promettenti.
Perché promettenti? Perché erano le più sporche. Quindi, noi eravamo interessati alle tracce lasciate dai pollici e dalle dita degli scribi e di quanti avevano sfogliato i registri.
Queste pagine sono state analizzate con una metodica messa a punto e inventata dal nostro laboratorio che chiamiamo con l’acronimo EVA, cioè etilacetato contenente cariche positive e negative. Questi dischetti EVA sono in grado di catturare i materiali di superficie, senza però danneggiare i manufatti in questione.
»

RAI3-ANGELA ci introducono poi nel vivo “tecnico” della ricerca, con immagini di uno “spettrometro di massa”, la nuova attrezzatura che da qualche anno ha aperto nella ricerca biochimica strade mai prima percorse.

[1:40:08] VOCE FUORI CAMPO: «Il dischetto rimane a contatto della carta per circa un’ora, poi viene rimosso. A questo punto è pronto per essere analizzato in laboratorio.»

[1:40:21] — [in sovrimpressione: Alfonsina D’Amato – Ricercatrice Università di Milano]
D’AMATO: «Il campione è stato preparato diluendo le proteine con un enzima e la miscela di sostanze è stata analizzata con spettrometria di massa

.[1:40:31] VOCE FUORI CAMPO: «Siamo nei nuovissimi laboratori della UNITECH OMICS dell’Università di Milano, dove c’è lo spettrometro di massa di ultimissima generazione, che oggi porta avanti le ricerche avviate dal professor Righetti

.[1:40:45] D’AMATO: «Lo spettrometro di massa è uno strumento in grado di identificare delle molecole sconosciute di una miscela, grazie alle loro proprietà chimico-fisiche. Quindi queste molecole vengono identificate una per una, e si conosce esattamente la composizione della miscela.»

Cosa può avere recepito il telespettatore da questa successione di immagini e parlato? Immaginiamo quanto ne abbiamo recepito noi:

1. Il dischetto già posizionato dal professor Righetti sulla pagina di uno dei “Libri Mortuorum” della BUSTA 119 è stato portato nel laboratorio della “Università di Milano”.
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2. Il dischetto è stato preso in consegna da una specialista nella spettrometria di massa, la dottoressa D’Amato, ricercatrice della “Università di Milano”.
.
3. Lo spettrometro di massa con cui è stata realizzata la ricerca è nella “Università di Milano”.
.
4. La ricerca è quindi parte dell’attività della “Università di Milano”.

È proprio così? Oppure il riferimento alla “Università di Milano” non significa praticamente nulla?!

Nella capitale lombarda vi sono Università statali: Il Politecnico di Milano, l’Università degli Studi di Milano (la cosiddetta “Statale”) e l’Università degli Studi di MilanoBicocca. E Università private: l’Università Bocconi di Milano, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, la Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) di Milano.

A quale di queste Università intendevano riferirsi RAI3-ANGELA?

Su nostra richiesta il Politecnico di Milano ha risposto: « […] il prof. Righetti è oggi in pensione e ha la qualifica di Professore Onorario ma il Politecnico di Milano non è coinvolto in questa ricerca. La dottoressa Alfonsina D’Amato non è personale afferente al Politecnico.»

L’Università degli Studi di Milano, ha invece risposto positivamente.
La Professoressa Donatella Caruso, responsabile del recentemente costituito UNITECH OMICS (Laboratorio di Biochimica e Biologia Molecolare del Metabolismo – Spettrometria di Massa ”Giovanni Galli”), ci ha gentilmente invitato a visitare il laboratorio per scambiare anche quattro chiacchiere sulla trasmissione e parlare con la dottoressa D’Amato.

Nella nostra visita al Laboratorio abbiamo imparato molte cose interessanti sugli spettrometri di massa, le ultime apparecchiature in dotazione all’Università degli Studi di Milano, il cui funzionamento la Professoressa Caruso ha avuto la pazienza di esporre in termini comprensibili anche ai comuni mortali. Abbiamo anche parlato con la giovane e cortese dottoressa D’Amato che ci ha esposto i termini generali della ricerca «Of mice and men-Uomini e topi».

In conclusione cosa ne abbiamo tratto?

1. Che per “Università di Milano” si doveva intendere “Università degli Studi di Milano” (la responsabile del laboratorio non era felicissima dalla svista di RAI3-ANGELA proprio sul nome dell’Università che li aveva ospitati).
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2. Che la ricerca “Of mice and men” sui “Libri Mortuorum” del 1630 è un’iniziativa puramente privata (tra i promotori anche la “Spectrophon Ltd“ di Israele) condotta nel 2017 nei laboratori della “Quadram Institute Bioscience”, una società inglese a responsabilità limitata con sede a Norwich, a 150 chilometri da Londra.
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3. Che le riprese mostrate nella trasmissione sono state girate nella sede di Viale Ortles dell’Università degli Studi di Milano, che ha dato la possibilità a RAI3-ANGELA di riprendere lo spettrometro di massa presente nei suoi laboratori solo come favore in nome della divulgazione scientifica.
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4. Che in futuro, eventuali altre ricerche effettuate con il metodo “EVA” del professor Righetti potrebbero essere condotte nei laboratori della Università degli Studi di Milano che, come da statuto, può mettere a disposizione, su normali basi economiche, le proprie apparecchiature e competenze a società private.
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5. Che comunque la ricerca ““Of mice and men” sui “Libri Mortuorum” dell’Archivio di Stato di Milano, gestita anche dal prof. Righetti e dalla dottoressa D’Amato non ha in alcun modo visto il coinvolgimento dell’Università degli Studi di Milano.

Su questo aspetto della ricerca «Of mice and men» la trasmissione RAI3-ANGELA ha quindi veicolato senza alcuna ragione informazioni imprecise e tali da potere indurre i telespettatori a ritenere che titolare (o co-titolare) della ricerca (già nota come puramente ed esclusivamente privata, con finalità commerciali) fosse una istituzione universitaria milanese.

Naturalmente i veri titolari della ricerca «Of mice and men-Uomini e topi» ringraziano il servizio pubblico televisivo per l’ampia pubblicità gratuita.

Nel nome di Manzoni naturalmente.

Sia chiaro che la natura puramente privatistica della ricerca «Of mice and men-Uomini e topi» nulla toglie all’eventuale suo valore scientifico. L’appurarlo costituirà l’oggetto delle riflessioni che andremo a sviluppare di seguito.

Manzoni: un testimonial buono per ogni comunicazione promo-commerciale. Forse perché non costa nulla.

Trattando di una trasmissione della TV di Stato titolata “Viaggio nel mondo dei Promessi Sposi”, è forse opportuno chiedersi qual sia il rapporto tra i temi proposti dalla trasmissione e il nome di Manzoni.

Cominciamo col dire che la ricerca è validata dalla prestigiosa rivista scientifica internazionale “Journal of Proteomics” che negli anni ha ospitato numerose ricerche del più sopra già citato Piergiorgio Righetti, Professore Onorario (da qualche anno in quiescenza) del Politecnico di Milano.

Il fatto che la ricerca «Of mice and men-Uomini e topi» sia stata validata e pubblicata sul “Journal of Proteomics” non è un elemento da sottovalutare. Nel mondo scientifico non vi sono “leggi” che indicano ciò che è scientificamente corretto e ciò che non lo è.

È la comunità scientifica che ne discute e che a volte premia e a volte boccia. E i tavoli attorno ai quali viene fatta la discussione sono le riviste scientifiche.

Per il ricercatore che viene premiato da una prestigiosa rivista scientifica, l’affermazione delle proprie idee o proposte è già a metà percorso e il consenso della rivista può avere una grandissima influenza non solo in ambito scientifico ma sui decisori in campo culturale o anche politico.

Basti pensare al pluriennale scontro attorno alla fisionomizzazione scientifica dell’AIDS di qualche anno fa. Vari governi adottarono misure ampie, costose e di grande impatto sociale a partire anche dalle analisi dei diversi specialisti del settore, che vennero o promosse o bocciate dalle riviste specializzate.

Nei confronti dei contenuti della ricerca «Of mice and men-Uomini e topi», validata dalla prestigiosa rivista internazionale, ovviamente RAI3-ANGELA non hanno alcuna responsabilità, salvo l’obbligo (quanto meno culturale) di verificare la qualità dei contributi esterni che presentano ai due milioni di telespettatori e a cui regalano un ovvio vantaggio promozionale, che – nel caso di iniziative private a base commerciale, qual è la ricerca «Of mice and men-Uomini e topi» – vale parecchio.

Chiariamo che la nostra analisi sarà centrata sugli elementi di contesto e alla sua coerenza logica interna. Per gli aspetti tecnico-scientifici ci limiteremo a richiamare alcune considerazioni che in proposito ha svolto un Professore di una importante Università italiana, segnalatoci dal CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Chiariamo altresì che non vi è da parte nostra alcuna riserva preconcetta nei confronti della ricerca «Of mice and men-Uomini e topi» o dei suoi promotori.

La metodologia ci sembra anzi interessante e tale da potere avere positive applicazioni in molti ambiti (pensiamo soprattutto alle investigazioni criminali ma certo vi sono altre possibili applicazioni) da cui possano scaturire per i suoi ideatori e promotori le soddisfazioni morali ed economiche che è giusto si aspettino.

Nella ricerca “EVA” flebili i riferimenti a Manzoni.

Nella ricerca biologica «Of mice and men-Uomini e topi» al nome Manzoni si fa riferimento in tre punti [nostra traduzione]:

Nella “Introduzione” (pag. 2) per ricordare che

«la peste del 1630 fu ampiamente descritta in differenti capitoli (XXXI, XXXIIXXXV) de “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, un libro di lettura obbligatoria per tutti gli allievi delle scuole superiori italiane per oltre 150 anni

Nella “Discussione” (pag. 6):

«Secondo il medico L. Settala, durante i picchi della peste (da giugno a fine settembre) erano presenti ben 9.000 malati o, su indicazione di A. Manzoni, ben 16.000.»

Sempre nella “Discussione” (pag. 7) a proposito della presenza di capre al Lazzaretto:

«A. Manzoni ne fornisce una spiegazione dettagliata: in un angolo recintato del Lazzaretto vi era una zona destinata ai neonati, le cui madri erano morte di peste dopo il parto. Poiché non vi erano abbastanza balie disponibili, molti bambini venivano allattati dalle capre, il che spiega la presenza di questi animali nella struttura.»

Come si vede, la ricerca su documenti riguardanti la peste del 1630 (cui Manzoni dedicò quasi il 30% delle pagine del suo romanzo), fa riferimento a Manzoni solo incidentalmente e senza entrare nel merito di alcuno dei temi sollevati dallo scrittore nella sua lunga analisi della peste.

Del resto nella ricerca non si fa neppure riferimento al Cap. XXVIII de “I Promessi Sposi”, dove si descrivono le condizioni igieniche della città prima dell’arrivo della peste, un elemento importante sul piano della eziologia del contagio e quindi del perché Manzoni se ne occupò a fondo.

www​.repubblica​.it
27 marzo 2014

di PAOLO BERIZZI

Pier Giorgio Righetti: «Ma quale sessismo, la modella svestita fa capire la scienza.»

Il docente al Politecnico di Milano: «Mi mettono sul rogo ma sono solo bacchettoni.»

Berizzi: Ammetterà che una biondona svestita è un supporto grafico un po’ irrituale per una ricerca scientifica sulle proteine.

Righetti: «Irrituale si, ma non sessista né pornografico.
È solo un graphical abstract, me li richiede “Journal of proteomics”. Li uso da quattro anni. Quello che conta è la validità scientifica dello studio: abbiamo scoperto più di 300 proteine contenute nel latte di cocco, di cui non si sapeva niente. La foto della coconut girl attira la curiosità della gente più dei titoli noiosi di tanti colleghi soloni e bacchettoni.»

Berizzi: Può anche essere divertente, dipende dal contesto. Comunque la sua sembra una fissa: due anni fa a corredo di uno studio sulle proteine del miele sparò due fanciulle avvenenti con giubbino di pelle e chitarra in mano. Pura scienza.

Righetti: «E quindi? Quelle chitarriste sono un duo, si chiamano “The Bees”, le api. E poi mica la chitarra è un simbolo fallico”.»

«Ho fatto un lavoro straordinario sul latte di asina che può salvare la vita ai bambini. E sa come l’ho intitolato? Il “liquido da bagno di Poppea” (la moglie di Nerone, usava il latte di asina per lavarsi).

Per dire come ragiono. Faccio una scelta, mi invento titoli non respingenti, che abbiano un certo appeal.»

Oppure sono stati proprio dimenticati i Cap. XXXIII, XXXIVXXXVI quasi interamente dedicati alla peste, tra cui veramente notevoli i richiami di Manzoni al ruolo giuocato nella crisi del 1630 dalle istituzioni ecclesiastiche.

Su questo aspetto Manzoni lavorò molto perché era interessato a mostrare la opportunità/necessità che nella società (lo scrittore pensava ovviamente ai propri tempi) venissero riconosciute a strutture non statali funzioni di pubblica utilità (istruzione, sanità, assistenza ai disabili) ai tempi di Borromeo assolte (bisogna dire con successo) dalla Chiesa in un quadro che possiamo con termini nostri definire di “sussidiarietà”.

E non si fa alcun riferimento neppure alla “Storia della Colonna Infame”, la seconda sezione del romanzo edizione 1840, nella quale la peste è protagonista assoluta e che chiude il cerchio dell’analisi di Manzoni, incentrata sulle conseguenze del morbo nell’area del diritto e dei rapporti politico-sociali.

Che dire poi della assoluta inconsapevolezza da parte della ricerca (stando almeno alla sua relazione scritta) dell’importante contributo di Manzoni a sostegno di quei medici e scienziati che nei primi decenni del 1800 si battevano per individuare le cause vere delle epidemie e della loro diffusione contro la superstizione allora ancora imperante?

I ricercatori di «Of mice and men-Uomini e topi» si inorgogliscono (giustamente) per avere individuato con una tecnologia d’avanguardia ben 17 proteine della “Yersinia pestis” (il bacillo della peste bubbonica) ma non dicono neppure una parola sul fatto che Manzoni nel suo romanzo citò un autore a lui contemporaneo solo e soltanto una volta, per esaltarne i meriti di ricercatore impegnato proprio nella messa a punto di una nuova teoria delle epidemie.
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Questo pubblico elogio lo dedicò a Enrico Acerbi, suo coetaneo e intimo della famiglia Manzoni, che come medico scrisse una importantissima opera sul tifo petecchiale, enunciando tra i primi una teoria corretta dei contagi e spianando così la strada di tanti altri scienziati fino ad arrivare ai rivoluzionari risultati di Pasteur (vedi qui il nostro richiamo a questi aspetti).
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È abbastanza incredibile che nel contesto di una ricerca così particolare come è «Of mice and men-Uomini e topi» si citi Manzoni solo per ricordare le sue poche righe dedicate alle materne capre del Lazzaretto.

Ciò detto per ricordare gli obblighi che comunque gli intellettuali hanno nei confronti della cultura in generale, possiamo anche pensare che alla fin fine non vi è in ciò nulla di strano.
La ricerca – è detto esplicitamente – si proponeva infatti l’obiettivo di “catturare” le tracce di proteine e cheratine rinvenibili sui “Libri Mortuorum” contenuti nella BUSTA 119, già più sopra ricordata. Non certo di avviare una discussione a largo raggio su temi “manzoniani”.

Ma ciò ci suggerisce di dire due parole sull’uso dei grandi nomi della letteratura a fini promo-commerciali.

La ricerca si intitola «Of mice and men: Traces of life in the death registries of the 1630 plague in Milano». Il lettore ricorderà che “Of mice and men” è il titolo del noto romanzo dello scrittore statunitense John Steinbeck pubblicato a Londra nel 1937, reso in italiano con il titolo “Uomini e topi”.

Il titolo della ricerca in italiano sarebbe quindi: «Uomini e topi: tracce di vita nei registri mortuari della peste di Milano nel 1630». Il lettore potrebbe essere quindi autorizzato a pensare che anche il romanzo di Steinbeck abbia a che fare in qualche modo con il morbo di cui trattò a fondo Manzoni.

Niente affatto: il romanzo di Steinbeck narra delle vicende di due proletari nella grande depressione del 1929 negli Stati Uniti. Uno è grande e grosso ma mentalmente debole; l’altro è fisicamente un omino ma molto sveglio. Vagando in cerca di lavoro i due giungono in una fattoria. Qui, il grande e grosso uccide senza volerlo una giovane donna; fugge nel bosco vicino alla fattoria, in un nascondiglio noto solo ai due amici. Gli uomini della fattoria organizzano una caccia all’uomo per impiccare l’omicida. L’omino sveglio li precede: trova l’amico nascosto e lo uccide con le proprie mani per evitargli il terrore del linciaggio.

Il romanzo di Steinbeck ci offre riflessioni amare sulla società ed è scritto molto bene.

Ma quale legame ha con Manzoni e la peste del 1630? Se non offrire al professor Righetti un facile tris «Topi-Steinbeck-Manzoni», che immaginiamo abbia considerato vincente sul tavolo della storiografia di fantasia (con gli altri giocatori evidentemente distratti dalla sua facondia e simpatia umana).

E veniamo alla storiografia e alla fantasia, mescolata maldestramente alla scienza vera.

Proposto sul nulla un capovolgimento di prospettiva su documenti validati dall’Archivio di Stato di Milano. Urge una smentita autorevole.

I “Libri Mortuorum” della BUSTA 119 sono validati dall’Archivio di Stato di Milano come compilati nel 1630 presso il Tribunale di Sanità, sito nella città di Milano e gestito dal Magistrato di Sanità.
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Secondo la ricerca “EVA” dovrebbero invece essere considerati come compilati presso il Lazzaretto, fuori dalla città e gestiti dai Frati Cappuccini che dal maggio a dicembre 1630 ne ebbero la piena responsabilità su delega dell’amministrazione civile cittadina.
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Ne deriverebbero rilevanti conseguenze su importanti aspetti, anche della narrazione di Manzoni.

Per valutare il risvolto storiografico della ricerca «Of mice and men-Uomini e topi» è opportuno tornare alla trasmissione e sentire quali considerazioni trae il già ricordato professor Righetti dalla ricerca di cui è co-autore.

[1:41:30] RIGHETTI: «Abbiamo identificato tracce degli alimenti di cui si nutrivano gli scribi.
Perché la massa di lavoro era talmente notevole che non si fermavano neanche per mangiare. Abbiamo identificato proteine del mais, delle carote, dei ceci.
Inoltre ci si aspettava naturalmente delle cheratine umane ma abbiamo identificato altrettante cheratine di topo.

E inaspettatamente abbiamo identificato anche cheratine di ovini, soprattutto cheratine di capra.
Ma questo il Manzoni lo spiega.
All’interno del Lazzaretto c’era un piccolo recinto dove i neonati da donne morte di peste, venivano allattati dalle capre

Fermi tutti! Urge una riflessione!

Queste parole del portavoce della ricerca «Of mice and men-Uomini e topi», così esaltata da stampa, Archivio e televisione di Stato, meritano di essere analizzate con attenzione.
Perché da esse emerge tutta la debolezza culturale della ricerca (sicuramente eccellente sul piano della proteomica).

Cominciamo intanto con l’elemento “spettacolarizzazione”, che spesso corrisponde all’alterazione (voluta o meno poco importa) della percezione da parte dei telespettatori. Il professor Righetti ha detto a due milioni di spettatori: «Perché la massa di lavoro [al Lazzaretto] per gli scribi era talmente notevole che non si fermavano neanche per mangiare

Con il professore, che è certo abituato a maneggiare le cifre, vorremmo fare due conti. Questa la successione delle morti registrate nei mesi della peste: Aprile: 481 / Maggio: 859 / Giugno: 1.743 / Luglio: 2.961 / Settembre: 383.
Ogni registrazione è composta in media da 20 parole. Per scriverle, anche con una penna d’oca di terza categoria e non con la Montblanc, non ci volevano più di 20 secondi.
Essendo i dati già precompilati e solo da trascrivere, tra una cosa e l’altra una registrazione non poteva prendere più di 2 minuti (ma stiamo volutamente abbondando).

Il che significa che per registrare i decessi un solo scrivano: in aprile se la cavò con 32 minuti di lavoro al giorno; in maggio con 57 minuti; in giugno con 116 (2 ore); in luglio (il picco del contagio) in 3 ore e 15 minuti al giorno; in settembre (è uno dei mesi più esaminati dalla ricerca) con 25 minuti. Ma il professor Righetti, che è un esperto di comunicazione oltre che di chimica sublime, dice: «Perché la massa di lavoro era talmente notevole che non si fermavano neanche per mangiare.»

A parte questa tendenza alla spettacolarizzazione, che può essere divertente in certi contesti ma scivolosa in una ricerca scientifica, nelle parole del portavoce della ricerca c’è qualcosa di molto più serio.

Con esse il professor Righetti ha introdotto senza enfasi e in modo indiretto – ma inequivocabile — l’idea che i documenti analizzati da egli stesso e dal suo gruppo di lavoro siano stati redatti all’interno del Lazzaretto, in quel lontano 1630 nel pieno del contagio (ricordate quanto accennavamo a proposito dell’articolo di La Repubblica?).

Rileggiamole: «E inaspettatamente abbiamo identificato anche cheratine di ovini, soprattutto cheratine di capra. Ma questo il Manzoni lo spiega. All’interno del Lazzaretto c’era un piccolo recinto […]»

Qualche lettore ci potrebbe chiedere: perché sottolineare queste parole del professore? Cosa c’è di tanto strano nel dire che i registri analizzati sono stati redatti nel Lazzaretto?
Ma questo lettore sarebbe proprio smemorato! dovrebbe ricordarsi di quanto poco sopra abbiamo riferito della relazione svolta da Luca Fois alla Conferenza di presentazione della ricerca!

Fois – e a fianco aveva il Direttore dell’Archivio di Stato — lo ha spiegato chiaramente: una cosa sono i tre registri della BUSTA 119, redatti in città dal Magistrato di Sanità e relativi alle morti avvenute in città (su cui è stata condotta la ricerca del professor Righetti).

Una cosa completamente diversa i cinque registri della BUSTA 118 e relativi ai decessi avvenuti nei lazzaretti.

Nelle parole del professor Righetti c’è quindi di strano che con esse ha mandato all’aria tutta la ricerca «Of mice and men-Uomini e topi»”. Firmata da lui stesso, D’Amato, i due Zilberstein e Compagnoni. Validata dalla prestigiosa “Journal of Proteomics”. Promossa a livello nazionale da RAI3-ANGELA.

Parlando in trasmissione Righetti ci ha detto che la ricerca è stata effettuata su registri compilati al Lazzaretto.
Ma noi sappiamo benissimo che la ricerca è stata invece condotta su registri compilati in Milano presso il Magistrato di Sanità.
Due realtà perfettamente escludentesi.

È una cosa non bella — anzi spiacevolissima — ma è così. E di seguito forniamo gli elementi perché il lettore possa constatare da sé il pasticcio combinato da ricercatori del professor Righetti, Archivio di Stato, RAI3-ANGELA.

Su quali documenti è stata condotta la ricerca “EVA”?
È in errore l’Archivio di Stato? O il pasticcio è dei ricercatori «Of mice and men»?

Come in ogni ricerca scientifica, anche per questa in esame sono importanti i suoi supporti documentari.

In questa ricerca lo sono ancora di più, dal momento che costituiscono l’oggetto stesso della ricerca.

Nell’articolo “Uomini e topi – Tracce di vita nei registri di morte” (Cap. 2 / paragrafo 2.2 – Archive material) è scritto [sottolineature nostre]:

«Sono stati esplorati i seguenti documenti relativi ai registri della morte della peste del 1630, conservati presso gli Archivi di Stato di Milano: «Atti di governo, Popolazione parte antica, busta 119; Atti di governo, Sanità parte antica, busta 279, 279 bis e 280.»
Un totale di 11 pagine sono state compulsate con i dischetti EVA. Inoltre, è stata analizzata una “grida” (un manifesto letto ad alta voce da un araldo nelle città e poi esposto alle sue porte d’ingresso) resa pubblica in Cremona il 17 giugno 1630, per intimare alla popolazione di interrompere ogni commercio con i villaggi vicini a causa dell’infezione che si era diffusa nella città (dimensione dello stampato: 40 x 30 cm).»

La ricerca «Of mice and men-Uomini e topi» ha quindi indicato in modo inequivocabile di avere utilizzato come documenti d’analisi diretta esclusivamente quanto contenuto nella BUSTA 119, conservata in «Atti di governo, Popolazione parte antica», nonché una “grida”, conservata in “Atti di governo, Sanità parte antica”.

Ma sui contenuti della BUSTA 119 le cose sono perfettamente chiare.

Oltre alla relazione Fois, ce ne dà conferma ufficiale lo stesso Archivio di Stato di Milano che in proposito ha messo a disposizione del pubblico la scheda «La peste manzoniana del 1630 nel Liber Mortuorum del Magistrato di Sanità della città e ducato di Milano.» (reperibile a questo indirizzo).

Nella scheda si danno indicazioni precise. Tra queste, che il materiale è conservato in due buste: «Atti di Governo, Popolazione, parte antica, bb. 118-119.»

La BUSTA 119 contiene 4 volumi di diverso formato (grosso modo come le guide telefoniche di una città di media dimensione), su tre dei quali furono registrati, a cura del “Magistrato di sanità”, una parte dei decessi avvenuti nella città di Milano nel 1630.

Purtroppo dobbiamo dire che quanto espresso dal professor Righetti in trasmissione TV non è un suo lapsus (succede ai migliori!).
È proprio un assunto centrale della ricerca «Of mice and men-Uomini e topi», così caduta da sé in una insanabile contraddizione che equivale a una auto-invalidazione.

La cosa curiosa è che di questa evidente contraddizione non si sono resi conto non solo i validatori-referees della rivista “Journal of Proteomics” ma neppure all’Archivio di Stato di Milano, che ha avallato con la propria autorità una ricerca nata cieca e zoppa sotto il profilo storico-documentale.

I riferimenti al Lazzaretto nella ricerca «Of mice and men-Uomini e topi».

Vediamo come la cosa è presentata nell’articolo “Uomini e topi – Tracce di vita nei registri di morte” (Cap. 4. “Discussion”, pag. 6):

«What was unexpected was the presence of a similar cohort of mouse and rat keratins, as though these animals had handled the same pages with just about the same frequency.
However, it should be noted that these registries were filled out in the lazaretto, an unhealthy place scourged, at night, by cockroaches, fleas and rats, looking for food. Possibly mice and/or rats visited these pages searching for breadcrumbs or other food residues as contained on the meagre meals the civil servants consumed during the uninterrupted working hours.»
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«Inaspettata la presenza di una tale quantità di cheratine di topo e di ratto, come se questi animali avessero frequentato le stesse pagine con la medesima frequenza.
Tuttavia, va notato che questi registri vennero compilati nel Lazzaretto, un luogo malsano, flagellato di notte da scarafaggi, pulci e topi in cerca di cibo. Forse topi e/o ratti si sono mossi tra queste pagine alla ricerca di briciole di pane o altri residui dei magri pasti consumati dai funzionari durante l’ininterrotto lavoro di scrittura.» [nostra traduzione].

In questo brano è quindi espressa a chiare lettere l’idea che i registri analizzati fossero stati compilati al Lazzaretto e lì annusati, leccati, zampettati da orde di topi/ratti in cerca di briciole del pasto degli scrivani.

Ma questo è purtroppo solo l’inizio di un accumulo di errori e abbagli.

Sempre nel medesimo paragrafo, alla riga successiva, la ricerca ci dice: «Also, the persistent presence of proteins from Ovis aries and from Bos taurus (see Supplementary Table 1) looks puzzling.» [nostra traduzione: «Inoltre, è parsa sconcertante la notevole presenza di proteine di “Ovis aries” (vedi la Tavola Supplementare n. 1) e di “Bos taurus”.»] E i ricercatori si chiedono:

«Why should they be there, given the fact that live animals could hardly have been introduced in the lazaretto?»
[Come è possibile, dal momento che molto difficilmente gli animali vivi potevano essere introdotti nel Lazzaretto? NdR].

Alla propria domanda i ricercatori danno una immediata risposta, vaga quanto illusionistica:

«For goats and sheep there is a proven and well-documented record.»
.[Per quanto riguarda capre e pecore vi è una solida documentazione].

Richiamiamo l’attenzione del lettore su questo quasi taumaturgico sdoppiamento operato dai ricercatori solo con la forza della parola: le “sheep” (pecore-Ovis aries) si sono trasformate in “goats and sheep”, ossia capre (Capra hircus) e pecore (Ovis aries), senza che in nessuna parte della ricerca si dicesse in chiaro di avere trovato inequivocabili tracce di proteine di capra (Capra hircus).

E ciò per una buona ragione. Infatti, mentre nella ricerca sono evidentemente rinvenibili a iosa proteine di “Ovis aries” (pecore), per le proteine di “Capra hircus” (capre) bisogna essere più prudenti.

Non vorremmo che il lettore a questo punto pensasse a noi come a esperti in “proteomica” o simili avveniristiche e sublimi discipline. Non lo siamo nel modo più assoluto.

Come semplici frequentatori della parola scritta, ci siamo limitati a leggere parte di una nota trasmessaci con grande disponibilità da un Professore di una importante Università italiana (cui ci ha cortesemente indirizzato il CNR) da noi consultato per darci una mano a comprendere un qualche cosa delle tabelle contenute nella ricerca “Uomini e topi – Tracce di vita nei registri di morte”.

Il Professore in questione (per comodità lo chiameremo d’ora in poi “Professore di fiducia del CNR“), dopo avere espresso ammirazione per l’aspetto scientifico della ricerca del professor Righetti e grande considerazione per la sua figura di eminente studioso, ci ha così riassunto alcune sue prime considerazioni sul piano tecnico:

«Se dovessi basarmi su questi dati dunque, la mia conclusione sarebbe la seguente:
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— Non possiamo fare alcuna affermazione sulla presenza o meno di proteine provenienti da Capra hircus. Le capre potrebbero esserci come non esserci, e i dati non consentono di dirimere questa questione.
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— Possiamo invece affermare con buona certezza, sia per la grande quantità di peptidi identificati, sia per la presenza tra essi di marcatori specifici, che vi siano proteine provenienti da Ovis Aries, quindi la presenza di pecore nella zona di campionamento sembra accertata. Peraltro alcuni dei marcatori specifici non appartengono alla cheratina, ma alle caseine, quindi proteine del latte.»

Da queste parole del Professore di fiducia del CNR (veramente grazie per la disponibilità!) comprendiamo perché la ricerca, mentre ha potuto suonare la tromba per la presenza di pecore (Ovis aries) al Lazzaretto, vi abbia inserito le capre un po’ in sordina, unicamente attraverso una performance verbale e senza mai fare riferimento non solo a loro proteine ma anche in generale alla “Capra hircus”, la cui denominazione scientifica nella ricerca non compare neppure una volta.

Lasciata cadere la nostra proposta di un dialogo tra specialisti.

Il lettore potrebbe chiedersi: ma voi del Centro Studi, prima di rendere pubblico tutto ciò, non avete coinvolto in queste vostre riflessioni i responsabili della ricerca? Forse avrebbero potuto in poche parole chiarire il tutto.

Il lettore avrebbe perfettamente ragione. E difatti noi ci siamo mossi proprio in quel modo.

Alla fine di maggio abbiamo girato tutta la nota del Professore di fiducia del CNR (di cui le righe sopra riportate sono la parte conclusiva) al professor Righetti che possiamo certo considerare il portavoce dei ricercatori «Of mice and men-Uomini e topi». Qui sotto la nostra lettera del 29 maggio.

Centro Studi Abate Stoppani al professor Righetti / 29-mag-2018 / 11.40.

[…] Per farci un quadro anche dell’aspetto scientifico della Vostra ricerca, ci siamo rivolti come parte terza al CNR per avere un loro parere. Il CNR ci ha cortesemente indirizzati al Professor […] dell’Università di […], che ha pubblicato una ricerca, realizzata con la tecnica della spettrometria di massa, sulla possibilità di distinguere con un altissimo grado di certezza tra cheratine di pecore e di capre.

Al Professor […] abbiamo rivolto alcuni quesiti tesi a chiarirci le idee su alcuni risvolti di carattere storico insiti nei risultati della Vostra ricerca “EVA” e da Lei confermati nel corso della trasmissione.

Per esempio, Lei ha presentato come uno dei risultati impliciti della ricerca “EVA” che i Libri Mortuorum da Voi analizzati (Busta 119) fossero stati compilati al Lazzaretto, cosa decisamente innovativa.
Infatti fino a oggi è stato considerato come certo (e così infatti è confermato dall’Archivio di Stato), che i Libri Mortuorum conservati nella Busta 119 fossero stati compilati presso il Tribunale di Sanità e riguardassero i decessi avvenuti in città (e non al Lazzaretto, per i quali sono presenti altri registri – Busta 118).

La cosa non è significativa solo sotto il profilo storico-documentaristico ma anche per la comprensione dell’impegno profuso da Manzoni nella sua analisi della peste del 1630.
Manzoni si muoveva spinto dall’ondata di tifo petecchiale che nel 1817-18 aveva colpito la Lombardia con oltre 7.000 morti. Ed era quindi interessato a mettere in luce anche il ruolo che nelle crisi collettive possono svolgere le strutture sociali autonome (come le istituzioni religiose) in sinergia con le autorità governative, cosa che si era verificata con esiti più che positivi nel 1630 a Milano (oggi noi parliamo di “sussidiarietà”).
Rispetto a quanto considerato da Manzoni, l’ipotesi formulata nella Vostra ricerca propone un quadro nuovo delle relazioni tra l’autorità amministrativa cittadina e le strutture religiose che gestirono la crisi al Lazzaretto. Da qui il nostro interesse per un approfondimento della questione.

Il Professor […] ci ha molto gentilmente risposto con una prima nota – che riportiamo in calce – suggerendoci di fare conoscere anche a Lei queste sue considerazioni di massima, disponibile a dialogare direttamente con Lei per eventuali approfondimenti.
Per completezza riportiamo le precise parole del Professor […]: «Per cui suggerisco che lei [Stoppani] invii a lui [Righetti] la mia mail, così come io l’ho mandata a lei, chiedendo se lui conferma la mia analisi (cosa che lui è in grado di fare perfettamente) o se invece ha delle controdeduzioni (nel qual caso può anche contattarmi e ne possiamo parlare direttamente).»

La proposta del Professor […] di un dialogo diretto tra specialisti ci pare un’ottima idea e ci fa veramente piacere condividerLa con Lei.

Qui sotto la risposta del professor Righetti, che riassumiamo, riportandone integralmente solo la frase relativa al dipinto già ricordato.

Professor Righetti al Centro Studi Abate Stoppani / 30 maggio 2018 / 11.24

1. nell’articolo scientifico è stato solo riferito: «Also, the persistent presence of proteins from Ovis aries and from Bos taurus (see Supplementary Table 1) looks puzzling.»

2. per il resto è ripreso quanto detto da Manzoni; e ci siamo rifatti «a un affresco ordinato da un abate che era scampato alla peste» [che] «si trova in via Laghetto a Milano […]. Nella parte bassa (da me ricostruita da documenti in archivio […]) si vede il recinto del lazzaretto proprio come doveva essere all’epoca. Sul quadrilatero a destra, si vede una capretta che entra nel recinto del lazzaretto.»

Il lettore avrà notato che il professor Righetti non ha fatto alcun cenno al tema dei Libri Mortuorum da noi sollevato. E nessun cenno alla proposta di un dialogo diretto con il suo collega esperto in proteomica. Abbiamo quindi fatto un altro tentativo di dialogo, che riportiamo qui di seguito.

Centro Studi Abate Stoppani al professor Righetti / 30 maggio 2018 / 21.51

«Per venire invece a ciò che Le compete, dalla Sua risposta ci pare di non essere stati sufficientemente chiari nella nostra del 29-05.

Prima però di ripresentarLe la questione sotto altre forme, che ci auguriamo meglio recepibili, non avendo Lei neppure accennato alla nota del Professor […] e alla sua segnalata disponibilità a un dialogo diretto tra specialisti, Le chiediamo qual sia in proposito il Suo orientamento.

Ritiene utile o meno uno scambio di idee tra Lei e il Professor […]? Oppure non ha la sufficiente disponibilità temporale per un dialogo tra esperti sul tema da Lei trattato nella ricerca “Uomini e topi”?»

A questa nostra del 30 maggio il professor Righetti non ha dato alcuna risposta. Evidentemente si è trovato così d’accordo con le considerazioni svolte dal suo collega in proteomica da ritenere superfluo ogni ulteriore approfondimento.

E allora, in carenza di incontestabili evidenze proteiche, ci si affida alla pittura.

Non è così inatteso che la ricerca, una volta introdotte le capre al Lazzaretto senza il necessario corredo tecnico-scientifico, abbia sentito la necessità di conferme di carattere artistico.
Nel ricordare la funzione di “balie” svolta dalla capre al Lazzaretto durante la tragedia del 1630 (nel solco di una lunga tradizione mitica, con ricordo anche dell’onnipossente Giove) la ricerca cita quindi Manzoni e le sue poche righe a ciò dedicate.
Ma, sempre a conferma della presenza di capre al Lazzaretto (per altro mai da nessuno contestata), la ricerca ricorre anche a fonti iconografiche coeve alla peste.

Torniamo all’articolo: al Cap. 4 (pagina 6), dopo considerazioni sulla impossibilità che in 288 stanze di 20 metri quadri ciascuna potessero trovare ricovero ben 16.000 persone si legge [nostra traduzione] :

«Ma un dipinto del 1630 chiamato “Madonna dei Tencitt”, ci svela il mistero: il Lazzaretto occupa la parte bassa del dipinto e, nel grande spazio vuoto definito dai portici (140.000 metri quadrati!), è raffigurato un continuum di tende (vedi l’immagine nell’estratto grafico). Sembrava un campo militare!
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Entrando dal cancello est, si può vedere una capra [NdR. nell’originale inglese: «Entering from the east gate, one can see a goat.»]. Alessandro Manzoni fornisce una spiegazione dettagliata di questo: in un angolo recintato del Lazzaretto esisteva una zona riservata ai neonati, le cui madri erano morte di peste dopo il parto. Poiché non vi erano sufficienti balie disponibili, molti bambini venivano allattati dalle capre, il che spiega la presenza di questi animali nella struttura.»

Diciamo subito che nella versione pdf a pagamento della relazione non compare alcuna immagine del richiamato “estratto grafico” che raffiguri tende. È una non trascurabile svista da parte dei relatori (e anche dei validatori della rivista “Journal of Proteomics“), tanto più sapendo (ce lo ha detto il professor Righetti nella intervista di Repubblica sopra riportata) che gli “estratti grafici” sono richiesti agli autori dalla rivista stessa.

Solo sulla pagina della rivista dalla quale è possibile scaricare il pdf della relazione abbiamo potuto trovare la figura “delle tende”, richiamata nella relazione come “prova a sostegno” ma mancante nella relazione stessa.

L’abbiamo scaricata e la presentiamo più sotto al lettore. Più avanti diremo cosa sia effettivamente la figura presentata dalla ricerca «Of mice and men-Uomini e topi» come «un dipinto del 1630 chiamato “Madonna dei Tencitt”» (si tratta di un dipinto a olio della fine ’800 ma di questo più avanti).

Per il momento siamo però interessati a seguire la ricerca (e il professor Righetti) quando ci segnalano che, guardando il quadro, dall’ingresso Est del Lazzaretto («east gate», come scrivono i ricercatori – immaginiamo intendano quello che nel quadro è più o meno al centro) è possibile vedere una capra («Entering from the east gate, one can see a goat.»).

Ubbidendo alla sollecitazione, abbiamo guardato con attenzione il dipinto propostoci dai ricercatori cercando una capra «entrando dal cancello est».

Purtroppo non abbiamo avuto successo: nel dipinto abbiamo individuato tre equini ma nessuna capra.

Prima di proseguire, dobbiamo segnalare al lettore che l’immagine in questione (che ci ha proposto la ricerca, sia chiaro) è reperibile anche su Wikipedia a questo indirizzo (immaginiamo sia stata questa la fonte dei ricercatori di «Of mice and men-Uomini e topi»).

La risoluzione dell’immagine è piuttosto bassa. Sappiamo però con certezza (lo vedremo meglio più avanti) che il dipinto originale misura cm. 50 x 13,6.

Milano’s Lazaretto during the raging plague of 1630.

Nel dipinto originale, quindi, i tre animali individuabili misurano poco più di 1 cm. e si capisce che il pittore ha dovuto stilizzare molto le figure che ha voluto mostrarci.
Per proseguire nel nostro ragionamento abbiamo quindi dovuto ingrandire l’originale del 200%. Ne è risultato un inevitabile sgranamento delle immagini, ma ci pare che, comunque, quanto si vede sia sufficientemente chiaro ai fini del nostro discorso.

Come si diceva, nel dipinto abbiamo individuato tre equini: (per chi guarda il quadro) a sinistra, al centro e a destra sono raffigurate tre scene che hanno tra i protagonisti degli animali impegnati in attività ben identificabili.

Nella scena di destra
È raffigurata Porta Orientale e il Redefossi (un canale oggi coperto). Un equino (stilizzato con il passo ambio) traina un carro con figure umane sedute. Qui, oltre al conducente del carro, vi è un uomo a cavalcioni dell’equino, con paraocchi e copri-orecchie. Davanti a tutti un “apparitore”, verosimilmente agitante una campanella, che avvisa dell’arrivo del carro.
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Nella scena al centro.
È raffigurato l’ingresso del Lazzaretto.
Un cavallo (o un mulo, anch’esso stilizzato nel passo ambio) traina un carro che trasporta esseri umani seduti (sono gli infetti di peste). Il conducente agita una frusta. Davanti al cavallo l’apparitore, anch’egli con una campanella. Sul muso e il capo dell’equino che traina il carro paraocchi e copri-orecchie.
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Nella scena a sinistra
È raffigurato il cimitero (foppone) di San Gregorio.
Un cavallo (o un mulo) traina un carro su cui sono posti corpi umani riversi (verosimilmente cadaveri).

Quindi abbiamo in sequenza: 1º l’uscita dalla città su carri trainati da cavalli (o muli), condotti da monatti e preceduti da un “apparitore” che avvisa i passanti del carico di malati; 2º l’ingresso su carro al Lazzaretto; 3º il trasporto su carro alle vicine fosse comuni (i fopponi) per chi non ce la faceva.

È una rappresentazione efficace della tragedia di quel 1630, condotta attraverso tre scene, al centro delle quali vi sono i malati (o i morti), i monatti, i cavalli che trainavano i carri.

Ma in questa interessante e viva raffigurazione, dove si trova la capra di cui scrive la ricerca?

In attesa di una risposta a questa domanda, già che siamo in argomento può essere utile ritornare a quanto solo accennato a proposito della reale identità del dipinto citato dalla ricerca «Of mice and men-Uomini e topi».

Curiosa confusione tra due dipinti ben distinti:
«La Madonna dei Tencitt», 1630 (cm 160×220)
«Il Lazzaretto di Milano dal quadro “La Madonna del Laghetto”», 1890 (cm 50x13,6).

Più sopra abbiamo riportato che la ricerca «Of mice and men-Uomini e topi» (Cap. 4, pagina 6) si riferisce alla figura della presunta capra come a «un dipinto del 1630 chiamato “Madonna dei Tencitt”».
Purtroppo anche questa informazione donataci dalla ricerca è errata.

Infatti il vero dipinto della «Madonna dei Tencitt» è quello che riportiamo a lato, realizzato verso il 1630. L’opera è ancora oggi visibile (molto mediocremente) in Vicolo Laghetto a Milano. A sinistra una sua foto amatoriale scattata recentemente.
A destra invece una bella foto in bianco e nero, realizzata ai primi del ’900 da un fotografo non noto (la fotografia è sotto la tutela della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Milano* e nelle disponibilità del Civico Archivio Fotografico, che ringraziamo per la cortese e professionale disponibilità accordataci).
Il dipinto ha una lunga e articolata storia, su cui torneremo in altra occasione.

Per il momento semplifichiamo dicendo che esso venne commissionato da Bernardo Gatone, Priore del Paratico dei Carbonai (l’organizzazione professionale dei “tencitt” in milanese, da tencc=tingere) per ringraziare la Madonna della protezione accordata alla categoria (risparmiata dal contagio certamente per la polvere in cui lavoravano i carbonai – le pulci non vi si trovavano sicuramente a proprio agio), a contagio cessato, a fine del 1630.

[* Per l’uso della foto in bianco e nero del dipinto «La Madonna dei Tencitt» siamo a disposizione per sanare eventuali diritti spettanti a chiunque sia giuridicamente autorizzato a esercitare tale diritto.]

Dicevamo che oggi il dipinto è veramente poco e male visibile sia per la posizione (è seminascosto dagli ombrelloni su strada di un ristorante) sia per le condizioni del vetro, decisamente sporco o comunque opaco.
Per averne comunque una qualche idea può essere utile riportare alcuni brani della descrizione che ne fece ormai 76 anni fa un non meglio identificabile C.G.L. sulla milanese “Rivista mensile del Comune” (fascicolo di ottobre 1942).

«Leggiamo in basso del quadro. PRESERVATO e a destra: DALLA PESTE. Dunque, siccome più in alto a sinistra sta la data: … mbre 1630, deducesi che questa plaga fu immune dalla pestilenza di quell’anno pontificando allora l’arcivescovo Federico Borromeo. Siccome poi a destra, simmetricamente alla data, leggesi: BERNARDO GATONE PRIORE (e sovrapposto il suo ritratto) cosi concludiamo, concordemente alla tradizione comunicatami dal sacrestano, che il Priore del Paratico dei Carbonai; Bernardo Gattoni, non avendo avuto morti di peste nel suddetto periodo di cui trattasi, faceva dipingere quell’immagine votiva in ringraziamento alla Madonna, al S. Sebastiano (che vedesi a sinistra trapassato da frecce), al S. Rocco (col suo cane, a destra), a S. Carlo Borromeo (adorante a braccia aperte colla faccia di profilo rivolta alla Madonna che è centrale rivolta di fronte, a persona intera colle braccia aperte, proteggente, con un mantelletto che le copre spalle e braccia). […] .
Ma l’attento osservatore a poco a poco rileva una quantità di dettagli nella fascia inferiore, lunga quanto la larghezza del quadro, ossia m. 1,60 circa, e alta un 40 centimetri o poco più.
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Osserviamo: appare al centro di questo lungo rettangolo un quadrato che essendo in iscorcio prospettico ha la forma di un rombo. È il Lazzaretto di Milano (cominciato nel XV secolo e demolito nel 1883: un tratto di esso vedesi ancora in S. Gregorio). Il perimetro è fatto tutto a minuscoli portichetti (che dovrebbero essere 224). Nel centro di questo quadrilatero ergesi un tempietto, è il S. Carlino; ed è superstite tuttora in via Lecco, benché il suolo in giro siasi alzato e le pareti siansi chiuse.
A destra del S. Carlino, guardiamo bene, c’è un carro in arrivo, col cavallo, ed è carico di malati. Attendamenti a triangolo sparsi per tutto il campo, con dentro l’infermo; e poi omini e omini, piccoli.»

Il lettore avrà notato che anche in questo dipinto – il vero «Madonna dei Tencitt», non quello confuso dalla ricerca – si distinguono benissimo cavalli (o muli) trainare carri con i malati che vanno verso il Lazzaretto, vi entrano, vi escono per il cimitero (non tutti fortunatamente).

Ma di capre anche qui neppure l’ombra.

«Il Lazzaretto di Milano dal quadro “La Madonna del Laghetto”»

Questo secondo dipinto è quello riportato dalla ricerca «Of mice and men-Uomini e topi» e che nulla ha a che vedere con il già descritto dipinto «Madonna dei Tencitt» del 1630 se non che è una copia, decisamente fedele nonostante le ridotte dimensioni, della sua parte bassa.

L’opera è stata probabilmente realizzata da Giovan Battista Rastellini (1860-1926) verso il 1890.
Dipinto a olio e di ridotte dimensioni (13,6 cm x 50 cm) è custodito presso il Museo Morando delle Civiche Raccolte Storiche di Milano e in questo periodo non esposto in alcuna delle sale dei Musei civici.

Dobbiamo alla cortesia della Direzione del Museo Morando di aver potuto comunque fruire di scatti fotografici del dipinto stesso, realizzati in vista di un eventuale restauro (sarebbe bella cosa saper restaurato insieme anche il dipinto di Via Laghetto, veramente in cattive condizioni).

Possiamo così confermare al lettore, con ancora maggiore vividezza, che nel dipinto proposto dalla ricerca «Of mice and men-Uomini e topi» sono raffigurati tre equini ma nessuna capra.

«Copyright Comune di Milano — all rights reserved — Milano, Palazzo Morando | Costume Moda Immagine»

Pensiamo con questa piccola rassegna iconografica di avere sufficientemente chiarito la realtà dei due distinti dipinti, inspiegabilmente confusi dalla ricerca «Of mice and men-Uomini e topi».

Possiamo quindi passare alle conclusioni di questa lunga sezione dedicata a un tema di grande interesse – le possibili sinergie tra diversi approcci scientifici – per la individuazione di un percorso che – almeno – cerchi di avvicinarsi alla comprensione della realtà.

Conclusioni sulla ricerca «Of mice and men-Uomini e topi».

Validata dal “Journal of Proteomics”. Garantita culturalmente dall’Archivio di Stato di Milano. Promossa a livello nazionale da RAI3-Angela.

Dopo questa lunga esposizione, è opportuno tirare un po’ le fila.

Diciamo subito, e per non lasciare adito ad alcun dubbio, che da parte nostra non si è voluto assolutamente mettere in discussione la parte scientifica della ricerca «Of mice and men-Uomini e topi», condotta dal professor Righetti e dal suo gruppo di lavoro.

Non solo infatti non abbiamo la competenza per entrare nel merito scientifico ma non ne abbiamo neppure né motivo né interesse. Da quel poco che abbiamo potuto comprendere (e che ci è stato confermato da specialisti), il professor Righetti e il suo gruppo di lavoro sono di ottimo livello scientifico.
Nel loro campo si muovono con acutezza e spirito innovativo. Dalle loro ricerche sappiamo essere emersi dati interessanti per la scienza. Siamo certi che essi doneranno ancora a tutti noi e alla comunità scientifica apprezzabili risultati.

Da parte nostra, semplici investigatori su aspetti della storia e su alcune figure del nostro recente passato, ci siamo limitati a considerare la ricerca «Of mice and men-Uomini e topi» nella sua struttura logica interna e per i riferimenti storici che essa porta in sé.

Sotto quest’ultimo profilo abbiamo colto nella ricerca alcune debolezze che abbiamo cercato di esporre nel modo più chiaro per tutti, anche a costo di eccedere in ripetizioni in altri contesti forse evitabili.

Abbiamo constatato come la ricerca (convalidata dall’Archivio di Stato di Milano e dalla trasmissione RAI3-ANGELA) al telespettatore ha infatti — certo inconsapevolmente — proposto un frutto non del tutto commestibile.

Infatti, la ricerca «Of mice and men-Uomini e topi» ha sviluppato errori gravi in una serie di passaggi, ognuno dei quali apparentemente innocuo ma nell’insieme decisamente indigesti. Vediamoli in sintesi.

1. Nelle sue premesse metodologiche la ricerca dichiara di avere analizzato i “Libri Mortuorum” conservati all’Archivio di Stato nella BUSTA 119.
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2. Secondo l’Archivio di Stato quella BUSTA 119 contiene “Libri Mortuorum” relativi ai decessi avvenuti in città. SI esclude espressamente che lì siano registrate morti avvenute al Lazzaretto.
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3. Uno dei relatori, il professor Righetti, nel corso della trasmissione RAI3-Angela afferma che i “Libri Mortuorum” da lui analizzati sono stati redatti al Lazzaretto. In questo non fa che ripetere quanto già affermato nella ricerca.
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4. Questa affermazione della ricerca contrasta sia con i contenuti stessi dei registri (riportano circa il 30% di morti per cause diverse dalla peste) sia con la validazione dell’Archivio di Stato di Milano, la quale certifica esservi segnate le morti avvenute in città, escludendo espressamente ogni legame con le morti avvenute nei vari lazzaretti.
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5. La ricerca «Of mice and men-Uomini e topi», validata da una importante rivista internazionale, conferma di avere trovato su quei “Libri Mortuorum” proteine di pecora (Ovis aries) senza fare alcuna menzione di proteine di capra (Capra hircus).
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6. Con un passaggio solo nominalistico, la stessa ricerca propone poi lo sdoppiamento delle pecore in pecore e capre.
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7. Si ignorano poi le pecore e si procede solo con le capre. A rafforzamento di quanto trovato/sdoppiato/cancellato, si cita un dipinto, indicato come coevo alla peste (ma in realtà di fine Ottocento) sostenendo che un cavallo lì raffigurato sia una capra.
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8. Guardato con la normale cura d’obbligo nelle ricerche scientifiche, nel dipinto in questione a evidenza non è raffigurata alcuna capra. Gli unici animali rappresentati sono tre equini (cavallo o mulo o asino) impegnati con chiarezza in attività relative al trasporto di malati al Lazzaretto o al suo cimitero.
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9. La ricerca «Of mice and men-Uomini e topi» propone il tutto stabilendo con l’autorità di Manzoni e con il prestigio del suo romanzo un rapporto che appare solo superficiale.

È ben chiaro dove sta il problema.

Ai due milioni di telespettatori di “Viaggio nel mondo dei Promessi Sposi” è stata proposta il 7 aprile 2018 una ricerca: redatta con evidenti elementi di distrazione; condotta da ricercatori (certo provetti nella biochimica ma distratti rispetto ai contesti storici); i quali – senza loro responsabilità sia chiaro – sono stati presentati da RAI3-ANGELA come di una “Università di Milano” pur essendo la ricerca puramente privata; la ricerca è stata validata dai referees (altrettanto distratti) di una quotata rivista specializzata, nota a livello internazionale.

Si è così creato un precedente “scientifico”.
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Che smentisce radicalmente quanto certificato dall’Archivio di Stato di Milano circa i documenti che l’Archivio stesso custodisce.
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E che smentisce qualsiasi analisi condotta col semplice buon senso su quei documenti stessi.

Il tutto diventa “cultura di massa” grazie al prestigio di RAI3 e di uno dei più quotati conduttori “scientifico-culturali” del nostro paese, il simpatico Alberto Angela.

A dispetto di questa realtà incontrovertibile quanto spiacevole, l’8 aprile alla trasmissione di Angela è stata esplicitamente data la benedizione ufficiale dell’Archivio di Stato stesso:

«La puntata di Ulisse del 7 aprile merita di essere rivista integralmente, ma se volete concentrarvi sull’Archivio di Stato di Milano, ecco le nostre dritte:
– al minuto 8:03, una grida contro i bravi conservata in ASmi del 24 dicembre 1628;
— dal minuto 29:52, il servizio sulla Monaca di Monza;
— dal minuto 1:36:53, il servizio sulla peste del 1630 e l’analisi biochimica sui documenti dell’Archivio.
Buona visione!»